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Innovazioni farmacologiche nella terapia del diabete

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Academic year: 2021

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Alla mia famiglia, insostituibile punto fermo della mia vita

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Indice 1. Introduzione 1.1. Descrizione patologia………..pag.5 1.2. Sintomi………...pag.5 1.3. Classificazione diabete………...pag.6 1.4. Descrizione glicemia………...pag.7 1.5. Metodi per evidenziare anomalie nell'omeostasi del glucosio……….pag.8 1.6. Determinazione glucosio………pag.10 2. Farmaci in uso 2.1. Biguanidi………...pag.12 2.2. Sulfaniluree………...pag.13 2.3. Tiazolidinedioni………....pag.14 2.4. Bromocriptina………...pag.17 2.5. Colesevelam……….pag.19 2.6. Amilina………...pag.20 2.7. Pramlintide………pag.20 2.8. Glinidi……….pag.21 2.9. Acarbosio………..pag.21 2.10. Insulina iniettabile………..pag.22 2.11.Compliance………..pag.24 2.12.Conclusioni………..pag.27 3. Incretine 3.1. Inibitori DPP-4………...……...pag.30 3.1.1.Studi……….pag.32 3.1.2.Alogliptina………...pag.34 3.1.3.Sicurezza e tollerabilità……….pag.35 3.1.4.Conclusioni………...pag.37 3.2. Analoghi GLP-1 3.2.1.Exenatide……….pag.38 3.2.2.Liraglutide………....pag.39 3.2.3.Lixisenatide………...pag.41 3.2.4.Albiglutide………....pag.42

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3.2.5.Exenatide extended release...pag.45 3.2.6.Conclusioni………...pag.48

4. Nuove terapie antidiabetiche

4.1.Inibitori SGLT-2………...pag.48 4.1.1.Dapagliflozin………...pag.51 4.1.2.Canagliflozin………...pag.53 4.1.3.Empagliflozin………...pag.55 4.1.4.Conclusioni………...pag.55 4.2.Inibitori del recettore del glucagone………...pag.57 4.3.Attivatori glucochinasi………....pag.61 4.4.Terapia mediante cellule staminali………...pag.63 4.4.1.Cellule embrionali ( ESCs, embryonic stem cells)………...pag.66 4.4.2.Cellule del cordone ombelicale ( UCB-SC , umbilical cord blood stem cells)………....pag.68 4.4.3.Cellule pancreatiche………...pag.69 4.4.4.Cellule epatiche………...pag.71 4.4.5.Cellule mesenchimali………...pag.72 4.4.5.1.Midollo osseo………...pag.73 4.4.5.2.Cordone ombelicale………....pag.74 4.4.5.3.Tessuto adiposo………...pag.76 4.4.6. Altre fonti………...pag.77 4.5.Stimolanti della proliferazione delle β cellule………...pag.79 4.6.Inibitori recettore interleuchina 1………...pag.80 4.7.Inibitori co-trasportatori acidi biliari………...pag.81 4.8.Reparixin………...pag.84 4.9.Prevenzione del diabete di tipo 1………...pag.85 4.10.Inibitori di pompa protonica………...pag.88 4.11.L’enzima IDO………...pag.89

5. Terapia del diabete gestazionale………...pag.90 6. Conclusioni………...pag.90 Bibliografia………...pag.92 Ringraziamenti………...pag.102

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1-Introduzione

1.1 Descrizione patologia

Il diabete è una complessa e progressiva malattia la quale pare si stia espandendo in tutto il mondo, senza che si possa far niente per arrestarla. Basti pensare che nel 1980 i casi di pazienti diabetici erano intorno a 153 milioni, per passare a 347 nel 2008, fino ad arrivare a 366 milioni nel 2011 e sembra che nel 2030 questo valore possa arrivare fino a 552 milioni. Escludendo gli incidenti, il diabete è la quinta causa di morte per le donne e la quarta per gli uomini. In Italia i dati riportati nell’annuario statistico ISTAT 2009 indicano che è diabetico il 4,8% degli italiani (5% delle donne e 4,6% degli uomini) pari a circa 2.900.000 persone. Numeri che segnano un aumento rispetto all’indagine multiscopo del 1999-2000, secondo cui era diabetico il 3,7% degli italiani (4% le donne e 3,5% gli uomini). La prevalenza del diabete aumenta con l’età fino ad arrivare al 18,9% nelle persone con età uguale o superiore ai 75 anni. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, la prevalenza è più alta nel Sud e nelle Isole, con un valore del 5,5%. Seguono il Centro con il 4,9% e il Nord con il 4,2%. Dal 1997 l’Associazione Diabetica AMERICANA (ADA) ha rivisto la classificazione precedente, in uso dal 1979, eliminando i termini non insulino e insulino-dipendente e i relativi acronimi IDDM (diabete mellito dipendente) e NIDDM (diabete mellito non insulino-dipendente), al loro posto vengono mantenuti i termini diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2. E’ una malattia caratterizzata da un'elevata concentrazione di glucosio

nel sangue, a sua volta causata da una carenza (assoluta o relativa) di insulina

nell’organismo umano. Questo tipo di patologia è associata a complicazioni sia micro che macro vascolari.

1.2 Sintomi

Nel caso del Diabete 1, che viene considerata una malattia autoimmune, le manifestazioni più eclatanti sono: un' alterazione della temperatura, una aumentata necessità di espellere le urine, una sensazione di stanchezza, perdita di peso corporeo, pelle secca e disidratata e maggiore frequenza di infezioni.

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I sintomi del Diabete 2 sono invece più insidiosi. La malattia rimane silente. I sintomi sono meno evidenti, si sviluppano nel tempo in modo più graduale,lieve e quindi sono più difficili da identificare. Comunque si presentano con leggera forma di stanchezza o malessere diffuso, un bisogno più frequente di eliminazione delle urine, in modo particolare durante la notte, un'aumentata necessità di bere, una vista leggermente sfocata e, in caso di qualche infezione o ferita, una guarigione più lenta, intorpidimento di mani e piedi.

Infine c' è il diabete gestazionale, colpisce le donne in gravidanza e viene diagnosticato con un semplice esame del sangue. Non offre particolari sintomi e in genere sparisce dopo il parto.

1.3 Classificazione diabete

Esistono due tipi fondamentali di diabete:

- tipo 1 Chiamato anche diabete giovanile, perchè può insorgere nei primi anni di vita. Sono state formulate molte ipotesi sull' insorgenza di questa particolare malattia. Sembra che ad un certo punto della vita l'organismo inizi a produrre “auto-anticorpi”, ossia anticorpi diretti contro strutture proprie, e non contro molecole estranee. La produzione di questi anticorpi porta alla distruzione delle cellule β del pancreas, le quali producono insulina, ormone necessario al mantenimento dell'omeostasi del glucosio. L'insulina infatti è l'ormone che viene prodotto dalle cellule β del pancreas quando nel sangue aumentano i livelli di glucosio, e provoca la deposizione di questo in vari siti di riserva (chiamati tessuti insulino-dipendenti). Nell'individuo all'interno del quale si formano questi anticorpi, queste cellule vengono distrutte. Questa fase iniziale della malattia rimane talvolta silente: quando iniziano i primi sintomi la maggior parte delle cellule sono state distrutte e ciò che resta da fare è iniziare la terapia insulinica. Il problema principale è che l'insulina introdotta dall'esterno è associata a episodi ipoglicemici gravi e non può mimarne esattamente la secrezione fisiologica.

- tipo 2 In questi pazienti, il problema non è una mancanza delle cellule che producono insulina, ma possono essere presenti due situazioni differenti:

1. I recettori a livello delle cellule β non risentono perfettamente dell'aumento di glucosio in circolo, quindi si ha una più bassa produzione di

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insulina (si parla di cellule beta “pigre”). Siamo in presenza di insulino-deficienza relativa.

2. L'insulina viene prodotta nelle giuste quantità, ma non riesce a interagire con i suoi recettori in modo corretto e quindi, nonostante sia presente, la risposta viene a mancare. Siamo in presenza di insulino-resistenza. I pazienti affetti da questa forma di diabete non devono essere subito trattati con insulina, ma esistono altre terapie in grado di bloccare la malattia, o comunque farmaci che sono in grado di controllare la glicemia.

Oltre a questi due tipi fondamentali di diabete, esiste anche il diabete gestazionale: si presenta per la prima volta in gravidanza, senza che la donna ne sia mai stata affetta prima. Secondo le statistiche 4 donne su 10 presentano livelli di glucosio elevati durante la gravidanza. L’iperglicemia è dovuta alla produzione da parte della placenta di ormoni che vanno a contrastare l'attività dell'insulina. Questo tipo di diabete tende solitamente a scomparire dopo la gravidanza, ma costituisce un rischio di insorgenza del diabete mellito di tipo 2 in futuro.

La maggior parte dei pazienti diabetici, soffre del diabete di tipo 2 ( Negli usa i pazienti affetti da tipo 1 sono un milione, mentre i pazienti affetti da tipo 2 sono 24 milioni).

1.4 Descrizione glicemia

Per glicemia si intende la quantità di glucosio presente nel sangue e viene misurata o in mg/dl o in mmol/l. I normali valori glicemici variano in relazione ai pasti. In un individuo sano la glicemia postprandiale non supera mai 140 mg/dl; tra

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140 e 199 mg/dl siamo in una situazione border line( sta diminuendo la risposta insulinica); con valori glicemici superiori a 200 mg/dl, ci troviamo di fronte a diabete conclamato. Ad ogni modo, i valori delle glicemie in caso di digiuno sono più bassi ( anche nella persona non malata infatti, nonostante venga prodotta la giusta quantità di insulina, e nonostante questa funzioni perfettamente a livello dei suoi recettori , i valori della glicemia aumentano in seguito ad un pasto, soprattutto se ricco di carboidrati). La differenza con i pazienti malati è che non viene mai superato un certo valore, inoltre i valori col passare del tempo tendono a normalizzarsi.

1.5 Metodi per evidenziare anomalie nell'omeostasi del glucosio

Per evidenziare eventuali anomalie nell'omeostasi del glucosio vengono eseguite alcune prove:

- In un primo momento si esegue la misurazione della glicemia a digiuno, quindi senza una stimolazione. Vi saranno alcuni pazienti che presenteranno valori troppo elevati di glicemia, e quindi saranno necessari test più approfonditi per capire quale sia il problema, per evitare complicazioni e poter intervenire con la giusta terapia.

- Poi, viene fatta la misurazione della glicemia in seguito ad una stimolazione fisiologica, ossia dopo un pasto.

I pazienti non malati, presenteranno valori leggermente aumentati, che però andranno normalizzandosi in seguito alla produzione e messa in circolo di insulina. I pazienti invece che presenteranno alterazioni per quanto riguarda l'omeostasi del glucosio, avranno valori glicemici alti, che non tenderanno a normalizzarsi, magari per una carenza di insulina oppure per una non interazione tra l' insulina e i suoi recettori.

- Un' altra prova che viene fatta, è la misurazione della glicemia in seguito ad una stimolazione non fisiologica, e quindi dopo un'infusione endovenosa di glucosio.

- In ultima analisi, possiamo dire che la misurazione glicemica viene fatta anche in seguito alla stimolazione con farmaci iperglicemici, come per esempio i cortisonici.

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In pazienti che non presentano nessun tipo di alterazione, l' aumento in circolo di glucosio verrà contrastato dalla produzione di insulina; in quelli con qualche alterazione invece, i valori glicemici risulteranno elevati.

- Misurazione della emoglobina glicosilata. La glicosilazione dell'emoglobina è un processo biologico non enzimatico che porta al legame del glucosio con l'emoglobina. L'emoglobina glicosilata ci da un'idea di ciò che è avvenuto negli ultimi 2-3 mesi, quindi è molto utile per quanto riguarda il controllo periodico che i pazienti diabetici sono costretti a fare. Entro certi limiti, la glicosilazione avviene anche in pazienti non diabetici, e questo non comporta nessun tipo di problema perchè l'emoglobina legata al glucosio continua a svolgere la sua funzione. Il problema di un'emoglobina glicata alta è il livello di glucosio ematico che vi corrisponde. La sua misurazione ci da un'idea della quantità media di glucosio nel lungo periodo e non in un singolo momento. Il valore normale di emoglobina glicosilata nella popolazione è stimato essere tra 4% e 5-6%. Per quanto riguarda i diabetici invece, si cerca di mantenere questo valore al di sotto del 7%, possibilmente al di sotto di 6,5%. Nel caso in cui i valori sconfinino oltre l'8%, è necessario un cambiamento immediato della terapia. I pazienti diabetici sono sottoposti a controlli periodici, durante i quali ricevono consigli per migliorare il loro stile di vita, per cercare di migliorare la terapia alla quale sono sottoposti, con il fine di raggiungere una emoglobina glicosilata che sia più vicino possibile ai valori normali. I pazienti affetti da diabete di tipo 1, inoltre, devono misurare durante l'arco della giornata i valori ematici di glucosio, per poter avere indicazioni precise su quanta insulina iniettarsi prima dei pasti.

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1.6 Determinazione glucosio

Tra le analisi biochimico cliniche più importanti c' è sicuramente la determinazione del glucosio, la quale può essere fatta sia con metodi enzimatici, che con metodi in grado di sfruttare la capacità del glucosio di ridursi.

-metodi enzimatici:

1)Attraverso l' enzima glucosio ossidasi, il quale utilizza ossigeno, si ha la capacità di trasformare il glucosio in acido gluconico e si ha la liberazione del perossido di idrogeno.

Glucosio ossidasi

A. Glucosio + O2 + H2O ——————————> Acido Gluconico + H2O2 Perossidasi

B. H2O2 + HBA + 4-AAP ————————> Colorante chinoneimina + H2O

A. Il glucosio viene ossidato dall'enzima glucosio ossidasi in acido gluconico e perossido di idrogeno.

B. Il perossido di idrogeno in presenza di perossidasi reagisce con HBA e

4-aminoantipirina formando un colorante chinoneimina rosso. L’intensità del colore formato è proporzionale alla concentrazione di glucosio e può essere misurata fotometricamente tra 460 e 560 nm.

Abbreviazioni

HBA = 4-Acido idrossibenzoico 4-AAP = 4-Aminoantipirina

2) ESOCHINASI

A. Glucosio + ATP —————————-> G-6-P + ADP

G-6-PDH

B. G-6-P + NAD+—————————-> 6-PG + NADH + H+

A. L’esochinasi catalizza la fosforilazione del glucosio da parte dell’ATP producendo ADP e glucosio-6-fosfato.

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B. Il glucosio-6-fosfato viene ossidato in 6-fosfogluconato con la riduzione di NAD+ in NADH da parte di G-6-PDH. La quantità di NADH formata è proporzionale alla concentrazione di glucosio nel campione e può essere misurata mediante l’aumento dell’assorbanza a 340 nm.

Abbreviazioni ATP = Adenosina-5'-trifosfato ADP = Adenosina-5'-difosfato G-6-PDH = Glucosio-6-fosfato deidrogenasi G-6-P = Glucosio-6-fosfato 6-PG = 6-fosfogluconato

NAD+ = Nicotinamide Adenina Dinucleotide NADH = NAD ridotta

-metodi che sfruttano le capacità riducenti del glucosio:

1) L'acido picrico ossida i carboidrati riducendosi ad acido picramico.

Questa reazione comporta il viraggio dal giallo dell'acido picrico al rosso dell'acido picramico.

Acido picrico+ Aldeide----Acido picramico + Acido carbossilico Giallo Rosso (assorbe a 575 nm)

2) 2Cu++ + Aldeide + 2OH- --- Cu2O + Acido carbossilico + 2H2O Questa tecnica veniva utilizzata specialmente nel passato.

Misurando la quantità dell'agente ossidante( ioni rameici) che viene ridotta dallo zucchero(glucosio), si può determinare la quantità di quest'ultimo.

Per fare un’analisi quantitativa, si potrebbe per esempio utilizzare il metodo con l’assorbimento di radiazione luminosa.

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2-Farmaci in uso: 2.1 Biguanidi

Biguanidi (3)

Sono una famiglia di farmaci ipoglicemizzanti orali che possono essere utilizzati nella terapia del diabete non insulino-dipendente. Agiscono aumentando la penetrazione del glucosio all'interno delle cellule e diminuendone l'assorbimento. Gli effetti collaterali sono prevalentemente gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea), ma sono presenti anche casi di ipotensione, extrasistoli ventricolari, acidosi lattica, anoressia e insufficienza renale acuta. Comprendono la metformina e la fenformina, ma la metformina risulta il farmaco di prima scelta nel trattamento del diabete di tipo 2.

Metformina (4)

La metformina viene usata sia in pazienti normopeso che obesi, grazie al suo basso costo, alla sua efficacia, al vantaggio di non influire sul peso del paziente, all'assenza di rischi per quanto riguarda l'ipoglicemia. Questo farmaco riduce la produzione di glucagone (ormone prodotto dalle cellule α delle isole di Langherans a livello pancreatico) il quale ha la funzione opposta all'insulina, ossia provoca l'immissione in circolo del glucosio. La metformina inoltre, provoca una riduzione di glucosio nel sangue sia perchè ne limita l'assorbimento a livello intestinale, sia perchè inibisce la gluconeogenesi e inibisce la glicogenolisi a livello epatico, sia perché stimola la glicolisi e quindi l'utilizzazione di glucosio a livello dei tessuti periferici. Tutto questo avviene grazie all'attivazione della protein chinasi AMP

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dipendente. La metformina può essere usata sia come monoterapia che associata ad altri farmaci, per esempio le sulfaniluree. L'associazione avviene in quei pazienti in cui l'utilizzo dei singoli farmaci (metformina o sulfaniluree) non ha prodotto buoni risultati. Viene assunta per via orale e i suoi principali effetti collaterali sono a livello gastrointestinale, tra i più riportati c'è la diarrea (15% dei pazienti), mentre l'acidosi lattica è un evento raro, che si presenta soprattutto in quei pazienti anziani, o in pazienti che presentano disfunzioni a livello renale. La fenformina è un derivato biguanidico ad azione ipoglicemizzante, indicato soprattutto nel diabete stabilizzato dell’età adulta non complicato da chetoacidosi

o da processi infettivi. Può essere usato da solo o in associazione con l’insulina o con gli altri antidiabetici attivi per via orale. Frequentemente provoca disturbi gastrointestinali quali nausea, vomito, anoressia. Errori di dosaggio possono portare a crisi ipoglicemiche. Deve essere usato con cautela negli epato-nefropazienti e in gravidanza. Viene assorbito rapidamente per via orale. L’effetto dura in media 6-8 ore. Esistono preparati ritardo, costituiti da capsule a lenta liberazione, il cui effetto dura 14-16 ore e che provocano disturbi gastrointestinali con minore frequenza.

Fenformina (110) 2.2 Sulfaniluree

Le sulfaniluree sono una famiglia di farmaci secretagoghi utilizzata per il trattamento del diabete mellito di tipo 2. La loro azione avviene a livello delle cellule insulari del pancreas, che vengono stimolate a produrre una quantità maggiore di insulina. Per questo motivo non possono essere utilizzate nel diabete di tipo 1 dove le cellule β sono assenti.

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Sulfaniluree(5)

Esistono sulfaniluree sia di prima generazione ( carbutamide, tolbutamide) che seconda ( glibenclamide, glimepride, glipizide, glicazide). Questi farmaci, così come la metformina, possono essere utilizzati o come monoterapia (nel caso in cui la metformina non sia risultata efficiente) oppure possono essere associati ad altri agenti. Dal punto di vista biochimico, le sulfaniluree bloccano i canali del potassio ATP sensibili presenti sulle cellule β del pancreas, inducendo una depolarizzazione della membrana. Questo provoca l’apertura dei canali del calcio voltaggio-dipendenti, con conseguente ingresso del calcio che stimola la secrezione dell’insulina. La loro azione, quindi, dipende dalla presenza dell’insulina e per questo motivo sono efficaci solo nel diabete di tipo 2. Dopo i primi mesi, la somministrazione di sulfaniluree non provoca aumento dell’insulina, ma la glicemia comunque tende a diminuire. Probabilmente questo è possibile perché incrementano anche la sensibilità tissutale all’ormone, con meccanismi non ancora del tutto chiariti. Effetti collaterali tipici sono l’ipoglicemia, soprattutto se l’alimentazione e l’attività fisica sono irregolari, e l’aumento del peso. La gravità dell’ipoglicemia è direttamente proporzionale al tempo di emivita delle sulfaniluree. Si legano fortemente alle proteine plasmatiche e quindi, occorre prestare attenzione alla somministrazione contemporanea di altri farmaci che, spostandole da tale legame, possono provocare gravi crisi ipoglicemiche.

2.3 Tiazolidinedioni

Anche i tiazolidinedioni sono una famiglia di farmaci ipoglicemizzanti orali, recentemente introdotti per la cura del diabete di tipo 2. Queste molecole sono in grado di ridurre la glicemia nei pazienti diabetici senza andare a stimolare la

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produzione dell'insulina, ma andando ad aumentare la sensibilità all’insulina nei tessuti.

Tiazolidinedioni (7)

Queste molecole derivano dal tiazolidin-2-4-dione e differiscono tra loro per la catena laterale legata alla molecola. Questa differenza di struttura della catena laterale spiega la diversa biodisponibilità, metabolismo e potenza ipoglicemizzante di ciascuno di essi.

Il meccanismo d’azione, noto soltanto in parte, si esplica a carico di vari organi e tessuti (muscoli scheletrici, fegato, tessuto adiposo). I tiazolidinedioni agiscono come attivatori di un recettore nucleare, il Peroxisome Proliferator-Associated Receptor gamma (PPAR-ϫ), il cui ligando endogeno, recentemente identificato, è la prostaglandina J

2. Il recettore PPAR-ϫ attivato forma un eterodimero con il recettore X dei retinoidi a sua volta attivato dall’acido retinoico. Questo eterodimero interagisce con il genoma, modulando in senso positivo o negativo l’espressione di numerosi geni (oltre 500, secondo alcune recenti stime). Tra i geni modulati, la maggior parte dei quali ancora non identificati, ce ne sono molti coinvolti nella regolazione del metabolismo glucidico. Dopo l’attivazione di questi recettori si ha la riduzione dell’insulino-resistenza, la diminuzione della concentrazione plasmatica di Leptina (con aumento dell’appetito), la riduzione dei livelli di determinate interleuchine, l’aumento dell’adiponectina (ormone che controlla il metabolismo energetico di lipidi e carboidrati; sembra sia in grado di incrementare il consumo dei lipidi per le funzioni vitali e modulare l'effetto dell'insulina. I risultati sono attualmente limitati in particolar modo a soggetti con alterata tolleranza glucidica, anziani o soggetti affetti da sovrappeso/obesità; i dati

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comunque correlano bassi livelli di adiponectina a condizioni di adiposità, sovrappeso/obesità, e di insulino-resistenza. Nonostante le conoscenze siano comunque limitate, questa molecola suscita molto interesse per lo sviluppo di nuovi farmaci antidiabetici). Dopo l'attivazione di questi recettori si ha inoltre la diminuzione del gene che codifica per la resistina, la quale potrebbe essere una delle cause dei legami tra l'obesità e il diabete tipo 2; secondo alcuni studiosi infatti(111), la resistina (la cui secrezione sembra proporzionale al grado di adiposità) inibirebbe l'azione dell'insulina. Attualmente sono necessari altri studi per confermare il collegamento di questa molecola con il diabete 1; nel caso di conferme, si potrebbe prospettare lo studio di molecole (farmaci) in grado di contrastare gli effetti di quest'ormone e diagnosticare precocemente lo sviluppo del diabete tipo 2 tramite la monitorizzazione della concentrazione di resistina. I tiazolidinedioni sono associati ad un aumento di peso, ritenzione idrica ed edemi ( che in alcuni casi possono portare a veri e propri scompensi circolatori).

Un altro effetto riportato è la diminuzione della densità ossea, con aumento del rischio di fratture in quei pazienti che ne hanno fatto uso per almeno 12-18 mesi. Questa classe di farmaci risulta inoltre controindicata in gravidanza, allattamento e nei bambini.

Il capostipite della classe, il troglitazone, che è stato introdotto negli USA nel 1998, è stato ritirato a causa dei gravi effetti tossici provocati a carico del fegato, effetti che si sono dimostrati talvolta letali.

Troglitazone (8)

L'uso del rosiglitazone è stato severamente ristretto nell' US ed è stato completamente sospeso in Europa nel 2010, a causa di un incremento significativo del rischio cardiovascolare, soprattutto ischemia del miocardio.

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Rosiglitazone (9)

Per quanto riguarda invece il Pioglitazone, sembra porti ad una riduzione dei problemi a livello cardiovascolare, però è associato ad un aumento del rischio di fratture e un aumento del rischio del tumore alla vescica.

Dati i seguenti rischi e benefici, il pioglitazone viene utilizzato in specifiche categorie di pazienti, per esempio i maschi giovani con obesità, steatosi che però non hanno nessuna storia di tumore alla vescica.

Pioglitazone(10) 2.4 Bromocriptina

La bromocriptina è un derivato semisintetico dell'ergotamina, un alcaloide naturale della claviceps purpurea, che si comporta come un potente agonista dei recettori dopaminergici. Agisce prevalentemente a livello dei recettori D2 localizzati sulle cellule luteotropiche dell'adenoipofisi, inibendo la secrezione della prolattina, ormone responsabile della stimolazione della ghiandola mammaria e della

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lattazione. Sebbene questa sia la sua principale funzione, non può essere sottovalutata la sua interazione con i neuroni dopaminergici del muscolo striato. Date queste caratteristiche, viene utilizzata per la galattorrea, prolattinomi, acromegalia (in quanto ha proprietà inibitorie nei confronti dell' ormone della crescita) e cura del Parkinson. L'azione della bromocriptina aumenta i livelli ipotalamici di dopamina, inibendo il tono simpatico, in questo modo si ha la diminuzione dei livelli di glucosio post-prandiali e l'inibizione della produzione di glucosio a livello del fegato. Questo farmaco quindi, non va ad aumentare la produzione di insulina e non aumenta la sensibilità all'insulina da parte dei tessuti periferici. Può essere usata sia come monoterapia che associata ad altri agenti. Non induce aumento di peso o ipoglicemia.

Bromocriptina (11)

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2.5 Colesevelam

Il colesevelam è un polimero, poli(allilamina cloridrato) con legami crociati con epicloridrina e alchilato con 1-bromodecano e (6-bromexil)-trimetilammonio bromuro. Il colesevelam non viene assorbito nell' organismo, ma rimane nell'intestino dove si lega a delle sostanze, chiamate acidi biliari, le quali vengono trasportate all'esterno, attraverso le feci. Dato che gli acidi biliari non possono essere assorbiti nel sangue, il fegato deve provvedere alla loro fabbricazione. Per poterli produrre utilizza il colesterolo, che così cala in concentrazione in circolo. L' abbassamento della quantità di colesterolo nel sangue diminuisce il rischio di cardiopatie. Non ha nessun tipo di effetto sul peso, inoltre presenta un basso rischio di causare ipoglicemia, soprattutto quando combinato con metformina. Tra gli effetti collaterali ci sono costipazione e dispepsia.

Colesevelam (12)

Dopo l'approvazione per il trattamento della iperlipidemia, avvenuta nel 2000, il sequestrante degli acidi biliari è stato utilizzato per controllare la glicemia in pazienti affetti da diabete di tipo 2. Esso provoca una riduzione di Hba1c dello 0,5%, ma non è ancora noto il meccanismo con cui provochi la diminuzione del glucosio nel sangue. Nei roditori era stato dimostrato che il colesevelam provocasse l’aumento dell’azione dell’insulina(112,113), ma questo non è stato confermato nell’uomo(114,115). Altro possibile meccanismo è la capacità del sequestrante biliare di indurre la produzione del GLP-1 da parte delle cellule enteroendocrine, in modo da incrementare la produzione di insulina(116,117).

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Un’altra ipotesi plausibile è che vi sia una riduzione dell’assorbimento di glucosio a livello intestinale(118).

2.6 Amilina

L'amilina umana, o Human islet amyloid precursor polypeptide (hIAPP) è una proteina costituita da 37 residui amminoacidici secreta dalle cellule β del pancreas insieme all'insulina. Il gene che la codifica è situato nel braccio corto del cromosoma 12. Provoca la riduzione della variazione del valore del glucosio dopo i pasti, la riduzione della produzione dell' ormone glucagone, riempimento gastrico e l'idea precoce di sazietà. Nei pazienti con il tipo 2 di diabete provoca la riduzione dell' emoglobina gligata dello 0,6% e una riduzione di peso di circa 1,3 Kg. Tra gli effetti collaterali troviamo ipoglicemia, nausea, vomito e anoressia.

2.7 Pramlintide

Pramlintide (105)

E' il nome di un nuovo principio attivo, derivato sintetico dell'amilina, usato come coadiuvante dell'insulina. Viene utilizzato sia nel diabete mellito di tipo 1 che tipo 2. Questa molecola, rallenta lo svuotamento gastrico e provoca una precoce sensazione di sazietà. Inoltre inibisce la produzione del glucagone. In questo modo viene favorito un assorbimento del glucosio più graduale, che evita l'insorgere di picchi di glicemia dopo i vari pasti. Studi condotti su pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 hanno evidenziato la riduzione dell'emoglobina glicosilata e del peso corporeo.

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2.8 Glinidi

I Glinidi, conosciuti anche come meglitinidi, sono una famiglia di antidiabetici orali che agiscono come secretagoghi. Sono derivati dell'acido benzoico ed hanno qualche somiglianza con le sulfaniluree. Stimolano la secrezione di insulina in modo rapido e di breve durata. Si legano al sito d'azione delle sulfaniluree, ovvero il canale per il potassio ATP-dipendente delle cellule β del pancreas. Questo canale viene bloccato, la cellula si depolarizza, entrano ioni calcio e si ha la liberazione di insulina. L'unica differenza con le sulfaniluree sta nella differente capacità di incrementare il flusso e quindi la concentrazione di ioni calcio dopo la chiusura del canale per il potassio ATP-dipendente.

Il farmaco capostipite è la repaglinide .

Repaglinide (103)

Questo farmaco può essere usato in monoterapia o in associazione a metformina, in quei pazienti che non sono riusciti ad ottenere un buon controllo glicemico con la sola biguanide. Il principale effetto collaterale è l'ipoglicemia.

2.9 Acarbosio

L'acarbosio è il principio attivo con indicazione specifica per l'obesità.

Riduce la digestione e l'assorbimento degli zuccheri, in quanto inibisce le α-glucosidasi intestinali. Grazie al suo meccanismo d'azione, riduce i valori di glicemia post-prandiale, i trigliceridi, i valori dell'emoglobina glicosilata e la resistenza insulinica periferica. Sappiamo infatti, che in seguito ad un pasto ricco di carboidrati, il pancreas inizia a produrre una elevata quantità di insulina per poter riportare la glicemia a valori normali. Nel paziente diabetico però, la

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produzione di insulina non è ottimale, allora in seguito ad un pasto ricco di carboidrati la quantità di zuccheri nel sangue raggiunge valori elevati: andando a rallentare l'assorbimento dei carboidrati si riducono gli sbalzi di glucosio post-prandiali.

Acarbosio (104)

2.10 Insulina iniettabile

Insulina (13)

(23)

(14)

Esistono vari tipi di insuline, che sono state classificate in base alla durata dell'azione:

1) Ad azione rapida, queste preparazioni presentano la più rapida insorgenza d'azione ma la più breve durata.

2) Ad azione intermedia, formulate in modo tale da dissolversi più gradualmente e presentare una maggiore durata d'azione.

3) Ad azione lenta, presentano una lentissima insorgenza, dovuta alla formazione di complessi insulina-zinco, che la rendono insolubile. Queste insuline sono caratterizzate da un prolungato picco d'azione.

Questa classificazione può essere semplificata per il paziente diabetico, classificandole in:

1) Insuline prandiali (in cui rientrano le insuline da iniettare prima dei pasti, come le rapide), che devono essere iniettate dai 15 ai 30 minuti prima di un pasto. 2) Insuline di mantenimento( in cui rientrano le intermedie e lente), che servono per mantenere livelli ottimali di glucosio nel sangue anche tra i pasti e durante la notte.

3) Insuline premiscelate o bifasiche (unione tra le insuline prandiali e di mantenimento), che hanno il vantaggio di richiedere un numero inferiore di iniezioni rispetto a chi fa uso delle prandiali e di quelle di mantenimento. Il rischio più grande è l'ipoglicemia notturna. Nonostante la terapia insulinica sia specifica e indispensabile per i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1, ci sono pazienti affetti da diabete di tipo 2 che non rispondono correttamente al trattamento con farmaci ipoglicemizzanti orali e quindi necessitano di iniezioni di insulina, le quali possono essere associate ad una terapia orale o come monoterapia.

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2.11 Compliance

Molto interessante è anche studiare la compliance dei pazienti nei confronti delle varie terapie, in quanto è un aspetto fondamentale per valutarne la riuscita. Da come si evince dai grafici sottostanti, i pazienti trattati con un singolo farmaco, preferiscono il glimepride o il pioglitazone.

Mentre i pazienti che ricevono una duplice terapia, mostrano migliore aderenza quando trattati con metformina+pioglitazone.

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Group FDA Approved

Drugs Mechanism % HbA

1c

reduction Cost Advantages Disadvantages

Biguanides Metformin Activates AMP-kinase, ↓hepatic glucose production 1.0–2.0 $ Low cost, extensive experience, no hypoglycemia, improved lipid profile, ↓CVD risk GI intolerance (diarrhea, abdominal cramping), lactic acidosis (rare) Metformin ERA

Sulfonylureas Glipizidea Closes K ATP channels on β-cells, thereby ↑insulin secretion 1.0–1.5 $ Low cost, extensive experience, ↓microvascular risk Hypoglycemia, weight gain, low durability Glimepiride Tolbutamide

Meglitinides Nateglinide Closes KATP

channels on β-cells, thereby ↑insulin secretion 0.5–1.0 $$$ Short duration of action, less postprandial glucose excursions, dosing flexibility Hypoglycemia, weight gain, low durability, frequent dosing schedule Repaglinide

Thiazolidinediones Pioglitazone Activation of PPAR-γ, ↑insulin sensitivity 0.5–1.4 $$$ No hypoglycemia, durability, improved lipid profile Edema, heart failure, weight gain, bone fractures, bladder cancer, cardiovascular events Rosiglitazoneb α-glucosidase

inhibitors Acarbose Inhibitsintestinal α-glucosidase, 0.5–0.9 $$ ↓ postprandial hyperglycemia, hypoglycemia Flatulence and diarrhea, frequent dosing Miglitol

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thereby ↓carbohydrate digestion and uptake

rare schedule

DPP-4 inhibitors Sitagliptin Inhibits activity of DPP-4, increasing GLP-1 levels, leading to ↑insulin secretion 0.5–0.8 $$$ No hypoglycemia, well tolerated Urticaria/angio -edema, long term side effects unknown, pancreatitis (?) Saxagliptin Linagliptin GLP-1 receptor

agonists Exenatide BID Activates GLP-1 receptor, ↑insulin secretion, ↓glucagon secretion, ↓gastric emptying, ↑ satiety 0.5–1.5 $$$ Hypoglycemia rare, weight loss, possibly cardioprotectiv e, ↑ β-cells mass/function (?) GI side effects (nausea, vomiting, diarrhea), injectable, requires training, pancreatitis (?), unknown long-term safety, thyroid tumors in animals Exenatide QW Liraglutide Bile acid

sequestrants Colesevelam Bindsintestinal bile acids, increases hepatic production, mechanisms on glucose unclear, possible ↑ incretins 0.5 $$$ No hypoglycemia, ↓ LDL GI side effects (constipation), hypertriglyceri demia, may reduce absorption of other medication Dopamine-2 agonists Bromocriptine a Activation (central) dopaminergic receptors, modulating hypothalamic regulation of metabolism, ↑ Insulin sensitivity 0.5 $$$ No hypoglycemia, ↓ triglyceride-and FFA levels, ↓ CVD events

GI side effects (nausea), dizziness, fatigue, rhinitis

Amylin mimetics Pramlintidea Activation of

amylin receptor, leading to ↓ glucagon secretion, ↓ gastric emptying, ↑ satiety 0.5–1.0 $$$ ↓ Postprandial hyperglycemia, weight reduction GI side effects (nausea, vomiting), hypoglycemia, injectable, frequent dosing schedule, unknown long-term safety

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Insulins Rapid acting (aspart, lispro, glulisine), short acting (Human regular), Intermediate acting (Human NPH), Long acting (glargine, detemir), Premixed Activates insulin receptor, thereby ↑ glucose uptake and ↓ hepatic glucose production

1.0–2.5 to$$ Effective in all patients, ↓ microvascular risk Hypoglycemia, weight gain, injectable, requires training (107) 2.12 Conclusione:

Nonostante esistano un numero elevato di farmaci utili al trattamento del diabete di tipo 2, alcuni pazienti non trovano beneficio con l'utilizzo di queste sostanze. Questo non deve stupirci, in quanto ogni persona risulta essere diversa dall'altra grazie al proprio corredo genetico. Bisogna inoltre considerare che la riuscita o meno di una terapia può dipendere, oltre che dal proprio genotipo, anche da eventuali altri farmaci, assunti per curare altre patologie che nulla hanno a che fare con il diabete. Da non sottovalutare poi , è la condizione fisica e psicologica del paziente che assume il farmaco: risulta necessario considerare fattori come lo stress, l'ambiente, la compliance ( Infatti bisogna capire se il paziente non risponde alla terapia perchè non è quella giusta, oppure se non risponde perchè magari non ha seguito le giuste indicazioni date dal medico). Ognuno deve trovare il farmaco che più soddisfa le sue esigenze, ogni persona deve avere una terapia “personalizzata”, non è possibile generalizzare.

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3-Incretine

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Recentemente sono stati scoperti un nuovo gruppo di farmaci denominati Incretine, che agiscono su un sistema di ormoni gastrointestinali i quali vengono liberati in seguito allo stimolo prodotto dal pasto.

I due ormoni sono il GLP-1 ossia glucagon-like peptide e il GIP, ossia il glucose-dependent insulinotropic peptide. Questi due ormoni agiscono a livello delle cellule β del pancreas, su due siti distinti.

Secreti dopo i pasti, hanno la funzione di controllare la glicemia in vari modi: - aumentando la secrezione di insulina da parte delle cellule β del pancreas;

- diminuendo la secrezione di glucagone (antagonista dell'insulina) da parte delle cellule α del pancreas;

- rallentando la motilità e dunque lo svuotamento gastrico (rendendo più "soft" la curva glicemica postprandiale) e diminuendo l'appetito.

Quando la concentrazione di glucosio è ottimale, la secrezione di questi due ormoni viene soppressa. Inoltre, pare che il GLP-1 provochi la stimolazione della proliferazione delle cellule β e ne inibisca l'apoptosi. Il GLP-1 ha anche un’azione protettiva a livello vascolare in individui obesi con sindrome metabolica. La somministrazione di questo ormone migliora la risposta vascolare nei pazienti con sindrome metabolica, favorendo in tal modo un maggiore afflusso di sangue ai

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tessuti muscolari. Da questi risultati ne scaturisce che i farmaci inibitori dell’enzima DPP4 ( il quale provoca la degradazione dei due ormoni) sono in grado di svolgere una doppia azione farmacologica: quella già nota contro il diabete, e quella di nuova scoperta nella prevenzione vascolare nei pazienti con sindrome metabolica. Questo perché appunto, il GLP-1 è in grado di ridurre i valori pressori, migliorare la funzione endoteliale e aumentare la contrattilità del miocardio. Sappiamo anche che il GLP-1 e analoghi di più lunga durata, resistenti alle proteasi, attraversano la barriera emato-encefalica, proteggono la formazione di memoria ( malattia di Alzheimer ) o l’attività motoria ( malattia di Parkinson ), proteggono le sinapsi e le funzioni sinaptiche, favoriscono la neurogenesi, riducono l'apoptosi, proteggono i neuroni dallo stress ossidativo e riducono la formazione di placche e la risposta infiammatoria cronica nel cervello di modelli murini di malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, ictus e altre malattie degenerative.

Nonostante questi due ormoni abbiano apparentemente la medesima funzione, la somministrazione di GLP-1 è risultata più efficace rispetto a quella di GIP.

Nei pazienti diabetici, l'effetto delle incretine è notevolmente ridotto, e questo ricopre un ruolo fondamentale nell' insufficienza insulinica e nella iperglicemia cronica. Questo ormone ha una breve emivita(1-2 minuti), in quanto viene rapidamente degradato dall'enzima DPP-4.

Nella terapia antidiabetica è possibile intervenire in duplice modo su questo sistema:

- Inibendo il DPP-4, evitando così la degradazione del GLP-1.

- Somministrando analoghi GLP-1, che siano però resistenti alla degradazione da parte del DPP-4, con conseguente persistenza dei GLP-1-analoghi in circolo anche in pazienti che ne producono meno.

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3.1 Inibitori DPP-4

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Il DPP-4 è un’ amminopeptidasi espressa sulla superficie di cellule appartenenti a diversi tessuti (linfociti, reni, fegato e cellule endoteliali).

Appartiene alla DPP family ed ha molti substrati, tra cui alcuni ormoni a livello gastrointestinale, citochine, chemochine e neuropeptidi.

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I 5 DPP-4 inibitori sono le Gliptine (Sitagliptina, Saxagliptina, Vildagliptina, Linagliptina e Alogliptina). Sitagliptina (18) Linagliptina (19) Saxagliptina (20) Vildagliptina (21) Alogliptina (22)

Sono piccole molecole che richiedono una somministrazione orale e presentano efficacia e profilo di sicurezza molto simile. Non sono in grado di attraversare la BEE (barriera emato-encefalica) quindi non provocano effetti collaterali a livello del SNC (sistema nervoso centrale). Nonostante abbiano tutte la medesima funzione (provocano la riduzione della attività della DPP-4 e un aumento di GLP-1 fino a 4 volte), presentano caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche differenti. Per quanto riguarda le caratteristiche farmacodinamiche la linagliptina è risultata la più potente. Questi farmaci, hanno una maggiore affinità per il DPP-4, ma possono essere presenti effetti off target che possono portare all'inibizione dei DPP-8 o DPP-9 e poichè questi enzimi sono responsabili dell' attivazione delle cellule T

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(importanti nella difesa immunitaria), è possibile che vi siano disfunzioni immunitarie e reazioni cutanee.

Per quanto riguarda le caratteristiche farmacocinetiche, bisogna considerare in primo luogo l'assorbimento.

La linagliptina viene assorbita per circa il 30% mentre tutte le altre hanno un assorbimento che varia tra 75 % e 87%. Per quanto riguarda invece l'emivita, è maggiore nella linagliptina ( 120/184 ore), seguita dalla alogliptina (12,4/21,4 ore), sitagliptina ( 8/14 ore), saxagliptina (2,2/3,8 ore) e vildagliptina (2/3 ore).

Necessitano di un'unica somministrazione giornaliera, ad eccezione della vildagliptina che necessita di 2 somministrazioni. Presentano un basso legame alle proteine plasmatiche, tranne per la linagliptina che invece vi è molto legata. Per quanto riguarda il metabolismo sappiamo che la sitagliptina è poco metabolizzata, mentre lo sono molto vildagliptina e saxagliptina.

Mentre la vildagliptina non produce metaboliti attivi e non viene metabolizzata dal CYP450, la saxagliptina viene metabolizzata dal CYP450 e produce un metabolita molto attivo che è la 5-idrossi-saxagliptina. Le gliptine vengono escrete principalmente attraverso le urine, ad esclusione della linagliptina che viene escreta prevalentemente attraverso le feci, ed è per questo che viene utilizzata in quei pazienti con insufficienza renale.

3.1.1 Studi (23)

Facciamo riferimento a degli studi ( meta analysis of randomised controlled trials RCTs) pubblicati tra il 2005 e 2010, prendendo in considerazione pazienti trattati con DPP-4 inibitori ( la durata degli studi varia tra 12 e 52 settimane).

Il principale end-point di questi studi era trovare l' esatta differenza dei vari inibitori DPP-4, in relazione alla loro capacità di far raggiungere ai pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 un valore “normale” di HbA1c, che restasse al di sotto del 7 %.

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14 RCTs (con 4288 pazienti) trattati con vildagliptina

Il 37% di questi avevano raggiunto una HbA1c < 7% (senza differenze tra i pazienti a cui vildagliptina era stata somministrata come monoterapia o quelli in cui era stato aggiunto a metformina); era inoltre presente un decremento dell’emoglobina glicosilata dello 0,88%, una diminuzione di peso di circa 0,165 kg, e una bassa frequenza di ipoglicemia (1,4%).

18 RCTs (con 3646 pazienti) trattati con sitagliptina

Anche con la sitagliptina il 37% dei pazienti avevano raggiunto una HbA1c< 7% (senza differenze tra i pazienti a cui sitagliptina era stata data come monoterapia e quelli a cui invece era stato aggiunto a metformina).

Erano stati riscontrati un decremento dell’ HbA1c e una diminuzione di peso paragonabili a quelli della vildagliptina. Per quanto riguarda invece la frequenza dell’ipoglicemia, era leggermente aumentata ( circa 3,1%), valore comunque accettabile, che non escludeva il farmaco dal poter essere utilizzato nella cura del diabete.

9 RCTs (con 1608 pazienti) trattati con saxagliptina

I risultati ottenuti erano molto simili a quelli dei precedenti farmaci, con un aumento ulteriore della frequenza di ipoglicemia (3,4%).

Conclusioni: utilizzando questa nuova categoria di farmaci un elevato numero di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 riesce a tenere sotto controllo l' emoglobina glicosilata, senza manifestare particolari variazioni di peso e con un rischio di ipoglicemia basso. Questi non presentano grandi differenze tra di loro in termini di variazione di peso e decremento di emoglobina glicosilata.

L’aspetto su cui differiscono maggiormente è appunto la frequenza di ipoglicemia (soprattutto la vildagliptina rispetto alle altre due, che presenta una frequenza minore).

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3.1.2 Alogliptina

L'utilizzo di alogliptina in pazienti con diabete di tipo 2 inadeguatamente controllato, sia per quanto riguarda la dieta sia per quanto riguarda l'attività fisica, risulta molto efficace nel controllo glicemico in confronto con il placebo.

In alcuni studi effettuati ( randomised double blinde placebo controlled studies, ossia studi randomizzati, condotti in doppio cieco e controllati con il placebo), avevano visto che aggiungere alogliptina ad un altro farmaco già in uso ( i farmaci presi in considerazione erano metformina(24), pioglitazone(25), glibenclamide(26) e insulina (27) ) a confronto con il placebo, portava a migliori risultati.

Il principale end - point era la diminuzione del valore dell' emoglobina glicosilata. La somministrazione di 12,5 mg di alogliptina aveva portato ad un decremento di HbA1c del 0,4/0,7%, mentre la somministrazione di 25 mg di alogliptina aveva portato ad un decremento di 0,5/0,8%. L'utilizzo invece del placebo aveva fatto variare l' HbA1c dal -0,2 a +0,01.

Da questo studio risultava chiaro che non ci fosse una relazione diretta tra concentrazione di farmaco e diminuzione dell’emoglobina glicosilata, quindi non era necessario raddoppiare la dose, perché questo non avrebbe portato al raddoppio dell’effetto benefico a livello dell’HbA1c.

In accordo con questi dati, avevano visto che un numero maggiore di pazienti trattati con alogliptina aveva raggiunto l' obiettivo di un livello di HbA1c <6,5/7 se paragonati a quelli trattati con il placebo. Non erano state riscontrate significative differenze tra i due gruppi per quanto riguarda variazioni di peso e parametri lipidici.

Un altro studio (28) (Pooled analysis of six randomised, double blind, controlled placebo studies , ossia un'analisi combinata di studi randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo), aveva messo a confronto pazienti più anziani (età >65 anni) con pazienti più giovani (eta < 65 ani).

Gli end- points erano variazioni di emoglobina glicosilata, valori di glucosio nel sangue, variazioni di peso e valori di lipidi.

La differenza che era stata riscontrata riguardava il numero di pazienti che avevano raggiunto l'obiettivo di HbA1c<7%.

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Nei pazienti più giovani il 37% aveva raggiunto una HbA1c<7 , mentre in quelli più anziani l’obiettivo era stato raggiunto da almeno il 45%. Non erano state riscontrate differenze per quanto riguarda variazioni nel peso e nei valori dei lipidi. Conclusioni: Alogliptina si è rivelata un farmaco ben tollerato dai pazienti più anziani, i quali hanno raggiunto diminuzioni dei valori di emoglobina glicosilata paragonabili a quelli dei pazienti più giovani.

Un altro aspetto molto importante da prendere in considerazione quando si parla di una nuova terapia, al di la dei migliori risultati ottenuti, è la presenza o meno di eventi avversi, e nel caso questi siano presenti bisogna valutare se possono essere trascurati oppure no.

3.1.3 Sicurezza e tollerabilità

Per quanto riguarda la sicurezza e la tollerabilità, i DPP-4 inibitori hanno caratteristiche molto favorevoli. Gli eventi avversi più frequenti sono a livello gastrointestinale, come vomito e diarrea che solitamente diminuiscono col tempo o con la diminuzione della dose. Non ci sono particolari interferenze invece per quanto riguarda variazioni di peso o eventuali casi di ipoglicemia. Per questo motivo sono farmaci consigliati soprattutto in caso di obesità o in pazienti anziani, i quali possono trovare maggiore difficoltà nel controllo glicemico. Altri effetti avversi possono essere nasofaringiti e infezioni delle vie urinarie. Dopo l'approvazione di questi farmaci sono emersi altri effetti avversi come per esempio angioedema, sindrome di Steven-Jonson e altre infezioni ( probabilmente queste avversità sono dovute al fatto che inibendo la DPP-4, si va ad alterare il sistema immunitario, nonostante l’azione prevalente delle gliptine sia a livello del DPP-4). Un altro possibile effetto avverso riportato è la pancreatite acuta. E' però importante sottolineare il fatto che pazienti affetti da diabete di tipo 2 hanno un maggiore rischio di sviluppare pancreatiti acute.

In uno studio(119) era stato visto che il rischio di pancreatiti aumentava di 6 volte in pazienti che assumevano sitagliptina rispetto ad altre terapie. Inoltre era stato visto che il rischio di sviluppo di un tumore a livello del pancreas era 2,9 volte maggiore in coloro che facevano una cura a base di sitagliptina rispetto ad altre terapie. L'aumentato rischio di sviluppare cancro risultava essere ancora collegato all'interferenza con il sistema immunitario. Pazienti che erano stati trattati con

(36)

incretine risultavano avere sia la parte esocrina che la parte endocrina del pancreas ingrandita (iperplasia); risultavano inoltre caratterizzati da una iperplasia delle cellule α.

Per quanto riguarda questo tipo di terapia è molto importante un controllo a lungo termine dei possibili effetti avversi. Per quanto riguarda invece gli effetti a livello del cuore, sembra che i DPP-4 inibitori provochino una riduzione della pressione, una riduzione del livello dei lipidi dopo i pasti e una riduzione dell' attività della PCR (è una proteina rilevabile nel sangue prodotta dal fegato e facente parte delle cosiddette proteine di fase acuta, un gruppo di proteine sintetizzate durante uno stato infiammatorio. Fa parte della famiglia delle Pentrassine, proteine pentameriche costituite ognuna da 5 subunità monomeriche identiche associate a ione Ca2+, che si legano tra di loro per formare una struttura pentagonale.

Fisiologicamente la PCR è una opsonina, il cui principale ruolo è quello di legare la fosfocolina, espressa su cellule morte o morenti, ma anche sulla superficie esterna di diverse specie batteriche, permettendo l'attivazione del complemento attraverso la via classica. La sua misurazione, insieme a quella della VES, può rivelarsi molto utile in caso di sospetto di stati infiammatori di origine infettiva e di alcune malattie infiammatorie come l'artrite reumatoide e il lupus). Tutto ciò è considerato benefico nei confronti del cuore.

Per quanto riguarda l’ alogliptina possiamo dire che non sono riportati casi gravi di ipoglicemia. L' associazione alogliptina e metformina è molto tollerato, e la nasofaringite è l'evento avverso più comune. L'incidenza delle infezioni è la più alta tra gli effetti avversi. L'alogloptina è anche molto sicura quando addizionata al pioglitazone nei pazienti trattati con metformina. La combinazione alogliptina (25 mg) -pioglitazone induce edema (ciò non era emerso a dosaggi più bassi di alogliptina). Anche l' accopiamento alogliptina- sulfanilurea è favorevole senza un aumento di ipoglicemia se paragonato al placebo. Infine, l'alogliptina unita all'insulina presenta una accettabile tollerabilità; si hanno casi di infezioni, problemi a livello gastrointestinale e problemi a livello della pelle. Non si hanno però aumenti di peso e casi di ipoglicemia. L'alogliptina sembra avere effetti positivi per quanto riguarda l'aterosclerosi, infatti porta alla diminuzione dei valori di lipoproteine e colesterolo dopo i pasti (risultano cosi ridotti anche gli effetti cardiovascolari). E’ un farmaco molto usato in quei pazienti che potrebbero essere

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messi altamente a rischio da un'ipoglicemia: per esempio i pazienti che presentano una insufficienza renale, epatica o che hanno problemi cardiaci.

Nelle persone anziane, l'ipoglicemia potrebbe essere dannosa a livello delle coronarie infatti, il cuore, ha un metabolismo particolare: come un’auto ibrida può utilizzare due tipi di carburante. Quando è ‘a riposo’ – si fa per dire perché si contrae mediamente 100 mila volte al giorno – le cellule del muscolo cardiaco bruciano grassi. Quando è sottoposto a uno stress, passa velocemente a utilizzare zuccheri che riesce a trasformare più velocemente in energia. Quando lo stress è uno sforzo o uno spavento ogni tipo di carburante può andar bene. Quando lo stress è dato dalla risposta all’ipoglicemia, il cuore si trova in una situazione seria: avrebbe bisogno di glucosio proprio quando gli zuccheri nel sangue mancano. A quel punto il cuore ha una terza possibilità: aumentare il consumo di ossigeno e quindi richiamare più sangue. Se le coronarie sono a posto il problema si risolve, ma se non lo sono, anche l’ossigeno manca. Ecco che la situazione diventa seria. Se a questo aggiungiamo che in presenza di uno ‘stress ipoglicemico’ alcuni ormoni iperglicemizzanti come le catecolamine si innalzano, incrementando il lavoro cardiaco, capiamo che un cuore in condizioni non perfette può andare incontro a un danno ischemico. Sono molto importanti studi a lungo termine sull' alogliptina.

3.1.4 Conclusioni

I DPP-4 inibitori rappresentano una nuova classe di ipoglicemizzanti per il trattamento del diabete mellito tipo 2. La novità risiede nella loro duplice azione a livello delle cellule α e β.

Questi nuovi farmaci non provocano ipoglicemia, presentano però un notevole svantaggio: andando ad inibire l’enzima dipeptidil peptidasi, nonostante siano selettivi per la DPP-4, può succedere che vadano ad interferire con il sistema immunitario. Altro limite di questi, sta nell’elevato costo se comparato con insulina, metformina o pioglitazone.

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3.2 Analoghi GLP-1 3.2.1 Exenatide

Era stato approvato nel 2005 dalla FDA. Viene isolato dalle ghiandole salivari del Gila Monster ( L'exenatide è la versione sintetica della proteina ottenuta dalle ghinadole salivari di questa sorta di lucertola, in particolare dell' ormone exendin-4). La sua sequenza amminoacidica mostra il 53% di omologia con il GLP-1 umano.

Exenatide(29)

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La somministrazione di questo farmaco prevede una iniezione di 10 microgrammi per due volte al giorno (l'exenatide ha una emivita di 2 ore e mezzo). L'iniezione deve esser fatta prima di colazione e prima di cena. L'exenatide può essere anche associata a metformina o sulfaniluree, in modo da ottenere una riduzione della Hba1c dello 0,8%-0,9% e peso ridotto da 1,6-2,8 kg.

Questo tipo di terapia prevede effetti collaterali a livello gastrointestinale come per esempio nausea e vomito. L'exenatide ha un basso rischio di ipoglicemia quando viene associato a tutti i farmaci, ad eccezione delle sulfaniluree.

3.2.2 Liraglutide

Questo composto ha una lunga durata d' azione, per questo motivo è sufficiente una singola somministrazione durante il giorno. Presenta un'omologia del 96% con il GLP-1 umano.

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In uno studio (32,33,34,35.36) ( network meta analysis) erano state messe a paragone l'exenatide BID (EXENATIDE TWICE DAILY con doppia somministrazione giornaliera) con exenatide QW (ONCE WEEKLY USE con singola somministrazione settimanale) e Liraglutide QD(ONCE DAILY USE con singola somministrazione giornaliera).

Per quanto riguarda la diminuzione della HbA1c risultava maggiore nei pazienti trattati con exenatide QW (1,9%) e liraglutide QD (1,5%), piuttosto che quelli trattati con exenatide BID.

Per quanto riguarda invece la perdita di peso, nei pazienti trattati con liraglutide QD era tra 0,2 e 3,2 kg , mentre in quelli trattati con exenatide QW era tra 2 e 3,7 kg.

In un altro studio (37,38) ( open lable randomised trial, ossia uno studio randomizzato condotto “in aperto”) erano stati paragonati i due analoghi GLP-1 a rilascio lento ( Liraglutide QD 1,8 mg e exenatide QW) con l'insulina glargina in aggiunta a metformina e sulfaniluree.

L’insulina glargina è un analogo dell’insulina umana prodotto con la tecnica del DNA ricombinante. La modificazione della sequenza amminoacidica dell’insulina (sostituzione dell’asparagina con la glicina nella posizione 21 della catena A e aggiunta di due arginine nell’estremità terminale C della catena B) si è tradotta in uno spostamento del punto isoelettrico della molecola da un pH 5,4 verso la neutralità e di conseguenza in una minore solubilità al pH neutro fisiologico della sede di iniezione. L’insulina glargina è una soluzione acida limpida e incolore: iniettata nel tessuto sottocutaneo, grazie alla presenza di zinco (30 mcg/ml), cristallizza dando luogo alla formazione di microprecipitati dai quali vengono continuamente liberate piccole quantità di insulina. Questo processo assicura un profilo di concentrazione/durata senza picchi e con una durata d’azione prolungata.

La diminuzione della HbA1c era maggiore nei pazienti trattati con i GLP-1 mimetici, piuttosto che quelli trattati con insulina.

Inoltre l' insulina causava un aumento di peso, mentre gli altri due una riduzione. Prendendo in considerazione l'ipoglicemia, era meno frequente in pazienti trattati con exenatide e liraglutide piuttosto che in quelli trattati con insulina.

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Un ulteriore studio (39) (randomised, open lable study, ossia uno studio randomizzato condotto in aperto) aveva messo a confronto exenatide QW( 2 mg) e liraglutide QD (1,8 mg). Lo studio aveva una durata di 26 settimane e il primo end-point era la variazione dei valori di emoglobina glicata. Per quanto riguarda l' HbA1c erano più favorevoli i risultati ottenuti con Liraglutide(- 1,48 % nei pazienti trattati con liraglutide e -1,28 % in quelli trattati con exenatide).

Prendendo in considerazione invece gli effetti collaterali vomito e nausea, la frequenza era maggiore nei pazienti trattati con liraglutide (20 %) piuttosto che in quelli trattati con exenatide (9%).

3.2.3 Lixisenatide

Ha una struttura analoga a quella dell'exenedin-4 e presenta una modifica sulla catena c terminale, dove sono state sostituite 6 lisine. Per capire quale fosse il miglior dosaggio di questo nuovo farmaco erano stati fatti numerosi esperimenti ed era stato visto che per ottenere il miglior risultato bisognava somministrare 20 microgrammi QD( quindi una sola volta al giorno).

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STUDIO(GET-GOAL-X-trial)(41)

Erano stati messi a paragone 20 microgrammi QD di lixisenatide e 10 microgrammi di exenatide BID in pazienti che non rispondevano alla terapia di prima scelta che era la metformina.

L’emoglobina glicosilata risultava migliorata dello 0,79% nei pazienti trattati con lixisenatide e 0,96% in quelli trattati con exenatide. Il peso era diminuito di 2,96 kg nei pazienti trattati con lixisenatide e 3,98 kg in quelli trattati con exenatide.

L’ ipoglicemia presentava una frequenza maggiore nei pazienti trattati con exenatide BID, cosi come la nausea. Questo farmaco provocava un notevole decremento di glucosio subito dopo i pasti, per questo motivo viene spesso associato alla terapia insulinica.

Come si evince da questo studio, il trattamento con Exenatide due volte al giorno era migliore sia per i valori di emoglobina glicosilata sia per la perdita di peso rispetto ai pazienti a cui era stata somministrata una sola volta al giorno la Lixisenatide. Mentre per quanto riguarda la frequenza di ipoglicemia e la nausea, l’Exenatide riportava dati leggermente sfavorevoli rispetto alla Lixisenatide.

STUDIO (42) ( get goal L study, un trial in doppio cieco condotto per 24 settimane).

L'end-point primario di questo studio era la riduzione del valore di emoglobina glicata basale.

Erano state messe a paragone insulina+metformina + lixisenatide e insulina+ metformina + placebo. La durata dell'esperimento era di 24 settimane.

Per quanto riguarda l’emoglobina glicosilata si erano ottenuti risultati migliori in seguito al trattamento con Lixisenatide in aggiunta a metformina e insulina, se paragonato al placebo. Anche in relazione alla perdita di peso i valori migliori erano stati ottenuti con l’analogo GLP-1 se paragonato al placebo.

Conclusioni: grazie al miglioramento dei valori di emoglobina glicosilata e grazie alla diminuzione del peso provocato dalla lixisenatide, questo può diventare una valida alternativa ad altri ipoglicemizzanti orali.

3.2.4 Albiglutide Questo farmaco era stato ottenuto unendo 2 molecole di GLP-1 con albumina

(43)

umana ricombinata. La sostituzione di una alanina con una glicina rende il farmaco resistente ai DPP-4 inibitori.

Questa molecola non attraversa la BEE quindi non può dare effetti a livello centrale, ma sono presenti effetti collaterali a livello gastrointestinale. Provoca inoltre una diminuzione di peso.

Albiglutide(43)

Il programma clinico di fase III di albiglutide prende il nome di Harmony e comprende 8 studi clinici che hanno arruolato complessivamente circa 5 mila pazienti. Tale programma ha valutato l'efficacia, la tollerabilità e la sicurezza del farmaco in monoterapia e in associazione ad altri antidiabetici.

STUDIO (44) ( harmony 7 trial, è un trial “in aperto”, che è il contrario di doppio cieco. In questo caso, sia lo sperimentatore che il partecipante sanno cosa si sta somministrando. )

Questo studio (della durata di 32 settimane) prendeva in considerazione quei pazienti che non avevano trovato beneficio nel trattamento con Insulina glargina, metformina o tiazolidinedioni.

L' end-point primario era la riduzione dell' emoglobina glicata. 50 mg di albiglutide ( una molecola di grandi dimensioni basata sul GLP-1, ad azione prolungata) somministrata una sola volta a settimana era stata messa a

(44)

confronto con 1,8 mg di Liraglutide ( una piccola molecola anch’essa ad azione prolungata e basata sul GLP-1) somministrata una volta al giorno.

Con entrambi i trattamenti erano state osservate riduzioni significative della glicemia plasmatica a digiuno e dell’ emoglobina glicosilata, per quanto in maniera inferiore con l’albiglutide. In accordo con l’ipotesi che quest’ultima molecola sia troppo grande per penetrare la barriera emato-encefalica in maniera altrettanto efficace rispetto alla ben più piccola liraglutide, è stata documentata un’incidenza significativamente inferiore di nausea e vomito con l’albiglutide

Conclusioni: Gli agonisti del recettore del GLP-1, nonostante siano accumunati dal solito generale meccanismo d'azione, non hanno però la stessa funzione in vivo, grazie alle loro diverse caratteristiche fisiche.

STUDIO (45) ( Harmony 6 )

L' albiglutide( 50 mg QW, somministrata cioè una sola volta alla settimana) era stata paragonata anche con l'insulina lispro (Humalog). La durata dell'esperimento era di 26 settimane.

L’end-point primario era la riduzione dell’HbA1c, ma di interesse elevato erano anche i risultati ottenuti a proposito della perdita di peso e dei vari effetti indesiderati, quali nausea e ipoglicemia.

La diminuzione dei valori di emoglobina glicosilata non presentava differenze particolari nei due gruppi, mentre differenze notevoli erano state riscontrate in relazione agli effetti collaterali: infatti sia la nausea che l’ipoglicemia erano più frequenti nei pazienti trattati con Albiglutide.

STUDIO (46) ( Harmony 8 trial, trial randomizzato a 52 settimane, in doppio cieco con controllo attivo e per gruppi paralleli)

L'azione della albiglutide era stata anche paragonata con quella della sitagliptina. Per quanto riguarda i risultati delle prime 26 settimane possiamo dire che i valori di emoglobina glicosilata raggiunti erano migliori in seguito al trattamento con Albiglutide, cosi come la diminuzione di peso. Dopo 52 settimane l'effetto collaterale più ricorrente si era dimostrata la diarrea, soprattutto nei pazienti trattati con albiglutide, mentre per quanto riguarda nausea e vomito non erano presenti notevoli differenze tra i due gruppi presi in considerazione.

(45)

Un farmaco con monosomministrazione settimanale risulta essere maggiormente “patient friendly” e assicura, almeno in teoria, una maggiore aderenza alla terapia rispetto ad un farmaco che richiede una somministrazione giornaliera.

3.2.5 Exenatide extended release

E’ una nuova tecnologia che prevede il rilascio graduale nel tempo, viene quindi a mancare il picco immediato in seguito alla somministrazione del farmaco.

La novità dell' exenatide rilasciata lentamente nel tempo si spera possa essere risolutiva per quanto riguarda gli elevati effetti collaterali a livello gastrointestinale che invece erano provocati dall' exenatide. Questa nuova tecnologia prevede una dose di 2 mg somministrata ogni 7 giorni a livello sottocutaneo ed è sconsigliata l' associazione con insulina. La tollerabilità e l'efficacia dell'exenatide a lento rilascio, erano state studiate nel trial DURATION ossia Diabetes therapy utilization researching changes in A1c, weight and other factors through intervention with exenatide once weekly

DURATION-1(47): In questo studio ( randomised open.lable-non-inferiority study, ossia uno studio randomizzato di non inferiorità “in aperto”), erano stati messi a paragone l'exenatide a rilascio modificato(2 mg ogni 7 giorni) con l' exenatide BID (in un primo momento 5 microgrammi da aumentare a 10 microgrammi in un secondo momento, in particolare dopo 28 giorni). La durata dello studio era di 30 settimane e i pazienti presi in considerazione erano 259.

L’emoglobina glicosilata aveva raggiunto risultati migliori in seguito alla monosomministrazione settimanale, in confronto alla doppia somministrazione giornaliera. Anche gli effetti collaterali (quali nausea e vomito) erano meno frequenti nei pazienti trattati con la singola somministrazione settimanale.

Per quanto riguarda invece pressione, colesterolo e trigliceridi, risultavano migliorati in tutti e due i gruppi. Importante sottolineare il fatto che i pazienti facenti parti di questo studio partivano tutti da caratteristiche di base simili, per esempio avevano una HbA1c intorno a 8,3%.

I risultati ottenuti mostrano miglioramenti più significativi per quanto riguarda il controllo glicemico nel trattamento con exenatide con somministrazione settimanale, rispetto alla doppia somministrazione giornaliera.

Riferimenti

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