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Valutazione dell'attività motoria in una coorte monocentrica di pazienti affetti da fibromialgia

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE Direttore Prof. Corrado Blandizzi

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE DELLE ATTIVITA’ MOTORIE PREVENTIVE ED ADATTATE

Presidente: Prof. Fabio Galetta

Valutazione dell’attività motoria in una

coorte monocentrica di pazienti affetti da

fibromialgia

CANDIDATA RELATORE

Barbara Costanzo Dott.ssa Chiara Baldini

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

1 FISIOLOGIA DEL MUSCOLO... 7

1.1.1 Ultrastruttura del muscolo scheletrico ... 8

1.1.2 Ciclo dei ponti trasversali ... 10

1.1.3 Processo di accoppiamento eccitamento-contrazione ... 12

1.1.4 Le contratture muscolari ... 13

1.1.4.1 Differenza tra Tender Point e Trigger Point ... 15

2 IL DOLORE ... 16

2.1.1 Nocicezione ... 17

2.1.2 Le vie del dolore ... 19

2.1.3 Modulazione del dolore ... 22

3 LA FIBROMIALGIA ... 24

3.1.1 La storia della fibromialgia ... 24

3.1.2 Epidemiologia ... 26

3.1.3 Sintomi e criteri diagnostici della sindrome ... 28

3.1.3.1 I sintomi ... 28

3.1.3.2 I criteri diagnostici ... 32

3.1.3.3 Scale di valutazione dei sintomi ... 34

3.1.4 Eziopatogenesi ... 38

3.1.5 Approccio terapeutico globale ... 43

3.1.5.1 Terapia farmacologica... 45

3.1.6 Esercizio fisico per il paziente fibromialgico ... 47

3.1.6.1 Attività aerobica ... 49

(3)

2 CAPITOLO II

1 SCOPO DELLA TESI ... 62

2 PAZIENTI E METODI ... 64

2.1 QUESTIONARIO IPAQ ... 64

2.2 QUESTIONARIO SULLA PREVALENZA DEI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE ... 71

3 RISULTATI... 73

3.1 DESCRIZIONE DEI PAZIENTI ARRUOLATI ... 73

3.2 EFFETTO DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA SULL’ANDAMENTO CLINICO DELLA FIBROMIALGIA ... 74

3.3 EFFETTO DELL’ATTIVITÀ FISICA SULLE COMORBIDITÀ CARDIOVASCOLARI DEI PAZIENTI CON FIBROMIALGIA ... 76

3.4 VALUTAZIONE DEL GRADIMENTO DELL’ATTIVITÀ FISICA DA PARTE DEI PAZIENTI ... 77

4 DISCUSSIONE ... 78

5 CONCLUSIONI ... 81

6 BIBLIOGRAFIA... 83

(4)

3

INTRODUZIONE

La fibromialgia è una malattia reumatica che interessa l’apparato muscoloscheletrico. Negli anni, la considerazione su questa patologia è mutata profondamente, in quanto per lungo tempo, si riteneva che la sintomatologia presentata da questi soggetti fosse da riportare più ad una condizione psicologica, piuttosto che somatica. Il fatto di non riuscire facilmente ad individuare un corrispettivo organico della patologia, poteva portare a confonderla con le manifestazioni sintomatologiche relative ai disturbi da sintomi somatici, in quanto tali disturbi sono caratterizzati anch’essi, da dolori diffusi e generalizzati dei quali è difficile individuarne la causa. Altra caratteristica che poteva associare erroneamente le due patologie è che spesso i disturbi da sintomi somatici non rispondono ai trattamenti analgesici, come d’altronde si può riscontrare in alcuni soggetti affetti da sindrome fibromialgica. La svolta si è avuta negli anni ’80-‘90 quando, furono stilati dei criteri diagnostici basati su vari studi condotti su pazienti fibromialgici, individuando cosi, elementi fisici sui quali ricercare una valenza clinica. Tale patologia appare caratterizzata da una varietà di segni e da un vasto corteo sintomatologico, ma il sintono cardine e maggiormente invalidante, è il dolore muscolo-scheletrico, al quale si aggiungono: tensione cronica diffusa, rigidità articolare e muscolare, riduzione della forza muscolare associata ad astenia, disturbi del sonno e del tono dell’umore, dolore diffuso evocabile alla digitopressione di 11 su 18 punti specifici denominati “tender points”, iperalgesia, allodinia e assenza di alterazione degli indici infiammatori (VES e PCR). Altre manifestazioni cliniche riscontrabili in alcuni soggetti sono: sindrome da colon irritabile, sindrome della vescica irritabile, vestibolite vulvare,

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4 fenomeno di Raynaud, parestesie, cefalea cronica muscolo-tensiva, dismenorrea, disturbi dell’equilibrio e disturbi cognitivi quali difficoltà di concentrazione e perdita di memoria.

La sindrome fibromialgica interessa specialmente i muscoli e le loro inserzioni sulle ossa (entesi), proprio a tale proposito viene considerata come reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli, ossia quelli che circondano le articolazioni. Il dolore avvertito dal soggetto, però, non corrisponde mai a modificazioni muscolari specifiche, anche se è proprio sul muscolo che si vanno ad individuare i punti dolorabili.

Si è riscontrato che tale sindrome è associata, in modo particolare, a problematiche psicologiche e si presenta quasi sempre in soggetti sottoposti a forte stress; è infatti proprio lo stress, l’ansia e la depressione un incentivo in più per il peggioramento della patologia che va dunque trattato in modo appropriato, tramite l’aiuto di personale competente. Complessivamente dunque si tratta di una patologia potenzialmente invalidante, che va a interessare in toto la vita del soggetto, avendo ripercussioni particolarmente negative sia sulla vita quotidiana, sia sulla sfera emotiva e familiare, che in ambito lavorativo.

Questa sindrome nella popolazione generale ha un’incidenza del 2% ed è riscontrata molto più frequentemente nelle donne di mezza età, rispetto agli uomini.

La diagnosi si basa sulla presenza per più di tre mesi, di dolore muscolo-scheletrico diffuso e dalla dolorabilità data dalla palpazione dei tender points in accordo con i criteri dell’American College of Rheumatology del 1990. Tuttavia effettuarne una corretta e tempestiva diagnosi è molto spesso impossibile, in quanto non esistono ad oggi esami specifici o strumenti diagnostici che possano permettere una sicura e certa valutazione. Proprio per questo il soggetto fibromialgico viene riconosciuto per la numerosa quantità di esami effettuati, in quanto l’unico modo per

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5 diagnosticarla, è l’esclusione di qualsiasi altra patologia reumatica. Per tali ragioni è una sindrome spesso poco conosciuta e considerata dal personale sanitario essendo una malattia ad eziologia ignota e complessa e dalle scarse risposte terapeutiche.

Nel corso della trattazione di questa tesi verrà effettuato un excursus generale sulla fisiologia del muscolo, per averne una visione generale che permetta di comprendere maggiormente quanto verrà trattato in seguito, con una breve e particolare attenzione sulle contratture muscolari che caratterizzano la patologia e verrà posta una specifica attenzione sulla definizione di dolore, sul concetto di nocicezione e verranno ricordate le principali vie di trasmissione del dolore, essendo proprio questo, il sintomo cardine e più invalidante caratterizzante la sindrome fibromialgica. Dopo questa esplorazione generale fisiologica, verrà affrontato il tema principale riguardante la patologia, attenzionandone le principali scoperte relative alla patogenesi e all’eziologia, i criteri utilizzati nella valutazione diagnostica, i numerosi sintomi associati e si presterà particolare attenzione riguardo la terapia farmacologica, ma ancor di più quella non farmacologica, ossia l’ importanza di un piano di attività fisica ben strutturato, volto a ridurre il dolore e a migliorare qualitativamente la vita del soggetto.

Nella seconda parte, verrà affrontato il principale scopo di questa tesi che è quello di valutare l’impatto della sindrome sull’attività fisica quotidiana dei soggetti colpiti da tale patologia e in particolare, di valutare le limitazioni e i danni ad essa correlati. I dati di interesse verranno raccolti prospetticamente mediante questionari validati (l’IPAQ per l’attività motoria), che sono stati somministrati a pazienti afferenti alla UO di Reumatologia dell’AOUP. Verranno, inoltre, valutati il rischio cardiovascolare e le caratteristiche della malattia, ed i dati raccolti verranno confrontati con i dati della popolazione di controllo, data da soggetti sani

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6 appartenenti allo stesso sesso e nello stesso range di età dei pazienti reclutati.

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CAPITOLO I

1 FISIOLOGIA DEL MUSCOLO

Il tessuto muscolare scheletrico è responsabile di tutti i tipi di movimento che avvengono nell’organismo e l’attività di questo tessuto è essenziale per il mantenimento delle funzioni vitali, della postura, della locomozione e molte altre ancora.

Si differenziano vari tipi di muscolo e ognuno di esso è specializzato per lo svolgimento di determinate funzioni:

• Il muscolo liscio è attivato in via riflessa dal sistema nervoso autonomo in risposta a determinati stimoli, ed è volontario;

• Il muscolo striato è attivato dal sistema nervoso centrale in risposta a un desiderio cosciente ed è quindi un atto volontario. Tuttavia può essere anche responsabile di movimenti riflessi in risposta a stimoli esterni;

• Il muscolo cardiaco, invece, pur essendo un muscolo striato ha una contrazione del tutto involontaria.

Il muscolo scheletrico è costituito da una parte fondamentale che genera forza denominato corpo, contenente fasci di cellule muscolari singole, i fascicoli, a loro volta contenenti cellule muscolari che vengono chiamate fibre muscolari. Queste fibre muscolari sono caratterizzate da una membrana plasmatica detta sarcolemma e un citoplasma semifluido chiamato sarcoplasma.

All’interno del sarcoplasma si trovano le miofibrille che contengono l’apparato contrattile della fibra muscolare. Queste sono costituite da

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8 miofilamenti che si sovrappongono reciprocamente formati dalle proteine contrattili actina e miosina, che formano uno schema regolare che si ripete per tutta la lunghezza della miofibrilla. Un'unità di questo schema ripetitivo viene detto sarcomero.

Ogni miofibrilla è circondata da una rete di membrane chiamata reticolo sarcoplasmatico, connesse con strutture chiamate tubuli T. Questi, insieme, giocano un ruolo fondamentale nell’attivazione della contrazione muscolare, in quanto trasmettono i segnali dal sarcolemma alle miofibrille e così facendo permettono alla cellula muscolare di rispondere ai segnali nervosi.

1.1.1 Ultrastruttura del muscolo scheletrico

Le cellule muscolari scheletriche, presentano una striatura data da una disposizione ordinata delle fibre proteiche all’interno delle miofibrille, chiamate filamenti spessi e filamenti sottili, disposti a formare una sequenza ripetitiva di bande chiare (I) e scure (A).

Attraverso l’osservazione al microscopio si può individuare una zona più scura data dalla presenza di filamenti spessi sovrapposti a filamenti sottili, definita banda A. Al centro della banda A vi è una zona più chiara, la zona H, costituita solo da filamenti spessi, al centro del quale è visibile la linea M, che ha la funzione di connetterli. Le regioni in cui sono presenti soltanto filamenti sottili mostrano una banda chiara che prende il nome di banda I, nella quale, si trova la linea Z, che costituisce la linea di confine tra un sarcomero e l’altro.

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9 I filamenti spessi e sottili sono costituiti da proteine contrattili chiamate actina e miosina, capaci di generare la forza contrattile. I filamenti sottili sono costituiti da monomeri di actina, chiamati actina G, nei quali si trovano i siti di legame per la miosina. Questi monomeri sono strettamente legati tra di loro a formare strutture filamentose di actina F intrecciate a forma di doppia elica.

Nei filamenti sottili, si trovano inoltre proteine regolatrici responsabili dell’inizio e della fine della contrazione: la tropomiosina e la troponina. La tropomiosina è una proteina filamentosa disposta nel solco fra le due eliche di actina, capace di bloccare i siti di legame con la miosina quando il muscolo è a riposo. La troponina, invece, è costituita da un complesso di tre proteine (C, T ed I) disposte ad intervalli regolari (38,5 nm) lungo i filamenti di tropomiosina: una proteina si attacca al filamento di actina, un’altra si lega alla tropomiosina e la terza si lega in modo reversibile agli

Figura 1 (Immagine tratta da: http://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/miofibrille-sarcomero.html)

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10 ioni calcio. Il complesso troponina-tropomiosina, in assenza di 𝐶𝑎2+, inibisce l’interazione actina-miosina.

Ogni filamento spesso, invece, è costituito da circa 250 molecole di miosina, ed è un dimero composto da due subunità intrecciate tra loro, ognuna delle quali è formata da una testa ingrossata e da una coda. Queste teste, prendono il nome di ponti trasversali. Ciascuna testa possiede due siti fondamentali per la generazione della forza contrattile: un sito di legame per l’actina e un sito di legame per l’ATP, che possiede attività enzimatica e idrolizza l’ATP.

Analogamente ai filamenti sottili, anche a quelli spessi sono associate proteine addizionali: titina e nebulina. La titina è un filamento parallelo ai filamenti contrattili che si trova ancorato alla linea Z (parte elastica) e alla miosina (parte rigida). La parte elastica è responsabile dell’elasticità del sarcomero, mentre, la rigida conferisce stabilità alla miosina durante la contrazione. La nebulina invece è associata ai filmanti sottili e si lega alla linea Z.

1.1.2 Ciclo dei ponti trasversali

Il meccanismo che porta allo scorrimento dei filamenti spessi e sottili tra di loro, prende il nome di ciclo dei ponti trasversali, caratterizzato da un movimento oscillatorio, avanti e indietro, dei ponti trasversali tra miosina e actina, basato sull’energia che deriva dall’idrolisi dell’ATP.

Il movimento oscillatorio è dovuto a modificazioni nella conformazione delle molecole di miosina, che determinano, non solo un cambio di posizione delle teste, ma variano la capacità della miosina di legarsi ai monomeri di actina e il contenuto energetico delle molecole di miosina.

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11 Ogni ciclo dei ponti trasversali è formato da cinque fasi: (figura 2)

1. «Aggancio della miosina all’actina. La miosina si trova nella sua forma ad alta energia; ciò vuol dire che ADP e Pi (fosfato inorganico) sono legati al sito ATPasico della testa della miosina. In questo stato la miosina presenta un’elevata affinità per l’actina e la testa di miosina si lega ad un monomero di actina nel filamento sottile adiacente.

2. Colpo di forza. Il legame della miosina all’actina determina la liberazione del Pi e dell’ADP dal sito ATPasico. Nel corso di questo processo, la testa della miosina ruota verso il centro del sarcomero, tirando il filamento sottile con sé, e va verso lo stato a bassa energia.

3. Stato di rigor. Quando la miosina si trova nello stato a bassa energia, actina e miosina sono strettamente legate insieme; questa condizione viene detta rigor.

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4. Distacco della miosina dall’actina. Una nuova molecola di ATP si lega al sito ATPasico della testa della miosina, provocando una variazione conformazionale della testa, che determina una diminuzione dell’affinità della miosina per l’actina, cosi che la miosina si stacca dall’actina.

5. Energizzazione della testa di miosina. Subito dopo che si è fissato al

sito ATPasico della miosina, l’ATP viene idrolizzato da ADP e Pi, con rilascio di energia. Parte di questa è immagazzinata dalla molecola di miosina, che raggiunge così la conformazione ad alta energia. Il ciclo riparte nuovamente dalla fase I.» (1) (Stanfield, 2012, p.322-332)

1.1.3 Processo di accoppiamento eccitamento-contrazione

Quando una cellula muscolare riceve un segnale da parte di un motoneurone, si depolarizza e genera un potenziale d’azione che stimola la contrazione. Questo processo viene chiamato accoppiamento eccitamento-contrazione.

Il punto di congiunzione tra un motoneurone e una cellula muscolare viene chiamato giunzione neuromuscolare. Il motoneurone invia un potenziale d’azione e rilascia un neurotrasmettitore, l’acetilcolina. Una volta liberata, l’acetilcolina, si propaga verso la membrana plasmatica della cellula muscolare e legandosi a degli specifici recettori, provoca una variazione della permeabilità di membrana con conseguente depolarizzazione.

Una volta generatosi, il potenziale di azione si propaga lungo tutto il sarcolemma. Propagandosi lungo i tubuli T, provoca il rilascio del calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Il calcio, pertanto, costituisce il segnale di via per il ciclo dei ponti trasversali e di conseguenza per la contrazione.

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13 Esistono due diversi tipi di contrazione: isometrica ed isotonica, che si differenziano per la capacità o meno che ha il muscolo di accorciarsi durante la contrazione. Quando un muscolo si contrae isotonicamente, genera una tensione pari alle forze che vi si oppongono e il muscolo si accorcia. Quando si contrae isometricamente, sviluppa tensione senza accorciarsi, perché la forza generata non è adeguata a vincere il carico. Questo succede, quando si cerca di sollevare un oggetto troppo pesante o quando ci manteniamo in stazione eretta.

1.1.4 Le contratture muscolari

L’alterazione qualitativa e quantitativa della tensione basale di uno o più gruppi muscolari, data da un aumento di questa, e accompagnata a rigidità e ipertonia prende il nome di contrattura muscolare.

Lo stato tensionale di base è caratterizzato da:

• Assenza di dolore a riposo, alla mobilizzazione e alla palpazione;

• Consistenza a riposo “molle” alla palpazione;

• Minima tensione nell’estremità, caratterizzata solo da una lieve tensione data dai tendini.

La contrattura, invece, è caratterizzata da:

• Palpabile indurimento con variazione nella dimensione del muscolo in toto o solo di alcune fibre;

• Dolore alla palpazione, a riposo e durante mobilizzazione; • Aumento della resistenza del muscolo al movimento.

Sono state classificate in letteratura diverse tipologie di contratture muscolo-scheletriche: le contratture muscolari, le contratture da stiramento, lo spasmo, le contratture antalgiche, i trigger points, i crampi muscolari e le contrazioni difensive.

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14 Per quanto concerne le contratture muscolari, esse rappresentano un meccanismo di difesa del nostro organismo, in quanto esse evitano un esagerato stiramento, che potrebbe portare al danneggiamento del tessuto muscolare. In caso di eccessivo esercizio eccentrico, si potrebbero infatti, riscontrare contratture da stiramento, che hanno la funzione appunto di evitare di ledere il tessuto. Inoltre, un eccesso di attività eccentrica, potrebbe causare lesioni alla membrana plasmatica, al sarcolemma, ai tubuli T e al reticolo sarcoplasmatico, creando uno sproporzionato aumento di calcio e uno stato di continua contrazione associato a dolore.

Si possono manifestare anche contratture muscolari in caso di overload1 o overuse 2 dovuti ad alterazioni muscolari, alterazioni posturali o sovraccarichi. Queste due condizioni portano ad un difficile rilasciamento della muscolatura, portando ad ischemia ed ipossia localizzata.

Le lesioni articolari possono anch’esse causare contratture, infatti, possono portare ad un‘inibizione artrogenica dei muscoli e quindi ad un deficit muscolare. Il dolore, inoltre, determina un atteggiamento antalgico che porta a contrazione per compenso di determinati gruppi muscolari.

Una forma di stato contratturale molto descritto in letteratura è generato dai trigger points miofasciali, punti iperirritabili presenti nella bandelletta muscolare contratta, nei quali sono presenti dei noduli palpabili. I trigger points presentano determinate caratteristiche:

• Dolore in un determinato punto nel tessuto muscolare o nella fascia, non causato da traumi, infiammazioni, degenerazioni o neoplasie;

• Il dolore si può riferire sul nodulo o sulla bandelletta contratta e la pressione sul punto trigger può provocare una contrazione involontaria;

1 Overload: rappresenta un eccessivo carico alla muscolatura, dato da sovraccarico o da squilibri

muscolari e posturali che si concentrato in determinate strutture rispetto ad altre.

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15 • Il dolore non può essere spiegato da una valutazione neurologica.

I trigger points possono distinguersi in attivi e latenti; un trigger point attivo provoca dolore riferito senza la stimolazione diretta del punto trigger; un trigger point latente, invece, è asintomatico in quando non provoca dolore né localmente, né riferito, ma il dolore verrà percepito dal soggetto solo in seguito a stimolazione diretta del punto trigger.

1.1.4.1 Differenza tra Tender Point e Trigger Point

Esiste molta confusione a livello diagnostico-terapeutico tra la sindrome miofasciale e la fibromialgia, ma ancora più confusione sussiste tra tender point e trigger point.

I Tender Points sono considerati come punti dolenti alla pressione, localizzati in determinati punti del corpo e il dolore è evocato solo nel luogo dove si trova il tender point.

I Trigger Points sono, invece, aree eccessivamente dolorose localizzate in uno o più muscoli e situati nella miofascia, un leggero strato di tessuto connettivo che avvolge il muscolo dotandolo di mobilità. Al tatto è possibile individuare un nodulo dolente, che se non trattato immediatamente, provoca un ampliamento della zona dolorifica, causato da un’alterazione del microcircolo venoso-arterioso con la comparsa di ulteriori trigger points.

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16

2

IL DOLORE

Secondo la definizione della IASP (International Association for the

Study of Pain – 1986) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il

dolore “è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a

danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.(2)

(International Association for the Study of Pain, 1986; 3: S1-226)

Esso, tuttavia, non è considerato soltanto un fenomeno sensoriale, ma è costituito da: una parte percettiva, la nocicezione, che costituisce la componente oggettiva che consente la ricezione e il trasporto di stimoli nocivi al sistema nervoso centrale, tramite meccanismi di trasduzione, conduzione e percezione; e una parte esperenziale, che costituisce la componente soggettiva, data dallo stato psichico associato alla percezione della sensazione sgradevole.

Essendo il risultato di una serie complessa e specifica di meccanismi, e vista la sua modulazione data da numerosi fattori, la sensazione dolorifica è unica per ciascun individuo ed essendo presente in diverse situazioni cliniche, è il sintomo patologico che provoca maggiore disagio e diminuisce qualitativamente la vita del paziente sia in termini fisici, che psicologici.

Il dolore può essere classificato in maniera diversa, secondo la temporalità, in base ai meccanismi e al luogo di insorgenza. Per quanto concerne la temporalità, lo possiamo dividere in: dolore acuto e dolore

cronico. Il dolore acuto corrisponde ad un danno tissutale in atto e si

estingue con la risoluzione della patologia, ed ha per questo motivo, una durata limitata nel tempo. Il dolore cronico, invece, persiste anche in seguito alla risoluzione della patologia scatenante, oppure dura per più di sei mesi.

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17 In base ai meccanismi di insorgenza, possiamo considerare il dolore come: nocicettivo, neuropatico o psicogeno. Il dolore nocicettivo si presenta in seguito ad un evento lesivo, che stimola le terminazioni periferiche dei nocicettori. Può essere meccanico-strutturale, quando origina dai nocicettori sottoposti a stimoli sopra la soglia, o infiammatorio, che è invece provocato da una sensibilizzazione dei nocicettori periferici a causa di un processo flogistico. Il dolore neuropatico, invece, è caratterizzato da un danno o un’alterazione a carico del sistema nervoso centrale o periferico. Questo tipo di dolore può presentarsi in assenza di stimoli, o come conseguenza di stimoli innocui o poco dolorosi. Il dolore psicogeno è un dolore di origine psichica, che si presenta soprattutto in soggetti particolarmente ansiosi o stressati.

In base al luogo di insorgenza, possiamo classificare il dolore in:

somatico e viscerale. Il dolore somatico a sua volta si differenzia in

superficiale, quando origina da cute e sottocute, ed in profondo, quando origina dalle fasce muscolari, dal periostio, dai tendini e dai legamenti. Il dolore viscerale, invece, è un dolore che prende origine dagli organi interni e si differenzia in: diretto, quando è avvertito sull’organo interessato, oppure riferito, quando il dolore viene percepito in una zona del corpo differente dalla sede primaria di insorgenza.

2.1.1 Nocicezione

Tra la sede del danno tissutale e la percezione dolorifica come esperienza sensoriale, si interpongono una serie di meccanismi fisiologici che definiscono la cosiddetta nocicezione. I nocicettori sono delle strutture ad alta soglia di stimolazione, rappresentati dalle terminazioni periferiche libere dei neuroni sensitivi primari, i cui corpi cellulari sono localizzati nei gangli delle radici dorsali. Questi, sono numerosi nella giunzione dermo-epidermica, nel muscolo, nel periostio, nella capsula degli organi interni e

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18 sulle pareti dei vasi e degli organi cavi, e vengono distinti in unimodali e

polimodali.

Sono distinguibili due diversi tipi di nocicettori, in base al tipo di fibra che li costituisce: fibre Aδ e fibre C. Fra i nocicettori di tipo Aδ distinguiamo i cosiddetti unimodali meccanici, che rispondono agli stimoli meccanici e termici e sono responsabili del dolore epicritico (ben definito e localizzato). Le fibre Aδ, sono fibre mieliniche con una velocità di conduzione di circa 20m/s e trasportano il dolore attraverso il fascio neospinotalamico. Le fibre C, di contro, trasmettono il dolore lento, non ben localizzato e cosiddetto protopatico. Quest’ultime sono fibre amieliniche che conducono ad una velocità di 2m/s; in questo caso, si tratta di nocicettori polimodali. Il dolore lento, viene trasportato, sia dal fascio paleospinotalamico che dal fascio spinoreticolare.

Essendo i nocicettori terminazioni nervose libere, sono in contatto diretto con sostanze chimiche presenti nel liquido extracellulare, definite sostanze algogene capaci di attivare i nocicettori. Questo tipo di sostanze vengono rilasciate da cellule danneggiate oppure da mastociti e piastrine.

Fra le sostanze algogene si riconoscono:

• Le prostaglandine: responsabili della sensibilizzazione dei nocicettori ad altre sostanze algogene e stimolatori del rilascio della sostanza P;

• L’instamina: liberata dai mastociti in seguito a stimolo dato dall’ IL-1 e dalla sostanza P;

• La bradichinina: prodotta da una proteina presente nel plasma, in grado di stimolare direttamente i nocicettori e provocare effetti pro-infiammatori;

• La sostanza P: è uno dei principali neurotrasmettitori del dolore che agisce sia a livello periferico, promuovendo l’infiammazione, sia a livello centrale;

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19 • La serotonina: che nel sistema nervoso periferico, sensibilizza i nocicettori all’azione della bradichinina, mentre nel sistema nervoso centrale, ha azione inibente sulle corna posteriori del midollo.

• Ioni 𝐻+e 𝐾+: che determinano sia la stimolazione della terminazione

nervosa, sia il rilascio di mediatori dell’infiammazione.

2.1.2 Le vie del dolore

La trasmissione del dolore avviene in quattro diverse fasi: la trasduzione, la trasmissione, la conduzione e la percezione. La trasduzione del segnale è appunto il primo step ed avviene a livello dei nocicettori, ovvero come già detto, nelle terminazioni periferiche dei neuroni sensitivi primari. Le branche centrali di questi neuroni, dopo essere entrate all’interno del midollo spinale, si dividono a T in corrispondenza del solco laterale posteriore, in un ramo ascendente e in uno discendente, dai quali originano successivamente ulteriori ramificazioni che penetrano nella sostanza grigia del midollo spinale. All’interno della sostanza grigia, il prolungamento del neurone sensitivo primario, forma sinapsi con i neuroni sensitivi secondari e con diversi tipi di interneuroni. I neuroni sensitivi secondari possono essere divisi in due tipologie: quelli che ricevono afferenze esclusivamente dolorifiche dalle fibre Aδ e C, localizzati principalmente nella lamina I e nella lamina II; quelli che ricevono afferenze sia dalle fibre nocicettive Aδ e C, sia dalle fibre Aβ, presenti principalmente nella lamina V.

Gli assoni dei neuroni sensitivi secondari, decussano sul piano mediano a livello della commessura anteriore, e si portano rostralmente per giungere in altre strutture dell’encefalo e del tronco encefalico; una piccola percentuale di fibre, tuttavia, rimane omolaterale.

La via nocicettiva afferente primaria è formata dai fasci: spinotalamico, spinoreticolare e spinomesencefalico, che insieme formano la via

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lemnisco-20 spinale. Il fascio spinotalamico è organizzato a sua volta in due fasci: neospinotalamico e paleospinotalamico.

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21 Il fascio neospinotalamico si trova lateralmente nel quadrante anterolaterale del midollo spinale, con i neuroni di origine nelle lamine I e V e termina con poche sinapsi nel nucleo ventroposterolaterale del talamo, e questi a sua volta proietta alla corteccia cerebrale, principalmente all’area somestesica primaria ipsilaterale. Questa via è quella del dolore acuto, con poche implicazioni di memoria e scarsamente dotata di connotazioni esperienziali.

Il fascio paleospinotalamico, invece, si trova medialmente nel quadrante anterolaterale del midollo spinale e i suoi neuroni originano dalle lamine IV, V, VI, VII e VIII. È la via filogeneticamente più antica, responsabile della trasmissione del dolore protopatico. Le sue fibre terminano nei nuclei talamici intralaminari e dorsomediale, che a loro volta proiettano alla corteccia cerebrale, soprattutto verso le aree associative e verso il sistema limbico. È una via che subisce numerose sinapsi intermedie nella sostanza reticolare, ed è proprio per questo che l’impulso condotto è estremamente modulato, ed è responsabile sia della componente emozionale del dolore che della componente cognitiva-comportamentale.

Il fascio spinoreticolare origina dai neuroni del nucleo intermedio del midollo spinale, i cui assoni decorrono nella parte mediale del fascio spinotalamico, alcuni decussando e altri rimanendo omolaterali. Alcune fibre creano sinapsi con la formazione reticolare, mentre altre giungono nell’ipotalamo e ai nuclei intralaminari del talamo. Questa via può modulare alcune reazioni vegetative in risposta al dolore, come ad esempio la secrezione di ormoni.

Il fascio spinomesencefalico è costituito dagli assoni dei neuroni delle lamine I e V e termina nella sostanza grigia periacqueduttale e nei tubercoli quadrigemini superiori, che proiettano al talamo.

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22 Oltre la via nocicettiva afferente primaria, c’è una via extralemniscale costituita dal sistema ascendente multisinaptico e ulteriori vie accessorie, costituite dal fascio spinocervicale, dal sistema dei cordoni posteriori e dal tratto di Lissauer.

2.1.3 Modulazione del dolore

La modulazione del dolore è un processo fondamentale per ridurre un danno potenziale dato da un eccesso di dolore che può andare ad inibire alcune facoltà del soggetto. Questa tuttavia si deve considerare come una via a doppio senso in quanto si può avere analgesia o un’intensificazione della sensazione dolorifica. Alcuni stati psicologici sono capaci di esaltare la sensazione del dolore, specialmente nel dolore cronico.

Un fondamentale contributo nella modulazione del dolore è dato dai peptidi oppioidi endogeni, prodotti dal sistema nervoso in specifiche situazioni psico-fisiche, di questi ricordiamo: le encefaline, le endorfine e le dinorfine.

I meccanismi deputati al controllo del dolore sono principalmente due, uno centrale e uno periferico. Quello periferico agisce a livello spinale secondo la cosiddetta teoria del cancello, secondo cui ci sono interneuroni

Figura 4

(https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_cancello) Figura 5

(24)

23 inibitori posti nella sostanza gelatinosa di Rolando che ricevono afferenze eccitatorie da parte delle fibre Aβ e inibitorie dalle fibre Aδ e C. Così facendo le fibre Aβ che trasmettono informazioni tattili e propriocettive, chiudono il cancello (figura 5), provocando un’attenuazione del dolore; a differenza delle fibre Aδ e C che aprono il cancello (figura 4).

Il meccanismo centrale, invece, è formato da diverse regioni corticali e subcorticali che creano il cosiddetto “sistema di controllo discendente”. A livello della corteccia orbitofrontale e dalla amigdala, principali aree deputate al controllo discendente, originano fibre che raggiungono la sostanza grigia periacqueduttale, che circonda l’acquedotto di Silvio e da cui originano fibre eccitatorie che terminano nel nucleo magno del rafe e nel nucleo laterale tegmentale del ponte, dove si trova il locus coeruleus. Dal nucleo magno del rafe origina una via serotoninergica, mentre dal locus coeruleus una noradrenergica, ed entrambe terminano a livello delle corna posteriori del midollo spinale, dove si trovano interneuroni inibitori che bloccano il segnale nocicettivo afferente.

La facilitazione dolorifica, avviene di contro tramite il fenomeno della sensibilizzazione, che può manifestarsi con due fenomeni fisiopatologici: l’iperalgesia, ovvero esagerata percezione di dolore in seguito a un lieve stimolo doloroso, e l’allodinia, ovvero sensazione di dolore successivo ad un’innocua stimolazione. La sensibilizzazione può svilupparsi sia a livello periferico, che a livello centrale: la sensibilizzazione periferica è dovuta all’azione di mediatori chimici come la bradichinina e le prostaglandine che agendo sulle terminazioni nervose ne diminuiscono la soglia di attivazione. La sensibilizzazione centrale, invece, si crea quando la stimolazione è ripetuta o particolarmente forte, per cui i neurotrasmettitori rilasciati attivano dei recettori che provocano alterazioni biochimiche, funzionali e strutturali mediante la traduzione di geni silenti che provocano una riduzione della soglia di stimolazione. (3)

(25)

24

3 LA FIBROMIALGIA

“La fibromialgia è una sindrome da sensibilizzazione centrale, caratterizzata da disfunzioni nei neurocircuiti che coinvolgono la percezione, trasmissione e processazione degli stimoli nocicettivi afferenti con la prevalente manifestazione di dolore a livello dell’apparato muscoloscheletrico. In associazione al dolore possono poi esserci una moltitudine di sintomi (astenia, disturbi del sonno, dolore addominale, ecc.) che sono comuni ad altre sindromi da sensibilizzazione centrale”. (4) (Cazzola M, Sarzi-Puttini et al., 2008; 60: Supplemento 1 : 3-14.)

In sintesi, si può affermare, che le manifestazioni sintomatologiche della sindrome fibromialgica, sono caratterizzate da un’alterazione della soglia del dolore a livello muscolo scheletrico, infatti il paziente fibromialgico percepisce come dolorosi stimoli che normalmente non evocano dolore, si parla dunque di “iperalgesia” e “allodinia” secondo la definizione IASP (Association for the Study of Pain) e si contraddistingue un corteo sintomatologico e alterazioni dell’umore che portano con il tempo ad un deterioramento particolarmente rilevante della qualità della vita del soggetto.

3.1.1 La storia della fibromialgia

Storicamente la fibromialgia ha avuto un percorso clinico molto complesso, perché nonostante i criteri diagnostici siano stati codificati da meno di vent’anni, questa, era già conosciuta da diversi anni ma sotto diverse classificazioni. Disparate “etichette diagnostiche” si sono succedute nel corso del tempo, come sinonimi del termine “sindrome fibromialgica”, tra queste alcuni esempi che possiamo ricordare sono: la fibrosite,

(26)

25 miofibrosite interstiziale, nodulosi reumatica, reumatismo Psicogeno, reumatismo non articolare, ecc.

Negli anni, numerosi autori hanno cercato di studiare attraverso esami istologici di biopsie muscolari i noduli presenti nel tessuto e nella fascia muscolare. A partire dagli anni ’30 venne introdotto il termine di “dolore miofasciale” e di “trigger points” da Edeiken e Wolferth,(5) per descrivere

un dolore in risposta alla pressione esercitata su una determinata zona. La fibromialgia, inoltre, la possiamo considerare una diretta discendente della fibrosite, come processo infiammatorio che giustifica il dolore e la rigidità muscolare; solo negli anni ’40, però venne esclusa l’ipotesi dell’infiammazione e si ritenne più probabile come causa quella psicologica, tuttavia cercando sempre di trovare un corrispettivo organico che ne spiegasse l’effettiva causa.

Nel 1942 Travell e coll (6), definirono invece le precise sedi dei trigger points e ne definirono le seguenti caratteristiche: sensibilità dolorosa profonda circoscritta, comparsa di una fascicolazione dopo la stimolazione del punto trigger, dolore evocato alla compressione del punto trigger.

Nel 1976 Smythe e Moldofsky introdussero il termine di sindrome fibrositica (7) attribuendo un’importanza rilevante ai punti tender e alla sintomatologia generale (astenia, disturbi del sonno, depressione, ansia). Anni dopo la loro definizione diagnostica fu contestata e Yunus nel 1981 definì tale sindrome come fibromialgia (8), un termine già introdotto da

Hench nel 1976 (9). In questa nuova accezione, veniva data rilevanza oltre che ai punti tender e ai sintomi generali, anche ai sintomi viscerali (cefalea, colon irritabile) e a vari fattori ambientali (clima, stress, attività fisica, rumori). Venne inoltre effettuata una classificazione della sindrome fibromialgica in primitiva, secondaria e concomitante.

(27)

26 Nel 1990 sono stati definiti i criteri diagnostici dall’ ACR (American College of Rheumatology) e questi sono stati validati attraverso uno studio multicentrico su 558 pazienti affetti da fibromialgia.

Tabella 1

Solo a partire dal 1994 la diagnosi è stata riconosciuta a livello internazionale con la “Dichiarazione di Copenaghen”. Tuttavia, i criteri dell’ACR sono stati criticati per varie motivazioni: in primis, perché non definibili con dati strumentali e perché caratterizzano più un sottogruppo di pazienti nel quale in dolore è più diffuso rispetto ad altri.

Ad oggi, la fibromialgia è una delle sindromi più controverse in ambito reumatologico in quanto non esistono tecniche strumentali di laboratorio ben definite e quindi si incontrano notevoli difficoltà riguardo la diagnosi.

(10)

3.1.2 Epidemiologia

L’epidemiologia può fornirci informazioni sul numero dei soggetti affetti dalla sindrome fibromialgica e quanto la malattia sia frequente. Ovviamente, però, lo studio della frequenza dipende anche dai criteri utilizzati. La fibromialgia si trova al secondo/terzo posto tra le malattie reumatiche, la sua forma primitiva è più frequente nel sesso femminile, in particolare nelle due fasce di età tra i 25-35 anni e dai 45-55. Si tratta spesso di donne con un livello di istruzione medio-basso, casalinghe, che

Criteri classificativi della FM (ACR 1990)

Storia clinica di dolore diffuso (da almeno 3 mesi).

Il dolore è considerato diffuso quando sono presenti tutte le seguenti localizzazioni: dolore al lato sinistro del corpo, dolore al lato destro, dolore al di sopra della vita, dolore al di sotto della vita; dolore scheletrico assiale in almeno 1 sede (rachide cervicale, torace anteriore, rachide dorsale o lombo-sacrale). Dolore in 11 di 18 aree algogene (tender points) alla palpazione digitale

(28)

27 effettuano attività lavorative poco appaganti e monotone e che si trovano spesso in contesti familiari caratterizzati da conflittualità. Come già citato in precedenza i criteri ACR includono la presenza di dolore generalizzato e di 11 su 18 punti tender dolorabili alla pressione. Esistono, comunque, delle difficoltà per applicare questi criteri in quanto è impossibile per l’esaminatore standardizzarne la pressione e inoltre perché il dolore alla pressione è, in ogni modo, una caratteristica generale di ogni soggetto sano, con una manifestazione invece estrema nella dolorabilità nel soggetto fibromialgico.

Sono stati condotti solo due studi di incidenza3 della fibromialgia, uno nel 1990 e uno nel 1995, dove vennero intervistate 2498 donne di età compresa tra i 20 e i 49 anni. All’interno di questa popolazione vennero, in due momenti differenti a distanza di 5 anni, estratte 100 donne le cui risposte al questionario si modificarono da negative a positive e vennero confrontate con un gruppo di donne le cui risposte erano rimaste negative nel corso del tempo. Dall’analisi dei dati, emerse che, nel primo gruppo a 12/100 donne, poteva essere diagnosticata la fibromialgia, al contrario, delle donne presenti nel secondo gruppo, alle quali non poteva essere attribuita la stessa diagnosi. I risultati di questa ricerca però, mostrano dati discordanti, in quanto, se da un lato attestano che tale malattia può essere considerata cronica e non mortale, dall’altro la seconda fase dello studio dipinge il quadro generale come fluttuante e nella maggior parte dei casi remissivo. Mettendo a confronto queste ultime osservazioni con quelle che avvengono all’interno della pratica clinica, possiamo osservare un ulteriore discordanza, che è però giustificata dal fatto che i casi che vengono selezionati negli studi sono per lo più casi gravi e quindi difficilmente tendono alla remissione. Questo, porta alla necessità di valutare, come i

(29)

28 casi lievi che comunque rappresentano la maggioranza dei soggetti affetti da questa sindrome vengono presi in carico dalla sanità pubblica. (11)

Il secondo studio condotto su un’estesa popolazione negli USA e condotto con metodi differenti, riporta gli stessi risultati di incidenza che erano stati dedotti dal primo, evidenziando una rilevanza maggiore nelle donne con un rapporto di incidenza rispetto agli uomini pari al 1,64, con tendenza ad aumentare fino alla soglia dei 45 anni, dopo dei quali si osservava una stabilizzazione. (12)

Per quanto riguarda la prevalenza4, sono stati effettuati diversi studi,

tuttavia, questi sono difficilmente confrontabili in quanto i soggetti studiati non avevano un’età omogenea, differivano per estrazione sociale, il periodo dello studio non era tenuto in considerazione e in quanto sono stati utilizzati criteri diversi per valutare la stessa malattia. Un dato particolarmente rilevante è che non sembra che la fibromialgia abbia un pattern geografico a differenza dell’artrite reumatoide e della polimialgia reumatica che diminuiscono da nord a sud.

In conclusione, l’epidemiologia della fibromialgia mostra una patologia molto diffusa anche se gli studi hanno mostrato risultati a volte molto discordanti. In Italia, in base ai dati ambulatoriali si può ipotizzare che i pazienti fibromialgici siano almeno un milione e che è una patologia influenzata da variabili culturali, sociali ed etniche.

3.1.3 Sintomi e criteri diagnostici della sindrome

3.1.3.1 I sintomi

La sindrome fibromialgica come già precedentemente esposto, è una condizione dolorosa cronica, caratterizzata da astenia e da altri sintomi a

4 Prevalenza: indica la percentuale di soggetti malati presenti in un campione della popolazione generale

(30)

29 carico di organi e apparati. Il dolore cronico è generalmente descritto come un dolore “bruciante” diffuso in tutto il corpo. Alcuni soggetti lo percepiscono a livello dei muscoli, altri invece a carico delle articolazioni. È stato possibile valutare, in oltre, che l’intensità varia non solo di giorno in giorno, ma anche all’interno della stessa giornata con un picco tra le 11 del mattino e le 3 del pomeriggio. Ovviamente la distribuzione e l’intensità non sono uniformi in tutti i soggetti ma dipendono da numerosi fattori come il tipo di attività lavorativa effettuata dalla persona o la comorbidità con altre patologie.

Per quanto riguarda il sintomo dell’astenia, il livello di affaticamento, varia nei diversi pazienti da lieve fino ad arrivare ad una sensazione di spossatezza tale da essere paragonabile agli stati febbrili.

In associazione ai sintomi cardine quali il dolore e l’astenia, i pazienti riferiscono anche uno o più dei sintomi successivamente descritti che vanno a coinvolgere organi e apparati.

Un sintomo, tra questi, frequentemente riportato, è la cefalea percepita come dolore soprattutto alla nuca. La causa sembrerebbe data da uno spasmo muscolare a carico dei muscoli del collo e delle spalle e alcuni soggetti, molto spesso, accusano anche dolore a livello della mandibola durante la masticazione, data da una contrattura alla muscolatura.

La rigidità, altro sintomo, non supera al mattino i 60 minuti e alcuni soggetti ne riferiscono la comparsa durante le ore serali in seguito ad un’attività lavorativa intensa, il microclima e l’umidità, inoltre ne possono causare un visibile peggioramento.

Alcuni soggetti possono evidenziare una sensazione di tumefazione dei tessuti molli per lo più nelle dita delle mani mentre altri invece, riferiscono parestesie, descritte come formicolio soprattutto agli altri, alle mani o al tronco.

(31)

30 I pazienti fibromialgici possono accusare anche sintomi a livello della cute, quali prurito, secchezza o comparsa di macchie. In alcuni, in seguito all’esposizione al freddo, si è riscontrato il cosiddetto “fenomeno di

Raynaud5”. Tuttavia l’intensità di queste manifestazioni cutanee è lieve e

non porta quasi mai ad ulcerazioni come accade invece in malattie proprie del connettivo.

Sono stati riscontrati anche disturbi riguardo la sensibilità, infatti si è notato che la sensibilità termica in alcuni pazienti è alterata in quanto percepiscono stimoli caldi e freddi in maniera anomala, sicuramente a causa di un’iperattività del sistema nervoso centrale e periferico. A livello della sensibilità visiva, alcuni riferiscono difficoltà nel mettere a fuoco, annebbiamenti della vista, affaticabilità visiva e fastidio all’esposizione a luci intense. La causa potrebbe riguardare la muscolatura che va a controllare il movimento degli occhi e la messa a fuoco.

Si possono avere anche, alterazioni dell’equilibrio, caratterizzate da una sensazione di instabilità e di barcollamento, date da contratture alla muscolatura del collo o dai disturbi visivi sopra descritti.

Oltre il 30% dei pazienti può presentare, ulteriormente, una fastidiosa sensazione a carico degli arti inferiori definita “sindrome delle gambe senza riposo”, disturbi particolarmente evidenti durante la notte.

Alcuni pazienti riferiscono anche difficoltà digestive, dolori addominali e alternanza di stipsi e diarrea, sintomi caratterizzanti la sindrome da colon irritabile.

Un altro sintomo particolarmente invalidante è dato dalla difficoltà nell’addormentarsi, infatti, questi soggetti al risveglio hanno la sensazione di non aver riposato a sufficienza e riferiscono un sonno molto leggero.

5 Fenomeno di Raynaud: è un vasospasmo dato da uno stimolo fisiologico di vasocostrizione, causato da

stimoli simpatici (forte emozione, spavento o forte stress) o passaggio da ambienti caldi a freddi. È costituito da tre fasi: la fase ischemica con riduzione del flusso di sangue, la seconda fase caratterizzata da cianosi, formicolio e dolore e l’ultima fase, risolutiva, definita di iperemia reattiva.

(32)

31 Tutto questo può portare durante la giornata del soggetto a difficoltà di concentrazione, perdita della memoria e difficoltà a eseguire più attività contemporaneamente.

Per quanto riguarda nello specifico sintomi più psicologici, si è visto che i pazienti fibromialgici sono spesso ansiosi. Infatti, in uno studio, si è notato che il 60% dei soggetti, riferiva un peggioramento del dolore in concomitanza con stati d’ansia e situazioni stressanti.

Attraverso altre ricerche in campo psicologico si è dimostrato che la depressione nel fibromialgico si può definire secondaria, intesa come un abbassamento del tono dell’umore, dato ovviamente dallo stato di salute particolarmente debilitante. In ogni caso, i sintomi ansiogeni e depressivi sono fattori estremamente peggiorativi riguardo la suddetta patologia e come tali devono essere adeguatamente trattati da appositi terapeuti.

Vista la grande variabilità dei sintomi da un caso all’altro, sono state descritte diverse tipologie d’esordio:

• Variante panalgica: il paziente riferisce dolore generalizzato ovunque;

• Variante articolare: il dolore è localizzato a livello delle articolazioni;

• Variante assiale: il dolore è percepito a livello del rachide cervicale e/o lombo-sacrale;

• Variante viscerale e neurovascolare: caratterizzata da gonfiore a carico delle articolazioni, parestesie e alterazioni gastrointestinali; • Variante con prevalente astenia: la stanchezza risulta il disturbo più

(33)

32

3.1.3.2 I criteri diagnostici

Nel 1990 l’American College of Rheumatology ha condotto uno studio allo scopo di uniformare i criteri della sindrome fibromialgica. Vennero confrontati pazienti affetti da fibromialgia primaria e soggetti con fibromialgia secondaria con un gruppo di controllo costituito da pazienti affetti da altre patologie reumatiche. Si valutò sia la sintomatologia dolorosa (presenza di dolore diffuso e tender points attivi), sia sintomi classici (rigidità, colon irritabile, depressione e ansia). La presenza di 11 su 18 tender points positivi (tutti bilaterali) in seguito ad una digitopressione di 4 kg, fornì il dato più accurato per la diagnosi di fibromialgia sia primaria che secondaria.

Proprio a questo proposito l’ACR definì una mappa dei tender points: • “Occipite: bilaterale, all’inserzione del muscolo sub-occipitale; • Cervicale: bilaterale, superfice anteriore dei legamenti

intertrasversali C5- C7;

• Trapezio: bilaterale, al punto medio del bordo superiore;

• Sovraspinato: bilaterale, all’origine del muscolo sovraspinato, al

di sopra della spina della scapolare, in prossimità del bordo mediale della scapola;

• Seconda costa: bilaterale, al livello della seconda articolazione

costo-condrale;

• Epicondilo laterale: bilaterale, 2cm distalmente all’epicondilo; • Gluteo: bilaterale, sul quadrante supero-esterno del grande

gluteo;

• Grande trocantere: bilaterale, posteriormente alla prominenza

(34)

33 • Ginocchio: bilaterale, al livello del cuscinetto adiposo mediale,

prossimalmente all’interlinea articolare.” (13) (Wolfe F, Smythe

HA, Yunus MB, et al., 1990; 2: 160-72)

Figura 6 (immagine tratta da: https://medicinaonline.co/2017/03/11/fibromialgia-dove-si-trovano-i-tender-points-che-provocano-dolore-alla-palpazione/)

Altre condizioni come ansia e colon irritabile erano presenti con minor frequenza e per questo non rappresentarono dei criteri diagnostici standard. Inoltre, in questo studio condotto dall’ACR, si affermò che la fibromialgia primaria e secondaria non mostravano apprezzabili differenze e per questo si decise di abolirne la distinzione.

Molti specialisti in reumatologia ritengono però troppo restrittivi i criteri dettati dall’ACR 1990 e sostengono che sia possibile diagnosticare la patologia anche in presenza di un numero inferiore a 11 di tender points.

(35)

34

3.1.3.3 Scale di valutazione dei sintomi

Il dolore nella fibromialgia assume un ruolo primario e viene preso in considerazione, non solo come indice di gravità, ma anche come valutazione prognostica a lungo termine. Per valutarlo si possono utilizzare le cosiddette “mappe del dolore”. Tali mappe, vengono utilizzate dai pazienti per segnare le parti di una figura umana nelle quali essi avvertono dolore in un dato momento. È dunque questo, un utile strumento per valutare sede e distribuzione del dolore e registrarne le variazioni nel tempo in risposta al trattamento. Un esempio di mappa del dolore è dato dal

Visual Regional Pain Scale (V-RPS) (14) che permette di valutare la percentuale della superficie corporea colpita e il punteggio del dolore soggettivo. È una scala di facile utilizzazione ed elevata ripetibilità nel tempo. (figura 7)

(36)

35 Un altro tipo di scala utilizzato per la valutazione del dolore è la

Numerical Rating Scale (NRS) che consiste in una serie numerica da 0

(assenza di dolore) a 10 (dolore massimo). Questo strumento è stato valutato come il migliore per la misurazione e il monitoraggio dell’intensità del dolore, in quanto, ne è stata verificata l’affidabilità e la validità come indice di valutazione. È stato definito, inoltre, uno strumento valido, sia nel dolore acuto che nel cronico, di semplice utilizzo anche da parte dei pazienti più anziani e che può essere somministrato verbalmente senza bisogno di particolare supporto. (15)

Una misura più continua e diretta, che ha avuto grande diffusione è la

Visual Analogue Scale (VAS), introdotta per superare i limiti delle scale

descrittive. Questa particolare scala è costituita da una retta (della

Figura 8 (immagine tratta da Sarzi-Puttini. Il manuale del paziente affetto da sindrome fibromialgica)

(37)

36 lunghezza di 10 cm) alle cui estremità sono posizionate le scritte “dolore assente” e “il più forte dolore immaginabile”. Tuttavia deve essere presa in considerazione, che soggetti anziani o con basso livello di istruzione, possono incontrare difficoltà nell’utilizzo di queste scale, in quanto, il processo psichico implicato per compilarle è più complesso rispetto alla semplice espressione verbale. (16)

A causa di queste difficoltà, si è cercata la possibilità di quantificare il dolore attraverso l’espressione verbale, questo ha condotto alla creazione del McGill Pain Questionnaire (MPQ), costituito da 78 descrittori del dolore.

Questi 78 descrittori, sono a loro volta suddivisi in 20 sottoclassi, ognuna delle quali è caratterizzata da un’etichetta descrittiva. I problemi principali determinati dall’uso del MPQ sono dati dalla difficile somministrabilità al paziente. (17)

Un altro modo per valutare le variazioni del dolore è quello di far tenere giornalmente un diario con le attività specifiche svolte (ad esempio, sedersi, camminare, stare in piedi, attività domestiche, tipo e qualità del sonno, pasti assunti, attività sessuale) e quanto tempo dedicano ad esse. Tale valutazione, sebbene usi un metodo di quantificazione indiretta, si è dimostrato attendibile e rappresenta un metodo utile per valutare i cambiamenti delle condizioni patologiche e la risposta terapeutica.

Per valutare l’affaticamento, altro sintomo cardine della sindrome fibromialgica, gli strumenti maggiormente utilizzati sono il

Multidimensional Assessment of Fatigue Index (18), il Brief Fatigue

Inventory (19) ed il Functional Assessment of Chronic Illness Therapy

Fatigue Subscale (20) (FACIT-F). In particolare il Multidimensional

Assessment of Fatigue Index misura la fatica e come essa si ripercuota

sull’attività quotidiana del soggetto, mediante la somministrazione di 16 quesiti: 3 di questi valutano severità e grado della fatica, 11 ne valutano

(38)

37 l’interferenza con lo svolgimento delle attività quotidiane e un ulteriore domanda ne misura i cambiamenti temporali. Il punteggio totale del questionario è compreso tra 0,125 e 10.

Il grande impatto di questa malattia cronica sullo stato di salute, ha inoltre favorito lo sviluppo di specifiche scale di valutazione della disabilità e della qualità della vita. A tal proposito, gli strumenti più utilizzati sono rappresentati dal Fibromyalgia Impact Questionnaire (FIQ) (21) e dal Fibromyalgia Moldofsky Questionnaire (FMQ). (tabella 2) (22)

Il FIQ è un questionario specifico per la fibromialgia che consta di 20 quesiti, suddivisi in tre sezioni, concernenti le difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, la salute generale e l’attività lavorativa. Un ulteriore sezione valuta i sintomi correlati alla malattia (7 quesiti basati su VAS fra 0 e 100).

Il FMQ è costituito, invece, da 6 domande che valutano 5 sintomi/domini (dolore diffuso, dolore alla pressione, astenia, sonno non ristoratore, depressione e qualità della vita). Un punteggio superiore ad 8 indica, come molto probabile, la diagnosi di fibromialgia a differenza di un punteggio inferiore a 3 che la esclude completamente.

Versione Italiana del Fibromyalgia Moldofsky Questionnaire

Mai Qualche volta

Spesso Sempre Non so

Score

Ho dolore e rigidità in molte parti del corpo 0 1 2 3 0

Il mio corpo è sensibile ad ogni compressione o pressione 0 1 2 3 0

Mi sento in forma 3 2 1 0 0

Il mio sonno è riposante 3 2 1 0 0

Mi sento triste o nervoso 0 1 2 3 0

Sono soddisfatto della mia vita 3 2 1 0 0

Punteggio Totale

Descriva come si è sentito/a nell’ultimo mese. Scelga il numero corrispondente ad ogni singola domanda nella rispettiva casella

(39)

38

3.1.4 Eziopatogenesi

L’eziopatogenesi delle sindromi da ipersensibilizzazione centrale, tra cui la fibromialgia, non è ancora stata chiarita del tutto, per questo, le cause scatenanti restano ancora ipotetiche. Si sostiene che la fibromialgia non possa essere ricondotta ad un singolo fattore scatenante, infatti, spesso i pazienti non riescono ad identificare l’evento che ne ha determinato l’insorgenza.

In letteratura, sono stati effettuati diversi studi per ricercarne le possibili cause; uno tra questi sostiene che un sonno qualitativamente carente, possa giocare un ruolo patogenetico rilevante nell’insorgenza di una sindrome fibromialgica. Attraverso l’elettroencefalogramma, si è dimostrato, come il sonno sia costituito da una successione di cicli che si ripetono 4-5 volte in una singola notte. Ogni ciclo è costituito da quattro fasi caratterizzate da onde alfa, theta o delta, dette fasi di sonno sincronizzato. Oltre a queste si ha una fase di sonno desincronizzato o fase REM (Rapid Eye Moviments), in cui normalmente si sogna. Il sonno più importante, con funzione ristoratrice, è dato dal terzo e quarto stadio e dalla fase REM. Diversi autori hanno dimostrato, utilizzando su soggetti sani, una fonte sonora di intensità sufficiente a disturbare la fase profonda del sonno, ma comunque da non provocarne il risveglio, una sintomatologia analoga a quella dei soggetti fibromialgici, con la comparsa di tender points attivi. In questi soggetti inoltre si è osservata un’alterazione del tracciato ECG analogo ai pazienti fibromialgici. (23-24)

Un interessante osservazione è stata riscontrata conducendo lo stesso esperimento su tre atleti, che non ha portato a risultati analoghi al precedente studio. Si è pensato, quindi, che esistono fattori modulanti, tra i quali la più importante è stata ritenuta l’attività fisica. (25)

Studi recenti hanno trovato delle alterazioni di amminoacidi a catena ramificata (valina, leucina, isoleucina) e fenilalanina, cross-links del

(40)

39 collagene (degradazione del collagene) e una riduzione del rapporto pridinolina/deossipiridinolina e ridotti livelli di idrossiprolina. (26-27)

In altri studi sono stati riscontrati bassi livelli sierici di 5-HT (o serotonina) nei soggetti affetti da sindrome fibromialgica, rispetto ai controlli sani. La serotonina è un neurotrasmettitore molto importante nel sistema nervoso centrale, in quanto regola il tono dell’umore, interviene nella regolazione del sonno non REM, modula la temperatura corporea e modula la sensibilità al dolore, ed è inoltre implicata nella regolazione della sessualità e dell’appetito. È stato anche ipotizzato che i pazienti affetti da fibromialgia potessero presentare un alterato funzionamento del trasportatore della serotonina a livello sinaptico, dovuto ad un polimorfismo trascrizionale. (28)

Analizzando le piastrine si è infatti dimostrata una ridotta densità dei recettori per la serotonina, ma anche del suo carrier, evidenziando un basso re-uptake della serotonina a livello delle sinapsi. (29)

È stata dimostrata anche un up-regolation dei recettori periferici delle benzodiazepine, che risulta correlata alla severità della malattia. (30)

Diversi studi, hanno ipotizzato anche un’alterazione dell’ormone della crescita (GH), in quanto molte manifestazioni sintomatologiche della fibromialgia sono simili ai sintomi da deficit di GH nell’adulto. Sono state inoltre osservate modificazioni di somatomedina C, peptide legato al gene per la calcitonina, di calcitonina e colecistochinina, possibili indicatori del generalizzato dolore fibromialgico.

Alcuni autori negli anni, hanno dato un ruolo patogenetico rilevante allo stato psicologico del paziente, parlando di una cosiddetta personalità

fibrositica, caratterizzata da un’aumentata percezione dolorosa, poca

tolleranza riguardo la sofferenza, timore di gravi malattie e non controllate pulsioni aggressive. Tuttavia, si è dedotto che le caratteristiche principali

(41)

40 della fibromialgia sono indipendenti dallo stato psicologico, anche se questo ne incrementa la severità.

Ricerche condotte sul plasma di pazienti fibromialgici hanno rilevato un importante incremento di IL-10, IL-8 e TNF-α che ne deducono un’interessante attivazione del sistema immunitario e si è dimostrata una diminuzione dei livelli di TNF-α e di IL-8 dopo sei mesi di terapia antidolorifica in soggetti fibromialgici. (31-32)

Nel plasma, di questi pazienti, si è inoltre evidenziato un basso livello di amminoacidi (taurina, alanina, valina, tirosina, metionina, treonina e fenilalanina) suggerendone un cattivo assorbimento.

A fronte dei numerosi fattori eziologici che potrebbero determinare l’insorgenza della suddetta patologia, vi sembra essere una risposta univoca del sistema nervoso, che porterebbe: da un lato alla riduzione della soglia del dolore e dall’altro all’attivazione del sistema nervoso autonomo e del cosiddetto “stress sistem”.

Numerose evidenze, hanno indicato, che eventi traumatici e negativi, soprattutto nell’età dello sviluppo, possono modificare il funzionamento del sistema nervoso autonomo e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che rappresentano i fondamenti della risposta neuroendocrina allo stress.

Bisogna sottolineare che, non è soltanto l’intensità dell’evento stressante a determinarne la risposta, ma anche la tendenza del soggetto di rispondere a situazioni marginali, come estremamente negative. In caso di sovraccarico psichico, viene sintetizzato un ormone ipotalamico, il CRH (Corticotropin Release Hormon), che amplifica lo stato psicologico negativo di un evento stressante e lo trasforma in sintomo corporeo. Il CRH agisce sul Locus coeruleus che a sua volta condiziona il funzionamento di vari sistemi (gastroenterico, cardiovascolare, ecc.) ed inoltre, amplifica l’allerta neurormonale nell’ipofisi, provocando il rilascio nel sangue

(42)

41 dell’ACTH, il quale a sua volta porta alla liberazione di adrenalina e cortisolo.

La palese osservazione che la fibromialgia è più frequente nel sesso femminile, ha fatto ipotizzare un importante implicazione degli ormoni sessuali. Infatti, l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del SNA è minore nella donna dalla pubertà alla menopausa, mentre aumenta, dopo la menopausa per una diminuzione della stimolazione ormonale, rispetto all’uomo. Il livello degli estrogeni non sarebbe dunque la causa diretta del dolore cronico muscoloscheletrico, ma di un aumento dell’attività dei sistemi effettori con un proporzionale aumento della reazione a stress esterni.

Alcuni autori, ritengono probabile la compromissione del sistema di modulazione del dolore, anatomicamente localizzato nel mesencefalo e nel romboencefalo. Questa alterazione coinvolgerebbe, oltre alle strutture subcorticali, anche il meccanismo di gate control spinale e il rilascio della sostanza P. Nei pazienti fibromialgici è stata evidenziata, appunto, una riduzione della soglia nocicettiva, non solo a livello dei tender points ma anche delle aree di controllo. (33-34) Il meccanismo deve ricercarsi in una

sensibilizzazione centrale, definita come una ipereccitabilità neuronale, in

risposta a stimoli periferici, che vanno a sfociare in una condizione di dolore cronico. Possiamo individuare due sistemi: uno nocicettivo dato dalla sintesi di sostanza P e noradrenalina, che permette di percepire gli stimoli come dolorosi, e un sistema anti-nocicettivo, determinato da serotonina e endorfine che blocca la trasmissione del dolore.

Nei soggetti normali, esiste un perfetto equilibrio tra i due sistemi, a differenza dei pazienti fibromialgici dove si ha un aumento dei livelli di sostanza P ed altre sostanze algogene, mentre si ha un ridotto livello di serotonina. (35-36) La causa di queste modificazioni può essere ricercata in un’interruzione o lesione nelle fibre nervose delle vie inibitorie discendenti,

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