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Il controllo delle infestanti in Ocimum basilicum L. e Raphanus sativus L.: risultati di una prova con l'impiego di scarti di lavorazione di Salvia officinalis L. e Origanum vulgare L.

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Università di Pisa

Facoltà di Agraria

Tesi di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie

Il controllo delle infestanti in Ocimum basilicum L. e Raphanus sativus

L.: risultati di una prova condotta con l’impiego di scarti di

lavorazione di Salvia officinalis L. e Origanum vulgare L.

Relatore Prof. Mario Macchia

Correlatore Prof. Pier Luigi Cioni

Candidato Ilaria Molfetta

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…ai miei nonni …ai miei genitori

(3)

I

ndice

-Capitolo 1-Introduzione

1.1 Lotta biologica alle infestanti...pag...5 1.2 Le piante aromatiche...pag...10 1.3 Il mercato delle piante .officinali e aromatiche...pag...12

-Capitolo 2

2.1 Inquadramento sistematico della famiglia Labiatae... pag. ....14 2.2 Labiatae: descrizione botanica...pag. ...15.

2.3 Descrizione botanica di Salvia officinalis L... pag. ....15 2.4 Ecologia, distribuzione geografica e tecnica colturale... pag. ....17 2.5 Usi tradizionali e moderni... pag. ....20 2.6 Descrizione botanica di Origanum vulgare L... pag. ....21 2.7 Ecologia, distribuzione geografica e tecnica colturale... pag. ....22 2.8 Usi tradizionali e moderni………... pag. ....25 2.9 Produzione di oli essenziali e precedenti studi fitochimici pag. ....26 2.10 Scopo del lavoro... pag. ....28

-Capitolo 3-Materiali e metodi

3.1 Scelta del materiale vegetale... pag. ...30 Salvia officinalis L:... pag. ...30 Origanum vulgare L... pag. ..30 3.2 Indagine fitochimica... pag. ...30

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distillazione in corrente di vapore... pag. ...30 3.3 Indagine sulle caratteristiche germinative... pag. ....32

Prove in capsule petri... pag. ....32 Prove in contenitore... pag. ....34 Prove in vaso... pag. ....34 Analisi statistica... pag. ....36

-Capitolo 4-Risultati e discussione

4.1 Germinabilità-Energia germinativa in capsule Petri... pag. ....38 Origano... pag. ....38 Salvia... pag. ....40 Confronto origano-salvia... pag. ....43 4.2 Emergenza-Tempo medio di emergenza in vaschetta... pag. ....47 4.3 Emergenza-Biomassa prodotta in vaso... pag. ...51

-Capitolo 5-Fitochimica

5.1 Composizione dell’olio essenziale di Origanum vulgare L. pag. ....58 5.2 Composizione dell’olio essenziale di Salvia officinalis L.... pag. ....60 5.3 Composizione della frazione volatile presente nell’acqua

di distillazione di Origanum vulgare L. e identificata mediante

la tecnica SPME……….. pag. ....64 5.4 Composizione della frazione volatile presente nell’acqua

di distillazione di Salvia officinalis L. e identificata mediante

(5)

-Conclusioni………... pag. ....67 -Bibliografia ………... pag. ....69

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CAPITOLO 1

Introduzione

1.1 Lotta biologica alle infestanti

La necessità di tenere sotto controllo le erbe infestanti comincia a manifestarsi già nel Neolitico, circa 10000 anni fa, con lo sviluppo delle prime rudimentali coltivazioni; parallelamente all’evoluzione ed alla diffusione di sistemi colturali caratterizzati da produzioni sempre più specializzate ed intensive, è mutato nel corso della storia il concetto stesso di infestante: infatti, in passato, ma talora anche oggi nelle agricolture più arretrate, le avventizie dei campi, quando possibile, erano in qualche modo valorizzate, o al limite estirpate manualmente o con l’ausilio di semplici attrezzi quali zappe, falcetti , rastrelli.

Solamente a partire dal XIX secolo, l’ invenzione del motore a vapore, a scoppio ed in seguito elettrico creano le condizioni per radicali mutamenti sociali ed economici che, coinvolgendo anche il mondo agricolo, comporteranno profonde trasformazioni non solo nella tecnica colturale ma anche nei metodi di controllo delle infestanti (Casini, 2003).

Negli ultimi decenni la diffusione delle infestanti è diventato un problema di proporzioni globali: con l’aumento degli scambi commerciali internazionali dei prodotti agricoli, numerose nuove specie estranee sono state introdotte negli ecosistemi locali compromettendo i delicati equilibri naturali; comunque, anche numerose specie native possono essere considerate tali per le loro interferenze con lo sviluppo delle piante coltivate.

È difficile dare un’interpretazione univoca al termine “infestante”: Aldrich (1984) definisce infestanti quelle piante originate in un ambiente naturale che interferiscono con le coltivazioni e le attività umane; sono anche state definite piante sgradite che interferiscono con le attività e il benessere dell’uomo (WSSA, 1994); recentemente si tende a considerarle come una potenziale fonte di diversità genetica, un parente

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selvatico delle piante coltivate dunque da conservare per futuri programmi di miglioramento (Hammer et al., 1997). La maggior parte delle definizioni concordano nel definire le infestanti come ospiti indesiderati in aree coltivate e che necessitano quindi di controllo.

Sebbene nell’agricoltura tradizionale alle specie infestanti sia assegnato un importante ruolo ecologico, d’altra parte, la moderna agricoltura considera le componenti non coltivate dell’agroecosistema come esclusivamente antagoniste, con un enorme costo economico e sociale; esse competono con le piante coltivate per i nutrienti, la luce, l’acqua; aumentano i costi di produzione dovuti ai controlli meccanici e chimici; riducono la qualità dei prodotti poiché possono essere fonte di inquinamento alimentare.

Agli inizi degli anni 30 con la scoperta degli erbicidi di sintesi la lotta alle infestanti subì un profondo cambiamento; in quel periodo in Francia venivano utilizzati 3-4 tipi di erbicidi; negli USA, 10 anni dopo, tali prodotti erano diventati 14 (Giardini, 1992). Attualmente l’impiego mondiale è stimato intorno a 848 milioni di kg di cui il 30% solo negli USA (Culliney, 2005). In Italia nel 2000 su un totale di 105250 t di pesticidi, il 19,8% erano costituiti da erbicidi (Masoni, 2001). L’utilizzo abituale di queste sostanze ha fatto sì che si sviluppassero velocemente ecotipi di infestanti erbicidi-resistenti: al momento, almeno 177 specie hanno sviluppato resistenza a uno o più composti in 18 classi di erbicidi (Culliney, 2005).

Oggi per una maggior tutela dell’ambiente e della salute umana, tenendo quindi conto dei costi sociali di un’agricoltura moderna, vengono cercate soluzioni alternative per ridurre il massiccio utilizzo degli erbicidi; si mettono così in discussione molte delle premesse di base e priorità dell’agricoltura stessa e si prende coscienza del concetto di sostenibilità. Sempre con maggior frequenza si utilizzano, per il controllo delle infestanti, metodi biologici che consentono l’adozione di strategie per mantenere la presenza delle malerbe al di sotto di una soglia di danno accettabile attraverso l’integrazione di mezzi (tattiche) colturali, genetici, meccanici e biologici (Peruzzi, 2005). Ci si può avvalere di metodi preventivi che permettono di limitare l’emergenza in campo delle infestanti mediante avvicendamenti colturali, tecniche di lavorazione e disinfezione del terreno attraverso solarizzazione e vapore.

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I metodi indiretti hanno il fine di migliorare l’abilità della coltura nei confronti delle avventizie attraverso la scelta di varietà competitive, il trapianto, l’individuazione di un’adeguata epoca e densità di semina, l’utilizzo di adatte concimazioni ed eventualmente consociazioni. Il metodo diretto si basa prevalentemente sull’impiego di mezzi meccanici come sarchiatura e strigliatura e mezzi termici quali pirodiserbo, raggi infrarossi, fiamma libera e vapore d’acqua.

Una possibile alternativa per il controllo sostenibile delle infestanti è data dall’impiego come erbicidi naturali dell’effetto benefico o deleterio degli essudati chimici di radici, rizomi, foglie, fusti e residui di un individuo su altri organismi (allelopatia); i primi studi sugli apparenti effetti tossici di alcune piante nei confronti di altre risalgono a Teofrasto (372-285 a.C.) e più tardi a Plinio II (1 d.C.). Secoli dopo, nel 1832 De Candolle riconobbe che il fenomeno della“stanchezza del terreno” poteva essere ricondotto a composti tossici rilasciati da alcune piante nel terreno; fu infatti uno dei primi scienziati a suggerire la possibilità che alcune piante potessero danneggiarne altre a causa dei loro essudati radicali.

Solo nel 1937, Molisch coniò il termine allelopatia (dal greco allelon - l’un l’ altro e phatos - soffrire) per indicare le interazioni biochimiche tra tutti i tipi di piante compresi i microrganismi; tuttavia per Molisch il termine descriveva interazioni biochimiche tra le piante, microrganismi compresi, che potevano produrre effetti sia di inibizione che di stimolazione (Catizone et al., 2001). Rice (1984) afferma in più che l’allelopatia può essere definita come l’effetto diretto o indiretto di una pianta sulla crescita e la distribuzione di altre piante (includendo i microrganismi) attraverso il rilascio di composti chimici durante lo sviluppo, diversificandola quindi ulteriormente dal concetto di competizione che comporta la riduzione o rimozione di alcuni fattori gia richiesti da altre specie vegetali che si dividono l’habitat. L’allelopatia può essere considerata quindi un’interazione chimica tra pianta e pianta all’interno di un più ampio contesto di interazione chimiche tra organismi (Inderjit, 2003).

Dopo il primo congresso sull’allelopatia a Cadiz, Spagna (IAS; 1996) la definizione di allelopatia si riferisce a “tutti quei processi che coinvolgono metaboliti secondari prodotti dalle piante, alghe, batteri e funghi che influenzano la crescita e lo

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sviluppo di sistemi biologici”. È generalmente accettato che i composti allelochimici possano influenzare lo sviluppo delle piante attraverso effetti diretti sulla crescita, effetti indiretti di degradazione e trasformazione dei sottoprodotti, interazione con fattori di substrato biotici e abiotici e l’induzione al rilascio di sostanze chimiche da parte di altre piante (Inderjit, 2003). Malgrado l’ampia diversità chimica, i composti allelopatici sono frequentemente rappresentati dai fenoli e dai terpenoidi; tali composti possono essere rilasciati per volatilizzazione, essudazione radicale, decomposizione delle piante con lisciviazione dei residui; dopo il rilascio, queste sostanze sono coinvolte in vari processi che portano alla formazione di metaboliti la cui tossicità è determinata da diversi fattori quali la concentrazione, il tempo di permanenza, il tipo di ambiente, l’età della pianta e le condizioni climatiche e di sviluppo. La possibilità di usare per scopi allelopatici gli erbicidi naturali comporta l’utilizzazione di colture che siano in grado di inibire le infestanti sia durante il ciclo di crescita che durante la loro decomposizione, pratiche di coltivazione che evitino o riducano le interferenze allelopatiche delle infestanti sulle colture, e produzione di composti allelochimici specifici da usare in maniera analoga agli erbicidi di sintesi (Anaya, 1999).

Attualmente sono stati identificati numerosi composti chimici con attività allelopatica che possono inibire fortemente la germinazione di diverse specie. Già nel 1920, Magnus aveva notato che il succo delle foglie di Phacelia e quelle di

Pelargonium erano in grado di arrestare la germinazione di alcuni semi e nel 1922

Oppenheimer aveva dimostrato che anche i pomodori contenevano un forte inibitore della germinazione. Nel 1949 Evenari compilò una lunga lista di specie che avevano mostrato di produrre sostanze inibitrici della germinazione, e tra queste numerose piante foraggere e coltivate. La lista fu arricchita nel 1956 da Letourneau con piante infestanti e coltivate inibitrici dello sviluppo dei semi di grano. Nel 1959 Varga e Koves riportarono la presenza di inibitori della germinazione nei frutti di molte specie. Nielsen (1960) osservò che estratti acquosi di medicago sativa causavano ritardi nella germinazione di Zea mays, Glycine max, Pisum sativum Phleum

pratense e Medicago sativa stessa con una diminuzione di lunghezza sia della radici

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contengono sostanze solubili in acqua che inibiscono la germinazione e lo sviluppo di numerose specie. Nel 1972 Bell e Koeppe suggerirono che gli effetti inibitori delle piante coltivate sulle infestanti potessero rappresentare una inibizione selettiva e che tali composti fitotossici agissero quindi come erbicidi naturali. La possibile applicazione in questo campo era stata intravista in studi precedenti da Muller et al. (1964): infatti gli autori riportarono che in vicinanza di arbusti di piante aromatiche, come Salvia leucophylla o Artemisia californica, non erano presenti piante annuali entro un diametro di 90 cm e la loro presenza entro i 2-6 m era molto limitata. A-Naib (1968) aveva notato, come nessun tipo di infestante crescesse in aree naturali sotto alberi di Celtis capitata, Celtis occidentalis e Platanus occidentalis eccetto in casi di alberi isolati dove le foglie cadute venivano facilmente allontanate dal vento. In particolare le piante aromatiche, conosciute per la loro ricchezza in principi attivi, possono giocare un ruolo importante nelle interazioni pianta-pianta e costituire una fonte primaria di potenziali composti allelochimici; specialmente nella famiglia delle

Labiatae, molte specie rilasciano monoterpeni fitotossici che ostacolano lo sviluppo

delle specie erbacee (Arminante et al., 2006).

Anche gli oli essenziali possono giocare un ruolo importante nell’interazione tra piante e tra piante ed insetti; Molte di queste specie inoltre rilasciano monoterpeni che ostacolano lo sviluppo delle specie erbacee; tra questi i più comuni sono α- e β-pinene, camphene, limonene, α-phellandrene, p-cimene, 1,8 cineole, borneolo, pulegone e camphor (Angelini et al., 2003); Vaughan e Spencer (1993) hanno osservato che monoterpeni con atomi di ossigeno nella loro struttura, come geraniolo e σ-terpineol, inibiscono selettivamente la germinazione di Lolium multiflorum,

Amaranthus retroflexus, Abutilon theophrasti, Digitaria sanguinalis. Inoltre 1,4 e 1,8

cineolo mostrano tossicità verso Senna obtusifolia e Echinochloa crus-gallis (Romagni et al., 2000); la germinazione, lo sviluppo, il contenuto di clorofilla e l’attività respiratoria sono severamente compromesse dal trattamento con entrambi i monoterpeni (Singh et al., 2003). L’effetto dell’olio essenziale sulla germinazione dei semi e sullo sviluppo è spesso spiegato in termini di effetti individuali di alcuni tipi di costituenti. Tuttavia l’olio essenziale è la miscela di molti composti in differente proporzione e spesso non si sa, se e come possano agire sinergicamente.

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Nishida et al. (2005) hanno valutato l’attività di alcuni monoterpeni contenuti nell’ olio di Salvia leucophylla: camphor, 1,8 cineolo e β–pinene hanno inibito la germinazione di semi di Brassica campestris e la proliferazione cellulare dell’apice meristematico della radice mostrandone il possibile impiego anche come metodo di controllo alternativo delle infestanti. Nel 1999 Dudai et al. osservarono che, anche l’olio essenziale di Origanum syriacum L., specie appartenente al genere Origanum, aveva la proprietà di inibire la germinazione di quattro infestanti e poteva quindi essere usata come erbicida. Successivamente, nel 2004 De Mastro et al. riportarono osservazioni riguardo gli effetti inibitori sulla germinazione e sulla crescita di alcuni semi, causati dall’estratto delle foglie di un origano ibrido (Origanum vulgare L.ssp.virilidum X O.vulgare L.ssp.hirtum) caratterizzato da un alto contenuto di carvacrolo, componente essenziale dell’olio.

1.2 Le piante aromatiche

Le piante aromatiche sono note sin dall’antichità per le proprietà medicinali e terapeutiche attribuite loro nei secoli. Dal punto di vista botanico si possono definire spezie, le radici, i fiori, i frutti, la corteccia e i semi di piante annuali e biennali, mentre sono definite erbe aromatiche le foglie e i germogli.

Le spezie erano conosciute e usate fin dall’antichità, per le loro proprietà curative, per conferire sapore ai cibi, per rendere efficaci e gradevoli i medicamenti, per profumare cosmetici e adorare gli dei. Già in Egitto (fino dal 4500 a.C.) si faceva largo uso di spezie e di piante aromatiche riservate al faraone, ai principi e ai sacerdoti, con funzione soprattutto propiziatoria. Il maggior consumo di prodotti aromatici era riservato alla mummificazione dei corpi, pratica corrente durante l’Antico Impero, fra il 3400 2200 a.C. Il potere antisettico e battericida degli aromi utilizzati era talmente forte da preservare i corpi dall’azione dei microrganismi e di tutti gli agenti suscettibili di alterare i tessuti. Gli Ebrei appresero e fecero proprie le pratiche d’uso di aromi e profumi impiegate in Egitto, dove avevano vissuto a lungo; è noto che la regina di Saba, quando andò in visita al re Salomone, gli fece dono di un’enorme quantità di prodotti aromatici: l’utilizzo di profumi e olii era molto

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diffuso tra le donne che se ne cospargevano tutto il corpo. Anche nell’antica Grecia secondo lo storico Erodoto D’Alicarnasso, il commercio di spezie era florido, affidato a carovane che attraversavano l’Arabia provenienti dall’India verso l’Egitto e le coste libano-siriane; saranno proprio i greci, nel IV secolo, ad affiancare all’uso terapeutico delle spezie, l’uso culinario. Da questi ultimi i romani ereditarono la conoscenza e l’uso delle spezie che in quell’epoca arrivavano dall’Africa , prima con le carovane fino alla costa libica poi con le navi.

La decadenza del mondo romano e le invasione barbariche determinarono un lungo periodo di smarrimento anche per la scienza farmaceutica, ma non tutto andò perduto grazie all’opera conservatrice e, per certi aspetti innovatrice, del mondo islamico (tra il VII e VIII secolo) e alle loro conoscenze specifiche di molte droghe esotiche che entrarono a far parte delle ricette medicamentose usuali; cominciarono inoltre ad apparire i preziosi oli essenziali ricavati per distillazione. L’esperienza medica araba penetrò anche negli ambienti monastici dell’Italia meridionale e l’arte farmaceutica dei monaci progredì notevolmente arricchendosi del prezioso strumento della distillazione di cui fecero grandissimo uso. Introdussero così l’impiego terapeutico delle acque distillate e delle essenze che tanta parte ebbero nella storia dei medicamenti aprendo così la strada alle moderne tecniche farmaceutiche di estrazione dei principi attivi delle piante, tramandate attraverso la creazione degli “scriptoria” opera del paziente lavoro degli amanuensi.

Nel medio evo, il centro di smistamento italiano delle spezie provenienti dalle Indie fu Pavia, capitale del regno longobardo. Fu però con le crociate che le spezie assunsero un’importanza di primo piano nel traffico internazionale. Con la Repubblica Veneziana e i leggendari viaggi di Marco Polo il loro commercio divenne ancora più florido. Successivamente, con le nuove scoperte geografiche, l’espansione dei trasporti e del commercio, le spezie, simbolo di ricchezza, presenti soltanto sulle tavole dei ricchi, a poco a poco scomparvero nell’Europa del XVII secolo. Il sovraccarico di profumi provenienti dall’oriente provocò una sorta di stanchezza verso questi aromi a favore delle profumatissime e variegate erbe povere e contadine, soprattutto in Francia. Cosi mentre paesi come la Germania, Olanda, Polonia e Russia continuarono il tradizionale uso delle spezie, in Italia e Francia ebbe

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grande diffusione l’uso delle erbe aromatiche. Tra queste, particolare importanza ebbero alcune specie appartenenti alla famiglia delle Labiatae.

1.3 Il mercato delle piante officinali e aromatiche

Attualmente il consumo mondiale di erbe è in netto aumento a causa della crescita della popolazione mondiale che per l’80% si avvale di queste a fini salutistici e per la cura di malattie vere e proprie (Kuipers, 1997). Il 90% delle erbe officinali proviene da raccolta spontanea da parte delle popolazioni indigene (Langa, 1998) con conseguenti rischi di spopolamento di numerose specie dovuti allo sfruttamento eccessivo. L’Europa è al momento il mercato più grande del mondo occidentale (Philips, 2001) e in particolare la Germania e la Francia sono i maggiori consumatori. Uno studio condotto dalla CIA (confederazione italiana agricoltori) ha messo in luce come le piante aromatiche e officinali costituiscano per l’Italia un enorme potenziale patrimonio del settore agricolo. Il comparto e l’indotto, muovono un fatturato di 400 milioni di euro che arriva a sfiorare i 600 milioni se si considerano l’omeopatia e la cosmesi naturale.

Le attività connesse alla produzione e commercializzazione impegnano più di 30000 addetti. In Italia i dati del V censimento generale dell’agricoltura hanno mostrato come si siano creati dei veri e propri distretti con caratteristiche strutturali ben distinte. Un primo gruppo è rappresentato da Sicilia, Sardegna, Campania, Lazio e Liguria, che presentano una superficie media per azienda al di sotto dei 0,5 ha. Il secondo gruppo è invece capeggiato da Piemonte e Lombardia (con rispettivamente 3,3 e 2,4 ha per azienda) seguite da Marche, Emilia Romagna, Puglia, Veneto e Toscana (Colletta, 2004). Attualmente la maggior parte dell’origano commerciato dell’area mediterranea proviene da popolazioni selvatiche della Turchia e della Grecia e da coltivazioni in Israele (Kitiki, 1997; Oliver, 1997; Skoula e Kamenopoulos, 1997) mentre si affacciano al mercato anche paesi quali Cile e Argentina. L’origano selvatico è anche largamente utilizzato nel sud Italia, dove la conoscenza di varietà botaniche locali ne ha indotto lo sfruttamento commerciale come un essenza alimentare (Olivier, 1994).

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La salvia invece viene coltivata ed importata da paesi a economia emergente: Balcani, Est Europa, Nord Africa, ex Urss, Turchia, Iran, India e Cina. Il mercato delle erbe è sostanzialmente un mercato globalizzato in cui, alla formazione del prezzo concorrono una domanda e un’offerta proveniente da tutto il mondo; il commercio delle erbe in Europa è di fatto in mano a poche grosse compagnie private di trading, tra cui emergono alcune aziende tedesche che sono in grado di influenzare notevolmente il mercato e, per alcune erbe, imporre condizioni di monopolio (Primavera, 2005), motivo per cui l’ingresso al mercato da operatori piccoli risulta molto difficile. Nel biennio 2002-2003 i prezzi all’ingrosso per la materia prima essiccata si sono collocati, per la gran parte delle diverse erbe, in una cifra tra i 2 e i 4 euro/kg. Il prezzo cresce per il prodotto tagliato e selezionato ovvero semilavorato in frazioni elette (Primavera, 2005). In Italia queste colture erbacee possono essere raggruppate in due tipologie di filiera industriale: per estrazione delle sostanze attive da impiegare nell’industria farmaceutica, profumiera e liquoristica e per impiego alimentare sottoforma di integratori alimentari e fitoterapici.

Questi impieghi necessitano di materiale di buona qualità organolettica, alimentare, con buon contenuto di sostanza attiva e preferibilmente proveniente da coltivazioni anziché da raccolta spontanea per garantire l’uniformità del prodotto. Le importazioni da paesi con agricoltura non professionale invece possono presentare problemi di qualità e sicurezza dovuti alla possibile contaminazione con pesticidi persistenti, alle condizioni di raccolta, essiccazione e ai metodi di disinfestazione delle derrate immagazzinate oltre che alla confusione che si crea nel riconoscimento delle specie raccolte, spesso spontanee.

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CAPITOLO 2

2.1 Inquadramento sistematico della famiglia Labiatae

PHYLUM spermatophyta DIVISIONE angiospermae CLASSE dicotiledones SOTTOCLASSE simpetalae GRUPPO tetracyclicae ORDINE tubilflorae FAMIGLIA Labiate GENERE Origanum SPECIE vulgare L. GENERE Salvia SPECIE officinalis L.

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2.2 Labiatae: descrizione botanica

La famiglia delle Labiatae (=lamiaceae) comprende un elevato numero di generi,187, con circa 3000 specie; l’ area di distribuzione si estende a tutto il mondo, ma è più estesa nelle regioni temperate e in quella mediterranea, dove costituisce un elemento dominante della flora (Cappelletti, 1984 ). Vi appartengono piante per lo più xerofite erbacee o cespugliose che per la ricchezza di sostanza aromatiche sono conosciute e usate fin dall’antichità. Presentano fiori ermafroditi, con 5 petali completamente fusi in una caratteristica corolla bilabiata: 2 formano il labbro superiore, 3 il labbro inferiore (Pignatti, 1997). Anche il calice è generalmente strutturato a formare le due caratteristiche labbra, talora presenta simmetria raggiata. Il frutto è un tetrachenio. I fusti sono generalmente a sezione quadrangolari, le foglie opposte senza stipole con morfologia diversificata via via nelle varie specie. Nella flora italiana sono presenti 37 generi e 178 specie (AA.VV., 2001).

Molte piante di questa famiglia oltre all’impiego nell’industria alimentare (aromatizzanti per cibi e bevande), nell’industria farmaceutica, in cosmesi, profumeria e in liquoreria sono anche coltivate come ornamentali per il loro profumo il loro piacevole aspetto.

Due generi in particolare sono stati presi in considerazione per questo studio: Salvia e Origanum.

2.3 Descrizione botanica di Salvia officinalis L.

Salvia officinalis L. (Figura 1), appartenente alla famiglia delle Labiatae, è una

camefita suffruticosa di 20-40 cm di altezza, con portamento cespuglioso, grigio tomentosa con odore aromatico. Presenta un fusto legnoso alla base, ramificato con peli patenti. Foglie con picciolo di 10-15 mm e lamina lanceolata. I fiori sono raggruppati in verticillastri di 5-10 fiori, gli inferiori avvolti da una coppia di foglie bratteali (Pignatti, 1997); il calice bilabiato è lungo 5-15 mm, la corolla è violacea, raramente rosa o sbiancata ha un labbro superiore quasi dritto, l’inferiore è diviso in tre lobi, di cui il mediano è il più sviluppato. Il frutto è un tetrachenio (Margini, 2006).

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Figura 1: Salvia officinalis L.

Studi recenti hanno evidenziato 4 sottospecie (Figura 2) di Salvia officinalis L.: -Salvia officinalis L. ssp.officinalis con habitat nell’Europa australe e distribuzione nella regione mediterranea centrale e nord, fino a 1000 m sul livello del mare.

-Salvia officinalis L. ssp.lavandulifolia con habitat sul monte Moncayo e distribuzione nella parte a est della penisola iberica da 500 a 1200 m sopra il livello del mare.

-Salvia officinalis L. ssp.gallica con distribuzione nella parte nord-est della regione mediterranea, dal livello del mare fino a 1000 m.

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-Salvia officinalis L. ssp.oxyodon con distribuzione nella Spagna del sud da 800 a 2100 m sul livello del mare (Reales et al., 2004).

Figura 2: Mappa della distribuzione di S: officinalis con riferimento particolare: ssp.

officinalis ( ); ssp. gallica ( ); ssp. lavandulifolia ( ); ssp. oxyodon ( ).

2.4 Ecologia, distribuzione geografica e tecnica colturale

Il genere salvia comprende tra 30 e 40 specie distribuite nel Mediterraneo e nella regione Iranico-Turca, che va dal Marocco e Spagna all’Afganistan (Reales et al., 2004). Salvia officinalis L.in Italia cresce spontanea su rupi aride e pietraie calcaree da 0 a 300 m sul livello del mare, nel Carso triestino, in meridione, in Sardegna. È presente anche in Abruzzo (Fucino) ed è sub-spontanea nell’Italia settentrionale e centrale (Pignatti,1997).

Attualmente la specie viene soprattutto coltivata in Jugoslavia, Albania, Turchia, Italia, Grecia, Spagna e Stati Uniti (Catizone et al., 1986).

Predilige terreni leggeri e ben drenati, in zone aride e soleggiate. La durata della coltura è generalmente di 4-5 anni, sebbene possano sopravvivere impianti anche fino a 15 anni: le piante, invecchiando, incrementano però le loro porzioni legnose a

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svantaggio di quelle erbacee, con conseguente drastica riduzione delle rese (Catizone, et al.,1986).

L’impianto può essere fatto per semina diretta oppure ricorrendo a talee radicate o a piante ottenute dalla divisione del cespo. Le talee vengono poste in inverno in letti caldi e poi trapiantate in aprile-maggio. Nei climi meno freddi il trapianto può essere fatto anche in autunno. La propagazione per talea, è per il momento, da preferire a quella per seme, anche se più dispendiosa, in quanto con le talee si ottengono impianti geneticamente più omogenei che possono dare, già dal primo anno produzioni apprezzabili.

Nel caso di semina diretta (in aprile) si impiegano circa, 10-15 kg/ha di seme, da seminare a circa 1 cm di profondità. L’emergenza avverrà in 3-4 settimane (orticoltura). In alternativa, adottando la tecnica del trapianto, possono essere preparati dei semenzai alla fine dell’inverno, utilizzando 6-7 g/m2 di seme. La

semina in semenzaio è da preferire alla semina diretta anche se possono facilmente insorgere attacchi di fusariosi. Le piante ottenute in semenzaio (circa 500 per m2) alte 10-12 cm e con 4-5 paia di foglie verranno poi trapiantate per maggio-giugno, dopo 8-10 settimane dalla semina (Catizone et al., 1986).

Le distanze ottimali d’impianto variano da 60 X 40 cm a 50 X 25 con una densità che oscilla intorno alle 8 piante/m2. Attualmente si sta valutando anche la possibilità di impiantare salvieti utilizzando una fittezza doppia in modo da costituire la cosiddetta coltura di “prato salvia”. La tecnica di “prato salvia” deve però prevedere un’accurato diserbo per via chimica, soprattutto al primo anno di trapianto, poiché l’elevata densità della coltura (30 X 20 cm) rende difficile gli interventi di controllo meccanico delle malerbe. Negli anni successivi, la fittezza delle piante, consentirà alla coltura di competere con le infestanti.

La coltura di salvia indirizzata alla produzione di biomassa si avvantaggia notevolmente della concimazione azotata: la dose ottimale si aggira intorno ai 150 kg/ha. È buona norma però apportare azoto (70-80 kg/ha) sia all’impianto della coltura, sia in primavera negli anni successivi a quelli d’impianto. Gli apporti azotati in copertura dovrebbero essere frazionati: metà prima della ripresa vegetativa ed il

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resto dopo il primo sfalcio. Per quanto riguarda il fosforo ed il potassio è sufficiente prevederne l’apporto, all’epoca di preparazione del terreno, in dosi variabili dai 50 agli 80 kg/ha di P2O5 e K2O, poiché dosi più elevate, specialmente di fosforo,

sembrano deprimere la biosintesi degli oli essenziali ed aumentare l’accumulo dei tannini ( Catizone, et al., 1986).

Se la coltura è destinata alla produzione del seme è buona norma utilizzare formule di concimazione non sbilanciate verso l’azoto.

Sebbene la salvia sia xerofita, la disponibilità di acqua ne aumenta la produzione e negli ambienti caratterizzati da siccità estiva, permette di effettuare un secondo taglio autunnale; tuttavia un’irrigazione eccessiva può danneggiare la qualità dell’essenza (orticoltura). Le foglie si raccolgono in prefioritura da aprile a luglio, le sommità fiorite da maggio ad agosto, tagliando i fusti 10-15 cm al di sotto dei fiori (orticoltura) per facilitare il ricaccio delle porzioni semilegnose. Inoltre poiché la pianta dopo lo sfalcio perde rapidamente le proprietà aromatiche è bene lavorare il prodotto raccolto il più presto possibile. Durante il primo anno della coltura si effettua un solo taglio in agosto-settembre; dall’anno seguente la coltura raggiunge la piena produzione ed è possibile eseguire due sfalci, il primo entro la prima metà di giugno il secondo in settembre. Il terzo taglio è realizzabile solo dove esiste la possibilità di irrigare. Il primo taglio dell’annata è più produttivo dei successivi e può far registrare produzioni di biomassa pari a 10-12 t/ha, mentre il successivo (settembre) è dell’ordine di 8-9 t/ha. La resa in secco è di circa il 25%, mentre quella delle sole foglie sul secco si aggira sul 60%. La resa in olio essenziale è dello 0,2-0,3% sul fresco mentre nelle foglie essiccate varia dall’1,2 al 2,5%. Il contenuto in olio dei semi oscilla intorno al 30%. Impianti di salvia da seme possono produrre 0,7-1 t/ha di semente (Catizone et al., 1986).

Nella coltivazione di salvia il prodotto che maggiormente interessa sono le foglie che vanno separate dai fusti (sbrollatura) quando la pianta è fresca (a mano), oppure quando è secca (a macchina). In entrambi i casi è impossibile ottenere foglie intere.

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2.5 Usi tradizionali e moderni

Le piante del genere Salvia presentano un quadro storico molto ampio riguardo all’uso nella medicina tradizionale presso gli antichi greci, romani, indiani d’America e cinesi (Tildesley et al.,2004). In particolare Salvia officinalis L. è stata un’importante pianta medicinale fin da tempi remoti; il suo nome deriva dal latino

salus, salute, con riferimento alle riconosciute proprietà curative e medicamentose di

questa labiata Ne descrive l’utilizzo già Plinio il vecchio, ai tempi dei romani, come diuretico, anestetico locale, emostatico e astringente; veniva raccolta con un rituale particolare, senza l’intervento di oggetti di ferro, in tunica bianca e con piedi scalzi. Nell’Europa medioevale era comunemente usata per accrescere la memoria oltre che come antisettico, digestivo e calmante; le levatrici la usavano per favorire le contrazioni uterine durante i parti laboriosi.

Attualmente, Salvia officinalis L. ed anche Salvia fruticosa L. hanno una grande importanza commerciale dovuta proprio al loro uso come piante medicamentose. Così Salvia fruticosa rappresenta il 50-90% della Salvia essiccata importata in America. Benché la conoscenza e l’uso di questi due taxa si può far risalire all’antica Grecia, c’è notevole confusione sulla loro differenziazione basata sulla morfologia. Infatti si sono riscontrate numerose frodi da adulterazione come risultato della mancanza di concordia fra i tassonomisti riguardo i caratteri corretti e i loro valori per identificare accuratamente le piante (Reales et al., 2004).

La salvia attualmente oltre ad essere usata come condimento per le sue proprietà aromatiche e stomachiche trova utile impiego anche come medicamento stimolante nelle dispepsie e nelle atonie gastro-intestinali; essa influenzerebbe favorevolmente anche la funzionalità epatica.

Studi recenti inoltre hanno messo in evidenza un’azione antidrotica dei preparati di salvia che si manifesterebbe con un meccanismo antagonizzante l’effetto della acetilcolina e ciò sarebbe dovuto all’olio essenziale contenuto in essa (Riva, 2001). Questo spiega anche l’uso popolare che si fa della salvia come antisudorifero nelle sudorazioni profuse notturne degli influenzati. La Salvia presenta proprietà

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antibatteriche, micostatiche, disinfettanti ed astringenti; viene utilizzata anche nel caso di infiammazioni del cavo orale (AA.VV., 2000). Ricerche recenti hanno dimostrato che la salvia, grazie alle proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, potrebbe conferire nel lungo periodo protezione da patologie di declino cognitivo come l’Alzhaimer (Tildesley et al., 2004).

2.6 Descrizione botanica di Origanum vulgare L.

È una pianta perenne erbacea con un rizoma lignificato strisciante orizzontalmente, dal quale si sviluppano i fusti, alti fino a 60-70 cm, alcuni dei quali portano solo foglie mentre altri sostengono l’infiorescenza; essi sono arrossati in alto, con peli patenti, a sezione quadrangolare. Le foglie presentano piccioli di 3-6 mm e lamina lanceolata, spesso asimmetrica alla base e dentellata. I fiori, raggruppati in un’infiorescenza corimbosa densa, possono essere di colore variabile: dal rosa al violetto fino ad arrivare al bianco. Quasi privi di peduncolo con calice attinomorfo a 5 denti più o meno uguali; corolla a tubo dritto più breve dei denti calicini e brattee di 4-5 mm generalmente purpuree (Figura 3). Il frutto è un tetrachenio ovoidale e bruno.

Sei sottospecie sono state riconosciute in Origanum vulgare L. in base a differenze quali la presenza di peli, il numero di ghiandole sessili sulle foglie, brattee e calici, dimensione e colore di brattee e fiori (Pignatti, 1997).

- O.vulgare L. subsp. vulgare (Europa, Iran, India, Cina)

- O.vulgare L. subsp. glandulosum (Desfontaines) Ietswaart (Algeria, Tunisia)

- O.vulgare L. subsp. gracile (Koch) Ietswaart (Afganistan, Iran, Turchia, vecchia USSR)

- O.vulgare L. subsp. hirtum (Link) Ietswaart (Albania, Croazia, Grecia, Turchia) - O.vulgare L. subsp. viridulum (Martrin-Donos) Nyman ( Afganistan, Cina, Croazia, Francia, Grecia, India, Iran, Italia, Pakistan)

- O.vulgare L. subsp. virens (Hoffmannsegg & Link) Ietswaart ( Azzorre, Isole Baleari, Isole Canarie, Madeira, Marocco, Portogallo, Spagna) (S.Kokkini, 1997).

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Figura 3: Origanum vulgare L.

2.7 Ecologia, distribuzione geografica e tecnica colturale

Si ritiene che il genere origanum abbia avuto origine nel periodo del Pliocene. L’elevato numero di specie oggi esistenti è stato determinato soprattutto dall’alto tasso di ibridazione all’interno del genere stesso, nonché tra le sue specie ed altre imparentate con le Saturejeae. A favorire i contatti tra le diverse specie e i generi l furono presumibilmente i cambiamenti climatici avvenuti nel tardo pliocene e nel Pleistocene e, in un passato più recente, le trasformazioni dell’ambiente provocate dall’uomo, che confinarono la maggior parte delle specie di origanum in ambienti ristretti soprattutto in zone montagnose ed aride (Leto, 1994). Il genere Origano è caratterizzato da un’ampia variabilità sia morfologica che chimica. Ietswaart (1980),

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nella sua revisione del genere origanum, descrive 49 taxa appartenenti a 10 differenti sezioni. Molti di loro sono distribuiti attorno al Mediterraneo (Figura 4); in particolare, 3 taxa sono localizzati in Marocco e nella Spagna del sud, 2 si trovano in Algeria e Tunisia, 3 sono endemici in Pirenaica, 9 sono situati in Grecia, sud Balcani, e Asia minore, 21 sono stati trovati in Turchia, Cipro, Siria e Libano e 8 sono circoscritti a Israele, Giordania e penisola del Sinai (Kokkini, 1997).

In particolare la sezione origanum comprende la specie Origanum vulgare L. ampiamente distribuita in Asia e Nord Africa; questa specie è stata anche individuata in nord America (Ietswaart, 1980).

Figura 4: Numero dei taxa di Origanum distribuiti nei differenti paesi del mediterraneo Cresce spontanea in tutto il territorio italiano e in Corsica, in boscaglia rade, cespuglietti , rupi soleggiate da 0 a 1400 metri sul livello del mare (Pignatti, 1997). L’origano cresce spontaneo nell’intera area mediterranea. Esso può essere coltivato su terreni leggeri e permeabili in esposizione soleggiata. Teme le gelate primaverili e rifugge da terreni dove ristagna l’acqua. È una specie longidiurna la cui crescita e differenziazione fiorale è influenzata dal fotoperiodo; la pianta necessita di 16-12 ore di luce al giorno non solo per l’inizio della fioritura ma anche per il successivo sviluppo del fiore (Leto, 1994). In condizioni climatiche favorevoli, l’origano è una pianta perenne; la durata della coltura è di circa 3-4 anni, ma molti fattori possono influenzare la longevità come gli inverni freddi, il numero degli sfalci e le malattie (Mazzi, 1997).

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La moltiplicazione può essere fatto per divisione dei cespi, per talea (basale o apicale, ricavate da rami e fusti non fioriferi) o eventualmente per semina: tutte queste operazioni vanno effettuate in primavera inoltrata, quando la temperatura è stabile e mite. Se si sceglie di seminare è bene sapere che i semi non vanno ricoperti ma solo pressati sul terreno, e che la germinazione può richiedere molto tempo; per questo motivo ed anche per la dimensione piccola degli acheni (1000 semi pesano solo 0,20-0,25 g) non si effettua generalmente semina diretta ma si trapiantano le piantine. Queste ultime, seminate in ottobre in semenzaio ad una temperatura di 13-15°C, vengono trapiantate in marzo-aprile. Si potrebbe eseguire questa operazione anche in autunno, tuttavia poiché il freddo continua generalmente fino a marzo, il gelo potrebbe danneggiare facilmente le giovani piante. Generalmente un grammo di seme è sufficiente per investire un metro quadrato di superficie (AA.VV., 2001). Sebbene la moltiplicazione per divisione dei cespi sia più svantaggiosa economicamente permette di ottenere individui identici, mentre la semina può dar luogo a popolazioni eterogenee caratteristica poco apprezzata nel caso di una successiva trasformazione erboristica. Distanze di 50-60 cm tra le file sono adeguate per permettere sarchiature meccaniche. La densità migliore è di circa 8-10 piante/m2 (60 X 20 cm o 50 X 20 cm); si è inoltre visto che aumentando la densità delle piante diminuisce il peso della pianta stessa così anche il numero delle branche, mentre non ci sono state differenze significative riguardo l’altezza dei fusti. Il vantaggio di alte densità è la formazione di un tappeto continuo di piante di origano che non permette la colonizzazione da parte di erbe infestanti ed antagoniste (Mazzi, 1997). L’uso di erbicidi su piante medicinali e aromatiche è sconsigliato poiché associato a numerosi inconvenienti.

Date le condizioni climatiche italiane, il periodo di crescita dell’origano va da marzo alla fina di novembre, arrestandosi tra novembre e febbraio. La fioritura avviene tra giugno e luglio e la raccolta viene effettuata tra giugno e agosto quando la maggior parte dei fiori è aperta (periodo balsamico) recidendo gli steli a circa 15-20 cm sotto le parti in fiore. La raccolta delle foglie può avvenire in ogni stagione ma per la conservazione il momento migliore è prima della fioritura. Per ottenere un miglior raccolto gli sfalci dovrebbero essere due all’anno, a giugno e ottobre sebbene

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nel secondo taglio le foglie presentino una quantità di olio inferiore al primo. Generalmente le piogge invernali sono sufficienti per la coltivazione, ma per aumentare il raccolto ed ottenere un secondo taglio in autunno è necessario irrigare durante il periodo secco, particolarmente tra giugno e settembre. I raccolti più alti sono quelli ottenuti nel secondo anno; si stima che dopo 4 anni di coltivazione la resa totale sia di 20 t/ha (Mazzi, 1997).

2.8 Usi tradizionali e moderni

Noto fin dall’antichità, l’origano deve il suo nome all’unione di due parole greche, “oros” che significa montagna, e da “ganos”, splendore. Le sue proprietà terapeutiche erano conosciute e apprezzate già dagli Egizi; i Greci incoronavano gli sposi con ghirlande di origano, in quanto esso era ritenuto simbolo di felicità; in epoca romana è stato largamente impiegato anche in cucina. Il suo uso è continuato anche nei secoli successivi ma per lo più limitato alle regioni del sud. In medicina veniva usato grazie al suo profumo penetrante come disinfettante di ambienti durante le epidemie e bruciato in ampi braceri insieme a timo e menta.

Nella medicina cinese l’origano viene utilizzato per il raffreddore, la febbre, il vomito, l’itterizia e la malnutrizione dei bambini. Nella medicina popolare è usato per tosse, dispepsia, artrite reumatoide, mestruazioni dolorose, scrofolosi, disordine del tratto urinario (AA.VV., 2000).

L’origano viene inoltre impiegato nei disordini respiratori come sedativo della tosse, infiammazioni bronchiali e come espettorante. Le sommità fiorite dell’origano in erboristeria si usano per le loro proprietà stimolanti del sistema nervoso, spasmolitico, eupeptico e carminativo.

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2.9 Produzione di oli essenziali e precedenti studi fitochimici

La produzione mondiale di olio essenziale nel 1994 era è stimata intorno alle 50000 tonnellate annue (Verlet, 1994). Negli ultimi 20 anni è stato riscontrato un costante aumento dell’uso di tali oli essenziali come additivi nell’industria alimentare; fino agli anni 30 largo uso se ne è fatto anche in campo profumiero ma lo sviluppo e la competizione delle essenze sintetiche, soprattutto a partire dagli anni 50, ha portato ad una forte diminuzione dei consumi di quelle naturali. I principali paesi che importano oli essenziali sono Europa, USA, Giappone, Svizzera e Canada che da soli impegnano più del 75% del mercato mondiale. I principali esportatori (Cina, Hong Kong, Brasile, Indonesia) sono responsabili di solo il 66% del mercato (Verlet, 1994).

La famiglia delle Labiatae, è particolarmente, è ricca di specie che fonti di oli essenziali con note proprietà aromatiche (De Mastro, 2006). Può essere suddivisa in due sottofamiglie: Lamioideae a cui appartengono specie che producono oli essenziali in piccole quantità, e Nepetoideae che ne sviluppano in abbondanza (Maffei, 1999). Nelle Nepetoideae, Origanum e Salvia sono tra i generi più studiati per la presenza di questi composti.

Salvia officinalis L.

Il mercato mondiale dell’olio essenziale di Salvia officinalis L. nel 2002 è stato valutato intorno 300 tonnellate corrispondenti ad un valore di circa 7,5 milioni di dollari (25 dollari/kg) (Scartezzini, 2006). La produzione in Italia si è assestata sui 100 kg annui (Meneuvrier, 2003) e il suo prezzo all’ingrosso è stato di circa 50 euro/kg. Riguardo alla composizione, l’olio essenziale risulta essere ricco in α- e β-thujone; l’olio che ne presenta un basso contenuto è preferibile nel mercato delle sostanze medicinale a causa della tossicità dei due composti, mentre il contrario è richiesto dall’industria dei profumi (Scartezzini et al., 2006). La composizione dell’olio essenziale è influenzata da numerosi fattori come la zona di origine della pianta, le condizioni ambientali, lo stadio fenologico, la parte della pianta usata per

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ottenere l’olio nonché la conservazione di quest’ultimo e l’immagazzinamento del materiale greggio. La considerevole variabilità di composizione degli oli di certe specie può quindi essere stagionale o intraspecifica, tra differenti popolazioni della stessa specie, o perfino tra individui di stessa popolazioni (Arminante et al., 2006).

Normalmente l’olio essenziale di Salvia contiene come composti principali, circa il 50% di α-thujone e β-thujone; altri composti presenti sono l’1,8-cineole, borneol, viridiflorol e numerosi sesquiterpeni (AA.VV, 2000). Fellah et al. (2006) hanno studiato la composizione dell’olio essenziale di Salvia officinalis L. prodotto dalle parti aeree di piante coltivate in due siti diversi della Tunisia: la composizione è risultata molto simile; i principali composti presenti in maggiori quantità erano 1,8-cineole, e α-thujone, mentre β-thjone era presente in minore quantità. Sagareishvili et

al.(2000) hanno esaminato la composizione di olio essenziale di Salvia officinalis

coltivata in Georgia: i composti principali risultano α-thujone (31,56%), β-thjone (17,55%), camphor (16,48%) e 1,8 cineole (17,53%). In uno studio di cinque cloni selezionati di Salvia officinalis di diversa origine (Francia, Ungheria, Romania e Repubblica Ceca) Chalchat et al. (1998), hanno visto che i rapporti tra α-thujone e β-thjone erano differenti a seconda dell’origine. Zawislak et al. (2006) hanno estratto olio essenziale dalle foglie di Salvia officinalis L. raccolte in periodi differenti ed hanno notato come il raccolto di metà settembre aveva una resa in olio più elevata (da 1,6% a 1,8%) rispetto al raccolto di maggio (tra lo 0,8% e l’1,4%). I composti presenti nell’olio essenziale risultavano in quantità diverse a seconda del periodo di raccolta: α-thujone (18,4-27,9%), β-thjone (8%-15%), 1,8 cineole (4%-14,4%) e camphor (11,7%-27%). Nel 1988 Grella et al. hanno evidenziato come la resa in olio essenziale era maggiore nella Salvia officinalis L. raccolta in luglio-agosto (2,5%) e minore in febbraio (1%). Da giugno a marzo l’olio era ricco in α-pinene, camphene, α- e β-thujone, camphor e borneol, mentre in primavera (da marzo a giugno) vi era un incremento in 1,8 cineole, bornyl acetate, β-pinene e α-humulene. L’olio di qualità superiore era ottenuto in giugno o ottobre, quando i thujoni stimati erano intorno al 14% - 20%. L’olio essenziale di Salvia officinalis ha mostrato un‘alta attività antibatterica contro Staphyloccocus aureus, Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Bacillus subtils, e attività antivirale contro herpes simplex, proprietà

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attribuite principalmente alla presenza di camphor, 1,8 cineolo, α –thujone e β-thujone (Radelescu et al., 2004). Le proprietà antimicrobiche ed antiossidanti dell’olio di Salvia sono state studiate anche in relazione alla conservazione degli alimenti: esso ha dimostrato di contrastare l’irrancidimento su olio di oliva e di soia (Battistuta, et al., 1994).

Origanum vulgare L.

In relazione alla chimica dell’olio essenziale, il genere Origanum mostra due composizioni differenti: la prima è caratterizzata da composti fenolici, carvacrolo e/o timolo tipica di Origanum vulgare subsp. hirtum e Origanum onites, la seconda presenta dominanza di sesquiterpeni come nel caso di Origanum vulgare subsp.

vulgare (Kokkini, 1996). In letteratura Origanum vulgare ssp. vulgare, mostra una

resa in olio essenziale estremamente bassa. I principali costituenti sono sabinene, β-ocimene, β-caryophillene e germacrene, mentre il timolo e carvacrolo sono assenti. Al contrario, Origanum vulgare ssp. hirtum ha una resa più elevata in olio essenziale i cui principali composti sono p-cymene e γ-terpinene (Russo et al., 1998). Oltre ai due chemiotipi a timolo e a carvacrolo, esistono tipi intermedi che contengono ambedue i composto, e chemiotipi con un alto contenuto dei due precursori, p-cymene e γ-terpinene (D’Antuono et al., 2000).

Normalmente il maggior contenuto di olio essenziale si rileva durante la fase di piena fioritura, probabilmente perché in seguito alcuni componenti possono essere convertiti in composti meno volatili (Ietswaart, 1980). Le foglie in estate contengono da quattro a cinque volte più olio essenziale che in inverno, con una maggiore presenza di carvacrolo e timolo: il clima mediterraneo, caratterizzato da alte temperature e bassa umidità nel periodo estivo, ne favorisce l’accumulo (Kokkini et

al., 1989).

2.10 SCOPO DEL LAVORO

Le pratiche agricole a basso impatto ambientale rappresentano la frontiera del nuovo sviluppo produttivo sostenibile. I danni al benessere umano di pratiche locali

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irrispettose dell’ambiente generalmente si ripercuotono col tempo sull’intero globo. Le multinazionali del settore fitofarmaci e diserbanti sono perciò rivolte alla ricerca di principi attivi meno tossici e persistenti nell’ambiente. La natura fornisce sostanze ad attività biologica il cui impiego può rappresentare una soluzione a basso impatto ambientale per la loro alta biodegradabilità e specificità. In questo contesto si inquadra la nostra ricerca che ha preso in considerazione due specie ortiveper le quali, considerata la fittezza dell’impianto, l’eliminazione meccanizzata delle malerbe risulta particolarmente problematica. Per ottenere infatti un prodotto che non abbia avuto durante lo sviluppo competizioni particolari con le avventizie e che sia merceologicamente idoneo al consumo occorre ricorrere ad un diserbo chimico, che anche se eseguito seguendo le indicazioni, è sempre qualcosa che un consumatore attento non gradisce.

Nel caso del basilico ad esempio, la presenza delle malerbe interferisce negativamente con i processi di trasformazione (pesto per esempio) rendendo in certi casi impossibili e quindi vanificando ogni impegno di risorse, sempre cospicuo.

Abbiamo impiegato scarti di lavorazione dell’origano e della salvia, due specie aromatiche largamente utilizzate e quindi di facile reperibilità che, prodotti in quantità notevole dall’industrie del settore pongono problemi di smaltimento. Le colture da noi provate sono effettuate nel nostro paese su superfici che potrebbero assorbire tutti gli scarti di lavorazione delle aromatiche sopra indicate e quindi da una parte l’efficacia erbicida eliminerebbe il problema del diserbo chimico e dall’altra sarebbero risolti i gravosi problemi dello smaltimento.

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CAPITOLO 3

MATERIALI E METODI

3.1 Scelta del materiale vegetale

Salvia officinalis L.

Il campione di Salvia officinalis proveniente dalla Turchia ci è stata fornita dall’azienda S.N.C. Enrico Webb-James di Trumpy Federico & C. che opera nel commercio di piante aromatiche e spezie con sede a Livorno. Il campione a noi pervenuto è una scarto della lavorazione che la ditta opera sul materiale vegetale prima della messa in commercio e risulta composto dalle sommità essiccate in taglio tisana (Foto 1): dall’analisi da noi effettuata nel “Laboratorio di Ricerca ed Analisi Sementi” della facoltà sul campione risulta che esso è costituito dalle foglie per il 29,8%, dai rami per il 67,3% e dai fiori per il 2,9%.

Origanum vulgare L.

Anche il campione di Origanum vulgare è di provenienza Turca. Anch’esso è uno scarto della lavorazione che la ditta opera sulla materia prima per la vendita ed è composto da sommità essiccate con foglie e fiori in taglio tisana (Foto2). Le singole parti risultano costituite dalle foglie per il 39,6%, rami per il 54,2% e di fiori per il 6,2%.

Entrambi i campioni, prelevati nel febbraio 2006 sono stati conservati nei locali del Laboratorio Ricerca Analisi Sementi fino al momento del loro utilizzo.

3.2 Indagine fitochimica

Distillazione in corrente di vapore

Presso il Dipartimento di Chimica Biorganica e Biofarmacia della facoltà di Farmacia di Pisa è stata effettuata l’estrazione degli oli essenziali. 100 grammi di sommità essiccate e macinate di salvia e di origano, sono state sottoposte in

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apparecchio tipo Clevenger (Foto 3) con circa 1500 grammi di acqua a distillazione in corrente di vapore, secondo la tecnica descritta nella F.U. XI ed. per la durata di 2 ore.

Dall’olio essenziale (Foto 4) recuperato è stata determinata la resa percentuale e la composizione quanti-qualitativa dei singoli costituenti mediante l’ndagine GC/MS.

Le analisi GC sono state fatte con uno strumento HP-5890 Series ΙΙ equipaggiato con una colonna capillare HP-WAX ed una HP-5 (30 m x 0.25 mm, spessore del film 0.25μm), lavorando con il seguente programma di temperatura: isoterma di 60°C per 10 minuti, quindi aumento di 5° C/min fino alla temperatura di 220°C; iniettore e detector 250°C; gas di trasporto elio ad un flusso di 5 ml/min; detector doppio FID; rapporto di split 1:30, iniezione di 0.5 μl.

L’identificazione dei costituenti dell’olio essenziale è stata eseguita, per entrambe le colonne, per confronto dei tempi di ritenzione con quelli di campioni puri autentici e dei loro tempi di ritenzione relativi rispetto a due standard interni (butilcellosolve e cellosolve acetato).

Le analisi GC/EIMS sono state condotte con un gas cromatografo VARIAN CP-3800 provvisto di colonna capillare (30 m X 0,25 mm; spessore del rivestimento = 0,25μm) e un detector di massa VARIAN SATURN 2000.

Le condizioni analitiche sono state le seguenti: temperatura dell’iniettore e della transfer line rispettivamente di 220°C e 240°C; temperatura del forno programmata da 60°C a 240°C con aumento progressivo di 3°C/min; iniezione di 0,2μl; rapporto di split: 1:30.

L’identificazione dei costituenti si è basata sul confronto dei loro tempi di ritenzione e dei loro indici di Kovats con quelli di campioni autentici e sulla corrispondenza con gli spettri di massa presenti nelle librerie commerciali del computer (NIST 98 e ADAMS) e in quella creata usando sostanze pure, costituenti di oli a composizione nota e dati di massa presenti in letteratura.

Inoltre tutti i pesi molecolari delle sostanze identificate sono stati confermati tramite GC/CIMS usando MeOH come gas ionizzante, e operando nelle stesse

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condizioni descritte in precedenza per l’analisi GC/EIMS (Massada, 1976; Davies, 1990; Adams, 1995).

Nell’acqua che è servita per l’estrazione in corrente di vapore, sono stati ricercati mediante la tecnica SPME, i campioni volatili in essa disciolti e che non sono stati estratti completamente con la distillazione. L’SPME (Solid Phase MicroExtraction) è una tecnica tecnica estrattiva in cui una fibra di silice fusa rivestita con poli(dimetossisilossano) (PDMS, 100 μm) è capace di adsorbire direttamente da un campione solido o liquido gli analiti presenti nello spazio di testa sovrastante. Mentre la fibra è inserita nel campione gli analiti si ripartiscono dalla matrice del campione nella fase stazionaria, fino a quando viene raggiunto l’equilibrio.la fibra viene poi inserita nell’iniettore di un gas-cromatografo e gli analiti vengono rapidamente deadsorbiti termicamente nella colonna per essere analizzati.

3.3 Indagini sulle caratteristiche germinative

Prove in capsule Petri

Presso il “Laboratorio di Ricerca ed Analisi delle Sementi” facente parte del Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’agroecosistema dell’ Università di Pisa, è stata effettuata un’indagine preliminare al fine di saggiare la germinabilità ed il tempo medio di germinazione di alcune specie infestanti quali Lolium perenne,

Amaranthus retroflexus, Digitaria sanguinalis, Portulaca oleracea, Sorghum halepense; i semi di queste specie sono stati prelevati dai campioni della “banca del

seme delle infestanti” conservati presso il “Laboratorio di Ricerca ed Analisi delle Sementi”. Inoltre è stata determinata la percentuale di germinazione dei semi di due specie coltivate quali Ocimum basilicum L. Raphanus sativus L, entrambe di provenienza SAIS. La scelta delle infestanti è stata effettuata considerando quelle specie più dannose nella coltivazione di alcune piante ortive come il basilico e il ravanello. Questi test sono stati eseguiti, per ciascuna specie indagata, in armadi climatici provvisti di termo e fotoregolazione impostati a temperatura alternata: 20°C per 16 h in presenza di luce e alla temperatura di 30°C per 8 h in assenza di luce. L’illuminazione è stata fornita da lampade a luce bianca fredda (Osram 18w/20, 50

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μmoli di fotoni m-2 s-1 come Photosynthetic Active Radiation). Per Portulaca oleracea i test sono stati effettuati ad una temperatura costante di 30°C. Riguardo

alle temperature, ai trattamenti e alle varie metodologie adottate sono stati presi come riferimento i suggerimenti delle norme I.S.T.A. ( International Seed Testing Association ). Ciascuna tesi era costituita da 3 repliche di 100 semi. Le prove sono state realizzate utilizzando capsule Petri di 15 cm di diametro, all’interno delle quali i semi venivano posti a germinare su carta da filtro imbevuta di acqua distillata, che periodicamente veniva aggiunta per mantenere le condizioni di umidità adeguate al processo di germinazione, al fine di evitare le eccessive perdite di umidità le capsule sono state avvolte in buste di polietilene.

I risultati ottenuti da queste prime indagini sono stati considerati come testimoni per le successive analisi.

Per valutare le differenze rispetto ai controlli, sono state successivamente effettuate prove di terminabilità utilizzando su carta a filtro gli infusi e i decotti di salvia e origano. Il decotto è stato ottenuto ponendo 100 g. di ciascuna specie in distillatore in presenza di 1500 g. di acqua in ebollizione per 2 ore. L’infuso è stato preparato immergendo in un litro d’acqua in ebollizione 10g di origano e di salvia.

Un’ulteriore indagine è stata effettuata impiegando 0,016 grammi di olio essenziale di salvia e di origano posti all’interno delle capsule ma su un apposito vetrino concavo in modo da non venire a contatto diretto con i semi in germinazione per osservare gli effetti delle sostanze volatili emesse dagli oli essenziali sulla germinazione delle specie in esame.

Tutte le prove di germinazione hanno avuto una durata media di 21 giorni, durante i quali, a giorni alterni, si è operata la conta dei semi germinati, considerando germinato quel seme che aveva emesso la radichetta di lunghezza superiore od uguale alla dimensione del seme stesso.

Utilizzando i risultati ottenuti, si è andati quindi a calcolare la Percentuale di Germinazione che indica il numero di germinelli ottenuti da un certo numero di semi (Hartmann e Kester , 1990) e l’Energia germinativa espressa come Tempo Medio di Germinazione (T.M.G.) secondo la formula di Ellis and Roberts, 1981:

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T.M.G. = Σ(n x g)/N

n=numero di semi nati per ciascun giorno, g=numero di giorni impiegati a germinare, N=numero complessivo dei semi germinati.

I due parametri, percentuale di germinazione ed energia germinativa, sono stati misurati aderendo alle indicazioni dell’International Rules for Seed Testing (1999) e ai Metodi Ufficiali di Analisi per le Sementi.

Prove in contenitore

In vaschette in plastica di dimensioni 11,8x8,3x4,5 cm è stata posta una miscela di terreno e rispettivamente un campione di salvia e di origano prelevati dalla ditta Trumpy secondo i seguenti rapporti:

% Terreno (g.) salvia/origano (g.)

5% 349 18

10% 330 37

20% 294 73

In ciascuna vaschetta sono stati collocati 40 semi di ciascuna specie in esame nelle medesime condizioni di ambiente controllato delle capsule Petri (temperatura e luce alternata 16 h/8h a 20/30°C). Ciascuna tesi è stata replicata tre volte. Come testimoni, sono state aggiunte vaschette contenenti solo terreno.

Prove in vaso

Nell’aprile 2006 sono stati allestiti all’interno della Facoltà di Agraria, 42 vasi del diametro di 32 centimetri al fine di verificare gli effetti dei residui in esame sulla crescita e la produzione di basilico e ravanello. I vasi, posti all’aperto, sono stati

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laboratorio. Esso, prelevato presso il Centro Sperimentale di Rottaia (Pisa), presenta un contenuto di sabbia pari a 59.8%; limo 33.8%; argilla 6.4%; sostanza organica 1.43%; N totale 0.77 g kg-1; P disponibili 4.9 mg kg-1 (metodo Olsen); K scambiabile 183.58 mg kg-1 (metodo Dirks Schepper); CaCO3 1.44%; pH 8.19.

Nello strato superficiale del terreno di circa 10 cm, sono state miscelate rispettivamente percentuali di salvia e di origano di 5%, 10%, 20%.

Ogni tesi era rappresentata da 3 repliche.

Il basilico, seminato, fatto germinare ed allevato all’interno di una serra fredda in contenitori alveolari comunemente impiegati nel vivaismo, è stato trapiantato in data 15 maggio 2006; in ogni vaso sono state poste 3 piantine nella fase vegetativa corrispondente allo sviluppo del secondo palco di foglie vere. Il ravanello, come prevede la tecnica colturale, è stato seminato direttamente in vaso in data 16 maggio 2006. In ogni vaso sono stati interrati direttamente anche i semi delle piante infestanti: sono state utilizzate le stesse specie impiegate nelle prove di laboratorio e per ciascuna di esse sono stati posti a dimora 20 semi.

I vasi sono stati opportunamente irrigati con un impianto a goccia predisposto. Durante il ciclo di sviluppo del basilico è stata seguita l’evoluzione delle fasi fenologiche fino al momento della fioritura, durante la quale sono state raccolte le piante per valutarne la biomassa epigea prodotta. Delle specie infestanti abbiamo rilevato la percentuale di emergenza e la quantità di sostanza secca prodotta fino al momento della raccolta del basilico. La valutazione di questo parametro è stata effettuata dopo aver essiccato il materiale fresco ottenuto da ciascuna tesi, all’interno di una stufa a temperatura costante di 70°C per una settimana.

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Analisi statistica

I dati relativi alle prove di germinazione sono stati sottoposti ad analisi della varianza, previa trasformazione dei valori percentuali in valori angolari (V.A.) secondo la formula di BLISS (Bliss, 1937).

I vari parametri sono stati elaborati secondo due schemi sperimentali: fattoriale AxB e Split-Plot AxBxC (Gomez and Gomez, 1984).

Foto 1: Scarti di lavorazione di Salvia officinalis L. composti dalle sommità essiccate in taglio tisana.

Foto 2: Scarti di lavorazione di Origanum vulgare L. composti dalle sommità essiccate in taglio tisana.

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Foto 3: Distillazione in corrente di vapore di Salvia officinalis L.

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CAPITOLO 4

RISULTATI E DISCUSSIONE

4.1 Germinabilità – Energia germinativa in capsule Petri

Origano

I dati relativi alla germinabilità sono stati ottenuti dalle prove di germinazione condotte in capsula Petri, utilizzando come substrato carta da filtro imbevuta di decotto (Foto1) e di infuso (Foto2); i risultati sono stati elaborati secondo uno schema fattoriale A x B. Il trattamento principale (A) era costituito dalle specie indagate; il trattamento secondario (B) era rappresentato dal decotto, dall’infuso e dall’acqua distillata utilizzati di volta in volta per imbibire il substrato. La prova effettuata impiegando l’acqua distillata ha rappresentato il testimone. L’analisi della varianza ha evidenziato differenze statisticamente significative in ordine sia ai trattamenti imposti che alla loro interazione (tabella n. 1).

Specie Decotto Infuso Test Media

Germinazione (%) Raphanus sativus 0 G 82 BD 88 AC 56.67 B Ocimum basilicum 0 G 97 A 97 A 64.67 A Amaranthus retroflexus 2 FG 97 A 98 A 65.67 A Digitaria sanguinalis 15 F 55 E 64 DE 44.67 B Lolium perenne 13 F 89 AC 93 AB 65.0 A Portulaca oleracea 0 G 96 A 98 A 64.67 A Sorghum halepense 4 FG 73 CE 70 CE 49 B Media 4.86 B 84.14 A 86.86 A

Tabella n.1. Effetti dell’impiego di decotto e di infuso di residui di origano sulla germinabilità di alcune specie infestanti e coltivate.

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Tra le specie studiate il numero di semi germinati è risultato mediamente più elevato per il basilico, l’amaranto, il lolium e la portulaca. Differenze statisticamente significative sono emerse anche con l’utilizzo dei vari substrati a confronto: bagnando la carta da filtro con il decotto ottenuto dai residui di origano abbiamo osservato la minore quantità di semi germinati (circa 5%), mentre tra l’infuso e l’acqua distillata non sono state evidenziate differenze significative ottenendo una percentuale di semi germinati pari a rispettivamente 84 e 87 %. Analizzando il quadro dell’interazione viene confermata l’assenza di significatività confrontando la germinabilità ottenuta con l’infuso e l’acqua distillata, mentre il decotto deprime in maniera drastica fino ad impedire completamente lo svolgersi del processo germinativo a carico delle specie quali ravanello, basilico e portulaca.

Medesimo schema sperimentale è stato adottato per l’elaborazione dei dati relativi all’energia germinativa, espressa come tempo medio di germinazione. All’interno delle specie possiamo individuare tre gruppi tra i quali si evidenziano differenze significative: la portulaca, il basilico ed il ravanello hanno mostrato un vigore superiore alle altre specie impiegando circa 6 giorni per portare a termine la fase di germinazione; l’amaranto ed il sorgo costituiscono il gruppo intermedio, germinando mediamente in 8 giorni; la digitaria ed il lolium sono invece risultati più sensibili alla presenza di composti inibenti il processo germinativo che si è concluso soltanto dopo aver trascorso circa 10 giorni (grafico n.1). Tra i trattamenti analizzati il decotto è stato quello che ha evidenziato un significativo abbassamento del tempo medio di germinazione dei semi che è passato da 6-7 giorni (nel test e nell’infuso) a 10 giorni. Nell’interazione è interessante evidenziare come il basilico risulti molto sensibile sia al decotto che all’infuso (8 giorni), mostrando quasi un raddoppiamento dei giorni necessari a germinare rispetto al testimone (circa 4 giorni). Analogamente l’amaranto impiega 11, 9 e 5 giorni rispettivamente con l’utilizzo di decotto, infuso e acqua distillata. Mentre la portulaca risulta particolarmente sensibile alla presenza del decotto nel substrato di crescita, concludendo il processo germinativo in 10 giorni (grafico n. 1).

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Grafico n. 1. Effetto dei diversi substrati impiegati nelle prove di germinazione sul tempo medio di germinazione.

Salvia

Le prove in capsula Petri, utilizzate per studiare gli effetti sulla germinabilità di specie infestanti ed ortive conseguenti alla presenza di estratti di Origanum vulgare, sono state ripetute anche per saggiare gli effetti del decotto ed infuso di scarti di lavorazione di Salvia officinalis. I risultati sono stati elaborati secondo uno schema fattoriale A x B. Il trattamento principale (A) era costituito dalle specie indagate; il trattamento secondario (B) era rappresentato dal decotto, dall’infuso e dall’acqua distillata utilizzati di volta in volta per imbibire il substrato. L’analisi della varianza

0 2 4 6 8 10 12 14 bas il ico ra vanel lo lolium amar an to so rg o por tu la ca digitar ia T. M .G. (gg. ) decotto infuso test M.D.S. (P>0,05)= 2,79

(42)

ha evidenziato differenze statisticamente significative in ordine sia ai trattamenti imposti che alla loro interazione (tabella n. 2). Tra le specie studiate il numero di semi germinati è risultato mediamente più elevato per il basilico, il lolium, la portulaca e l’amaranto. Differenze statisticamente significative sono emerse anche con l’impiego dei vari substrati; l’utilizzo come substrato di carta da filtro imbevuta con decotto ottenuto con i residui di salvia, ha permesso la germinazione a una minore quantità di semi (circa 6%) rispetto a quelli germinati in presenza di infuso (81%) e acqua distillata (circa 87%). Analizzando il quadro dell’interazione e confrontando la germinabilità ottenuta con l’infuso e l’acqua distillata vengono evidenziate differenze statisticamente significative solo sui semi di ravanello e amaranto; l’impiego del decotto invece deprime lo sviluppo di tutte le specie impiegate in maniera drastica, ed impedisce completamente lo svolgersi del processo germinativo a carico delle specie quali ravanello, basilico e portulaca.

Specie Decotto Infuso Test Media

(%) Raphanus sativus 0 H 68 E 88 CE 52 C Ocimum basilicum 0 H 97 AB 97 AB 64,67 A Amaranthus retroflexus 1 FG 81 CE 98 A 60 AB Digitaria sanguinalis 14 F 65 E 64 E 47,67 C Lolium perenne 17 F 91 AC 93 AC 67 A Portulaca oleracea 0 H 94 AC 98 A 64 A Sorghum halepense 8 FG 71 DE 70 DE 49,67 BC Media 5,71 C 81 B 86,86 A

Tabella n. 2. Effetti dell’impiego di decotto e di infuso di residui di salvia sulla germinabilità di alcune specie infestanti e coltivate.

Figura

Figura 1: Salvia officinalis L.
Figura 2: Mappa della distribuzione di S:  officinalis con riferimento particolare: ssp
Figura 3: Origanum vulgare L.
Figura 4: Numero dei taxa di Origanum distribuiti nei differenti paesi del mediterraneo  Cresce spontanea in tutto il territorio italiano e in Corsica, in boscaglia rade,  cespuglietti , rupi soleggiate da 0 a 1400 metri sul livello del mare (Pignatti, 199
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