• Non ci sono risultati.

Apprivoiser la mort: ritualità, sacralità e memoria nelle opere di Sophie Zénon.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Apprivoiser la mort: ritualità, sacralità e memoria nelle opere di Sophie Zénon."

Copied!
135
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

ANNO ACCADEMICO 2014/2015

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E

DEI NUOVI MEDIA

Apprivoiser la mort: ritualità, sacralità e memoria

nelle opere di Sophie Zénon.

RELATORE CANDIDATO

Prof. Chiara Savettieri Serena Nello

(2)

Indice:

Esposizioni personali: ... 6

Esposizioni collettive: ... 8

Collezioni pubbliche: ... 9

Salons: ... 9

PARTE PRIMA – CAP.1: “La morte e l’Occidente”. ... 10

1.1.1 – Il dibattito sulla morte, introduzione al tema: ... 10

1.1.2 – La morte nel Medioevo fino al XI secolo: ... 17

1.1.3 – Secoli XI e XII: ... 18

1.1.4 – Secoli XIV e XV: ... 19

1.1.5 – La morte barocca, il fascino di un’ossessione: ... 21

1.1.6 – La morte illuminata, inquietudini e revisioni del Settecento: ... 24

1.1.7 – La morte dell’altro tra Sette e Ottocento: ... 26

1.1.8 – La morte oggi: ... 28

PARTE PRIMA – CAP.2: “Percezione del cadavere in epoca contemporanea, fotografia e pratica degli ultimi ritratti”. ... 31

1.2.1 – Lo statuto attuale del cadavere nella società e nell’arte: ... 31

1.2.2 – Morte e fotografia: ... 34

1.2.3 – Gli ultimi ritratti e la fotografia post mortem: ... 36

PARTE SECONDA – CAP.1: “Introduzione al lavoro di Sophie Zénon”. ... 39

2.1.1 – Sophie Zénon ed il suo percorso artistico: ... 39

2.1.2 – La morte e l’Occidente, il viaggio e lo sciamanismo: ... 42

2.1.3 – Esperienze di vita e passato, tracce di ricerca: ... 44

2.1.4 – “Parlare della morte significa innanzitutto occuparsi della vita”: ... 47

PARTE SECONDA – CAP. 2: “Palermo”: ... 48

2.2.1 – Introduzione alla serie Momies de Palerme: ... 48

2.2.2 – La storia delle Catacombe dei Cappuccini a Palermo: ... 50

2.2.3 – Riti e usanze funebri del Meridione nell’età moderna: ... processi di tanatomorfosi e doppia sepoltura in Sicilia: ... 52

(3)

2.2.5 – Momies de Palerme: ... 62

2.2.6 – Tecnica fotografica, vibrazioni ed estetica barocca: ... 64

2.2.7 – Pittoricità e stoffe: ... 67

2.2.8 – Il fascino delle mummie palermitane ed i fotografi del XXI secolo; qualche confronto: ... 73

PARTE SECONDA – CAP.3: “Napoli”. ... 77

2.3.1 – Introduzione alle serie dedicate al cimitero delle Fontanelle ed alle catacombe di S. Gaudioso: ... 77

2.3.2 – Il cimitero delle Fontanelle, le catacombe di San Gaudioso ed il culto popolare napoletano. ... 78

2.3.3 – Naples: Les Fontanelle, Le Purgatoire: ... 82

2.3.4 – Naples: Catacombes de San Gaudioso:... 88

PARTE SECONDA – CAP.4: “Dernier Portraits: gli ultimi ritratti tra polittici, installazioni e libri d’artista”. ... 89

2.4.1 – Introduzione alla serie Derniers Portraits: ... 89

2.4.2 – La Disparition: ... 93

2.4.3 – La Danse: ... 97

2.4.4 – Libro d’artista Le Grand Livre de Palerme: ... 103

PARTE SECONDA – CAP. 5: “Esposizione Faites vos voeux ! Ex–Voto d'artistes contemporains”. ... 107

2.5.1 – Introduzione all’esposizione: ... 107

2.5.2 – Le Corps à Vif: la Chiesa del Gesù Nuovo ed il Museo d’anatomia umana di Napoli: ... 109

2.5.3 – Le Corps à Vif, il polittico: ... 114

2.5.4 – Ex–Ossibus: ... 116 CONCLUSIONI:………119 BIBLIOGRAFIA: ... 123 SITOGRAFIA: ... 132

(4)

Breve biografia1 di Sophie Zénon:

Sophie Zénon nasce da genitori piemontesi nel 1965 a Petite–Quevilly, un piccolo comune francese situato nel dipartimento della Senna Marittima, nella regione dell'Alta Normandia. Essa compie i suoi primi studi universitari a Rouen, dedicandosi alla storia contemporanea e alla storia dell’arte. Solo in un secondo momento, dopo il suo primo viaggio in Mongolia del 1996, riprende gli studi, dedicandosi stavolta all’etnologia e alle scienze delle religioni, con un interesse particolarmente vivo per lo sciamanismo mongolo e siberiano praticato ancora oggi nell’Asia settentrionale. Prima di dare il via alla sua carriera fotografica esercita diversi mestieri, tra cui quello di libraia e documentarista per la televisione; lavora inoltre per qualche tempo come redattrice e in un’agenzia fotografica. Per quanto riguarda la sua attuale carriera artistica, essa ammette di dovere molto all’incontro col popolo mongolo; questo incontro, lasciando un’impronta profonda nella vita dell’artista, segna il vero e proprio inizio del suo impegno in ambito fotografico. Sophie Zénon si è infatti dedicata alla fotografia da autodidatta a tempo pieno solo dal 2004 ed ha iniziato questa sua nuova attività realizzando inizialmente immagini di tipo paesaggistico tramite l’uso della tecnica panoramica. Questi suoi primi scatti dedicati alla Mongolia2 le hanno permesso di manifestare l’attrattiva che nei suoi

confronti esercitano i grandi spazi, i luoghi desertici e le interazioni dell’uomo con la natura ed il sacro3. Strettamente legata alle sue radici piemontesi, ama inquadrare il proprio lavoro nell’ottica del viaggio e della scoperta di diverse culture, alternando essenzialmente un percorso documentario ad un approccio visuale fortemente attratto dall’ambito del rituale, del sacro e del misterioso. Essendo una grande viaggiatrice4 ha sempre lasciato che i suoi continui spostamenti influenzassero ed ispirassero i propri lavori fotografici, ottenendo risultati unici grazie alla mescolanza di inclinazioni personali e ricerche inerenti alle materie dei suoi studi universitari. Negli ultimi anni si è dedicata, riprendendo in mano questi interessi e portandoli avanti in parallelo con una produzione

1 Una biografia più completa è disponibile sul sito dell’artista all’indirizzo

http://www.sophiezenon.com/#!about/c786 .

2 Questa serie è intitolata Haikus Mongols ed è stata realizzata tra il 1996 ed il 2004.

3 A tale proposito tra 2006 e 2007 ha portato avanti un progetto sul mondo contadino che le ha permesso

di affrontare gran parte delle tematiche che più l’interessano: l’uomo, i suoi rapporti con la natura, la memoria e la trasmissione.

4 Essa ha sempre viaggiato molto e l’Asia è la sua terra di predilezione. Tra le regioni da lei più amate e

(5)

più in sintonia coi suoi lavori iniziali, ad una lunga e complessa ricerca sul tema della morte in Occidente. Questa tematica chiave per la sua poetica è alla base di alcune serie fotografiche e diverse opere incentrate sul culto dei morti, delle reliquie e dei santi di cui ci occuperemo più approfonditamente in seguito. Sophie Zénon attualmente vive e lavora a Parigi, pur non rinunciando a frequenti viaggi. Le sue opere, di crescente notorietà ed appartenenti a numerose raccolte pubbliche e private note a livello mondiale, sono state esposte in diverse gallerie, musei e festival fotografici in Francia, Cina, Taiwan, Portogallo, Italia, Russia, Giappone, Bangladesh e Cambogia.

(6)

ESPOSIZIONI PERSONALI:

• 2015 Galleria SCHILT, Earth, Sky, Water, Amsterdam (Paesi Bassi). • 2015 MUSEO DELLE ARTI DECORATICE, Delisle, Parigi.

• 2014 Galleria LES COMPTOIRS ARLESIENS, Fugace, Arles. • 2014 Galleria REGARDS SUD, Asies, Lione.

• 2014 MUSEO DI STORIA DI ETAMPES, Miroirs et Simulacres, Etampes.

• 2012 Galleria THESSA HEROLD, Cadavres exquis. Selezione ufficiale "Mois de la Photo à Parigi 2012", Parigi.

• 2012 MUSEO ALBERT KAHN, Mongolie. Images d'une société en mutation, Boulogne–Billancourt.

• 2011 FONDAZIONE D’ARTE CONTEMPORANEA FERNET BRANCA, In Case We Die, Saint–Louis.

• 2011 Galleria ANGKOR PHOTOGRAPHY, Roads Over Troubled Water, Siem Reap (Cambogia).

• 2011 CITE INTERN. DE LA TAPISSERIE, Les Mains d’Aubusson, Aubusson.

• 2010 ESPACE PHOTO. DE SAUROY, Nous avons fait un très beau voyage, selezione ufficiale « Mois de la Photo à Parigi 2010 », Parigi. • 2010 Festival Les Promenades Photographiques, Roads Over Troubled

Water, Vendôme.

• 2009 MINISTERO DELLA CULTURA, Transmissions, Jardins du Palais Royal, Parigi.

• 2009 GALLERIA ALB, In Case We Die, Parigi.

• 2009 Festival CHOBI MELA V, Haïkus mongols, International Festival of Photography, Dhaka (Bangladesh).

• 2008 Galleria GLASS, Mongolie, Cambodge, Maison de la Photographie, Moscou (Russia).

• 2008 Festival Internazionale della Fotografia, Mongolia, Shenyang (Cina).

• 2008 MUSEO DELLE ARTI ASIATICHE, Cambodge, Nice. • 2008 ARTOTHEQUE, Cambodge, Brest.

• 2007 Festival Photo Nature et Paysage, Bretagne, vivre autrement, La Gacilly.

(7)

• 2007 MUSEO MATISSE, La Terre transfigurée, Palais Fénelon, Le Cateau–Cambrésis.

• 2007 Trianon, PARCO DE BAGATELLE, La Terre transfigurée, Mairie de Parigi.

• 2006 Festival Photo Nature et Paysage, Suite sibérienne, La Gacilly. • 2006 Festival des Carnets de Voyage, Haïkus mongols, Clermont–

Ferrand.

• 2006 SEVRES–CITTA’ DELLA CERAMICA, La Terre transfigurée, CIEP, SEL, Sèvres.

• 2006 Festival Images en Scène, Suite sibérienne, Limoges. • 2005 MUSEO INDUSTRIALE de la Corderie Vallois, Corps

mécaniques, Notre–Dame–de–Bondeville.

• 2005 Galleria Maison de la Chine, Haïkus mongols, Parigi. • 2005 VILLA TAMARIS, Météo Marine, Festival L’œil en Seyne

Festival, La Seyne sur Mer.

• 2005 Festival ANGKOR PHOTO, Haïkus mongols, Siem Reap (Cambogia).

• 2004 Galleria CARRÉ AMELOT, Haïkus mongols, La Rochelle. • 2003 CAP, Centre Atlantique de la Photographie, Haïkus mongols,

Brest.

• 2003 MUSEO DI BELLE ARTI, Suite sibérienne, Nancy. • 2002 Festival Chroniques Nomades, Suite sibérienne, Honfleur. • 2002 Festival Arrêt sur Image, Haïkus mongols, Bordeaux. • 2002 Galleria photo FNAC, Haïkus mongols, Taipei (Taiwan). • 2001 Galleria Photo FNAC Orléans, Lyon, Caen, Rouen, Haïkus

mongols

• 2000 Galleria Photo FNAC, Haïkus mongols, Parigi.

• 2000 Festival ENCONTROS DA IMAGEM, Haïkus mongols, Braga (Portogallo).

(8)

ESPOSIZIONI COLLETTIVE:

• 2015 Palazzo della Ragione, Italia Out. Commissario: Giovanna Calvenzi. Milano, Italia.

• 2015 Galleria THESSA HEROLD, Salon Parigi–Photo, Grand Palais, Parigi.

• 2015 FONDATION BETTENCOURT–SCHUELLER, Pour l'intelligence de la main, Espace Garnier, Parigi.

• 2015 Museo e galleria dell’Università, Sèvres, Porcelain of the Kings, Hong Kong.

• 2015 Galleria LES COMPTOIRS ARLÉSIENS, Elles Toutes, Arles. • 2014 MUSÉE DU MONTPARNASSE / MUSÉE DE LA POSTE, Le

Corps à Vif, Parigi in "Faites vos voeux. Ex–voto d'artistes contemporains".

• 2014 Galleria THESSA HEROLD, Salon Parigi–Photo, Grand Palais, Parigi.

• 2013 Galleria THESSA HEROLD, Salon Parigi–Photo, Grand Palais, Parigi

• 2013 FONDATION BETTENCOURT–SCHUELLER, Pour l'intelligence de la main, Espace Garnier, Parigi.

• 2013 Galleria THESSA HEROLD, Salon Art Parigi, Grand Palais, Parigi.

• 2013 Galleria LES COMPTOIRS ARLÉSIENS, Vent d'hiver, Arles • 2013 Fondazione ANNENBERG SPACE FOR PHOTOGRAPHY, No

Strangers, Los Angeles (USA).

• 2012 HÔTEL DE VILLE, MAIRIE DE PARIGI, Le dessein du geste. Savoir–faire et design, Parigi.

• 2012 FONDATION BETTENCOURT–SCHUELLER, Pour l'intelligence de la main, Espace Garnier, Parigi.

• 2012 Galleria THESSA HEROLD, Salon Parigi–Photo, Grand Palais, Parigi.

• 2011 Galleria LES COMPTOIRS ARLÉSIENS, Arles.

• 2011 FONDAZIONE BETTENCOURT–SCHUELLER, Pour l'intelligence de la main, Espace Garnier, Parigi.

• 2011 Carrousel du Louvre, Salon de la Mort, Parigi.

• 2010 FONDAZIONE PIERRE BERGÉ / YVES SAINT LAURENT, In Case We Die, in Vanité. Mort que me veux–tu? Parigi.

(9)

voyage. Commissaire: L. Serani, Mois de la Photo à Paris 2010. • 2010 FONDAZIONe BETTENCOURT–SCHUELLER, Pour

l'intelligence de la main, Musée du Quai Branly, Parigi.

• 2004 LA CONCIERGERIE, La collection photographique de la FNAC, sélection officielle «Mois de la Photo à Paris 2004», Parigi.

• 2001 Biennale de la photographie féminine, Haïkus mongols, San Pietroburgo, Russia.

• 1998 PRIX KODAK DE LA CRITIQUE, Mongolia, Parigi.

COLLEZIONI PUBBLICHE:

• Maison Européenne de la Photographie (MEP), Parigi. • Musée français de la Photographie, Bièvres.

• Bibliothèque du livre d’artiste Kandinsky / Centre Pompidou Beaubourg, Parigi.

• Bibliothèque du livre d’artiste du Rijksmuseum, Amsterdam. • Biblioteca nazionale di Francia (BNF).

• Museo Albert Kahn, Boulogne–Billancourt.

• Collezione fotografia della FNAC, Parigi / Musée Niepce Chalon sur Saône

• Artothèque, Brest.

• Museo nazionale di Sevres – Cité de la Céramique, Sèvres. • Museo nazionale delle manifatture des Gobelins, Parigi.

• Città Internazionale della Tessuto e dell’arte tessile, Aubusson.

SALONS:

• Presenza regolare con la Galleria Thessa Herold al Salon Parigi–Photo e a Art–Parigi presso Grand Palais (Parigi) dal 2012.

(10)

PARTE PRIMA – CAP.1: “La morte e l’Occidente”.

1.1.1 – Il dibattito sulla morte, introduzione al tema:

La definizione più comune di “morte” è quella che la identifica con un fenomeno naturale che comporta la cessazione di quelle funzioni biologiche che definiscono gli organismi viventi5; la morte così intesa è antitesi della vita, suo opposto, condizione permanente ed irreversibile, mentre il morire è l’atto che la precede, la sua tappa finale e conclusiva. Della vita e dei suoi processi l’uomo conosce molte cose; la morte invece, unica esperienza umana che non si può raccontare direttamente e che limita lo studio scientifico oggettivo di questo fenomeno alla sola osservazione di un corpo che va incontro alla decomposizione, ci pone da sempre davanti ad interrogativi ai quali l'uomo ha trovato risposte consolatrici in diverse religioni e filosofie. Il fatto che la morte non si possa raccontare né conoscere fa sì che si creino per l’uomo dei limiti che rendono l’esperienza della morte stessa difficilmente riconoscibile come propria, investendo il momento del trapasso di mistero e di irrazionalità6. Lo storico francese Philippe Ariés dichiara che una delle peculiarità dell’uomo è quella di essere l’unica creatura cosciente della sua morte e l’unica a seppellire i suoi morti7. Ma cosa c’è dopo la morte? C’è vita? Dare una risposta a questi interrogativi fondamentali fa parte di un bisogno innato dell’uomo; per tutti noi questo è il grande mistero dell’esistenza, un mistero che accompagna il nostro quotidiano e domina gli aspetti più comuni della nostra realtà8.

Massime formulate intorno al concetto di morte come il memento mori o il pulvis et

umbra sumus9 hanno impregnato la cultura occidentale per secoli. La morte di una persona, la sua “ultima ora”, il suo viaggio verso il “sonno eterno” suppongono

5 Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

6 Cfr. ivi.

7 Cfr. ARIÉS, P., Storia della morte in occidente, Biblioteca universale Rizzoli, Milano, 1978, p.23. 8 Cfr. CHIARAMONTE, E., La morte secondo Heidegger, articolo del 01/02/2013,

http://www.neteditor.it/content/207347/la–morte–secondo–heidegger.

9 L’ode che porta questo titolo è uno dei componimenti oraziani più noti tra quelli che trattano il tema

epicureo della caducità della vita. Inizialmente il carme è contraddistinto da grande letizia, poiché la primavera riporta la vita sulla terra. Tuttavia il ritorno della primavera richiama il mutare delle stagioni (vv. 7–12), che a sua volta è associato dal poeta alla fugacità dell’esistenza umana: a differenza dei tempi dell’anno, la vita degli uomini non si ripete ed essi, una volta morti, sono per sempre “pulvis et umbra” (v. 16). Cfr. LIPPARINI, G., Le Odi, Carlo Signorelli editore, Milano, 1951, p.142.

(11)

metaforicamente che una linea netta separi il mondo dei vivi da quello dei morti10. L’ineluttabile temporalità della vita e l’alterità angosciosa della morte hanno condotto l’uomo alla certezza assoluta della validità dell’assunto ontologico di Heidegger secondo cui l’uomo è un “essere per la morte”11; la morte si configura cioè come la possibilità più certa nella vita dell’essere umano ed è il morire (insieme al linguaggio) a rendere l’uomo tale. Fin dalla notte dei tempi ogni civiltà ha meditato sulla vita dopo la morte, esprimendo disagio di fronte alla propria condizione mortale12; l’essere umano si è dovuto rassegnare alla finitudine della sua condizione consapevole che, al termine del suo percorso di vita, sarebbe in ogni caso sopraggiunta la morte. Per far fronte a questa consapevolezza e alle angosce che ne derivano l’umanità ha adottato degli atteggiamenti e dei riti diversi a seconda della cultura, del gruppo sociale di appartenenza e del periodo storico. Viene da sé che, essendo molteplici le variabili culturali che influenzano il pensiero dell’essere umano, la percezione che l’uomo ha della morte si sia evoluta, modificandosi, nel corso della storia. Affrontare il tema dell’atteggiamento dell’uomo nei confronti della morte è pertanto una prova molto complessa da superare; bisogna infatti tener conto dei risultati di discipline alquanto diverse tra loro, dallo studio sinergico delle quali non si può prescindere se si vuole tentare di avere una visione d’insieme quanto più chiara e oggettiva possibile. Ecco che, decidendo di affrontare un tema così complesso, bisogna accostarci a materie che spaziano dalla medicina, dalla filosofia, dalla religione, dalla storia, fino all’antropologia, all’arte, alla psicologia o ancora agli studi folklorici e sociologici. Non ci si può quindi limitare alla mera ricerca ed analisi di singoli punti di vista, ma si deve cercare di dare un’interpretazione globale che prenda coscienza della sensibilità collettiva propria degli uomini in un determinato periodo storico e in determinate collocazioni geografiche. Di tutto ciò hanno tentato di tener conto i primi storici che fin dal 195013 si sono occupati di dare basi più solide a tale tipo di ricerca;

10 Cfr. Des Cadavres exquis, le Grand Livre de Palerme, catalogo della mostra, (Galleria Thessa Herold,

Paris), prefazione di Manuel Bonet Correa, Edizioni Galleria Thessa Herold, Parigi, 2012, p.10.

11 Nella filosofia heideggeriana l’uomo è un essere nel mondo, inautentico, e porta con sé la capacità di

angosciarsi, di contemplare tutta la sua struttura esistenziale, aldilà della dimensione temporale. Pertanto la morte è la possibilità della pura e semplice impossibilità di esistere. Vedi HEIDEGGER, M., Essere e tempo, UTET, Torino, 1978.

12 Cfr. DAVIES, D.J., Morte, riti, credenze: la retorica dei riti funebri, Torino, Mondadori, 2000, p.111. 13 La storiografia sulla morte si è sviluppata essenzialmente negli ultimi cinquant’anni, con una decisa

accelerazione negli ultimi venti. Cfr. CANELLA, M., Paesaggi della morte: Riti, sepolture e luoghi funerari tra Settecento e Novecento, Carocci, Roma, 2010, p. 207.

(12)

personalità come quella di Ariès14, Vovelle15, Tenenti16 o del sociologo Elias17 hanno cercato di proporre, attraverso i loro studi, alcune delle teorie cardine per questo filone di ricerca18. L’ambito di studio che si occupa della storiografia sulla morte si configura fin dalla sua nascita come un campo estremamente diversificato geograficamente, disciplinarmente ma soprattutto storiograficamente parlando, tanto che è possibile, secondo quanto afferma la studiosa Maria Canella nel suo testo Paesaggi della morte:

Riti, sepolture e luoghi funerari tra Settecento e Novecento 19, individuare tre tendenze storiografiche fondamentali riguardanti tale tematica20:

“La storiografia classica, che comprende scritti di vasto respiro, non strettamente centrati sul problema specifico della morte e, tuttavia, ispiratori di molte opere successive; la nuova storiografia della morte […], identificabile con alcuni settori della scuola storica, sociologica e antropologica francese; e, infine, quella che è possibile definire la moderna storiografia della morte, composta da studiosi appartenenti a differenti aree geografiche e disciplinari, ma legati nel rigore storico e nella matrice critica alla tradizione classica, pur nell’innovazione metodologica e nell’avanzamento scientifico”21.

Tramite la lettura dell’importante testo della Canella è possibile constatare come l’avanzamento di questo tipo di ricerche abbia nel suo complesso prodotto negli ultimi decenni, come abbiamo accennato, un quadro che, nonostante la sua complessità, tenteremo di semplificare per comodità di esposizione22.

Uno dei primi interventi organici volti ad identificare le diverse posizioni assunte dai vari studiosi impegnati nella ricerca sui temi della morte compare già nel 1977, momento cruciale che funge da spartiacque tra la “storiografia classica” e la “nuova storiografia” della morte; si tratta della Prefazione alla seconda edizione dell’opera di Tenenti Il senso

14 Vedi ARIÉS, P., 1978.

15 Vedi VOVELLE, M., La morte e l’Occidente. Dal 1300 ai giorni nostri, Bari, Laterza, 1993.

16 Vedi TENENTI, A., Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1989. 17 Vedi ELIAS, N., La solitudine del morente, Ed. Il Mulino, 1985.

18 Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf e CANELLA, M., 2010, pp. 207 – 216.

19 Per approfondimenti vedi ivi, pp.207 – 229. 20 Cfr. ibidem, p.207.

21 CANELLA, M., 2010, cit. p.207. 22 Cfr. ivi.

(13)

della morte e l’amore della vita nel Rinascimento23. In tale contesto la rassegna di Tenenti

prendeva le mosse dall’analisi di uno degli scritti cardine della storiografia classica su questo tema: Storia della morte in Occidente dal Medioevo ai giorni nostri di Ariés. In questo testo del 1975 lo studioso francese tentava di realizzare “uno schema globale di ricostruzione degli atteggiamenti dell’uomo europeo nei confronti della morte dal Medioevo ai giorni nostri, giustificando l’arco di tempo multisecolare attraverso lunghi periodi di immobilità che separano tra loro le fasi del mutamento”24. Nel corso della sua trattazione Ariès individuava essenzialmente quattro fasi: quella della “morte addomesticata” (fase valida fino al XI secolo durante la quale la morte, in una società in cui vivi e defunti sono a stretto contatto anche grazie all’alloggiamento delle sepolture nelle chiese, è un avvenimento naturale, atteso, non drammatizzato), quella della “morte di sé” ( tra XII e XVIII secolo l’uomo prende coscienza della propria storia e di se stesso, si mostra più attaccato alle cose terrene e alle persone amate, inizia ad avere ripugnanza della morte e a collocare, verso la fine di questo periodo, le sepolture lontane dalle città), quella della “morte dell’altro” ( tra XVIII secolo l’immagine della morte acquisisce prima attributi di bellezza e grazia – pur non rinunciando ad aspetti oscuri e tenebrosi – per colorarsi poi nuovamente nell’epoca romantica di tinte tragiche, atte a far avvertire la morte come rottura, come qualcosa di drammatico che strappa l’essere amato dalla nostra esistenza) e infine quella della “morte proibita”25 (modello che si afferma dal secondo dopoguerra e che dipinge la morte come un vero e proprio argomento tabù per la società occidentale)26. Uno dei grandi meriti del testo di Ariès – e in generale della sua vasta produzione sul tema della morte – è stato quello di riuscire a stimolare una importante produzione storiografica; il quadro ultramillenario che suggerisce con gli esiti dei suoi studi è stato infatti accolto con entusiasmo da molti, primo tra tutti da Michel Vovelle – uno dei più importanti studiosi della nuova storiografia della morte – il quale, con un’affermazione fatta nel 1976, non esitò a definirlo “il primo schema globale di

23 La prima edizione del testo (in cui lo studioso riassume i risultati raggiunti in vent’anni di ricerche)

risale al 1957. Cfr. ibidem, p.208.

24 CANELLA, M., 2010, cit. p.208.

25 Questa definizione, ancora una volta proposta da Ariès, è frutto della riflessione dello studioso su un

articolo del sociologo inglese Geoffrey Gorer intitolato The pornography of death, pubblicato nel 1955. Questo articolo, che rilevava come la morte fosse diventata il principale tabù del mondo moderno sostituendo il sesso nel ruolo di argomento proibito che esso aveva svolto nell’Ottocento, ebbe grande successo e portò alla nascita di diversi studi sociologici, psicologici e medici. Cfr. GORER, G., The pornography of death, in «Encounter», October 1955, pp. 49 – 52.

(14)

ricostruzione degli atteggiamenti dell’uomo, almeno europeo o occidentale, alle prese con la morte”27. Uno degli aspetti che Tenenti critica alla scuola sociologica francese consiste nell’aver portato avanti un tentativo di isolare atteggiamenti dell’uomo che sembrano gravitare sulla morte per creare “categorie metafisiche e metastoriche”28, laddove in altri autori della moderna storiografia della morte sistematicamente trascurati dagli studiosi francesi – tra i più importanti ricordiamo i due storici dell’arte Émile Mâle29 e Erwin

Panofsky30 e i due storici Lucien Febvre31 e Johan Huizinga32 – troviamo invece lo studio della varie forme del senso della morte, uno studio volto a storicizzarne il senso ultimo, collocando il momento del trapasso nel molteplice e complesso circolo della vita33. Nel suo scritto Tenenti ribadisce inoltre la distanza che separa lui e gli autori sopracitati dagli studiosi francesi che “portati dall’entusiasmo della ricerca hanno provato il bisogno intellettuale di fondare e giustificare l’autonomia del suo oggetto, quasi a delimitare e difendere i contorni e i diritti di un nuovo dominio del sapere, la tanatologia”34. La critica

di Tenenti alla scuola francese non è in ultima istanza tesa solo ad intaccarne lo scivolamento nello spiritualismo e nell’ideologismo o la scarsa attenzione ai fattori strutturali, ma si incentra bensì anche sull’esame puramente formale che questi studiosi fanno dei fenomeni e sulla loro classificazione pseudo–antropologica35. Abbiamo già accennato al fatto che Michel Vovelle sia considerato una delle più grandi personalità della scuola francese; ebbene, nonostante egli stesso sia incluso nell’esame critico di Tenenti, bisogna però sottolineare come questo secondo studioso francese dimostri di avere una maggiore sensibilità e si sia impegnato in prima persona, “nella sua vasta e ricca produzione storiografica sulla morte, a dimostrarsi attento a problematiche di tipo storiografico e a fornire alcune risposte, seppur non sistematiche, agli interrogativi metodologici che inevitabilmente venivano ad affacciarsi con l’allargarsi della

27 CANELLA, M., 2010, cit. p.209. 28 Ibidem, cit. p.210.

29 Vedi MALE, E., L’art religieux de la fin du moyen âge en France: étude sur l’iconographie du moyen

âge et sur ses sources d’inspiration, Paris, A. Colin, 1908.

30 Vedi PANOFSKY, I., La scultura funeraria: dall’antico Egitto a Bernini, Torino, Einaudi, 2011. 31 Nel caso di Febvre, Tenenti non si riferisce ad un testo in particolare ma ai suoi studi complessivi sul

tema della storia dei sentimenti e della vita affettiva.

32 Vedi HUIZINGA, J., L’autunno del Medioevo, Firenze, Sansoni, 1961.

33 In questo caso gli autori sopracitati hanno tenuto un modello di ricerca secondo il quale le varie

manifestazioni della morte sono state studiate nel loro inquadrarsi nella vita (la morte cioè nella vita e non di fronte alla vita). Cfr. CANELLA, M., 2010, p.210.

34 Ivi, cit.

(15)

bibliografia sulla morte”36. Nemmeno Vovelle è però esente da errori metodologici riconducibili al modus operandi della scuola a cui appartiene; nel suggestivo volume dedicato alla morte e l’Occidente, questo studioso procede infatti mettendo sullo stesso piano storiografico e metodologico le diverse fonti documentarie37, fondendo – seppur abilmente – dati ed elementi non sempre omogenei tra loro come quelli relativi all’ambito religioso, filosofico, scientifico, letterario o artistico. I rischi ed i limiti insiti in tale modo di procedere, come abbiamo detto, non sfuggono a Tenenti, ma questa debolezza metodologica viene specificatamente delineata in un articolo del 1977 di Luigi Donvito intitolato Ricerche e discussioni recenti in Francia su un tema di storia della mentalità:

gli atteggiamenti collettivi di fronte alla morte38. In sintesi, in questo articolo, Donvito

identificava questo tipo di metodologia come un tratto diffuso nella storiografia sociologizzante francese e come una tendenza che ritiene di poter trovare nei documenti esaminati la spiegazione dei fatti storici, riducendo quindi alla semplice interrogazione delle fonti la soluzione per spianare qualsiasi problematica storica39. In ogni caso, al di là della vastità e complessità di questo dibattito – che si configura come una parte minima all’interno di una problematica più vasta riguardante una generale difficoltà nel tenere sotto controllo l’eccezionale numero di volumi ed articoli sul tema della morte –, è importante sottolineare come la storiografia moderna abbia sempre ben presenti le radici ed i capisaldi di quella classica40 e come su tali capisaldi questa storiografia abbia collettivamente costruito un quadro evolutivo dal Medioevo fino alla fine del XIX secolo, comprendo tutti i settori della ricerca (storico, artistico, letterario, filosofico ecc.)41. Tenendo presente quanto sinora detto, possiamo adesso procedere tentando di tratteggiare, almeno sommariamente, una breve storia introduttiva sul rapporto della società occidentale con la morte attenendoci ad una scansione progressiva di tipo temporale ed alle linee guida fornite dai principali studiosi che si sono occupati

36 CANELLA, M., 2010, p.211.

37 Tra le più importanti troviamo le tombe, i monumenti funebri, gli ex–voto, i testamenti nonché i

risultati di indagini sulle tradizioni orali che legano la società sia urbana che rurale ai riti connessi con la morte. Cfr. ibidem, p.213.

38 Vedi DONVITO, L., Ricerche e discussioni recenti in Francia su un tema di storia della mentalità: gli

atteggiamenti collettivi di fronte alla morte, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», periodico quadrimestrale, A.13, 1977, pp. 376 – 389.

39 Cfr. CANELLA, M., 2010, p.214.

40 La storiografia classica e quella moderna sono pertanto due tipologie storiografiche strettamente

intrecciate sia nei temi che nelle metodologie ed essenzialmente separate da una soglia temporale da identificare con la metà degli anni Settanta. Cfr. ibidem, p.216.

(16)

contemporaneamente dell’approfondimento di questa tematica e degli atteggiamenti propri di quei secoli che hanno portato alla formazione della nostra società così come si presenta oggi. Nelle pagine introduttive del suo celebre studio La morte e l’Occidente, Michel Vovelle definisce la storia sociale della morte come “un’avventura febbrile, ritmata da scosse brutali”42 che periodicamente hanno generato l’ossessione collettiva. I sintomi di queste convulsioni possono essere chiaramente identificati in specifiche fasi cronologiche della storia culturale: in prima istanza, durante il periodo medievale, è da notare come l’uomo si rapporti genericamente con la morte – elemento intrinsecamente legato alla vita quotidiana – vedendo in essa un evento naturale e l’ineluttabile conclusione di ogni ciclo vitale compreso quello della vita umana. Da questo tipo di visione si passa in un secondo momento ad una diversa sensibilità nei riguardi del momento del trapasso: tra XI e XII secolo la morte inizia ad essere temuta dall’uomo e tra Umanesimo e Rinascimento si manifesta un nuovo attaccamento alla vita che si tramuta poi in una psicosi mortuaria largamente attestata sia per il periodo pre–barocco che per tutto il Barocco vero e proprio. A questa fase succedono quindi quella del compiacimento funebre tipica del crepuscolo dei Lumi, quella del riflusso del macabro nella «Belle Époque» e infine un’ulteriore svolta tra Otto e Novecento43. Seguendo questo tipo di periodizzazione, la storia sociale della morte si presenta pertanto come scandita da evoluzioni più o meno lente44, che si ripercuotono sulla sensibilità e sull’immaginazione collettive:

“Come molti fatti di mentalità che si collocano nella lunga durata, l’atteggiamento di fronte alla morte può sembrare quasi immobile attraverso lunghissimi periodi di tempo. Sembra acronico. E tuttavia, in certi momenti, sopravvengono dei mutamenti, quasi sempre lenti, e talvolta inavvertiti, oggi più rapidi e più coscienti. La difficoltà per lo storico di esser sensibile ai cambiamenti è anche di non farsene ossessionare e di non dimenticare le grandi inerzie che riducono la portata reale delle innovazioni”45.

42 Cfr. VOVELLE, M., 1993, p.xii. 43 Cfr. ivi.

44 In realtà i mutamenti che intervengono a modificare i comportamenti e le credenze umane in questo

ambito semplicemente non vengono percepiti perché sono mutamenti che necessitano di decenni per avvenire; superando quindi il tempo del semplice gap generazionale, vanno di conseguenza al di là anche della capacità della memoria collettiva di tenerne conto. Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

(17)

1.1.2 – La morte nel Medioevo fino al XI secolo:

Il primo periodo storico che ci accingiamo a tratteggiare ci parla di un atteggiamento tenuto dall’uomo nei confronti della morte la cui validità si applica ad un lungo lasso di tempo della durata di quasi un millennio. Questo periodo ci restituisce, fino allo scadere del XI secolo, l’immagine di una società che ha familiarizzato con il momento del trapasso, un periodo in cui la collettività oscilla tra il giudicare il momento della morte con rassegnazione passiva, percependola come un evento ineluttabile, e l’abbandonarvisi incondizionatamente con fiducia mistica46. L’uomo si rimette in questi secoli al proprio destino, vedendo nella morte nulla più che un evento naturale, necessario ed inscritto in una prospettiva di temporalità ciclica che accomuna la sua esistenza all’alternarsi delle stagioni47. Nel corso di questo primo, lungo periodo, Ariès ci parla, come abbiamo accennato, di “morte addomesticata” perché il momento del trapasso era così familiare all’uomo da essere vissuto in modo quasi indifferente, in una prospettiva diametralmente opposta a quella odierna, dove la morte si configura come un argomento tabù, innominabile, e per questo pressoché incontrollabile48. Per far meglio comprendere come fosse vissuta la morte dalla collettività dell’epoca, Ariès analizza brevemente la tipologia letteraria del poema epico–cavalleresco del primo medioevo, dove si parla dei compiti di cui un buon cristiano doveva farsi carico nelle ore che precedevano la sua morte49. Lo studioso, partendo da questa analisi50, individua nel morente stesso il protagonista della scena: è lui ad accorgersi che sta per morire ed è sempre lui a presiedere la propria cerimonia funebre a cui tutti possono partecipare51. In diversi contesti europei, anche dopo oltre un millennio d’impregnazione, la religione cristiana non ha del tutto messo a tacere quei riti e quelle tradizioni popolari risalenti ad una cultura precristiana che

46 Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

47 Cfr. ivi. 48 Cfr. ivi. 49 Cfr. ivi.

50 Elias contesta ad Ariès “...Ariès non accenna al fatto che questi poemi epici medievali rappresentano

una idealizzazione della vita cavalleresca e sono dunque immagini ideali selettive, che riflettono più quel che il poeta e il suo pubblico pensavano dovesse essere la cavalleria che non in realtà fosse”. ELIAS, N., 1985, cit. p.31.

51 Durante la cerimonia (i cui riti sono semplici e sobri) il morente accetta la propria morte con calma e

senza eccessiva emozione. Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico, http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

(18)

ponevano sostanzialmente il mondo dei morti sullo stesso piano del mondo dei vivi52. A queste date i morti incutono rispetto nei vivi, apparendo loro sotto forma di spettri aggressivi – e in questo caso l’unica strada per i viventi è mettere in atto certi riti per poterli pacificare – o spettri benefici e protettivi. Alcuni di questi riti legati al mondo ultraterreno degli spettri furono tollerati dalla Chiesa; molto più spesso però furono per contro condannati in qualità di superstizioni o stregonerie. In altri casi ancora, taluni di essi subiranno un processo di cristianizzazione che li renderà parte integrante delle credenze e dei rituali ecclesiastici, mantenuti poi vivi per secoli a livello di usi e costumi popolari53.

1.1.3 – Secoli XI e XII:

Per quanto riguarda invece i secoli XI e XII assistiamo, in particolar modo tra le classi più agiate e gli uomini di cultura, ad un riavvicinamento tra tre rappresentazioni mentali: la morte, la conoscenza della propria biografia e l'amore per la vita e per le cose terrene54. La morte diventa il momento in cui tutte le particolarità individuali appaiono in piena luce e l'uomo scopre la morte di sé, un sentimento personale e intimo che si traduce nell'intenso attaccamento per le cose della vita ma anche nel senso amaro del fallimento, frutto di quella consapevolezza di essere un morto “a breve scadenza” che gli condiziona l’intera vita55. Questo atteggiamento è dovuto in parte alla nascita di alcuni fenomeni culturali nuovi ed a questa situazione non è estranea la nascita di alcuni tipi differenti di

52 Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

53 A tale proposito si rende necessario precisare che la cristianizzazione di certi riti legata al culto dei

morti ebbe inizio nel mondo della cultura monastica per poi diffondersi solo in un secondo momento (anche se rapidamente) tra la popolazione. Fu infatti Cluny ad istituire la festa dei morti il 2 novembre tra il 1024 e il 1033, festa che si configura come ricorrenza essenziale per quella nuova commemorazione liturgica dei morti di cui abbiamo appena parlato. A fianco di certe iniziative da parte della chiesa si manifestò, come conseguenza, un rinnovato interesse verso i morti a livello popolare, con un consistente aumento delle apparizioni di spiriti o fantasmi. “Se inizialmente in questo la chiesa si mostrerà tollerante, con la diffusione a partire dal XII del concetto di Purgatorio inizierà un a vera e propria crociata contro queste apparizioni che saranno dipinte come demoniache. Il Purgatorio, assieme al concetto di Inferno e Paradiso, muteranno nell’immaginario collettivo la visione dell’aldilà e ribalteranno il mondo dei morti da una prospettiva orizzontale ad una verticale, appartenente non più alla stessa dimensione fisica dei viventi”. Vedi SCHMITT, J. C., Medioevo superstizioso, Ed. Laterza, Roma, 2005, pp. 120–125 e CENERELLI, A., Senso della morte e revenants nel Medioevo, tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, 2011, pp. 10–19.

54 Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

(19)

rappresentazione figurativa56 che fanno da tramite ai concetti di colpa e di castigo eterno, concetti che si insinuano nel quotidiano del cristiano e fomentano in lui la paura della morte57. Per il cristiano la morte non è più infatti la fine di tutto, ma il passaggio che conduce ad una vita nuova di cui non si conoscono le caratteristiche; ecco che la morte non è temuta in quanto tale – si ha familiarità con essa – ma come momento che precede la formulazione di un giudizio inappellabile che può implicare la salvazione o la dannazione eterna dell’anima del defunto58.

1.1.4 – Secoli XIV e XV:

Arrivati al XIV e XV secolo la peste, le carestie e le guerre che imperversano per tutta l’Europa rendono la presenza della morte nel vissuto quotidiano sempre più forte ed opprimente per l’uomo. Da un punto di vista iconografico questa ossessione si traduce nella scoperta del cadavere ed assistiamo da questo momento in poi al diffondersi della contemplazione quasi morbosa del corpo che va incontro al fenomeno della putrefazione59. Questo corpo svuotato dall’anima è rappresentato, nelle tombe e nei manoscritti, nella forma del transi60, vera e propria mummia scarnificata nuda o avvolta nel suo sudario. Questo termine deriva dal verbo latino “transire” (dall’unione della preposizione “trans” ovvero “oltre, al di là” e “ire” ovvero “andare”) ed era usato in Francia tra XII e XVI secolo nella forma verbale “transir” cioè “morire”, “passare a miglior vita” o come sostantivo (“transi” o “transiz”) riferito al defunto61. Questo tipo di scultura si incentra sul tema della transitorietà, sul passaggio dal mondo terreno dei vivi

56 Rappresentativa a tale proposito si presenta la raffigurazione del giudizio universale (che prevede lo

spostamento del momento del giudizio alla fine di ogni vita), dell’Apocalisse, oltre che nell’apparizione di temi macabri nell’arte e nella letteratura (con un vivo interesse per le immagini della decomposizione fisica) e nel ritorno all’epigrafia funeraria e al desiderio di identificare le sepolture.

57 Morte intesa come atto che precede un lungo sonno che lo porterà al momento del giudizio finale. 58 Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico,

http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

59 Cfr. VOVELLE, M., 1993, p.78.

60 La rappresentazione del transi nel monumento funerario, del cadavere in piena decomposizione, ha

inizio a partire dal 1350 circa in Francia (Figg. 1 e 2). Ma è dal 1400 circa fino al ‘500 che queste raffigurazioni conoscono la massima espansione anche in altri paesi come l’Inghilterra, la Germania e la Svizzera ma non nei paesi mediterranei. Cfr. ibidem, p.80. Per approfondimenti vedi BARON, F., Le médecin, le prince, les prélats et la mort. L'apparition du transi dans la sculpture française du Moyen Âge in «Les Cahiers archéologiques», numéro 51, Paris, Picard, 2006, p. 125–158, COHEN, K., Metamorphosis of a death symbol : the transi tomb in the late middle ages and the Renaissance, University of California press, Berkeley, 1973 e PARKINSON, E., The presence and significance of skeletal and cadaveric imagery in visual sources from later medieval funerary, tesi di laurea, Dipartimento di Archeologia dell'Università di Sheffield, 2014.

(20)

a quello dei morti. Il corpo del defunto viene spogliato di ogni orpello e segno di nobiltà e viene rappresentato come un cadavere in avanzato stato di putrefazione, rinsecchito, dalla pelle lacerata e infestata da larve, rane e serpenti62. In alcuni casi, per meglio marcare lo statuto di cadavere di questi corpi, troviamo la scultura del transi associata, in una composizione a due piani, con la figura del defunto raffigurato com’era in vita63; questa doppia rappresentazione serve a rimarcare ulteriormente la vanità dei beni e della gloria terrena64. Il transi è pertanto inteso, nel gusto del macabro tipico del tardo gotico, come un vero e proprio memento mori65 ed agisce non solo come crudele simbolo della

vanità dell’esistenza66, ma anche come vero e proprio strumento di conversione67. Questa tipologia scultorea va inoltre inquadrata nel tentativo di alleggerimento di parte dell’ansietà provata dagli uomini di quei tempi, un’ansietà frutto del conflitto tra la vanagloria della vita terrena e la tradizionale richiesta d’umiltà tipica del cristianesimo68.

Il transi segna pertanto una rottura importante nell’iconografia del Medioevo ed è un curioso indizio lampante di come sia cambiata la visione della morte attraverso il tempo. Questa tipologia scultorea infine, rappresentando non genericamente la Morte, bensì uno specifico individuo defunto, va distinta dalle popolari figure di scheletri e corpi cadaverici che della Morte rappresentavano una personificazione astratta ed erano largamente usate

62 La decomposizione ha lo scopo di mostrare quello che non si vede, ovvero quel processo (che avviene

sotto terra ed è quasi sempre celato agli occhi dei vivi) che va ad intaccare il corpo in quanto essere biologico e ne decreta il disfacimento.

63 Spesso il defunto è raffigurato come se fosse un dormiente è accompagnato dai simboli del suo potere o

della sua carica terrena come corone, armature o corredi sacri. Cfr. PARKINSON, E., 2014, pp.20–32. (Vedi Figg.3,4)

64 Questo aspetto era poi ribadito dalle iscrizioni sopra il monumento funebre che si concentravano

soprattutto sulla futilità della vanagloria terrena (che si sarebbe voluta imperitura) opposta alla corruttibilità e all’inevitabile decadimento della carne. Cfr. COHEN, K., 1973, p.21.

65 Un discreto numero di queste tombe vennero fatte costruire dal committente prima della sua morte con

l’intento di servire come memento mori anche per coloro che le avevano fatte costruire, ricordando costantemente l’importanza di un comportamento retto al fine di evitare la dannazione. Cfr. ibidem, p.86.

66 Se in queste raffigurazioni vogliamo leggere violenza, essa non è però indirizzata nei confronti del

defunto bensì verso i vivi che contemplano la scena; esse infatti servivano a scuotere le coscienze e ricordare che la stessa sorte attende tutti noi, sia poveri che ricchi e potenti.

67 Alla sua contemplazione segue la brutalità dell’ammonimento, un reale appello a proseguire sulla

strada d’umiltà votandosi al pentimento. La necessità di presentarsi come umili al cospetto della Morte era sottolineata dalla condizione di nudità del corpo del defunto: nudità intesa sia come risultato del peccato, sia come preparazione alla resurrezione. Cfr. COHEN, K., 1973, p.57.

(21)

nelle Danze macabre69 o nei Trionfi della Morte70.

1.1.5 – La morte barocca, il fascino di un’ossessione:

Abbiamo visto come tra il XII e XV secolo prevalgano nell’uomo l’amore per i

temporalia ed un attaccamento viscerale alla vita, il quale si esprime in una vera e propria

meditazione sulla morte che Ariés chiama appunto “la mort de soi”. Tale meditazione si protrae anche durante il corso dei due secoli successivi, accompagnata da quelle sostanziali modifiche che divengono ben presto tratto distintivo dell’epoca barocca. Molteplici sono i fattori che negli ultimi decenni del Cinquecento e nella prima metà del Seicento incidono sul mutato atteggiamento dinnanzi alla morte: da un lato troviamo i contraccolpi di conflitti militari e di calamità epidemiche – vedi la guerra dei Trent’anni e le ondate di peste –, dall’altro le forti tensioni spirituali – come l’invasione mistica, la repressione della religiosità popolare sovente inglobata nella stregoneria, l’ordinamento gerarchico dell’aldilà con il consolidarsi della credenza del Purgatorio e l’eterodossia dell’élite libertina con la sua opposizione ai canoni della cultura ufficiale e alla rigidità dogmatica della Controriforma71. Nel Seicento la morte, non sempre distanziata e

69 Un altro genere molto diffuso che esplora il tema dell’incontro tra vivi e morti è quello delle Danze

macabre nelle quali, in ordine gerarchico e per ceto sociale, ad un vivo viene associato un suo “doppio” morto (Figg. 5, 6, 7). La diffusione di questo tipo di rappresentazioni inizia in modo continuo a partire dal 1350 e si desume che, nella forma originaria, esse non avessero nulla di religioso pur configurandosi sicuramente come una testimonianza del punto d’incontro tra la cultura popolare, intrisa di aspetti ereditati dalle fantasie precristiane, e la cultura d’élite. Nella danza macabra si ha la constatazione che nessuno sfugge alla morte e questo pensiero, per quanto amaro possa essere, è essenziale per riprendere il controllo su di essa (anche se constatare che nessuno sfugge alla morte è un modo assai amaro di

riprenderne il controllo). “È raffigurata la morte individuale, non vi è alcun abbandono rassegnato, bensì sorpresa; non ancora “scandalo” ma già lacerazione ed ingiustizia sono avvertite. La morte ha una funzione livellatrice ed eguagliatrice: essa è una rivincita sulle inuguaglianze della vita, l’implacabile rivelatrice delle false apparenze e vanità”. L’area di maggior diffusione di questo tema è quella del Nord Europa dove, in seguito a diverse trasformazioni, subirà un processo di cristianizzazione per cui la Morte verrà associata a temi religiosi. Cfr. VOVELLE, M., 1993, pp.83–86.

70 Laddove le danze macabre sono figurazioni prevalentemente riconducibili al contesto franco–

germanico, questo tipo di rappresentazione è invece tipicamente italiano. Qui la Morte è dapprima rappresentata in piedi o in volo in qualità di drago o demone con ali di pipistrello, poi come transi scarnificato divenuto col tempo vero e proprio scheletro (o “morte secca” che dir si voglia); solo successivamente questa personificazione si è trasformata nella “Morte a cavallo” con un chiaro

riferimento alle letture del libro dell’Apocalisse. La Morte colpisce all’improvviso ed indifferentemente giovani, dame e religiosi ignorando i lamenti dei poveri che invece la implorano (uno degli esempi più noti in ambito italiano è quello dell’affresco del palazzo Sclafani di Palermo risalente al 1445, fig.8). In questo contesto muterà anche la rappresentazione del movimento compiuto dalla Morte: partendo da furiosa e spaventosa cavalcata, essa si muoverà poi seguendo il lento ritmo di un corteo. La pacifica processione in cui essa è seduta su un carro trainato da buoi servirà non più dunque a incutere terrore, ma a favorire la meditazione in chi osserva la scena. Cfr. ibidem, pp.87 e sgg.

71 Cfr. BUCCINI, S., Sentimento della morte dal Barocco al declino dei Lumi, Ravenna, Longo, 2000,

(22)

incasellata in apposite e marginali coordinate spazio–temporali, è una pratica quotidiana”72. Anche se verso la fine del secolo si cominciano a manifestare segni d’intolleranza nei confronti di questa eccessiva familiarità con la morte, la coesistenza dei vivi e dei trapassati è di ordinaria amministrazione e viene brutalmente imposta durante le epidemie che, a intervalli più o meno ravvicinati, decimano la popolazione europea seminando il panico generale73. La promiscuità tra superstiti e defunti74 in questi

frangenti genera squilibri profondi e un’inevitabile, indiscreta curiosità nei confronti dei dettagli più raccapriccianti e ripugnanti della peste (la decomposizione, i gonfiori, il fetore), come prova la presenza di temi macabri raffigurati con eccessivo realismo nella letteratura e nell’iconografia75. Se da un lato si cerca di lenire il senso di impotenza e scoraggiamento attraverso la meditazione religiosa, dall’altro si tenta di sfuggire alla pressione della morte mediante un’esasperata esaltazione dei valori della vita. Questa seconda alternativa, spinta all’eccesso, coincide con uno smodato appello al carpe diem e, non di rado, degenera in sfrontati ed impudenti atteggiamenti di scherno nei confronti della realtà del vissuto quotidiano76. Se il processo di «tanatomorfosi» o il disfacimento organico aveva dominato la rappresentazione del macabro altomedievale soprattutto nella cultura d’oltralpe, guardando ad una realtà a noi più vicina – quella della tradizione letteraria e iconografica italiana dal basso Medioevo al Barocco –, notiamo subito che a prevalere è l’immagine del cranio77, inteso come esito finale del processo di decomposizione che intacca il corpo dopo il momento del trapasso78. La funzione emblematica dello scheletro nell’universo barocco diventa così l’incarnazione stessa di un’epoca e circa questo peculiare elemento del simbolismo macabro lo stesso Tenenti scrive:

“Lo scheletro ha attirato sempre più la sensibilità italiana per due ragioni. Da un lato esso, senza escluderlo del tutto, metteva in sordina il macabro ed evitava l’esibizione

72 BUCCINI, S., 2000, cit. p.8. 73 Cfr. ibidem, p.9.

74 Questa promiscuità tra morti e vivi costituisce uno degli aspetti più licenziosi dell’epoca barocca: nella

vita quotidiana del Seicento il culto del cadavere si manifesta sia in forme più o meno accettabili e tranquillizzanti come nel caso delle reliquie di santi e beati, che in casi di intollerabile necrofilia. Cfr. ibidem, p.54.

75 Cfr. ibidem, p.10. 76 Cfr. ibidem, p.11.

77 Il macabro, di cui abbiamo visto il parziale riflusso, si fa in epoca barocca più segreto, concentrandosi

nell’immagine allusiva e codificata del teschio. Cfr. VOVELLE, M., 1993, p.207.

(23)

delle membra sfatte o corrotte dai vermi posto allo spettacolo morboso della decomposizione, lo scheletro era una soluzione accettabile. Ma anche per chi voleva rappresentare in forma precisa ed umana il senso della morte, per chi ricercava una personificazione universalmente valida della potenza distruggitrice, lo scheletro era un eccellente risultato. Quella figurina, sottile e trasparente ma misteriosamente nervosa e attiva, divenne nelle prime decadi del Quattrocento la nuova e definitiva forma della Morte che le illustrazioni del terzo Trionfo petrarchesco dovevano consacrare e rendere comune a tutta l’Europa”79.

Oltre a Tenenti anche lo stesso Ariès sottolinea la funzione emblematica dello scheletro nell’universo barocco:

“Quindi la morte di questa seconda era macabra è, a un tempo, presente e lontana: non la si mostra più sotto l’aspetto di un uomo in decomposizione, ma sotto una forma che non è più quella dell’uomo: è quella di un essere fantastico come lo scheletro intelligente ed animato”80.

Altro tratto distintivo dell’epoca barocca è inoltre il rinnovato valore conferito al memento

mori, riproposto solitamente sotto forma di oggetti presenti sia nella quotidianità che nelle

arti figurative; in esso si incrociano il tema della fugacità del piacere ed il macabro, inteso come lavoro sotterraneo della corruzione81. Esso non è più soltanto un invito esclusivo

alla conversione e alla meditazione sulla brevità e inanità dell’esistenza terrena contrapposta a quella eterna perché, come sottolinea Ariès, “le immagini della morte e della decomposizione non esprimono paura del trapasso o dell’aldilà, ma sono il segno di un amore appassionato per questo mondo terreno e della coscienza dolorosa dello scacco a cui ogni vita umana è condannata”82. Scenari agghiaccianti come la conservazione delle reliquie dei santi o la creazione di cimiteri come quello dei Cappuccini di Palermo e di Roma – affollati di teschi, corpi mummificati, scheletri ricoperti da sai che ancora conservano un’apparenza di vita – testimoniano non solo una forte impennata del macabro, ma anche un’indiscussa compiacenza del trattamento del tema nell’arte della

79 TENENTI, A., 1989, cit. p.426. 80 ARIÉS, P., 1978, cit. p.384. 81 Cfr. BUCCINI, S., 2000, p.14. 82 ARIÉS, P., 1978, cit. p.146.

(24)

Controriforma trionfante83. Tra fine Cinquecento e la prima metà del Seicento vi è dunque una nuova attenzione per il corpo morto ed in questi anni si studia scientificamente la morte più che la malattia, il cadavere più che il malato. Ai medici e ai progressi della ricerca anatomica spetta il merito di aver risvegliato l’attenzione dell’uomo barocco per la morte corporale e di aver trasferito l’esperienza del decesso dalla sfera della trascendenza a quella della fisicità: “la conoscenza del corpo incuriosisce e seduce un vasto pubblico e si afferma come una moda sintomatica di una società che gusta profondamente le gioie esteriori della vita e che, allo stesso tempo, ama interrogarsi retoricamente sui misteri della dissoluzione”84.

1.1.6 – La morte illuminata, inquietudini e revisioni del Settecento:

Soltanto dopo il 1750 una svolta decisiva si manifesta nella storia sociale della morte nell’Europa occidentale. Accanto all’incremento demografico, la liquidazione definitiva della peste bubbonica contribuisce ad un sostanziale mutamento della sensibilità collettiva ma, come indica Vovelle, questa diversa attitudine si manifesta nella popolazione europea con una polivalenza di reazioni, essendo l’atteggiamento nei confronti della morte strettamente connesso alla varietà dei ceti sociali, alle condizioni ambientali e all’estrazione culturale del singolo85. Per quanto riguarda il primo Settecento, il mutamento si percepisce non tanto sul piano della sensibilità individuale – ancora intimamente radicata alla Weltanshauung e al sentimento religioso del Seicento – , quanto su quello speculativo e organizzativo86. Se ci soffermiamo ad analizzare il periodo del primo Settecento, possiamo notare che a trionfare sono il rigore scientifico e la riscossa erudita, elementi che, uniti all’esigenza di un metodo, invitano ad un’indagine oggettiva del fenomeno morte all’insegna della chiarezza, dell’igiene87 e della

prevenzione88. Per quanto riguarda il periodo settecentesco, il dibattito sulla morte ed il

morire si sviluppa in modo tortuoso e difficile da riassumere proprio a causa della sua

83 Cfr. BUCCINI, S., 2000, p.16. 84 Cfr. ibidem, cit. p.17.

85 Cfr. VOVELLE, M., 1993, p.325. 86 Cfr. BUCCINI, S., 2000, p.96.

87 Tra le norme da osservare in tempo di contagio le prevalenti sono la dislocazione dei cimiteri pubblici

dalla circoscrizione urbana, la sobrietà dei funerali per evitare il contatto con il cadavere, l’inumazione dei corpi infetti in fosse profondissime con molta terra e calce viva e la piombatura delle sepolture nelle chiese per prevenire esalazioni nocive. Cfr. ibidem, p.99.

(25)

natura elitaria, frammentaria e discontinua:

“Se l’era barocca si presenta plasmata da un’uniforme, o quasi, ossessione della morte che amalgama svariati strati culturali, quella illuminata si caratterizza per una discrepanza tra società colta e popolo e per un’ambigua coesistenza di revisionismo istituzionale e superstizione popolare. […] Il discorso degli illuministi sulla morte, pur insinuandosi fra strutture ancora arcaiche, spesso refrattarie a nuove sollecitazioni e non repentinamente malleabili, verte su questioni come la superstizione, la paura, il dolore e l’igiene che costituiscono le solide basi per un’interpretazione moderna del fenomeno”89.

Tipico del Settecento dei philosophes e dei riformatori è la svolta essenziale che si viene a creare nella storia sociale della morte a causa dello smantellamento della nozione cristiana del quotidie morior – dominante non solo nella letteratura religiosa, ma anche in quella secolare tra Sei e Settecento – ; altri elementi caratteristici sono poi il tentativo di controllare il momento del trapasso per meglio comprenderlo e porlo al vaglio della speculazione scientifica e la demistificazione della paura alla luce di un’indagine delle sue cause esogene”90. L’attitudine del Settecento nei confronti della morte non è pertanto sbrigativamente riducibile ad una rimozione e demistificazione di quest’ultima; nonostante infatti la seconda metà del secolo si distingua per un innegabile trionfo della vita nell’Europa occidentale, l’esistenza umana è ancora precaria e la morte continua ad essere onnipresente:

Non più intesa come un fenomeno inesplicabile e metafisico, la morte è insita nello stesso processo evolutivo della vita e delle sue forme e, come tale, non va temuta o illusoriamente fuggita. Come uno spettro osservato a distanza, essa termina di incutere spavento quando la si avvicina e la si studia secondo una prospettiva naturalistica”91.

89 Cfr. BUCCINI, S., 2000, cit. pp.111,112. 90 Ivi, cit.

(26)

1.1.7 – La morte dell’altro tra Sette e Ottocento:

Abbiamo visto nei paragrafi precedenti come l’elemento tipico del basso Medio Evo sia stato il gusto per il macabro, come l’ossessione mortuaria sia stata peculiare del Barocco tra Cinque e Seicento e come l’inclinazione al lugubre abbia caratterizzato il crepuscolo dei Lumi. Se fino agli inizi del secolo XVIII è ancora presente nella civiltà occidentale l’ineluttabile consapevolezza che la morte è la condizione stessa dell’essere, negli ultimi anni del Settecento, dopo la rigorosa ondata razionalistica, la lezione illuministica, i riverberi rivoluzionari e l’impennata del gusto lugubre, vediamo che le cose si modificano ed i termini del rapporto uomo/morte mutano ancora una volta forma e significato:

“A differenza della morte barocca, che si era manifestata attraverso un’indiscussa uniformità di forme e di contenuti, l’immaginario mortuario di fine secolo sembra orientarsi in tre direzioni: la rappresentazione elegiaca e malinconica di topoi cimiteriali mutuata dalla lirica sepolcrale nordeuropea, la visione neoclassica del morire raffigurato come atto fluido, in cui l’essere si lascia trascinare da un’ombra invisibile, la riproposta dell’orrore”92.

Philippe Ariés individua tra Sette e Ottocento una svolta significativa della storia sociale della morte nella cultura occidentale consistente in una graduale transizione dall’esclusiva coscienza della propria fine (che egli, come abbiamo visto, definisce la

mort de soi), all’intima riflessione su quella altrui (la mort de toi)93; nell’Ottocento l’uomo finisce per occuparsi meno della propria morte percependo maggiormente quella delle persone che lo circondano: la dipartita di un essere amato causa in chi resta un dolore estremo ed inconsolabile94. La vulnerabilità dell’altro è infatti anche la mia, mi tocca in prima persona e non può lasciarmi indifferente perché implica una presa di coscienza molto forte della propria fragilità95. Dalla fine del XV secolo si era assistito alla nascita del fortunato connubio Eros/Thanatos che fino al XVIII secolo troviamo sia in letteratura che in arte con moltissime immagini in cui Amore e Morte sono strettamente intrecciate96.

92 BUCCINI, S., 2000, cit. p.155. 93 Cfr. ibidem, p.172.

94 La morte romantica, con i suoi contenuti retorici, ispirerà il nuovo culto delle tombe e dei cimiteri. 95 La scomparsa dell’altro costituisce, allora, la condizione essenziale dell’intima presa di coscienza della

cognizione della transitorietà e della fine.

96 Thanatos ed Eros, erano uniti all’interno di quei temi erotico – macabri che testimoniano un interesse

(27)

La morte, come l’atto sessuale, viene sempre più considerata come una trasgressione, una rottura che sottrae l’uomo dal suo vivere quotidiano per gettarlo, come afferma Ariès, in un mondo irrazionale, violento e crudele97. Col periodo romantico interviene poi un’ulteriore modifica nella percezione della morte da parte degli occidentali: questa tematica si discosta ben presto dall’ambito erotico – di cui perde le caratteristiche sublimate e ridotte nella bellezza – ed il morto, non più desiderabile, diventa essenzialmente ammirevole nella propria delicata bellezza98. Da questo momento in poi si assiste alla vera e propria nascita di un nuovo stato d’animo, di una nuova sensibilità, ed anche i rituali legati al lutto verranno modificati poiché al mutamento della sensibilità collettiva corrisponde l’adozione di consuetudini funerarie e rituali orientate in una direzione più intimistica, entrambi aspetti che implicano l’emarginazione del fenomeno morte in uno spazio istituzionale apposito come un laboratorio di anatomia, un ospedale, un obitorio o un cimitero situato oltre il perimetro cittadino99. Prevalentemente negli

ultimi due decenni del Settecento, con l’instaurazione di una diversa coesistenza tra vivi e morti100, emergono anche nuovi valori come la coscienza del ricordo ed il diritto alle lacrime. Il lutto, nella forma che lo caratterizza fino al XVIII secolo, segue infatti regole fissate dalla consuetudine e si articola seguendo un duplice scopo: da una parte costringe la famiglia a manifestare il dolore per la recente perdita – anche se questo dolore talvolta non viene realmente avvertito a livello emotivo –, dall’altra consente invece a chi fosse realmente stato toccato dalla perdita in modo profondo di contenere i proprie eccessi nella

sculture del Bernini L’estasi di Santa Teresa (fig. 9) e La beata Ludovica Albertoni (fig. 10) dove, rappresentando l’unione mistica tra Dio e le sante, l’artista avvicina le immagini dell’agonia a quelle di uno spasimo amoroso. Cfr. GHINASSI, A., La percezione della morte nella società occidentale: un percorso iconografico, http://www.ampess.it/relazione%20thanatos%20ghinassi.pdf.

97 Cfr. ivi.

98 Il “bel cadavere” sarà quello che si cercherà di immortalare nella fotografia mortuaria (pratica

fortemente assimilabile a quella molto più antica del ritratto post mortem) o quello che si cercherà di conservare eternamente grazie a tecniche d’imbalsamazione sempre più perfezionate tra Ottocento e Novecento e molto diffuse negli Stati Uniti.

99 Cfr. BUCCINI, S., 2000, p.172.

100 Dagli anni Sessanta del Settecento in vari paesi europei inizia a diradarsi, e non solo per motivi

sanitari, la sepoltura nelle chiese. Si programma pertanto la creazione di un nuovo spazio destinato ai defunti che sia al di fuori del perimetro urbano (per approfondimenti vedi CANELLA, M., 2010, pp. 20 – 25), riforma motivata anche da una lotta ideologica contro il monopolio delle pratiche funerarie da parte degli ordini religiosi. Le ragioni che spingono ad esiliare i morti lontani dalla città sono poi infine di natura emotiva e sentimentale: i defunti, distaccati dalla promiscuità quotidiana che fino ad ora li legava ai vivi, possono ora essere onorati con più devozione in quanto dignitosamente appartati. Bisogna quindi allontanarli non per sbarazzarsene ma per “amarli meglio”. Cfr. ibidem, p.173.

Riferimenti

Documenti correlati

Analisi descrittive (Area Esaurimento, Area Cinismo, Area Inadeguatezza). Discussione

Kanner descriveva undici bambini (nove maschi e due femmine) giunti a sua osservazione che presentavano nove caratteristiche comuni che avrebbero definito la

La Descemet Stripping Automated Endothelial Keratoplasty (DSAEK) è un trapianto corneale proposto come alternativa alla cheratoplastica perforante (PK) in casi di

are typical of “frozen” η 1 -allyl species with the allyl group bound to the central metal through the unsubstituted terminal carbon atom.. In addition, the 3 J(H –H) value of 15.6

Hypocalcaemia as a reversible cause of acute heart failure in a long-term survivor of childhood cancer.. EJCRIM

The figures of 1- and 2-year overall survival (84.8% and 56.2%) and median survival projection (29 months) of our patients are within the wide range of values reported in

3 Also at State Key Laboratory of Nuclear Physics and Technology, Peking University, Beijing, China. 4 Also at Institut Pluridisciplinaire Hubert Curien, Université de