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Meccanismi di sfruttamento delle risorse minerarie offshore

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Academic year: 2021

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A mia madre, a mio padre

e a tutti coloro che

non riescono

a smettere di sognare

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INTRODUZIONE

Che lo sviluppo di un paese dipenda in larga misura dalle risorse naturali di cui dispone è un assunto difficilmente confutabile. La vita moderna delle società evolute è basata su economie fortemente condizionate dall'estrazione di gas e petrolio nonché dai prodotti del loro indotto. Dal momento che la sovranità statale, ai sensi del diritto internazionale, termina alle frontiere, si ritiene che qualunque risorsa all'interno di quei confini appartiene allo Stato che esercita il controllo di quel territorio.

Ma mentre la determinazione delle frontiere terrestri tra gli Stati è stata causa e ragione di contese e di guerre che hanno accompagnato la storia dell'umanità, la delimitazione della piattaforma continentale è una conoscenza relativamente recente che ha assunto strategica importanza per effetto dell'affermarsi di un'era basata sulla tecnologia che ha aperto orizzonti non immaginabili solo cinquanta anni fa. Parlare di confini sulla superficie del mare e soprattutto sotto la superficie marina ha fatto diventare oggetto e ragione di diritto porzioni di crosta terrestre che la tecnologia estrattiva ha reso considerabile.

Oggi la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) fornisce un quadro giuridico per la sovranità territoriale e per la delimitazione delle frontiere marittime, ma non risolve interamente la questione relativa allo sfruttamento

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degli idrocarburi transfrontalieri nei casi di giacimenti minerari che, attraversando le frontiere di diversi Stati, rendono difficile determinare la quantità di risorse e di diritti ascrivibili a ciascuno.

Quando Stati confinanti hanno accesso alla stessa riserva, qualunque attività esercitata da uno ha, inevitabilmente, un impatto sulla posizione e sugli interessi dell'altro nello sfruttamento del medesimo giacimento.

Questo lavoro si sofferma sulle varie contese determinate dallo sfruttamento di tali depositi, partendo da come le norme internazionali disciplinano i diritti degli Stati singoli sulle risorse naturali nelle varie zone marittime, per poi focalizzarsi sulle risorse minerarie transfrontaliere, le problematiche ad esse connesse e le possibili soluzioni (Cap.1).

Inoltre si concentra sulla pratica degli Stati volta ad adottare accordi per lo sfruttamento di riserve condivise offshore, con particolare attenzione al principio della cooperazione. Dall’analisi dei vari modelli di accordo emergeranno le soluzioni ricercate dagli Stati e ritrovate in diversi gradi di cooperazione e di condivisione di diritti e doveri sulle risorse. Proprio questi meccanismi, relativamente nuovi, porteranno ad interrogarsi sull'esistenza o meno di un vero e proprio obbligo consuetudinario a cooperare nello sfruttamento di giacimenti sconfinanti e, nello specifico, di concludere determinate forme di accordo; dalla valutazione delle fonti secondarie e soprattutto delle pronunce delle corti internazionali chiamate a giudicare i comportamenti degli

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Stati (o a suggerire la migliore soluzione della contesa per la gestione delle risorse comuni), si potranno definire i principi che sarebbe opportuno seguire nel rispetto del Diritto Internazionale in divenire e delle relazioni tra i paesi (Cap.2). Una piccola finestra sull'Italia basterà a rilevare quanto la pratica degli Stati stia diventando costante al punto da fare giurisprudenza; l'Italia, con la sua strategica posizione al centro del Mediterraneo e la ricchezza di giacimenti offshore, è certamente protagonista diretta nell'alimentare norme di diritto sulla questione sia laddove le frontiere marittime sono state già fissate, sia in zone di mare ancora contese con altri Stati (Cap. 3).

Dallo studio delle fonti di diritto internazionale e dal caso pratico riguardante l'Italia, emerge come in assenza di un'espressa dichiarazione verso l'esistenza di un obbligo a cooperare in materia di risorse condivise, questa soluzione non abbia un'alternativa migliore: la cooperazione rimane basilare nei rapporti tra gli Stati ed il rispetto del diritto internazionale il solo modo attraverso cui la collaborazione tra soggetti giuridici legittimati sui territori può garantire la giustizia nell'interesse dell'intera comunità mondiale pur tenendo in debito conto le situazioni sfavorevoli che condizionano gli Stati e rappresentano ostacoli alla gestione ottimale e condivisa delle risorse.

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CAPITOLO PRIMO

IL DIRITTO INTERNAZIONALE DEL MARE E LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE

1.1 Quadro storico

Nei tempi antichi, la navigazione e la pesca erano gli usi primari dei mari e le dispute sul loro controllo risalgono probabilmente ai giorni in cui lungo le coste del Mediterraneo si navigava su zattere di papiro. Nel corso dei secoli, civiltà grandi e piccole, in possesso di vaste flotte oceaniche o piccole flottiglie da pesca, sfruttando ricchi fondali vicini o guardando lidi lontani, hanno tutte gareggiato per rivendicare il diritto di possesso sulle lunghe distese di mari e di oceani.

Già nel 1494, dopo appena due anni dalla prima spedizione di Cristoforo Colombo in America, Papa Alessandro VI, ebbe a convocare i rappresentanti delle due nazioni litiganti, Spagna e Portogallo, per dividere, salomonicamente, il controllo sui territori del Nuovo Mondo: tracciando con un compasso, la cui punta era fissa su Roma, una linea che percorreva l'oceano Atlantico, assegnò tutto ciò che era ad ovest della linea alla Spagna e ciò che era ad est al Portogallo; su tale base il Pacifico e il Golfo del Messico sono state riconosciute spagnole e l'Atlantico e l'Indiano portoghesi.

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del mare e sotto i fondali altre risorse naturali e nuove fonti di energia: così a pesci, coralli e sale si sono aggiunti minerali, diamanti, oro, stagno, petrolio e gas naturale ed oggi, con i nuovi usi del mare, la produzione di energia da venti e da correnti marine; con le nuove scoperte in ambito scientifico, le potenzialità del mare sembrano infinite.

Nei tempi antichi il diritto internazionale tradizionale conosceva solo due zone: il mare territoriale, in sostanza una stretta fascia di mare che circondava la costa1, soggetta alla giurisdizione nazionale, e il resto del mare, ovvero l'alto mare, caratterizzato secondo la dottrina della libertà dei mari, dall'essere libero a tutti e non appartenente a nessuno2.

Alla la fine della Seconda Guerra Mondiale, a seguito della determinazione assunta dagli Stati Uniti sotto la presidenza Truman, di estendere unilateralmente la giurisdizione statunitense su tutte le risorse naturali della piattaforma continentale, anche gli altri Stati cominciarono ad estendere le pretese nazionali sulle risorse offshore.

Questo andazzo ha sollecitato la comunità internazionale, attraverso l'intervento delle Nazioni Unite, ad un primo tentativo di codificare il diritto del mare che si è tradotto nelle quattro Convenzioni di Ginevra del 1958 entrate in vigore tra il 1963 e il 19663.

1 Nei primi anni 1700, gli olandesi hanno emesso un decreto che istituisce un "mare territoriale", che si estendeva quanto "la gittata ipotetica di un cannone immaginario".

2 The United Nations Convention on the Law of the Sea, A Historical

perspecive, U.N. Division for Oceans Affairs and The Law of the Sea.

3 Si tratta della prima Conferenza sul dir mare che si è tenuta a Ginevra nel 1958, a cui hanno partecipato 86 Stati e che si concluse con l'adozione

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Ma un groviglio di questioni, dettate dalla diffusione dell'inquinamento, dalle richieste concorrenti per gli stock ittici più ricchi in mari adiacenti o confinanti, dalla crescente tensione per le pretese delle nazioni costiere, dalla prospettiva di una ricca quantità di risorse sul fondo del mare, unita alla sempre maggiore necessità di navigazione a lunga distanza, ha imposto l'aggionamento di una dottrina della libertà dei mari che appariva oggettivamente obsoleta, e che stava minacciando di trasformare gli oceani in un'altra arena per nuovi conflitti e instabilità politica.

Alla fine del 1967 la tranquillità del mare era inesorabilmente disturbata dalle innovazioni tecnologiche, che ne acceleravano e moltiplicavano gli usi: dall'aumento delle tensioni tra le superpotenze in conflitto per lo spazio e quelle per l'accaparramento delle risorse necessarie ad un miglioramento esponenziale della qualità della vita.

Gli oceani venivano sfruttati come mai prima, e generavano una moltitudine di domande e controversie sulla loro sovranità.

La speranza era di un ordine più stabile, che promuovesse un maggiore utilizzo e una migliore gestione delle risorse oceaniche, generando armonia e buona volontà tra gli Stati; in forza di ciò la sollecitazione dell'ambasciatore di Malta presso le Nazioni Unite fu vista da molti come il momento opportuno

di quattro testi convenzionali: Convenzione sul mare e la zona contigua, Convenzione sull'alto mare, Convenzione sulla piattaforma continentale e Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell'alto mare.

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per aggiornare il diritto internazionale al fine di tenere conto dei cambiamenti che erano intervenuti nell'alterare il rapporto dell'uomo con il mare.

Questo intervento mise in moto un processo che ha attraversato quindici anni di storia e ha visto la creazione del Comitato delle Nazioni Unite per il Fondo Marino4, la firma di un trattato che vieta le armi nucleari sul fondo del mare5, l'adozione della dichiarazione da parte dell'Assemblea Generale che tutte le risorse del fondo marino al di là del limiti della giurisdizione nazionale sono il patrimonio comune dell'umanità e la convocazione della Conferenza di Stoccolma sull'Ambiente Umano6. Quello che era iniziato come un esercizio per regolamentare i fondali marini si trasformò in uno sforzo diplomatico globale per riscrivere tutte le regole atte a disciplinare le aree oceaniche, gli usi dei mari e di tutte le sue risorse.

Questo lungo processo sfociò in una Conferenza, convocata a New York nel 1973, che si concluse dopo nove anni con l'adozione, nel 1982, di una vera e propria costituzione dei

4 The United Nations Seabed Committee, successivamente sostituito dall'Autorità Internazionale per i Fondali Marini (International Seabed Authority, ISA) istituita ai sensi dell'UNCLOS 1982 e dell'Accordo del 1994 relativo all'attuazione della Parte XI della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. L'Autorità nasce il 16 novembre 1994, con l'entrata in vigore della Convenzione del 1982 e diventa operativa come organizzazione internazionale autonoma nel giugno 1996, nella sede delle N.U. di Kingston, Giamaica.

5 Seabed Arms Control Treaty (Trattato sui fondali marini), entrato in vigore dal 18 maggio 1972.

6 United Nations Conference on Human Environment (UNCHE) che si tenne a Stoccolma dal 5 al 15 giugno 1972, e riunì 113 Stati nonchè molti rappresentanti di organizzazioni non governative, intergovernative e varie altre agenzie specializzate.

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mari: la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS)7.

Durante questi nove anni, nel corso dei negoziati, facendo la spola tra New York e Ginevra, i rappresentanti di oltre 160 Stati sovrani discussero di questioni, di diritti e di obblighi nazionali e internazionali in una maratona che diede vita alla Convenzione.

Questo trattato è un tentativo senza precedenti, da parte della comunità internazionale, di regolamentare tutti gli aspetti delle risorse e degli usi del mare e, quindi, di mettere ordine in una delle fonti della vita del genere umano. La firma della Convenzione da parte dei governi comporta l'impegno a non intraprendere alcuna azione che possa confliggere con i suoi oggetti e le sue finalità. Ratificando o aderendo alla Convenzione si esprime il consenso di uno Stato ad essere vincolato a tutte le sue disposizioni8. La Convenzione è entrata in vigore il 16 Novembre 1994, un anno dopo che la Guyana è diventata il 60° Stato ad aderire e, pur non abrogando le Convenzioni di Ginevra del 1958, ha stabilito che, per gli Stati parti di entrambe, prevale la seconda9.

7 United Nations Convention on the Law of the Sea, UNCLOS, convenzione aperta alla firma a Montego Bay, in Gamaica, il 10 dicembre 1982 e entrata in vigore il 16 novembre 1994. Il testo ufficiale è in UN. Doc

AICONF 62/J22, 1982. La traduzione non ufficiale, in lingua italiana, si

trova nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, n. 295, 19 dicembre 1994.

8 La Convenzione è stata ideata come un Package deal, un "pacchetto", da accogliere nella sua interezza e in tutte le sue parti, senza riserva alcuna su qualsiasi aspetto.

9 Art. 311.1 UNCLOS: "This Convention shall prevail, as between States Parties, over the Geneva Conventions on the Law of the Sea of 29 April 1958".

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Oggi 164 Stati hanno firmato la Convenzione; l'Unione Europea ha firmato e ratificato, l'Italia per mezzo della legge del 2 dicembre 1994, n. 68910 ha aderito e gli Stati Uniti hanno firmato, ma manca ancora la ratifica del Senato americano.

In tutto il mondo, i governi hanno adottato misure per portare sotto la propria giurisdizione le aree di mare adiacenti ai loro territori, varando provvedimenti per esercitare i loro diritti sui mari limitrofi e per valutare le risorse delle loro acque e della piattaforma continentale. Anche prima della sua entrata in vigore11, le pratiche degli Stati seguivano, in modo abbastanza compatibile, le disposizioni della Convenzione12. Dopo la sua entrata in vigore e la sua rapida accettazione da parte della comunità internazionale, inclusi gli Stati che non ne sono ancora divenuti parte, essa è individuata come base per tutte le azioni relative all'uso degli oceani e delle porzioni di mare considerate un riflesso del diritto consuetudinario in vigore.

10 Legge 2 dicembre 1994, n. 689 (entrata in vigore il 20 dicembre 1994),

ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del

mare, di Montego Bay, 10 dicembre 1982, ivi compresi allegati e atto finale e dell'accordo di applicazione della Parte XI della Convenzione stessa, con allegati, New York, 29 luglio 1994, GU n.295 del 19 dicembre 1994,

Supplemento ordinario n. 164.

11 Numerose disposizioni della Convenzione hanno natura di diritto internazionale consuetudinario e sono quindi divenute obbligatorie per gli Stati prima della sua entrata in vigore.

12 Casi ancora esistenti di mare territoriale eccedente le 12 miglia, la zona di difesa di 50 miglia proclamata dalla Corea del Nord, la zona doganale di 250 km istituita dalla Guinea, non possono ritenersi compatibili con il diritto internazionale vigente.

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1.2 Le risorse marine nella Convenzione sul Diritto del Mare del 1982: la distinzione tra risorse viventi e non viventi

La Convenzione UNCLOS del 1982 non contiene una definizione generale di risorse, né un elenco esauriente delle risorse di cui si occupa. Tuttavia, dall’esame di varie sue disposizioni, emergono alcune indicazioni utili a tracciare delle linee guida. Innanzitutto la Convenzione si occupa di risorse naturali, escludendo quindi quelle che naturali non sono, tra le quali oggetti storici, archeologici e relitti, cui si riferiscono disposizioni apposite. Alle risorse naturali si riferiscono sia l'articolo 56, relativo alla zona economica esclusiva, sia l'articolo 246, attinente alla ricerca scientifica nella zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale13. Essi menzionano le risorse naturali viventi (secondo la versione inglese), o biologiche (secondo la versione francese) e quelle non viventi o non biologiche14.

" [...] In the exclusive economic zone, the coastal State has:

13 L’art. 246.5 di UNCLOS, versione inglese, recita: "Coastal States may however in their discretion withhold their consent to the conduct of a marine scientific research project of another State [...] if that project: (a) is of direct significance for the exploration and exploitation of natural resources, whether living or non-living [...]".

14 L’art. 246.5 di UNCLOS, versione francese, recita: "Les États côtiers peuvent cependant, à leur discrétion, refuser leur consentement à l’exécution d’un projet de recherche scientifique marine par un autre État […] dans les cas suivants: a) si le projet a une incidence directe sur l’exploration et l’exploitation des ressources naturelles, biologiques ou

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(a) sovereign rights for the purpose of exploring and exploiting, conserving and managing the natural resources, whether living or non-living, of the waters superjacent to the seabed and of the seabed and its subsoil, and with regard to other activities for the economic exploitation and exploration of the zone, such as the production of energy from the water, currents and winds[...]"

Art. 56.1 UNCLOS.

Riguardo alle risorse viventi, la Convenzione ne disciplina prima la conservazione15 e poi l'utilizzazione "ottimale"16 ma, per quanto numerose, le norme in materia di pesca non specificano quali siano le specie a cui si applicano. Le disposizioni sulla pesca sono formulate avendo ben presenti le specie ittiche, ma senza escludere altre specie. A questo si riferiscono gli artt. 63-67, i quali menzionano, senza darne precise definizioni, specie aventi caratteristiche peculiari che si muovono sia nella zona economica sia in alto mare17. Vengono invece definite specie sedentarie, gli organismi appartenenti «allo stadio in cui possono essere sfruttati, immobili sul fondo marino o al di sotto di esso ed incapaci a muoversi ma in contatto fisico costante col fondo marino o con

15 Cfr. art. 61, UNCLOS

16 "The coastal State shall promote the objective of optimum utilization of the living resources in the exclusive economic zone without prejudice to article 61", art. 62.1, UNCLOS.

17 "Stocks occurring within the exclusive economic zones", art. 63, UNCLOS; "Highly migratory species", art. 64, UNCLOS; "Marine mammals", art. 65, UNCLOS; "Anadromous stocks", art. 66, UNCLOS; "Catadromous species", art. 67, UNCLOS.

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il sottosuolo» (così come definite dall'art. 77 della Convenzione del 1982, che riprende la Convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma continentale). L'accordo del 5 dicembre 1995 è relativo agli Straddling Stocks (specie che vivono a cavallo tra le varie zone territoriali) ed alle specie altamente migratorie, in vigore dall'11 dicembre 2001, include nella nozione di pesci, i molluschi e i crostacei eccetto quelli appartenenti alle specie sedentarie (art. 1). Nuove risorse biologiche marine, di cui la comunità internazionale sta cominciando a discutere, sono organismi (da microrganismi a organismi di notevoli dimensioni) che prosperano soprattutto in prossimità di soffioni idrotermali (hydrothermal vents), a grandi profondità sui fondi marini. Questi organismi hanno caratteristiche tali da poter sopravvivere in condizioni estreme che li rende di grande interesse per lo studio dei loro meccanismi genetici, in vista di applicazioni pratiche. La bioprospezione in mare, considerata quale attività volta al reperimento di tali risorse in vista del loro sfruttamento, è una nuova attività priva di regolamentazione e di difficile inquadramento nelle norme esistenti. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, decidendo nel 2004 la costituzione di un gruppo di lavoro per lo studio della conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità marina al di là delle zone di giurisdizione nazionale, sembra avere avviato un processo di grande rilevanza.

Per quanto attiene alle risorse non viventi, l'articolo 77 della Convenzione, relativo alla piattaforma continentale, afferma

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che le risorse naturali, sull'esplorazione e lo sfruttamento delle quali sono previsti diritti sovrani dello Stato costiero, comprendono (oltre alle ricordate specie sedentarie) le risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del suo sottosuolo18. L'articolo 56, a proposito della ZEE, tratta di attività per lo sfruttamento economico della zona, come la produzione di energia dall’acqua, dalle correnti e dal vento. Benché non espressamente nominati, gli idrocarburi, il cui sfruttamento si trova storicamente all’origine dell’affermazione dei diritti degli Stati costieri sulla piattaforma continentale, sono compresi tra le risorse non viventi. In tema di risorse non viventi, la parte XI della Convenzione, relativa all'Area internazionale dei fondi marini afferma, all'articolo 133, il termine risorse «significa tutte le risorse minerali solide, liquide o gassose in situ nell'Area sul fondo marino o al di sotto di esso, ivi compresi i noduli polimetallici», e che tali «risorse, una volta estratte dall'Area, si definiscono col termine minerali».

18 L'art. 77 UNCLOS recita: "Rights of the coastal State over the continental shelf:

1. The coastal State exercises over the continental shelf sovereign rights for the purpose of exploring it and exploiting its natural resources.

2. The rights referred to in paragraph 1 are exclusive in the sense that if the coastal State does not explore the continental shelf or exploit its natural resources, no one may undertake these activities without the express consent of the coastal State.

3. The rights of the coastal State over the continental shelf do not depend on occupation, effective or notional, or on any express proclamation. 4. The natural resources referred to in this Part consist of the mineral and other non-living resources of the seabed and subsoil together with living organisms belonging to sedentary species, that is to say, organisms which, at the harvestable stage, either are immobile on or under the seabed or are unable to move except in constant physical contact with the seabed or the subsoil".

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La Convenzione menziona anche «risorse [minerali] diverse dai noduli polimetallici» come possibile oggetto di futura regolamentazione (art. 162.2, lett. o). Similmente ai noduli polimetallici che sono oggetto di un apposito regolamento19, si affiancano i solfuri polimetallici e le croste di ferromanganese ricche di cobalto, quali esempio di risorse su cui si sviluppano trattative per regolamentare la prospezione e l'esplorazione20. Altre risorse naturali non viventi di notevole potenziale su cui la comunità internazionale comincia solo adesso discutere, e su cui si appunterà in futuro l'attenzione, sono gli idrati di metano. Una regolamentazione specifica relativa ad essi non è ancora stata formulata a livello nazionale (ove si trovino sulla piattaforma continentale) o dall'Autorità Internazionale dei Fondi Marini (se nell'Area); ma sarà prossimamente necessaria dato che l'estrazione di tali idrati comporta notevoli difficoltà e fa sorgere problemi di protezione dell'ambiente21.

In conclusione possiamo notare come l'intento della comunità internazionale non è quello di dare una definizione precisa delle singole risorse per non rischiare di creare categorie chiuse ma, al contrario, di disciplinarle considerando le loro caratteristiche comuni. Ciò porta inevitabilmente all'esistenza di lacune normative e zone d'ombra che possono sollevare

19 Si tratta del Regolameto per la prospezione e l'esplorazione dei noduli polimetallici, adottato dall'Autorità dei Fondi Marini il 13 luglio 2000. 20 A seguito di un iniziativa della Federazione russa nel 1998, l'Autorità dei Fondi Marini ha redatto, nel 2004, un progetto preliminare per la prospezione e l'esplorazione dei solfuri polimetallici e delle croste di ferromanganese.

21 TREVES T., "Il diritto internazionale del mare e lo sfruttamento dei fondi

marini", in Enciclopedia degli Idrocarburi, Vol. IV, pp. 491-505, pp. 492-494.

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controversie che rischiano di sfociare nella minaccia dell'uso della forza per cui gli Stati devono cercare i principi comuni, norme e disposizioni che, accettate internazionalmente, vadano a disciplinare lo sfruttamento equo ed efficace delle risorse naturali senza danneggiare l'ambiente o gli altri Stati fruitori.

1.3 La sovranità degli Stati e lo sfruttamento delle risorse marine

Il regime della ricerca e dello sfruttamento delle risorse marine varia a seconda delle zone marittime in cui queste si trovano e delle risorse di cui si tratta.

Le zone marittime oggi esistenti sono sette e si misurano tutte a partire dalla linea di base. Essa corrisponde alla linea di bassa marea che, in caso di isole o di coste frastagliate, si ottiene tracciando linee di base diritte, le quali però non devono deviare dalla direzione generale della costa. Le acque all'interno delle linee di base sono dette acque interne e sono soggette "al completo e incondizionato esercizio della sovranità dello Stato costiero, al pari di quanto avviene nell'ambito dei suoi confini terrestri"22.

Invece il mare territoriale è una zona di mare che si estende oltre la terraferma e oltre le acque interne per un'ampiezza massima attualmente stabilita in 12 miglia nautiche dalle

22 CAFFIO F., "Acque interne", in Glossario del diritto del mare, III edizione,

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linee di base. La sovranità dello Stato costiero si estende per analogia anche allo spazio aereo, al suolo ed al sottosuolo marino e trova un limite nel passaggio inoffensivo delle navi straniere e soprattutto nei diritti di passaggio nelle acque territoriali comprese in stretti internazionali.

Le acque racchiuse all'interno di un sistema di linee di base di uno Stato Arcipelagico, cioè uno Stato composto interamente da una o più formazioni insulari23, sono denominate acque arcipelagiche. A differenza di quanto previsto per le acque territoriali, la sovranità dello Stato è ulteriormente temperata dal diritto di passaggio "arcipelagico", simile al diritto di passaggio negli stretti, ma limitato a determinati corridoi di traffico istituiti col concorso dell'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO)24.

La zona contigua è la zona di mare adiacente alle acque territoriali in cui lo Stato costiero può esercitare i poteri di polizia necessari a prevenire e reprimere le violazioni in materia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione. Essa può estenersi 12 miglia dal limite esterno del mare territoriale

23 Cfr. art. 46 UNCLOS: "(a)“Archipelagic State" means a State constituted wholly by one or more archipelagos and may include other islands; (b)“Archipelago" means a group of islands, including parts of islands, interconnecting waters and other natural features which are so closely interrelated that such islands, waters and other natural features form an intrinsic geographical, economic and political entity, or which historically have been regarded as such".

24 L’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) è un'Agenzia specializzata delle Nazioni Unite, istituita a seguito dell’adozione della Convenzione internazionale marittima di Ginevra del 1948, volta a promuovere la cooperazione marittima tra i paesi membri e a garantire la sicurezza della navigazione e la protezione dell’ambiente marino. Ad essa aderiscono attualmente 170 Stati ed ha sede a Londra.

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per un ampiezza massima di 24 miglia nautiche dalla linea di base. Inoltre la zona contigua, costituendo una porzione delle acque internazionali, gode della medesima disciplina dell'alto mare e per essere istituita necessita di una proclamazione formale.

La zona economica esclusiva (ZEE) è un'area esterna e adiacente alle acque territoriali che si estende fino ad un massimo di 200 miglia dalla linea di base che comprende il fondo marino e la colonna d'acqua sovrastante. Similmente a quanto è previsto per la zona contigua, che se esiste è compresa al suo interno, richiede una proclamazione formale da parte della comunità internazionale. Lo Stato costiero vi esercita diritti sovrani in materia di esplorazione, conservazione, gestione delle risorse viventi e non ed altri possibili usi economici del mare, come ad esempio l'energia prodotta da venti e correnti25. I diritti sovrani di esplorazione, sfruttamento e conservazione delle risorse naturali spettanti a uno Stato nella propria ZEE, si esplicano principalmente nel diritto esclusivo di pesca. Le uniche limitazioni riguardano l'onere di ammettere altri Stati alla cattura della quantità di pesce disponibile in eccedenza rispetto alle proprie capacità di pesca, dando preferenza, su basi eque, agli Stati senza litorale

25 Cfr. art. 56.1, lett. a), UNCLOS: "In the exclusive economic zone, the coastal State has: (a) sovereign rights for the purpose of exploring and exploiting, conserving and managing the natural resources, whether living or non-living, of the waters superjacent to the seabed and of the seabed and its subsoil, and with regard to other activities for the economic exploitation and exploration of the zone, such as the production of energy from the water, currents and winds".

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o "geograficamente svantaggiati"26. Gli Stati costieri esercitano poi la giurisdizione in materia di isole artificiali, istallazioni, ricerca scientifica e in tema di protezione e preservazione dell'ambiente marino27. Gli altri Stati possono, a condizione di non intaccare i diritti dello Stato costiero, esercitare le libertà previste per l'alto mare, navigazione e sorvolo, posa di cavi ed istallazioni artificiali.

La piattaforma continentale è considerata come il prolungamento sommerso della terraferma e appartiene ab initio ad uno Stato per cui, a differenza della ZEE e della zona contigua, non richiede specifica proclamazione o effettiva occupazione28. Essa comprende suolo e sottosuolo marino al di là del mare territoriale fino all'orlo esterno del margine continentale, o fino a 200 miglia dalla linea di base quando l'orlo esterno del margine continentale si trovi a distanza inferiore29; non esiste comunque alcun obbligo di fare coincidere ZEE e piattaforma continentale.

Nel caso in cui il margine esterno della piattaforma continentale viene superato, comunque non oltre le 350 miglia

26 Cfr. artt. 62, 69 e 70 UNCLOS.

27 L'art. 56.1 lett. b), UNCLOS recita: "Jurisdiction as provided for in the relevant provisions of this Convention with regard to: (i) the establishment and use of artificial islands, installations and structures".

28 L’art. 77.3 UNCLOS recita: "The rights of the coastal State over the continental shelf do not depend on occupation, effective or notional, or any express proclamation".

29 L'art. 76.1 UNCLOS: "The continental shelf of a coastal State comprises the seabed and subsoil of the submarine areas that extend beyond its territorial sea throughout the natural prolongation of its land territory to the outer edge of the continental margin, or to a distance of 200 nautical miles from the baselines from which the breadth of the territorial sea is measured where the outer edge of the continental margin does not extend up to that distance".

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dalla linea di base30, la Convenzione presuppone un meccanismo complesso e oneroso che prevede la partecipazione di un organismo tecnico indipendente creato appositamente (la Commissione per i Limiti della Piattaforma Continentale) che fornisce assistenza e formula raccomandazioni agli Stati costieri circa i dati relativi alla delimitazione del margine esterno della piattaforma. È da sottolineare come se lo Stato utilizzi meccanismi interni per la fissazione di tale limite, nel caso in cui questo è stabilito secondo le raccomandazioni della Commissione, esso sarà "definitivo e vincolante"31 e cioè che dovrà essere rispettato e non più modificato dallo Stato costiero. Tale delimitazione sarebbe anche opponibile agli altri Stati.

Sulla piattaforma continentale "lo Stato costiero esercita diritti sovrani per esplorarla e sfruttarne le risorse naturali"32, per cui non è assimilabile al territorio perché i diritti dello Stato costiero sono limitati funzionalmente all'esplorazione e allo sfruttamento delle risorse. Tali diritti sono peraltro esclusivi e pertanto le relative violazioni potranno essere represse con sanzioni amministrative e penali combinate agli Stati che

30 L’art. 76.5 UNCLOS recita: "The fixed points comprising the line of the outer limits of the continental shelf on the seabed, drawn in accordance with paragraph 4 (a)(i) and (ii), either shall not exceed 350 nautical miles from the baselines from which the breadth of the territorial sea is measured or shall not exceed 100 nautical miles from the 2,500 metre isobath, which is a line connecting the depth of 2,500 metres".

31 Cfr. art. 76.8 UNCLOS: "[…] The limits of the shelf established by a coastal State on the basis of these recommendations shall be final and binding […]".

32 Riprendendo la Convenzione di Ginevra del 1958, l’art. 77.1 UNCLOS recita: "The coastal State exercises over the continental shelf sovereign rights for the purpose of exploring it and exploiting its natural resources".

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procederanno a perforazioni non autorizzate dallo Stato legittimamente titolare sulla zona che abbia una legislazione conforme alla Convenzione33.

In tal modo la perforazione, una delle attività fondamentali e più frequenti sulla piattaforma continentale, utile a fornire informazioni in materia di risorse, viene a ricadere interamente sotto la potestà dello Stato costiero anche quando il suo proposito non sia quello della ricerca o dello sfruttamento di risorse.

Questa disposizione è a sua volta collegata all'articolo 246 in materia di ricerca scientifica nella ZEE e sulla piattaforma continentale34. I diritti sovrani dello Stato costiero non sono peraltro illimitati; essi "non pregiudicano lo statuto delle acque sovrastanti o dello spazio aereo al di sopra di tali acque"35 e "l'esercizio dei diritti dello Stato costiero sulla piattaforma continentale non deve ledere la navigazione o gli altri diritti e libertà riconosciuti agli altri Stati dalla Convenzione, né disturbarne l'esercizio in modo

33 L'art. 81 UNCLOS recita: "The coastal State shall have the exclusive right to authorize and regulate drilling on the continental shelf for all purposes".

34 La ricerca scientifica in tali zone può farsi solo col consenso dello Stato costiero, che deve normalmente essere concesso per le ricerche a scopi pacifici mirate ad accrescere la conoscenza scientifica a beneficio dell’umanità intera (cd. ricerca scientifica pura). Lo Stato costiero può però discrezionalmente rifiutarlo se il progetto per cui si chiede l’autorizzazione «comporta la perforazione della piattaforma continentale, l’uso di esplosivi o l’introduzione di materiale nocivo nell’ambiente marino» o abbia «rilievo diretto per l’esplorazione e lo sfruttamento di risorse naturali viventi o non viventi» (art. 246.5 UNCLOS), non essendo in questi casi rilevante il carattere puro della ricerca

35 L’art. 78.1 UNCLOS recita: "The rights of the coastal State over the continental shelf do not affect the legal status of the superjacent waters or of the air space above those waters".

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ingiustificabile"36. Tale disposizione non coincide interamente con quella simile dell'art. 56.2 UNCLOS, per cui, esercitando i suoi diritti nella zona economica esclusiva, lo Stato costiero "tiene debitamente conto dei diritti ed obblighi degli altri Stati e agisce conformemente alla Convenzione". Infine secondo l'art. 208 UNCLOS, lo Stato costiero è tenuto ad adottare una normativa per la prevenzione, la riduzione e il controllo dell’inquinamento che possa derivare dalle attività condotte sul fondo marino sotto la sua giurisdizione, o da isole artificiali e installazioni su di esso collocate. Tale normativa non deve essere meno efficace di quella adottata a livello internazionale che, attualmente, è scarna di norme internazionali adottate e ancor meno di quelle in vigore.

Per alto mare si intendono tutte quelle parti che non appartengono al mare territoriale, alle acque interne o arcipelagiche e alla ZEE. Per quanto riguarda la colonna d'acqua, l'alto mare si estende a partire dal limite esterno della ZEE e, dove questa non sia stata istituita, dal limite esterno del mare territoriale. Le disposizioni relative al regime dell'alto mare non si applicano alle aree marine incluse nella ZEE37. In sostanza il regime di quest'ultima, come anche quello della zona contigua, non è pleno jure come quello dell'alto mare in quanto mancante di alcune delle libertà precipue. Per questo

36 L’art. 78.2 UNCLOS recita: "The exercise of the rights of the coastal State over the continental shelf must not infringe or result in any unjustifiable interference with navigation and other rights and freedoms of other State as provided for in this Convention".

37 Cfr. art. 86 UNCLOS: "The provisions of this Part apply to all parts of the sea that are not included in the exclusive economic zone […]".

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motivo si fa ricorso alla categoria più generale delle acque internazionali che comprende la zona contigua e la ZEE, mentre si usa il termine alto mare per indicare gli spazi marini al di là della ZEE38. L'alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale, che possono esercitarvi per mezzo delle navi battenti le proprie bandiere le attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, pesca e ricerca scientifica39. L'unico limite è di non intaccare le libertà degli altri Stati, ma ci sono anche alcune ipotesi eccezionali, sia a livello generale (es. pirateria, diritto d'inseguimento) sia a livello convenzionale (pesca e contrabbando di stupefacenti) di interferenza sulle navi battenti bandiera straniera.

Per quanto riguarda il fondo marino, l'alto mare si estende al di là dei limiti esterni della piattaforma continentale, tenendo peraltro conto del fatto che il fondo dell’alto mare è l'Area internazionale dei fondi marini.

L'Area comprende il fondo marino e il suo sottosuolo al di là della giurisdizione nazionale. L'Area è aperta a tutti gli Stati40 e le sue risorse sono dichiarati dalla Convenzione del 1982 "patrimonio comune dell’umanità"41. In essa vige un regime di

38 CAFFIO F., "Alto mare", in Glossario del diritto del mare, III edizione,

2007, p. 17.

39 Cfr. art. 87 UNCLOS.

40 L'art. 141 UNCLOS recita: "The Area shall be open to use exclusively for peaceful purposes by all States, whether coastal or land-locked, without discrimination and without prejudice to the other provisions of this Part". 41 In linea con la Risoluzione 2749 XXV, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1970, su proposta dell'Ambasciatore maltese Pardo, nella quale è stato affermato per la prima volta tale principio.

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sfruttamento delle risorse minerarie disciplinato in via esclusiva dalla Parte XI della Convenzione, che ne riserva la gestione all'Autorità Internazionale dei Fondi Marini.

1.4 Le risorse transfrontaliere

1.4.1 Definizione e classificazione di risorse marine transfrontaliere

Se, da una parte, l'UNCLOS fornisce un quadro giuridico preciso per la delimitazione delle frontiere marittime e per i diritti sovrani esercitabili dagli Stati in modo che qualsiasi risorsa naturale al loro interno appartiene allo Stato che esercita il controllo su quel territorio, dall'altra lascia aperta la questione relativa allo sfruttamento delle c.d. "risorse naturali transfrontaliere" (natural transboundary resources) in quanto gli Stati vicini hanno accesso alla stessa risorsa con la conseguenza che qualunque attività di sfruttamento esercitata da uno Stato ha un impatto inevitabile sull'altro42.

In assenza di una definizione specifica, per descrivere tali risorse sono apparsi nel diritto internazionale e nelle relazioni internazionali altri termini. Così insieme a "transfrontaliere" questo tipo di risorse naturali sono anche dette "comuni"

42 SZEKELY A., "The International Law of Submarine Transboundary

Hydrocarbon Resources: Legal Limits to Behaviour and Experiences for the Gulf of Mexico", in International Natural Resources Journal, Vol. 26, 1986, pp. 733-768, p.736.

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(common) o "condivise" (shared). Quest'ultimo termine è ampiamente utilizzato dalla Commissione del diritto internazionale (ILC) nella suo lavoro sulla legge sulle falde acquifere e dei giacimenti di idrocarburi transfrontalieri43. Il termine "transfrontaliere" è più accurato e preciso perchè denota una cosa che attraversa o viene attraversata da un confine, mentre la parola "shared" (da "sharing", con-dividere) può risultare imprecisa, visto che riguarda azioni e atteggiamenti delle parti rispetto alla cosa-risorsa44. Anche quando gli Stati collaborano con i loro vicini per l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse transfrontaliere, queste possono essere considerate condivise da un punto di vista puramente fisico, ecologico o economico, ma non giuridico45. La distinzione appare più evidente se si osserva che nella maggior parte dei casi sono "contese" o "divise" piuttosto che "condivise".

Ecco perché "transfrontaliera" sia il termine più corretto per descrivere tali risorse ma, nonostante ciò, anche i termini come "condivisa" o "comune" sono altrettanto utilizzati come sinonimi.

Inoltre, anche se tali espressioni vengono usate per indicare

43 YAMADA C., Shared Natural Resources: First Report on Outlines,

International Law Commission, 55th Session, U.N. Doc. A/CN.4/533, 2003, p.3.

44 BEYENE Z., WADLEY I., "Common Goods and the Common Good:

Transboundary Natural Resources, Principled Cooperation, and the Nile Basin Initiative", UC Berkeley: Center for African Studies, in Breslauer

Symposium on Natural Resource Issues in Africa, 2004, p. 3.

45 "Anche accettando l'inevitabile unità naturale di uno dato deposito di risorse, la sovranità dello Stato sul suo territorio e sulle sue ricchezze naturali non può essere frammentata, nè tanto meno condivisa" da SZEKELY

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sia le risorse viventi46 che non viventi47, in relazione a quest'ultime sorgono particolari questioni legate al fatto che, essendo oggetto dell'appropriazione unilaterale dello Stato costiero48, la disciplina relativa alla sovranità sull'ampio margine continentale non sempre garantisce allo Stato costiero la piena disponibilità delle risorse.

La dottrina ci aiuta comunque a tracciare una definizione di tali risorse:

per risorsa naturale s'intende una materia prima di valore nel suo stato primario senza intervento o iniziativa umana;

col termine transfrontaliero si definiscono le risorse situate in un'area attraversata da un confine territoriale o marittimo che divide due Stati sovrani o uno Stato e una zona marittima, che va oltre i limiti della giurisdizione nazionale49;

➢ inoltre si deve anche intendere una risorsa naturale che sia in grado di attraversare quella frontiera e questa caratteristica chiave potrebbe anche classificarla come

46 Le risorse transfrontaliere che sono in grado di attraversare i confini perché sono creature animate sono le specie migratorie c.d. “sconfinanti” come pesci, uccelli, balene, foche o piccoli organismi trasportati passivamente dalle correnti e dalle maree sono disciplinate dalla generale regola della libertà di pesca se in alto mare, e soggette ai diritti sovrani degli Stati che hanno istituito una ZEE; oltre che a convenzioni regionali. 47 Vedi cap. 1.2.

48 Cfr. art. 77.3 UNCLOS (v. nota 13).

49 "They are those natural resources located in an area through which a land or territorial, fluvial, lacustrine or maritime border runs, separating two sovereign States or a State and a marine zone which is beyond the limits of national jurisdiction, namely, either the high seas or the international seabed area”, cfr. SZEKELEY A., idem nota 42, p.736.

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"risorsa naturale mobile transfrontaliera" così da tenerla distinta dalle "risorse naturali statiche";

le risorse naturali statiche (oro, legname, diamanti) si presentano come un caso relativamente "facile" che, quando contese, può risolversi riferendosi alle frontiere internazionali riconosciute e alla dottrina della sovranità permanente sulle risorse naturali50 essendo possibile accertare con una certa facilità i diritti di cui sono titolari le parti sulla linea di confine. L'eventuale contesa può essere concordata o stabilita mediante una determinazione giudiziaria e con l'applicazione di semplici tecniche di rilevamento geologico che stabiliscano la loro divisione in unità indipendenti.

Il lavoro degli studiosi si sofferma dunque sul "caso difficile" delle risorse naturali non viventi mobili transfrontaliere e in particolare sul petrolio e il gas quali esempi di risorse naturali che presentano problemi specifici relativi alla cooperazione e al coordinamento di settori internazionali e locali.

Il processo di "auto-equilibramento" (self-equilibration), osservato nei giacimenti petroliferi, nei depositi naturali di gas, nelle falde acquifere sotterranee o nelle acque di superficie, è un esempio emblematico per spiegare la caratteristica chiave della mobilità e della capacità di attraversare le frontiere in virtù del loro stato fluido51.

50 Cfr. Art. 2 della Carta delle Nazioni Unite sui diritti e doveri economici degli Stati, Risoluzione UNGA 3281 (XXIX), 12 Dicembre 1974.

51 "[...] by virtue of its state of flux" , cfr. BEYENE Z., WADLEY I., idem nota

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Dal punto di vista giuridico, lo sfruttamento delle "riserve52" comuni a cavallo del confine tra due Stati sovrani o, più in generale, di frontiere internazionali solleva complesse problematiche.

Poiché lo sfruttamento dei giacimenti condivisi coinvolge due o più Stati sovrani, sarà soggetto a regimi giuridici diversi e, di conseguenza, a termini e condizioni diverse per esplorazione, sfruttamento e trasporto del petrolio e del gas53.

Questa piccola rassegna delle questioni legate alle definizioni illustra alcune delle difficoltà inerenti al trattamento delle risorse naturali transfrontaliere nell'ambito del diritto internazionale e delle istituzioni.

Lo sfruttamento di questi giacimenti in un funzionamento coordinato e congiunto, rispettando la loro natura unitaria54, indipendentemente dai confini che li attraversano, sembrerebbe essere la strategia ideale per intraprendere il loro sviluppo da un punto di vista sia giuridico che tecnico ed ambientale.

52 Una "riserva" viene definita come: "a subsurface, porous, permeable rock body in which oil and/or gas has accumulated. [...] The three basic types of hydrocarbon reservoirs are oil, gas, and condensate", Petroleum Extension Service, the University of Texas at Austin, Dictionary for the

petroleum industry, 1991, p. 228., da URDANETA K., "Transboundary

Petroleum Reservoirs: A Recommended Approach for the United States and Mexico in the Deepwaters of the Gulf of Mexico", A Houston Journal of

International Law, 2010, Vol. 32, pp. 333-392.

53 Cfr. SZEKELY, idem nota 42, a p. 736.

54 Il principio dell' "unità del deposito" come mezzo per risolvere i problemi dei depositi petroliferi comuni a cavallo del confine tra gli Stati si riflette nella pratica bilaterale di stipulare accordi di cooperazione (V. cap.2).

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1.4.2 Questioni legate allo sfruttamento delle riserve transfrontaliere

Le riserve transfrontaliere possono creare questioni di natura politica e giuridica complesse in quanto non si conformano al carattere fittizio della demarcazione di confini politici e giuridici e perché "non si conformano alle linee di confine che delimitano la proprietà, alle limitazioni poste da licenze o da confini politici" ("do not conform to property lines, licensing demarcations, or political boundaries55").

Tali riserve sono caratterizzate normalmente da "un equilibrio complicato di pressione della roccia, pressione del gas e pressione dell'acqua sottostanti", tali che le operazioni d'estrazione possono cambiare ineluttabilmente le condizioni in un qualsiasi punto dell'intero deposito di gas naturale o di petrolio, possono estendersi in modo tale che "ciascuna porzione può essere sfruttata, interamente o parzialmente, dall'altra parte della linea di frontiera"56.

Inoltre è stato osservato come lo sfruttamento unilaterale recherebbe indubbiamente pregiudizio allo Stato vicino, determinando una violazione della sovranità territoriale esclusiva dell'altro Stato.

Dunque, quando i confini sono già definiti, i diritti sovrani

55 Cfr. UTTON A.E., MCHUGH P.D., "On an Institutional Arrangement for

Developing Oil and Gas in the Gulf of Mexico", Natural Resources Journal, 1986, pp. 717 e ss., p. 722.

56 Cfr. LAGONI R., "Oil and Gas Deposits Across National Frontiers", The

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finiscono spazialmente alle frontiere della piattaforma continentale, così che ogni deposito minerale che si estende attraverso una linea di confine, deve essere diviso in aree fisiche, ciascuna delle quali rientra nella giurisdizione dello Stato soprastante.

Ma tale assunto è difficilmente applicabile per risolvere i problemi di depositi di minerali liquidi, quali petrolio e gas naturale, in quanto, in primo luogo, non si è in grado di determinare il valore preciso del deposito e, in secondo luogo per loro capacità intrinseca di attraversare le frontiere57.

Nei casi in cui sono stati rinvenuti importanti giacimenti di idrocarburi in zone marittime oggetto di contesa o scoperti in zone non ancora delimitate da confini politici, la soluzione si è presentata più complessa.

La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) nei casi relativi alla Piattaforma Continentale del Mar del Nord ha osservato: "dato che è possibile sfruttare questo deposito dall'altra parte, sorge immediatamente un problema a causa del rischio di uno sfruttamento pregiudizievole o dannoso da parte di uno o dell'altro Stato interessato"58.

Quello che la Corte chiama in causa, strettamente connesso al principio di sovranità territoriale, è il principio di integrità territoriale. Tale principio risulterebbe violato in due possibili

57 LAGONI R., idem nota 56, p. 216.

58 Cfr. North Sea Continental Shelf Cases, Judgement, ICJ Reports, 1969, pp. 3 e ss., al par. 97, p. 52: " [...] Yet it frequently occurs that the same deposit lies on both sides of the line dividing a continental shelf between two States, and since it is possible to exploit such a deposit from either side, a problem immediately arises on account of the risk of prejudicial or wasteful exploitation by one or other of the States concerned".

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casi: quando l'estrazione è condotta da una parte della linea di confine fino alla parte del deposito nella piattaforma continentale dello Stato confinante; nel caso in cui l'estrazione, regolarmente condotta da un lato del giacimento, ha causato danni materiali all'altro59.

La regola della responsabilità dello Stato per i danni materiali al territorio di un altro Stato era già ampiamente sviluppata in relazione ai danni ambientali extraterritoriali, come l'inquinamento transfrontaliero causato da emissioni60, e per analogia alle operazioni di estrazione.

Tale responsabilità non si riferisce solo agli atti realizzati dagli attori di uno Stato, ma si estende anche all'uso fatto da ciascuno Stato del proprio territorio senza che detto uso debba ledere i diritti degli altri paesi.

Il pregiudizio che si considera deve essere “serio”, e questo è di una certa importanza non trattandosi di una semplice banalità61.

59 LAGONI R., idem nota 56, p. 217.

60 Sul principio consuetudinario del divieto di causare danni è famosa la sentenza arbitrale resa nel caso della Fonderia Trail, controversia tra Canada e Stati Uniti la cui soluzione venne deferita a un tribunale arbitrale costituito ad hoc, in relazione alla protesta degli agricoltori statunitensi che lamentavano l'immissione di fumi emessi da una fonderia situata in territorio canadese. Caso relativo alla fonderia Trail (Canada c. USA), Sentenza del tribunale arbitrale, 11 marzo 1941, UNRIAA, III, p.1965.

61 “[...] under principles of international law, as well as the law of the United States, no State has the right to use or permit the use of its territory in such manner as to cause injury by fumes in or to the territory of another or the property or persons therein, when the case is of serious consequence and the injury is established by clear and convincing evidence”, Sentenza del tribunale arbitrale, 11 marzo 1941, idem nota 60. Il passo della sentenza citato, stabilisce in via di principio una correlazione tra la condotta proibita e l’entità delle conseguenze della violazione. Secondo il ragionamento del tribunale, solo il danno “serio” darà luogo alla

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Ma stabilire l'entità delle violazioni del principio d'integrità territoriale sembra essere ancora più difficile del problema della divisione della sovranità, sopratutto per il delicato equilibrio della pressione interna che li caratterizza.

È evidente che senza conoscere le caratteristiche geologiche di un sito è difficile sostenere che uno Stato ha sofferto danni materiali causati da un altro; è ancora più arduo quantificare l'ammontare degli eventuali danni.

Ulteriori problemi derivano dal fatto che le attività minerarie sono di solito eseguite da aziende private che ricevono licenze/concessioni dallo Stato; in caso di danni materiali causati da tali società al territorio di un altro paese, lo Stato concessionario è responsabile, in conformità col diritto internazionale, solo se e quando dovesse risultare che aveva avuto notizia o avrebbe dovuto conoscere che il suo territorio sarebbe stato utilizzato per violare i diritti degli altri Stati62.

violazione della norma. Il caso Trail Smelter può essere considerato come un importante precedente che riconosce la applicazione del principio della responsabilità dello Stato per l’uso del territorio al problema dell’inquinamento transfrontaliero.

(33)

1.4.3 Normativa applicabile alle riserve transfrontaliere

L'assenza di apposite disposizioni atte a regolamentare risorse minerali transfrontaliere della piattaforma continentale tra Stati confinanti non significa che tali risorse non abbiano giocato alcun ruolo nei negoziati dell'UNCLOS. Per difendere i propri diritti sovrani sulle risorse di petrolio e gas naturale ponendoli sotto la loro giurisdizione, con particolare riguardo a quelle situate nelle immediate vicinanze dei confini, le delegazioni hanno cercato di evitare l'adozione di precise disposizioni.

Non a caso, nell'ultima fase di negoziati, la questione della delimitazione dei confini tra Stati con coste opposte o adiacenti è stato uno dei motivi di disaccordo, che ha portato all'adozione degli articoli 74 e 8363 relativi rispettivamente alla delimitazione della ZEE e della piattaforma continentale, fornendo così una formula ambigua e dibattuta.

63 L’art. 74, relativo alla ZEE, e l’art. 83, relativo alla piattaforma continentale, di UNCLOS recitano: "1.The delimitation of the exclusive economic zone/of the continental shelf between States with opposite or adjacent coasts shall be effected by agreement on the basis of international law […] in order to achieve an equitable solution. 2. If no agreement can be reached within a reasonable period of time, the States concerned shall resort to the procedures provided for in Part XV. 3. Pending agreement […], the States concerned, in a spirit of understanding and cooperation, shall make every effort to enter into provisional arrangements of a practical nature and, during this transitional period, not to jeopardize or hamper the reaching of the final agreement. Such agreements shall be without prejudice to the final delimitation. 4. Where there is an agreement in force between the States concerned, questions relating to the delimitation of the exclusive economic zone shall be determined in accordance with the provisions of that agreement".

(34)

Il numero di controversie relative alla delimitazione della piattaforma continentale che venne sottoposta alla Corte Internazionale di Giustizia in quel periodo fu una delle conseguenze dell'ambiguità e dell'imprecisione di queste previsioni64.

La Convenzione sembrerebbe ritienere che i diritti sovrani, autonomi ed esclusivi, riconducibili all'esplorazione ed allo sfruttamento delle risorse naturali, situate nel fondale marino e nel sottosuolo della piattaforma continentale, spettano agli Stati costieri del mondo e che essi ne possono gestire il relativo utilizzo senza riguardo per gli altri Stati.

Tuttavia una lettura più approfondita rivela un principio sottostante di collaborazione tra gli Stati in materia di gestione e sfruttamento di risorse comuni o condivise.

In attesa di un accordo relativo alla delimitazione della ZEE o della piattaforma continentale, gli articoli 74.3, 83.3, prevedono analoghe disposizioni, "[...] gli Stati interessati, in uno spirito di comprensione e di cooperazione, compiono ogni sforzo per addivenire a intese provvisorie di pratica natura e, durante questo periodo di transizione, non compromettere o ostacolare il raggiungimento dell'accordo finale".

Allo stesso modo l'articolo 123 di UNCLOS65 invita alla

64 BROWN E.D., "Delimitation of Offshore Areas: Hard Labour and Bitter

Fruits at UNCLOS III", Marine Policy, Vol. 5, 1981, pp. 172-179. Questi articoli sono stati il motivo principale per cui la Turchia e Venezuela non hanno ratificato la Convenzione.

65 L’art. 123 di UNCLOS recita: "States bordering an enclosed or semi-enclosed sea should cooperate with each other in the exercise of their rights and in the performance of their duties under this Convention. […]" (per la formulazione completa v. nota 140).

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cooperazione ed afferma che gli Stati limitrofi di un'area di mare chiusa o semi-chiusa sono tenuti a cooperare reciprocamente nell'esercizio dei loro diritti e nell'adempimento dei loro doveri ai sensi della Convenzione. Questa disposizione non fa riferimento alle riserve petrolifere comuni ma si riferisce invece alle risorse viventi del mare e dell'ambiente marino. Lo scopo dell'articolo 123 è quello di promuovere un'azione collaborativa tra Stati e tale principio può essere utilizzato per analogia in materia di sviluppo delle riserve comuni di petrolio.

Infine l'articolo 142 di UNCLOS stabilisce che "le attività nell'Area sono svolte tenendo debito conto dei diritti e degli interessi legittimi di qualsiasi Stato costiero sotto la cui giurisdizione ricadono questi depositi" e per l'istituzione di sistemi di comunicazione; e "nei casi in cui le attività nell'Area possono comportare lo sfruttamento di risorse che ricadono nella giurisdizione nazionale, è richiesto il consenso preliminare dello Stato costiero"66.

66 L’art. 142 di UNCLOS recita: "1). Activities in the Area, with respect to resource deposits in the Area which lie cross limits of national jurisdiction, shall be conducted with due regard to the rights and legitimate interests of any coastal State across whose jurisdiction such deposits lie. 2). Consultations, including a system of prior notification, shall be maintained with the State concerned, with a view to avoiding infringement of such rights and interests. In cases where activities in the Area may result in the exploitation of resources lying within national jurisdiction, the prior consent of the coastal State concerned shall be required. 3). Neither this Part nor any rights granted or exercised pursuant thereto shall affect the rights of coastal States to take such measures consistent with the relevant provisions of Part XII as may be necessary to prevent, mitigate or eliminate grave and imminent danger to their coastline, or related interests from pollution or threat thereof or from other hazardous occurrences resulting from or caused by any activities in the Area".

(36)

Tale disposizione richiede una notifica ed una consultazione preliminare al fine di evitare che i diritti e gli interessi di altri Stati possano essere lesi.

Anche se queste disposizioni di UNCLOS esortano alla cooperazione tra Stati, non fanno riferimento allo sfruttamento di depositi comuni di petrolio che attraversano frontiere marittime definite. Le disposizioni si riferiscono invece alle situazioni in cui le frontiere marittime non siano state determinate o in cui vi siano riserve transfrontaliere tra uno Stato ed un'area che appartiene più generalmente all'intera umanità.

Inoltre, dalla lettura d'insieme della Convenzione, è possibile concludere che il suo scopo è quello di stabilire un quadro giuridico nell’ambito del quale gli Stati possono co-operare per definire ed esercitare la loro giurisdizione marittima, nonché determinare l'uso ottimale delle risorse condivise.

Non ci sono però norme particolari relative ai diritti degli Stati sulle riserve transfrontaliere e non esiste alcun consenso su quali norme applicare per la disciplina dello sfruttamento dei giacimenti comuni.

Una consolidata letteratura giuridica individua tre possibili modi di approcciare una riserva transfrontaliera di idrocarburi nel rispetto dell'unità del deposito67:

1. attraverso l'applicazione della regola della

67 In questo senso v. LAGONI R., idem nota 56, pp. 219-221; MAURO M.R.,

"The Exploitation of Offshore Transboundary Marine Resources or those in Disputed Areas: Joint Development Agreements", in A. Del Vecchio (ed.),

International Law of the Sea: Current Trends and Controversial Issues, The

(37)

"appropriazione preliminare" o prior appropriation rule, secondo cui il primo Stato che avvia l'estrazione ottiene il diritto allo sfruttamento del contenuto dell'intero deposito. La caratteristica principale di questa norma è che porta alla trivellazione competitiva (competitive drilling) col rischio che questa comporta nel promuovere operazioni affrettate, con il conseguente rischio di uno spreco economico e fisico delle risorse.

Questo concetto deriva dalla "rule of capture"68 riconosciuta dal diritto interno di alcuni Stati, tra tutti gli USA, utilizzata per le risorse viventi e per i giacimenti transfrontalieri terrestri, che ipotizzava il bilanciamento dei diritti sovrani dello Stato con i doveri che ne conseguivano (non causare danno; gestione ottimale delle risorse).

I sostenitori di tale dottrina, facendo leva su un'interpretazione restrittiva di UNCLOS relativamente ai diritti degli Stati di sfruttamento delle risorse non viventi sulla piattaforma continentale (come le riserve di petrolio) ritenevano esistente una "rule of capture" internazionale69.

Tuttavia una tale conclusione può essere contestata per

68 Per il fondamento giuridico di questa norma nel diritto americano vedere ELY, "The Conservation of Oil", Harvard Law Review, 51,

1937-1938, pp.1209 e ss.

69 Secondo MORRIS J.W., "The North Sea Continental Shelf: Oil and Gas

Problems", International Lawyer, n. 2, 1967-1968, p. 206: “One who has the right to drill for and produce oil and gas from a particular tract of land may so produce such hydrocarbons even though the oil or gas so produced is drained from beneath the land of another”.

(38)

i motivi seguenti: (i) nessun diritto internazionale invoca esplicitamente la "rule of capture"; (ii) l'aumento delle prassi statali a favore di accordi bilaterali, implica che le parti sono restie ad applicare la norma in questione; (iii) il principio di conservazione dell'unità dei depositi risulta meglio attuato tramite lo sviluppo comune a causa della natura liquida degli idrocarburi70.

2. La seconda ipotesi prevede che, in assenza di un

accordo specifico di collaborazione o di condivisione per la messa in produzione dei depositi comuni, vi sia applicazione del principio di sovranità territoriale.

Questa norma ha effetti simili alla prior appropriation rule poiché comporterebbe una trivellazione competitiva ma è temperata dalla necessità di elaborare norme specifiche da applicare ai depositi di minerali liquidi. L'idea di cooperazione viene scartata dall'esperienza internazionale del periodo, centrata sull'accaparramento delle risorse71.

3. La terza regola è la cooperazione, proprio al fine di

evitare la trivellazione competitiva72. Questa posizione applica il principio di sovranità territoriale sul sottosuolo e obbliga lo Stato a non causare danni materiali a quelli confinanti; richiede, altresì, allo Stato

70 URDANETA K., idem nota 52, p. 372.

71 ANDRASSY J., "Les relations internationales de voisinage", Recueil des

Cours, 77, II, 1951, p. 127 e ss.

72 BARBERIS J.A., "Los recursos mineral compartidos entre Estados y el

derecho internacional", Derecho de la Integration, Vol.8, n. 18/19, pp. 55 e ss.

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di scambiare informazioni consultando l'altro Stato in presenza di depositi comuni. Il problema giuridico di questi depositi viene risolto con la condivisione della proprietà e degli interessi degli Stati coinvolti73.

La questione principale di questa posizione è la sostenibilità della proposta che presuppone l'esistenza di fatto, nel diritto internazionale, dell'obbligo di informare e consultare in presenza di depositi comuni.

La maggior parte delle prassi poste in essere per la gestione di riserve transfrontaliere si riferisce ad accordi bilaterali tra Stati vicini che è abbastanza uniforme, al pari di quella di includere clausole destinate ai depositi minerali negli accordi di delimitazione delle frontiere marittime.

Questa prassi potrebbe portare alla creazione di un diritto consuetudinario internazionale che indichi agli Stati di cooperare nell'esplorazione e nello sfruttamento dei depositi comuni di idrocarburi.

Attualmente non esistono norme vincolanti di diritto internazionale che impongano lo sfruttamento congiunto delle riserve transfrontaliere anche se sembrerebbe delinearsi una tendenza in questo senso in quanto gli Stati sono obbligati, per motivi pratici e economici, a collaborare nell'esplorazione e nello sfruttamento di tali risorse.

Infatti, benché non esista alcuna disposizione categorica in

73 ONORATO W.T., "Apportionment of an International Common Petroleum

Deposit", International and Competitive Law Quarterly, 1968, pp. 324-337, p. 325.

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