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Sviluppo di metodiche analitiche per la diagnosi e per il trattamento di pazienti affetti da fibrosi cistica mediante l'utilizzo di ICP-MS (Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry).

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UNIVERSITÀ DI PISA Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina

TESI DI LAUREA

Sviluppo di metodiche analitiche per la diagnosi e per il trattamento di pazienti affetti da fibrosi cistica mediante l’utilizzo di ICP-MS (Inductively Coupled Plasma

Mass Spectrometry). Relatore: Aldo Paolicchi Alessandro Saba Candidato: Nicola D’Onofrio Anno accademico 2018-2019

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Abstract

La disponibilità della spettrometria di massa, con caratteristiche di accuratezza, sensibilità e precisione elevate, consente lo sviluppo di metodologie analitiche altamente specifiche da utilizzare con finalità diagnostiche.

Con queste metodologie possono essere messi a punto metodi in ambiti assistenziali per i quali le metodiche a disposizione non consentono l’ottenimento delle performance analitiche necessarie.

In modo particolare possono essere sviluppati, avvalendoci della spettrometria di massa al plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS), metodi per la quantificazione e il dosaggio degli ioni metallici e di altri elementi di interesse diagnostico nelle matrici biologiche comunemente utilizzate, come urina e sangue, ma anche matrici più inusuali, nelle quali il ridotto volume del campione rappresenta un limite all’applicazione delle metodiche tradizionali, come ad esempio le lacrime e il sudore. È importante sottolineare che eventuali miglioramenti delle procedure e dei metodi non devono riguardare situazioni diagnostiche in cui c’è già la presenza consolidata di un kit funzionante ed economico utilizzato dai tecnici e dagli operatori su basi di routine.

Infatti esiste anche un aspetto prettamente economico che è in relazione ai costi della Sanità: la spettrometria ICP-MS pur garantendo prestazioni superiori alle metodiche tradizionali, in presenza di volumi assistenziali adeguati, consente costi analitici minori, e il contenimento dei costi in Sanità è un obiettivo di grande importanza nella attuale situazione di ristrettezza economica che mette in pericolo il mantenimento di standard assistenziali adeguati.

In questo senso, l’economicità dell’ICP-MS deriva anche dalla possibilità di effettuare l’analisi simultanea di più analiti con un costo complessivo che non supera di molto quello del singolo analita.

Lo scopo del presente lavoro di tesi, in particolare, è quello di valutare l’utilizzo dell’ICP-MS nella diagnosi della fibrosi cistica mediante analisi di campioni ricavati con test del sudore.

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INDICE

1. INTRODUZIONE

1.1 Che cos’è la fibrosi cistica? 1.2 Genetica della fibrosi cistica 1.3 Fisiopatologia della fibrosi cistica

1.3.1 Patologia delle vie aeree in fibrosi cistica 1.3.2 Patologia del pancreas in fibrosi cistica

1.3.3 Patologia del tratto gastro-intestinale in fibrosi cistica 1.3.4 Apparato riproduttivo e fibrosi cistica

1.3.5 Ghiandole sudoripare e fibrosi cistica 1.4 Diagnosi

1.5 Test del sudore per la diagnosi di fibrosi cistica 1.5.1 Test del sudore classico (QPIT)

1.5.2 Test di conduttività del sudore (Sistema di raccolta Macroduct) 1.5.3 Quantum sweat test (CFQT)

1.6 Aspetti critici nella diagnosi di fibrosi cistica 1.7 Medicina personalizzata e terapia farmacologica

1.8 Nuovi approcci per migliorare la diagnosi di fibrosi cistica, terapie a disposizione

1.8.1 Spettrometria di massa 1.8.2 Lo spettrometro di massa

1.8.3 Spettrometria di massa a plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS) 1.8.4 Validazione di un metodo analitico

2. SCOPO

3. MATERIALI E METODO

3.1 Test del sudore: materiali e metodi 3.1.1 Preparazione dei calibratori

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3.1.2 Preparazione dei Quality Control (QC) 3.1.3 Preparazione dei campioni

3.2 Procedura di campionamento e dati sperimentali 4. RISULTATI

5. CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA

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1. INTRODUZIONE

1.1 Che cos’è la fibrosi cistica?

La fibrosi cistica è una grave patologia genetica rara a trasmissione autosomica recessiva che affligge circa 70.000 persone in tutto il mondo, colpisce vari organi del corpo umano e porta alterazioni nel trasporto ionico a livello delle ghiandole esocrine. Una delle maggiori problematiche associate a questa patologia riguarda la produzione di secrezioni molto dense e viscose che si accumulano in organi come i polmoni, i seni paranasali, il pancreas, l’intestino e il fegato (Figura 1). Queste ostruzioni causano infiammazione con danno dei tessuti e progressiva distruzione dei sistemi d’organo coinvolti.

La perdita della funzionalità esocrina del pancreas ha come possibili effetti anche l’insorgenza di malnutrizione e difficoltà nella crescita.

Ad oggi, valutando le varie terapie a disposizione, la speranza di vita per i bambini nati con questa patologia è di circa 37 anni e la malattia polmonare ostruttiva è la principale causa di decesso nell’80% dei casi.

Il test attraverso il quale viene fatta diagnosi di fibrosi cistica è quello del sudore e prevede la misurazione della concentrazione di cloro nel campione di sudore del paziente in esame (> 60 mM).

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1.2 Genetica della fibrosi cistica

La fibrosi cistica è una malattia monogenica che colpisce in maggioranza individui di origine caucasica.

In Europa questa patologia viene diagnosticata in 1 neonato ogni 2.000-3.000 mentre negli Stati Uniti l’incidenza è di 1 su 3.500. È meno comune tra i neri d’America (1:15.000) e rara tra gli orientali (1:90.000). L’incidenza nella popolazione medio-orientale è meno conosciuta, si presume che si aggiri intorno a 1:10.000.

Per manifestare fibrosi cistica, un soggetto deve aver ereditato due geni CFTR difettosi, uno per ciascuno dei genitori: il gene si trova sul braccio lungo del cromosoma 7 in posizione q31.2, come illustrato in Figura 2.

Sono state individuate molte mutazioni correlate a questa patologia, tuttavia, la variante F508del nel gene regolatore della conduttanza trans-membrana della fibrosi cistica (CFTR, Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator Gene), scoperta più di due decenni fa, è considerata ancora oggi la causa più comune di insorgenza della patologia nei pazienti.

Fig. 2

Immagine tratta da: www.cusmibio.unimi.it

Oltre a questa, possono insorgere molte altre mutazioni, alcune delle quali risultano correlate con una determinata provenienza geografica oppure con l’appartenenza al ceppo caucasico.

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- Classe I: mutazioni che conducono ad una interruzione prematura della trascrizione con conseguente produzione di una proteina “tronca” che manca di una adeguata funzionalità.

- Classe II: mutazioni missense che originano un codone specifico per un amminoacido differente da quello originario.

- Classe III e IV: mutazioni che portano a risvolti riferiti alla ridotta capacità del CFTR di secernere o di condurre gli ioni cloro.

- Classe V: mutazioni che causano uno splicing anomalo che porta una riduzione della quantità di proteina funzionale prodotta.

Il gene CFTR, come già precedentemente accennato, codifica per una proteina canale trans-membrana implicata nel trasporto del cloro, che è attivata da una proteina chinasi A attraverso l’AMP ciclico e regola gli scambi elettrolitici e di altri composti a livello della membrana cellulare.

La proteina CFTR fa parte della famiglia delle proteine di trasporto ABC (ATP – Binding Cassette), e la sua struttura comprende quattro domini disposti in due metà simmetriche.

Ciascuna delle metà comprende un dominio trans-membrana (MSD1 e MSD2) e un dominio NBD (Nucleotide Binding Domain) che idrolizza l’ATP.

Le due porzioni della proteina sono collegate da un segmento regolatore che contribuisce a mediare l’apertura del canale del cloro nel momento in cui l’ATP si lega ai domini NBD.

L’idrolisi di una delle due molecole di ATP fa venire meno l’interazione tra NBD1 e NBD2 e ciò porta a chiusura il canale con conseguente interruzione del flusso degli ioni (Figura 3).

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Fig. 3

L’alterazione della funzionalità di questa importante proteina canale porta anomalie nel trasporto degli ioni cloro con conseguente ristagno delle secrezioni esocrine che diventano dense e difficili da smaltire.

Tale micro-ambiente è decisamente favorevole all’insediamento di patogeni opportunisti come Staphylococcus aureus e Pseudomonas Aeruginosa che possono causare gravi infezioni polmonari e condurre alla morte il paziente.

In particolare la colonizzazione dei polmoni ad opera di P. Aeruginosa, è un indicatore che fornisce importanti informazioni circa l’avanzamento della patologia polmonare associata alla fibrosi cistica.

Le mutazioni del CFTR di classe I e II sono caratterizzate tipicamente da un abbassamento dei livelli normali di proteina prodotta. Quelle di classe I possono essere originate da mutazioni nonsense, frame-shift oppure da difetti dello splicing

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Le mutazioni di classe II, inclusa F508del, portano a difetti del ripiegamento con conseguente ubiquitinazione e successiva degradazione della proteina anomala all’interno dei proteasomi.

Le mutazioni di classe III e IV sono all’origine della sintesi di una proteina canale anomala. Nello specifico quelle di classe III limitano il “gating” del canale, in quanto la proteina alterata presente sulla superficie della membrana ha una ridotta capacità di supportare il transito anionico (un esempio è G551D).

Canali CFTR con mutazioni di classe IV mostrano, in particolare, difetti a livello della conduttanza in quanto gli ioni cloruro e bicarbonato non sono in grado di passare liberamente.

Le mutazioni di classe V, al contrario di altre, non generano proteine anomale ma ne limitano la trascrizione e il risultato è una riduzione della quantità di CFTR funzionante sulla superficie cellulare.

Una nuova classe di mutazioni, quelle di classe VI, identificano l’evolvere di una situazione patologica all’interno della quale è presente un elevato e anomalo turnover del canale a livello della superficie cellulare (Figura 4).

Fig. 4

1.3 Fisiopatologia della fibrosi cistica

Le caratteristiche fisiopatologiche della fibrosi cistica sono infiammazione, danno tissutale progressivo e colonizzazione batterica cronica soprattutto a carico del tratto respiratorio, fenomeni apoptotici.

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I processi di apoptosi partecipano all’esordio della patologia e riguardano varie tipologie di cellule con livelli di suscettibilità variabili.

Per apoptosi si intende il processo di morte cellulare programmata: funzione estremamente utile all’organismo durante lo sviluppo embrionale per la regolazione del numero di cellule, oppure nell’età adulta come meccanismo difensivo per la rimozione di cellule potenzialmente pericolose (linfociti auto-reattivi o cellule tumorali).

Il complesso intracellulare che avvia l’apoptosi dipende da una famiglia di proteasi dette caspasi (sintetizzate come precursori inattivi, le pro-caspasi). Una volta attivate, le caspasi si auto-attivano e generano una cascata proteolitica che si amplifica costituita da caspasi iniziatrici ed esecutrici.

Un aumento della suscettibilità cellulare all’apoptosi potrebbe contribuire all’instaurarsi della grave situazione infiammatoria che affligge i pazienti con fibrosi cistica.

Nonostante i grandi progressi ottenuti per la comprensione profonda di questa patologia, non esiste ancora una cura e le strategie terapeutiche prevedono il targeting della proteina CFTR per mezzo della terapia genica e cellulare e della farmacoterapia.

L’assenza oppure il cattivo funzionamento del canale CFTR determina un forte squilibrio ionico che provoca secrezioni di muco denso con una conseguente ostruzione delle mucose all’interno di ghiandole e organi.

1.3.1 Patologia delle vie aeree in fibrosi cistica

Nei tessuti bronchiali, la proteina CFTR è molto espressa a livello della superficie apicale delle cellule epiteliali ciliate e svolge un ruolo critico nella riparazione delle lesioni dell’epitelio.

Il trasporto del muco e delle varie secrezioni a livello polmonare è facilitato da una adeguata idratazione del liquido superficiale delle vie aeree (ASL), l’idratazione dell’ASL è ottenuta grazie alla presenza di un gradiente osmotico con un flusso predominante di ioni cloruro attraverso i canali CFTR e con moderato afflusso di ioni sodio attraverso i relativi canali sulla membrana apicale.

L’inattività oppure il cattivo funzionamento del CFTR altera questo equilibrio ionico a causa di un mancato efflusso del cloruro e dell’iper-assorbimento di ioni sodio. Questo meccanismo molecolare è il principale responsabile dell’aumento della viscosità e della densità dell’ASL con compromissione del trasporto a livello muco-ciliare. Ciò può condurre all’ostruzione delle vie aeree, a infezioni batteriche di vario

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Fisiologicamente, all’interno delle vie aeree, è presente un sottile strato di muco che ha lo scopo di intrappolare gli agenti patogeni e gli allergeni provenienti dall’ambiente esterno.

Una sua produzione eccessiva oppure variazioni della composizione che ne alterano le proprietà, possono provocare l’ostruzione del flusso d’aria e, contemporaneamente, creare delle condizioni ambientali favorevoli per la proliferazione di agenti batterici colonizzatori.

Il muco è ricco di sostanze nutritive che vengono sfruttate e processate dai batteri che danno origine a infezioni polmonari croniche con gravi danni strutturali dei tessuti fino allo sfiancamento dei bronchi e alla formazione di dilatazioni di essi all’interno delle quali l’accumulo di muco e detriti cellulari favorisce ulteriormente le infezioni (bronchiectasie).

L’ostruzione delle vie aeree inizia già nei primi mesi di vita e causa un’alterazione della funzionalità e della perfusione polmonare come illustrato in Figura 5.

Fig. 5: Sezioni delle vie aeree di un soggetto sano utilizzato come controllo, un paziente con fibrosi cistica, un paziente con BPCO. Si nota molto bene la mancanza di pervietà delle vie aeree nei due pazienti affetti da patologia rispetto al soggetto sano.

La sottile pellicola di muco normalmente presente in un individuo sano, che ricopre completamente la superficie delle vie aeree, contribuisce a intrappolare ed a eliminare gli agenti patogeni, gli allergeni e le sostanze irritanti inalate con la respirazione.

Il muco viene rimosso costantemente dal movimento delle ciglia dell’epitelio polmonare in modo da evitare il suo accumulo.

Nelle vie respiratorie sane, il muco viene idratato e reso fluido grazie alla secrezione di sali e di acqua mediata dal CFTR e dai canali alternativi per il cloro, mentre i processi di assorbimento sono mediati dai canali epiteliali del sodio (ENaC).

Nell’individuo affetto da fibrosi cistica, il cattivo funzionamento dei canali CFTR porta una disidratazione delle vie aeree con conseguente alterazione della composizione

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del muco che verrà rimosso con maggiori difficoltà dalle cellule ciliate come illustrato in Figura 6.

Il ristagno del muco porta infezioni, infiammazione, metaplasia delle cellule caliciformi, ipersecrezione e danno strutturale delle pareti polmonari6.

Fig. 6

1.3.2 Patologia del pancreas in fibrosi cistica

L’insufficienza pancreatica si verifica nel 90-95% dei pazienti affetti da fibrosi cistica: l’alterata secrezione degli enzimi digestivi e il conseguente malassorbimento a livello intestinale comporta diverse conseguenze tra le quali steatorrea (eliminazione di grasso con le feci) e rallentamento della crescita.

Lo squilibrio ionico che viene a generarsi a livello del tratto biliare è una delle cause dell’aumento di patologie epatobiliari e della formazione di calcoli.

Anormalità del pancreas possono causare una forma particolare di diabete indotto da fibrosi cistica, che colpisce il 25% dei pazienti affetti da fibrosi cistica con età inferiore a 25 anni.

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Il diabete correlato alla fibrosi cistica (CFRD, Cystic fibrosis related diabetes), ha caratteristiche di fisiopatologia in comune con il diabete tipo 1 e 2 come carenza di insulina ma anche insulino-resistenza.

L’accumulo di secrezione viscosa all’interno dei canali provoca danni ostruttivi nel pancreas esocrino con progressiva steatosi e deposizione di amiloide nelle isole pancreatiche.

Il difetto principale della CFRD è la carenza di insulina tuttavia anche la secrezione di altri ormoni insulari è compromessa.

Si sviluppa un’intolleranza al glucosio, in particolare, una compromissione della capacità dell’insulina di sopprimere adeguatamente la produzione del glucosio epatico, la lipolisi e la proteolisi.

Il trattamento con l’insulina è l’unica terapia medica raccomandata per i pazienti affetti dalla CFRD. Oltre al controllo della glicemia, la terapia insulinica può contribuire a stabilizzare la funzionalità polmonare e migliorare lo stato nutrizionale dei pazienti con CFRD.

Anche la terapia nutrizionale è importante per questi pazienti e la restrizione calorica, in generale, non è raccomandata. Si deve limitare perlopiù l’assunzione di zuccheri semplici mentre è consigliato assumere proteine7.

1.3.3 Patologia del tratto gastro-intestinale in fibrosi cistica

La disfunzione del CFTR del tratto gastrointestinale (GI) nei pazienti affetti da fibrosi cistica si verifica con i medesimi meccanismi riscontrati precedentemente nelle vie aeree. È presente la stessa triade pato-fisiologica: ostruzione, infezione e infiammazione.

Il gene CFTR è debolmente espresso nello stomaco mentre i suoi livelli di espressione sono forti lungo tutto il tratto intestinale, con picchi di espressione più alti nel duodeno (secrezione di muco da parte delle ghiandole di Brunner); l’espressione CFTR è più moderata nell’intestino crasso.

Lo studio della localizzazione e dell’espressione del CFTR nelle varie porzioni contigue dell’intestino riflette la necessità di secernere il bicarbonato e fornisce importanti informazioni che riguardano i meccanismi di secrezione di fluidi nell’organo. L’intestino prossimale riflette una più alta concentrazione di bicarbonato a causa della sua prossimità con lo stomaco che riversa il suo contenuto acido nel lume dopo che è avvenuta la digestione.

Tale acidità viene prontamente neutralizzata, appunto, dal bicarbonato che contribuisce anche a supportare l’attività degli enzimi pancreatici che giungono nel duodeno attraverso il dotto cistico.

Quando è presente una scarsa funzionalità del canale CFTR, l’acido gastrico non viene adeguatamente neutralizzato nell’intestino e questo contribuisce all’instaurarsi di una cattiva funzione digestiva e di assorbimento dei principali elementi nutritivi.

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La perdita di funzione del CFTR si traduce anche in una rapida disidratazione dell’ambiente luminale intestinale.

La carenza di bicarbonato contribuisce al mantenimento dell’acidità post-prandiale prolungata all’interno del lume dell’intestino tenue prossimale. L’alterazione dell’ambiente luminale porta all’accumulo di muco che è l’evento patologico più importante e grave nei pazienti affetti da fibrosi cistica.

Il muco in eccesso può condurre a complicanze gravi tra cui l’ostruzione dell’ileo terminale o dell’intestino crasso prossimale, questa condizione deve essere trattata con farmaci oppure con la chirurgia in quanto, se trascurata, può condurre alla rottura delle pareti dell’organo e alla sepsi.

Nei casi più gravi (Figura 7) è necessaria la rimozione chirurgica del blocco con o senza resezione del tratto intestinale interessato dall’ostruzione.

Fig. 7: Ostruzione dell’intestino in un paziente affetto da fibrosi cistica.

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Nell’individuo in salute, la presenza dell’acido gastrico, la peristalsi, i fluidi intestinali, proteine antibatteriche e l’attività meccanica della valvola ileocecale aiutano a controllare i bassi livelli della flora batterica all’interno del piccolo intestino.

Nel caso in cui uno o più di questi sistemi di controllo vengano meno, si può verificare una colonizzazione batterica intestinale incontrollata (SIBO); questa complicanza è all’origine di sintomi come diarrea, distensione addominale, anemia macrocitica e perdita di peso.

Il sistema diagnostico più comunemente utilizzato per la SIBO è il test del respiro dopo l’ingestione di zucchero che misura le esalazioni di idrogeno e metano derivate dai processi metabolici batterici (prodotti della fermentazione microbica).

Il processo infiammatorio generalizzato e protratto nel tempo a carico dell’intestino nei pazienti affetti da fibrosi cistica può contribuire ad aumentare la loro suscettibilità nei confronti di altre patologie come il morbo di Crohn e la celiachia8.

1.3.4 Apparato riproduttivo e fibrosi cistica

L’assenza bilaterale del dotto deferente (presente nel 99% dei maschi adulti affetti da fibrosi cistica) è un grave difetto che impedisce il trasporto degli spermatozoi dalle porzioni interne dei testicoli e dall’epididimo verso i vasi deferenti, ne consegue azoospermia.

Le problematiche di fertilità femminili hanno risvolti meno gravi rispetto a quelle maschili e riguardano principalmente un aumento della viscosità del muco all’interno della cervice uterina.

1.3.5 Ghiandole sudoripare e fibrosi cistica

Le ghiandole sudoripare sono ghiandole esocrine cutanee dotate di particolari ripiegamenti epidermici che si approfondiscono all’interno del derma. Esse si suddividono in apocrine ed eccrine.

Mentre le ghiandole apocrine si attivano in età prepuberale e non ricoprono alcun ruolo nella termoregolazione, quelle sudoripare eccrine sono costituite da una struttura che comprende un glomerulo situato in profondità nel derma e un dotto che le pone in collegamento con l’ambiente esterno: queste ghiandole sono fondamentali ai fini della regolazione della funzione di termoregolazione accoppiata alla sudorazione.

Le cellule glomerulari, anche grazie all’interazione dell’acetilcolina con i recettori muscarinici, vengono indotte a secernere liquido all’interno del lume (simile a plasma deproteinato).

Questa secrezione scorre attraverso il dotto e subisce gli effetti riassorbenti, nei confronti dei sali e dell’acqua, delle cellule che lo compongono.

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Le cellule del dotto riassorbono anche Na+ e Cl-, il sodio entra attraverso il canale

apposito (ENaC), mentre il cloro è riassorbito grazie al regolatore trans-membrana della fibrosi cistica (CFTR).

La maggioranza dei pazienti con diagnosi di fibrosi cistica presenta livelli di cloruro nel sudore superiori a 60 mM per litro e questo accade perché viene meno la funzionalità della proteina CFTR che è la principale responsabile del mantenimento dei meccanismi di riassorbimento del cloruro e del sodio.

Il funzionamento anormale del CFTR compromette i processi di riassorbimento di Cl

-e, conseguentement-e, anche del Na+.

In condizioni fisiologiche normali, le secrezioni isotoniche viaggiano dall’acino della ghiandola sudoripara fino alla superficie della pelle e le cellule epiteliali che rivestono i dotti agiscono con il fine di riassorbire NaCl. La conseguenza della loro attività sarà quella di produrre un sudore ipotonico, ovvero con pressione osmotica che risulta inferiore se paragonata con quella del plasma.

Gli individui affetti da fibrosi cistica secernono normali volumi di sudore nel glomerulo delle ghiandole ma presentano un difetto del riassorbimento del Cl- quando il liquido

scorre lungo il dotto come illustrato in Figura 8.

I dotti del sudore dei pazienti malati risultano, di fatto, impermeabili al Cl-,

conseguentemente NaCl rimane nelle secrezioni e rende più salato il sudore, oltre a comprometterne le normali concentrazioni ioniche che lo caratterizzano.

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Nella ghiandola sudoripara del paziente sano, il cloruro viene assorbito dal sudore luminale mentre esso viaggia in direzione della superficie.

Di conseguenza, la concentrazione di cloruro nel sudore normale è inferiore a quella nel siero (ipotonica), con valore normale < 40 mM/L e valore tipico < 20 mM/L.

Nella ghiandola sudoripara del paziente affetto da fibrosi cistica, l’alterata attività del canale CFTR ostacola l’assorbimento del cloruro e, conseguentemente, il sudore che raggiunge la superficie è caratterizzato da una concentrazione di cloruro superiore al normale (>60 mM/L)21.

Fig. 9: la composizione del sudore influenza l’entità della sudorazione22.

1.4 Diagnosi

Il test del sudore è un elemento centrale all’interno dei processi clinici da applicare sui pazienti che si sottopongono a controlli e screening (Figura 10). Esso rappresenta il punto di partenza delle analisi e consente di decidere i passi successivi per la valutazione della condizione del paziente e per il suo trattamento.

I risultati del test del sudore sono determinanti ai fini della valutazione della condizione clinica dei soggetti che si sono sottoposti all’esame e permettono allo specialista di indirizzarli verso il percorso più adatto alla loro condizione.

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Per prima cosa vengono misurati e valutati i livelli di cloro nel campione di sudore e, a seguito di queste misurazioni preliminari, vengono prescritti ulteriori esami di natura genetica per individuare le eventuali mutazioni che hanno indotto l’insorgenza della malattia:

- > 60 mmol/L, questo valore può contribuire a formulare la diagnosi di fibrosi cistica.

- 40-60 mmol/L, è richiesta la genotipizzazione per le mutazioni più frequenti a carico del CFTR.

- < 40 mmol/L, non sono richiesti ulteriori approfondimenti a meno che il paziente non mostri sintomi tipici che potrebbero essere associati alla patologia.

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Fig. 10: Sintomi clinici oppure una storia familiare riconducibile alla patologia, possono indirizzare gli specialisti a prescrivere il test del sudore con fine diagnostico.

Sulla base dei valori ottenuti dopo l’esecuzione del test, si può definire la diagnosi che meglio descrive la situazione del paziente. “Paziente patologico” affetto da fibrosi cistica, “paziente sano” non affetto da fibrosi cistica, “paziente borderline” che presenta valori che ricadono all’interno di una zona grigia che richiede ulteriori analisi di tipo genetico per poter essere correttamente indagata.

La mutazione riscontrata nella maggior parte dei pazienti è la “F508del”, tuttavia, oltre 1000 mutazioni differenti in questo locus sono associate con le varie manifestazioni fenotipiche della patologia ma anche con altri disordini ad essa correlati.

Le caratteristiche cliniche principali che possono essere associate con un fenotipo “atipico” includono:

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- patologia sinu-polmonare - insufficienza pancreatica - pancreatite idiopatica

- azoospermia ostruttiva isolata dovuta all’assenza dei vasi deferenti - sindrome da perdita di sali

- ipertripsinemia neonatale

- rinosinusite cronica con o senza poliposi nasale

Tali pazienti possono avere una sola mutazione identificata e test del sudore, inteso come concentrazione di ioni cloro e/o sodio, intermedio o addirittura normale. L’attività clinica di ascolto e di analisi della sintomatologia, è importante quanto i test di screening ai fini della formulazione di una corretta diagnosi da comunicare al paziente che si sottopone alle analisi oppure ai genitori che si sottopongono a screening prenatale.

I test genetici per la fibrosi cistica sono raccomandati e rivolti non soltanto ai pazienti risultati positivi al test del sudore ma anche, in via preventiva, a quelle coppie in cui potrebbero essere presenti portatori sani della mutazione per familiarità a questa patologia.

Il test deve essere eseguito prima possibile e non oltre la decima settimana di gestazione.

Ci sono due livelli di analisi preconcezionali come illustrato in Figura 11:

- Analisi di primo livello: prevedono l’indagine del DNA dei genitori mediante studio delle 61 mutazioni più frequenti sul territorio italiano (sensibilità circa dell’80%).

- Analisi di secondo livello: consistono in un approccio combinato in cui, oltre al sequenziamento degli esoni del gene CFTR, si procede con l’analisi definita MLPA (Multiple Ligation-dependent Probe Amplification). Se ne ricava, oltre allo spettro completo delle mutazioni, anche la presenza di macrodelezioni e insersioni (sensibilità 95%).

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Fig. 11

Immagine tratta da www.researchinnovation.com

I possibili risultati per quanto riguarda le analisi di primo livello, sono riassunti nelle seguenti tabelle (Tab. 1, Tab. 2, Tab. 3):

Positivo Negativo

Genitore 1 X

Genitore 2 X

Tab. 1: la coppia che si è sottoposta alle analisi ha una probabilità di concepire un figlio sano nel 25% dei casi, un figlio affetto da fibrosi cistica nel 25% dei casi e un figlio portatore sano di una mutazione nel 50% dei casi.

Positivo Negativo

Genitore 1 X

Genitore 2 X

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Positivo Negativo

Genitore 1 X

Genitore 2 X

Tab. 3: la coppia ha un rischio estremamente ridotto di concepire un bambino affetto da fibrosi cistica, non sono richieste ulteriori indagini.

I possibili risultati delle analisi di secondo livello sono riassunti nella seguente tabella (Tab. 4):

Descrizione

Negativo La coppia ha un rischio estremamente

basso di concepire un figlio affetto dalla patologia.

Positivo La coppia ha una probabilità di concepire

un figlio sano nel 25% dei casi, affetto da fibrosi cistica nel 25% dei casi, portatore sano di una mutazione nel 50% dei casi. È consigliata la consulenza genetica. Tab. 4

Il test del sudore, il quale effettua una misurazione quantitativa degli elettroliti nel sudore, è ancora oggi il test di riferimento per la diagnosi clinica di fibrosi cistica. Le indicazioni per il test del sudore includono:

- Fenotipo suggestivo di fibrosi cistica - Storia familiare di fibrosi cistica

- Test di screening neonatale per fibrosi cistica risultato positivo - Sospetto di un fenotipo atipico

Nei pazienti che hanno caratteristiche tipiche e mutazioni identificate, il test del sudore è diagnostico.

Nella fibrosi cistica atipica, questo test può risultare intermedio ma comunque utile alla formulazione della diagnosi. La diagnosi può restare incerta in quei pazienti che hanno caratteristiche cliniche suggestive, risultati del test del sudore intermedi e

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in cui il test non dia risposte esaustive per i fini diagnostici, è opportuno procedere con le indagini genetiche19.

1.5 Test del sudore per la diagnosi di fibrosi cistica

Il test del sudore rappresenta il metodo gold standard per poter effettuare la diagnosi di fibrosi cistica in quanto è l’unico test in grado di misurare, in modo riproducibile, il difetto di funzionamento della proteina di membrana CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator).

Nel 1959, Gibson e Cooke svilupparono la misurazione della concentrazione di cloruro nel sudore mediante il metodo identificato come “test quantitativo di iontoforesi della pilocarpina” (QPIT, Quantitative Pilocarpine Iontophoresis Test), (Figura 12). Testarono 25 pazienti con fibrosi cistica e 64 controlli; i valori di cloruro dei pazienti erano maggiori di 80 mmol/l mentre in nessuno dei controlli risultavano essere presenti concentrazioni superiori a 60 mmol/l.

Nonostante l’alta affidabilità dimostrata, questo test risulta complesso da eseguire e richiede la pesatura del campione di sudore prelevato, l’eluizione del sudore dalla carta filtro e l’analisi degli elettroliti.

La procedura è inoltre estremamente vulnerabile agli errori eseguiti da personale poco esperto.

Il metodo Gibson-Cooke (1959) e il Wescor Macroduct (1982) sono comunque i due più importanti approcci approvati dalla Cystic Fibrosis Foundation per la raccolta del campione dal paziente.

Il “conductivity sweat test”, così come il cloridometro, sono invece metodi utilizzati per la misura del campione che si trova in analisi dopo che è stato fatto il prelievo. Tutti e due gli approcci di raccolta (Gibson-Cooke, Wescor Macroduct) stimolano la sudorazione in modo localizzato sull’avanbraccio oppure sulla coscia del paziente avvalendosi di una sostanza chimica chiamata pilocarpina. Il sudore viene poi raccolto su carta da filtro (oppure con l’ausilio di un tubicino capillare di materiale plastico per quanto concerne Wescor) per procedere alle opportune analisi di laboratorio.

Per ottenere un’ interpretazione corretta dei risultati del test è necessario disporre di un volume adeguato di sudore (75 mg per la procedura Gibson-Cooke e 15 l

per la procedura Macroduct).

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Fig. 12

Immagini tratte da: Johns Hopkins Cystic Fibrosis Center

1.5.1 Test del sudore classico (QPIT)

La pelle dell’avanbraccio viene pulita con acqua distillata e asciugata con una garza. Dopo questa operazione preliminare si posizionano sulla pelle del paziente degli elettrodi di rame 2,5 x 2,5 cm.

Una garza imbevuta di una soluzione di nitrato di pilocarpina allo 0,5% rappresenta l’elettrodo positivo mentre un’altra garza imbevuta di acido solforico 0,004 N è l’elettrodo negativo. Viene applicata una corrente di 2-5 mA per una durata di 5 minuti per completare la ionoforesi.

Gli elettrodi vengono rimossi, la pelle viene poi nuovamente pulita con acqua distillata e opportunamente asciugata.

Viene posizionato un disco di carta da filtro sopra la porzione di pelle trattata e, dopo 30 minuti, la carta da filtro umida viene rimossa e collocata all’interno di un contenitore sigillato da inviare al laboratorio per l’analisi del cloruro.

1.5.2 Test di conduttività del sudore (sistema di raccolta Macroduct)

La pelle dell’avanbraccio viene pulita usando alcool al 70% seguito da acqua distillata e asciugata con una garza.

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Dopo la ionoforesi l’area viene pulita nuovamente con acqua distillata e asciugata prima di applicare il collettore Macroduct fermato con apposite cinghie per un intervallo temporale di 30 minuti.

Dopo questo processo di raccolta si utilizza un dispositivo che è in grado di misurare la conduttività del campione e di convertire i valori rilevati in equivalenti di unità molari di cloruro di sodio.

La diagnosi di fibrosi cistica è stabilita nel momento in cui è presente una concentrazione di cloruro maggiore o uguale a 60 mmol/l in due campioni di sudore associati a un fenotipo clinico di malattia.

La malattia è da escludere quando la concentrazione di cloruro risulta inferiore a 40 mmol/l (inferiore a 30 mmol/l nei neonati fino a 6 mesi di età)12, 13.

1.5.3 Quantum sweat test (CFQT)

I due metodi precedentemente elencati, descrivono delle procedure abbastanza laboriose e complesse ed esistono molti passaggi in cui è facile incorrere in errori di vario genere che possono invalidare oppure alterare i risultati ottenuti.

Le quantità di sudore ricavate possono essere non sufficienti, possono avvenire dei ritardi nella diagnosi. Questi approcci richiedono tempo e, benchè consentano di diagnosticare la patologia con una certa precisione e accuratezza, c’è una necessità di migliorare la tecnologia relativa alla prova del sudore.

Il CF Quantum Sweat Test System (CFQT) è la possibile evoluzione degli approcci esistenti e si avvale di tre componenti fondamentali (Figura 13):

1- Un elettrodo che può essere indossato dal paziente e collegato a un controller con il quale è possibile erogare la pilocarpina.

2- Un cerotto appositamente prodotto per assorbire il sudore. Al suo interno si verifica una reazione chimica che porta alla formazione di un precipitato bianco nel centro del cerotto che individua a livello visivo il valore di cloruro ottenuto nel sudore.

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Fig. 13

3- Un analizzatore che esegue un controllo sul campione ottenuto grazie al cerotto mediante una speciale fotocamera e che calcola il valore effettivo di cloruro nel sudore.

Vari studi hanno dimostrato che il CFQT è in grado di fornire una misura quantitativa dei valori del cloruro del sudore e può produrre risultati che identificano e differenziano in modo preciso i soggetti sani (non CF) dai pazienti affetti dalla patologia.

Questa tecnologia è facile da eseguire, produce risultati attendibili in modo decisamente più rapido rispetto ai test del sudore tradizionali ed è anche preferita dai pazienti14.

1.6 Aspetti critici nella diagnosi di fibrosi cistica

Una diagnosi precoce di fibrosi cistica è molto importante anche perché, grazie al miglioramento continuo degli approcci terapeutici a disposizione, un precoce intervento frena il danno ai tessuti e migliora non solo l’aspettativa di vita del paziente, ma la qualità della stessa.

Un bambino che mostra evidenti sintomi clinici, che ha pregressi di patologia nella propria storia familiare e che ha un test del sudore risultato positivo alle analisi può confermare anche i sospetti più vaghi di essere affetto da fibrosi cistica.

(27)

una concentrazione di elettroliti del sudore considerata “borderline” in cui anche le tecniche di genotipizzazione non sono riuscite a dimostrare la presenza dell’omozigosi alla base della patologia.

Nel caso in cui ci siano casi “borderline” occorre procedere con il seguente approccio clinico:

1- Ripetere il test del sudore e misurare sia il sodio che il cloruro.

2- Valutare in modo approfondito la funzionalità dell’apparato respiratorio mediante analisi microbiologica dell’espettorato, spirometria e immagini radiologiche.

3- Procedere all’esclusione di eziologie alternative collegate alla malattia polmonare cronica (immunodeficienze, discinesia ciliare).

4- Procedere alla valutazione della funzionalità del pancreas, dell’intestino e del fegato.

5- Procedere alla valutazione uro-genitale (analisi dello sperma e ultrasuono rettale e del tratto urogenitale).

6- Ricercare mutazioni CFTR meno frequenti. Tale ricerca dovrebbe essere adattata alle origini etniche e alla provenienza geografica del paziente oltre che alla situazione clinica15.

La comprensione e la classificazione dei meccanismi genetici e molecolari alla base della fibrosi cistica è sempre più approfondita, tuttavia, nonostante la ricerca faccia costantemente passi in avanti, non esiste ancora una cura definitiva per questa malattia.

Esistono terapie croniche che sono state approvate negli ultimi due decenni grazie allo sviluppo di trial clinici multicentrici.

Alcune di queste terapie potenziano l’attività del CFTR e includono farmaci a uso inalatorio oppure orale che possono far esprimere il gene CFTR wt oppure riparare eventuali trascritti difettosi.

La maggior parte degli agenti in sviluppo ha lo scopo di aumentare la funzionalità del CFTR e di correggere mutazioni specifiche.

Come detto in precedenza, sono state descritte cinque classi di mutazioni funzionali CFTR, tre di queste (I, II, III) sono considerate “gravi” perché risultano associate a funzione scarsa oppure assente. Le altre due classi di mutazione (IV, V) sono “lievi” e prevedono un’attività del CFTR ridotta ma comunque presente.

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Le mutazioni di classe I, II e III sono quelle maggiormente considerate nell’ambito dei progetti di sviluppo di nuovi modulatori perché risultano associate ai peggiori esiti clinici.

Modulatori CFTR sistemici, come gli agenti “read-through”, consentono ai ribosomi di proseguire la traduzione anche in presenza di mutazioni nonsense di classe I con il fine di produrre una proteina CFTR a lunghezza intera.

I “correttori” e i “potenziatori” aumentano la quantità di CFTR a livello della membrana plasmatica e contribuiscono a potenziarne la funzione e l’attività fisiologica.

Questi modulatori sono fondamentali per il trattamento della patologia e costituiscono la base per la messa in atto di una medicina personalizzata nel riguardo dei pazienti affetti da fibrosi cistica.

Un esempio è il potenziatore Ivacaftor, approvato negli USA, in UE e in Canada per il trattamento di individui con età superiore a due anni e che sono affetti dalla mutazione “gating” GTR131D. Il trattamento con questo farmaco è associato ad una risposta clinica efficace.

La coppia “correttore-potenziatore” Lumacaftor-Ivacaftor è stata invece approvata negli USA per il trattamento dei pazienti con età superiore a dodici anni, omozigoti per la mutazione F508del9.

1.7 Medicina personalizzata e terapia farmacologica

Per molto tempo si è avuto il sentore che le modalità con cui una certa malattia si manifesta e le risposte alla terapia utilizzata per contrastarne l’avanzamento potessero variare in base a fattori differenti tra un paziente e l’altro come età, sesso, etnia, dieta e farmaci utilizzati.

Nel 1998, venne utilizzato per la prima volta il termine “terapia personalizzata” ovvero lo studio e la messa in atto di un approccio terapeutico specifico per la persona giusta al momento giusto (Figura 14).

Per lo studio e per il trattamento dei pazienti affetti da fibrosi cistica questo approccio di medicina personalizzata è molto importante dato che le possibili mutazioni responsabili sono molte, variegate e hanno un livello di gravità con risvolti fenotipici differenti.

Non è opportuno soltanto il riferimento alle mutazioni ma anche lo studio della storia clinica del paziente, l’analisi del contesto ambientale da cui proviene e la familiarità con la malattia.

Ogni soggetto affetto è come un’isola e necessita di una terapia differente dagli altri e che deve essere individuata.

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Fig. 14

Quando la patologia fu descritta per la prima volta nel 1938, l’età di sopravvivenza prevista per i pazienti era di 6 mesi.

Nel corso degli anni e dei decenni, grazie all’introduzione di terapie sempre più efficaci nel trattamento dei sintomi, si è arrivati, nel 2009, ad una aspettativa di vita di 37 anni.

La fibrosi cistica può trarre molti vantaggi dalla medicina personalizzata anche perché i vari studi sulle tante mutazioni del gene CFTR continuano a portare alla luce correlazioni tra genotipi alterati e i vari gradi di gravità della malattia.

Lo sviluppo del modulatore CFTR a piccole molecole chiamato Ivacaftor, rappresenta un promettente esempio di come le terapie personalizzate possano rendere migliore le prospettive terapeutiche dei pazienti10.

L’Ivacaftor è stato approvato nel 2012 per il trattamento dei pazienti con età superiore oppure uguale a sei anni e in presenza della mutazione di classe III G551D (mutazione rara). È stato il primo farmaco a correggere con successo la proteina difettosa.

La mutazione G551D impedisce la trans-conduttanza del cloruro e dei fluidi attraverso il canale CFTR alterandone la funzione e Ivacaftor agisce in modo mirato e preciso aumentando il tempo di apertura del canale.

Altri modulatori agiscono su differenti mutazioni. Tra questi si ritrova il Lumacaftor: un modulatore del CFTR che ha mostrato i suoi effetti favorevoli in presenza della mutazione F508del, la più comune che colpisce i pazienti affetti da fibrosi cistica in tutto il mondo.

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Sulla base dello studio dei differenti meccanismi d’azione, è stata proposta una combinazione Lumacaftor e Ivacaftor (Orkambi) per correggere entrambi i difetti (traffico proteico e anomalie di gating).

Questo farmaco è stato approvato per il trattamento di pazienti omozigoti con mutazione F508del e con età superiore o uguale a dodici anni.

Agisce in due fasi: Lumacaftor contribuisce a posizionare la proteina difettosa nella giusta collocazione sulla membrana, mentre Ivacaftor migliora la sua attività e ne aumenta la conduttanza per ioni e liquidi come illustrato in Figura 15.

Nonostante la disponibilità di nuovi farmaci e l’elaborazione di sempre più specifici protocolli terapeutici che possono dare un contributo estremamente favorevole nel trattamento dei pazienti, sono presenti alcune limitazioni:

- Risposte poco significative negli eterozigoti per la mutazione F508del di Ivacaftor.

- Necessità di mettere in atto trattamenti sintomatici giornalieri.

- Possibile presenza di interazioni non desiderate con induttori e inibitori di CYP3A nel fegato.

- Possibile rilevazione di transaminasi elevate, cataratta, dolore orofaringeo. - Benefici trascurabili in pazienti al di sotto dei dodici anni di età11.

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Fig. 15: l’immagine illustra il meccanismo d’azione di Orkambi e di altri agenti nella fibrosi cistica. Lumacaftor aiuta a spostare la proteina difettosa nella sua posizione corretta mentre Ivacaftor rettifica il tempo di apertura del gate e migliora la sua attività.

1.8 Nuovi approcci per migliorare la diagnosi di fibrosi cistica, tecnologie a disposizione.

Fino a questo momento le linee guida hanno previsto che il test del sudore per il dosaggio del cloro fosse utilizzato in associazione con altri metodi analitici come la colorimetria, la coulometria, la fotometria di fiamma e la misura di conduttività mediante utilizzo del sistema Wescor.

La diagnosi precoce e il trattamento tempestivo della fibrosi cistica sono possibili quando vi è disponibilità di metodi accurati e sensibili in grado di classificare correttamente il paziente sulla base degli intervalli di riferimento di concentrazione del cloro, che in accordo con quanto proposto da Gibson e Cooke sono ≤ 39 mmol/L (normale), 40-59 mmol/L (borderline), ≥ 60 mmol/L (affetto da fibrosi cistica). Più recentemente tali intervalli sono stati oggetto di revisione per i pazienti pediatrici, per i quali vengono accettati intervalli leggermente diversi.

Come visto precedentemente, il metodo quantitativo classico (QPIT) sviluppato da Gibson e Cooke rimane il metodo gold standard sebbene il sistema Wescor Macroduct sia un’alternativa altrettanto utilizzata.

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Entrambi fanno solitamente uso di metodi analitici che non garantiscono le necessarie elevate accuratezza e sensibilità, perché solitamente da metodi già in uso per l’analisi di differenti matrici e con limiti di rivelazione inadeguati.

Ad esempio, alcuni metodi quantitativi approvati per il Cl sono generati da procedure basate sul siero, e la curva di concentrazione Cl viene estrapolata per adattarsi alle concentrazioni di cloruro inferiori osservate nel sudore “normale” (<6 mesi di età ≤ 29 mmol/L, > 6 mesi di età ≤ 39 mmol/L). In tali casi molto spesso non esiste un punto di calibrazione specifico per le concentrazioni inferiori all’interno della normale gamma di cloruro nel sudore, questo può portare a distorsioni della curva e influenzare la precisione del test.

La spettrometria di massa al plasma accoppiata induttivamente (ICP-MS) è utilizzata in alcuni laboratori ed è anche un potenziale candidato da considerare come metodo di riferimento in associazione all’analisi del sudore, perché offre prestazioni adeguate a questo tipo di analisi.

La tecnologia ICP-MS è stata introdotta in commercio nel 1983 per studi geologici dei metalli e l’analisi degli isotopi e soltanto recentemente è stata adottata anche per studi biomedici.

I vantaggi di questa tecnologia sono molteplici:

- È richiesto un basso volume di materiale per l’analisi.

- Possono essere effettuate più valutazioni sul campione per migliorare la precisione.

- È prevista l’inclusione di uno standard interno (IS). - L’intervallo di sensibilità è al livello di parti per trilione.

L’analisi del cloruro del sudore per mezzo della ICP-MS è stata introdotta per la prima volta nel 2008 e attualmente soltanto pochi laboratori che utilizzano questo approccio. L’ICP-MS non misura direttamente il cloro ma piuttosto lo ione cloruro, generalmente sotto forma di 35Cl (peso atomico 35 g/mol), ma in teoria anche come 37Cl (37 g/mol). Così come per altre tecniche analitiche, il dosaggio di questi ioni in

ICP-MS potrebbe potenzialmente risentire dell’interferenza di ioni isobari presenti in matrice o prodotti nel corso del processo di ionizzazione, con conseguente sovrastima della concentrazione. Tra questi potenziali interferenti possono essere annoverati ioni poliatomici come FO (35 e 37 g/mol), HAr (37 g/mol), HCl (37 g/mol), NeO (37 g/mol).

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alla loro sezione trasversale. In poche parole, attraverso questa interazione gli interferenti, che hanno dimensione diversa rispetto allo ione analita, giungono all’analizzatore in tempi diversi rispetto a quest’ultimo e da esso possono quindi essere separati.

A seguito di opportune modificazioni delle linee guida e dei protocolli, l’ICP-MS potrebbe diventare il metodo di riferimento per l’analisi del cloruro nei campioni di sudore prelevati dai pazienti mediante l’applicazione del metodo gold standard di Gibson e Cooke18.

1.8.1 Spettrometria di massa

La spettrometria di massa (MS) è uno strumento analitico indispensabile in molte discipline tra cui la biologia e la medicina ed è utilizzata per analizzare basi di dati combinatoriali, sequenze di biomolecole oppure per indagare singole cellule.

Questa tecnologia permette di individuare un atomo o un composto, precedentemente ionizzato, basandosi sulla sua massa atomica o molecolare.

Attraverso la MS può essere determinata la struttura di una molecola attraverso studi di frammentazione della stessa e, quando possibile, determinazioni di massa accurata.

Il principio di base della MS è quello di generare ioni sia da composti inorganici che organici e di rilevarli qualitativamente e quantitativamente sulla base del rapporto massa su carica (m/z).

La ionizzazione viene effettuata attraverso interazione con specie cariche, elettroni o fotoni di varia lunghezza d’onda. Questa tecnica si deve in primo luogo all’ingegno e al lavoro del fisico J. J. Thomson (1847-1940), al quale si attribuisce, non solo la scoperta dell’elettrone ma anche la misurazione delle masse degli isotopi stabili degli elementi. Nel suo spettrometro di massa Thomson generò ioni attraverso ionizzazione elettronica, tuttora utilizzata, e ne studiò le traiettorie sotto l’influenza di campi magnetici e/o elettrici e ne misurò il rapporto massa/carica (m/z).

1.8.2 Lo spettrometro di massa

Da Thomson ad oggi è stata percorsa molta strada. Sono stati progettati molti tipi di spettrometri di massa, sempre più sofisticati, e sono fiorite strategie d’uso e applicazioni, anche nel campo della biomedicina.

Non esiste una piattaforma strumentale generica, tuttavia molti dei moderni spettrometri di massa comprendono una serie di componenti di base che sono comuni alle varie piattaforme.

In ogni caso l’analisi in spettrometria di massa prevede una fase di preparazione del campione, che deve precedere l’introduzione del campione stesso nello strumento, che deve essere compatibile con la piattaforma utilizzata, specifica per il tipo di

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analita e di matrice (una fase acquosa oppure organica), e compatibile con il tipo di ionizzazione utilizzata. Soltanto attraverso un’opportuna preparazione del campione è possibile produrre ioni con elevata efficienza (elevata sensibilità) e veicolarli verso gli analizzatori dove vengono manipolati e rivelati.

La loro trasmissione all’interno dello strumento viene assicurata da una serie di lenti alimentate da campi elettrici o campi magnetici, che consentono una selezione in base alla massa.

I passaggi fondamentali di un esperimento sulla spettrometria di massa, come illustrato in Figura 16, attuati per mezzo delle componenti essenziali del macchinario, sono quindi:

- La ionizzazione degli analiti - La determinazione della massa - La manipolazione selettiva

La sorgente di ionizzazione facilita il trasferimento dell’analita nella fase gassosa, l’analizzatore di massa a bassa risoluzione consente la selezione in base alla massa di specifiche specie ioniche dell’analita, infine l’analizzatore di massa ad alta risoluzione facilita e rende possibili misurazioni di massa precise e accurate16.

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Fig 16: (A): Componenti essenziali di uno spettrometro di massa.

(B): ESI e MALDI sono le tecniche di ionizzazione più comunemente utilizzate nella MS biomolecolare. ESI produce ioni con carica multipla (in giallo, arancione, rosso e viola) direttamente da una soluzione campione.

Nella tecnica MALDI, un laser viene utilizzato per condurre l’ablazione di una miscela composta da matrice e molecole di analita da una piastra metallica nello spettrometro di massa e produce ioni a carica singola.

1.8.3 Spettrometria di massa a plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS)

La spettrometria di massa a plasma accoppiato induttivamente, inductively coupled plasma mass spectrometry (ICP-MS), è una tecnica in cui è previsto che l’atomizzazione e la ionizzazione vengano ottenute mediante un plasma di argon in radiofrequenza a pressione atmosferica.

A seguito della pubblicazione originale del 1980, la tecnica ICP-MS è diventata uno dei metodi più frequentemente impiegati nel campo della spettrometria di massa

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elementale. L’ampio consenso attorno ad essa nasce dalla robusta modalità di campionamento.

Il cuore della sorgente ICP lo si può individuare nella “torcia al plasma”, la quale si compone di tre tubi al quarzo che sono inseriti lungo l’asse centrale di una bobina a radiofrequenza raffreddata ad acqua che, dopo l’accensione per mezzo di una scintilla, alimenta il plasma mediante scambio di energia elettrica (1-2 kW) con il gas che causa un movimento di ioni in grado di alimentare il plasma in maniera continua e ad elevata temperatura.

Il campione da analizzare viene introdotto all’interno del plasma mediante un flusso di argon, dopo essere stato sottoposto a nebulizzazione, attraveso la formazione di goccioline con dimensioni nell’ordine dei micron, che rendono più agevole la successiva vaporizzazione, atomizzazione e ionizzazione in torcia. Tipicamente il consumo del campione è nell’ordine di 0.02-1 mL min−1.

La sorgente ICP raggiunge temperature prossime a 10000 K nella zona di induzione vicina alla bobina, al centro della quale i processi di evaporazione e atomizzazione si verificano a circa 8000 K.

Man mano che il plasma fluisce lontano dalla bobina, si verifica l’eccitazione delle specie neutre a circa 7500 K seguita dalla ionizzazione in una zona ben oltre la bobina situata a circa 6500 K (Figure 17, 18).

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Fig. 18: interfaccia di estrazione degli ioni per ICP-MS. Gli ioni arrivano da destra e una piccola frazione è trasmessa attraverso il cono di campionamento raffreddato ad acqua all’interno del primo stadio di pompaggio (pompa rotativa), il centro della zona di espansione free-jet è dunque trasmesso attraverso il secondo skimmer, oltre il quale i potenziali elettrici guidano gli ioni attraverso il secondo stadio di pompaggio all’interno dell’analizzatore di massa.

L’introduzione di un campione liquido rappresenta ancora la modalità operativa standard dell’approccio ICP-MS. Di conseguenza, è abbastanza immediato l’accoppiamento di tecniche sperimentali come la cromatografia liquida o l’elettroforesi capillare agli strumenti ICP.

In questo modo, si può determinare non solo la presenza di un elemento in un campione, ma diventa fattibile anche l’assegnazione della specie molecolare a cui l’elemento è legato20.

1.8.4 Validazione di un metodo analitico

L’ampia porzione introduttiva dell’elaborato è stata utile ad illustrare il problema biologico da analizzare. La fibrosi cistica è una patologia insidiosa e complessa per la quale l’elaborazione di una diagnosi precisa da comunicare al paziente è un elemento fondamentale. Esistono ancora oggi delle criticità nella produzione della diagnosi per determinate categorie di pazienti in cui sono stati rilevati valori intermedi di cloro nel campione di sudore. Per queste persone il test del sudore non risulta diagnostico e la diagnosi di patologia non può essere confermata dal diagnosta.

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Per questo motivo si rende necessaria la produzione di una metodica affidabile che cerchi di limitare il più possibile le incertezze nella classificazione dei pazienti.

Per garantire l'affidabilità, la riproducibilità e la robustezza dei dati al fine della validazione di un nuovo metodo, deve essere eseguita una convalida dettagliata della procedura analitica, con riferimento a selettività, accuratezza, precisione, sensibilità e stabilità, in conformità con le linee guida EMA.

L’ EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) ha elaborato le nuove linee guida (aggiornate nel 2017) per la validazione di questi protocolli con il fine di determinare una standardizzazione dei parametri di rilevazione ma soprattutto delle soglie utili a classificare i pazienti a seconda della situazione clinica e dei risultati ottenuti con il test del sudore.

Tali linee guida coprono vari aspetti tra i quali troviamo: - Informazione al paziente

- Idoneità del soggetto da sottoporre al test - Raccolta e analisi del campione di sudore - La qualità

- Valori di riferimento e interpretazione

- Responsabilità dell’esecuzione del test e la formazione del personale

Determinare la concentrazione del cloro all’interno delle matrici ricavate dai pazienti non è un lavoro semplice per i tecnici e per il personale sanitario che deve effettuare i prelievi e le misurazioni analitiche.

Infatti, come già illustrato in precedenza, il problema più rilevante è rappresentato dalla scarsa quantità di campione a disposizione, che può inficiare l’attendibilità dei risultati; nonché le differenze fisiologiche che riguardano e caratterizzano la composizione del sudore dei vari pazienti soprattutto in base all’età.

Riproducibilità: rappresenta il grado di concordanza che sussiste tra una serie di

misure effettuate sul medesimo oggetto dello studio nel momento in cui variano una o più condizioni tra le quali troviamo:

- Metodo di misurazione

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- Modificazione nell’utilizzo della strumentazione o dell’oggetto della misurazione

Selettività/Specificità: è definita come la capacità del metodo analitico di misurare e

differenziare l'analita e l'IS dagli altri componenti del campione che, comportandosi come potenziali composti interferenti, influenzano l'accuratezza delle misurazioni principalmente quando si misurano bassi livelli.

La linearità di un metodo analitico è la sua capacità di ottenere risultati direttamente

proporzionali alle concentrazioni dell'analita nel campione entro un intervallo definito, detto campo di validità.

Questa linearità deve essere verificata attraverso il calcolo del coefficiente di correlazione della curva di taratura.

Curve di taratura effettuate su matrici differenti o per soluzioni standard possono essere utilizzate previa specifica delle motivazioni del metodo di prova e sono generalmente accettati coefficienti di correlazione pari almeno a 0,99 (r secondo il metodo dei minimi quadrati).

Una non-linearità significativa dovrebbe essere corretta mediante l’utilizzo di funzioni di taratura non lineari oppure restringendo l’intervallo di concentrazioni in cui si opera a livello sperimentale.

È opportuno effettuare da tre a sei repliche di quattro o più concentrazioni e nella validazione del metodo devono essere riportati:

- Il coefficiente di correlazione - La pendenza

- L’intercetta - I residui

- Il grafico dei dati sperimentali e della curva calcolata

La precisione di un metodo analitico è la vicinanza del valore sperimentale alla

concentrazione nominale dell'analita, espressa in percentuale (precisione%); rappresenta la vicinanza tra le misurazioni individuali ripetute dell'analita ed è espressa come percentuale di deviazione standard relativa (% di RSD).

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La si può descrivere anche come il livello di concordanza fra misurazioni indipendenti della concentrazione di un particolare analita e deve avvalersi di un ferreo controllo di tutto il processo di analisi, a partire dalla raccolta del campione, dalla sua conservazione, dalla preparazione (estrazione e purificazione) e infine dall’analisi strumentale.

La precisione, da un punto di vista statistico, rappresenta l’errore sulla misura che si distribuisce secondo una distribuzione gaussiana.

L’ampiezza della campana descrive la distribuzione gaussiana e indica il livello di precisione: se la campana è più larga, l’imprecisione è maggiore e i dati sono più dispersi (Figura 20).

Se la campana è stretta, i dati sono meno dispersi e l’imprecisione è decisamente contenuta.

Fig. 20

Possono essere utilizzati materiali di controllo per vari livelli di concentrazione (ciò consente anche di valutare effetto matrice) e la concentrazione dei materiali da studiare deve essere scelta in modo tale da coprire l’intero intervallo di misurazione includendo anche un valore soglia o di decisione clinica.

La precisione deve essere valutata per un minimo di tre livelli di concentrazione (basso, medio, elevato), con almeno dieci misurazioni indipendenti per ogni livello di concentrazione ed è espressa come coefficiente di variazione percentuale:

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La precisione deve essere valutata sia nella stessa seduta analitica, che tra sedute analitiche differenti. Quest’ultima è una valutazione della precisione nel tempo ed è consigliato utilizzare operatori, calibratori, reagenti differenti all’interno di un arco temporale che non superi i trenta giorni al fine di minimizzare gli effetti dovuti ad altre variabili nelle condizioni sperimentali.

Accuratezza ed esattezza: L’esattezza o inesattezza (bias) identifica il grado di

concordanza tra il valore medio ottenuto a partire da diverse determinazioni dello stesso misurando e un valore di riferimento accettato (valore vero del misurando). Il bias è lo scostamento rispetto al valore vero, ovvero la differenza tra il valore ottenuto attraverso gli approcci sperimentali effettuati dall’operatore e il valore vero e può essere positivo oppure negativo.

Il significato scientifico di esattezza non è sovrapponibile a quello dell’accuratezza: quest’ultima infatti è utilizzata per indicare il grado di concordanza tra il risultato di una singola misurazione e il valore vero della grandezza che si intende misurare. L’esattezza dipende da una serie di fattori: da quanto è accurata la scelta dei materiali di calibrazione, dalla loro concentrazione e dalla scelta della matrice. Utilizzare più di un approccio è una scelta oculata perché contribuisce ad assicurare una valutazione accurata e completa dell’esattezza.

L’esattezza deve essere valutata analizzando per almeno cinque misurazioni replicate in tre differenti sedute analitiche per concentrazione, utilizzando almeno tre campioni a concentrazioni rilevanti a livello clinico e tali da coprire l’intero intervallo di calibrazione del metodo.

L’esattezza è valutata come bias percentuale per mezzo della seguente formula: Bias % = [(valore medio delle misurazioni – valore vero) / valore vero] * 100 Un approccio alternativo per effettuare la valutazione dell’esattezza è la comparazione con un metodo di riferimento riconosciuto a maggiore livello di standardizzazione.

Il bias % per ogni livello di concentrazione non deve essere superiore al 15%, l’esattezza al valore di LOQ (Limite di Quantificazione) non deve essere superiore al 20%.

L’accuratezza è, come definita dalla statistica, la contemporanea presenza di esattezza e precisione.

LOB, LOD, LOQ: LOB viene definita come la massima concentrazione apparente

dell'analita che si prevede di trovare quando vengono replicati i replicati di un campione in bianco, contenente nessun analita.

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LOD è la più bassa concentrazione di analita chiaramente distinguibile da LOB, e LOQ è la più bassa concentrazione a cui l'analita può essere quantificato in modo affidabile, che di solito è LOD.

Stabilità: lo studio della stabilità è una parte importante della validazione ed è

effettuata con il fine di garantire una corretta gestione di tutti i reagenti e dei campioni durante il delicato processo di analisi.

Lo studio della stabilità prevede la valutazione di tutte le soluzioni, i reagenti e dei campioni nelle varie fasi del processo sperimentale:

- Raccolta dei campioni (prelievo)

- Stoccaggio dei campioni a breve termine - Stoccaggio dei campioni a lungo termine - Cicli di congelamento/scongelamento

- Stoccaggio dopo processamento/estrazione (prima dell’analisi).

I parametri da valutare dovrebbero coprire i normali tempi delle procedure di campionamento e di analisi.

Le condizioni minime da valutare sono: stabilità a differenti tempi di conservazione e a differenti temperature, stabilità alla luce (diretta e indiretta), stabilità a ripetuti cicli di congelamento e scongelamento17.

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2. SCOPO

Lo scopo di questa tesi sperimentale è quello di procedere all’individuazione, alla validazione e alla successiva applicazione di una nuova metodica a casi clinici reali, basandoci sull’utilizzo della spettrometria di massa. L’obbiettivo principale è quello di migliorare i risultati della diagnosi di fibrosi cistica e della classificazione dei pazienti affetti.

I metodi in uso, come la colorimetria, la fotometria a fiamma e le misure di conduttanza, non sono stati validati per matrici come il sudore e così la loro applicazione a fini diagnostici si è rivelata spesso inconcludente.

La mancanza di risultati precisi, che siano in grado di fornire una classificazione puntuale ed esaustiva della condizione clinica dei pazienti che si sottopongono ai test clinici, genera malessere nel paziente stesso e nei suoi familiari, aggravando ulteriormente una situazione già molto critica.

La spettrometria di massa, potenzialmente consente, per le sue proprietà intrinseche, di analizzare con accuratezza e sensibilità i campioni di sudore raccolti dai pazienti, e di raggiungere risultati che potrebbero contribuire a promuovere un avanzamento concreto in questo ambito della ricerca biomedica.

Inoltre, i risultati delle analisi dei campioni mediante ausilio dell’ICP-MS potrebbero fornire una caratterizzazione più precisa per quanto riguarda la concentrazione di cloro nel sudore, garantendo così ai pazienti una maggiore certezza nella produzione della diagnosi, un aumento delle possibilità di cura e un eventuale recupero parziale o completo della loro qualità di vita prima delle manifestazioni patologiche.

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3. MATERIALI E METODO

3.1 Test del sudore: materiali e metodi

La procedura utilizzata in questo lavoro per analizzare i campioni derivati dai pazienti che si sono sottoposti al test è costituita da due fasi:

1. fase pre-analitica, che consiste nella preparazione dei campioni prelevati con la tecnica di Gibson e Cooke, in quella dei calibratori e dei “quality control”; 2. analisi dei campioni, effettuata per mezzo delle apparecchiature di

spettrometria di massa.

Reagenti e materiali

- Cloruro di sodio (NaCl).

- Idrossido di ammonio (NH4OH). - Acido nitrico (69% peso/peso).

- Gallio standard (Ga) standard per ICP. - Acqua deionizzata.

- Argon (purezza del 99,999%). - Elio (purezza del 99,9996%).

- Tre controlli di qualità del sudore con concentrazioni nominali di cloro nell'intervallo 22,60-30,91 mM (801,24-1095,85 μg/ml), 38,16-49,41 mM (1352,89-1751,73 μg/ml) e 78,79-102,39 mM (2793,34-3630,03 μg/ml).

- Due controlli di qualità ISE con concentrazioni nominali di 80 mM (2836,24 μg/ml) e 120 mM (4254,36 μg/ml).

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