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La nozione di "minaccia alla pace" e le frontiere mobili della sicurezza collettiva delle Nazioni Unite

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

LA NOZIONE DI “MINACCIA ALLA PACE” E LE

FRONTIERE MOBILI DEL SISTEMA DI SICUREZZA

COLLETTIVA DELLE NAZIONI UNITE

Candidato

Relatore

Marco Argentini

Chiar.mo Prof. A. M. Calamia

(2)

2

Quis custodiet ipsos custodes?

[GIOVENALE, Satire, VI, 347-348]

Agreement among the permanent members must have the deeper support of the other members of the Council, and the membership more widely, if the Council's decisions are to be effective and endure.

(3)

3

A

BSTRACT

In questo elaborato verranno messe in relazione fra loro alcune recenti tendenze volte ad ampliare le frontiere della sicurezza collettiva delle Nazioni Unite. Con la risoluzione n. 1373 (2001) il Consiglio di Sicurezza ha adottato delle misure di contrasto a un ventaglio indefinito di situazioni riconducibili al terrorismo internazionale, volte a imporre agli Stati alcune misure interne di attuazione. Questo approccio del Consiglio – c.d. “legislativo” – è stato ripreso con la ris. 1540 (2004) sulle armi di distruzione di massa e con la recente ris. 2178 (2014) sui foreign fighters. Il problema di questa impostazione risiede nella necessità di definire l’esatto margine di discrezionalità goduto dal Consiglio di Sicurezza nella determinazione di una “minaccia alla pace”. La ristretta rappresentatività di quest’organo induce a ritenere che, in questa progressiva espansione del campo operativo del Capitolo VII, le sole maggioranze prescritte dalla Carta delle Nazioni Unite possano risultare insufficienti. Saranno quindi tracciate alcune linee guida procedurali che permettano di legittimare questo progressivo ampliamento su una maggiore inclusività del procedimento in seno al Consiglio di Sicurezza. La ris. 2177 (2014), sponsorizzata da 131 Stati, ha definito l’epidemia di Ebola una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, confermando una funzione di health-keeper in capo al Consiglio di Sicurezza. A questa risoluzione si collegano due ordini di questioni, legati rispettivamente ai limiti posti attorno all’azione del Consiglio di Sicurezza e alla ripartizione di competenza con altri organi o agenzie delle Nazioni Unite. Questo elaborato si propone di identificare possibili soluzioni che, senza rinunciare all’efficacia tipica delle decisioni del Consiglio, non sviliscano il principio cardine del necessario consenso degli Stati, che rischierebbe di venire oscurato qualora la sicurezza collettiva si espandesse, in assenza di un consenso della comunità internazionale, oltre i limiti tracciati dalla Carta delle Nazioni Unite.

(4)

4

I

NDICE

PREFAZIONE ... 7

INTRODUZIONE ... 9

CAPITOLO I

G

ENESI ED EVOLUZIONE DEI C

.

D

.

POTERI LEGISLATIVI

DEL

C

ONSIGLIO DI

S

ICUREZZA

1.Natura giuridica e possibile controllo giurisdizionale delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ... 15

1. 1 L’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ... 15 1. 2 Gli strumenti di controllo ... 21

2.Una prima risposta alla minaccia terroristica: le targeted

sanctions ... 24

3.Il Consiglio di Sicurezza come nuovo legislatore: il

concetto di “legislazione internazionale” ... 29

4.La risposta alle minacce del terrorismo internazionale e della proliferazione di armi di distruzione di massa per mano di attori non statali ... 34

4. 1 La risoluzione n. 1373 (2001) ... 34 4. 2 La risoluzione n. 1540 (2004) ... 36 4. 3 I diversi procedimenti seguiti per l’adozione delle risoluzioni

in questione ... 38

5.Possibili criticità dell’utilizzo di “poteri legislativi” da parte del Consiglio di Sicurezza ... 40

(5)

5

6.L’attività “legislativa” del Consiglio di Sicurezza come possibile strumento che superi il necessario consenso

statale. I limiti necessari ... 46

7.La risoluzione 2178 (2014) contro i foreign fighters ... 53

CAPITOLO II

L

A NOZIONE DI

MINACCIA ALLA PACE

E LA PRASSI DEL

C

ONSIGLIO DI

S

ICUREZZA 1.L’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite. La violazione della pace e l’aggressione ... 57

2.Le nozioni di “pace” e di “minaccia alla pace”. L’interpretazione negativa e positiva... 63

3.I limiti alla discrezionalità del Consiglio di Sicurezza nel constatare una minaccia alla pace ... 69

3. 1 I possibili limiti di natura oggettiva ... 72

3. 2 Le limitazioni di natura fattuale e legale ... 74

3. 3 La c.d. “teoria del sostegno informale” ... 76

4.La prassi del Consiglio di Sicurezza nella determinazione di una minaccia alla pace ... 77

4. 1 La “double strategy” ... 78

4. 2 La risposta alla pandemia di HIV/AIDS ... 80

4. 3 Lo sfruttamento illegale di risorse naturali e il bracconaggio di fauna selvatica ... 81

5.L’espansione della nozione di minaccia alla pace: limiti procedurali ... 84

(6)

6

CAPITOLO III

L

A RISPOSTA DELLE

N

AZIONI

U

NITE ALL

EPIDEMIA DI

E

BOLA

1.L’epidemia di Ebola e la risposta della comunità

internazionale ... 88

1. 1 Il riparto di competenze all’interno delle Nazioni Unite ... 92

1. 2 Il presupposto normativo della risoluzione n. 2177 (2014) ... 93

1. 3 La missione UNMEER ... 94

2.La c.d. “securitization” della salute pubblica ... 96

2. 1 Le critiche a questa impostazione ... 100

3.La “general acceptance” della comunità internazionale alla risoluzione n. 2177 (2014) ... 101

3. 1 Valutazione sulla presenza dei requisiti oggettivi di una minaccia alla pace ... 103

3. 2 Il rispetto dei limiti procedurali: il consenso statale ... 105

3. 3 (Segue) L’inclusività del processo di adozione della risoluzione... 107

3. 4 (Segue) La partecipazione di organizzazioni regionali o specializzate ... 108

3. 5 Valutazioni conclusive sull’adozione della ris. 2177. ... 110

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE... 112

(7)

7

P

REFAZIONE

Questo lavoro è il frutto di una riflessione cominciata nel 2013 durante un periodo di studio a Parigi, nel corso del quale ho approfondito la questione dei limiti all’azione del Consiglio di Sicurezza. Ho potuto analizzare più da vicino queste tematiche in occasione di un soggiorno a New York nell’autunno dello scorso anno, negli uffici della Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, dove ho avuto la possibilità di entrare nel cuore delle dinamiche multilaterali e del principale foro dove si sintetizzano gli aspetti giuridici e politici delle più rilevanti vicende internazionali.

Un primo e sentito ringraziamento va al Prof. Calamia, relatore di questa tesi, e al Prof. Marinai. Al primo, per avermi introdotto al diritto internazionale e per avermi seguito e incoraggiato, non solo in questa occasione. Al secondo, per l’attenzione con cui mi ha guidato e consigliato in questo percorso. A entrambi, per i preziosi insegnamenti ricevuti in questi cinque anni.

Il mio interesse per il diritto internazionale pubblico è stato giorno dopo giorno alimentato dalla possibilità di poter conoscere diverse realtà giuridiche e culturali in molteplici occasioni di scambio e di studio. Se queste tappe hanno potuto così grandemente contribuire alla mia formazione è soprattutto grazie alle persone che a vario titolo mi hanno accompagnato e guidato in queste esperienze, cui va un sincero “grazie” e l’augurio di rivederci presto.

Un grazie non meno importante agli amici di Pisa, compagni di percorso in questi anni. A Silvio, amico fraterno; ad Alessia, presenza e supporto costante durante l’intero percorso universitario; a Paolo,

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8

compagno di stanza e di avventure. A Chiara, Orlando, Andrea, Valerio, Marco, Giuseppe e gli altri che non elenco, perché vorrebbe dire sigillare un cerchio che difficilmente riuscirei a chiudere senza trascurare qualcuno.

Alle persone che, in diversi momenti della mia formazione, mi hanno trasmesso il valore della legalità e la sensibilità per la cosa pubblica, contribuendo a indirizzare un percorso che in questa tesi spero trovi solo il proprio trampolino di lancio.

Alla mia famiglia, sostegno immancabile fino ad adesso e in futuro, per la quale la distanza – talvolta anche di diversi fusi orari – non ha intaccato l’affetto e la presenza. Ai miei cugini, ai loro bellissimi bambini, ai miei zii. Un grazie particolare a Giuliana, i cui consigli e la cui vicinanza mi hanno non poco sollevato e incoraggiato soprattutto negli ultimi mesi.

Ai miei genitori.

A mia nonna Irma, per la dedizione e l’amore con cui mi ha sostenuto e spronato, e agli altri nonni – Lucia, Enzo, Piero – che sono certo mi stiano seguendo e stiano gioendo con non meno intensità.

A Luca, per i preziosi spunti critici e stimolanti, e il suo vivace impegno per tenermi intellettualmente all’erta.

Grazie!

Pisa, marzo-aprile 2015

(9)

9

I

NTRODUZIONE

Il cuore del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite è rappresentato dall’art. 39 della Carta ONU, al centro del dibattito internazionale. In virtù di questa disposizione, il Consiglio di Sicurezza, riscontrata l’esistenza di una minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto di aggressione, può adottare delle misure vincolanti, finanche implicanti l’uso della forza militare.

Il Consiglio di Sicurezza è caratterizzato da una composizione e da una struttura che ne esaltano la natura politica e che si affiancano alla mancanza di un sistema effettivo di controlli delle decisioni adottate. Inoltre, la voluta vaghezza del testo dell’art. 39 ha permesso ai Membri del Consiglio di approvare misure di portata particolarmente ampia e di espandere il concetto di “minaccia alla pace”, tendendo talvolta a innalzare il Consiglio di Sicurezza a organo di governo globale.

In questo elaborato, prendendo le mosse dai caratteri della comunità internazionale, verranno messe in relazione due tendenze complementari volte ad ampliare le frontiere della sicurezza collettiva delle Nazioni Unite. Ciò avviene, in particolare, da una parte mediante la creazione di una sorta di “legislazione universale” e, dall’altra, tramite l’ingresso all’interno dell’agenda del Consiglio di Sicurezza di uno spettro sempre più ampio di fenomeni.

La natura della comunità internazionale è tradizionalmente identificata come insieme di Stati sovrani superiorem non recognoscentes, dotati di summa potestas con valenza sia interna, all’interno dei confini nazionali, che esterna, nelle relazioni

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10

internazionali1; come una comunità anorganica2 con un proprio ordinamento che si regge sul principio di effettività. Corollario di questo è che le organizzazioni internazionali, fra le quali la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, non possano in alcun modo essere configurate come enti sovraordinati rispetto agli Stati che le hanno originate attraverso forme di cooperazione sempre più incisive3.

Queste considerazioni diventano imprescindibili nell’analisi di un tema particolarmente delicato quale quello dell’evoluzione e del carattere multiforme delle misure che il Consiglio di Sicurezza può adottare per far fronte alle nuove sfide che si presentano innanzi alla comunità internazionale. A fronte di un testo della Carta delle Nazioni Unite abbastanza vago, che potenzialmente lascia molta discrezionalità in capo al Consiglio di Sicurezza, con riguardo sia alle situazioni in grado di giustificare un suo intervento, sia alle misure che possono essere concretamente adottate, assume sempre più importanza la cooperazione degli Stati per attuare le decisioni approvate.

Questa vaghezza ha permesso alla membership del Consiglio di Sicurezza di utilizzare il potere politico del Consiglio per forgiare ex novo soluzioni che fossero auspicabilmente in grado di fronteggiare le nuove minacce globali. In particolare, si è provato a rispondere con gli strumenti del diritto internazionale alle multiformi situazioni di crisi, andando oltre le situazioni e le

1 T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Giuffrè, Milano, 2005, p. 22.

2 U. DRAETTA, Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Giuffrè, Milano, 2010 (3° ed.), p. 2.

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11

possibili risposte prospettate durante la conferenza di San Francisco4. Tutto questo ha contribuito alla formazione di un filone dottrinale che ha evidenziato – non sempre condividendola – una tendenza del Consiglio di Sicurezza ad ergersi a interprete di una sorta di egemonia legale (c.d. “legal hegemony”) all’interno della comunità internazionale5.

Di conseguenza, sarà di primaria importanza un’analisi del livello di vincolatività giuridica delle risoluzioni del Consiglio, nonché dei possibili rimedi esperibili dagli Stati per “disobbedire” a queste. Se, a seguito di una pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia, è stata garantita alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza la protezione che l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite accorda agli obblighi derivanti dalla Carta stessa, la caratteristica intrinseca e originaria del diritto internazionale poc’anzi evidenziata determina che la stessa efficacia delle risoluzioni adottate dal Consiglio sia subordinata alla cooperazione della comunità internazionale6.

A una multiformità di situazioni globali ha fatto seguito una altrettanta multiformità, non certo immune da critiche, di risposte della comunità internazionale per il tramite del Consiglio di Sicurezza, che ha invocato l’articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite (misure non implicanti l’uso della forza) per elaborare risposte sulle quali si è sviluppato un acceso dibattito fra la dottrina

4 J. CRAWFORD, Chance, Order, Change: The Course of International Law, Pocketbooks of the Hague Academy of International Law, 2014, p. 426. 5 Si vedano, inter alia, D. H. JOYNER,The Security Council as a Legal Hegemon, 43 Georgetown Journal of International Law (2012), p. 227; B. CONFORTI, C.

FOCARELLI, Le Nazioni Unite, CEDAM, Padova, 2012 (9° ed.), p. 258.

6 J. CRAWFORD, Ult. op. cit., p. 428; P. C. SZASZ,The Security Council Starts Legislating, 96 Am. J. Int'l L. (2002), p. 905.

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12

internazionalista. Fra queste soluzioni emergono l’istituzione di particolari regimi sanzionatori individuali (c.d. “targeted sanctions”) e l’adozione di risoluzioni c.d. “legislative” o “quasi-legislative”, che si caratterizzano per essere finalizzate a coprire una quantità indeterminata di possibili situazioni afferenti a un determinato genus.

Le risoluzioni che hanno aperto questa nuova strada sono state le n. 1373 (2001) e 1540 (2004), rispettivamente in materia di lotta al terrorismo internazionale e di non proliferazione di armi di distruzione di massa da parte di attori non statali, che hanno avuto però una diversa accoglienza all’interno della comunità

internazionale. Un’analisi del concetto di “legislazione

internazionale”, nonché delle peculiarità di queste due risoluzioni, permetterà di entrare nel merito del dibattito sulla legittimità di queste misure e dei principali rilievi che la dottrina internazionalistica ha evidenziato. Bisognerà difatti provare a identificare un possibile bilanciamento fra il sacrificio del principio consensuale e la presunta natura ultra vires di queste risoluzioni da una parte, e l’efficacia che caratterizza le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dall’altra. In particolare, si cercherà in prima battuta di identificare alcuni meccanismi che permettano al Consiglio, sulla cui legittimazione si sono frequentemente sollevate critiche in virtù della scarsa rappresentatività della membership, di agire conformemente a un consenso della comunità internazionale.

Il presupposto su cui si sono fondati i c.d. “poteri legislativi” – che da ultimo hanno trovato applicazione con la ris. 2178 (2014) sui foreign fighters – è il formale riconoscimento da parte del Consiglio che alcuni fenomeni costituiscano, nella loro generalità, una

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13

minaccia alla pace. A seguito di un’analisi terminologica dell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite, il secondo capitolo sarà dunque incentrato sull’elastica nozione di “minaccia alla pace”, il cui ampliamento ha progressivamente portato a una parallela espansione dell’ambito di influenza del Consiglio di Sicurezza. Se la natura politica dell’organo garantisce, almeno potenzialmente, un amplissimo margine di discrezionalità, saranno evidenziati alcuni limiti sostanziali di natura oggettiva che dovrebbero guidare l’attività del Consiglio nella determinazione di una minaccia alla pace, mantenendo intatto lo spirito dell’art. 39.

A fronte di queste teorizzazioni, la pratica del Consiglio di Sicurezza ha evidenziato una contraria tendenza ad ampliare i confini della sicurezza collettiva, che è andata progressivamente a inglobare minacce di natura sanitaria e ambientale. Questa espansione repentina della nozione di “minaccia alla pace” induce a tracciare alcuni limiti di natura procedurale, che permettano di fondare l’attività del Consiglio di Sicurezza su una legittimazione più solida delle sole maggioranze prescritte dalla Carta delle Nazioni Unite, che si ispiri principalmente a una maggiore inclusività del processo decisionale in seno al Consiglio.

Con la recente adozione della risoluzione n. 2177 (2014), adottata all’unanimità il 18 settembre 2014, i quindici Membri hanno definito l’epidemia di Ebola una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, consacrando l’ulteriore funzione di health-keeper7 del Consiglio di Sicurezza. Nonostante non sia la prima volta che il

7 L’espressione è di M.ARCARI,P.PALCHETTI, The Security Council as a global ‘health-keeper’? Resolution 2177 (2014) and Ebola as a threat to the peace, QIL, Zoom-in 10 (2014), pp. 1-3.

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14

Consiglio si sia espresso su questioni di natura sanitaria – era già avvenuto in precedenza con riguardo alla pandemia di HIV/AIDS – per la prima volta, e con una risoluzione che è stata co-sponsorizzata da 131 Stati (mai una risoluzione del Consiglio di Sicurezza aveva avuto un numero così alto di adesioni) è stato invocato il meccanismo di sicurezza collettiva previsto dal Capitolo VII della Carta.

Questa risoluzione ha sollevato almeno due ordini di questioni. In primo luogo, è stato rinvigorito l’acceso dibattito sui limiti posti attorno all’azione del Consiglio di Sicurezza; in secondo luogo, l’azione di quest’organo va a lambire alcuni spazi di competenza a cui sono istituzionalmente preposti altri organi o agenzie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, quali l’Assemblea Generale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Con l’adozione di questa risoluzione, il Consiglio di Sicurezza sembra aver manifestato la volontà di “securitize”8 la salute pubblica, evidenziandone i rischi in termini di sicurezza rispetto alle complicazioni sanitarie legate al dilagare dell’epidemia.

Le considerazioni fin qua svolte inducono a ritenere che il

Consiglio di Sicurezza possa verosimilmente ampliare

ulteriormente il campo operativo del Capitolo VII. Nelle pagine che seguono verranno ricostruiti alcuni limiti a cui i “quindici” devono attenersi, nonché – e soprattutto – possibili soluzioni che facciano tesoro dell’efficacia delle decisioni del Consiglio di Sicurezza senza offuscare il principio del necessario consenso degli Stati, cardine della comunità internazionale.

8 L’espressione è di G. L. BURCI, Ebola, the Security Council and the securitization of public health, QIL, Zoom-in 10 (2014), pp. 27-39.

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15

C

APITOLO

I

G

ENESI ED EVOLUZIONE DEI C

.

D

.

POTERI

LEGISLATIVI

DEL

C

ONSIGLIO DI

S

ICUREZZA

1. Natura giuridica e possibile controllo giurisdizionale delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza

1. 1 L’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza

Una prima questione che deve essere affrontata, per poter meglio comprendere il collocamento delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza all’interno del panorama delle fonti normative internazionali, riguarda l’esatta natura giuridica delle stesse, nonché il loro livello di vincolatività per gli Stati. Un’analisi della questione deve prendere le mosse dal testo dell’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite, che dispone la superiorità gerarchica delle norme derivanti dalla Carta medesima su eventuali previsioni confliggenti di altri accordi internazionali:

In the event of a conflict between the obligations of the Members of the United Nations under the present Charter and their obligations under any other international agreement, their obligations under the

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16 present Charter shall prevail9.

In particolare, dobbiamo interrogarci sull’esatto calibro dell’espressione “under the present Charter”10, proporzionalmente al quale aumenta o si riduce la stessa rilevanza dell’art. 10311. Dobbiamo chiederci se sia garantita la supremazia non solo delle disposizioni della Carta, ma anche delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e in particolare di quelle adottate ex Capitolo VII. Una prima risposta a questa domanda, che presta però il fianco a possibili accuse di partigianeria, è stata fornita direttamente dal Consiglio di Sicurezza nel testo della risoluzione 670 del 199012, dove il Consiglio, ribadendo «the provisions of Article 103 of the Charter», ha disposto che tutti gli Stati avrebbero dovuto rispettare il regime sanzionatorio imposto contro l’Iraq «notwithstanding the existence of any rights or obligations conferrend or imposed by any international

9 Il corsivo è aggiunto. È evidente il richiamo all’art. 20 del Covenant della Società delle Nazioni: «The Members of the League severally agree that this Covenant is accepted as abrogating all obligations or understandings inter se which are inconsistent with the terms thereof, and solemnly undertake that they will not hereafter enter into any engagements inconsistent with the terms thereof.

In case any Member of the League shall, before becoming a Member of the League, have undertaken any obligations inconsistent with the terms of this Covenant, it shall be the duty of such Member to take immediate steps to procure its release from such obligations».

10 Il testo francese recita: «obligations … en vertu de la présente Charte».

11 Rilevanza che è ribadita anche nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, il cui art. 30 fa salve le disposizioni dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite dalla disciplina prevista per l’applicazione di trattati successivi vertenti sulla stessa materia. Di identico tenore l’art. 30, § 6 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, per cui le disposizioni previste in caso di coesistenza di più trattati vertenti sulla medesima materia «are without prejudice to the fact that, in the event of a conflict between obligations under the Charter of the United Nations and obligations under a treaty, the obligations under the Charter shall prevail.»

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17

agreements»13.

A questa risoluzione hanno fatto seguito a partire dall’anno successivo, con la crisi nell’Ex Jugoslavia, altre decisioni che hanno invocato, facendo o meno espresso riferimento all’art. 103, il carattere preminente delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza su eventuali altri accordi internazionali, al punto di istituire una sorta di formula che, con i dovuti aggiustamenti, sarebbe stata spesso utilizzata nelle risoluzioni ex Capitolo VII della Carta14:

Calls upon all States and all international and regional organizations to act strictly in conformity with this resolution, notwithstanding the existence of any rights granted or obligations conferred or imposed by any international agreement or of any contract entered into or any license or permit granted prior to the entry into force of the prohibitions imposed by this resolution15.

Nel 1992 una risposta decisiva è arrivata dalla Corte Internazionale di Giustizia, principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite. La Corte, dovendosi esprimere sul caso Lockerbie, si è così pronunciata:

Whereas both Libya and the United Kingdom, as Members of the United Nations, are obliged to accept and carry out the decisions of the Security Council in accordance with Article 25 of the Charter; whereas the Court, which is at the stage of proceedings on provisional measures, considers that prima facie this obligation extends to the decision contained in resolution 748 (1992); and whereas, in accordance with Article 103 of

13 Ivi, § 3.

14 Cfr. R. BERNHARDT, Art. 103, in B. SIMMA (ed.), The Charter of the United

Nations. A Commentary, Oxford University Press, 20022, p. 1300.

15 S/RES/1160 (1998), § 10; formula analoga è presente in S/RES/1267 (1999), § 7.

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18

the Charter, the obligations of the Parties in that respect prevail over their obligations under any other international agreement,

including the Montreal Convention16.

Partendo da questa posizione molti Autori17 hanno interpretato l’art. 103 – combinato con l’art. 25 – come una forte guarentigia posta a difesa delle risoluzioni ex Capitolo VII del Consiglio di Sicurezza. Attraverso questa disposizione infatti il Consiglio di Sicurezza «has the autority to make legally binding decisions with which states must

comply in all circumstances»18, indipendentemente dall’eventuale

presenza di disposizioni contrastanti in altri trattati ratificati dallo Stato. Ne deriva che una previsione come quella dell’art. 103 possa facilmente essere considerata una qualità necessaria del regime sanzionatorio previsto dal Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il quale risulterebbe altrimenti privo di efficacia qualora non fosse in grado di arginare i vincoli imposti da altri trattati19. L’importanza di questa disposizione aumenterebbe ancor di più qualora, come suggerito in alcune suggestive ricostruzioni20, la

16 ICJ, Questions of Interpretation and Application of the 1971 Montreal Convention arising from the Aerial Incident at Lockerbie (Libyan Arab Jamahiriya v. United Kingdom), Provisional Measures, Order of 14 April 1992, I.C.J. Reports 1992, p. 15, § 39 (il corsivo è aggiunto).

17 Cfr., ex multis, R. BERNHARDT,Op. cit., passim.

18 S. RATNER, The Security Council and International Law, in D. MALONE (ed.), The UN Security Council: From the Cold War to the 21st Century, Lynne Rienner Publishers, London, 2004, p. 592.

19 Con riferimento a trattati di commercio internazionale o accordi sul traffico aereo, cfr. M. MATHENSON, Council Unbound: The Growth of UN Decision Making

on Conflict and Postconflict Issues after the Cold War, Washinton, DC, US Institute of Peace Press, 2006, p. 34, per il quale il regime sanzionatorio sarebbe inefficace qualora non potesse “override other international agreements”.

20 Cfr. R. BERNHARDT, Op. cit., p. 1302. Questa possibilità sarebbe avvalorata anche dal testo dell’art. 2(6) della Carta delle Nazioni Unite, che prevede che le Nazioni Unite “shall ensure that states which are not Members of the United

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19

Carta delle Nazioni Unite fosse innalzata a “costituzione” della comunità internazionale, bisognosa a questo punto di una norma che ne sancisca la supremazia gerarchica sulle altre fonti dell’ordinamento internazionale.

L’effetto dell’art. 103, come precisato anche nel report conclusivo dell’International Law Commission’s Study Group on

Fragmentation21, non è di invalidare la disposizione contrastante, ma

solo di disapplicarla nel caso concreto, in quanto confliggente con una norma gerarchicamente sovraordinata22, e la stessa Assemblea Generale, redigendo i Principles of international law concerning friendly relations and co-operation among States in accordance with the Charter of the United Nations, ha affermato che, in caso di contrasto fra le obbligazioni derivanti da accordi internazionali e quelle derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, queste ultime dovranno prevalere23. È necessario tuttavia usare molta cautela nell’invocazione dell’art. 103. La sua applicazione, attenuata solo dall’ipotesi di conflitto con norme cogenti di diritto consuetudinario24, si pone in contrasto con il principio pacta sunt servanda, potendo quindi entrare in gioco solo come extrema ratio da doversi valutare nel caso

Nations act in accordance with these Principles [i principi della Carta, N.d.A.] so far as may be necessary for the maintenance of international peace and security.” 21 UN Doc. A/CN.4/L.682.

22 Ivi, § 333: “The lower-ranking rule is merely set aside to the extent that it conflicts with the obligation under Article 103”; cfr. inoltre M. WOOD, Detention During International Military Operations: Article 103 of the UN Charter and the Al Jedda Case, 47 The Military Law and the Law of War Review (2008), p. 159. In senso contrario si veda BERNHARDT, Op. cit., p. 1297.

23 A/RES/2625 (XXV): “Where obligations arising under international agreements are in conflict with the obligations of Members of the United Nations under the Charter of the United Nations, the obligations under the Charter shall prevail”. 24 Cfr. M. WOOD, Second of the Harsch Memorial Lauterpacht Lectures on “The UN Security Council and International Law”, 8 novembre 2006, §§ 35-50 (<www.lcil.cam.ac.uk/lectures/2006_sir _michael_wood.php>)

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concreto, quando cioè sia radicalmente impossibile attuare le misure obbligatorie previste da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e, contestualmente, adempiere agli ulteriori obblighi con queste confliggenti. Pertanto, come affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Al Jedda25, si potrà invocare l’art. 103 solo

quando, tenuto conto del contesto in cui la risoluzione è stata adottata26, non sia possibile interpretare la risoluzione in modo conforme alla norma potenzialmente confliggente, ad esempio un trattato sui diritti umani27. A questo proposito un possibile compromesso è stato identificato nella costruzione di un impianto gerarchico fra i diversi obblighi della Carta delle Nazioni Unite, volto a permettere e giustificare il temperamento delle norme c.d. secondarie o subordinate (quali le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza) dinnanzi a un accordo internazionale che riguardi la salvaguardia dei diritti umani. È alla base del ragionamento della concurring opinion del giudice Malinverni nel caso Nada v.

25 ECtHR, Al-Jedda v. the United Kingdom (application n. 27021/08), 7 luglio 2011. 26 Cfr. ICJ, Legal Consequences for States of the Continued Presence of South Africa in Namibia (South West Africa) notwhitstanding Security Council Resolution 276 (1970), Advisory Opinion, I.C.J. Reports 1971, pronuncia nella quale la Corte Internazionale di Giustizia ha affermato che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza devono essere interpretate tenendo conto del contesto in cui sono state adottate e non solo del tenore letterale delle stesse.

27 Cfr. R. BERNHARDT, Op. cit., p. 1296; M. I. PAPA, Le autorizzazioni del Consiglio di sicurezza davanti alla Corte europea dei diritti umani: dalla decisione sui casi Behrami e Saramati alla sentenza Al-Jedda, 6 Diritti Umani e diritto internazionale (2012), p. 258; per una critica alla tesi per cui l’obbligo di rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza possa prevalere anche su quello di rispettare i diritti umani, si veda M. LUGATO, Sono le sanzioni

individuali del Consiglio di sicurezza incompatibili con il rispetto delle garanzie procedurali?, Rivista di diritto internazionale (2010), pp. 309-342.

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Switzerland della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo28.

1. 2 Gli strumenti di controllo

Inquadrata la natura giuridica di questi atti, il secondo passaggio impone di analizzare quali siano, se presenti, gli strumenti che la comunità internazionale ha a disposizione per poter controllare la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Una prima valutazione può essere operata tenendo conto della natura e delle peculiarità del diritto internazionale pubblico. Natalino Ronzitti afferma che «[l]a comunità internazionale non è comunità di subordinazione, bensì di coordinamento. […] Non esiste un’autorità sovraordinata, e sarebbe errato individuarla […] nell’Organizzazione delle Nazioni Unite»29. L’ordinamento internazionale si configura dunque come un’arena dove le regole sono formulate dagli stessi soggetti che sono chiamati a doverle osservare30, e dove allo stesso tempo la sovrana uguaglianza degli Stati – almeno su un piano formale31 – comporta che l’osservanza di queste regole sia affidata alla «spontanea esecuzione» dei soggetti dell’ordinamento internazionale32.

Riprendendo gli insegnamenti bobbiani sulla teoria generale

28 Cfr. EChTR, Nada, Concurring opinion of judge Malinverni, § 22; S. TALMON, The Security Council as World Legislator, 99 American Journal of International Law (2005), p. 179.

29 N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2009 (3° ed.), p. 9.

30 T. TREVES, Op. cit., p. 24. 31 Ivi, pp. 25 ss.

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del diritto, a sua volta l’efficacia della norma, in questo caso supportata dall’attuazione da parte degli Stati delle risoluzioni che saranno esaminate (“norma efficace è la norma osservata od eseguita”33), ha il potere di determinare la validità della norma stessa, costituendone inoltre un prova di giustizia34. Di conseguenza, nonostante le formali guarentigie poste attorno alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, sia l’adozione che la concreta implementazione di queste dipende dalla cooperazione della comunità internazionale35.

Bisogna tuttavia chiedersi se, oltre alla «civil (or uncivil) disobedience»36 da parte degli Stati, sia possibile configurare un controllo di natura giurisdizionale sulle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Da una lettura dei lavori preparatori della Carta emerge come la questione non sia passata inosservata durante la Conferenza di San Francisco, ma che anzi gli Stati abbiano voluto espressamente evitare che la Corte di Giustizia potesse avere nei confronti delle decisioni del Consiglio di Sicurezza un potere più pervasivo di quello possibile nei confronti degli altri organi delle Nazioni Unite. Se non è ammesso un potere di supervisione generale di natura giurisdizionale sugli atti del Consiglio di Sicurezza37, è altrettanto vero che un controllo può esserci qualora la validità della risoluzione venga espressamente invocata dinnanzi a una corte

33 N. BOBBIO, Sul principio di legittimità, in Studi per una teoria generale del diritto (ed. a cura di T. GRECO), Giappichelli, Torino, 2012, p. 74.

34 Ibidem.

35 J. CRAWFORD, Chance, Order, Change: The Course of International Law, Pocketbooks of the Hague Academy of International Law, 2014, p. 428. 36 L’espressione è di J. CRAWFORD, Ibidem.

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internazionale38. Tuttavia, il possibile controllo in via astratta non sempre corrisponde a un effettivo esercizio di questo; in proposito è stato fatto presente che il Consiglio di Sicurezza, nella determinazione di una situazione come minaccia alla pace, che costituisce la condizione più ampia e nebulosa39 fra le tre che in virtù dell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite legittimerebbero il ricorso ai poteri ex Capitolo VII, gode di una piena discrezionalità40.

L’unico caso in cui si ha avuto un controllo giurisdizionale dell’attività del Consiglio di Sicurezza è stata la pronuncia sul caso Tadić della Camera di Appello del Tribunale Penale per la Ex Jugoslavia41, con riferimento alla validità della stessa istituzione del Tribunale medesimo (e non, quindi, alla decisione di classificare una situazione come minaccia alla pace). La Camera, dopo aver specificato che né il testo né lo spirito della Carta delle Nazioni Unite permettono di considerare il Consiglio di Sicurezza come legibus solutus42, ha stabilito che la discrezionalità nella scelta delle misure appropriate per far fronte a una minaccia alla pace è «not unfettered»43, ritenendo allo stesso tempo che la categoria delle misure non implicanti l’uso della forza sia ampia abbastanza da

38 Ivi, § 88. Su punto v. J. CRAWFORD, Ult. op. cit., p.429; S. TALMON, Op. cit., p. 178.

39 J. CRAWFORD, Ult. Op. cit., p. 432.

40 Cfr. ICJ, Questions of Interpretation and Application of the 1971 Montreal Convention arising from the Aerial Incident at Lockerbie (Libyan Arab Jamahiriya v. United Kingdom), Provisional Measures, Order of 14 April 1992, I.C.J. Reports 1992, p. 176, Dissenting opinion del giudice Weeramantry. La presenza di un ampio margine discrezionale è testimoniato anche dai lavori preparatori della Conferenza di San Francisco.

41 ICTY, Appeal Chamber, Prosecutor v. Tadić, Appeal on Jurisdiction, No. IT-94-1-AR72 (2 ottobre 1995).

42 Ivi, 28. 43 Ivi, § 32.

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poter contenere anche la misura in esame44. Con riferimento invece all’adeguatezza della misura, la Camera di Appello ha affermato:

Article 39 leaves the choice of means and their evaluation to the Security Council, which enjoys wide discretionary powers in this regard, and it could not have been otherwise, as such a choice involves political

evaluation of highly complex and dynamic situations.45

E ha inoltre specificato la non appropriatezza di una valutazione sulla validità e legalità delle misure adottate ex post facto, sulla base del successo o meno di queste nel raggiungimento dello scopo perseguito46.

2. Una prima risposta alla minaccia terroristica: le targeted

sanctions

Entrando nel merito degli strumenti concretamente adottati dal Consiglio di Sicurezza per fronteggiare le principali sfide globali, dobbiamo prendere le mosse dalle prime risoluzioni con finalità antiterroristica degli anni ’90, dopo il blocco che durante la guerra fredda aveva di fatto paralizzato l’attività del Consiglio di Sicurezza47. Un primo cenno, seppur solamente introduttivo, deve

44 Ivi, §§ 33-36.

45 Ivi, §39.

46 Ibidem; si veda sul punto anche J. CRAWFORD, Ult. op. cit., p. 434, per il quale sarebbe difficile poter ipotizzare una risoluzione che non passi il test elaborato dalla Camera di Appello.

47 Si vedano J. CRAWFORD, Chance, Order, Change, p. 415; A. DE GUTTRY, F.

PAGANI, Le Nazioni Unite, Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettiva, Il

Mulino, Bologna, 2005, p. 107; A. POLSI, Storia dell’ONU, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 144-145, dove l’A. compie un’analisi quantitativa delle risoluzioni

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essere fatto alle c.d. targeted sanctions, misure sanzionatorie che si propongono di colpire determinati soggetti – individuali o collettivi – sospettati di affiliazione terroristica, ma le cui risoluzioni istitutive si distinguono nettamente dalle risoluzioni c.d. “legislative”, non possedendo le caratteristiche di generalità e astrattezza richieste alle seconde48. A seguito dell’abbattimento dei voli Pan Am 103 e UTA 772 attribuiti all’azione di terroristi libici, nel 1992 gli Stati membri del Consiglio di Sicurezza hanno adottato questa nuova tipologia di misure con l’obiettivo di evitare le sofferenze che sanzioni su scala più ampia avrebbero comportato alla popolazione civile49.

Questa nuova tipologia di sanzioni è stata utilizzata in modo più incisivo dopo gli attacchi terroristici del 1998 alle ambasciate statunitensi a Nairobi e Dar El-Salam – a seguito dei quali il Consiglio di Sicurezza ha definito il terrorismo internazionale come una minaccia da dover essere eliminata per poter garantire la pace e la sicurezza internazionale50 – e degli attentati dell’11 settembre 2001. Queste sanzioni, che normalmente impongono il congelamento dei fondi e il divieto di transito all’interno dei territori nazionali (c.d. travel ban) per i soggetti iscritti in apposite liste, è progressivamente diventato lo strumento più importante per

approvate ogni quinquennio dal Consiglio di Sicurezza, dove emerge che a fronte delle 103 degli anni 1986-1990, fra il 1991 e il 1995 sono state approvate 352 risoluzioni); P. C. SZASZ, The Security Council Starts Legislating, 96 American Journal of International Law (2002) p. 904.

48 Cfr. S. TALMON, Op. cit., p. 176; sulle caratteristiche che devono essere possedute da una risoluzione per poter essere considerate “legislativa”, si veda il paragrafo successivo.

49 Sul punto si vedano J. CRAWFORD, Brownlie’s Principles of Public International Law, Oxford University Press, 2012 (8° ed.), p. 764; B. CONFORTI, C. FOCARELLI,

Op. cit., p. 268; A. DE GUTTRY, F. PAGANI, Op. cit., p. 55.

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tagliare i finanziamenti alle attività terroristiche51. In particolare, è stato creato dal Consiglio di Sicurezza anche un organo ad hoc – il Sanctions Committee – con il compito di compilare e aggiornare una lista di soggetti sospettati di essere affiliati ad Al Qaeda.

Se l’efficacia di questo sistema ha portato il Consiglio di Sicurezza a prevedere nuovi regimi di sanzioni per far fronte a nuove sfide52, il sistema non è rimasto immune da critiche, anche feroci, sulla compatibilità fra questo e il rispetto dei diritti umani degli individui inseriti nelle liste. A fronte degli indubbi vantaggi che questo meccanismo presenta, soprattutto se comparato con gli effetti indiscriminati delle sanzioni adottate in precedenza53, si pongono forti contrasti con le principali Convenzioni in materia di diritti umani.

I regimi di targeted sanctions, la cui effettività deriva dal combinato disposto degli artt. 25 e 103 della Carta delle Nazioni Unite, come evidenziato nel paragrafo precedente, impongono un’opera di attuazione a livello nazionale, facendo leva sulla quale la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia europea, non titolate a sindacare direttamente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, hanno potuto esercitare il proprio controllo giurisdizionale su queste disposizioni, arginando quindi l’ostacolo

51 Cfr. T. J. BIERSTEKER, Building and mantaining an international regime to counter the financing of terrorism, in S. TSANG (ed.), Combating Transnational Terrorism, Routledge, New York-Londra, 2009, pp. 54-71.

52 Fra le quali il bracconaggio in Africa. Sul punto, che verrà analizzato compiutamente infra, Cap. II, § 4.3, si veda A. PETERS, Novel practice of the Security Council: Wildlife poaching and trafficking as a threat to the peace, EJIL Talk, 12 febbraio 2014, (<http://www.ejiltalk.org/novel-practice-of-the-security-council-wildlife-poaching-and-trafficking-as-a-threat-to-the-peace>).

53 T. J. BIERSTEKER, Targeted Sanctions and individual human rights, 65 International Journal (2010), p. 116.

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altrimenti costituito dall’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite54. In particolare, le criticità principali riguardano l’assenza di un sistema di tutela giurisdizionale adeguato, con conseguente violazione del diritto a un equo processo, e la mancanza di trasparenza dei procedimenti di inserimento e cancellazione dei nominativi dalle liste, spesso dovuti a semplici sospetti da parte degli Stati richiedenti.

Se in un primo momento il clima di allarme collettivo derivato dalle crescenti minacce terroristiche aveva appannato una riflessione consapevole della comunità internazionale sul potenziale vulnus di tutela dei diritti umani creato dall’applicazione di queste sanzioni, nel 2005, sotto la spinta di una emergente consapevolezza e preoccupazione sul tema55, la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha istituito l’ufficio dello Special Rapporteur on the promotion and protection of human rights and fundamental freedoms while countering terrorism, con la funzione di elaborare proposte concrete per salvaguardare i diritti umani nella lotta contro il terrorismo e nello specifico quadro delle targeted sanctions56.

Lo stesso Consiglio di Sicurezza ha provveduto a emendare le procedure di inserimento e cancellazione dei nominativi dalle liste

54 Fra le varie decisioni sul tema, si vedano: CJEC, Yassin Abdullah Kadi and Al Barakaat International Foundation v. Council and Commission, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P; Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Sayadi and Vinck v. Belgium, views of the Human Rights Committee of 22 October 2008 (communication n. 1472/2006); Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Nada v. Switzerland (application n. 10593/08), 12 September 2012; Al-Dulimi and Montana Management Inc. v. Switzerland (application n. 5809/08), 26 novembre 2013.

55 Per un’analisi sull’evoluzione della reazione ‘psicologica’ degli Stati alle targeted sanctions, si veda il contributo di T. J. BIERSTEKER, Ult. op. cit.

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al fine di rendere la procedura maggiormente trasparente ed equa. In particolare, con le risoluzioni n. 190457 and 198958 sono state istituite alcune garanzie di natura procedurale ed è stato creato l’ufficio dell’Ombudsperson, una figura centrale all’interno dell’intero meccanismo sanzionatorio, con il compito di interagire direttamente con gli individui ricorrenti e di elaborare dei pareri da sottoporre al Sanctions Committee. A fronte di questo, tuttavia, non è stata prevista in capo a questo ufficio la possibilità di esercitare un potere vincolante e di ottenere informazioni riservate da parte degli Stati sulle ragioni alla base delle richiesta di inserimento nelle liste59, perdendo l’occasione per poter finalmente adeguare il regime delle targeted sanctions al c.d. minimum standard in materia di equo processo sul quale hanno fatto perno un numero crescente di pronunce giurisdizionali a tutela dei diritti umani individuali60.

57 S/RES/1904 (2009).

58 S/RES/1989 (2011).

59 Per alcuni rilievi critici sulla figura dell’Ombudsperson, si veda B.

EMMERSON, Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of

human rights and fundamental freedoms while countering terrorism, Annual report to the General Assembly (A/67/396), 26 September 2012, § 25.

60 Sul fenomeno si è sviluppata una nutrita bibliografia. Si vedano, ex multis, oltre alle opere già citate, I. CAMERON, UN targeted sanctions, legal safeguards,

and the ECHR, Nordic Journal of International Law 72, no. 1 (2003), pp. 1-56; I.

CAMERON, The European Convention on Human Rights, Due Process and United

Nations Security Council Counter-Terrorism Sanctions, Council of Europe, 6 February 2006; A. CIAMPI, Security Council Targeted Santions and Human Rights,

in B. FASSBENDER (ed.), Securing Human Rights?: Achievements and Challenges of the UN Security Council, Oxford University Press, 2011; E. DE WET, Human Rights Considerations and the Enforcement of Targeted Sanctions in Europe: The Emergence of Core Standards of Judicial Protection, in B. FASSBENDER (ed.),

Securing Human Rights?: Achievements and Challenges of the UN Security Council, Oxford University Press, 2011; B. FASSBENDER, Targeted Sanctions and Due Process, 20 March 2006 (<http://www.un.org/law/counsel/Fassbender_study.pdf>); M. E. GENNUSA, I. CANOR, Il caso Kadi in tema di sicurezza, in M. CARTABIA (ed.),

Dieci casi sui diritti in Europa, Il Mulino, Bologna, 2011, pp. 173-205; V.

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3. Il Consiglio di Sicurezza come nuovo legislatore: il concetto di “legislazione internazionale”

Parallelamente all’adozione di misure estremamente specifiche quali le smart sanctions, il Consiglio di Sicurezza ha affrontato la minaccia terroristica anche con strumenti più ampi, volti a configurare una sorta di legislazione internazionale61. Meno di un mese dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, è stata adottata, con estrema celerità, una risoluzione particolarmente innovativa proposta dagli Stati Uniti, della cui esatta portata verosimilmente gli Stati membri non erano tuttavia consapevoli62. La caratteristica di questa risoluzione, che ha aperto la strada c.d. “legislativa” del Consiglio di Sicurezza, è quella di imporre «obligations […] phrased

GOWLLAND-DEBBAS (ed.), National Implementation of United Nations Sanctions. A

comparative Study, Nijhoff, Leiden, 2004; S. Guggisberg, The Nada case before the ECtHR: a new milestone in the European debate on Security Council targeted sanctions and human rights obligations, in Croatian Yearbook of European Law and Policy, 2012, 8, p. 411; M. LUGATO, Op. cit.; A. PETERS, Targeted Sanctions after

Affaire Al-Dulimi et Montana Management Inc. c. Suisse: Is There a Way Out of the

Catch-22 for UN Members?, EJIL Talk, 4 dicembre 2013

(<http://www.ejiltalk.org/targeted-sanctions-after-affaire-al-dulimi-et-montana-management-inc-c -suisse-is-there-a-way-out-of-the-catch-22-for-un-members/>); A.

TZANAKOPOULOS, Sharing Responsibility for UN Targeted Sanctions, EJIL Talk, 14

febbraio 2013 (<http:// www.ejiltalk.org/ sharing-responsibility-for-un-targeted-sanctions/>).

61 Occorre rilevare come il Consiglio di Sicurezza, a partire dagli anni ’90, abbia applicato l’art. 41 con estrema creatività, andando ben oltre gli esempi indicati nel testo dell’articolo; si veda in proposito L. M. H. MARTINEZ, The Legislative Role of the Security Council in its Fight against Terrorism: Legal, Political and Practical Limits, 57 International and Comparative Law Quarterly (2008), p. 334.

62 P. C. SZASZ, Op. cit., p. 905; di opinione contraria L. M. H. MARTINEZ, Op. cit., p. 350.

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in neutral language, apply to an indefinite number of cases, and […] not usually limited in time»63. Se prima degli attentati dell’11 settembre l’ipotesi di una simile competenza del Consiglio di Sicurezza – definita da più parti rivoluzionaria64 – era stata guardata con forte sospetto all’interno della dottrina internazionalista65, in un secondo momento diversi Autori hanno accolto questo strumento come un’adeguata contromisura contro il dilagare del terrorismo internazionale66.

Rimandando al prosieguo della trattazione per un’analisi più organica sulle caratteristiche delle risoluzioni legislative, un primo aspetto da affrontare riguarda il concetto di legislazione all’interno del diritto internazionale, storicamente attribuito alla sola competenza degli Stati67. La dottrina internazionalista ha nel tempo attribuito natura legislativa a una molteplicità di misure intraprese dal Consiglio di Sicurezza, che non presentano tuttavia i caratteri che sono stati tradizionalmente associati al concetto stesso di legislazione internazionale68. Questa ambiguità nasce proprio dalle diverse caratteristiche dell’ordinamento internazionale rispetto agli

63 S. TALMON, Op. cit., p. 176. Già in precedenza il Consiglio di Sicurezza aveva risposto a minacce non specifiche, per un elenco esaustivo delle quali si veda P. C. SZASZ, p. 902.

64 Si veda, inter alia, M. FREMUTH, J. GRIEBEL, On the Security Council as a Legislator: A Blessing or a Curse for the International Community?, 76 Nordic Journal of International Law (2007), p. 339.

65 Per un quadro delle principali posizioni, cfr. Ivi, pp. 339-340.

66 Cfr. Ibidem; fra i vari Autori a supporto di questo utilizzo, si vedano S.

TALMON, Op. cit; P. C. SZASZ, Op. cit.

67 P. C. SZASZ, Op. cit., p. 901. L’A. ricorda anche come eventuali regole vincolanti derivanti dall’ordinamento dell’organizzazione internazionale possono comunque essere oggetto di obiezioni da parte degli Stati.

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ordinamenti nazionali, e dalla conseguente difficoltà di trasporre l’idea di legislazione nazionale su un piano internazionale69.

Allo stesso tempo non si può prescindere dai requisiti che la teoria generale del diritto ha collegato al concetto di “legge”, ovvero una norma di natura generale ed astratta70. Una norma può essere definita astratta in quanto capace di coprire un numero indefinito di casi. Generale quando è indirizzata a un numero indefinito di soggetti71, tenendo presente che i soggetti interessati nell’ordinamento internazionale sono gli Stati, nonostante la norma stessa possa – come vedremo meglio a breve – regolare la condotta di singoli individui, imponendo quindi agli Stati un’ulteriore attività di attuazione a livello domestico72.

Inoltre, il livello di astrattezza di una risoluzione non risulta sminuito qualora questa, pur essendo stata approvata a seguito di uno specifico evento, come nel caso della n. 1373, si rivolga all’intera comunità internazionale regolando un intero genere di fenomeni (nel caso specifico il terrorismo internazionale)73.

Maggiori dubbi rimangono con riferimento all’aspetto cronologico della risoluzione. A fronte di un’interpretazione prevalente che vede l’indeterminatezza temporale come un

69 M. FREMUTH, J. GRIEBEL, Op. cit., p. 342.

70 S. TALMON, Op. cit., p. 176; M. FREMUTH, J. GRIEBEL, Op. cit., p. 342.

71 Per un’analisi della classificazione delle norme giuridiche, all’interno del quadro della teoria generale del diritto, v. N. BOBBIO, Per una classificazione delle norme giuridiche, in Studi per una teoria generale del diritto (ed. a cura di T. GRECO), Giappichelli, Torino, 2012, pp. 5-22, che tuttavia ritiene insufficiente e

imprecisa la dottrina che attribuisce alle norme giuridiche questi due caratteri. 72 Ibidem

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requisito necessario della legislazione internazionale74, altri Autori fanno perno sulle caratteristiche degli ordinamenti nazionali – dove sono presenti molteplici atti legislativi con validità circoscritta nel tempo, senza che rimangano sviliti i caratteri di generalità e astrattezza – per ampliare la categoria, purché la limitazione temporale dell’atto non sia stabilita sulla base dell’evoluzione di situazioni concrete.75

Se natura legislativa è stata unanimemente attribuita alle risoluzioni n. 1373 e 1540, che saranno esaminate compiutamente nel prossimo paragrafo, almeno tre sono stati i casi in cui in precedenza è stato invocato il carattere di atto legislativo per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, senza che tuttavia questa affermazione possa ritenersi condivisibile, in virtù proprio di quanto sopra evidenziato76. Il primo caso riguarda la risoluzione n. 68777, con la quale il Consiglio di Sicurezza ha reagito all’invasione del Kuwait nel 1991, richiedendo all’Iraq la distruzione di armi chimiche e biologiche e l’astensione dal possesso di queste tipologie di armamenti78, oltre al divieto di acquisto o sviluppo di armi nucleari. La risoluzione ha istituito inoltre una Commissione delle Nazioni Unite (la UN Compensation Commission) con il compito di monitorare il pagamento delle spese di riparazione imposte, e ha imposto

74 S. TALMON, Op. cit., p. 176, riportato a sua volta in J. CRAWFORD, Ult. op. cit., p. 425.

75 M. FREMUTH, J. GRIEBEL, Op. cit., p. 343.

76 Per una disamina specifica di questi tre casi, si veda Ivi, pp. 346 ss. 77 S/RES/687 (2001).

78 Si ricorda che il divieto di utilizzo era già stato vietato dal Geneva Protocol for the Prohibition of the Use in War of Asphyxiating, Poisonous or Other Gases and of Bacteriological Methods of Warfare (17 giugno 1925), ma nessuna convenzione internazionale ne vietava il mero possesso.

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all’Iraq di riconoscere i confini del Kuwait come tracciati da un accordo del 1963.

Il secondo caso concerne la risoluzione n. 74879, in risposta agli abbattimenti dei voli Pan Am 103 e UTA 77280. Anche in questo caso, imponendo alla Libia l’estradizione delle persone accusate, è stato rilevato come il Consiglio di Sicurezza abbia esondato rispetto alle norme di diritto internazionale che vincolavano la Libia. Tuttavia, ed è questa la ragione che suggerisce di negare una simile classificazione di queste risoluzioni, in entrambe le occasioni il Consiglio di Sicurezza, pur andando oltre effettivamente i limiti del diritto internazionale, si è riferito a specifiche situazioni di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, rispettivamente causate dai comportamenti di specifici Stati – Iraq e Libia – a loro volta colpiti dalle misure delle risoluzioni, con la conseguenza che è mancato il requisito dell’astrattezza81.

Il terzo caso riguarda le risoluzioni n. 82782 e 95583, aventi ad oggetto l’istituzione dei tribunali internazionali ad hoc per la Ex Jugoslavia e per il Ruanda, la cui presunta natura legislativa è stata fondata sulla non definizione a priori delle persone coinvolte e del periodo temporale di attività dei tribunali. A fronte di questo può tuttavia essere facilmente invocata la competenza limitata ratione materiaæ, personæ, loci et temporis di questi tribunali, che hanno giurisdizione sui soli crimini commessi durante i conflitti interni all’interno dei territori dei due Paesi, e che sono inoltre chiamati ad

79 S/RES/748 (1992).

80 V. supra, Cap. I, § 2.

81 Cfr. M. FREMUTH J. GRIEBEL, Op. cit., pp. 345-346. 82 S/RES/827 (1993).

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applicare la legislazione già in vigore al momento della propria istituzione.84

Infine, in prospettiva, anche un’eventuale statuizione del Consiglio di Sicurezza sullo status del Kosovo riguarderebbe una specifica situazione statale, senza che i requisiti della legislazione internazionale possano ritenersi soddisfatti85.

La caratteristica delle risoluzioni di natura legislativa di non nominare alcun destinatario specifico86 permette quindi di assimilare queste alle obbligazioni derivanti da trattati internazionali87.

4. La risposta alle minacce del terrorismo internazionale e della proliferazione di armi di distruzione di massa per mano di attori non statali

4. 1 La risoluzione n. 1373 (2001)

Come già anticipato, agli attacchi dell’11 settembre ha fatto

84 M. FREMUTH J. GRIEBEL, Op. cit., p. 347; P. C. SZAZS, Op. cit., p. 902; di diversa opinione L. M. H. MARTINEZ, Op. cit., p. 340, che riconosce tuttavia la natura

innovativa della ris. 1373, poiché con questa «for the first time the SC acted by establishing general, permanent obligations, unconnected to any given controversy», imponendo misure «that require legislative reforms in national law» (p. 342). 85 M. FREMUTH J. GRIEBEL, Op. cit., p. 347.

86 Si veda a riguardo la dichiarazione del delegato colombiano al Consiglio di Sicurezza in occasione dell’approvazione della ris. 1373: «This is the first Security Council resolution dealing with a conflict that does not name a single

country, society or group of people» (dichiarazione riportata in M. FARLEY, U.N.

Measure Requires Every Nation to Take Steps Against Terrorism, L.A. Times, 29 settembre 2001, <http://articles.latimes.com/2001/sep/29/ news/mn-51270>). 87 S. TALMON, Op. cit., p. 177.

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seguito, pur se non teleologicamente collegata88, la risoluzione n. 137389, proposta dagli Stati Uniti e approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza. La risoluzione, adottata ex Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, si compone di tre paragrafi operativi, di diversa natura. Dopo aver riaffermato che gli attentati dell’11 settembre – «like any act of international terrorism» – costituiscono una minaccia alla pace e sicurezza internazionale, ha imposto agli Stati (con la formula «decides that») alcune misure specifiche, finalizzate a prevenire e bloccare il finanziamento ai gruppi terroristici, criminalizzare e impedire la commissione di simili atti ed evitare ogni tipo di supporto statale ai gruppi terroristici90. Inoltre, il Consiglio ha auspicato (con la formula più mite, e non vincolante, «calls upon») una più stretta cooperazione internazionale91, tra cui la ratifica della Convenzione Internazionale per la Soppressione del Finanziamento al Terrorismo del 9 dicembre 1999, convenzione che al momento dell’adozione della risoluzione poteva contare su solamente quattro ratifiche (Botswana, Sri Lanka, Regno Unito e Uzbekistan) e quarantasei Stati firmatari, numero insufficiente per garantirne l’entrata in vigore92.

Un aspetto significativo di questa risoluzione riguarda il collegamento fra le disposizioni ivi contenute e gli attacchi dell’11 settembre. Se è innegabile che l’adozione delle prime sia stata ispirata da questi eventi e si sia inserita nel quadro di risposta emotiva della comunità internazionale ai gravi fatti di New York e

88 Cfr. D. H. JOYNER,Op. cit., p. 230. 89 S/RES/1373 (2001).

90 Ivi, §§ 1 e 2. 91 Ivi, § 3.

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Washington D.C., la risoluzione non è strettamente collegata a questi, imponendo degli obblighi generali alla totalità degli Stati e senza alcuna limitazione temporale esplicita o implicita, ben potendosi quindi ritenere integrati i requisiti della legislazione internazionale93. Da una lettura sistematica del testo della risoluzione emerge come questa qualifica possa essere attribuita solo ai primi due paragrafi operativi, che impongono obblighi specifici agli Stati94. Oltretutto, il fatto che le misure imposte coincidano con alcune previsioni della stessa Convenzione Internazionale per la Soppressione del Finanziamento al Terrorismo è stato letto come un modo per poter pervenire surrettiziamente all’entrata in forza di determinate disposizioni, e non tra l’altro dell’intero testo, arginando il lungo processo di ratifica del trattato95.

4. 2 La risoluzione n. 1540 (2004)

Il 28 aprile 2004 il Consiglio di Sicurezza ha utilizzato per la seconda volta questo potere per far fronte alla minaccia della proliferazione di armi di distruzione di massa nucleari, chimiche e

93 Cfr. M. FREMUTH, J. GRIEBEL, Op. cit., p. 345; P. C. SZASZ, Op. cit., p. 902. 94 La non vincolatività del terzo paragrafo è stata attribuita da P. C. SZASZ (Op. cit., p. 903) alla volontà politica degli Stati membri di non vincolarsi alla totalità delle previsioni della Convenzione Internazionale per la Soppressione del Finanziamento al Terrorismo del 9 dicembre 1999, limitandosi ad alcune specifiche norme. Occorre segnalare che gli stessi Stati Uniti, sponsor della risoluzione, non avevano ancora sottoposto la Convenzione all’approvazione del Senato.

95 Il quale, presumibilmente in seguito all’invito alla ratifica da parte del Consiglio di Sicurezza, è entrato in vigore il 10 aprile 2002. Cfr. sul punto M.

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