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(1)

PER SAPERNE DI PI `

U

Massa

Mass

Alessandro Bettini ()

Dipartimento di Fisica e Astronomia “G. Galilei”, Universit`a di Padova e INFN - Sezione di Padova, Padova, Italia

Riassunto. Il concetto di massa in fisica, come lo comprendiamo oggi, `e nato solo da tre secoli e mezzo con i Principia di Newton. Gi`a Galilei per`o aveva dimo-strato che la velocit`a di caduta dei corpi `e indipendente dalla loro costituzione, stabilendo, in parole moderne, l’equivalenza tra massa gravitazionale ed inerziale. Partiremo quindi da qui, per continuare, appunto, con Newton, di cui metter`o in evidenza l’eccellenza di sperimentatore. Proporr`o anche un’ipotesi su come po-trebbe aver sviluppato un “qualche calcolo” di cui non ci dice. Analizzeremo come il concetto di massa si sia precisato nella relativit`a, speciale e generale, e come d’altro canto rimangano ancora oggi nella letteratura termini arcaici sorti nel pe-riodo di formazione della teoria. Vedremo come nelle teorie quantistiche di campo la massa abbia origine. Concluderemo con la recente ridefinizione dell’unit`a di misura.

Abstract. The concept of mass in physics, as we conceive it today, was born only three and a half centuries ago with Newton’s Principia. Already Galilei, however, had established that the free fall speed is independent of the constitution of the body, namely what we now call equivalence of the inertial and gravitational mass. We shall then start from here, continuing with Newton, of which I shall highlight the experimental excellence. I shall also propose a possible way he might have followed in “some calculation” he does not tells us about. We shall analyze how the concept of mass became more precise in the special and general relativity theories, and how, on the other side, still exist in the literature archaic terms born in the development phases of the theory. We shall then go to the origin of the mass in quantum field theories. I shall conclude with the recent redefinition of the measurement unit.

1. Introduzione

In questa rubrica, si propongono le storie di parole della fisica, e dei concetti che esse esprimono. Guardare alla loro evoluzione nel tempo e leggere direttamente qualche esempio di quello che scrissero i nostri predecessori `e affascinante, ed `e utile

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per approfondire quanto sappiamo [1]. Il concetto di massa `e uno dei principali della fisica, correlato con quelli di energia, momento (quantit`a di moto) e di forza. Su di esso si sono scritte probabilmente migliaia di pagine. Qui cercher`o di proporre alcuni aspetti della sua storia.

La parola massa nasce con i Principia di Newton, assieme alla formalizzazione delle leggi della meccanica, che in buona parte aveva gi`a scoperto Galilei. Tra que-ste c’`e, in linguaggio moderno, l’equivalenza tra massa gravitazionale ed inerziale, o principio di equivalenza (sez. 2). Quest’ultimo termine fu introdotto solo nel secolo XX durante lo sviluppo della teoria della relativit`a generale (sez. 3). Oltre che teorico eccelso, Newton fu anche un grande fisico sperimentale, come vedremo nella sez. 4 in relazione all’unicit`a della caduta libera. Vedremo nella sez. 5 e 6 come il concetto di massa si precisi esattamente nella relativit`a speciale, ma come anche si siano nel pe-riodo del suo sviluppo introdotti concetti imprecisi e anche errati. Alcuni purtroppo non sono scomparsi e contribuiscono a fare apparire difficile una teoria che `e, nella sostanza, molto semplice da comprendere. Nella sez. 7 si vedr`a come nella teoria relativistica del campo gravitazionale, la relativit`a generale, scompaia il concetto di massa gravitazionale; sorgente e ricettore dell’interazione `e il tensore energia momen-to. Nella sez. 8 discuteremo il meccanismo di Brout, Englert e Higgs che d`a origine alla massa sia dei bosoni vettori mediatori dell’interazione debole, sia dei quark e dei leptoni carichi. Infine, nella sez. 9 si vedr`a brevemente la storia dell’unit`a di misura della massa, il chilo, e come esso sia stato radicalmente ridefinito nel 2018, assieme alle altre unit`a di base.

2. Non domando il nome, ma l’essenza della cosa

In tutto il medioevo e sino a Galilei la “fisica” del moto dei corpi fu, sia pure con rielaborazioni e sviluppi, sostanzialmente quella di Aristotele. Le categorie della gravit`a e della levit`a, sinonimi di pesantezza e leggerezza, erano qualit`a dei corpi, come il colore. E i corpi, se lasciati liberi di farlo, seguivano il loro “desiderio” di muoversi verso il loro luogo “naturale”, in gi`u verso il centro del mondo, cio`e della Terra, se gravi, in su verso l’orbita della Luna se lievi. La velocit`a verso il basso dei gravi `e tanto maggiore quanto pi`u essi pesano, cio`e quanta pi`u `e la gravit`a che posseggono.

Una delle grandi scoperte di Galilei fu che invece l’accelerazione di caduta `e la stessa per tutti i corpi, di qualsiasi cosa siano fatti, nei limiti in cui si pu`o trascurare la resistenza dell’aria. In linguaggio moderno diciamo che massa gravitazionale e massa inerziale sono uguali (scegliendo opportunamente le unit`a di misura), mg= mi.

Dobbiamo per`o ricordare che in Galilei questi concetti non sono ancora definiti. Quando usa la parola massa le d`a il significato del linguaggio comune, una quantit`a di roba, mai per indicare quello che intendiamo oggi in fisica. Quando discute di oggetti che, diremmo noi, han masse diverse pensa al loro diverso peso, o alla loro diversa gravit`a. Anche il concetto di forza non `e ancora ben definito, n´e lo sar`a completamente neppure in Newton. Galilei sa benissimo di non sapere cosa sia la gravit`a, ma sa che

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`

e la causa dell’accelerazione verso il basso dei corpi sulla Terra —la legge del moto accelerato `e un’altra sua scoperta— e, anticipando l’idea della sua universalit`a, anche del moto dei pianeti. Ne dice Salviati a Simplicio nel Dialogo:

SALV. . . . Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muover la Terra `e una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, . . . ; e se egli mi assicurer`a chi sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra. Ma pi`u, io voglio far l’istesso s’ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in gi`u.

SIMP. La causa di quest’effetto `e notissima, e ciaschedun sa che `e la gravit`a. SALV. Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch’ella si chiama gravit`a. Ma io non vi domando del nome, ma dell’essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto pi`u di quello che voi sappiate dell’essenza del movente le stelle in giro, eccettuatone il nome [2].

La leggenda vuole che il giovane Galilei avesse lasciato cadere due palle, una pi`u pesante e una pi`u leggera, dall’alto della torre di Pisa, mostrando agli studenti e ai colleghi stupefatti che arrivavano al suolo contemporaneamente. Ne scrive Vincenzo Viviani, il suo allievo pi`u vicino, nel suo Racconto istorico della vita del Sig.r Galileo Galilei scritto nel 1654. Ci dice come egli fosse gi`a giunto a provare “per mezzo d’esperienze e di salde dimostrazioni e discorsi ” la falsit`a “di moltissime conclusioni dell’istesso Aristotele intorno alla materia del moto, sin a quel tempo state tenute per chiarissime et indubitabili ”, narrandoci come avesse mostrato

che le velocit`a de’ mobili dell’istessa materia, disegualmente gravi, movendosi per un istesso mezzo, non conservano altrimenti la proporzione delle gravit`a loro, assegnatagli da Aristotele, anzi che si muovon tutti con pari velocit`a, dimostrando ci`o con replicate esperienze, fatte dall’altezza del Campanile di Pisa con l’intervento delli altri lettori e filosofi e di tutta la scolaresca [3]. Questo storia viene spesso raccontata, ma `e presumibile che non corrisponda al ve-ro. Viviani adorava il Maestro e a volte, narrandone, fu portato ad esagerare. Qui sembra lo abbia fatto, non solo perch´e `e difficile pensare che Galilei allora giovane professore, 25 anni o poco pi`u, riuscisse a radunare colleghi e studenti in massa, ma, soprattutto perch´e il moto di caduta libera `e troppo veloce perch´e lo si possa studiare sperimentalmente con precisione. Se mai Galilei fece la prova, dovette convincersi che doveva trovare metodi pi`u accurati.

Galilei fece la gran parte delle sue scoperte nel periodo padovano, dal 1592 al 1610. Provando trov`o che lo studio sperimentalmente accurato del moto sotto l’azione del peso richiedeva di rallentarlo in modo che i tempi da misurare fossero abbastanza lunghi. In aggiunta, le resistenze passive, attriti e resistenza dell’aria, si dovevano ridurre quanto possibile. Molti anni dopo scriver`a nelle Nuove scienze:

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L’esperienza fatta con due mobili quanto pi`u si possa differenti di peso, col fargli scendere da un’altezza per osservar se la velocit`a loro sia eguale, patisce qualche difficolt`a: imper`o che se l’altezza sar`a grande, il mezzo, che dall’im-peto del cadente deve esser aperto e lateralmente spinto, di molto maggior pregiudizio sar`a al piccol momento del mobile leggierissimo che alla violenza del gravissimo, per lo che per lungo spazio il leggiero rimarr`a indietro; e nel-l’altezza piccola si potrebbe dubitare se veramente non vi fusse differenza, o pur se ve ne fusse, ma inosservabile. E per`o sono andato pensando di reiterar tante volte la scesa da piccole altezze, ed accumulare insieme tante di quelle minime differenze di tempo, che potessero intercedere tra l’arrivo al termine del grave e l’arrivo del leggiero, che cos`ı congiunte facessero un tempo non solo osservabile, ma grandemente osservabile [4].

E trov`o un metodo accuratissimo, usare pendoli, e non solo dello stesso materiale e peso diverso, ma anche di materie diverse. In linguaggio moderno, se uguagliamo la risultante delle forze agenti sulla pallina, peso mgg e tensione del filo, al prodotto di

massa inerziale e accelerazione, mia, cio`e non poniamo a priori che le due masse siano

uguali, e procediamo con una delle usuali dimostrazioni, troviamo che il periodo `e dato da (1) T = 2π  mil mgg ,

dove l `e la distanza tra punto di sospensione e baricentro. Se quindi il rapporto mi/mg `e diverso per pendoli di materiali diversi, diversi saranno anche i periodi.

Il vantaggio `e che il moto del pendolo `e periodico, si ripete cio`e uguale a se stesso molte e molte volte. Quindi possiamo scostare dall’equilibrio i due pendoli, lasciarli andare contemporaneamente e osservare se rimangono o meno in fase per centinaia di oscillazioni, in modo da apprezzare, se ci fosse, la minima differenza. `E pur vero che la resistenza dell’aria fa gradualmente diminuire l’ampiezza delle oscillazioni del pendolo leggero pi`u di quelle del pendolo pesante, ma Galilei aveva anche scoperto che i periodi dei pendoli sono indipendenti dall’ampiezza e quindi questo fatto `e irrilevante, almeno per oscillazioni non troppo ampie. Leggiamo ancora:

ho preso due palle, una di piombo ed una di sughero, quella ben pi`u di cento volte pi`u grave di questa, e ciascheduna di loro ho attaccata a due sottili spaghetti eguali, lunghi quattro o cinque braccia, legati ad alto; allontanata poi l’una e l’altra palla dallo stato perpendicolare, gli ho dato l’andare nell’istesso momento, ed esse, scendendo per le circonferenze de’ cerchi descritti da gli spaghi eguali, lor semidiametri, passate oltre al perpendicolo, son poi per le medesime strade ritornate indietro; e reiterando ben cento volte per lor medesime le andate e le tornate, hanno sensatamente mostrato, come la grave va talmente sotto il tempo della leggiera, che n´e in ben cento vibrazioni, n´e in mille, anticipa il tempo d’un minimo momento, ma camminano con passo

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egualissimo. Scorgesi anco l’operazione del mezzo, il quale, arrecando qualche impedimento al moto, assai pi`u diminuisce le vibrazioni del sughero che quelle del piombo, ma non per`o che le renda pi`u o men frequenti [4].

Da quanto dice, si ricava che Galilei stabil`ı che mi/mg= 1 a meglio del per mille. Se

si prova a rifare l’esperimento, il problema maggiore sta nel fare esattamente uguali, a meglio del per mille, le distanze tra punto di sospensione e baricentro.

3. Massa gravitazionale e massa inerziale

La scoperta di Galilei fu confermata da Newton e successivamente da esperimen-ti di precisione crescente sino ai nostri giorni, in considerazione della sua enorme importanza. Conviene richiamare alcune definizioni, come le formuliamo oggi.

La meccanica di Galilei e Newton descrive esattamente tutti gli esperimenti non solo fatti da loro, ma anche dai loro successori sino al XX secolo. Le correzioni relativistiche erano infatti estremamente piccole per le velocit`a (v/c 1) e i potenziali gravitazionali (φ/c2  1) coinvolti. I termini massa gravitazionale, massa inerziale

e principio di equivalenza nacquero solo nel XX secolo quando si svilupparono la relativit`a speciale e, soprattutto, quella generale.

L’affermazione che l’accelerazione di un corpo di prova soggetto solo all’interazione gravitazionale `e indipendente dalla sua massa, composizione e struttura, cio`e l’unicit`a della caduta libera, viene oggi chiamata principio di equivalenza di Galilei o principio di equivalenza debole (WEP: week equivalence principle). Esistono infatti altre forme del principio, forte, molto forte, che sono rilevanti per la relativit`a generale e altre teorie del campo gravitazionale, ampiamente discusse in letteratura. Ricordo solo quanto serve qui.

La massa che compare nella seconda legge di Newton `e quella che chiamiamo, quando serve distinguere, massa inerziale

(2) F = mia .

Le masse che compaiono nell’espressione della forza gravitazionale di Newton sono chiamate masse gravitazionali. La forza agente sul corpo puntiforme di massa mg

dovuta al corpo puntiforme di massa Mg nella posizione r rispetto ad esso `e

(3) F =−GmgMg

r2 ur,

dove G `e la costante gravitazionale e ur`e il versore di r.

4. Un grande fisico sperimentale

Come Galilei, e come gli altri pi`u grandi fisici, Maxwell e Fermi, Newton eccelse sia come teorico sia come sperimentale, come ora vedremo.

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I Principia si aprono con otto definizioni, la prima delle quali riguarda la massa. Ed `e la prima volta che il termine appare nel suo significato gi`a notevolmente preciso, che sar`a poi sviluppato nella storia. In realt`a la parola non appare nella definizione stessa, dove Newton usa il termine quantit`a di materia, ma nel commento che fa seguire. La famosissima definizione dice:

Quantitas Materiæ est mensura ejusdem orta ex illius Densitate & Magnitudine conjunctim.

Cio`e, traducendo:

La quantit`a di materia `e una misura della medesima che origina dalla densit`a e dal volume congiuntamente.

Conviene leggere subito il commento.

Cos`ı [una quantit`a di] aria di densit`a doppia che occupi uno spazio doppio `e quadrupla. Lo stesso si capisce per neve o polveri che siano condensate per compressione o liquefatte. E pari `e per tutti i corpi che per qualsiasi causa condensino in modi diversi. Non tengo qui in considerazione il mezzo, che eventualmente ci fosse, che liberamente pervade gli interstizi tra le parti dei corpi. `E questa quantit`a che nel seguito intender`o con corpo o massa. E lo stesso `e noto per il peso di ciascun corpo. Infatti ho dimostrato che [la quantit`a di materia] `e proporzionale al peso a mezzo di esperimenti con pendoli fatti in maniera accuratissima, dei quali diremo pi`u avanti.

Si noti che Newton usa massa e corpo come sinonimi. Questi passaggi meritano alcune altre osservazioni. Qui egli abbandona il peso come misura della quantit`a di materia. Egli sapeva dei risultati di Jean Richer e di Edmund Halley. Il primo aveva trovato, con sua sorpresa, nel 1671, che il pendolo che aveva accuratamente calibrato a battere il secondo a Parigi, non lo faceva pi`u Caienna, Guiana francese, dove si era recato per misurare con precisione la parallasse di Marte; e dovette accorciarlo. E la stessa cosa accadde a Halley quando si spost`o da Londra a Sant’Elena nel 1686 per osservazioni astronomiche nell’emisfero australe, e che ne scrisse a Newton [5]. E sar`a Newton stesso a spiegare la ragione, nel Libro III dei Principia, della dipendenza del peso di un corpo dalla latitudine come causata dalla non sfericit`a della Terra.

Inoltre egli ben conosceva gli esperimenti sulla compressione dei gas di Robert Boy-le e Robert Hooke, i suoi maestri nella fisica sperimentaBoy-le. Sapeva quindi che si pu`o cambiare il volume di una certa “massa” comprimendola o espandendola, senza che la quantit`a di materia vari, dipendendo essa da “densit`a e volume congiuntamente”. La definizione fu criticata, da Ernest Mach [6] e altri, in quanto circolare. Se la densit`a `e definita come massa per unit`a di volume `e circolare definire la massa come prodotto di densit`a e volume. Al di l`a del fatto che Newton non definisce mai la densit`a nei Principa, la critica `e solo pedantesca. Infatti, le definizioni in fisica

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sono date sempre per approssimazioni successive, e non pu`o essere diversamente. Per sapere esattamente cos’`e la massa devo conoscere sperimentalmente le leggi del moto nelle pi`u diverse circostanze. Ma per fare gli esperimenti per stabilirlo devo avere definizioni, sia pure non del tutto precise, di massa, forza, quantit`a di moto, ecc.

In realt`a Newton d`a qui, in retrospettiva, una definizione operativa di massa, dove ho usato il concetto moderno di operazionismo [7]. Si sapeva infatti come misurare il volume di un corpo e come misurarne il peso specifico, come fece Archimede per controllare se la corona di Gerone fosse realmente fatta d’oro. A differenza di Mach, e di altri critici pedanti, Newton era un fisico vero. Si noti in proposito, che qui misuriamo il peso della corona e quello dell’acqua spostata, e determiniamo quindi la massa gravitazionale, non quella inerziale. Evidentemente Newton considera i due concetti sovrapponibili.

Mach si spinse oltre e propose, nella sostanza, di usare la seconda legge per definire il rapporto tra le masse di due corpi come l’inverso di quello delle loro accelerazioni quando soggetti alla stessa forza. E, purtroppo, questo approccio si trova in parecchi libri di testo americani, anche tradotti in italiano. Un difetto della definizione `e il non essere operazionale, di non poter cio`e essere messa in pratica, e di aver quindi poco “senso fisico”. Il secondo, pi`u grave, `e che induce lo studente a pensare che la massa sia la costante di proporzionalit`a tra forza e accelerazione, il che `e falso a velocit`a relativistiche. E quando si arriva a parlarne bisogna faticare a sradicare il concetto sbagliato. La definizione di Newton, al contrario, rimane valida anche ad alte velocit`a pur di precisare che la materia, di cui la massa `e la quantit`a, non `e fatta solo delle masse dei costituenti, ma anche, anzi come vedremo soprattutto, delle loro energie.

Venendo ora a Newton fisico sperimentale, vale la pena di accennare al fatto che l’esperimento che Galilei avrebbe fatto dalla torre di Pisa, lui lo fece realmente, ma per studiare proprio la forza che disturba il moto di caduta libera, cio`e la resistenza dell’aria. L’esperimento `e descritto nel Libro II dei Principia, che `e dedicato al moto nei fluidi, come Experimentum XIII. Lo fece nel 1711 quando un’altezza di caduta verticale di 67 m, facilmente accessibile e al riparo da venti, divenne disponibile sa-lendo la bella scala a chiocciola che conduce alla cima della cupola della cattedrale di Saint Paul a Londra. L’antica cattedrale era stata distrutta dal grande incendio del 1666 e solo da poco Christopher Wren aveva ultimato la costruzione che oggi ve-diamo. Newton misur`o i tempi di caduta di due sfere di vetro contenenti una aria e una mercurio lasciate cadere contemporaneamente ruotando una tavola su cui erano appoggiate. Leggendolo si vede come siano state necessarie importanti correzioni sui brevissimi tempi di caduta, pari a 342 in assenza di resistenza.

Ma veniamo alle sue verifiche dell’equivalenza massa gravitazionale e inerziale. Ce le dice nella Proposizione VI del Libro III, titolato anche De mundi systemate.

`

E stato, ora da lungo tempo, osservato da altri, che tutti i corpi pesanti (una volta che si tenga conto delle differenze di ritardo delle quali soffrono per la minuscola resistenza dell’aria) discendono a terra [da altezze uguali] in tempi uguali; e che possiamo stabilire accuratissimamente l’uguaglianza dei tempi con pendoli. Io ho provato la cosa con oro, argento, piombo, vetro, sabbia,

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sale comune, legno, e farina. Confrontavo due recipienti di legno, rotondi e uguali. Ne riempii uno di legno e sospesi un peso uguale di oro con lo stesso centro di oscillazione del primo (quanto precisamente riuscii). I recipienti, appesi a fili uguali di 11 piedi, formavano pendoli perfettamente uguali in peso e figura, e ricevevano ugualmente la resistenza dell’aria. Ed essi con le medesime oscillazioni, appaiati, andavano e tornavano per tempi lunghissimi. E quindi la quantit`a di materia [copia materiae] nell’oro stava alla quantit`a di materia nel legno come l’azione della forza motrice su tutto l’oro sta a quella su tutto il legno; cio`e come il peso dell’uno sta al peso dell’altro: e lo stesso in tutti i casi. In questi esperimenti si sarebbe potuta osservare manifestamente anche una differenza di materia in corpi dello stesso peso di meno della millesima parte del tutto.

Sin qui, Newton ha semplicemente confermato la scoperta di Galilei con una simile accuratezza. Ma, avendo egli scoperto la legge della gravitazione, poteva andare oltre e provare se l’equivalenza delle masse fosse valida anche fuori dalla Terra. Lo fece nel sistema gioviano. Questo, da un lato `e una piccola replica del Sistema Solare, dall’altro `

e parte di questo pi`u grande sistema di masse. Egli parte dalla considerazione che le osservazioni avevano dimostrato che i moti dei satelliti del pianeta sono massimamente regolari. I raggi delle orbite attorno a Giove e i periodi erano stati misurati con grande precisione. E i periodi erano risultati esattamente proporzionali alla potenza 3/2 dei raggi. Ne seguiva, conclude, che la forza esercitata da Giove sui suoi satelliti `e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Nel passo che segue a quanto sopra `e geniale.

Inoltre, dato che i satelliti di Giove eseguono le loro rivoluzioni in tempi pro-porzionali alla potenza 3/2 della loro distanza dal centro di Giove, le loro accelerazioni di gravit`a verso Giove saranno reciprocamente come i quadrati delle loro distanze dal centro di Giove. E quindi, questi satelliti, se si suppone cadessero verso Giove da uguali altezze, descriverebbero spazi uguali in tempi uguali, nello stesso modo che fanno i corpi qui sulla nostra Terra. E, per lo stesso argomento, se i pianeti circumsolari si supponessero cadere da distanze uguali dal Sole, essi coprirebbero, nelle loro cadute verso il Sole, spazi uguali in tempi uguali. Ma forze che accelerano egualmente corpi disuguali stanno come quei corpi [nel senso di masse]: cio`e i pesi dei pianeti verso il Sole stanno come le loro quantit`a di materia. Inoltre l’essere i pesi di Giove e dei suoi satelliti verso il Sole proporzionali alle quantit`a della loro materia appare dal moto massimamente regolare dei satelliti. Perch´e, se qualcuno di questi corpi fosse attratto dal Sole maggiormente che in proporzione della sua massa di altri, il moto dei satelliti sarebbe disturbato da questa diseguaglianza di attrazione. Se, alla stessa distanza dal Sole, un satellite, in proporzione alla quantit`a della sua materia, gravitasse verso il Sole in ragione della sua quantit`a di materia maggiormente di Giove in ragione della quantit`a di materia di quest’ultimo, in qualche data proporzione, mettiamo di d ed e; allora la distanza tra i centri

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del Sole e dell’orbita del satellite sarebbe sempre maggiore della distanza tra i centri del Sole e di Giove come la radice quadrata di quella proporzione, approssimativamente: come ho trovato con qualche calcolo. E se il satellite gravitasse verso il Sole di meno, in quella proporzione di d a e, allora la di-stanza del centro dell’orbita del satellite dal Sole sarebbe minore della didi-stanza del centro di Giove dal Sole come l’inverso della radice quadrata della stessa proporzione.

Coloro che hanno letto questo passaggio si sono negli anni domandati quale potesse essere stato il “qualche calcolo” col quale Newton arriv`o al risultato, senza dircelo. Il problema dell’orbita di un satellite `e un problema di tre corpi, dato che esso si muove sotto l’azione del Sole e di Giove. Certamente, Newton aveva dimostrato magnifici teoremi e sviluppato potenti metodi di calcolo approssimato per studiare il problema. Sono esposti nel Libro I dei Principia e usati nel Libro III per lo studio, tra gli altri, del moto pi`u difficile, quello della Luna. S. Chandrasekhar propone come Newton avrebbe potuto svolgere il suo “certo calcolo” in Newton’s Principia for the Common Reader [8]. `E un libro molto bello, anche se il suo lettore comune deve avere una robusta preparazione matematica. Tuttavia, il risultato, ovviamente approssimato, che Chandrasekhar ottiene `e vicino, ma non uguale a quello di Newton. Io propongo un approccio molto pi`u semplice, questo s`ı accessibile ad un lettore comune, che fornisce esattamente lo stesso risultato di Newton [9].

Siano Mg e Mi le masse gravitazionale ed inerziale di Giove, rispettivamente e mg

e mi quelle di un satellite, diciamo Callisto. Sia R la distanza del centro di Giove dal

centro del Sole. Supponiamo ora che il rapporto tra massa gravitazionale ed inerziale sia un po’ diverso per Giove e per Callisto. Diciamo

(4) mg

mi

Mg

Mi

= ε,

dove ε `e un numero piccolo. La conseguenza sarebbe che l’orbita di Callisto attorno a Giove non sarebbe esattamente circolare, ma un po’ stirata nella direzione del Sole. Non ci serve saperne esattamente la forma, perch´e quello che `e rilevante nell’argomento di Newton `e la posizione del suo centro, diciamolo C. Newton infatti parla della di-stanza tra i centri del Sole e dell’orbita del satellite. Indichiamo questa didi-stanza con r. Considerando ora che il periodo di Callisto `e circa il quattro per mille di quello di Giove, vediamo che la posizione media di Callisto, diciamo il “Callisto medio”, relativa a Giove, mediata su di un periodo del satellite, coincide approssimativamente col centro della sua orbita. Con ottima approssimazione possiamo anche pensare che il centro di massa del sistema Giove-Callisto coincida con quello di Giove (la massa di Callisto `e 5× 10−5 di quella di Giove). Infine, `e chiaro che la forza gravitazionale tra Giove e Callisto `e in buona approssimazione irrilevante per il moto di Giove e del punto C attorno al Sole.

Indichiamo con δ = r−R la differenza tra la distanza dal Sole del centro dell’orbita di Callisto e del centro di Giove. A seconda del segno di δ, il Callisto medio `e

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pi`u lontano o pi`u vicino dal Sole di questa quantit`a. Newton dice che, nella nostra notazione (5) R + δ R = 1 + ε∼ 1 +ε 2.

Prendiamo per concretezza il caso che sia ε > 0. Se le distanze dal Sole di Giove e di Callisto medio fossero uguali, il Sole attrarrebbe il Callisto medio pi`u di Giove di ε per unit`a di massa. Se per`o C `e pi`u lontano dal Sole di Giove di δ, l’attrazione del Sole su Callisto medio sarebbe minore in ragione del corrispondente diminuzione del fattore pari all’inverso del quadrato della distanza nella forza di Newton. Ricordando che differenziando rispetto a x abbiamo dx−2/x2=−2dx/x, abbiamo che il cambiamento

relativo della forza `e−2δ/R. `E chiaro che i due effetti si compensano l’un l’altro se −2δ/R + ε = 0. E questo `e esattamente il risultato (5) di Newton. I calcolo di Chandrasekhar d`a 9/4 invece di 2, il che indica che Newton potrebbe aver seguito la strada qui proposta.

Newton continua considerando, come esempio rilevante, che sia ε = 10−3. Quindi se, ad uguali distanze dal sole, l’accelerazione di gravit`a di qualsiasi satellite verso il Sole fosse maggiore o minore di quella di Giove verso il Sole della millesima parte di tutta la gravit`a, allora la distanza del centro dell’orbita del satellite dal Sole sarebbe maggiore o minore della distanza di Giove dal Sole della 1/2000 parte di tutta la distanza; cio`e, della quinta parte della distanza del satellite pi`u esterno dal centro di Giove. Sarebbe un’eccentricit`a dell’orbita molto sensibile. Ma le orbite dei satelliti sono concentriche in Giove, e quindi le accelerazioni di gravit`a di Giove e dei suoi satelliti verso il Sole sono tra di loro uguali.

Infatti, la distanza media di Giove dal Sole `e di 7.8× 1011m, che, divisa per 2000 d`a

3.9×108m, che `e circa 1/5 della distanza di Callisto da Giove che `e pari a 1.9×109m.

Newton menzion`o la situazione analoga per il sistema di Saturno e i suoi satelliti. Per il sistema Terra-Luna dedusse che le cose non dovevano cambiare, ma non aveva i mezzi per verificarlo. Si sarebbero dovuti attendere due secoli. La proposta, analoga al test di Newton, fu fatta da Nordtwedt [10] nel 1968, quando sulla Luna gli uomini stavano per andarci. Si trattava di determinare con precisione le posizioni della Luna lungo la sua orbita misurando il tempo di andata e ritorno di un impulso Laser. Una violazione del principio di equivalenza (in forma forte) risulterebbe in una polarizza-zione anomala dell’orbita della Luna (analogamente a quella di Callisto in Newton) con periodo di 29.95 d (il periodo sinodico della Luna) con ampiezza proporzionale alla violazione.

L’esperimento specifico fu proposto da C. O. Alley et al. nel 1965 [11], seguendo le idee originali di R. Dicke e J. Faller. Quattro anni dopo divenne possibile quando, il 20 luglio 1969, gli astronauti Buzz Aldrin e Neil Armstrong sbarcarono sulla Luna. Uno dei loro compiti fu depositarvi un retro riflettore (Lunar Ranging Retro Reflector, LR3). LR3 `e una matrice di 100 spigoli di cubi di silicio. Un fascio di luce che

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entri nel vetro da una delle facce attorno allo spigolo, viene riflesso internamente su due o tre di esse, a seconda del caso, e torna indietro esattamente nella direzione di arrivo. I cubi hanno un’apertura circolare di 3.8 cm di diametro, scelta per produrre con i loro lobi di diffrazione una macchia di circa 7 km a Terra. Questa `e sufficiente per coprire gli effetti dell’aberrazione della velocit`a, che sposta il centro del cerchio illuminato dalla luce di ritorno di 1.5–2 km. L’esperimento, che continua a prender dati, fu originalmente all’osservatorio Lick [12].

Quattro delle successive missioni lunari depositarono altri riflettori, due USA e due URSS, non era necessario infatti andarci con uomini. Il tempo di andata e ritorno dell’impulso di luce `e di 2.5 s. Viene misurato con precisione di una frazione di nanosecondo, corrispondente ad accuratezza nella distanza di meglio di 15 cm. Un’analisi di J. C. Williams [13] dei dati raccolti negli anni conduce al limite superiore per la differenza tra rapporti di masse gravitazionali della Terra e della Luna (il test di Newton possiamo dire) (mg/mi)T− (mg/mi)L= (−0.8 ± 1.3) × 10−13.

5. La relativit`a e la banda dei quattro

Facciamo ora un salto in avanti di qualche secolo ed esaminiamo il concetto di massa quando le velocit`a in gioco diventano confrontabili con quella della luce, come avviene per i raggi cosmici o i protoni ed elettroni che circolano negli acceleratori di alta energia. Con la teoria della relativit`a il concetto di massa diviene preciso. Nelle fasi iniziali dello sviluppo della teoria per`o, furono avanzate ipotesi provvisorie a volte anche errate. Ci`o accade spesso quando si percorrono vie nuove, e in genere questi concetti vengono poi abbandonati, ma ci`o non `e sfortunatamente del tutto accaduto per la relativit`a.

Il 1905 `e universalmente noto come l’anno della nascita della teoria, perch´e in quell’anno quattro articoli molto importanti furono completati, due di Henri Poin-car´e, il 5 giugno [14] e il 23 luglio [15], e due di Albert Einstein, il 30 giugno [16] e il 27 settembre [17]. In realt`a, molto lavoro teorico, soprattutto da Hendrik An-toon Lorentz, e sperimentale era gi`a stato fatto a cominciare dagli ultimi decenni del secolo precedente, e, d’altra parte, diversi importanti aspetti sarebbero stati svi-luppati negli anni successivi. Nel 1905 furono stabilite sia la cinematica (Poincar´e e Einstein), come ben noto, sia, come spesso ignorato, la geometria e la metrica pseudo-euclidea dello spazio-tempo, da parte di Poincar´e (il nome “spazio-tempo” fu coniato nel 1908 [18] da Minkowski, che ne riprese e svilupp`o il formalismo). Rimanevano ancora da comprendere pienamente i concetti correlati di massa, energia e quantit`a di moto.

Oggi sappiamo che la massa m di un corpo, sia che sia diversa da zero sia che sia nulla come per il fotone, e sia che il corpo sia microscopico che macroscopico, si definisce per il corpo libero in termini della sua energia E e momento (o quantit`a di moto) p. La massa `e una grandezza Lorentz-invariante, essendo la radice quadrata della norma del quadrivettore energia-momento (p, iE/c),

(12)

La seconda propriet`a fondamentale `e la relazione tra momento e velocit`a

(7) p = E

c2v.

Nel caso di massa non nulla (m= 0), la si pu`o scrivere anche come

(8) p = mγv, dove (9) β = v c γ = 1/  1− β2.

Storicamente, fu, a mia conoscenza, solo dopo la seconda guerra mondiale, con i magnifici trattati di Lev Davidoviˇc Landau e Evegenij Michajloviˇc Lifshitz [19] che la definizione corretta di massa, equazione (6), cominci`o ad essere gradualmente stabilita.

Conviene anche richiamare che la legge del moto, la generalizzazione della seconda legge di Newton, si trova subito derivando l’equazione (8)

(10) F = mγa + mγ3(a· β)β,

dove i due addendi vengono ovviamente dalla derivazione del prodotto in cui variano nel tempo sia la velocit`a sia il “fattore di Lorentz” γ che da essa dipende. Forza e accelerazione quindi, non sono n´e proporzionali tra loro n´e, in generale, hanno la stessa direzione. La massa non `e l’inerzia al moto. Forza e accelerazione hanno la stessa direzione solo nei casi particolari che la forza sia parallela o sia perpendicolare alla velocit`a, ma con costanti di proporzionalit`a diverse, mγ3 e mγ rispettivamente.

Tornando alla storia, posso qui solo accennare alla tumultuosa evoluzione della fisica che precedette il 1905, e al formarsi dei concetti pre-relativistici di massa, limi-tandomi a ricordare le date dei principali lavori. Nel 1881, J. J. Thomson [20] avanz`o per la prima volta l’ipotesi di equivalenza tra la massa dell’elettrone, immaginato come una sferetta carica, e l’energia del suo campo elettrico. Egli stesso, nel 1897 sta-bil`ı con una serie di esperimenti [21] che i raggi catodici sono costituiti da corpuscoli carichi, piuttosto che essere radiazione analoga ai raggi X (che erano stati scoperti da Roentgen due anni prima), o “vortici nell’etere” come proponeva qualcuno. Era la scoperta che l’elettrone `e una particella.

Nel 1896, Becquerel scopr`ı la radioattivit`a dell’uranio e due anni dopo i Curie scoprivano il radio. Nel 1899, Rutherford classific`o sperimentalmente tre tipi di ra-dioattivit`a, α, β e γ, di potere penetrante crescente. Nel 1900 [22], Becquerel stesso iniziava a studiare la radiazione β, trovando che le particelle che la costituiscono ave-vano velocit`a altissime, dell’ordine dei 108m/s. Divenivano cos`ı accessibili all’indagine

corpi di velocit`a prossime a quelle della luce. Studiarne il moto sotto l’azione delle forze elettriche e magnetiche che vi si potevano applicare richiese sviluppi delle tecni-che sperimentali. Walter Kaufmann riusc`ı a migliorare notevolmente il vuoto e lavor`o

(13)

deflettendo le particelle in un campo elettrico e in un campo magnetico. Applicando la seconda legge di Newton in cui la massa `e il rapporto tra forza e accelerazione, la deflessione elettrica determinava mv, quella magnetica mv2e Kaufmann poteva

rica-varne la massa m. Gi`a nel 1901 [23], con sorpresa trov`o che la “massa” cresceva con la velocit`a. Col senno di poi, quello che variava non era la massa, ma il prodotto βγ. Il risultato conferm`o l’idea che la massa dell’elettrone potesse essere in parte o completamente di origine elettromagnetica. Nel 1902, Max Abraham si pose la do-manda “Pu`o l’inerzia degli elettroni essere spiegata completamente da effetti dinamici del suo campo elettromagnetico, senza invocare una massa indipendente dalla sua ca-rica elettca-rica? ” [24]. Egli svilupp`o un modello dell’elettrone come particella sferica rigida elettricamente carica, di raggio non nullo, per evitare la divergenza dell’energia di una carica puntiforme. Continuando a pensare alla massa come costante di pro-porzionalit`a tra forza e accelerazione, introdusse, oltre alla “massa relativistica” mγ, anche i concetti di “massa longitudinale” mγ3e “massa trasversale” mγ. L’elettrone

di Abraham `e sferico sia quando a riposo, rispetto all’etere, sia quando in moto. Un altro modello fu proposto nel 1904 da Lorentz [25] (anche da Bucherer e da Lange-vin), che, convinto anch’egli dell’esistenza dell’etere, propose che l’elettrone, sferico quando a riposo rispetto ad esso, si contrae quando in moto, nella direzione del moto, del fattore γ che egli stesso, oltre a FitzGerald, aveva introdotto per “spiegare” l’espe-rimento di Michelson senza abbandonare l’etere. Per una dettagliata discussione dei modelli si veda [26]. Poincar´e nei Rendiconti dimostrer`a da un lato che il modello di Abraham `e incompatibile con l’invarianza di Lorentz e pi`u in generale `e tale qualsiasi massa completamente elettromagnetica, dall’altro corregger`a e stabilizzer`a (lo “sforzo di Poincar´e”) il modello di Lorentz.

Successive misure di precisione crescente sui raggi beta sino al 1914, di Kauf-mann [27] stesso, di A. H. Bucherer [28] e di G. NeuKauf-mann [29] sembrarono favorire il modello di Lorentz su quello di Abraham, ma una rianalisi sistematica dei loro dati fatta nel 1938 da C. T. Zahn e A. H. Spees [30] mostr`o che in realt`a la risoluzione di tutti quegli esperimenti era dello stesso ordine della differenza tra le previsioni dei due modelli. La precisione sufficiente, un decimo di quella differenza, fu raggiunta solo nel 1939 da M. G. Rogers et al. [31] con β da Ra B in uno spettroscopio elettrostatico. Le particelle obbedivano a Lorentz, non a Abraham.

Durante lo sviluppo della relativit`a quindi, anche oltre il 1905, la situazione del concetto di massa era notevolmente confusa, e ci volle mezzo secolo per chiarirlo. Tuttavia, alcuni dei concetti arcaici che ho ricordato continuano ad essere presenti nella letteratura, specialmente dannosi nei libri di testo didattici. Lev Borisoviˇc Okun’ (1929-2015) ha speso gli ultimi decenni della sua vita, a partire dal 1989, a lottare contro “la banda dei quattro”, come ebbe a chiamarla [32–34]. Due “gangster”, la “massa longitudinale” e la “massa trasversale” sono oggi sostanzialmente scomparsi. Gli altri due per`o sono ancora a piede libero. Il primo `e la “massa relativistica” mγ che “varia con la velocit`a”. Il termine `e altamente fuorviante perch´e questa non `e la massa, ma, a parte il fattore costante e invariante c2, `e l’energia. E quindi la` quarta componente di un quadrivettore, mentre la massa `e uno scalare. Il secondo, conseguenza del primo, `e la “massa a riposo” m0, che invece `e semplicemente la massa,

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Fig. 1. – Massa m, energia E e momento p. a) Caso generale, b) corpo fermo, c) corpo di massa nulla.

sia a riposo sia in moto. Questi falsi concetti sono particolarmente dannosi perch´e contribuiscono a far sembrare complicata la relativit`a, che invece `e semplice.

Per presentare al pubblico la sostanza della relazione (6) tra massa, energia e mo-mento trovo utile usare il teorema di Pitagora [35], in cui l’ipotenusa `e proporzionale all’energia e i due cateti lo sono rispettivamente all’energia a riposo, o di massa, e a quella di movimento, come in fig. 1.

Figura 1a) `e il caso generale, l’energia `e la somma quadratica dell’energia congelata nella massa mc2 e di quella di movimento pc. Figura 1b) `e il caso del corpo a riposo,

c’`e solo energia di massa. Figura 1c) `e il caso del corpo di massa nulla, come il fotone; c’`e solo energia di movimento.

Conviene qui brevemente ricordare che oltre ai corpi, anche i campi delle intera-zioni hanno energia e momento. In particolare le densit`a di momento ed energia del campo elettromagnetico sono date dalle ben note espressioni

(11) g = ε0E× B, w = ε0 2 E 2+ 1 0 B2.

Esse sono le componenti di un quadrivettore. Va per`o sottolineato, perch´e si tratta di un aspetto spesso trascurato, che le espressioni comunemente usate per le corrispon-denti quantit`a integrate (non si confonda energia a primo membro della seconda col campo elettrico) (12) P =  V 0E× B dV, E =  V  ε0 2 E 2+ 1 0 B2  dV.

NON formano un quadrivettore, perch´e l’elemento di volume dV non `e uno scalare per il gruppo di Lorentz. L’uso delle espressioni richiede quindi cautela.

Storicamente, fu H. Poincar´e il primo a proporre l’espressione (11) nel 1900 [36], scritta qui in formalismo moderno. E fu l’espressione che egli us`o come momento dell’“elettrone” (una pallina carica come nel modello di Lorentz), nel suo articolo sui Rendiconti in cui sviluppa la teoria della relativit`a, per ricavare l’espressione relativi-stica della seconda legge di Newton, che `e quanto interessa qui. Forme pi`u facilmente leggibili dell’originale di questo fondamentale articolo, tradotto in inglese e moder-nizzato nel formalismo, sono state curate da H. M. Schwartz [37] e, pi`u recentemente accompagnata da un’ampia discussione, da B. D. Popp [38].

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Poincar´e part`ı dall’equazione nella forma, F = dP/dt, cio`e come in Newton nei Principia, che non `e F = ma, con P dato dall’equazione (12). Stabil`ı cos`ı l’equazione del moto corretta: la nostra equazione (10) `e la sua equazione 5 del Capitolo 7.

Fondamentali furono i suoi passi successivi, con i quali generalizz`o il risultato provando che non solo l’espressione trovata `e covariante sotto il gruppo di Lorentz, ma anche che `e l’unica ad esserlo, l’unica quindi che soddisfi il principio di relativit`a. Per completezza va menzionato che Einstein nel suo articolo del 30 giugno 1905 tent`o invece di generalizzare la seconda legge partendo dalla sua forma F = ma. La di-mostrazione che segue `e errata e il risultato non rispetta il principio di relativit`a. In particolare, errata `e la relazione tra forza e accelerazione quando queste sono tra loro perpendicolari: la sua “massa trasversa”, come appare al§ 10, `e mγ2invece di mγ.

In retrospettiva noi possiamo immediatamente verificare che il risultato di Poin-car´e `e corretto prendendo la derivata dell’equazione (8), come abbiamo fatto sopra. Poincar´e per`o non conosceva questa espressione, che fu trovata da Max Planck nel 1906. In questo fondamentale lavoro egli scrive [39]

Svolgiamo qui il compito di determinare la forma da preferire delle equazioni fondamentali della meccanica, che prendono il posto delle usuali equazioni di Newton per il moto di una massa libera puntiforme . . . quando la validit`a del principio di relativit`a sia generale.

Planck, partendo dall’espressione corretta del momento di una massa puntiforme, giunge anch’egli alla corretta generalizzazione della legge di Newton

(13) F = dp

dt = m d dt(γv). 6. Quantitas materiae

La teoria della relativit`a quindi, ha portato ad una precisa definizione della massa, per la precisione quella inerziale. Come abbiamo appena visto per`o, la massa in relativit`a speciale non esprime l’inerzia al moto. L’accelerazione di un corpo sotto l’azione di una forza non `e ad essa proporzionale, e non `e neppure ad essa parallela, se non nei casi particolari in cui la forza sia nella direzione della velocit`a o ad essa perpendicolare.

La massa di un corpo inoltre non `e la somma delle masse dei suoi componenti, com’`e nella fisica newtoniana, ma rimane, si pu`o dire, una misura della quantit`a di materia. A questa quantit`a contribuiscono sia le masse dei costituenti sia le loro energie, di interazione e di movimento.

Conviene ricordare il caso semplice di un sistema di N particelle che non intera-giscano, di energie Ei e momenti pi (i = 1, . . . , N ). La massa M del corpo `e analoga

all’equazione (6) con la somma delle energie e la somma dei momenti al posto di E e p, cio`e (14) (M c2)2=  N  i=1 Ei 2  N  i=1 pi 2 ,

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M `e a vista un invariante di Lorentz. Viene spesso chiamata “massa invariante”, dove, una volta di pi`u, l’aggettivo `e fuorviante perch´e non esistono “masse” non invarianti. La teoria quantistica dei campi ci insegna che devono considerarsi particelle sia le sorgenti dell’interazione, quali ad esempio gli elettroni, sia i suoi mediatori, i fotoni nell’elettromagnetismo. Entrambi infatti sono quanti di un campo, quello elettroma-gnetico per il fotone e quello materiale dell’elettrone. Possiamo quindi pensare a una materia fatta al limite solo di fotoni, e questo “corpus” pu`o avere massa nulla o non nulla. Ad esempio, l’equazione (14) ci dice che la massa di una coppia di fotoni uguali di energia E che si muovono nella stessa direzione `e uguale a 0 se hanno lo stesso verso, a 2E/c2se hanno verso opposto (come ad esempio se originati dal decadimento

di un mesone neutro fermo). Un “corpo” formato da un numero qualsiasi di fotoni in generale ha momento e energia non nulli. In generale ha anche massa non nulla, ma non ha tutte le caratteristiche della materia. La materia infatti contiene anche cariche, quelle elettriche e quelle di colore. Ed `e grazie alle interazioni delle cariche che essa ha struttura e alla loro conservazione deve la sua stabilit`a.

L’equazione (14) non `e valida per la massa di un corpo i cui elementi interagiscano tra loro. Due esempi sono rilevanti.

La massa dell’atomo pi`u semplice, quello dell’idrogeno, `e la somma delle masse del protone e dell’elettrone che lo costituiscono e della loro energia di legame, divisa per c2. Quest’ultima, pari a−13.6 eV, `e il lavoro che si deve fare dall’esterno sul

si-stema per portare i suoi componenti dove non interagiscono, cio`e a distanza infinita. Il lavoro `e negativo perch´e contro la forza che li attrae. R. Feynman, nelle sue lezioni, ci ha mostrato come sia il principio di indeterminazione a determinare le dimensioni dell’atomo [40]. Infatti, l’energia potenziale dell’elettrone `e negativa e decresce al de-crescere della distanza tra elettrone e protone. Ma non pu`o decrescere troppo, perch´e la localizzazione della funzione d’onda dell’elettrone ha un costo energetico. Pi`u pic-cola `e l’incertezza sulla sua posizione, pi`u grande quella sul suo momento, e quindi del valor medio del momento stesso e, infine, quello medio dell’energia cinetica. Il raggio dell’atomo `e quello per il quale la somma di energia potenziale e cinetica `e minima.

Dopo aver richiamato quest’esempio piuttosto ben noto, passo a considerare il protone, come nelle mie lezioni [41]. L’interazione tra i tre quark (di valenza per la precisione) che lo costituiscono `e la QCD. Se si cerca di allontanare i quark, ad esempio urtandone uno con un elettrone di alta energia, non ci si riesce perch´e la forza di “colore” cresce indefinitamente con la distanza tra i quark. Diciamo che i quark sono “confinati”, nel protone, in questo caso. D’altro lato per`o, se i tre quark si trovassero nello stesso punto, o comunque a distanze un ordine di grandezza o pi`u inferiori al raggio del protone, l’intensit`a dell’interazione diverrebbe quasi nulla (libert`a asintotica). Ci`o per`o non pu`o accadere, analogamente all’atomo, per il costo energetico della localizzazione della funzione d’onda. I tre quark quindi aggiustano le loro distanze in modo da minimizzare la somma delle energie di interazione e delle energie cinetiche. Facendo il calcolo [42] si trova che questa distanza corrisponde al raggio del protone di circa 10−15m.

Anche in questo caso, la massa del protone `e la somma delle masse dei tre quark co-stituenti e del lavoro che si deve fare sul sistema per portarli l`a dove non interagiscono,

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cio`e, ora, molto vicini tra loro. E ora questo lavoro `e positivo perch´e muoviamo ideal-mente i quark nel verso della forza, stiamo cio`e estraendo energia dal sistema. A dif-ferenza che per l’atomo quindi, la massa del protone (e analogamente del neutrone) `e maggiore delle masse dei tre quark, molto maggiore anzi. In “unit`a naturali” (c = 1) la massa del quark u `e mu= 2.16+0.49−0.26MeV, e quella del d, mu= 4.67+0.48−0.17MeV [43].

Le masse dei quark quindi contribuiscono a quelle dei nucleoni, e quindi dei nuclei, e quindi della materia macroscopica solo nella misura di circa l’uno per cento. Ancora minore `e il contributo, agli atomi, della massa degli elettroni, e in conclusione, la quantitas materiae di tutti i corpi macroscopici `e al 99% non massa dei costituenti, ma energia del campo del colore.

7. Una sola massa

E la “massa gravitazionale”? Nella teoria di Newton, la massa dei corpi `e la sorgente e il ricettore dell’interazione gravitazionale, come abbiamo ricordato nella sez. 2. L’estensione della teoria a velocit`a confrontabili con c e a potenziali non trascurabili rispetto a c2ha condotto alla teoria della relativit`a generale di Einstein.

In questa, il concetto di massa gravitazionale scompare. Si potrebbe pensare che sorgente e ricettore del campo gravitazionale fosse l’energia, cio`e E/c2, come del resto

aveva fatto Einstein nelle fasi inziali dello sviluppo della teoria nel 1911, ma non `e vero. Al contrario, sorgente e ricettore della gravitazione `e il tensore energia-momento, che contiene masse, energie e pressioni del sistema in esame. Le equazioni del moto nel campo gravitazionale sono date, ad esempio, dalla 87.3 della Teoria dei campi di Landau e Lifchitz [44].

Okun’ ha ricavato da questa una semplice espressione della forza agente su una particella di massa piccola nel potenziale gravitazionale statico e sfericamente simme-trico φ, valida al prim’ordine φ/c2[32, 45]. Un esempio `e un protone dei raggi cosmici o un fotone che passi in vicinanza del Sole. Se r `e il raggio vettore dal centro del Sole, v `e il vettore velocit`a del protone e β = v/c, la forza che il Sole esercita sul protone, o fotone, `e (15) F =−GNM (E/c 2) r3 r(1 + β2)− β(β · r) .

La forza quindi ha, in generale, due termini, uno diretto verso il centro di forza e uno parallelo alla velocit`a. In due casi particolari la forza `e diretta radialmente: quando la particella ha velocit`a diretta verso il centro e quando si muove tangenzialmente. Se la velocit`a della particella `e c o non molto diversa come per un protone di alta energia per il quale l’energia di massa `e trascurabile, nel primo caso abbiamo

(16) F =−GNM (E/c 2) r3 r e nel secondo (17) F =−GNM (2E/c 2) r3 r.

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Nel secondo caso la forza sulla particella `e doppia. Questo `e anche il caso di un fotone da una stella che passi vicino al bordo del Sole in un’eclissi totale. Il fattore 2 spiega perch´e la deflessione prevista dalla relativit`a generale `e doppia rispetto a quella prevista da Newton. Chiaramente non si pu`o definire una “massa gravitazionale”, dato che questa dipenderebbe dalla direzione.

8. Il fondo della bottiglia

Il 4 luglio 2012, gli esperimenti ATLAS e CMS al Large Hadron Collider del CERN annunciarono di aver scoperto una nuova particella di 125 GeV di massa. Le caratteristiche osservate erano quelle previste per il bosone di Higgs, l’ultimo elemento mancante nel Modello Standard della fisica subnucleare. Gli esperimenti dimostravano la validit`a di una scoperta teorica di quasi mezzo secolo prima, quella del “meccanismo BEH”, dalle iniziali dei nomi di coloro che l’avevano proposto nel 1964 partendo dalla teoria della superconduttivit`a di Philip Anderson (1923-2020): i belgi Robert Brout (1928-2011) e Fran¸cois Englert (1932) e, indipendentemente, l’inglese Peter Higgs (1929). Il meccanismo BEH spiega matematicamente l’origine delle masse dei bosoni W e Z che mediano l’interazione debole e di quelle dei quark e dei leptoni carichi. Va osservato per`o che l’affermazione che spesso si legge che esso dia origine alla massa di tutta la materia non `e vera, per diverse ragioni. In primo luogo, come abbiamo visto nella sez. 6, la massa dei quark contribuisce solo per circa l’uno per cento alla massa dei nucleoni, e quindi dei nuclei, e quindi degli atomi, considerando che anche gli elettroni poco contribuiscono. Se le masse di quark e elettrone fossero nulle, poco cambierebbe. In secondo luogo, il Modello Standard prevede che le masse dei neutrini siano nulle, mentre non lo sono. In terzo luogo, la materia normale contribuisce solo per circa il 5% al bilancio massa-energia dell’universo.

Ma torniamo al meccanismo BEH. La ricerca di una nuova teoria deve sempre rispettare due vincoli, l’invarianza di Lorentz, cio`e il principio di relativit`a, e le regole della meccanica quantistica. L’insieme dei due tipi di requisiti pu`o rendere il cammino molto difficile, ma, alla lunga produrre frutti importanti.

L’essere la massa del fotone rigorosamente nulla corrisponde ad una propriet`a della luce, l’assenza di polarizzazione longitudinale, che si riteneva dovesse necessa-riamente sussistere per rispettare la simmetria della teoria. Bosoni di massa non nulla l’avrebbero violata. Poteva per`o essere che la violazione non fosse nella Lagrangiana dell’interazione, ma nello stato di energia minima del sistema, fosse cio`e una rottura spontanea.

Fenomeni di rottura spontanea ce ne sono parecchi nella fisica degli stati conden-sati della materia, specificamente nelle transizioni di fase, ad esempio da liquida a cristallina o quelle del ferromagnetismo, della superconduttivit`a e della superfluidit`a, tutte esistenti solo al di sotto di una ben definita, in ciascun caso, temperatura critica. Un altro esempio `e l’instabilit`a meccanica per carico di punta. Si appoggi una sbar-retta cilindrica perpendicolarmente a un piano e si applichi al suo estremo superiore una forza di pressione esattamente lungo l’asse. Il sistema ha simmetria cilindrica,

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tutte le direzioni normali all’asse sono equivalenti. Se si aumenta gradualmente la pressione, inizialmente la sbarretta si accorcia, ma la simmetria `e mantenuta. Supe-rata una definita pressione critica per`o, la sbarretta flette, diviene curva, scegliendo per la sua “gobba” una certa direzione. La simmetria cilindrica `e spontaneamente rotta. Si `e avuta una transizione di fase. Nella nuova fase il sistema ha un’infinit`a continua di stati di energia minima, quelli con la gobba in qualsiasi direzione. Diciamo che lo stato di energia minima, che in teoria dei campi si chiama lo stato di vuoto, `e degenere. La rottura spontanea ha scelto una di queste direzioni.

Negli anni 1950, lo studio delle rotture spontanee di simmetria era molto avanzato nella fisica della materia condensata, ma non lo era affatto in quello delle particelle. I due settori erano separati, tra i due non c’era alcun dialogo. Ma, dato che la teoria delle particelle era nel buio totale, alcuni cominciarono a guardare all’altro campo. Ma non fu affatto semplice. Le rotture spontanee nella fisica a molti corpi avvengono in un mezzo materiale, come il ferro o l’elio liquido, che contiene un grandissimo numero di elementi. In una teoria quantistica di campo non c’`e alcun mezzo n´e solido n´e liquido.

Possibili analogie tra la superconduttivit`a e la fisica subnucleare furono studiate nei primi anni 1960 separatamente da Yoichiro Nambu (1921-2015) e da Jeffry Gold-stone (1933-). Nambu tentava di capire se una rottura spontanea della simmetria delle interazioni forti che stava studiando potesse essere all’origine della massa dei nucleo-ni, considerati allora elementari. Ma la teoria prevedeva l’esistenza di un mesone di massa nulla che non esiste [46]. Il problema fu aggravato nel 1962 da un argomento di Goldstone [47], secondo il quale, in una larga classe di teorie relativistiche di campo, se lo stato di vuoto `e asimmetrico, necessariamente deve esistere una particella di spin zero senza massa. Questo “teorema di Goldstone” sembrava por fine al programma di Nambu.

Un problema analogo era per`o esistito nella materia condensata ed era stato risolto da Philip Anderson (1923-2020). Egli mostr`o nel 1963 [48] che in un superconduttore, oltre a un problema analogo a quello di Goldstone, ce n’`e un secondo e che magica-mente pu`o succedere che i due effetti si cancellino l’un l’altro, per merito del lungo raggio di azione delle interazioni elettriche. Il modo di Goldstone acquista massa non nulla ed `e il partner longitudinale dei modi trasversali elettromagnetici, anch’essi do-tati di massa. Tutto questo per`o era vero in una teoria non relativistica. Era possibile che un meccanismo analogo esistesse in una teoria di campo Lorentz-invariante?

Entro un anno, Brout e Englert a Bruxelles, e indipendentemente Higgs a Edin-burgo avrebbero risolto il problema di superare il teorema di Goldstone e creato il meccanismo BEH. La storia `e interessante. L’articolo di Brout e Englert fu ricevu-to dalla rivista americana Physical Review Letters il 26 giugno 1964 e pubblicaricevu-to il 31 agosto [49]. Il 24 luglio, Higgs invi`o una breve nota alla rivista europea Physics Letters [50], che l’accett`o per pubblicazione. In essa egli brevemente illustrava come la soluzione di Anderson si potesse estendere a una teoria relativistica. Higgs complet`o una seconda breve nota nella quale discuteva maggiormente il modello e la invi`o il 31 luglio allo stesso giornale, che, questa volta, respinse il lavoro. Higgs ne fu giustamen-te indignato anche perch´e non c’era nessuna logica nell’accettare il primo e respingere

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Fig. 2. – Il potenziale a) prima, b) dopo la rottura spontanea.

il secondo. Physics Letters era controllata dal CERN e, come Higgs ricorda nella sua lezione Nobel, pi`u tardi un collega di ritorno da una visita di un mese al CERN mi disse che l`ı non si pensava che avesse alcun interesse per la fisica delle particelle.

Il fatto per`o, visto a posteriori, fu per Higgs una fortuna. Egli infatti aggiunse un po’ di materiale all’articolo, scrivendo, in particolare, che una predizione della teoria era l’esistenza non solo della massa non nulla dei bosoni mediatori dell’interazione debole, ma anche di un nuovo bosone scalare che con i bosoni vettori formava un insieme correlato. E questa `e la ragione per la quale questa particella sar`a chiamata bosone di Higgs. L’articolo rivisto fu mandato oltre Oceano a Physical Review Letters, che lo ricevette il 31 agosto [51], esattamente il giorno in cui lo stesso giornale usciva con l’articolo di Brout e Englert. La pubblicazione fu approvata.

La transizione di fase in questo caso fu dell’universo stesso. Quando la sua tem-peratura era altissima, nei primi istanti dopo il Big Bang le particelle avevano massa nulla, si muovevano tutte con la velocit`a della luce, come fanno ancora oggi i fotoni. Nell’inflazione l’universo si espanse violentemente e quando, circa 10−12s dopo il Big Bang, la temperatura scese sotto 1017 gradi, cambi`o di fase; fu la rottura spontanea

della simmetria del campo di Higgs.

Quando l’universo `e ancora caldo, l’energia `e minima quando il campo di Higgs `e nullo (φ = 0), come in fig. 2a), come una pallina in una coppa rotonda. Nell’analogia, c’`e simmetria cilindrica. Alla transizione di fase il potenziale cambia forma, diventa come il fondo di una bottiglia di vino e lo stato φ = 0 ora corrisponde a un massimo di energia invece che a un minimo. Il minimo `e la “valle” che circola attorno al “monte” centrale e la pallina ci cade dentro. La valle `e quindi lo stato vuoto del sistema, che, come nel caso della sbarretta, `e degenere. Tra tutte le infinite possibilit`a, il sistema sceglie uno degli stati di vuoto nella valle circolare, e la simmetria si rompe spontaneamente. Il campo di Higgs non `e pi`u nullo, come in fig. 2b).

I sistemi quantistici nel loro stato di vuoto non stanno fermi nel minimo di energia, ma oscillano un po’ attorno a questo. Le chiamiamo oscillazioni di punto zero. La pallina nella valle lo pu`o fare in due modi, o trasversalmente alla valle (direzione φx), o lungo il fondovalle (direzione φy). Nel primo modo, osciller`a su e gi`u, con

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valle. Se si sposta lungo la valle, non ci sar`a alcuna oscillazione perch´e il suo fondo `e piatto. L’analogia con il meccanismo BEH `e che le frequenze di queste oscillazioni sono proporzionali alle masse dei bosoni. La massa della Z0 corrisponde alle oscillazioni

trasversali, ed `e grande, quella del fotone agli spostamenti sul fondovalle e la massa `

e nulla.

Il campo di Higgs `e diverso da tutti gli altri, `e una propriet`a del vuoto stesso. L’energia dell’universo vuoto dopo la transizione di fase sarebbe pi`u grande se quel campo non ci fosse. Aggiungendo il campo di Higgs al vuoto, l’energia dell’univer-so diminuisce. Non `e possibile estrarre energia dal campo di Higgs, perch´e il farlo sposterebbe l’Universo dal suo stato di energia minima.

E questo campo che tutto pervade fa s`ı che anche le W prendono massa. E altrettanto `e vero per i fermioni, quark e leptoni carichi. Il campo di ciascuno di essi si accoppia col campo di Higgs, e da questo ha origine la sua massa, che `e tanto pi`u grande quanto maggiore `e l’accoppiamento di quel fermione, fatto verificato con precisione dagli esperimenti a LHC.

9. Il nuovo chilo

Sappiamo tutti che l’unit`a di misura della massa `e il chilo, e che la massa `e una delle sette grandezze di base del Sistema Internazionale (SI). Le definizioni delle unit`a hanno loro stesse una storia, evolvendosi nel tempo, cos`ı come successivamente ap-provate dalla Conf´erence G´en´erale des Poids et Mesures (CGPM). `E questo l’Organo intergovernativo decisionale della Convenzione del Metro, creato, assieme a questa, nel 1875; un fondamentale lascito della Rivoluzione Francese. Per la storia della Con-venzione, oltre al suo testo, rimando al recente articolo di T. Quinn su La Rivista del Nuovo Cimento [52]. Una profonda revisione del SI `e stata approvata dalla CGPM nella sua 26a riunione nel novembre 2018. Questa collega le definizioni di

chilogram-mo, ampere, kelvin e mole con valori numerici per definizione “esatti” della costante di Planck h, della carica elementare e, della costante di Boltzmann k e del numero di Avogadro NA. Si possono trovare i dettagli, assieme a tutte le regole, nell’utilissimo

opuscolo del BIPM [53]. La SIF ha pubblicato due numeri del La Rivista del Nuovo Cimento dedicati al lavoro di ricerca che ha impegnato i laboratori di metrologia di tutto il mondo per raggiungere lo storico risultato, sia nelle fasi di sviluppo [54], sia alla loro conclusione [55]. Mi limiter`o quindi qui a qualche cenno relativo al chilo.

In realt`a, prima della revisione, il chilogrammo era rimasto l’unica unit`a di misura basata su un campione fisico, un artefatto cio`e. Ed in seguito ad essa anche il prototipo internazionale del chilogrammo `e andato in pensione dopo 129 anni di onorato servizio. Le Grand Kilo era stato depositato il 29 settembre 1889, protetto da tre cappe di vetro una dentro l’altra, ma non sotto vuoto, nel Pavillon de Breteuil a S`evres, assieme a sei temoins, disposti tre su ciascun lato, coperti ciascuno da una singola cappa di vetro. Queste copie ufficiali sono state usate nel tempo per realizzare i prototipi nazionali, che poi le singole nazioni hanno usato per i loro standard.

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Fig. 3. – Variazioni Δm nella massa delle sei copie ufficiali del prototipo n. 25 relative alla massa del campione internazionale.

Nel tempo furono fatte verifiche sulla stabilit`a dei campioni, pesandoli con enorme precisione e seguendo procedure ben definite. La terza verifica sulle sei copie ufficiali, fatta nel 1992 da G. Girard [56] con accuratezza valutata in 2.3 μg, diede i risultati di fig. 3. Contrariamente alle attese, tutte le copie mostravano variazioni sino a 50 μg nei 100 anni passati dalla loro costruzione, di 50 ppb in valore relativo. Il controllo di prototipi nazionali mostr`o che anche la gran parte di questi mostrava un simile, a volte anche maggiore, incremento. Le cause vanno ricercate nell’accumulo di contaminanti sulle superfici, come verificato lavando e pulendo i campioni.

Il dibattito scientifico tra gli esperti e gli studi di possibili soluzioni, in dipendenza della tecnologia disponibile o sviluppabile in tempi non troppo lunghi, si protrasse per diversi anni.

Nel 2005 furono definite le condizioni per poter proporre alla CGPM l’accettazione della nuova definizione di chilogrammo. Sarebbero stati necessari diversi esperimenti, con le condizioni che non ci fosse alcuna contraddizione non risolta tra risultati di esperimenti indipendenti, che ci fossero esperimenti che permettevano la definizione del chilogrammo con incertezza non superiore a due parti in 108, e che ci fosse un

numero sufficiente di esperimenti indipendenti con la richiesta incertezza. Fu suc-cessivamente precisato che si sarebbero dovuti completare almeno tre misure di h, indipendenti e consistenti tra loro a meglio di 50 ppb ed una a meglio di 20 ppb. La scadenza per queste misure fu fissata al 1 luglio 2017.

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Due metodi vennero utilizzati dai successivi esperimenti nei diversi laboratori mondiali.

Il primo impiega la bilancia di Kibble (watt balance), cos`ı chiamata in riconosci-mento dei contributi alla metrologia di Brian Kibble, scomparso nel 2016. La bilancia equilibra il peso del campione con la forza generata dalla corrente —misurata in ter-mini di h attraverso gli effetti Josephson (per definire la differenza di potenziale in termini di h/e2) e Hall quantistico (per definire l’impedenza in termini di e/h)— in

una bobina posta tra i poli di un magnete permanente. Successivamente, la bobina `

e mossa con velocit`a costante e si misura la forza elettromotrice indotta —ancora in termini della costante di h— per determinare la costante di proporzionalit`a tra le forze gravitazionale ed elettromagnetica. La massa del campione `e quindi ottenuta dal suo peso attraverso la misura dell’accelerazione locale di gravit`a.

Il secondo esperimento, condotto dall’International Avogadro Coordination a cui partecipa l’INRIM, conta gli atomi in un monocristallino di28Si. Il conteggio `e reso possibile dall’ordine cristallino e richiede la misura del rapporto tra il volume del monocristallo, una sfera di diametro 93.7 mm, e il volume occupato da un atomo. La derivazione della massa dalla costante di Planck `e assicurata dalla misura del rapporto m(28Si)/h, dove m(28Si) `e la massa dell’atomo 28Si.

Nel 2017 precisioni sulla costante di Planck tra le 10 ppb e 13 ppb furono raggiunte con entrambi i metodi, e in buon accordo tra di loro. Gli elementi per il nuovo chilogrammo ormai erano stati ottenuti e l’anno successivo il nuovo SI era approvato.

10. Conclusioni

La storia della parola “massa” `e relativamente breve, ma nei suoi quattro secoli di vita il suo significato si `e grandemente evoluto, man mano che la nostra comprensione della fisica si sviluppava. Ne abbiamo qui percorso quelle che a mio parere sono state le tappe principali. Abbiamo imparato molto, ma sappiamo, forse molto meglio che in passato, quanto siamo ancora ignoranti. Non sappiamo cosa sia il 95% della massa e dell’energia dell’universo. Non abbiamo alcuna idea di quale sia la teoria quantistica della quale la relativit`a generale `e l’approssimazione di basse energie. Non sappiamo quale sia l’origine della massa dei neutrini n´e se questi siano o meno uguali alle loro antiparticelle. Non sappiamo perch´e nell’universo la massa sia presente quasi unicamente come materia e non come antimateria.

Bibliografia

[1] Bettini A., Nove parole della fisica (Bollati-Boringhieri, Torino) 2021.

[2] Galilei Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi, Giornata seconda, O.G. Vol. VII. Per tutte le citazioni di Galilei mi riferir`o a Le Opere di Galileo Galilei, a cura di Favero A. (Edizione Nazionale, Barbera, Firenze) 1890-1909, indicando con O.G., n. Vol. n. pag.

[3] Viviani Vincenzo, Racconto istorico della vita del Si˙g.r Galileo Galilei, O.G. XIX, 606.

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