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Aspetti radiografici polmonari in cani affetti da leptospirosi

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

“Aspetti radiografici polmonari in cani affetti da

leptospirosi”

Candidato: Silvia Renai

Relatore: Prof.ssa Simonetta Citi

Correlatore: Dott.ssa Tina Pelligra

(2)

“A tutti coloro

che hanno contribuito

alla realizzazione di questo sogno”

(3)

INDICE

PARTE GENERALE

6

Introduzione 6

Capitolo 1: Leptospira, generalità 8

1.1 Eziologia e tassonomia 8

1.2 Trasmissione, epidemiologia e fattori di rischio 10

1.3 Patogenesi 13 1.4 Diagnosi 16 1.4.1 Esame colturale 17 1.4.2 Tecniche molecolari 18 1.4.3 Sierologia 19 1.5 Trattamento 21 1.5.1 Terapia antibiotica 21

1.5.2 Terapia per rene, fegato, apparato gastroenterico e polmone 22

1.5.3 Disordini emostatici e coagulativi 23

1.5.4 Terapia di supporto 23

Capitolo 2: aspetti clinici in corso di leptospirosi 24

2.1 Lesioni a carico del rene e relativa sintomatologia 25 2.2 Lesioni a carico del fegato e relativa sintomatologia 27 2.3 Lesioni a carico dei polmoni e relativa sintomatologia 29

2.3.1 LPHS- Leptospirosis Pulmonary Haemorhage Syndrome 31

2.3.2 ARDS- Acute Respiratory Distress Syndrome 32

2.4 Disturbi coagulativi 33

2.5 Altre lesioni e relativa sintomatologia 34

2.6 Morbo di Weil o Weil canino 37

2.7 Malattia di Stoccarda o tifo canino 37

Capitolo 3: Anormalità riscontrabili alla diagnostica per immagini 39

3.1 Aspetti radiografici della leptospirosi polmonare del cane 39

3.1.1 Semeiotica radiografica dell’emorragia polmonare 40

3.1.2 Anormalità radiografiche nell’uomo 41

3.1.3 Anormalità radiografiche del cane 43

(4)

3.2 Rilievi ecografici in corso di leptospirosi del cane 48

3.3 L’uso dell’ecocardiografia in corso di leptospirosi canina 55

3.3.1 Applicazione e rilievi dell’elettrocardiografia 56

3.3.2 Ecocardiografia e possibili alterazioni riscontrabili 57

3.4 Diagnostica per immagini avanzata: TC e risonanza magnetica 58

3.4.1 Tomografia computerizzata 58

3.4.2 Risonanza magnetica 61

PARTE SPERIMENTALE

63

Introduzione 63

Capitolo 4: Materiali e metodi 65

4.1 Criteri di inclusione 65

4.2 Aspetti clinici 65

4.3 Esami ematobiochimici 67

4.4 Radiografia toracica in entrata 67

4.5 Emodialisi 69

4.5.1 Chirurgia e radiologia di controllo 69

4.5.2 Emodialisi 71

4.6 Outcome della malattia 72

4.7 Analisi statistiche 72

Capitolo 5: Risultati 73

5.1 Classificazione in base all’outcome 73

5.2 Aspetti clinici 74

5.3 Esame radiografico 75

Capitolo 6: Discussione 81

Capitolo 7: Conclusioni 92

7.1 Conclusioni 92

7.2 Limiti dello studio 92

(5)

RIASSUNTO

Parole chiave: cane, leptospirosi, radiografia, emorragia polmonare, dispnea

La leptospirosi è una malattia infettiva sistemica con distribuzione mondiale che colpisce numerosi mammiferi tra cui anche l’uomo e il cane. Oltre alle forme con ittero, AKI, febbre, nel cane è aumentato il coinvolgimento polmonare, che nella maggior parte dei casi si presenta con emorragia polmonare e che viene diagnosticato con la radiografia toracica. Nel nostro studio retrospettivo 41 pazienti, 28 maschi e 13 femmine con leptospirosi sono stati suddivisi in 4 categorie in base all’outcome, sono state scattate radiografie in entrata ed è stata studiata la variazione tra il tipo di pattern polmonare, la sua distribuzione, il versamento pleurico e la dispnea in entrata. Il 51% dei pazienti aveva un pattern anomalo: l’interstiziale è stato il più comune e i lobi caudali i più colpiti; i deceduti per emorragia polmonare sono stati gli unici in cui il pattern interstiziale non è stato il più frequente. I pazienti con dispnea erano 10, di cui solo 2 sopravvissuti, gli altri 8 morti per cause respiratorie. La correlazione tra i vari aspetti radiografici considerati e l’outcome non è apparsa statisticamente significativa mentre quella tra dispnea e prognosi peggiore è risultata valida. Il nostro studio ha dimostrato anche che i cani con dispnea hanno elevata probabilità di avere alterazioni radiografiche ma che l’assenza di dispnea non esclude la presenza di segni radiografici patologici. Il coinvolgimento polmonare si è dimostrato la principale causa di morte del nostro gruppo di studio.

ABSTRACT

Keywords: dog, leptospirosis, x-ray, pulmonary hemorrhage, dyspnea

Leptospirosis is a worldwide distributed systemic infection that can affect several mammalian species, including humans and dogs. In addition to the classical manifestation with jaundice, AKI, fever, the pulmonary forms in dogs has increased in number and most of the time, these forms are characterized by pulmonary hemorrhage and diagnosed by thoracic X-ray. In our retrospective study, 41 patients, 28 males and 13 females with leptospirosis has been divided into 4 groups depending on the outcome, thoracic radiographs were obtained at the time of admission and the variability of the pulmonary pattern, its distribution, the pleural effusion and the dyspnea has been studied. 51% of the patients had a pathological pattern: the interstitial one was the most common, and the caudal lobes the most compromised; the ones who died for pulmonary hemorrhage were the only ones in which the interstitial pattern was less common. We found out dyspnea in 10 dogs, of which only 2 survived and 8 died for respiratory problems. The correlation between x-ray abnormalities and outcome wasn’t statistically significant, instead the one between dyspnea and a worst prognosis was found to be valid. Our study has proved that dogs with dyspnea had a high probability to show x-ray abnormalities but the absence of dyspnea doesn’t let us to exclude the presence of pathological radiographic signs. The main cause of death has been the pulmonary involvement.

(6)

PARTE GENERALE

Introduzione

La leptospirosi è una malattia infettiva acuta sistemica di tipo vasculitico, a carattere zoonosico, con diffusione mondiale, provocata dal batterio Leptospira spp. Le specie animali che possono essere colpite da questa patologia sono numerosissime, alcuni autori concordano sul fatto che potenzialmente tutti i mammiferi possano contrarre l’infezione [1], questo aspetto facilita moltissimo la diffusione dell’infezione che infatti non è più limitata solo alle zone calde e umide del pianeta, ma anche a quelle con climi temperati. Gli animali che contraggono l’infezione possono comportarsi in due modi: alcuni agiscono da reservoir quindi sviluppano pochi sintomi e in forma lieve, oppure non li sviluppano affatto e così albergano per lungo tempo il batterio, contribuendo fortemente alla sua emissione nell’ambiente esterno, mentre altre specie animali sensibili sviluppano forme di gravità variabile. Il cane può comportarsi sia da reservoir, in particolare per la serovar canicola, sia da ospite accidentale e sviluppare dunque la malattia. Le manifestazioni cliniche della leptospirosi sono molto varie e passano da forme lievi pauci-sintomatiche a forme gravissime e fulminanti; anche gli organi compromessi possono variare da individuo ad individuo: la forma classica e più nota è quella composta da ittero, insufficienza renale ed emorragie ma esistono anche forme più rare che coinvolgono i polmoni, l’apparato gastroenterico, il sistema nervoso, la muscolatura cardiaca e scheletrica ecc. Più recentemente le forme polmonari hanno assunto un crescente interesse non solo per via dell’aumento del numero di casi, sia nella medicina umana che in quella veterinaria, ma soprattutto per la gravità che possono avere e per quanto questa possa effettivamente minacciare la sopravvivenza del paziente infetto [1]. La leptospirosi polmonare si caratterizza per la presenza di emorragia polmonare più o meno profusa, derivante da un danno endoteliale la cui causa non è ancora del tutto chiarita e che presumibilmente è di natura multifattoriale; la presenza dell’infiltrato emorragico nel parenchima polmonare ne compromette la funzionalità fino a provocare insufficienza resiratoria e possibile morte dell’ospite infetto. Se in passato l’attenzione era maggiore sui danni a carico del rene o del fegato, oggigiorno si ricercano eventuali segni di danno polmonare in tutti i pazienti che siano sospettati di aver contratto l’infezione, per poter scongiurare le complicazioni respiratorie.

(7)

Il mezzo diagnostico maggiormente utilizzato per evidenziare la presenza della leptospirosi polmonare è la radiografia toracica. Sebbene ci siano ormai strumenti di diagnostica per immagini più avanzati e presumibilmente più sensibili e specifici nel rilevare le lesioni polmonari, in primis la TC (tomografia computerizzata), tuttavia la radiografia rappresenta ancora lo strumento più rapido, comodo e meno invasivo per identificare lesioni polmonari. Le due proiezioni laterali destra e sinistra e una proiezione ventro-dorsale o dorso-ventrale del torace, attraverso lo studio dei pattern polmonari e la ricerca dei segni radiografici sono fondamentali per poter confermare o escludere una leptospirosi polmonare.

I principali rilievi riportati dalla letteratura per quanto riguarda il cane comprendono pattern misti tra alveolare e interstiziale, con possibili aree di consolidamento, lesioni nodulari di dimensioni e numero variabili e possibile versamento pleurico; la distribuzione risulta più marcata ai lobi caudo-dorsali piuttosto che a quelli cranio-ventrali.

Lo scopo del nostro studio è, dunque, quello di studiare quali siano gli aspetti radiografici polmonari in entrata della leptospirosi del cane con particolare attenzione al tipo di pattern, alla presenza di dispnea e all’outcome della malattia, nel tentativo di evidenziare anche un possibile ruolo predittivo della radiografia toracica in pazienti con leptospirosi.

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Capitolo 1: Leptospira, generalità

1.1 Eziologia e tassonomia

La leptospirosi è provocata dall’infezione di un batterio appartenente all’ordine Spirochaetales, famiglia Leptospiraceae, genere Leptospira. Si tratta di un batterio Gram negativo, spiraliforme, con una dimensione media compresa tra i 3 e i 12 µm fino anche a 30-40 µm, dotato di un unico endoflagello che conferisce una elevata motilità e permette a questo microrganismo di eseguire movimenti di traslazione, rotazione e flessione; predilige ambienti microaerofili, con una concentrazione di NaCl < 2,5%, un pH compreso tra 7.2 e 7.6 e un optimum di temperatura compreso tra i 28 e i 30°C, anche se può sopravvivere fino a 41-42°C. E’ caratterizzato da una scarsa resistenza ambientale: per inattivarlo è possibile ricorrere alle radiazioni UV, a temperature di 50-55°C per circa 30-60’ e ai più comuni disinfettanti in soli 2-3’ [1].

La tassonomia del genere Leptospira risulta estremamente complessa ed è andata evolvendosi nel corso del tempo. Fin dal momento in cui questo batterio è stato isolato per la prima volta da Stimson nel 1907, il genere Leptospira è stato tradizionalmente suddiviso in due specie:

• Leptospira interrogans sensu latu che comprendeva microrganismi patogeni. • Leptospira biflexa sensu latu ovvero la specie saprofita, non patogena.

Questa suddivisione era basata sia su aspetti di virulenza e patogenicità dei microrganismi, sia su aspetti di diversa natura quali fenotipo o caratteristiche di crescita; ad esempio i saprofiti crescono in presenza di 8-azaguanina e a temperature più basse rispetto ai microrganismi patogeni [1].

Le classificazioni che sono state fatte successivamente sono di natura sierologica: sono state studiate, in particolare, le differenze sierologiche nella composizione dei lipopolisaccaridi del batterio, attraverso l’uso di anticorpi monoclonali specifici. Questo tipo di studi ha permesso di subclassificare le due specie in serovar che per definizione sono membri del genere Leptospira che reagiscono ad anticorpi monoclonali specifici diretti contro la componente di carboidrati dei lipopolisaccaridi del batterio. Le serovar correlate da un punto di vista antigenico sono state a loro volta raggruppate in sierogruppi; con questo termine si intendono gruppi costituiti da microrganismi strettamente correlati tra di loro da

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un punto di vista antigenico. Data questa loro correlazione, membri dello stesso sierogruppo vanno incontro al fenomeno di agglutinazione se vengono incubati con il siero di un paziente contente anticorpi diretti contro una serovar appartenente anch’essa al medesimo sierogruppo [1].

Più recentemente, grazie ad analisi filogenetiche più approfondite, è stata introdotta una suddivisione più precisa circa la patogenicità dei vari microrganismi che vede la presenza di non più due, ma tre categorie: batteri patogeni, batteri intermedi e batteri saprofiti.

I batteri patogeni sono responsabili di gravi forme sia nell’uomo che negli animali, mentre gli intermedi, che risultano ampiamente diffusi nell’ambiente, seppur avendo un presunto antenato comune con la categoria precedente, risultano responsabili di forme di malattia più moderate. I batteri saprofiti sono considerati come batteri ambientali assolutamente incapaci di provocare infezioni e patologie, tanto nell’uomo quanto negli animali.

La complessa tassonomia di questo batterio è andata complicandosi ulteriormente nel momento in cui si sono applicate le tecniche di tipizzazione molecolare e di indagine del DNA, le quali hanno permesso di differenziare e classificare i microrganismi su base genotipica. Si è così introdotto il concetto di genospecie o genomospecie, ovvero gruppi di batteri le cui molecole di DNA sono correlate per almeno il 70% e le cui sequenze di DNA correlato hanno al massimo un 5% di paia di basi divergenti [2].

La classificazione sierologica e quella genotipica coesistono tuttora, ma non sono perfettamente congrue in quanto membri della stessa genospecie non necessariamente rientrano nello stesso sierogruppo e allo stesso tempo, serovar facenti parte dello stesso sierogruppo possono appartenere a genospecie differenti, ad esempio la serovar Icterohaemorrhagiae può far parte o della specie L. interrogans oppure di L. inadai.

Ogni qualvolta venga individuata una nuova Leptospira, questa dovrebbe essere analizzata sia molecolarmente che sierologicamente per poter essere inserita adeguatamente nelle due classificazioni.

Riassumendo, ad oggi, gli studi sul genoma hanno portato all’individuazione di 35 specie differenziate su base genotipica di cui 13 patogene, 11 intermedie e 11 saprofite [3,4] e parallelamente, la sierotipizzazione ha permesso il riconoscimento di più di 23 sierogruppi patogeni che comprendono oltre 300 serovar [5]. Questi numeri sono tuttavia in continua evoluzione in quanto il ricorso e lo sviluppo di metodiche di indagine molecolare sempre più

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avanguardiste consente di sperare nella prospettiva che in un futuro prossimo potranno essere isolate e riconosciute nuove specie e potranno essere proposti nuovi standard per ridisegnare ed alleggerire il sistema di classificazione e nomenclatura attualmente in uso [4].

Nonostante i progressi che sono stati fatti sino ad oggi, la conoscenza della biodiversità e del comportamento ecologico di questo batterio è ancora superficiale [3]; sono numerosi, infatti, gli aspetti che devono essere tuttora approfonditi al fine di prevenire e limitare il dilagare dei contagi, sia tra la popolazione umana che tra quella animale. La sopravvivenza del batterio al di fuori degli ospiti, il tipo di interazioni che esso può avere con altri microrganismi nell’ambiente esterno, la caratterizzazione di quali specie si sviluppano nel terreno o nell’acqua, il ruolo che assumono le specie intermedie nel determinare infezioni e in generale, la diversità genetica delle specie circolanti sono tutti aspetti che devono essere ulteriormente caratterizzati e studiati per poter adottare sistemi di prevenzione e controllo (in primis i vaccini) più efficaci, per ridurre sensibilmente il rischio di infezione per via indiretta nell’ambiente esterno, per sviluppare strumenti di rilevamento e diagnosi che permettano un riconoscimento e un trattamento più rapido e adeguato dei soggetti infetti, per impostare terapie antibiotiche sempre più prestanti e mirate [3].

1.2 Trasmissione, epidemiologia e fattori di rischio

La leptospirosi è una delle più importanti zoonosi a diffusione mondiale che risulta drammaticamente presente. Si ritiene che, ad oggi, ci sia circa 1 milione di contagiati tra la popolazione umana, con oltre 60000 decessi ogni anno [3]; a questi dati si aggiungono numerosi focolai, non solo tra animali selvatici, ma anche tra animali domestici e bestiame, che contribuiscono a diffondere ulteriormente il batterio e a provocare ingenti danni economici. I contagi si registrano in tutte le aree climatiche del pianeta, con un’incidenza maggiore nelle zone tropicali piuttosto che in quelle temperate. Nonostante le condizioni per la diffusione siano migliori nei paesi in via di sviluppo, la trasmissione del batterio continua a verificarsi anche nei paesi industrializzati [2,6-8], compresa l’Italia, soprattutto in quelle aree in cui ci siano situazioni che favoriscano la persistenza di Leptospira spp come la presenza di animali selvatici, di bestiame e animali da reddito, di un’intensa attività di caccia e abbondanza di paludi, stagni e altre zone umide [8].

(11)

Il ciclo biologico di Leptospira spp è complesso e comprende l’ambiente esterno, ospiti asintomatici e ospiti accidentali che sviluppano la malattia in forme più o meno gravi; gli ospiti asintomatici sono caratterizzati da alta recettività ma bassa sensibilità, mentre gli ospiti accidentali da bassa recettività ma elevata sensibilità.

L’infezione degli ospiti accidentali può avvenire o per via diretta, più rara, quindi per contatto diretto tra l’urina di un soggetto infetto e la cute o le mucose che presentino soluzioni di continuo di un animale sensibile, oppure per via indiretta attraverso acqua o terreno contaminati, all’interno dei quali il batterio può sopravvivere per lunghi periodi.

La leptospirosi è considerata una malattia stagionale; data la suddetta relazione tra la sopravvivenza del batterio e la presenza di acqua, i focolai di infezione, sia tra la popolazione umana che tra quella animale, sono più frequenti in concomitanza di stagioni o aree geografiche caratterizzate da frequenti piogge e inondazioni. Sono numerosi, infatti, gli studi che hanno riscontrato un legame tra la quantità di piogge e il tasso di contagio da Leptospira spp nelle varie aree climatiche del pianeta [1,9]. Negli Stati Uniti e in Canada è stata dimostrata una correlazione positiva tra il numero di casi diagnosticati di leptospirosi e un aumento delle precipitazioni medie [10]. A ulteriore dimostrazione di quanto detto sinora, è confermata una maggiore predisposizione a contrarre la malattia in animali che hanno la possibilità di vivere vicini a sorgenti di acqua o comunque di nuotare o bere da fonti d’acqua esterne [1].

Per quanto concerne gli animali domestici e più in particolare il cane, è stato dimostrato che ci sia una effettiva influenza dello stile di vita del soggetto: uno studio del 2010 riporta come il tasso di Leptospira spp presenti nelle urine di animali ospitati in canile fosse significativamente superiore a quello di animali di proprietà presentati agli ospedali veterinari [11].

L’analisi dei fattori di rischio per la popolazione canina ha riportato dati contrastanti: da un lato si afferma che i cuccioli al di sotto dell’anno di età, i maschi adulti con un’età compresa tra i 4 e i 7 anni e le razze di più piccole dimensioni siano le categorie con la maggiore predisposizione all’insorgenza di malattia, dall’altro si ritiene che né il sesso, né la razza o l’età possano essere considerati come veri e propri fattori predisponenti [1,9]. Più certi sembrano invece i dati che indicano come più predisposti i cani impegnati in attività di caccia, i cani da pastore o più in generale i cani da lavoro, per il loro maggior contatto con la natura [1,9].

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La Leptospira è uno dei pochi batteri per i quali si può effettivamente applicare il concetto di “ospite di mantenimento”; con questa denominazione si intendono animali carrier, definiti anche reservoir, che pur essendo colonizzati dal microrganismo, appaiono totalmente asintomatici o sviluppano forme lievissime che potrebbero manifestarsi solo nel lungo termine.

Questa particolare condizione è possibile grazie a un lungo processo di adattamento e selezione del patogeno per determinate specie animali che consente di raggiungere un equilibrio fondamentale: gli ospiti di mantenimento convivono con l’infezione, ma al tempo stesso diventano ottimi serbatoi e garantiscono non solo la sopravvivenza prolungata del batterio, ma anche la sua emissione nell’ambiente esterno per mesi o addirittura per tutta la durata della loro vita [9].

I tubuli renali rappresentano la sede d’elezione in cui Leptospira spp si insedia persistentemente e l’urina diventa il mezzo più importante di trasmissione del contagio, non solo per contatto diretto, ma anche attraverso la contaminazione dell’habitat naturale delle varie specie di mantenimento; una volta raggiunto l’ambiente esterno, la sopravvivenza del batterio è legata alla presenza di terreno, acqua, umidità e temperature adeguate; le acque, soprattutto se stagnanti, rappresentano per il batterio un ottimo habitat nel quale esso è capace di sopravvivere anche per mesi [1,9], esponendo così gli animali sensibili, uomo compreso, al rischio di infezione per via indiretta.

Gli ospiti di mantenimento per eccellenza sono rappresentati dai piccoli roditori, tuttavia si presume che tutte le specie di roditori, marsupiali e mammiferi possano comportarsi da reservoir per le specie patogene di Leptospira spp. [1].

La specificità del legame tra l’ospite di mantenimento e le serovar che questo è solito albergare è variabile: esistono infatti legami ormai accertati e riconosciuti da tempo tra determinate specie animali carrier e specifiche serovar di Leptospira spp: in primis quello tra i roditori appartenenti al genere Rattus e la serovar Icterohemmorhagiae oppure quello tra il cane domestico (Canis lupus familiaris) e la serovar Canicola ma esistono anche una serie di legami molto più mutevoli e variabili che spesso sono influenzati anche dalla geografia; specie animali diverse possono ospitare più serovar a seconda dell’area geografica del pianeta che occupano [2]. Da ciò deriva che la distribuzione epidemiologica del batterio dipende in maniera intrinseca non solo dalle caratteristiche dell’ambiente esterno, ma altrettanto dalla fauna endemica che lo popola. La tabella n.1 mostra le principali associazioni tipicamente riconosciute tra ospite di mantenimento e serovar [2].

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1.3 Patogenesi

La trasmissione del batterio può avvenire o per via diretta, mediante l’urina di animali infetti, o per via indiretta attraverso acqua o terreno contaminati; nel cane sono state descritte anche la via transplacentare, la via venerea e la trasmissione mediante ferite da morso [9]. Leptospira spp può penetrare all’interno di un organismo ospite attraverso varie modalità:

• soluzioni di continuo della cute, localizzate soprattutto a livello delle parti distali degli arti o degli spazi interdigitali;

• attraverso la cute integra, ma macerata dall’acqua e dunque più permeabile;

• dalle mucose che hanno contatto con l’ambiente esterno (nasale, orale, congiuntivale o genitale), sia che abbiano soluzioni di continuo sia che siano integre; • attraverso il tubo digerente;

• sfruttando artropodi ematofagi, soprattutto le zecche, che sembrano comportarsi da vettori passivi, il che significa che si limitano ad albergare il patogeno e a trasmetterlo al momento del pasto di sangue;

Subito dopo il loro ingresso nell’ospite, le Leptospire patogene raggiungono il torrente ematico facilitate dalla loro spiccata motilità ed iniziano a replicarsi, diffondendo rapidamente in tutto l’organismo per via ematogena; si instaura così la fase di leptospiremia che perdura in media per 8-10 giorni ma che può avere una durata variabile a seconda della

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patogenicità della serovar infettante e della prontezza immunitaria dell’organismo ospite; fino a quando l’ospite non sviluppa una risposta immunitaria adeguata ed efficace a contrastare la presenza nel sangue del microrganismo patogeno, il batterio continua a replicarsi e diffondere indisturbato all’interno dell’organismo.

Durante la leptospiremia, il batterio raggiunge specifici organi target; nonostante infatti, la leptospirosi sia una patologia sistemica che riguarda l’intero organismo, alcuni organi vengono colpiti più degli altri: reni e fegato sono quelli maggiormente coinvolti, ma possono essere interessati anche i polmoni, alcune volte il cervello, la retina o la milza ed ancora endoteli, muscolo cardiaco, pancreas e tratto genitale.

Nel momento in cui il sistema immunitario dell’organismo ospite diventa in grado di contrastare questa ampia diffusione, la fase di leptospiremia finisce e il batterio innesca un meccanismo che gli consente di prolungare la propria sopravvivenza: si insedia in siti anatomici più “protetti” nei quali è meno raggiungibile dalla risposta immunitaria dell’ospite, riuscendo così ad eluderla. Questi siti anatomici sono soprattutto i tubuli renali, meno frequentemente l’occhio [1].

La localizzazione a livello dei reni dell’ospite fa sì che il batterio venga emesso nell’ambiente esterno con le urine; l’emissione ha una durata diversa da individuo ad individuo nonché in base alla serovar infettante. Infezioni sostenute dalla serovar Canicola sono caratterizzate da una emissione molto prolungata nel tempo, fino anche a due anni, mentre cani infetti da altre serovar hanno periodi di emissione molto più ristretti [9].

I meccanismi patogenetici della leptospirosi possono essere distinti in quelli derivanti dall’effetto diretto del batterio e dai suoi fattori di patogenicità e gli altri, provocati dalla risposta immunitaria dell’organismo ospite.

I fattori di patogenicità di Leptospira spp sono numerosi e molteplici e ad oggi non è ancora del tutto chiaro quali e quanti siano e come questi varino tra una serovar e l’altra.

Un dato certo è che dei 4768 geni individuati nel genoma di questa specie batterica, 50 sono tutti codificanti per strutture responsabili dell’ampia motilità del batterio [2]; questa caratteristica sembra essere estremamente utile al momento dell’infezione e della distribuzione del patogeno nell’organismo, in quanto permette al batterio di penetrare facilmente nelle cellule, di attraversare i vari tessuti e di muoversi facilmente nei mezzi fluidi.

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Altri fattori di patogenicità sono:

• i lipopolisaccaridi costituenti la parete dei Gram negativi che inducono aggregazione piastrinica e stimolano l’adesione dei neutrofili;

• alcune esotossine quali emolisine, sfingomielinasi C e H, fosfolipasi C, porine citotossine specifiche per le cellule renali, epatiche e polmonari

• OMPs (Outer Membrane Proteins) ovvero proteine esterne di membrana responsabili di danni, soprattutto a livello renale

• proteine responsabili di attività chemiotattica verso l’emoglobina

I principali meccanismi scatenati dalla risposta immunitaria dell’ospite che possono contribuire ad aggravarne la sintomatologia clinica sono:

• Deposizione di immunocomplessi con attivazione del complemento • Produzione di auto-anticorpi e fenomeni di cross-reazione

• Immunità cellulo-mediata

Il meccanismo esatto con cui Leptospira spp provochi danni a carico dei tessuti e induca disfunzioni d’organo non è chiaro e le ipotesi sono in continua evoluzione; per molto tempo si è ritenuto che l’evento chiave fossero fenomeni di vasculite diffusa, ma ad oggi sono numerosi gli studi in medicina umana e animale che non supportano più questa teoria [1,12]. Il coinvolgimento vascolare in corso di leptospirosi è da attribuire più probabilmente a una serie di cofattori piuttosto che a un singolo fenomeno di vasculite; le principali ipotesi indicano che la leptospirosi può agire anche:

• Scatenando meccanismi simili a quelli che si verificano in corso di sepsi quindi un iniziale danno endoteliale diretto a cui seguono aumento della permeabilità vascolare con vasodilatazione e ipotensione, adesione leucocitaria, instaurarsi di uno stato procoagulante con alterazione del microcircolo e formazione di microtrombi;

• Promuovendo l’attivazione piastrinica con aumento della concentrazione sierica di marker di aggregazione piastrinica

• Esprimendo geni che codificano per fattori che interferiscono con la coagulazione e che alterano l’emostasi

Rimane da considerare che tutte queste elencate sono ancora ipotesi e che per ognuna di esse esistono tesi sia a favore che a sfavore.

Un altro dato importante circa la patogenesi di Leptospira spp è la ampia diversità e complessità che si ritrovano anche nei segni clinici che insorgono nei soggetti infetti; al di là

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delle differenze dovute alle caratteristiche del singolo individuo (età, patologie pregresse o concomitanti ecc) c’è una variabilità legata proprio alla serovar infettante.

Numerosi studi hanno suggerito l’esistenza di una correlazione tra la tipologia di segni clinici sviluppati e la serovar infettante [13], ad esempio infezioni sostenute dalle serovar Icterohaemmoragiae e Canicola sono state associate con coagulopatie, malattie epatiche e sviluppo di insufficienza renale; tuttavia, questa correlazione non deve essere interpretata come una regola, infatti spesso accade che infezioni sostenute dalle stesse serovar diano quadri clinici differenti come nel caso della serovar Bratislava la cui infezione può esitare in forme asintomatiche, forme principalmente renali o forme miste renali ed epatiche.

Sarebbe più corretto affermare che la correlazione esista non tanto tra la serovar e il tipo di segni clinici ma piuttosto tra la serovar e la gravità con cui questi si manifestano; ad esempio, è confermato che le infezioni sostenute dalla serovar Pomona diano danni renali ben più gravi di altre serovar e con esiti della malattia infausti [13].

La riprova di quanto detto deriva da altri studi nei quali non sono state riscontrate differenze significative in termini di sintomatologia tra cani infettati da serovar differenti [14].

In conclusione, possiamo dire che esista una possibile correlazione tra segni clinici e serovar infettante, che la serovar abbia una effettiva influenza sulla gravità del quadro clinico dell’ospite ma che, come per tutto quello che riguarda questo batterio, ci sia una amplissima variabilità che ad oggi non è stata ancora compresa pienamente.

1.4 Diagnosi

Il sospetto di leptospirosi nasce dalla sintomatologia clinica del soggetto infetto e dalle alterazioni degli esami di laboratorio; le più comuni alterazioni ematologiche in corso di leptospirosi sono:

• Anemia

• Leucopenia nella fase di leptospiremia, seguita poi da leucocitosi nelle fasi più avanzate della patologia con neutrofilia, monocitosi e linfopenia

• Trombocitopenia

• Stati di iper o di ipocoagulabilità

Mentre le più comuni alterazioni del profilo biochimico sono:

• Aumento di urea e creatinina

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• Iponatriemia, ipocloremia, iper o ipofosfatemia e iper o ipokaliemia a seconda del danno renale

• Ipoalbuminemia

L’esame delle urine mostra frequentemente:

• Isostenuria (più rara l’ipostenuria) • Glicosuria

• Proteinuria • Ematuria • Bilirubinuria • Cilindruria

La diagnosi definitiva può essere effettuata sia individuando direttamente il batterio o parti di esso, che tramite prove sierologiche che ricercano gli anticorpi diretti contro il microrganismo; le opzioni a disposizione sono: esame colturale, tecniche molecolari e sierologia.

1.4.1 Esame colturale

Il batterio può essere isolato da campioni di sangue o liquido cefalorachidiano nei primi 7-10gg della malattia e poi da campioni di urina durante la seconda/terza settimana.

La crescita di Leptospira spp in laboratorio non è semplice in quanto impiega molto tempo per svilupparsi, richiede specifici terreni che non sono a disposizione di tutti i laboratori ed inoltre è risultata avere una bassa sensibilità e specificità [1,2].

I terreni utilizzabili possono essere solidi, semisolidi o liquidi; qualora si utilizzino le prime due tipologie si addizionano delle sostanze chiamate Tween che funzionano da tensioattivi. In linea generale si preferisce l’utilizzo di terreni liquidi in quanto sono più facilmente gestibili e già pronti ad essere utilizzati per la microagglutinazione che è una delle tecniche diagnostiche di maggior utilizzo.

EMJH, Korthof-Babudieri, Stuart, Fletcher sono i nomi dei terreni in cui si verifica la crescita di Leptospira spp, ma è comunque necessario aggiungere delle sostanze per promuovere lo sviluppo del batterio: ad esempio il piruvato di sodio e il 5-fluoro-uracile che agiscono come agenti selettivi, il glicerolo come fonte di nutrimento, la frazione quinta di albumina bovina che funziona da detossificante.

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Le piastre con i terreni seminati vengono incubate a 28-30°C e i tempi richiesti affinché il microrganismo si sviluppi variano da una settimana circa, a 20-25gg, fino anche a più di 90gg per alcune serovar più lente come Bratislava.

Da queste tempistiche risulta chiaro che la coltura di Leptospira spp in laboratorio sia applicabile in ambito di ricerca e non nell’iter diagnostico di casi clinici, i tempi richiesti sono infatti incompatibili con qualsiasi tentativo di formulare una diagnosi precoce e di impostare rapidamente una terapia nel tentativo di far sopravvivere l’ospite infetto.

1.4.2 Tecniche molecolari

La tecnica molecolare di elezione per la diagnosi di Leptospira spp è rappresentata dalla PCR quindi da quell’esame che consente di identificare la presenza del genoma batterico in campioni di organi o fluidi prelevati dall’organismo ospite. In tutti i casi sospetti di leptospirosi dovrebbero essere prelevati campioni di sangue e di urine prima della somministrazione di qualsiasi terapia antibiotica e dovrebbero essere analizzati separatamente, in quanto una loro eventuale miscela potrebbe ridurre la sensibilità della prova [1]; la PCR può tuttavia essere eseguita anche su campioni di tessuti.

Per aumentare l’efficacia della prova i campioni devono essere conservati adeguatamente: il sangue dovrebbe essere tenuto in provette con EDTA o eparinizzate prima dell’esecuzione degli esami e le urine non dovrebbero essere congelate; è stato dimostrato infatti che la sensibilità della prova si riduce fino anche al 60% su campioni di urine congelate piuttosto che su urina fresca [1,15]. Per quel che riguarda i tessuti, il DNA batterico risulta meno stabile in campioni non processati per cui questi ultimi dovrebbero essere conservati a +4°C e inviati ai laboratori il prima possibile [1].

La PCR è un esame di tipo quantitativo che ci consente di trarre varie conclusioni: nel momento in cui si ottiene un risultato positivo significa che è presente DNA batterico nel campione analizzato quindi che è avvenuta o è tutt’ora in corso l’infezione; se il paziente analizzato presenta una seria sintomatologia clinica e la PCR risulta positiva è molto probabile che sia in atto la fase acuta della malattia. Una positività sulle urine indica che quel soggetto sta eliminando il batterio per via urinaria, ma la PCR in questo caso non è in grado di indicare se si tratti di un portatore cronico oppure di un ospite accidentale nella fase acuta della malattia (per fare questa distinzione viene chiaramente in aiuto la sintomatologia sviluppata). Il grande vantaggio di questa tecnica è che, essendo un esame quantitativo, consente di poter formulare delle ipotesi circa la prognosi e il ruolo epidemiologico del

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soggetto analizzato: la carica batterica, in relazione con la sintomatologia sviluppata, consente di indicare se la prognosi sia più o meno fausta e di capire se il paziente che si ha di fronte possa rappresentare un ospite accidentale che svilupperà la malattia in forma grave o piuttosto un animale carrier che ricopre un ruolo epidemiologico fondamentale. In ultimo, la PCR può essere applicata anche per valutare l’efficacia di una eventuale terapia impostata, monitorando se ci sia o meno la riduzione della carica batterica nelle cellule dell’organismo ospite.

Un risultato negativo alla PCR ha il limite di non permette di escludere l’infezione in quanto la leptospiremia è transitoria (quindi il batterio potrebbe non essere più presente nel sangue ma essersi comunque insediato negli organi target) e allo stesso modo la leptospiruria è intermittente, dunque potremmo aver prelevato le urine nel momento in cui quel soggetto non sta eliminando il batterio per via urinaria; è necessario dunque fare attenzione a non interpretare falsi negativi.

Se fino ai tempi più recenti un limite di questa tecnica è stato quello di non riuscire a dare informazioni sulla serovar infettante (essendo un esame quantitativo e non qualitativo) e sulla sua patogenicità, oggi si può affermare che tale limite sia ormai superato. Sono state sviluppate e sono tutt’ora in via di sviluppo tecniche sempre più all’avanguardia che consentono di avere informazioni su quale sia la serovar infettante (ad esempio le tecniche VNTR o MLST) e di sapere se sia una Leptospira patogena o non patogena; esiste una tecnica di real-time PCR che ricerca lipL32 ovvero un gene che codifica per una lipoproteina di membrana che è presente solo nel genoma delle specie patogene e non è presente in quelle saprofite [2,10].

Ad oggi la PCR sulle urine è considerata la tecnica di eccellenza per l’individuazione degli animali carrier [16].

1.4.3 Sierologia

La MAT- microscopic agglutination test è la prova sierologica maggiormente utilizzata per la diagnosi di leptospirosi; il principio di questa prova è quello di ricercare la presenza di anticorpi agglutinanti nel siero di un determinato paziente, nel momento in cui questo viene messo a contatto con serovar conservate in vitro e di ricercare fino a quale diluizione sierica si mantiene la capacità agglutinante. Se si verifica agglutinazione significa che nel siero del paziente sono presenti anticorpi diretti verso una serovar appartenente allo stesso sierogruppo di quella conservata in vitro e che dunque quel paziente vi è venuto in contatto.

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In tutti i casi sospetti di leptospirosi la procedura migliore sarebbe quella di prelevare almeno una coppia di campioni in momenti diversi (ad esempio a distanza di una o due settimane uno dall’altro) in quanto l’analisi di un singolo campione sarebbe molto limitante; è consigliato inoltre, di interpretare le prove effettuate alla luce della profilassi vaccinale eseguita su quel soggetto. Nonostante la maggior parte dei cani vaccinati non mostrino anticorpi per le serovar presenti nel vaccino già dopo 15 settimane dalla vaccinazione, esistono comunque casi eccezionali in cui i titoli vaccinali persistono anche fino a 12 mesi dopo la vaccinazione il che può confondere molto nell’attribuire la presenza di anticorpi nel siero alla vaccinazione o a un’infezione [1].

Il criterio standard per affermare che la MAT sia positiva è il passaggio da una condizione di sieronegatività a titoli di 1/100 o un incremento dei titoli anticorpali di almeno quattro volte che significa che l’agglutinazione si mantiene per almeno due diluizioni consecutive del siero; altri studi indicano anche i cut off di riferimento per animali vaccinati e non vaccinati: titoli > a 1: 1600 devono essere attribuiti a infezione in animali con regolare vaccinazione, titoli > a 1:800 sono suggestivi di infezione in animali non vaccinati [17].

Per avere la massima efficacia per quel che riguarda l’identificazione della serovar infettante è necessario conoscere l’epidemiologia dell’area geografica in cui il paziente vive: a seconda dei dati epidemiologici il siero verrà testato per le serovar e i sierogruppi endemici o di più frequente riscontro il quel determinato territorio, in questo modo si riduce il rischio di avere falsi negativi e si aumenta la probabilità di capire, se non la serovar, almeno il sierogruppo di appartenenza del batterio infettante. Ad esempio, per l’Europa è previsto di testare il siero per le seguenti serovar: Australis, Autumnalis, Canicola, Icterohaemmorhagiae, Grippotyphosa, Pomona, Pyrogenes, Sejroe [16].

A questo proposito è necessario sottolineare che questa metodica risulta molto più sensibile e specifica nell’identificare la serovar infettante, quando il paziente analizzato vive in un territorio in cui la malattia non è così diffusa e la variabilità di serovar presenti è quindi più ridotta [2].

I limiti di questa prova diagnostica sono rappresentati dal fatto che gli anticorpi nel siero di un paziente effettivamente infetto possono non essere presenti nelle fasi iniziali dell’infezione, dalla difficoltà a distinguere tra titoli anticorpali indotti dal vaccino e titoli indotti da un’infezione, dalla possibilità di cross-reazione tra sierogruppi infettanti e sierogruppi utilizzati per la produzione dei vaccini, dalla limitazione nell’individuare la serovar infettante e infine, dalla forte variabilità dei risultati riscontrata tra i vari laboratori ( a questo proposito

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è consigliato inviare i propri campioni presso laboratori riconosciuti per questo tipo di analisi). Nonostante ciò la MAT rimane la prova diagnostica di routine più utilizzata per formulare diagnosi di leptospirosi [1,2,13].

Tra le prove sierologiche a disposizione, si stanno affermando anche delle tecniche ELISA semi quantitative per la ricerca di IgG e IgM specifiche per determinate serovar (in Europa per le serovar Icterohaemorrhagiae, Canicola, Pomona, Grippotyphosa) che offrono anche il vantaggio di una diagnosi precoce, le IgM infatti possono essere presenti nel siero dell’organismo infetto già nella prima settimana di infezione [1,2]. Altre tecniche disponibili, ma attualmente in disuso, sono il Western Blot, l’immunofluorescenza diretta, la microscopia in campo oscuro che seppur specifiche, scadono in termini di sensibilità [13].

1.5 Trattamento

Il trattamento della leptospirosi non prevede protocolli standard, in quanto deve essere adattato alla gravità con cui sono coinvolti i vari apparati e può variare da un semplice monitoraggio a terapie molto più complesse come l’emodialisi.

In linea generale un protocollo terapeutico per leptospirosi deve prevedere la somministrazione di antibiotici, l’organizzazione di una terapia sintomatologica dettata dalle manifestazioni cliniche del singolo paziente ed infine una terapia di supporto.

1.5.1 Terapia antibiotica

La terapia antibiotica deve essere mirata ed appropriata e le linee guida prevedono di iniziarla già al momento del sospetto di leptospirosi, senza aspettare una conferma diagnostica definitiva [1].

Il batterio risulta sensibile a vari antibiotici, il principio attivo più utilizzato in medicina umana e animale è la doxiciclina per os che viene somministrata per la sua capacità nell’eliminare la persistenza del batterio a livello dei tubuli renali nei pazienti infetti [1,2,17]. Un fattore da considerare prima di impostare definitivamente la terapia antibiotica è se il paziente possa tollerare o meno la somministrazione per via orale: è comune che in corso di leptospirosi possano esserci disturbi gastroenterici, tra cui anche vomito e diarrea, che renderebbero vano l’effetto dell’antibiotico. Nei soggetti in cui la doxiciclina per via orale non possa essere somministrata, si può ricorrere all’utilizzo di penicillina, ampicillina o amoxicillina per via endovenosa fino a quando le condizioni gastrointestinali non permettano la somministrazione della doxiciclina per os.

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Le linee guida prevedono di somministrare:

• 5 mg/kg ogni 12h o 10mg/kg ogni 24h per 14 giorni se si opta per la doxiciclina per os

• 20-30 mg/kg ogni 6-8h per l’ampicillina o amoxicillina EV e 25,000-40,000 U/kg ogni 6-8h per la penicillina EV

Tuttavia, l’efficacia di questo trattamento non è sempre garantita, è descritto il caso di un cane in cui né la doxiclina né la ampicillina sono riuscite a eliminare la leptospiruria che si è risolta solo in seguito alla somministrazione di streptomicina [1,18] e ci sono numerosi studi su modelli animali che non rilevano differenze tra l’uso della doxiciclina e di altri principi attivi; l’unica classe di antibiotici che effettivamente si è dimostrata meno efficace sui modelli animali è stata quella dei fluorochinoloni che infatti, non sono raccomandati per la terapia della leptospirosi.

1.5.2 Terapia per rene, fegato, apparato gastroenterico e polmone

Nelle forme di coinvolgimento renale si applicano le linee guida previste per la cura dell’AKI, quindi fluidoterapia adeguata a mantenere l’idratazione e l’emodinamica del paziente e a correggere l’equilibrio elettrolitico e lo stato acido-base. Particolare attenzione va posta al dosaggio dei fluidi per evitare condizioni di iperidratazione.

Una raccomandazione per i pazienti in AKI o con una ridotta funzionalità renale è quella di raddoppiare l’intervallo di somministrazione dell’antibiotico per non appesantire il rene. La terapia conservativa è generalmente sufficiente per pazienti con una lieve o moderata azotemia, nelle forme più gravi con oliguria o anuria è raccomandata l’emodialisi.

Il trattamento dei segni gastroenterici prevede una combinazione di antiemetici e gastroprotettori; per la gestione dell’epatopatia si ricorre generalmente a terapie di supporto o epatoprotettori a meno che non si tratti di forme di insufficienza epatica che richiedono terapie più mirate ai segni clinici indotti dalla disfunzione epatica (ad esempio encefalopatia epatica, crisi convulsive ecc).

Per i pazienti che sviluppano gravi forme polmonari le possibili soluzioni vengono dalla medicina umana: pazienti affetti da leptospirosi con coinvolgimento polmonare hanno ottenuto benefici dalla somministrazione di ciclofosfamide e trasfusioni di plasma; rimane da valutare se possano esserci benefici anche nel cane. Sono invece sconsigliati il desametasone e la desmopressina [1,19].

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1.5.3 Disordini emostatici e coagulativi

Qualora dovessero insorgere disordini coagulativi si può ricorrere ad antiaggreganti o nei casi più gravi di DIC alle trasfusioni di plasma, è sconsigliato invece l’uso dell’eparina a meno che il paziente non si trovi in un chiaro stato di ipercoagulabilità. Se i disordini emostatici sono associati a fenomeni emorragici può rendersi necessaria una trasfusione di sangue intero o di prodotti derivati.

1.5.4 Terapia di supporto

La terapia di supporto deve prevedere la gestione del dolore che può aggravare la manifestazione dei segni clinici ( si ricorre generalmente agli oppiodi che sono di più facile gestione rispetto ad altri analgesici e soprattutto a buprenorfina e fentanyl), la possibile insorgenza di inappetenza o anoressia che possono essere gestite con l’applicazione di un sondino esofagostomico o nasogastrico (l’alimentazione parenterale si riserva ai pazienti con vomito refrattario alla terapia) e la difficoltà respiratoria che può essere risolta o supportata mediante ossigenoterapia o nei casi più gravi con il ricorso alla ventilazione meccanica.

Le linee guida si esprimono anche in relazione al follow-up: la prima visita post dimissioni dovrebbe essere effettuata non oltre una settimana e le successive a distanza di una, due o tre settimane a seconda dell’andamento della sintomatologia clinica; una volta raggiunta la stabilizzazione, le visite cliniche vengono di solito organizzate a distanza prima di un mese, poi di tre ed infine due visite annuali.

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Capitolo 2: Aspetti clinici in corso di leptospirosi

La leptospirosi è una patologia che può svilupparsi con un’ampia gamma di manifestazioni cliniche, che variano da forme pressoché asintomatiche fino a episodi fulminanti. La gravità dei segni clinici e la prognosi sono influenzate da diversi fattori che comprendono caratteristiche dell’organismo ospite, del patogeno, e dell’ambiente esterno.

I fattori intrinseci dell’ospite infetto che hanno la maggiore influenza sono:

• Età

• Tipologia di risposta immunitaria

• Patologie pregresse o patologie concomitanti Le caratteristiche del batterio sono:

• Virulenza e patogenicità della serovar infettante • Via di trasmissione

• Carica batterica

Il principale fattore ambientale è rappresentato da:

• Coinvolgimento epidemiologico della zona geografica il che significa che l’infezione che si verifica in zone endemiche, in cui la malattia è sempre presente, è presumibile che abbia una gravità ben diversa dall’infezione che si verifica in zone in cui la presenza di Leptospira spp è molto più sporadica, proprio perché cambia la prontezza immunitaria e la suscettibilità dell’organismo ospite al batterio.

Per definizione, la leptospirosi è una malattia sistemica che può andare a coinvolgere potenzialmente l’intero organismo ospite; gli organi che più spesso vengono colpiti, che sono definiti anche come “organi target” sono il rene e il fegato, è ufficialmente riconosciuto infatti che la triade di sintomi con cui si presenta la maggior parte dei casi di infezione da Leptospira spp è data da insufficienza renale acuta, febbre ed ittero; i polmoni, l’apparato gastroenterico, il cuore, gli endoteli e l’occhio sono coinvolti in misura minore ma sempre con frequenza piuttosto elevata mentre l’apparto tegumentario, la muscolatura scheletrica, il sistema nervoso e l’apparato riproduttore sono compromessi più sporadicamente.

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2.1 Lesioni a carico del rene e relativa sintomatologia

Il rene rappresenta forse l’organo target per eccellenza nelle infezioni da Leptospira spp; le forme renali infatti, sono pressoché sempre presenti nei quadri sintomatologici in corso di leptospirosi. Le principali lesioni renali indotte da Leptospira spp sono l’esito di un processo di nefrite interstiziale acuta e necrosi tubulare acuta, con presenza di edema e infiltrato cellulare all’istologia, che si verificano per effetto diretto del batterio a livello renale; sembra infatti che il microrganismo produca delle sostanze citotossiche in grado di indurre danno cellulare e infiammazione all’epitelio dei tubuli renali [1]. Queste tossine, facenti parte della membrana esterna del batterio, hanno come target le pompe Na-K che sono presenti sull’epitelio dei tubuli renali ed agiscono con un effetto inibitorio sulla pompa stessa, andando così ad alterare tutti i sistemi di trasporto di sodio, potassio e cloro e determinando gli squilibri elettrolitici tipici delle disfunzioni renali [20].

Più raro, ma comunque possibile, è il coinvolgimento specifico del glomerulo con insorgenza di anormalità strutturali e riduzione della funzionalità glomerulare [1,21].

Nel complesso si instaura una condizione di AKI (Acute Renal Injury) che comporta una significativa riduzione della funzionalità tubulare e/o glomerulare.

Nonostante la patogenesi del danno renale sia comune, spesso la sintomatologia clinica è varia, a ribadire l’influenza delle caratteristiche dell’ospite nel definire la gravità della malattia.

I possibili segni clinici legati alla compromissione renale sono rappresentati da:

• Poliuria/polidipsia; la poliuria è il sintomo con cui più frequentemente si manifestano le lesioni renali ed è indotta dal mancato riassorbimento di sodio provocato dall’alterato funzionamento delle pompe presenti sull’epitelio tubulare, ma probabilmente anche da una resistenza dei dotti collettori della midollare all’effetto antidiuretico dell’ADH (anti-diuretic hormone). La polidpsia è un sintomo riflesso e compensatorio dell’incapacità del rene di concentrare adeguatamente le urine. • Oliguria/anuria; sono manifestazioni più rare e più gravi dell’AKI da leptospirosi che

possono minacciare la sopravvivenza dell’organismo ospite. L’oliguria infatti, genera conseguenze gravi quali iperidratazione con le sue ripercussioni vascolari, edema diffuso, iperkaliemia tale da indurre alterazioni della funzionalità cardiaca anche fatali, iperazotemia con gli effetti sistemici della tossicità dei composti azotati. Nel momento in cui la leptospirosi renale si manifesta con questa forma, l’unica misura salvavita adottabile è il ricorso all’emodialisi [1].

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• Ipo o iperkaliemia, iponatriemia, iperazotemia; il tipo di squilibrio elettrolitico e la concentrazione dei vari ioni nel sangue dipendono dalla capacità del rene di concentrare le urine e filtrare il sangue, nel caso ci siano poliuria e urine ipostenuriche è più probabile che la concentrazione ematica degli ioni si riduca, viceversa se insorgono oliguria o anuria.

• Isostenuria o ipostenuria, glicosuria e proteinuria; i primi due fattori dipendono dalla capacità o meno dei tubuli renali di concentrare adeguatamente le urine. La glicosuria e proteinuria indicano una alterazione della permeabilità della membrana glomerulare e sono parametri di alterata funzionalità renale.

• Disidratazione conseguente all’incapacità di concentrare adeguatamente le urine. • Tachicardie o altre aritmie che sono indotte dall’aumento della concentrazione

ematica del potassio che è una molecola cardiotossica. • Vomito, comune in corso di danno o insufficienza renale. • Dolore addominale

• Debolezza, letargia

Nonostante l’AKI sia la principale manifestazione della leptospirosi renale, è dimostrato che possano insorgere anche condizioni croniche. Un recente studio mette in evidenza come l’infezione da Leptospira spp possa in certi casi svilupparsi sotto forma di CKD (Cronic Kidney Disease) tramite meccanismi patogenetici che sono tipici delle lesioni croniche [22]. Secondo quanto indicato dalla figura n.1 una CKD può instaurarsi in due differenti contesti: in pazienti sottoposti a trattamenti errati oppure in portatori asintomatici.

Figura 1: possibili meccanismi di danno renale in corso di leptospirosi: in a l’infezione provoca un danno renale acuto che se non viene trattato adeguatamente può evolvere in CKD (cronic kidney disease) o addirttura in ESRD (end stage renal disease), se invece viene fatta la terapia antibiotica adeguata il rene può guarire. In b lo stato di portatore asintomatico di un animale carrier promuove la permanenza del batterio a livello renale il che può favorie o lo sviluppo di CKD/ESRD in forma primaria oppure agire da fattore predisponente lo sviluppo di CKD/ESRD come forme secondarie ad altri fenomeni lesivi sul rene, ad esempio colpo di calore o disidratazione. (da Yang et al. 2017)

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Il primo caso è quello di pazienti infettati dal batterio che inizialmente hanno sviluppato la forma classica con AKI ma che poi o non sono stati curati affatto o hanno ricevuto trattamenti non adeguati o in dosi non sufficienti; è stato dimostrato che se non vengono fornite le cure necessarie e in maniera tempestiva, il danno renale acuto indotto dalla presenza del batterio può predisporre allo sviluppo di CKD fino alla condizione definita come “end stage renal disease” [22]. Si instaurano infatti processi di nefrite interstiziale cronica e fibrosi interstiziale che nel tempo convertono il normale parenchima renale in tessuto fibrotico non funzionale, tale condizione viene riconosciuta come “rene grinzo” o “rene terminale”. L’altro caso in cui si può manifestare una patologia renale cronica è quella degli animali carrier che si comportano come portatori asintomatici del batterio oppure in tutti gli ospiti accidentali che però sviluppano sintomi subclinici, ciò infatti permette la persistenza prolungata del batterio a livello renale e l’instaurarsi di un processo patologico cronico che emerge con sintomi evidenti sono nel lungo termine.

È stato infine riscontrato che l’infezione da Leptospira spp oltre a indurre un danno renale primario, può agire anche come fattore predisponente o aggravante nel momento in cui dovesse instaurarsi un danno renale secondario, ad esempio in seguito a fenomeni di disidratazione o un colpo di calore [22].

2.2 Lesioni a carico del fegato e relativa sintomatologia

Il secondo organo target primariamente colpito dall’infezione è rappresentato dal fegato. Le lesioni epatiche principalmente rilevate all’istopatologia in corso di leptospirosi sono l’esito di processi di epatite, colestasi intraepatica, necrosi epatocellulare e tentativi di rigenerazione e fibrosi, edema peri-portale, infiltrato infiammatorio da lieve a moderato, localizzato nelle regioni peri-portale e centrolobulare, vacuolizzazione cellulare, granuli di emosiderina e proliferazione delle cellule del Kupffer lungo i sinusoidi epatici. La natura dell’infiltrato infiammatorio può variare ma spesso è caratteristica di processi cronici con predominanti i linfociti, possibili alcuni neutrofili, plasmacellule e macrofagi [1,23].

Come nel caso del rene, anche a livello epatico sono possibili epatiti acute o croniche, con stasi biliare o meno e con lesioni che vanno da danni epatici compensati fino a condizioni conclamate di insufficienza epatica. Un recente studio ha messo in evidenza che Leptospira spp può essere la causa di forme di epatite piogranulomatosa (un esempio in figura 2) anche

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in cani vaccinati e cani senza evidenti segni renali, anche se la correlazione tra queste due condizioni deve essere studiata più approfonditamente [23].

Figura 2: Epatite piogranulomatosa con marcata iperplasia dei dotti biliari, fibrosi e deposizione di pigmento (da McCallum et al, 2018)

Come è ben noto, il fegato è un organo centrale per le svariate funzioni che svolge (gestione di numerose vie metaboliche, detossificazione, sintesi di proteine, ormoni, fattori della coagulazione ecc) e nel momento in cui si instaura un danno, i segni clinici che insorgono variano a seconda di quale funzione viene compromessa maggiormente e della gravità dei processi patologici in corso. Sono possibili infatti forme di lieve danno renale in cui si riscontra solo un modesto aumento degli enzimi epatici, assolutamente compensabile, oppure forme gravi di insufficienza epatica con ittero, iperbilirubinemia, iperazotemia e encefalopatia epatica.

I segni clinici e le principali alterazioni di laboratorio sono riassunti nel seguente elenco:

• Aumento degli enzimi epatici che possono essere sia gli enzimi che esprimono un danno citolitico ovvero AST e ALT sia gli enzimi considerati come parametri di colestasi ossia GGT e ALP; l’aumento degli uni o degli altri aiuta a definire dove sia maggiormente localizzato il danno, a livello cellulare o a livello dei dotti biliari. • Iperbilirubinemia che insorge in seguito alla distruzione dei canalicoli biliari indotta

dalla presenza del batterio a livello delle giunzioni intercellulari [1].

• Ipoalbuminemia perché l’albumina, così come numerose altre proteine e molecole, viene sintetizzata a livello epatico.

• Alterazione dei tempi di coagulazione in quanto alcuni fattori della cascata della coagulazione sono sintetizzati dal fegato.

• Ipercolesterolemia; le proteine di trasporto del colesterolo (HDL,LDLD, VLDL) sono sintetizzate dal fegato.

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• Iperazotemia; l’utilizzo dei composti azotati derivanti dal catabolismo proteico per la sintesi di urea avviene nel fegato.

• Forma itterica o non itterica; sono possibili entrambe queste condizioni e la presenza o meno di ittero viene considerata come un fattore prognostico negativo; così come nell’uomo in cui la forma con ittero è considerata più severa e rapida, allo stesso modo nel cane la presenza di ittero e di concentrazioni di bilirubina oltre le 10µmol/L sono positivamente associate con esiti infausti della malattia [1].

• Ascite; una delle possibili cause di ascite è rappresentata dalla ipoalbuminemia, comune in corso di danno o insufficienza epatica. L’albumina contribuisce a definire la pressione oncotica intravasale per cui nel momento in cui la sua sintesi si riduce, la pressione oncotica si abbassa e ciò predispone a edema ed ascite.

• Diatesi emorragica con petecchie ed ecchimosi che deriva dai deficit coagulativi comuni in corso di compromissione epatica.

• Encefalopatia epatica; questo sintomo è comune nelle forme più gravi di insufficienza epatica accompagnate da un netto aumento della concentrazione ematica dei composti azotati che esercitano la loro tossicità a livello centrale.

• Feci acoliche che sono una conseguenza comune della colestasi intraepatica. • Perdita di peso: se il fegato è danneggiato numerose vie metaboliche, sia anaboliche

che cataboliche, sono gravemente compromesse.

2.3 Lesioni a carico dei polmoni e relativa sintomatologia

Le manifestazioni polmonari in corso di leptospirosi sono state per molto tempo considerate tipiche nelle regioni tropicali del pianeta e come eventi eccezionali nelle regioni temperate; oggigiorno invece, la letteratura scientifica umana e veterinaria è unanime nell’affermare che focolai di leptospirosi con segni polmonari importanti abbiano subito un significativo aumento di prevalenza in numerose aree geografiche del pianeta, tanto nell’uomo, quanto nel cane e in numerose altre specie animali [1,12,24,25]. È inoltre riconosciuto che le forme polmonari siano da considerarsi come gravi complicazioni della malattia e associate ad una prognosi peggiore [12,24,25].

Come per gli altri due organi sopra trattati, anche a livello polmonare le manifestazioni del danno indotto da Leptospira spp possono variare notevolmente in base alla serovar infettante, alle caratteristiche dell’ospite e all’ambiente in cui esso vive. Le manifestazioni

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più lievi sono provocate o da un danno diretto del batterio sulle cellule polmonari oppure da danni secondari come l’edema polmonare da iperidratazione, la polmonite ab ingestis o l’acidosi respiratoria le quali rappresentano condizioni che possono manifestarsi in corso di leptospirosi [1].

La sintomatologia che in genere accompagna le forme polmonari più lievi è data da tachipnea e dispnea più o meno marcata con affaticamento precoce del soggetto e debolezza.

Le forme lievi sono di minor riscontro da un punto di vista epidemiologico per due motivi: il primo è che può succedere che un paziente che presenti solo segni respiratori, lievi o moderati, non venga sospettato di essere infetto da Leptospira spp, e il secondo deriva dal fatto che se i segni polmonari lievi sono accompagnati da segni a carico di altri organi ben più intensi è presumibile che i primi passino in secondo piano.

La questione è invece diversa per le forme polmonari severe che, come detto in apertura, sono di sempre più frequente riscontro.

Le manifestazioni polmonari gravi vengono raccolte sotto la sigla SPHS (Severe Pulmonary Haemorrhage Syndrome); questa sindrome, caratterizzata da insufficienza respiratoria, descritta la prima volta in Asia e diffusa soprattutto in paesi tropicali o molto arretrati, sta assumendo una rilevanza sempe maggiore, in particolare per la medicina umana, in quanto sta divenendo sempre più spesso causa di morte dei pazienti infettati da Leptospira spp. Può manifestarsi o come possibile conseguenza della malattia di Weil, oppure come forma indipendente, ma in ogni caso raggiunge picchi di mortalità che superano anche il 75% [5]. La SPHS può presentarsi con due manifestazioni principali che sono una ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) oppure con gravi emorragie polmonari indicate anche come LPHS (Leptospirosis Pulmonary Haemmorhage Syndrome) [12]. I segni clinici che accompagnano questi fenomeni sono più numerosi e più gravi:

• Dispnea grave con atteggiamento a fame d’aria e mucose cianotiche • Dolore toracico

• Tosse e possibile emottisi • Possibile shock

• Riduzione del murmure vescicolare e rantoli all’auscultazione polmonare • Alterazioni radiografiche, ecografiche e tomografiche dei campi polmonari • Acidosi respiratoria

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2.3.1 LPHS- Leptospirosis Pulmonary Haemorhage Syndrome

È considerata una grave e sempre più comune manifestazione di leptospirosi acuta legata a una massiva emorragia intra-alveolare multifocale che può sfociare in emottisi grave e insufficienza respiratoria oppure presentarsi in forma fulminante, provocando rapidamente la morte del paziente infetto senza il tempo che si possano sviluppare specifici sintomi. Inoltre, l’emorragia polmonare può manifestarsi anche in soggetti che non sviluppano segni clinici così evidenti il che fa ritenere che questa sindrome sia effettivamente sottostimata [1]. I rilievi istopatologici principali sono edema intra-alveolare, depositi di fibrina, membrane ialine, emorragia, rigenerazione degli pneumociti di tipo II, necrosi della superficie degli alveoli, tutto ciò in presenza di vari gradi di

vasculite e infiltrato infiammatorio. Alla necroscopia si rilevano aree più o meno numerose e vaste di emorragia polmonare, come nella figura n.3.

La sua patogenesi non è ancora completamente chiarita e dal momento che sono in gioco molti fattori e che è assai difficile comprendere quale fattore pesi di più, ad oggi viene considerata come una sindrome multifattoriale. I meccanismi coinvolti sono:

• L’effetto diretto del batterio sull’endotelio dei vasi polmonari

• La risposta immunomediata del paziente • L’infiammazione locale e sistemica

Studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che il batterio è effettivamente in grado di esercitare un danno diretto sulla parete dei vasi polmonari: si lega infatti a molecole di adesione presenti sugli endoteli (come ad esempio la VE-caderina) e induce un cambiamento nell’espressione di proteine dell’ospite facenti parte della architettura cellulare [1]. Ciò provoca una alterazione della permeabilità dell’endotelio vascolare che predispone alla diatesi emorragica. Alcuni autori riportano come ulteriore meccanismo di danno diretto la produzione di tossine dirette contro gli endoteli e capaci di indurre vasculite [26].

Parallelamente, la risposta immunomediata dell’ospite ha un’influenza importante, sia come possibile meccanismo patogenetico primario, sia come fattore aggravante. La deposizione

Figura 3: foci multipli di emorragia polmonare alla necroscopia (da Bharti et al, 2003)

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lineare di immunoglobuline di tipo M, G ed A e del fattore C3 del complemento a livello della membrana basale dell’epitelio alveolare è stata dimostrata in modelli animali [1,12,27]. Uno studio condotto su 11 cani ha dimostrato la deposizione di IgG e IgM a livello della membrana basale del cane in più del 76% dei casi, mentre ha riportato una scarsa presenza di antigeni a livello alveolare[28]; a differenza di quanto evidenziato per il rene e il fegato, a livello dei polmoni la presenza numerica del batterio è risultata scarsa e non co-localizzata con le lesioni presenti [27]. Questo suggerisce che forse, il meccanismo patogenetico che ha il peso maggiore nel determinare danni polmonari è di tipo immuno-mediato piuttosto che un danno diretto [1,28]. Alla base del meccanismo immunomediato potrebbe esserci inoltre un pattern simile a quello riscontrato nella sindrome di Goodpasture in cui per cross-reazione sono prodotti anticorpi diretti contro il glomerulo renale e la membrana basale degli alveoli [12].

Ancora, sembra che sia possibile un’influenza anche da parte di processi infiammatori sia di tipo sistemico che locale; è stato dimostrato in un modello animale che la progressione di lesioni polmonari andava di pari passo con aumento dell’espressione di TNF (tumor necrosis factor) e della sintesi di ossido nitrico, che sono entrambi prodotti dell’infiammazione, in presenza di vari gradi di vasculite e infiltrato infiammatorio [12].

2.3.2 ARDS- Acute Respiratory Distress Syndrome

L’acronimo ARDS indica un intenso processo infiammatorio a carico dei polmoni che può essere provocato da una svariata serie di cause, sia dirette che indirette, il quale esita in un aumento della permeabilità vascolare e nella formazione di edema polmonare diffuso e ipossiemia che a loro volta determinano insufficienza respiratoria acuta e morte del paziente. Nel caso della leptospirosi, non deve essere considerata come una condizione indipendente dalla precedente, in quanto il principale motivo per cui si instaura questa severa infiammazione polmonare è proprio l’emorragia intra-alveolare; altri motivi alla base della sua insorgenza sono l’esito di un processo di sepsi con infiammazione sistemica oppure di una insufficienza multi-organo (MODS) che coinvolge la triade di polmoni, fegato e rene.

Anche in questo caso non è chiaro il meccanismo patogenetico alla base: le cellule endoteliali dei vasi polmonari sono effettivamente un target per il microrganismo, ma dal momento che la carica batterica a livello polmonare è nettamente inferiore a quella del sangue o di altri organi sono formulabili due ipotesi:

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