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I limiti alla discrezionalità del Consiglio di Sicurezza nel

A queste considerazioni si affianca il vivace dibattito sul margine di discrezionalità goduto dal Consiglio di Sicurezza nella determinazione di una minaccia alla pace. In sede di redazione della Carta ONU prevalse l’idea di garantire al Consiglio un ampio argine discrezionale227, con la conseguenza che furono enfatizzate la natura politica della Carta e la tendenza di questa a dare maggior importanza agli argini procedurali piuttosto che sostanziali228.

I sostenitori di una totale discrezionalità argomentano invocando l’ampiezza dei tre concetti di minaccia alla pace, violazione della pace e aggressione, e la natura eminentemente politica dell’organo e delle sue decisioni, dovute – fra le altre cose – alla presenza di un potere di veto in capo ai cinque membri permanenti: «[i]t is an aknowledgement that the Security Council … [is]

226 World Summit Outcome Document (n. 88), §§ 138 e 139. 227 V. supra, Cap. II, § 1.

228 Cfr. H. KELSEN, The Law of the United Nations (1950), The Lawbook Exchange, Ltd., New Jersey, 2000, p. 735; N. KRISCH,Op. cit., p. 1275.

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the sole [judge] of the existence of the state of affair which brings Chapter VII into operation»229. A questo si aggiunge la mancanza di un obbligo giuridico di provvedere per tutte quelle situazioni in grado di integrare i requisiti dell’art. 39, nonostante la formula assertiva utilizzata dal testo della Carta («shall determine»)230. È stato anche suggerito che il Consiglio di Sicurezza costituisca un “organo normativo”, con la conseguenza che la nozione di “minaccia alla pace” verrebbe ipso iure identificata come «a situation which the organ, competent to impose sanctions, declares to be an actual threat to the peace»231. La principale criticità di questa impostazione risiede nel fatto che questa definizione esalta il potere discrezionale del Consiglio, trascurando completamente il significato del concetto che si propone di definire232.

Per contro, i fautori di una discrezionalità limitata, o comunque vincolata, ritengono che la natura politica dell’organo non si traduca in una totale libertà: in primis, l’insussistenza di un obbligo giuridico di provvedere non comporta che, quando decida di provvedere, il Consiglio goda di una discrezionalità assoluta; in secondo luogo, il superamento del veto, che si pone come filtro in entrata all’azione del Consiglio, non giustifica una piena libertà nel quadro dell’art. 39; in terzo luogo, sono state elaborate molteplici teorie volte a dare un’interpretazione giuridica ai termini vaghi

229 E. DE WET, Op. cit., p. 135, che si rifà a sua volta a D. D. CARON, The Tegitimacy of the Collective Authority of the security Council, 87 American Journal of International Law 568, 565 (1993).

230 N. KRISCH,Op. cit., p. 1275.

231 La definizione è di J. COMBACAU, riportata in A. ORAKHELASHVILI, Op. cit., p. 71; cfr. inoltre S. MARCHISIO, L’ONU: Il diritto delle Nazioni Unite, Il Mulino, Bologna, 2012 (2° ed.), p. 216, il quale rimanda a ulteriori riferimenti bibliografici.

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dell’art. 39, sul presupposto che questa vaghezza non possa costituire l’indice di una totale assenza di definizione degli stessi termini233. Questo a maggior ragione se si considera che l’art. 39 è stato interpretato proprio come una misura di “pesi e contrappesi” all’interno della Carta delle Nazioni Unite, che impedisca al Consiglio di Sicurezza di diventare un governatore globale234 e di scardinare i bilanciamenti e i riparti di competenza all’interno delle Nazioni Unite, tra cui proprio la distinzione fra attività ex Capitolo VI e attività ex Capitolo VII. A questo si aggiunge che la stessa pratica del Consiglio di Sicurezza induce a ritenere che il margine di discrezionalità goduto dal Consiglio non sia indefinito235.

Sulla questione della presenza o meno di una piena discrezionalità, derivata da una delegazione da parte degli Stati al Consiglio con la ratifica della Carta delle Nazioni Unite, si è espressa la Camera di Appello del Tribunale per la Ex Jugoslavia nel già menzionato caso Tadić, riconoscendo che «neither the text nor the spirit of the Charter conceives of the Security Council as legibus solutus (unbound by law)», aggiungendo che, nonostante l’identificazione di una minaccia alla pace «is more of a political concept», la determinazione dell’esistenza di questa «is not a totally unfettered discretion, as it has to remain, at the very least, within the limits of the Purposes and Principles of the Charter»236.

Bisogna a questo punto indagare quali siano i limiti posti alla discrezionalità del Consiglio di Sicurezza nella valutazione della

233 E. DE WET, Op. cit., p. 136. 234 E. DE WET, Op. cit., p. 137. 235 N. KRISCH, Op. cit., p. 1276.

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sussistenza di uno dei tre presupposti indicati dall’art. 39, soprattutto qualora non sia in gioco un minaccia di natura bellica237. Le misure coercitive adottate ex Capitolo VII, sfuggono all’eccezione di domestic jurisdiction, ma ciò impone a maggior ragione di identificare possibili limiti che incontra il Consiglio di Sicurezza, pena il rischio di considerare qualsiasi comportamento di uno Stato, di natura sia interna che esterna, capace di legittimare queste misure238.

3. 1 I possibili limiti di natura oggettiva

A fronte di un’interpretazione prevalente che subordina la presenza di una “minaccia alla pace” a una valutazione soggettiva e discrezionale del Consiglio di Sicurezza, in Dottrina si è tentato di ricondurre questo concetto alla presenza di alcuni presupposti oggettivi e controllabili239. Un primo limite riguarda il rispetto del principio di sussidiarietà: qualora si ritenesse applicabile questo limite – presente in molte legislazioni nazionali e cardine dell’ordinamento dell’Unione Europea – anche alle Nazioni Unite, ne deriverebbe che il Consiglio di Sicurezza dovrebbe limitarsi a intervenire in situazioni dove la sua azione risultasse indispensabile o necessaria per la risoluzione del problema riscontrato, andando altrimenti oltre la propria competenza funzionale240. Se la presenza

237 Per la quale, v. B. CONFORTI, C. FOCARELLI, Op. cit., pp. 228 ss. 238 Ivi, p. 232.

239 A. ORAKHELASHVILI, Ult. op. cit., p. 62. 240 Ivi, p. 64.

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di un diritto di veto in capo ai cinque Membri permanenti costituisce una prima garanzia contro possibili abusi da parte del Consiglio di Sicurezza, l’eventuale raggiungimento di un consenso sulla determinazione di una situazione di minaccia alla pace non comporta automaticamente che i Membri del Consiglio siano arbitri esclusivi rispetto a «what the threat is, how it is identified, what means are justified to be used in addressing it, and how the use of those means will contribute to the removal of the threat»241. È stato in proposito evidenziato che la base convenzionale del sistema di sicurezza collettiva impone che venga garantito un certo livello di certezza giuridica.242

Inoltre, la connotazione politica della nozione di “minaccia alla pace” non può oscurare il fatto che l’art. 39 risiede in un trattato internazionale, dovendo quindi essere interpretato alla luce delle norme di interpretazione dei trattati previste dal diritto internazionale generale243. Tuttavia, l’unico elemento rilevante è fornito da un’interpretazione sistematica dell’art. 39, che impone di inquadrare anche la determinazione di una minaccia alla pace all’interno dei limiti posti dagli artt. 24 e 25 della Carta delle Nazioni Unite, e in particolare con le previsioni per cui «the Security Council shall act in accordance with the Purposes and Principles of the United

241 Ivi, pp. 65-66.

242 Ivi, p. 66.

243 Ivi, p. 72. I criteri interpretativi generali si applicano alla Carta delle Nazioni Unite in virtù della previsione dell’art. 5 della Convenzione di Vienne sul diritto dei trattati (1969): «La presente Convenzione si applica a qualsiasi trattato che rappresenti l’atto costitutivo di un’organizzazione internazionale e a qualsiasi trattato adottato in seno ad una organizzazione internazionale, ferme e impregiudicate restando le norme pertinenti dell’organizzazione» (trad. it. a cura di R. LUZZATTO, F. POCAR, Codice di diritto internazionale pubblico, Giappichelli, Torino, 20105).

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Nations» (art. 24) e «in accordance with the … Charter» (art. 25)244.

3. 2 Le limitazioni di natura fattuale e legale

Di conseguenza, laddove i principi interpretativi non sono in grado di tracciare l’alveo all’interno del quale il Consiglio di Sicurezza può agire, questi permettono – applicando i principi generali della buona fede e della certezza giuridica – di identificare alcuni criteri generali, e in particolare dei criteri che sono stati distinti da Orakhelashvili in criteri di natura fattuale e di natura legale245. Le limitazioni di natura fattuale impongono che:

the use of the Council’s power to determine the situation as the threat to the peace, the initial undefined notion, has to relate to a situation that can actually and transparently be seen as the threat to international peace and security.246

Una connotazione esclusivamente politica della minaccia alla pace non sarebbe infatti una sufficiente giustificazione per scalfire la sovranità nazionale, né sarebbe necessaria per il mantenimento della pace247.

Le limitazioni di natura legale si basano sulla necessità che

244 A queste considerazioni si collega quanto affermato dalla Camera di Appello del Tribunale per la Ex Jugoslavia nel caso Tadić, sul quale v. supra, Cap. II, § 3.

245 A. ORAKHELASHVILI, Ult. op. cit., p. 72. 246 Ivi, p. 74.

247 T. SHILLING, Die “Neue Weltordnung und die Souverenität der Mitglieder der Vereinten Nationem, 33 Archiv des Völkerrechts (1995) 84-82, riportato in A.

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l’azione del Consiglio di Sicurezza sia conforme ai principi e ai fini delle Nazioni Unite, che si pongono come limite insuperabile all’attività del Consiglio, con una conseguente commistione fra valutazioni discrezionali e soggettive da una parte e limitazioni oggettive dall’altra248. Lo stesso Orakhelashvili afferma che:

[i]t is presumably true that the discretion of the Council is based on the subjective judgement of its members, but the need to maintain a link to Organization’s purposes and principles means that his subjective discretion has observable and objective limitations.249

Con la conseguenza che gli stessi principi e fini dell’Organizzazione, enucleati nel Capitolo I della Carta delle Nazioni Unite (art. 1 e 2), perdono la loro natura meramente astratta e propositiva per assurgere a norme giuridiche vincolanti che si pongono come presupposto e limite dell’azione dell’Organizzazione stessa250.

All’interno di queste due categorie generali, sono stati quindi identificati alcuni sotto-criteri specifici, relativi al modo («kind») e al grado («degree») della situazione oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Sicurezza251. Il primo criterio inerisce alla natura del fatto o della circostanza classificata come minaccia alla pace, analizzando se un determinato fatto, in virtù della propria natura e del proprio contesto, possa costituire una minaccia alla pace252. Il secondo criterio mira invece a monitorare l’evoluzione e i differenti gradi di una situazione, andando a verificare oltre quale momento

248 A. ORAKHELASHVILI, Ult. op. cit., p. 74. 249 Ibidem.

250 Ibidem. 251 Ivi, p. 75. 252 Ibidem.

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di sviluppo si possa ritenere presente una minaccia alla pace253. Il merito di questa teorizzazione è quello di riuscire a identificare alcune linee guida specifiche che guidino l’azione esecutiva del Consiglio di Sicurezza ex Capitolo VII e, soprattutto, ne permettano un monitoraggio di natura “oggettiva”.

3. 3 La c.d. “teoria del sostegno informale”

Un’ulteriore teoria che è stata elaborata è quella del c.d. “sostegno informale”. Qualora non siano in gioco operazioni militari – e pertanto si rientri nella categoria della “minaccia alla pace”254 – e in assenza di un limite espresso previsto dall’art. 39, il Consiglio di Sicurezza è investito del potere di stabilire se una situazione astrattamente idonea a minacciare la pace sia concretamente in grado di farlo255. L’unico limite a questo potere del Consiglio risiederebbe pertanto nella convinzione da parte della comunità internazionale, in nome della quale il Consiglio stesso è responsabile per la sicurezza collettiva. Ed è proprio per questa ragione che, seppur non vincolanti, acquistano un valore significativo le risoluzioni dell’Assemblea Generale, organo che per la sua piena rappresentatività si presta più di ogni altro a monitorare l’evolversi della volontà degli Stati nel loro complesso. In altre parole,

253 Cfr. Ibidem: «It might be suggested, for instance, that a determining factor in identifying a ‘threat to the peace’ is the spread of a given situation to or beyond national frontiers, or to or beyond a given region; or that the aggravation of a given situation constitutes a ‘threat to the peace’»

254 B.CONFORTI,C.FOCARELLI, Op. cit., p. 232.

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la teoria del consenso informale si fonda su una presunzione di legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, «legittimata dall’insieme degli Stati in nome dei quali il Consiglio esercita la sua responsabilità»256, ma che non si fonda su un’espressione di voto formale da parte degli stessi.257

A questo si aggiungono due considerazioni. Innanzitutto, la comunità internazionale – intesa come globalità degli Stati – mantiene un potere generale di controllo sull’azione del Consiglio di Sicurezza: come evidenziato nel primo capitolo258, un’eventuale mancanza di cooperazione da parte degli Stati svuoterebbe di efficacia le prescrizioni del Consiglio. Secondariamente, la composizione e la modalità di voto dell’organo, seppur con i limiti sopra enunciati259, unite alle dinamiche politiche intercorrenti fra i cinque Stati con diritto di veto, permettono di arginare forzature troppo manifeste, volte a dichiarare come “minaccia alla pace” situazioni che difficilmente verrebbero accettate come tali da un cospicuo numero di Stati non presenti in Consiglio di Sicurezza260.

4. La prassi del Consiglio di Sicurezza nella determinazione