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Il fenomeno del gerrymandering nel sistema politico-costituzionale statunitense

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

Il fenomeno del gerrymandering nel sistema

politico-costituzionale statunitense

Il candidato Il relatore

Elena Bianchi Prof.ssa Elettra Stradella

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INDICE

Introduzione………...5

Capitolo I – Origini del gerrymandering………...7

1. Il contesto storico-politico………..7

2. Il contesto partitico………..10

Capitolo II – Il background politico………14

1. Forma di Stato e forma di governo………..14

1.1 La forma di Stato………...14 1.2 La forma di governo……….17 2. Il sistema elettorale………..18 2.1 Elezioni federali………18 2.1.1 Presidenziali……….18 2.1.2 Politiche……….24 2.2 Elezioni statali………...27

Capitolo III – Analisi del gerrymandering e della sua

criticità………..28

1. Come si attua il gerrymandering………..28

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3 1.2 (Re)apportionment………...30 1.3 (Re)districting………...31 2. Tipologie di gerrymandering………35 2.1 Political gerrymandering………36 2.2 Racial gerrymandering………40

3. La questione della rappresentanza……….41

Capitolo IV – La giurisprudenza della Corte

Suprema………46

1. La giurisprudenza sul partisan gerrymandering………47

1.1 Dagli inizi del diciannovesimo secolo agli anni Sessanta………..48

1.2 Gli anni Sessanta: l’era della reapportionment revolution……...53

1.3 Il periodo post-anni Sessanta………..62

1.4 Dal 2000 a oggi……….68

2. La giurisprudenza sul racial gerrymandering………78

Conclusioni………...86

Bibliografia………...88

Sitografia………..94

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INTRODUZIONE

Il gerrymandering, pur essendo in Europa per lo più sconosciuto, è fenomeno quanto mai noto e attuale negli Stati Uniti d’America. La ragione di questa precisa dimensione territoriale è riconducibile, essenzialmente, allo stretto legame intercorrente con alcuni peculiari elementi del sistema politico-elettorale statunitense, che rendono il Paese un ambiente ideale per la sua “proliferazione”. Le sue radici affondano infatti nel caotico terreno storico-politico degli Stati Uniti del diciottesimo secolo: da caso insolito e bizzarro quale fu dapprincipio etichettato, nell’arco di qualche decennio divenne uno dei trucchi elettorali più largamente praticati e maggiormente caratterizzanti il procedimento delle elezioni. Con questo lavoro ci si propone di trattare l’argomento mettendone in risalto gli aspetti più rilevanti e adottando uno sguardo che, sebbene prenda le mosse dalle sue lontane origini, prediliga il lasso di tempo storico a noi più vicino e dunque affine.

Nel capitolo I si percorreranno le più significative tappe storiche dei neonati Stati Uniti d’America, cercando di far emergere come alcune di queste siano state precorritrici del gerrymandering, mediante un’esposizione che si concentrerà sugli aspetti più indicativi del periodo, ossia il contesto storico-politico e quello partitico.

Nel capitolo II si introdurrà al background politico che ha concorso e continua a concorrere alla realizzazione del gerrymandering: dapprima si inquadreranno la forma di Stato e la forma di governo del Paese, poi ci si addentrerà nell’articolato schema delle elezioni statunitensi per evidenziare quali tra queste consentono la sua messa in pratica.

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Nel capitolo III si analizzerà il gerrymandering più nel dettaglio, descrivendo sia i passaggi che gli preparano il terreno, sia le tipologie in cui può essere classificato; si tireranno poi le fila di questo capitolo e del precedente, mettendo in luce la problematicità del fenomeno.

Nel capitolo IV, infine, si esaminerà la giurisprudenza che la Corte Suprema ha prodotto in materia focalizzando l’attenzione sulle sentenze più importanti, tenendo separati i due filoni principali (partisan e racial) e procedendo in ordine cronologico.

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CAPITOLO I

Origini del gerrymandering

1. Il contesto storico-politico

Per inquadrare correttamente il fenomeno del gerrymandering è necessario effettuare, in via preliminare, una breve introduzione storica. A seguito della Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 e del suo definitivo riconoscimento da parte degli inglesi, avvenuta con il Trattato di Parigi (o Versailles) del 17831, i neonati Stati Uniti d’America si trovarono sì ad essere autonomi, ma con «istituzioni politiche deboli»2: il Continental Congress, organo prevalentemente militare, e gli Articles of Confederation, definiti come «first U.S. Constitution which served as a bridge between the

initial government by the Continental Congress of the revolutionary period and the federal government provided under the U.S.

Constitution of 1787»3, lasciarono ben presto il posto all’elaborazione

di un nuovo testo costituzionale. In verità, il Congresso continentale aveva convocato una convention al solo scopo di apportare delle modifiche agli Articoli di confederazione: «Urged on by a demand for

a stronger central government, the convention met in the Pennsylvania State House in Philadelphia (May 25 – September 17, 1787),

ostensibly to amend the Articles of Confederation»4; fu solo in un

1 Rivoluzione americana, Enciclopedia Treccani: «Con la Pace di Parigi (1783), la

Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle ex colonie costituitesi in Stati Uniti d’America».

2 Dall’indipendenza alla guerra civile, Storia degli Stati Uniti d’America,

Enciclopedia Treccani: «Gli USA […] avevano istituzioni politiche deboli. Il

Congresso continentale era stato solo un organo di coordinamento politico e militare degli Stati e gli Articoli di confederazione, ratificati nel 1781, non avevano creato un governo centrale».

3 Articles of Confederation, United States History, Encyclopedia Britannica. 4 Constitutional Convention, United States History, Encyclopedia Britannica.

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secondo momento che la convenzione, a cui parteciparono i 55 deputati che sarebbero poi stati considerati i c.d. “Founding Fathers

of the United States”, mutò obiettivo e divenne una vera e propria

assemblea costituente: «Discarding the idea of amending the Articles

of Confederation, the assembly set about drawing up a new scheme of

government»5. Posto che uno degli obiettivi era quello di creare un

organo legislativo bicamerale che rispettasse il più possibile la volontà popolare, fu proprio nell’affrontare questo argomento che sorsero i primi contrasti interni alla Constitutional Convention; come aveva osservato James Madison, infatti, «the principal difficulty lies, and the

greatest care should be employed, in constituting this representative assembly. It should be in miniature an exact portrait of the people at

large. It should think, feel, reason and act like them»6. In particolare,

le opinioni divergevano in materia di ripartizione dei seggi: da un lato, gli Stati più estesi volevano che fossero “apportioned” proporzionalmente alla popolazione di ciascuno Stato; dall’altro, gli Stati più piccoli premevano invece affinché riflettessero un’equa rappresentanza. La controversia venne risolta grazie alla c.d. Great

Compromise (o Connecticut Compromise), con la quale fu stabilito

che i seggi della camera bassa (House of Representatives) avrebbero dovuto essere ripartiti in misura proporzionale alla popolazione dei singoli Stati, mentre quelli della camera alta (Senate) in misura uguale, dunque prescindendo dal dato demografico: in questo modo, «the

Senate would represent the States, while the House of Representatives

would represent the people»7. Un altro compromesso raggiunto

nell’ambito della Constitutional Convention riguardò la procedura di elezione del Presidente. Ancora una volta, infatti, i Founding Fathers si erano trovati divisi: da una parte, c’era chi proponeva un’elezione

5 Ibidem.

6 Kurland P. B. e Lerner R., John Adams, Thoughts on Government, in The

Founders’ Constitution, University of Chicago Press (1986), vol. 1, cap. 4, doc. 5.

7 A New Map: Partisan Gerrymandering as a Federalism Injury, Harvard Law

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di tipo parlamentare; dall’altra, chi invece spingeva per un’elezione diretta da parte del popolo. La soluzione si raggiunse elaborando un procedimento elettorale caratterizzato sì dalla partecipazione diretta dei cittadini, ma pur sempre filtrato dall’intervento di un organo ad

hoc: l’Electoral College8 (come vedremo più avanti, questa complessa

tipologia di elezione, che si articola in varie fasi, ha posto e continua tutt’oggi a porre diversi problemi). Com’è stato perciò giustamente osservato dallo scienziato politico William Keech, «the Electoral College system was created by the Founding Fathers […] as an ad hoc compromise between those who believed in election of the President by Congress and those who believed in popular election»9.

Ad ogni modo, nonostante le difficoltà incontrate nel corso della Constitutional Convention, i padri fondatori riuscirono nel loro intento: il 17 settembre completarono il testo e lo firmarono, dando così vita alla Costituzione degli Stati Uniti d’America10. Nello spazio

di questi due secoli, sebbene il testo originale sia rimasto pressoché immodificato e vi siano stati apportati solo ventisette emendamenti11, i cambiamenti intervenuti sono stati piuttosto consistenti; se da un punto di vista puramente formale potrebbe infatti sembrare che la Costituzione sia rimasta più o meno inalterata, da un punto di vista

8 How Did We Get the Electoral College?, U.S. Electoral College, National Archives

and Records Administration: «The Founding Fathers established the Electoral College in the Constitution as a compromise between election of the President by a vote in Congress and election of the President by a popular vote of qualified citizens. However, the term “Electoral College” does not appear in the Constitution. Article II of the Constitution and the Twelfth Amendment refer to “electors”, but not to the “Electoral College”».

9 Schlesinger R., Not Your Founding Fathers’ Electoral College, U.S. News & World

Report.

10 Da sottolineare che si sta parlando della Costituzione federale; ciascuno Stato ha

poi elaborato, nel corso del tempo, la propria carta costituzionale.

11 Mediante il procedimento previsto dall’articolo V della Costituzione degli Stati

Uniti d’America: «The Congress, whenever two thirds of both houses shall deem it

necessary, shall propose amendments to this Constitution, or, on the application of the legislatures of two thirds of the several states, shall call a convention for proposing amendments, which, in either case, shall be valid to all intents and purposes, as part of this Constitution, when ratified by the legislatures of three fourths of the several states, or by conventions in three fourths thereof, as the one or the other mode of ratification may be proposed by the Congress; […]».

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sostanziale è invece evidente che sia stata interessata da significative trasformazioni. Il motivo di una simile discrepanza tra piano formale e sostanziale può principalmente imputarsi al fatto che un’ingente opera di modifica del testo costituzionale è stata operata a livello giurisprudenziale, prima ancora che a livello legislativo: è infatti la Corte Suprema che, nell’ambito dello svolgimento della propria funzione interpretativa, ha prevalentemente contribuito al progressivo mutamento nel tempo della carta costituzionale12, con un intervento che va letto più come integrazione contenutistica che come vera e propria alterazione del testo scritto. In particolare, l’attenzione della Corte è sempre stata tradizionalmente concentrata sulla tutela dei diritti fondamentali e delle libertà dei cittadini13: il costante e profondo

coinvolgimento vissuto in materia di gerrymandering, pratica che va a toccare in primo luogo i diritti politici e quindi, più in generale, la sfera dei diritti civili, ne è un esempio tangibile. Come avremo modo di vedere nei luoghi opportuni, la Corte Suprema è stata infatti la protagonista indiscussa delle battaglie legali che nel corso degli anni sono derivate da casi di gerrymandering, la cui disciplina, pur essendo ancora incompleta, può perciò considerarsi di origine prettamente giurisprudenziale.

2. Il contesto partitico

Tornando adesso al momento storico in cui si è formata la Costituzione, c’è un’altra questione preliminare che bisogna affrontare: quella dei partiti politici. È proprio a partire da questi e per volere di questi, infatti, che il fenomeno del gerrymandering ha mosso i primi passi e continua tutt’oggi a manifestarsi. A questo proposito è

12 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

costituzionale comparato, Editori Laterza, Bari (2009), p. 76.

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curioso notare come i Founding Fathers non avessero alcuna intenzione di fondare un sistema partitico, ma fossero anzi fortemente contrari a una sua eventuale costituzione; non è certo un caso, del resto, se nella Costituzione non vi è alcun esplicito riferimento normativo ai partiti politici, che per svilupparsi dovettero attendere diversi decenni dall’emanazione del testo costituzionale. Fu in seguito alla morte del primo presidente George Washington, leader indipendente e dunque non affiliato ad alcun partito, che i politici iniziarono a dividersi sulla base delle loro opinioni, prima fra tutte quella che avevano riguardo al potere federale: da una parte, c’era chi lo sosteneva ed era favorevole al suo rafforzamento (c.d. Federalists); dall’altra, chi invece lo voleva più debole per poter dare maggiore rilievo ai singoli Stati (c.d. Democratic-Republicans)14. Mentre i

Federalisti perdevano già presa, i Democratici-Repubblicani si consolidarono fino a quando non si scissero in due fazioni, quella dei

Democratics e quella dei Whigs, dando così vita ai primi due veri

partiti politici nella storia degli Stati Uniti. Più nel dettaglio, «la nascita del primo vero partito americano viene fatta risalire alle elezioni presidenziali del 1828, vinte da Jackson grazie alla campagna elettorale organizzata dal neocostituito Partito Democratico, […]. Intorno al 1840 si forma un secondo partito, di struttura organizzativa simile – anche se meno consolidata – e di orientamento più conservatore, quello dei Whigs, che vince le elezioni presidenziali di quell’anno e instaura così il sistema del bipartitismo statunitense»15,

ma «non riesce a mantenere una posizione unitaria e già nel 1854 subisce una scissione da parte dei suoi componenti appartenenti agli Stati del Nord, i quali costituiscono il Partito Repubblicano, schierato su posizioni antischiaviste, e riescono a far eleggere il proprio

14 Boaretto M., I partiti USA nella storia, una lunga evoluzione di ideali, Il Caffè

Geopolitico.

15 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

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candidato alle elezioni presidenziali del 1860: Abraham Lincoln»16; da quel momento in avanti, gli Stati Uniti hanno sempre avuto un sistema bipartitico articolato intorno al Democratic e al Republican

Party17. Fu però all’inizio del diciannovesimo secolo, quando non si

era ancora sviluppato un vero e proprio sistema partitico, ma cominciavano comunque a delinearsi le prime divergenze di idee tra politici, che l’espressione “gerrymandering” fece la sua prima comparsa (sebbene la pratica del redistricting fosse già stata in precedenza utilizzata per ottenere vantaggi elettorali18). L’episodio che condusse alla coniazione del termine vide protagoniste le fazioni politiche originarie: i Federalisti e i Democratici-Repubblicani. Nel 1812, in qualità di governatore del Massachusetts, Elbridge Gerry autorizzò la revisione dei distretti elettorali dello Stato; i membri del suo partito (Democratic-Republican) li ridisegnarono in maniera tale da assicurarsi una discreta rappresentanza al Senato statale, ma uno di questi aveva una sagoma così improbabile da ricordare una salamandra. La forma del distretto attirò l’attenzione del pittore Gilbert Stuart, che ne decorò i contorni con una testa, due ali e degli artigli: ecco come nacque la salamandra di Gerry, “gerrymander”. Il disegno di Stuart fece la sua prima comparsa il 26 marzo 1812 sul giornale federalista Boston Gazette, accompagnato dal titolo “The

Gerrymander. A New Species of Monster, which appeared in the Essex

16 Ivi, p. 95.

17 Ivi, pp. 86-87: «I due partiti politici statunitensi – il democratico e il repubblicano

– non devono essere intesi secondo il modello europeo del partito politico strutturato e centralizzato, dotato di forte disciplina interna. Al contrario, i partiti politici statunitensi possono definirsi come <<federazioni lasche di partiti aventi una propria base locale nei diversi Stati>> [Bognetti G., Lo spirito del costituzionalismo

americano, vol. 2., Torino, Giappichelli Editore (2000), p. 230]. Tali organizzazioni

politiche assumono una parvenza di compattezza durante le elezioni presidenziali, quando occorre in effetti presentarsi in modo unitario agli elettori al fine di ottenere l’elezione del proprio candidato, ma nei quattro anni intercorrenti tra un’elezione presidenziale e l’altra il partito riassume la sua originaria natura federativa».

18 Emily Barasch, The Twisted History of Gerrymandering in American Politics, The

Atlantic: «Before the term “gerrymander” was coined and even prior to the U.S. Constitution taking effect, redistricting was already being employed for political gain. […]».

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South District in Jan. 1812”19. Da quel momento, la parola conobbe

un’ampia popolarità e cominciò ad essere utilizzata in riferimento ad ogni caso sospetto di redistricting. Appare dunque chiaro come sia la definizione che la pratica del gerrymandering si siano originate dal progressivo schieramento dei politici in fazioni diverse e, in particolar modo, dalla volontà degli stessi di creare un vantaggio per il proprio partito. Tuttavia, gli elementi che hanno contribuito in misura maggiore allo sviluppo del fenomeno risiedono altrove: precisamente, come vedremo nei capitoli successivi, nel sistema politico-elettorale statunitense.

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CAPITOLO II

Il background politico

1. Forma di Stato e forma di governo

Preliminarmente alla trattazione del complesso sistema elettorale statunitense si rende opportuno inquadrare le altrettanto articolate forma di Stato20 e forma di governo21 del Paese, dalla cui analisi non si può prescindere per poter adeguatamente comprendere le varie tipologie di elezione. In riferimento alla prima, faremo un breve

excursus sulla sua natura federale; per quanto riguarda la seconda,

accenneremo ai rapporti che intercorrono tra i poteri dello Stato.

1.1 La forma di Stato

Sebbene non sia possibile «fornire una descrizione definitiva dello stato del federalismo americano – come di qualunque altro federalismo – trattandosi di un fenomeno sempre in evoluzione, di un costante

federalizing process»22, le caratteristiche essenziali del rapporto tra

20 Forme di Stato e forme di governo, Enciclopedia Treccani: «In linea di massima,

la maggioranza della dottrina parla di forma di Stato per indicare i diversi modi attraverso i quali si combinano i tre elementi costitutivi dello Stato: popolo, territorio e governo (alcuni preferiscono utilizzare l’espressione sovranità in luogo di quella di governo). […]. Nell’ambito di questa prospettiva, si distinguono, a sua volta, due diversi profili: il primo attiene al rapporto tra governanti e governati, mentre il secondo riguarda la ripartizione verticale del potere. Per quanto concerne questo secondo profilo, si suole distinguere tra Stati federali e Stati unitari, […]».

21 Ibidem: «Per quanto riguarda le forme di governo, esse concernono solo uno dei

tre elementi essenziali dello Stato: il governo latamente inteso come assetto dei pubblici poteri. […]. La forma di governo presidenziale si caratterizza per una rigida separazione tra l’esecutivo e il legislativo e per l’unificazione delle cariche di capo dello Stato e vertice del governo in una stessa persona».

22 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

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centro e periferia possono essere comunque tratteggiate analizzando la ripartizione delle competenze legislative, esecutive e giudiziarie. A livello federale, la Costituzione degli Stati Uniti disciplina espressamente tutti e tre i rami del governo: il potere legislativo è regolato dall’articolo I, quello esecutivo dall’articolo II e quello giudiziario dall’articolo III. Ai medesimi poteri non fa alcun esplicito riferimento, invece, sul piano statale: soltanto dalla lettura combinata della Guarantee Clause23 e del decimo emendamento24 possiamo evincere, seppur indirettamente, che tale onere viene lasciato alle Costituzioni dei singoli Stati. Fatta questa premessa normativa, vediamo ora come i singoli poteri si declinano in entrambi i livelli. Partendo dal primo, il potere legislativo federale25 è esercitato dallo United States Congress, organo bicamerale composto da camera alta

(Senate) e camera bassa (House of Representatives). Come abbiamo già accennato citando la Great Compromise, il Senate si compone di due rappresentanti per ciascuno Stato, indipendentemente dalla popolazione degli stessi, per un totale di cento senatori; la House of

Representatives, invece, è formata da 435 deputati, che rappresentano

i vari Stati in numero proporzionale alla loro popolazione (a titolo esemplificativo: la California, che è lo Stato più popoloso, ne conta ben 53; il Wyoming, tra gli Stati meno densamente abitati, appena uno). Il potere legislativo statale, poi, ricalca sostanzialmente quello federale: ogni Stato è dotato del proprio organo legislativo, la cui denominazione varia tra Legislature, State Legislature, General

Assembly, Legislative Assembly e General Court. Nella quasi totalità

degli Stati consiste in un organo bicamerale, che si divide quindi in camera alta (Senate o State Senate) e camera bassa (House of

23 Articolo IV, sezione 4, clausola 1 della Costituzione degli Stati Uniti d’America:

«The United States shall guarantee to every State in this Union a Republican Form

of Government, […]».

24 Decimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America: «The powers

not delegated to the United States by the Constitution, nor prohibited by it to the States, are reserved to the States respectively or to the people».

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Representatives, House of Delegates, State Assembly, General Assembly o più semplicemente Assembly); l’unica eccezione è

costituita dal Nebraska, caratterizzato da un organo monocamerale (Nebraska Legislature). Andando avanti, il potere esecutivo federale26 è essenzialmente attribuito al Presidente, che ne rappresenta il vertice, ma anche al Vicepresidente e al Cabinet, che si compone di quindici

executive departments spartiti per materia. A livello statale, invece,

ogni Stato ha il proprio Governor, che presiede il rispettivo Cabinet statale. Passando infine all’ultimo dei poteri, che resterà fuori dall’approfondimento sul gerrymandering in quanto estraneo al meccanismo elettorale (i membri del Judicial Branch federale vengono infatti scelti dal Presidente e approvati dal Senato, mentre i giudici statali sono nominati in maniera diversa da Stato a Stato, ma generalmente mediante la combinazione della nomina da parte del

Governor e di un successivo voto popolare),ritroviamo la stessa netta

distinzione tra piano federale e statale. La gerarchia dei tribunali federali27 è così articolata: la U.S. Supreme Court, con sede a Washington D.C. e giurisdizione su tutto il territorio statunitense; 13

U.S. Courts of Appeal e 94 U.S. District Courts distribuite su tutto il

territorio degli Stati Uniti28. L’organizzazione dei tribunali statali varia invece da Stato a Stato, così come la loro denominazione, ma ricalca sostanzialmente quella dei tribunali federali (State Supreme Court,

State Courts of Appeal e State District Courts)29. Sebbene in caso di

conflitto i primi prevalgano sui secondi, è bene sottolineare che tra i

26 The Executive Branch, White House.gov. 27 The Judicial Branch, White House.gov.

28 Varano V. e Barsotti V., La common law negli Stati Uniti, in La tradizione

giuridica occidentale. Testo e materiale per un confronto civil law common law,

Torino, Giappichelli Editore (2018), p. 326.

29 Ivi, p. 329: «È piuttosto difficile parlare in termini generali dell’organizzazione

giudiziaria dei cinquanta stati. In via di approssimazione, è possibile tuttavia affermare che in ciascuno stato sono presenti tre gradi di giurisdizione (ma in un terzo circa degli stati manca il livello intermedio)».

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due livelli non esiste alcun rapporto di subordinazione; piuttosto, si tratta due ordini di giurisdizione paralleli.

1.2 La forma di governo

Dopo aver analizzato ognuno dei tre poteri caratterizzanti il sistema politico statunitense in entrambe le loro declinazioni, è opportuno capire quali sono i rapporti che intercorrono tra gli stessi a livello federale, anche in considerazione del fatto che hanno in parte contribuito a delineare i diversi tipi di elezioni statunitensi. La loro relazione va inquadrata nell’ambito del c.d. sistema dei “checks and

balances”30, in base al quale, pur rimanendo formalmente separati gli

uni dagli altri, sono forniti del potere di controllare le reciproche azioni, in modo tale che nessuno dei tre finisca per prevalere sugli altri due: «i costituenti americani hanno infatti realizzato l’idea di Montesquieu sulla separazione dei poteri, intesa come reciproco stemperamento, allo scopo che ciascun organo, dotato in via principale di un potere, abbia però competenza anche in relazione agli altri poteri, in modo da contrastare gli altri organi costituzionali, […]»31. Questo

meccanismo risulta essere ancora più evidente nei rapporti tra l’organo legislativo (Congress) e l’organo esecutivo (President), per i quali il disegno originariamente sviluppato dai padri costituenti prevedeva addirittura la sovrapposizione delle competenze, sempre allo scopo di

30 Check and balance, Enciclopedia Treccani: «Con questa espressione inglese

(“controllo e bilanciamento reciproco”) si indica quell’insieme di meccanismi politico-istituzionali finalizzati a mantenere l’equilibrio tra i vari poteri all'interno di uno Stato. Il check and balance deriva dal principio della divisione dei poteri, realizzato in Inghilterra a partire dal diciassettesimo secolo e teorizzato da Montesquieu nello Spirito delle leggi (1748), il cui scopo è evitare l’assolutismo e salvaguardare la libertà dei cittadini».

31 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

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limitarne i poteri e garantire di conseguenza un miglior equilibrio governativo32.

2. Il sistema elettorale

Come abbiamo precedentemente accennato, il sistema elettorale statunitense è uno degli elementi che hanno contribuito in misura determinante allo sviluppo e al consolidamento del fenomeno del

gerrymandering. Se si approfondiscono singolarmente i vari tipi di

elezione, tuttavia, ci si rende conto che solo alcuni di essi sono strutturati in maniera tale da permettere l’attuazione di questo stratagemma.

2.1 Elezioni federali

A livello federale troviamo le elezioni presidenziali, che servono a delineare la figura di capo dello Stato e capo del governo, e le elezioni politiche, che servono invece a designare i componenti della camera alta (Senate) e della camera bassa (House of Representatives). Cominciamo analizzando le elezioni esecutive federali, cioè quelle presidenziali, che sono peraltro le più conosciute e dibattute, soprattutto a livello mediatico.

2.1.1 Presidenziali

Come abbiamo visto quando si è parlato dei dissidi sorti tra i Founding

Fathers durante l’elaborazione della Costituzione, un importante

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compromesso fu raggiunto dagli stessi proprio sulla tipologia elettorale attraverso cui designare il Presidente: né un’elezione parlamentare, né un’elezione diretta da parte del popolo, ma una complessa elezione indiretta ripartita in tre momenti e caratterizzata dalla partecipazione di un organo ad hoc, l’Electoral College. Non esiste, insomma, alcuna connessione diretta tra popolo e Presidente – rispettivamente soggetto e oggetto dell’elezione – ma una connessione indiretta e, per così dire, “mediata” da un apposito organo. Vediamo dunque più nel dettaglio le singole fasi in cui si articola questo procedimento33: (1) lo scopo della prima fase è quello di individuare i candidati alla presidenza per ciascun partito politico; coloro che intendono proporsi per il ruolo, quindi, devono fare campagna elettorale in tutto il Paese per cercare di vincere la nomination del partito al quale aderiscono. La modalità di selezione può variare da Stato a Stato: alcuni lasciano che siano i membri degli stessi partiti, mediante i c.d. caucuses, a delineare il candidato che ritengono più adatto per concorrere alla carica di Presidente; altri ricorrono invece alle primary elections34, elezioni con cui sono gli elettori registrati a votare il candidato che vorrebbero rappresentasse il loro partito alle elezioni popolari; altri ancora, infine, utilizzano una combinazione dei due metodi. (2) Dopo questo primo passaggio i partiti politici tengono le c.d. national conventions (o United States presidential nominating

33 Presidential Election Process, USA.gov.

34 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

costituzionale comparato, cit., p. 95: «Dal punto di vista organizzativo, nel corso

degli anni Settanta del ventesimo secolo i due partiti americani hanno subito una significativa innovazione consistente nel progressivo incremento del ricorso alle elezioni primarie per la scelta del candidato Presidente, che in precedenza era selezionato principalmente tramite meccanismi interni al partito, privi di trasparenza, anche se non mancavano alcuni casi di ricorso al voto degli aderenti al partito. Il ricorso generalizzato alle elezioni primarie fu introdotto a partire dalla campagna elettorale del 1972 dal partito democratico e in seguito anche dal partito repubblicano: in tal modo il candidato di ciascun partito alle elezioni presidenziali viene scelto non dai funzionari del partito, ma dagli elettori stessi, secondo regole procedurali che variano da Stato a Stato ma che tendono a uniformarsi. […]. A oggi, in entrambi i partiti americani prevale il meccanismo di selezione dei candidati tramite le elezioni primarie, anche se in alcuni Stati si fa ancora ricorso alle assemblee interne di partito (c.d. caucuses)».

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conventions), che coincidono col momento in cui vengono ultimate e

formalizzate le candidature di coloro che hanno vinto le primaries: a questo punto, ciascun partito ha il proprio candidato alla presidenza. Successivamente, i candidati dei vari partiti cominciano a fare campagna elettorale in vista della general election, l’elezione popolare: viaggiano in tutto il Paese per illustrare i punti di quello che sarà il loro programma qualora venissero eletti e, più in generale, cercare di farsi conoscere e supportare dal più ampio numero possibile di persone. Il giorno delle elezioni, tuttavia, i cittadini si recano alle urne non per scegliere il candidato che vorrebbero come Presidente, ma per eleggere i c.d. grandi elettori (electors) che, nel proprio Stato, sono collegati a quel candidato35. Ogni Stato elegge un numero di electors pari alla somma dei propri rappresentanti alla House of Representatives e al Senate (riprendendo l’esempio citato in

riferimento alla composizione della camera bassa, la California ne eleggerà 55, cioè 53 rappresentanti più due senatori, il Wyoming tre, cioè un rappresentante più due senatori, e così via, per un totale di 538 grandi elettori), mediante una votazione che si esprime su base statale36, cioè senza che il territorio dei vari Stati venga ripartito in circoscrizioni elettorali, e con il sistema elettorale maggioritario uninominale secco del “winner-takes-all”: i grandi elettori che andranno a rappresentare un determinato Stato nell’Electoral College saranno esclusivamente quelli collegati al candidato che abbia ottenuto la maggioranza assoluta (più del 50%) o relativa (meno del 50%, ma più di ogni altro candidato) dei voti in quello Stato. Fanno eccezione il Maine e il Nebraska, che ricorrono entrambi al c.d.

Congressional District Method37, basato sulla divisione del territorio

35 Su come vengono scelti i grandi elettori per ciascun partito e Stato, si rimanda a:

Who Selects the Electors?, U.S. Electoral College, National Archives and Records

Administration.

36 State-wide vote o at-large election.

37 Maine & Nebraska, The Electoral College, FairVote: «Maine and Nebraska both

use an alternative method of distributing their electoral votes, called the Congressional District Method. Currently, these two States are the only two in the

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in circoscrizioni elettorali, e a un sistema elettorale misto. (3) Nella terza e ultima fase vediamo infine votare gli electors, i quali, pur formando nell’insieme l’organo dell’Electoral College, non si riuniscono mai fisicamente in un unico luogo: per esprimere il proprio voto, infatti, si radunano nelle capitali dei rispettivi Stati. Soltanto in un secondo momento i voti vengono comunicati al Congresso degli Stati Uniti, che procederà al loro conteggio e dichiarerà Presidente il candidato che abbia ottenuto il voto di almeno 270 grandi elettori, cioè la metà più uno. È evidente che in un contesto del genere non ci sia spazio per il gerrymandering: come vedremo, infatti, l’attuazione di questo stratagemma è resa possibile non soltanto dall’utilizzo di un sistema elettorale maggioritario, ma anche e soprattutto dalla divisione del territorio in collegi elettorali, che abbiamo constatato essere pressoché del tutto assente nel procedimento elettorale presidenziale. L’unica piccola, remota possibilità che possa in qualche modo condizionare le elezioni presidenziali potrebbe essere attribuita al Maine e al Nebraska, che fanno entrambi ricorso alle circoscrizioni elettorali; ma si tratta di appena due Stati, peraltro poco popolati, su cinquanta, un dato troppo irrilevante per poter avere una qualche significativa influenza sul risultato elettorale. In sostanza, quindi, il

Congressional District Method potrebbe veicolare il gerrymandering

nel contesto delle elezioni presidenziali soltanto se venisse adottato da un numero ben più considerevole di Stati, tanto più se molto popolosi. È pur vero, tuttavia, che nel procedimento elettorale presidenziale può rilevarsi una falla da cui ha origine una forma di ingiustizia che, per quanto non corrisponda allo schema del gerrymandering, ha in comune con esso la sistematica violazione del principio “one person,

Union that diverge from the traditional winner-take-all method of electoral vote allocation. Since electors are awarded to each State based on the number of House seats plus the number of Senate seats (always two), the congressional district method allocated one electoral vote to each congressional district. The winner of each district is awarded one electoral vote, and the winner of the state-wide vote is then awarded the State’s remaining two electoral votes».

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one vote”38: il sistema del “winner-takes-all” scelto dalla quasi totalità

degli Stati (va infatti sottolineato che «è la legge di ciascun singolo Stato a stabilire le modalità di votazione degli elettori presidenziali in quello Stato»39) rende logicamente irrilevanti i voti di milioni di cittadini statunitensi che, avendo ipoteticamente votato un candidato che abbia ricevuto anche appena qualche voto in meno rispetto al vincitore, non possono essere rappresentati nell’Electoral College. Per dare un’idea del problema: «A Republican from California is no less a

United States citizen than a Democrat. Yet her vote for President counts for nothing. Likewise with a Democrat in Texas. There is no reason not to allocate electors in a way that gives equal weight to

every citizen’s vote […]»40. Un’altra falla del procedimento, poi, può

senz’altro essere ravvisata nell’Electoral College stesso, la cui sussistenza e permanenza nell’iter elettorale presidenziale suscita da sempre accese critiche. Com’è stato osservato, infatti, «the Electoral

College has survived more efforts to reform or abolish it than any other American political institution. <<There have been more proposals for constitutional amendments on changing the Electoral College than on any other subject>>, according to the National

Archives»41, senza però che nessuno di questi tentativi abbia mai

prodotto risultati concreti. Sebbene sia accaduto rare volte, l’accusa più dura che gli viene mossa è quella di essere strutturato in modo tale da rendere possibile che venga nominato Presidente il candidato che abbia ottenuto meno voti nell’elezione popolare. Può benissimo verificarsi, infatti, che il candidato che abbia vinto la general election debba la sua vittoria al fatto di essere stato votato a maggioranza da

38 Principio di derivazione costituzionale che avremo modo di approfondire nel

quarto capitolo.

39 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

costituzionale comparato, cit., p. 91.

40 Lawrence Lessig, The Time Has Come: Reform the Electoral College Now, The

Daily Beast.

41 Victoria Bassetti, How to Reform the Electoral College, Brennan Center for

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Stati particolarmente popolosi, e che nel momento in cui questi voti vengano trasformati in seggi dell’Electoral College la situazione si modifichi. Nello specifico, ciò che può accadere è che si sia ottenuta sì la maggioranza dei voti, ma da un numero piuttosto contenuto di Stati, magari molto popolati: tradotto in seggi, questo dato può produrre una dispersione del risultato elettorale e un possibile vantaggio dell’avversario, il quale, pur avendo ottenuto meno voti, potrebbe averli ricevuti da un elevato numero di Stati, seppur magari poco popolati. È proprio ciò che è successo durante le ultime presidenziali, dove la Clinton, nonostante abbia ottenuto molti più voti di Trump nell’elezione popolare, ha comunque perso in quella dell’Electoral College: «Hillary won more votes overall, but a

multitude of them came from the same few States, like California and New York. […]. Trump’s grand total of votes was spread more evenly throughout the Country and he won many more States, albeit often by

a slim margin»42. Come abbiamo già detto, le due problematiche

appena analizzate – quella interna agli Stati, derivante dall’utilizzo del sistema “winner-takes-all”, e quella rilevabile a livello federale, dovuta alla presenza dell’Electoral College – hanno fomentato accese critiche da parte di molti elettori statunitensi, molti dei quali hanno dato vita a progetti volti a ottenere modifiche del procedimento elettorale presidenziale43.

42 Chris Payne, How Hillary Clinton Won the Popular Vote But Lost the Election,

Billboard.

43 Per quanto riguarda la prima questione si rimanda al progetto EqualVotesUS

dell’organizzazione non profit Equal Citizens, fondata dal già citato professor Lawrence Lessig; riguardo al secondo problema, invece, si segnala il progetto

National Popular Vote Interstate Compact, al quale hanno per il momento aderito

solo undici Stati e il District of Columbia, che, semplicemente, garantirebbe la presidenza al candidato che vince l’elezione popolare.

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24 2.1.2 Politiche

Le elezioni più problematiche a livello federale, tuttavia, sono sempre state quelle legislative. A questo proposito occorre ricordare la differenza che intercorre tra i due rami parlamentari: come abbiamo già specificato quando si è parlato della Great Compromise, i padri costituenti decisero di ripartire i 100 seggi del Senate in misura uguale tra i vari Stati, cioè a prescindere dalla popolazione degli stessi, assegnandone due a ciascuno, e i 435 della House of Representatives in misura proporzionale, cioè in base alla loro popolazione. Bene: questi due distinti metodi di attribuzione dei seggi hanno prodotto riflessi diversi sui rispettivi procedimenti elettorali.

Per quanto riguarda il Senate, in principio questo era «comunemente inteso come la Camera degli Stati, in quanto esso è formato da due senatori per ogni Stato e dunque si suppone che rappresenti gli interessi dei singoli Stati, in opposizione agli interessi dello Stato federale nella sua unità, che troverebbero il loro luogo di tutela nella Camera dei rappresentanti»44; tuttavia, con l’approvazione del diciassettesimo emendamento45 e il mutamento della modalità di elezione dei senatori, che non vengono più eletti dai legislativi locali, ma dal corpo elettorale, l’originaria funzione del Senato ha pressoché cessato di esistere. Le elezioni si svolgono in maniera estremamente semplice: si rinnova di un terzo ogni due anni (è infatti suddiviso in tre classi che si rinnovano a rotazione) e ciascun senatore viene eletto per sei anni con un sistema elettorale maggioritario plurinominale. Posto che tutti gli Stati sono rappresentati da due senatori, la regola

44 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

costituzionale comparato, cit., p. 85.

45 Diciassettesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America,

sezione 1: «The Senate of the United States shall be composed of two Senators from

each State, elected by the people thereof, for six years; and each Senator shall have one vote. The electors in each State shall have the qualifications requisite for electors of the most numerous branch of the State legislatures».

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vuole che ciascuno Stato costituisca un unico collegio per entrambi i suoi senatori: nessuna spartizione in distretti, ma un unico voto su base statale (state-wide vote o at-large election). È chiaro che questo tipo di elezione, esattamente come quella presidenziale, non potrà mai dare adito al fenomeno del gerrymandering, che si fonda proprio sulla ripartizione del territorio in circoscrizioni elettorali.

Le elezioni della House of Representatives, che sono più complesse, avvengono invece ogni due anni in base a un sistema elettorale maggioritario uninominale: il territorio degli Stati Uniti è diviso esattamente in 435 collegi elettorali, tanti quanti i seggi che formano la Camera; ciascun collegio elettorale, quindi, eleggerà un unico membro. Il numero dei collegi elettorali presenti in uno Stato, poi, varia in base alla popolazione dello stesso: ad esempio, la California elegge 53 rappresentanti ed è infatti divisa in altrettanti collegi elettorali; il Wyoming, come altri Stati molto poco popolati46, ne elegge solo uno ed è infatti caratterizzato da un unico collegio elettorale47. Eccezion fatta per questi ultimi Stati, i quali, essendo rappresentati da un solo deputato, non hanno alcuna necessità di spartire il proprio territorio in distretti elettorali, tutti gli altri (anche quelli che hanno solo due rappresentanti) si trovano a dover effettuare questa operazione: è proprio qui che, come vedremo, il fenomeno del

gerrymandering trova terreno fertile. Riguardo alla cadenza con cui si

svolgono le elezioni appena esaminate, poi, si impone un’ultima osservazione. Posto che «i meccanismi elettorali del Congresso e del Presidente comportano che ogni due anni si svolga l’elezione dell’intera Camera e di un terzo del Senato, mentre ogni quattro anni si rinnovino il Presidente, l’intera Camera e un terzo del Senato»48 e

46 Alaska, Delaware, Montana, North Dakota, South Dakota e Vermont. 47 Wyoming’s at-large congressional district.

48 Carrozza P., Di Giovine A. e Ferrari G. F., Gli Stati Uniti d’America, in Diritto

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che «lo scopo di tale frammentazione elettorale era quello di evitare che il medesimo partito (o “fazione”, come veniva definito dai primi commentatori della Costituzione) potesse dominare contemporaneamente la Camera, il Senato e la presidenza perché in tal caso sarebbe stato notevolmente attenuato l’effetto di reciproco contrasto tra poteri che costituisce la base della forma di governo statunitense»49, è necessario soffermarsi un momento per valutare se tale obiettivo sia stato realizzato o meno. Ebbene: se è vero che la pianificazione dei tempi elettorali è servita all’intento per cui è stata così organizzata, non si può certo dire che il fine ultimo del progetto sia stato pienamente centrato. La volontà dei padri costituenti di evitare che la stessa “fazione” potesse accentrare il potere nelle proprie mani, infatti, non aveva messo in conto ciò che sarebbe accaduto con l’avvento del gerrymandering e, prima ancora, con la nascita dei partiti politici; del resto, non avevano gli strumenti per poter fare questo genere di considerazioni e prevedere che il piano approntato per mantenere un buon equilibrio governativo sarebbe stato messo in crisi, di lì a poco, da nuovi assetti politici. Com’è stato giustamente osservato in relazione all’organo più colpito da questi giochi di potere, infatti, «what none of them anticipated was that Congress would be

able to perpetuate itself not by using its preemption power, but by relying on the mercy of state legislatures. The current state of affairs realizes both camps’ worst fears, as state legislatures gerrymander so that their congressional colleagues are no longer accountable to the people, but keep their seats by virtue of membership in a favored faction. The Framers did not foresee the advent of party politics on a national scale, a development that has essentially rendered

meaningless their system of control over congressional elections»50; e

ancora, riprendendo le parole di Adams, «far from making the House

49 Ibidem.

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of Representatives a portrait in miniature of the Country, state legislatures are instead painting a portrait in miniature of

themselves»51.

2.2. Elezioni statali

Una menzione a parte meritano infine le elezioni che si tengono a livello statale, cioè le State Assembly elections, le State Senate

elections e le Gubernatorial elections, che ricalcano sostanzialmente

la struttura di quelle federali. L’unica evidente differenza si ha riguardo alle seconde: in questo caso, infatti, l’elezione si basa sulla divisione del territorio statale in circoscrizioni elettorali, esattamente come avviene per le elezioni della camera bassa52.

51 Ivi, p. 1202.

52 Election Administration at State and Local Levels, National Conference of State

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CAPITOLO III

Analisi del gerrymandering e della sua criticità

1. Come si attua il gerrymandering

Dopo esserci occupati delle questioni introduttive, è giunto il momento di addentrarci più dettagliatamente nel campo del

gerrymandering, che viene comunemente descritto come la pratica

consistente nel «to divide a geographic area into voting districts in a

way that gives one party an unfair advantage in elections»53 – anche

se, come vedremo, favorire un partito piuttosto che un altro non è l’unico fine per cui una simile strategia può essere messa in atto. Abbiamo già precisato, nel capitolo precedente, che questo fenomeno rimane perlopiù circoscritto alla quasi totalità dei procedimenti elettorali della U.S. House of Representatives e delle state legislatures, dunque a quelle tipologie di elezione – legislative federali e legislative statali, le prime per quanto concerne la camera bassa e le seconde per entrambe le camere (State Assembly e State Senate elections) – che, oltre a basarsi su un sistema maggioritario, ricorrono alla divisione del territorio statale in circoscrizioni elettorali. Il primo dato che possiamo ricavare, quindi, è che il gerrymandering non interessa tutti i procedimenti elettorali, ma soltanto quelli che si basano sulla divisione del territorio in distretti elettorali; quelli che non ricorrono a questo metodo, invece, ne rimarranno naturalmente esenti. Risulta altrettanto chiaro, perciò, come l’elemento che contribuisce in modo decisivo all’applicazione del gerrymandering sia proprio il disegno, o per meglio dire ridisegno, delle circoscrizioni elettorali; ma andiamo per gradi. Adesso che abbiamo individuato il prototipo di elezione idoneo

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ad “accogliere” la pratica del gerrymandering, possiamo passare ad analizzare singolarmente gli step che lo precedono e gli preparano il terreno: il decennial census, l’apportionment e il districting, anche se in questo contesto specifico sarebbe più opportuno definirli

reapportionment e redistricting.

1.1 Decennial census

Ogni dieci anni, così com’è stabilito dalla Costituzione54, l’U.S.

Census Bureau55 procede alla realizzazione del censimento allo scopo

di determinare l’esatto numero di persone che in quel momento vivono nel Paese. Furono i Founding Fathers ad individuare la potenziale utilità di questo strumento e a renderne pertanto espressa la previsione nel testo costituzionale: «The Founders of our fledgling nation had a

bold and ambitious plan to empower the people over their new government. The plan was to count every person living in the newly created United States of America, and to use that count to determine representation in the Congress. Enshrining this invention in our Constitution marked a turning point in world history. Previously censuses had been used mainly to tax or confiscate property or to conscript youth into military service. The genius of the Founders was taking a tool of government and making it a tool of political

empowerment for the governed over their government»56. Questa

operazione, infatti, viene innanzitutto svolta perché nell’arco di dieci anni la popolazione subisce delle variazioni demografiche, condizione che rende necessario un aggiornamento della sua distribuzione nelle

54 Articolo I, sezione 2, clausola 3 della Costituzione degli Stati Uniti d’America:

«[…]. The actual enumeration shall be made within three years after the first

meeting of the Congress of the United States, and within every subsequent term of ten years, in such manner as they shall by law direct. […]».

55 Ufficio del censimento degli Stati Uniti d’America.

56 Census in the Constitution, Decennial Census of Population and Housing, United

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varie circoscrizioni elettorali (reapportionment), così com’è del resto sancito da entrambe le Apportionment Clauses della Costituzione57 e del quattordicesimo emendamento58, al fine di garantire una corretta rappresentanza dei cittadini; e poi perché, con due note sentenze della Corte Suprema che analizzeremo nel quarto capitolo, è stato stabilito che le circoscrizioni elettorali debbano presentare all’incirca lo stesso numero di persone (equal population standard), circostanza che comporta che le stesse vengano ridisegnate (redistricting): per i collegi elettorali congressuali è richiesto che questa regola venga applicata «as nearly as is practicable»59, mentre per quelli statali è previsto un regime più blando, in base al quale i collegi devono solo essere «substantially equal»60.

1.2 (Re)apportionment

Una volta che il censimento è stato ultimato, si passa generalmente alla fase del reapportionment: la popolazione viene semplicemente redistribuita, sulla base del risultato censitario, tra le varie circoscrizioni elettorali, che potranno anch’esse variare nel numero per via dei mutamenti demografici; conseguentemente, sia i seggi elettorali congressuali che quelli delle state legislatures verranno assegnati in modo nuovo, diverso.

57 Articolo I, sezione 2, clausola 3 della Costituzione degli Stati Uniti d’America:

«[…]. Representatives and direct taxes shall be apportioned among the several

States which may be included within this Union, according to their respective numbers, which shall be determined by adding to the whole number of free persons, including those bound to service for a term of years, and excluding Indians not taxed, three fifths of all other persons. […]».

58 Quattordicesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America,

sezione 2: «Representatives shall be apportioned among the several States

according to their respective numbers, counting the whole number of persons in each State, […]».

59 Wesberry v. Sanders, 376 U.S. 1 (1964). 60 Reynolds v. Sims, 377 U.S. 533 (1964).

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31 1.3 (Re)districting

Una volta che il reapportionment sia stato eventualmente compiuto, ma anche nell’ipotesi in cui la popolazione di uno Stato non abbia subito variazioni tali da renderlo necessario61, si passa alla fase del

redistricting, che può quindi consistere o nel processo di adeguamento

dei confini elettorali al nuovo dato demografico emergente dal censimento, o, più semplicemente, nel ridisegno di circoscrizioni elettorali contenenti una popolazione il più possibile uguale tra loro; in ogni caso, questa operazione viene svolta sia sulle mappe elettorali federali, che definiscono chi rappresenta i cittadini dei vari Stati nella

U.S. House of Representatives, sia su quelle statali, che definiscono

invece chi rappresenta i cittadini in entrambe le camere statali, potendosi quindi distinguere tra congressional e state legislative

redistricting. Nella maggior parte degli Stati il processo di

redistricting è gestito proprio dalle rispettive legislature statali62, sia

per quanto riguarda il disegno dei distretti congressuali che per quanto riguarda gli state legislative districts. Tuttavia, vi sono anche altri soggetti che possono occuparsene63: (1) le advisory commissions, utilizzate da sei degli Stati i cui distretti sono disegnati dalle proprie legislature statali, hanno il compito di supportarle e consigliarle sul disegno dei confini elettorali, influenzando quindi il procedimento di

redistricting prima che venga messo a punto dalle stesse; (2) le backup commissions svolgono sostanzialmente la stessa funzione delle

commissioni precedenti, ma in un momento successivo: in otto degli

61 Redistricting in America, The Rose Institute of State and Local Government: «All

States, even those that did not gain or lose districts, still must redraw district boundaries in order to match internal population shifts. The end goal? Equal numbers of people in every district, nationwide»; che, come abbiamo già specificato,

consiste in uno dei due obiettivi di questo procedimento.

62 Stradella E., Dai rotten boroughs ad oggi, il lungo viaggio verso la rappresentanza,

DPCE, fasc. 4, p. 980: «[…] l’attività di definizione delle circoscrizioni elettorali è

negli Stati Uniti prettamente politica – è il legislatore che stabilisce le circoscrizioni elettorali (per lo meno nella maggior parte degli Stati) – […]».

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Stati sopracitati, entrano infatti in scena qualora le legislature statali abbiano fallito nell’approntare il nuovo disegno. Vi sono poi Stati in cui il compito viene invece direttamente affidato a soggetti diversi dalle state legislatures: (3) sette di questi ricorrono alle politician

commissions, commissioni formate da funzionari eletti; (4) altri sei,

infine, utilizzano delle vere e proprie independent commissions, principalmente composte da volontari. È interessante notare, tuttavia, come l’interesse dei cittadini verso il processo di redistricting, che rappresenta il passaggio più delicato ed esposto all’“infiltrazione” del

gerrymandering, si sia fatto nel tempo sempre più forte: alcuni di

questi hanno infatti avviato dei progetti che si prefiggono l’obiettivo di coinvolgere maggiormente la popolazione, operazione che potrebbe portare, nel tempo, ad ottenere un processo più trasparente64.

Qualunque sia il soggetto che si occupa di effettuare il redistricting, vi sono comunque dei requisiti da rispettare nel disegno dei confini elettorali: a questo proposito possiamo distinguere tra criteri federali, che valgono uniformemente per tutti gli Stati dell’Unione, e criteri statali, che sono invece disomogenei e variano da Stato a Stato. Quelli federali sono soltanto due: il criterio della equal population e quello riguardante race and ethnicity. Per quanto riguarda il primo, abbiamo già visto la differenza che sussiste tra la disciplina prevista per i distretti congressuali e quella prevista per i distretti statali, rispettivamente stabilite da Wesberry v. Sanders65 e Reynolds v.

Sims66. Per quanto concerne il secondo, la sua fonte si rinviene invece nella sezione 2 del Voting Rights Act67, la quale stabilisce: «No voting

64 A questo proposito si rimanda a uno dei progetti più completi, dotato anche di un

proprio sito: il Public Mapping Project.

65 376 U.S. 1 (1964). 66 377 U.S. 533 (1964).

67 Voting Rights Act, Encyclopedia Britannica: «U.S. legislation (August 6, 1965)

that aimed to overcome legal barriers at the state and local levels that prevented African Americans from exercising their right to vote under the Fifteenth Amendment (1870) to the Constitution of the United States. The act significantly widened the franchise and is considered among the most far-reaching pieces of civil rights legislation in U.S. history».

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qualification or prerequisite to voting, or standard, practice, or procedure shall be imposed or applied by any State or political subdivision to deny or abridge the right of any citizen of the United States to vote on account of race or color». Se è vero che questi criteri

sono obbligatori per tutti gli Stati, a ciascuno Stato è poi lasciata la libertà di adottare i propri: tra i più noti e ricorrenti si possono sicuramente citare quello della contiguity, in base al quale un distretto si considera contiguo quando ci si può muovere da un punto del suo territorio ad un altro senza imbattersi nei district boundaries, cioè i confini che lo separano dagli altri distretti, e quello della compactness, in base al quale un distretto può considerarsi compatto quando è caratterizzato dalla minima distanza tra i vari punti del suo territorio (più la sua forma sarà regolare, più sarà compatto), anche se ve ne sono degli altri68. Ed è proprio nella fase del redistricting che, nonostante le

specifiche regole previste sia per le modalità attraverso cui deve essere effettuato che per i soggetti abilitati ad effettuarlo, può penetrare l’elemento del gerrymandering, cioè l’atto essenzialmente consistente nel «disegnare le circoscrizioni elettorali con l’obiettivo di ottenere un determinato risultato»69 sul piano politico o etnico70. Quale che sia la tipologia di gerrymandering attuata, comunque, rimane il fatto che «the party in power manipulates the process to achieve maximum

efficiency in the distribution of its votes»71. Vediamo allora quali sono

le principali tecniche mediante cui il redistricting può essere adoperato a questo scopo. I due stratagemmi più noti, nonché «the preferred

gerrymandering methodologies»72, sono il “packing” (detto anche

“concentration” o “excess vote”) e il “cracking” (chiamato anche

68 Per una descrizione completa e approfondita dei singoli criteri si rimanda a: Where

Are the Lines Drawn?, All About Redistricting, Loyola Law School.

69 Stradella E., Dai rotten boroughs ad oggi, il lungo viaggio verso la rappresentanza,

cit., p. 979.

70 Da qui la distinzione tra partisan e racial gerrymandering.

71 Anderson D. L., When Restraint Requires Activism: Partisan Gerrymandering and

the Status Quo Ante, Stanford Law Review, vol. 42, n. 6, p. 1551.

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“dispersion” o “wasted vote”). Il primo consiste nel concentrare quanti più elettori nel minor numero di distretti possibile, così da drenare il loro potere di voto in tutti gli altri; il secondo, generalmente impiegato come complementare del primo, consiste invece nello sparpagliare gli elettori nel maggior numero possibile di distretti, stando ben attenti che risultino essere una minoranza degli stessi, in modo tale che il loro potere elettorale venga disperso. Se si pensa al loro uso combinato, si può ben comprendere qual è lo scopo che perseguono: «to impose huge

differences on the opposition by wasting most of its votes in a few winning districts and wasting the remainder on a large number of

losers»73. Un’altra tecnica piuttosto ricorrente, inoltre, è lo

“shacking”, che non si focalizza soltanto sul luogo in cui vivono gli elettori, ma anche su quello dove risiedono gli “incumbents”, cioè i rappresentanti che sono in carica. Questo dato può infatti dare a chi debba effettuare il redistricting ben due vantaggi: «first, districts can

be redrawn so an incumbent’s residence (her “shack”) is in a district that no longer contains her current constituents. This deprives an incumbent of the advantages of familiarity. Far more damaging to an incumbent’s chances, however, is redrawing the lines to place the residences of two incumbents in the same district, thereby forcing at least one of them out of office»74. E tuttavia, per quanto la fase più esposta al gerrymandering rimanga quella del redistricting, non si può fare a meno di citare una delle tecniche maggiormente utilizzate, che ha luogo durante il procedimento di reapportionment: il

malapportionment, anche detto “silent gerrymander”75, con cui ci si

riferisce alla «semplice non proporzionalità dei collegi ai rispettivi

73 Ivi, p. 1552.

74 Issacharoff S. e Karlan P. S., Where to Draw the Line: Judicial Review of Political

Gerrymanders, University of Pennsylvania Law Review, vol. 153, p. 552.

75 Leroy C. H., Considering the Gerrymander, Pepperdine Law Review, vol 4, n. 2,

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35

elettori che li compongono»76. La particolarità di questo metodo, invero, sta nel fatto che il gerrymandering viene messo in atto senza dover aspettare di ricorrere al redistricting; semplicemente, «it is

achieved by corralling opposition voters into overpopulated districts while placing those of the party in power into underpopulated districts»77.

2. Tipologie di gerrymandering

Rimane a questo punto da approfondire quali sono le varie tipologie attraverso cui il fenomeno del gerrymandering può prendere forma. La più evidente ripartizione che spicca in questo contesto è sicuramente quella tra political e racial gerrymandering, che, così come suggeriscono gli aggettivi impiegati, dipende dall’accezione politico-partitica della prima forma e dalla qualificazione etnico-razziale della seconda. Come vedremo nel quarto capitolo, la diversità degli oggetti delle rispettive operazioni di gerrymandering – cioè i partiti da un lato e le minoranze etniche dall’altro – ha contribuito a far intraprendere a queste due categorie percorsi giurisprudenziali nettamente separati, che si concretizzano proprio nei due principali filoni che la Corte Suprema ha elaborato sull’argomento. Nonostante tale separazione appaia quindi piuttosto decisa, è però importante sottolineare come entrambe le tipologie abbiano in comune la produzione di un effetto palesemente antidemocratico; nello specifico, «gerrymandering can subvert the democratic process when politicians

select voters; and voters do not elect politicians»78. In altre parole,

76 Bognetti G., Malapportionment. Ideale democratico e potere giudiziario

nell’evoluzione costituzionale degli Stati Uniti, Milano, Giuffrè Editore (1966), p.

37.

77 Anderson D. L., When Restraint Requires Activism: Partisan Gerrymandering and

the Status Quo Ante, cit., pp. 1554-1555.

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