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Applausi nel cassetto. Riferimenti intertestuali nel romanzo Sertarul cu aplauze di Ana Blandiana

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

Guida alla lettura

Capitolo I – L'autrice, il contesto, il romanzo

1. Ana Blandiana: donna, figlia, scrittrice, cittadina 1.1. Donna: l'inizio

1.2. Figlia: l'intreccio

1.3. Scrittrice: il percorso, la carriera, la censura 1.4. Cittadina: del mondo

2. Romania: un cassetto da aprire

2.1. Dalle origini al secondo dopoguerra 2.2. Il comunismo al potere

2.3. L'epoca dei Ceaușescu

Capitolo II – Commento traduttologico

1. Premessa

1.1. Nomi propri e geografici, termini istituzionali e culturali

1.2. Il dialogo fra la contadina Paraschiva e l'agente della Securitate 1.3. I termini della Securitate

Capitolo III – I riferimenti intertestuali nel romanzo

1. Sertarul cu aplauze: un cassetto pieno di sorprese 2. Cenni storici sull'intertestualità

2.1. L'intertestualità l'evoluzione del sistema letterario

2.2. L'intertestualità e la letteratura postmoderna: L'Eco nel testo 3. Riferimenti intertestuali nel testo

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3.2. Non vorrei davver che un giorno tu dovessi alfin conoscerci 3.3. Sutor, ne supra crepidam!

3.4. La poesia 3.5 I nomi

3.6. La natura umana non può sopportare che pochissima realtà 3.7. Il caso del bisonte e il ruolo del lettore critico

Bibliografia

Sitografia

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Guida alla lettura

Al fine di facilitare il più possibile la lettura del testo, ho deciso di introdurre questa breve guida, in quanto l'alfabeto della lingua romena presenta alcune variazioni rispetto a quello della lingua italiana. Nella lingua romena, infatti, vi sono due consonanti e tre vocali (due delle quali sono omofone e differiscono solamente per grafia) assenti nella lingua italiana. Vi sono poi altre lettere che, pur avendo la grafia uguale a quella italiana, hanno una pronuncia diversa. Di seguito la lista dettagliata:

Lettera nell'alfabeto

romeno Lettera nell'alfabetofonetico Pronuncia

Ă – ă /ə/ Come la vocale a nella

parola inglese about Î – î

â

/ɨ/ Suono intermedio fra i e

u (vocale centrale chiusa)

H – h /h/ Suono aspirato come

nella parola inglese hotel

J – j /Ʒ/ Come la j nella parola

francese jour

S – s /s/ Come la consonante s

nella parola italiana sole

Ș – ș /ʃ/ Come il digramma sc

nella parola italiana scena

Ț – ț /ʦ/ Come la consonante z

nella parola italiana milza

Z – z /z/ Come la consonante s

nella parola italiana rosa La norma ortografica della doppia grafia del fonema /ɨ/, in vigore fino al 1948, è stata poi reintrodotta nel 1993. La regola è che Î – î vengano utilizzati a inizio o fine di parola e solo all'interno di parole composte prefissate. La grafia â, invece deve essere usata all'interno di tutte le altre parole.

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Introduzione

La prima volta che ho letto il romanzo Sertarul cu aplauze, mi sono trovata immersa in un mondo che, pur già conoscendo storicamente grazie ai miei studi, non riuscivo a capire fino in fondo. Non riuscivo a capacitarmi dell'assurdità di una situazione, come quella della Romania degli anni ottanta, in cui un intero popolo era abbruttito, infelice, sottomesso, eppure continuava a essere statico e passivo. Ana Blandiana, però, col suo stile e, sopratutto con i cenni nascosti all'interno del testo, mia ha “parlato” e mi ha portata a capire questo paradosso, a cogliere quello che c'era dietro tutta questa situazione. Ho deciso allora che avrei voluto portare alla luce queste questioni, per condividerle con chi ne sarebbe stato incuriosito, come lo ero stata io.

Ho strutturato la mia tesi, intitolata “Applausi nel cassetto. Riferimenti intertestuali nel romanzo Sertarul cu aplauze di Ana Blandiana”, in maniera tale da far percorrere a un eventuale lettore una sorta di “strada gnoseologica”, un tragitto che passo dopo passo lo guidi verso la comprensione delle questioni affrontate dall'opera.

Il primo capitolo inizia con la presentazione della vita e dell'attività letteraria della scrittrice. All'interno di questa sezione mi sono concentrata anche su due aspetti che, pur non riguardando la persona fisica di Blandiana, contribuiscono a capirne lo spirito. Uno di questi riguarda la figura del padre, figura che influirà sia sulla vita che sulla produzione letteraria della donna, mentre l'altro riguarda i luoghi che più hanno segnato la scrittrice, ovvero il villaggio Blandiana (villaggio natale della madre, e pseudonimo della scrittrice) e Comana, luogo di residenza della coppia Blandiana-Rusan dopo il traumatico terremoto del 1977, dove la donna riuscirà finalmente a vivere una vita tranquilla e semplice, cosa che influirà in maniera decisiva sui suoi scritti. Ho poi inserito un excursus storico riguardante la storia della Romania, che è fondamentale a mio avviso per la completa comprensione del romanzo. Ho concluso il capitolo concentrandomi, infine, sull'opera, presentandone gli aspetti più rilevanti e cercando allo stesso tempo di offrire un quadro chiaro della situazione che vi veniva narrata.

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Il secondo capitolo è incentrato, invece, sui problemi che la sua traduzione mi ha posto di fronte. La prima parte è una premessa in cui ho esposto, argomentandolo, il percorso di traduzione che ho scelto di intraprendere. Ho poi discusso alcune delle mie scelte traduttive, portando come esempi concreti dal testo i passi che più mi sono sembrati rilevanti. Il capitolo, nel suo complesso, mira a mettere in luce le difficoltà che un testo simile può presentare (soprattutto a livello lessicale, in quanto vi sono sia alcuni realia fondamentali per la comprensione del testo, che alcuni concetti i quali, essendo tipici del mondo comunista romeno non sono proprio di immediata comprensione per un lettore occidentale, e in particolare per quello italiano).

Il terzo capitolo, invece, è incentrato sui riferimenti intertestuali presenti nel testo. Anche qui ho mi sono concentrata a mettere in luce i riferimenti presenti nella parte di testo tradotta. Nella prima parte ho trattato l'evoluzione del concetto di intertestualità, presentando vari punti di vista di altrettanti studiosi che se ne sono interessati. Ho poi esposto più dettagliatamente il concetto di intertestualità sviluppato da Umberto Eco, al quale mi sono ispirata in particolare per l'analisi del mio lavoro. Infine ho illustrato vari esempi di riferimenti intertestuali estrapolati dal testo, interpretandoli e cercando di riscontrare il loro legame col romanzo, e, allo stesso tempo, focalizzandomi su ciò che, a livello enciclopedico, potevano trasmettere a me come lettore. Il mio intento, infatti, era quello di dimostrare quanto il romanzo non sia romeno-centrico, ma, al contrario, riesca a comunicare con un pubblico internazionale, poiché molti argomenti sono tratti e correlati a opere della cultura europea e, più in generale, legati a concetti universali della cultura enciclopedica.

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Capitolo I

L'autrice, il contesto, il romanzo

1. Ana Blandiana: donna, figlia, scrittrice, cittadina 1.1. Donna: l'inizio

Otilia Valeria Coman, (vero nome della scrittrice Ana Blandiana) è nata il 25 marzo 1942 a Timișoara, importante città della Romania, situata nella parte sud-occidentale del Paese. La donna è la primogenita (Geta, la sorella, nascerà nel 1947) della ragioniera Otilia Diacu e del prete ortodosso Gheorghe Coman. Nel 1944, quando la Transilvania settentrionale viene nuovamente ceduta alla Romania, dopo 4 anni di occupazione ungherese, la famiglia Coman si trasferisce a Oradea, storica città romena situata quasi al confine con l'Ungheria, dove il padre presta servizio come prete della cattedrale. Qui Balndiana si iscrive al liceo nel 1955 e si diploma nel 1959. Sarà alunna del professore Eugen Groza, anche lui scrittore di teatro e prosa, e della professoressa di storia Eleonora Ile, il cui patriottismo, intelligente e allo stesso tempo patetico, la segnerà per tutta la vita, a tal punto, da farle sentire il bisogno, da quel momento in poi, di rapportare sempre il proprio destino a quello collettivo.1

Nel 1960, all'età di 18 anni, sposa lo scrittore romeno Romulus Rusan.

1.2. Figlia: l'intreccio

Prima di continuare a parlare della carriera di Ana Blandiana, è importante soffermarsi su uno degli aspetti più importanti della sua vita, che la segnerà per sempre: la figura del padre.

Gheorghe Coman, nato nel 1915, diventa prete nel 1940 e viene mandato al fronte in Cecoslovacchia come confessore militare nel 1943. Finita la guerra, dopo vari incarichi, viene mandato infine a Oradea dove professerà nella cattedrale della città. È un periodo buio per la Romania, sottoposta in quelli anni al regime di stalinizzazione, dove per motivi politici moltissime persone vengono

1 Cfr. Biografie, Cronologia…, in http://www.anablandiana.eu/, disponibile all'indirizzo http://www.anablandiana.eu/pop-up/cronologia_anablandiana.htm (ultima consultazione 30/05/2016)

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imprigionate e costrette a condizioni di vita inumane o mandate nei campi di lavoro forzato.

Nel 1947 viene arrestato anche padre Coman con l'accusa di essere “nemico del popolo”. La polizia segreta, la Securitate, entra a casa sua quando ci sono solo la piccola Ana, di 6 anni, e Gheorghe. Approfittando di un momento di distrazione, gli agenti mettono una pistola in un cassetto per trovare un pretesto e arrestare Coman. Da quel giorno, il prete sarà perseguitato, subirà vari processi e verrà condannato a un totale di 12 anni di prigione. Morirà in un'incidente d'auto, poco dopo la scarcerazione, ottenuta grazie all'amnistia del 1967.

La vicenda del padre segnerà per sempre la vita e la produzione di Blandiana in quanto, fin da bambina, si è sentita responsabile dell'incarcerazione del padre, avendo assistito come unica testimone all'assurda vicenda del suo arresto. Questo la porterà a dover scrivere sotto pseudonimo ma, nonostante tutto, sarà comunque perseguitata dalla censura a causa dello status del padre. Per di più, anche la sua carriera universitaria dipenderà dal fatto di essere figlia di un detenuto per motivi politici: dovrà infatti aspettare quattro anni dopo il conseguimento del diploma prima di ricevere l'autorizzazione delle autorità per poter proseguire gli studi presso la Facoltà di filologia dell'Università di Cluj-Napoca, dove si iscriverà nel 1963.

1.3. Scrittrice: il percorso, la carriera, la censura

Ana Blandiana è una scrittrice precoce. Nonostante le antologie indichino il 1954 come anno di debutto,2 in realtà la prima poesia, intitolata Dragostea de

țară, viene pubblicata nel 1956 sulla rivista «Cravata roșie», firmata Doina P. Coman.3 Blandiana stessa, però, indica come debutto ufficiale l'anno 1959,

quando sulla rivista «Tribuna» appare la poesia Originalitate, firmata con lo pseudonimo che da quel momento in poi utilizzerà per tutte le opere.4 Nello stesso

anno vengono pubblicate due poesie (Originalitate e Ploaia) anche nel volume di

2 Cfr. M. Zaciu, M. Papahagi, A. Sasu (a cura di), Dicționarul scriitorilor români, vol. 1, București, Editura Fundației Culturale Române, 1995-2001, p. 294

3 Cfr. M. Dumitrescu, Debutul Anei Blandiana, in «Convorbiri literare», 2012, n. 3, disponibile all'indirizzo http://convorbiri-literare.dntis.ro/DUMITRESCUmar12.htm (ultima consultazione 31/05/2016)

4 Cfr. Biografie, Cronologia…, in http://www.anablandiana.eu/ disponibile all'indirizzo http://www.anablandiana.eu/pop-up/cronologia_anablandiana.htm (ultima consultazione 31/05/2016)

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poesia collettiva intitolato Sub semnul revoluției. 30 de tineri poeți.5 Dopo questa

ultima pubblicazione, fra il 1960 e il 1963, avrà l'interdizione di pubblicare, in quanto figlia di un detenuto politico.6 In realtà, la questione è molto più subdola,

tipica del periodo stalinista (ai tempi la Romania era governata dai filo-stalinisti, con a capo Gheorghe Gheorghiu-Dej), in quanto la circolare delle autorità non impone propriamente l'interdizione di pubblicazione, ma lascia intendere che le opere consone alla pubblicazione possono essere soltanto quelle riguardanti dei temi ben specifici, accettati dal regime (e implicitamente funzionali a esso). Di fatto, quindi, l'autrice (e, in generale, tutti gli scrittori dell'epoca) è come rinchiusa in una gabbia, e non ha un'effettiva libertà. Da qui nasce, dunque, la questione del suo “ri-debutto”, che avviene nel 1963, sulla rivista «Contemporanul».7

Finiti gli studi, nel 1967, si trasferisce a Bucarest dove lavora per un anno (1967-1968) nella redazione della rivista «Viața studențească» e poi in quella della rivista «Amfiteatru» (1968-1975). Dal 1967 al 1970 tiene mensilmente su «Amfiteatru» una rubrica di saggi sui poeti morti in giovane età. Dal 1975, dopo essere stata obbligata a dare le dimissioni da «Amfiteatru», inizia a lavorare come bibliotecaria presso la biblioteca dell'Istituto di Arti Plastiche di Bucarest, posto che ricoprirà fino al 1977.

Dal 1968 al 1973 tiene sulla rivista «Contemporanul» la rubrica settimanale “Antijurnal”, che cambierà nome in “Corespondențe” (nel 1972). In seguito, dal 1974 al 1988 tiene la rubrica “Atlas” sulla rivista «România literară».8

Il debutto editoriale avviene nel 1964, con il volume di poesia Persoana întîia plural. Con i successivi volumi, Călcîiul vulnerabil (1966) e A treia taină (1969) si impone nel panorama poetico dell'epoca come una fra i più rappresentativi esponenti del periodo, sviluppando temi affini e caratteristici allo spirito della generazione letteraria alla quale appartiene, come la meditazione sulla condizione etica dell'essere umano di fronte a delle scelte decisive. Con i volumi successivi Octombrie, Noiembrie, Decembrie (1972), Somnul din somn (1977),

5 Cfr. AA.VV., Sub semnul revoluției. 30 de poeți tineri, București, Editura de Stat pentru Literatură, 1959

6 Cfr. I. Bodea, Ana Blandiana. Monografie, antologie comentată, receptare critică, Brașov, Editura AULA, 2000, p. 92

7 Cfr. M. Dumitrescu, Debutul Anei Blandiana, in «Convorbiri literare», 2012, n. 3, disponibile all'indirizzo http://convorbiri-literare.dntis.ro/DUMITRESCUmar12.htm (ultima consultazione 31/05/2016)

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Ochiul de greier (1981), Ora de nisip (1983) e Stea de pradă (1985), si riscontra anche una maturazione dell'autrice, che si rispecchia nei temi trattati, come la tensione fra una purezza ideale e una severa lucidità e la precarietà della condizione biologica dell'uomo, come anche la malinconia dei riscoperti ritmi elementari dell'esistenza velati, però, da un'intensa irrequietezza. Sono temi che accompagneranno sempre l'autrice nel suo percorso creativo, e impregneranno tutta la sua produzione letteraria successiva.9 Nel 1984 pubblica sulle pagine di

«Amfiteatru» quattro poesie di aperta protesta e critica contro il sistema, fra cui Cruciada copiilor, in cui denuncia la follia della politica antiabortista praticata in quegli anni e Totul, una semplice lista di parole che racchiudono nel loro significato tutto il triste universo della delirante dittatura di Ceaușescu (la poesia sarà pubblicata con una traduzione parafrasata addirittura sul famoso quotidiano «The Independent»). Questi versi saranno di nuovo motivo di scontro con le autorità, e infatti, nell'anno successivo avrà il divieto di firmare e pubblicare. Nonostante la censura, però, questi componimenti circoleranno comunque in forma manoscritta, costituendo l'unico esempio di una forma di samizdat della letteratura romena.10

Dopo la caduta del regime comunista di Nicolae Ceaușescu, nel dicembre 1989, continuerà a comporre poesia e pubblicherà i volumi Arhitectura valurilor (1990), Soarele de apoi (2000), Reflexul sensurilor (2004) e Patria mea A4 (2010).

Molto importanti sono anche i quattro volumi di poesie per bambini, ovvero Întîmplări din grădina mea (1980), Alte întîmplări din grădina mea (1983), Întîmplări de pe strada mea (1988) e Cartea albă a lui Arpagic (1998). Nel 1988, dopo la pubblicazione del terzo volume di versi per bambini, la scrittrice riceve il colpo di grazia da parte da parte del regime, che negli anni era diventato sempre più repressivo, raggiungendo l'apice nella seconda metà degli anni ottanta. Il pubblico, infatti, capisce che sotto i versi per bambini si nasconde, in realtà, un graffiante pamphlet politico di aspra critica al regime e alla megalomania del dittatore Ceaușescu, la cui parodia è proprio la figura di Arpagic, il gatto

9 Cfr. M. Zaciu, M. Papahagi, A. Sasu (a cura di), op.cit., pp. 294-295

10 Cfr. B. Mazzoni, Ana Blandiana. L'ombra delle parole, in B. Frabotta (a cura di), Poeti della malinconia, Roma, Donzelli editore, 2001, pp. 276-277

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protagonista del ciclo di poesie. A questo punto, però, non si tratta più soltanto di un divieto di pubblicare e firmare le proprie opere, ma tutti i suoi vecchi libri vengono ritirati dalle biblioteche e dalle librerie, e viene censurato qualsiasi riferimento o citazione contenente il suo nome. Questa vicenda suscita scalpore nei mass-media di tutto il mondo e la scrittrice trova solidarietà tra le fila degli intellettuali dell'epoca (un episodio emblematico, ad esempio, è l'iniziativa del poeta italiano Andrea Zanzotto e del professore Lorenzo Renzi dell'Università di Padova che insieme ad altri trenta intellettuali italiani firmano una lettera di protesta). Come conseguenza viene annunciata la pubblicazione e il libro viene finalmente rimesso in commercio, per poi essere rapidamente ritirato pochi giorni dopo, senza dare troppo nell'occhio. La diffusione del libro, però, continua sul mercato nero e successivamente, dopo la rivoluzione del 1989, verranno messi in commercio gli esemplari rimasti nei depositi.

Per quanto riguarda la produzione saggistica, pubblica il primo volume di saggi intitolato Calitatea de martor nel 1970, al quale seguiranno Eu scriu, tu scrii, el, ea, scrie (1976), il volume di appunti di viaggio Cea mai frumoasa dintre lumile posibile (1978), Coridoare de oglinzi (1983), Autoportret cu palimpsest (1986), e, dopo una pausa di quattordici anni, Ghicitul in mulțimi (2000), Cine sunt eu? (2001), per finire con Fals tratat de manipulare (2013).

Nel 1977 pubblica Cele patru anotimpuri, il suo primo volume di racconti fantastici in prosa (che sarà inizialmente respinto dalla censura con la motivazione “tendenze antisociali”),11 al quale seguiranno Proiecte de trecut (1982), racconto

parabolico di stampo etico-politico – anch'esso bloccato dalla censura, ma pubblicato comunque dopo il conferimento all'autrice del premio internazionale Herder – e Orașul topit si alte povestiri fantastice (2004). Nel 1992 pubblica anche il suo primo e unico romanzo, Sertarul cu aplauze.

In collaborazione col marito Romulus Rusan pubblica anche due volumi di interviste a vari intellettuali, rappresentanti della cultura romena, intitolati Convorbiri subiective (1972) e O discuție la Masa Tăcerii (1977).

Oltre le prime edizioni dei vari volumi, vengono pubblicati inoltre numerose

11 Cfr. Biografie, Cronologia…, in http://www.anablandiana.eu/, disponibile all'indirizzo http://www.anablandiana.eu/pop-up/cronologia_anablandiana.htm (ultima consultazione 31/05/2016)

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ristampe e varie raccolte, sia di poesie che di componimenti in prosa. Le sue opere sono tradotte e pubblicate in molti paesi europei ed extraeuropei sia prima che dopo la caduta della cortina di ferro.

Dal 1965 partecipa a numerosi festival di poesia in patria e all'estero, e, successivamente alla caduta del regime terrà anche varie conferenze presso alcuni fra gli atenei più importanti d'Europa, facendo tappa anche in Italia (nel 1991 e nel 2005 all'Università di Roma, nel 2003 all'Università di Firenze e all'Università di Pisa e nel 2004 all'Università di Padova).

Ana Blandiana è vincitrice di molti premi letterari nazionali e internazionali, fra i quali il Premio per la poesia dell'Unione degli Scrittori della Romania (1969), il Premio internazionale “Gottfired von Herder” di Vienna (1982) , il Premio Internazionale “Giuseppe Acerbi” per la poesia e il Premio Internazionale Camaiore, tutti e due del 2005.

Oltre a essere una scrittrice di fama internazionale, Blandiana è da sempre attivamente impegnata nella vita civile e politica della Romania. Nel dicembre del 1989, in piena rivoluzione, viene nominata, a sua insaputa, Vice-presidente del Consiglio provvisorio del Fronte di Salvezza Nazionale, carica che rifiuterà il 26 dicembre, scegliendo comunque di continuare a far parte del FSN. Nel gennaio del 1990, però, si dimette da tale organo, quando viene presa la decisione di trasformarlo in partito e concorrere alle elezioni politiche di maggio dello stesso anno. Il partito risulta vincitore, ma nella popolazione (e specialmente fra gli studenti, i quali sono stati i principali promotori e anche le principali vittime della rivoluzione di dicembre) cresce il malcontento verso il partito, poiché molti dei suoi membri sono ex gerarchi del vecchio Partito comunista. A questo punto la Piazza dell'Università di Bucarest viene occupata e ad aprile 1990 Blandiana parla ai manifestanti, schierandosi a favore di un'azione volta a portare il Paese verso una reale democrazia. A novembre dello stesso anno promuove la fondazione del movimento Alleanza Civica, di cui diventerà presidentessa. Nel 1993 promuove la realizzazione del Centro di studi del Museo della Memoria di Sighetu Marmației, dove era presente una delle più famigerate carceri per detenuti politici di stampo staliniano. Nel maggio 1990, su proposta di alcuni colleghi del PEN International,

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rifonda anche il PEN Club Romania, diventandone la presidentessa.12 Il suo

costante impegno nella vita civile, Ana Blandiana riceve numerose onorificenze, fra le quali, ad aprile del 2014, anche la prestigiosa distinzione del Dipartimento di Stato degli USA, “Donne coraggiose nel mondo”.

1.4. Cittadina: del mondo

Ana Blandiana è sempre stata una viaggiatrice. Durante il periodo comunista viaggiare era un lusso che poche persone si potevano permettere e anche chi ne aveva le possibilità doveva fare i conti con le autorità e la burocrazia. Durante la dittatura di Ceaușescu molte persone rischiavano tutto pur di fuggire dalla Romania. Ana Blandiana, però, pur avendone forse avuto la possibilità non l'ha mai fatto. Ha viaggiato, ma è sempre tornata in patria, cercando, attraverso la letteratura, di condividere con i suoi concittadini le sue esperienze. Non ha mai nutrito il desiderio di far parte di quella categoria che si potrebbe definire di “esiliati”, poiché il bisogno di un posto da chiamare “casa” è sempre stato molto forte il lei. Una scelta, questa, peculiare e anche in controtendenza, forse, rispetto alla maggioranza, dettata però dalla convinzione che l'esilio porti all'assenza di un punto di riferimento, e che quella vita su due piani, definita dalla scrittrice stessa come “una dolorosa schizofrenia”, sia deleteria per la scrittura e per l'esistenza stessa. D'altronde il suo pubblico era innanzitutto quello in patria, quello con cui condivideva l'esperienza di vita e per cui lei componeva, quello che le dava la forza di scrivere, poiché più i suoi componimenti venivano censurati e più loro li leggevano.13

Nel 1966 esce per la prima volta dal “recinto” comunista per andare in Finlandia, come partecipante al Festival internazionale della poesia di Lahti. Nel maggio del 1968 è a Parigi, presso il Teatro Nazionale, e ha la possibilità di assistere ai celebri movimenti di rivolta del Maggio francese. Pochi mesi dopo, in estate, accompagna in Cecoslovacchia il marito Romulus Rusan, invitato dal governo ceco per documentarsi e scrivere un testo sulla Primavera di Praga. Nel 1969 è la volta dell'Italia: un viaggio fra i musei e gli scavi archeologici che per la

12 Cfr. B. Mazzoni, op. cit., p. 277

13 Cfr. G. Astefanei, Interviu cu Ana Blandiana, in «cu și despre oameni...», 2012, disponibile all'indirizzo http://giorgianaastefanei.blogspot.it/2012/03/interviu-cu-ana-blandiana.html (ultima consultazione 03/06/2016)

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scrittrice sarà come un'epifania, in quanto, come lei stessa affermerà, porterà un contributo decisivo alla sua crescita intellettuale, insieme alla scoperta della musica classica.14 Da dicembre 1973 a maggio 1974 è negli Stati Uniti insieme al

marito, dove entrambi partecipano al International Writing Program dell'Univerità di Iowa-City. Da aprile a marzo del 1974 intraprendono anche un viaggio in autobus in giro per gli USA. Nel Nel 1982 sarà a Vienna per ritirare il premio Gottfried von Herder. Nei tre mesi successivi al conferimento di tale premio, la coppia Blandiana-Rusan intraprenderà un altro viaggio importante, alla scoperta delle antiche culture del Mediterraneo, passando per Egitto, Israele, Grecia, Roma e Istanbul. Nel 1986, il regime la colpirà ancora, in quanto le sarà impedito di partecipare a una lettura di poesie a Covent Garden a Londra, poiché non le verrà rilasciato il visto. Dopo la caduta de regime, Ana Blandiana continuerà a viaggiare più di prima, facendosi conoscere in tutto il mondo.

I viaggi all'estero, però, si intrecciano con i viaggi fatti in patria. Sin da bambina, infatti, la scrittrice si è spostata (sia insieme alla famiglia che da sola) da una città all'altra della Romania. Sono più precisamente tre i luoghi che hanno una valenza particolare per la scrittrice: Bucarest, la città dove ancora oggi vive, Blandiana il villaggio di origine della madre, e Comana, un villaggio della pianura del Danubio.

C'è da dire che Ana Blandiana ha con lo spazio rurale romeno un legame molto forte. Ciò emerge sia dal fatto che il suo pseudonimo, scelto alla giovanissima età di 17 anni, è il nome del villaggio natale della madre, che dalle sue dichiarazioni riguardanti una sorta di invidia verso i colleghi scrittori che hanno avuto la fortuna di nascere in un contesto rurale. Come lei stessa afferma, infatti, il fatto di essere nata, cresciuta e vissuta in contesti urbani (Timișoara, Oradea, Cluj-Napoca e, infine, Bucarest), nonostante le abbia permesso di frequentare contesti culturali diversi, permettendole sia una crescita intellettuale che lavorativa, non ha mai soddisfatto appieno la sua ricerca di radici più profonde, di maggiore autenticità. Dopo essersi trasferita a Bucarest, nel 1967, città che le offrirà molte possibilità in campo lavorativo, sceglie, insieme al

14 Cfr. Biografie, Cronologia…, in http://www.anablandiana.eu/, disponibile all'indirizzo http://www.anablandiana.eu/pop-up/cronologia_anablandiana.htm (ultima consultazione 02/06/2016)

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marito, di cambiare vita dopo il devastante terremoto del 4 marzo 1977 in cui lui era rimasto sotto le macerie del palazzo in cui vivevano, rischiando di morire. Lo stato riassegna loro un appartamento ai piani alti di un altro palazzo, ma lo rifiutano e decidono di trasferirsi a Comana, un piccolo villaggio nella pianura danubiana. Qui la Blandiana viene finalmente a contatto con la tanto agognata vita ancestrale dei contadini e col tempo dilatato della campagna, riuscendo a sopportare meglio anche le angherie del regime. Finalmente può vivere in prima persona tutto ciò che prima viveva soltanto parzialmente, quando andava a trovare la zia, che abitava fuori città. È un cambiamento di vita radicale, che la renderà più felice e la avvicinerà di più a quelle piccole cose che da sempre aveva sognato di poter fare, come cibarsi dei prodotti della terra nati dal suo lavoro e immergersi nella natura e nella vita bucolica, regolata da altri ritmi e meno permeata dai ritmi e dalle regole imposte dalla società. Tutto ciò, inevitabilmente, si rispecchierà nella sua produzione letteraria successiva a questa “epifania”.15

15 Cfr. L. Ungureanu, INTERVIU Ana Blandiana, poetă: „Am fost ucenică de zidar“ (17 settembre 2011), in «Adevarul», disponibile all'indirizzo http://adevarul.ro/life-style/stil-de-viata/ana-blandiana-poeta-am-fost-ucenica--zidar-1_50b9f9ce7c42d5a663ad7048/index.html (ultima consultazione 02/06/2016).

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2. Romania: un cassetto da aprire

Ho scelto di dedicare questo sottocapitolo a un argomento che non è propriamente legato alla letteratura o alla traduzione, ma è funzionale sia alla comprensione del testo in generale che ai riferimenti intertestuali contenuti in esso. Infatti ho scelto di dedicarlo all'universo della Romania, alla sua storia, concentrandomi sopratutto sul contesto socio-politico creatosi dopo l'ascesa al potere del Partito comunista. Questo excursus è, a mio avviso, fondamentale per riuscire a capire più in profondità il romanzo Sertarul cu aplauze.

Come ho già detto precedentemente, Ana Blandiana ha col suo Paese un rapporto molto intimo, oserei dire una sorta di amore-odio, che l'ha portata a non abbandonarlo mai, nel bene e nel male. Mi sembra quindi doveroso rendere partecipi anche i lettori di alcune sfaccettature di questo suo mondo, al fine di cercare di avvicinarli quanto più possibile alla sfera dell'autrice.

2.1. Dalle origini al secondo dopoguerra

Il territorio compreso fra gli odierni confini della Romania, era anticamente abitato dai Daci, popolo che si occupava principalmente di agricoltura e allevamento di bestiame, che nel 106 d.C. viene assoggettato dal Impero romano. Il loro re, Decebalo, dopo una sanguinosa guerra e una strenua resistenza viene alla fine sconfitto dall'imperatore Traiano. La regione viene quindi colonizzata e romanizzata. Anche se questo periodo durerà relativamente poco, lascerà profonde tracce nella cultura di questo popolo che da allora ha sempre rivendicato la propria “romanità”, per resistere e contrapporsi da un lato all'avanzata del Impero Ottomano e dall'altra alle continue pressioni del mondo slavo. Nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano, non avendo più la possibilità di proteggere il territorio in maniera efficace dai popoli barbari, ordina la ritirata delle truppe dalla regione, mantenendo sotto il suo dominio solo la regione Dobrugia, compresa fra il Danubio e il Mar Nero. Questa regione sarà l'unica a rimanere anche sotto la guida dell'Impero bizantino per i successivi tre secoli. A partire dal III secolo d.C. si susseguirono varie ondate di invasioni barbariche (slavi, unni, bulgari, ecc), e durante la dominazione bulgara si verifica anche l'introduzione del

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cristianesimo-ortodosso come religione, che ancora oggi è la religione seguita dalla maggioranza della popolazione. Successivamente, nel XIII secolo, nacquero i principati più grandi di Moldavia (nella parte nord-est) e Valacchia (nella parte meridionale) che cercarono di far fronte all'avanzata dell'Impero ottomano, finendo però per diventarne stati vassalli, pur mantenendo una relativa autonomia. La Transilvania nel XI secolo cominciò a essere colonizzata dagli ungheresi, diventando parte autonoma del regno ungherese, per poi essere annessa, agli inizi del XVIII secolo all'Impero asburgico. Nel XIX secolo i Principati si avviano verso una consapevolezza nazionale, che li porta verso la libertà e l'indipendenza, con la creazione dello Stato nazionale.16

Nel 1881, dopo l'unita dei tre principati, nacque il Regno di Romania, sotto la guida della dinastia dei Hohenzollern-Sigmaringen, che poi porterà a un avvicinamento alla Germania governata da Bismarck, la quale ha diversi interessi economici in questo Paese così ricco di risorse. Dopo la prima guerra mondiale, nella quale sarà alleata con l'Austria-Ungheria e la Germania, con la Pace di Versailles la Romania riuscirà a ottenere l'annessione di territori storicamente occupati da popolazione di origine romena ma sotto il dominio asburgico, ovvero la Transilvania, la Bucovina (a nord-est), la Bessarabia (attuale Repubblica Moldavia) e parte del Banato (a sud-ovest). Nasce così la Grande Romania. Questo nuovo assetto porterà con sé diverse problematiche, fra le quali anche quello delle minoranze, in quanto tutti questi territori, oltreché dai romeni erano abitati da ungheresi, serbi, slavi, tedeschi, e anche ebrei. Il periodo interbellico è caratterizzato da una crescente frammentazione politica interna, mista a derive nazionalistiche (di stampo etnico), populistiche e antisemite, le quali vedranno l'apice con l'ascesa al potere della Guardia di Ferro e del suo leader, il generale Antonescu, che andrà al governo nel 1940, procedendo alla sistematica eliminazione di tutti gli ostacoli, fra i quali gli ebrei, i comunisti e i monarchici. Durante la Seconda guerra mondiale la Romania si troverà sotto la sfera d'influenza della Germania nazista. Mentre Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti considerano il Paese come “occupato” dal Terzo Reich, con tutte le conseguenze che ciò comportava, l'Unione Sovietica, a causa degli interessi territoriali che ha

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nei confronti della Romania (vuole cedute la Bessarabia e il nord della Bucovina), continuerà a considerarlo un Paese “satellite”, quindi nemico, invadendone e occupandone i territori. Nel 1944 re Michele riesce a destituire il generale Antonescu e riprendere la guida del Paese, aiutato da tutte le forze di opposizione (liberali, nazional-contadini, socialisti democratici e comunisti), ma ciò non sarà sufficiente ad arrestare la brama dell'Unione Sovietica, che grazie alla costante presenza delle sue truppe sui territori romeni riuscirà a ottenere che il Paese rimanga nella sua sfera di influenza, favorendo e appoggiando l'ascesa al potere del Partito comunista, nel 1947, dopo che il re era stato costretto ad abdicare.17

2.2. Il comunismo al potere

Nel panorama politico romeno il Partito comunista nasce nel 1921, dopo la scissione dell'Internazionale socialista, dalle ceneri del disgregato Partito socialista (forza politica minore all'interno del Paese). Il partito, però, non riesce a riscuotere grandi consensi. Uno dei motivi è che esso sostiene una linea “antinazionale”, rifiutando, secondo i diktat del Comintern, l'annessione di nuovi territori (sarà l'unico a ritenere positiva l'annessione della Bucovina e della Bessarabia da parte dell'URSS). Un altro motivo è il fatto che la popolazione rurale (maggioritaria nel Paese) non trova affatto interesse nella propaganda marxista.

Durante il governo di Antonescu il partito viene dichiarato fuorilegge, e ciò comporta che alcuni dei suoi esponenti vengano imprigionati, mentre altri cerchino rifugio a Mosca. Questi ultimi, fra i quali Ana Pauker (che sarà esponente di spicco nel panorama politico romeno degli anni '50), ritornano in Romania insieme all'Armata Rossa, e sostengono una linea secondo la quale c'è la necessità di instaurare subito un regime comunista nel Paese. Questa posizione collide sia con quella dei membri più pragmatici (i quali pensano che ci sia bisogno di una fase politica intermedia), come Gheorghe Gheorghiu-Dej (futuro presidente della Romania), che con quella dei sovietici, i quali, infatti appoggeranno questi ultimi.

I comunisti, comunque, trovano terreno fertile per la propria propaganda, in

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un Paese mutilato (Bessarabia, Bucovina e parte della Dobrugia vengono prese rispettivamente dall'URSS e dalla Bulgaria, per concedere alla Romania di tenersi la Transilvania), e stremato dalla guerra. Piano, piano riescono dunque a portare a termine la scalata al potere e impossessarsi dello Stato, utilizzando, oltre la già citata propaganda, anche altri metodi quali la “censura rossa” (viene strumentalizzato il sindacato dei tipografi per impedire di pubblicare giornali non comunisti) e l'eliminazione degli oppositori (tramite internamento in campi di lavoro su modello dei GULag sovietici, carceri, o direttamente tramite esecuzione). Tutte queste manovre vengono attuate sempre con il benestare di Mosca e sotto l'attenta supervisione dell'Armata Rossa.

Nel 1947, come già accennato, per allontanare definitivamente qualsiasi tipo di opposizione viene indetto un referendum (pilotato), dopo il quale il re Michele è costretto ad abdicare. Il 30 dicembre 1947 viene proclamata la costituzione della Repubblica Popolare Romena. Da questo momento in poi si andrà progressivamente verso l'instaurazione irreversibile e sistematica del regime socialista. A fine anni '40 e per tutto il decennio successivo vengono messe in atto, sotto lo stretto controllo di Mosca, una serie di riforme (economiche, del sistema scolastico, ecc) di chiaro stampo ideologico sovietico.

Gheorghe Gheorghiu-Dej diventa il leader della Romania, carica che manterrà fino alla sua morte, nel 1965. Egli è un convinto stalinista, e perpetuerà nel suo paese una politica del terrore molto simile a quella dell'Unione Sovietica. Durante gli anni '50, infatti, c'è un dilagante abuso di potere, di chiaro stampo stalinista, da parte delle autorità. Vi sono le collettivizzazioni forzate, la statalizzazione dei mezzi di produzione, l'eliminazione fisica di qualsiasi tipo di opposizione o minaccia, sia esse reale o presunta – sono gli anni degli istituti di “rieducazione” (fra i quali le carceri di Pitești e Gherla diventate tristemente famose per le atrocità che vi venivano commesse), del canale Danubio-Mar Nero, il più grande GULag romeno, dei processi farsa, della censura spietata, dell'interdizione dei culti religiosi. Da tali pratiche non erano immuni, ovviamente, neanche gli stessi componenti del partito che manifestassero qualche perplessità o volessero adottare altre linee. La vicenda più plateale è stata quella di Ana Pauker, epurata dal partito da Gheorghiu-Dej, il quale, cavalcando l'onda del

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antisemitismo sovietico negli ultimi anni di governo di Stalin, la accusa di sionismo e la allontana definitivamente dalla vita politica, riuscendo a mantenere l'egemonia del potere. Non a caso, nel panorama letterario degli anni successivi alla destalinizzazione del paese tale decennio verrà soprannominato obsedantul deceniu (l'ossessionante decennio) per mettere in rilievo il pesante clima di terrore che era stato instaurato. Già in questi anni si comincia a sentire l'ambiguità (ereditata dal modello sovietico) di tutte le scelte fatte.

Dopo la morte di Stalin e la successiva destalinizzazione attuata da Chruščëv, Gheorghiu-Dej ha timore di poter essere screditato (in quanto conosciuto come fervente stalinista) e perdere la sua posizione di potere. Inizia dunque, forte dell'appoggio della maggioranza dei membri del partito (fra i quali il suo accanito sostenitore, Nicolae Ceaușescu) ad attuare politiche semiautonome, sia sul piano economico che di relazione con gli altri stati, promuovendo atteggiamenti sempre più improntati alla resistenza verso le imposizioni sovietiche e tendenti al nazionalismo. Tali scelte porteranno, dopo la sua morte nel 1965, a una sempre maggiore compattezza dei dirigenti all'interno del partito, cosa che sarà fondamentale, negli anni successivi, al consolidamento del regime dittatoriale di stampo familiare di Ceaușescu.18

2.3. L'epoca dei Ceaușescu

Nel 1965, come già accennato, Nicolae Ceaușescu prende le redini del Paese. Nel frattempo nella popolazione si accende la speranza di una possibile distensione (anche sulla base di ciò che sta accadendo in altri paesi come l'Ungheria, la Cecoslovacchia o la Polonia), percepita come necessaria dopo più di dieci anni sotto il pesante giogo stalinista. Però questo mediocre personaggio, senza cultura, senza una storia politica alle spalle, non dotato di carisma, non fa altro che sfruttare con spregiudicatezza situazioni e persone per impadronirsi in maniera assoluta del potere (fondamentale gli è l'appoggio della polizia segreta, la temutissima Securitate) instaurando piano piano il regime totalitario forse più feroce di tutto il blocco est europeo, che ebbe come ultimo risultato la completa distruzione della società civile.

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Una peculiarità che è doveroso rendere nota prima di spiegare come tutto ciò sia stato possibile, è il fatto che in realtà il potere non era detenuto solo da Nicolae, ma anche dalla moglie Elena e successivamente da altri esponenti della famiglia, rendendo di fatto la Romania uno dei paesi soggiogati da una dittatura familiare (che raggiunge l'apice del suo delirio negli anni '80), cosa che ha reso ancora più drammatica la situazione.

Innanzitutto c'è da dire che Ceaușescu ha saputo sfruttare a suo vantaggio sia la scelte fatte dal suo predecessore, volte a ottenere una maggiore autonomia pur non contrastando troppo i sovietici che le varie situazioni politiche internazionali successive al suo insediamento. Il primo passo è stato quello di guadagnarsi la fiducia da parte dell'Occidente. Ad esempio la Romania è stato l'unico paese del blocco socialista a riconoscere la Repubblica Federale Tedesca e a non partecipare all'invasione (condannandola pubblicamente) della Cecoslovacchia, atta a reprimere il tentativo riformistico della “primavera di Praga”, nel 1968. Questo porta il leader a ottenere, oltre ad aiuti concreti, anche un grande consenso da parte degli stati occidentali. Allo stesso tempo, però, Ceaușescu, subito dopo i fatti di Praga, riannoda anche i rapporti con l'Unione Sovietica, nel 1970. Poco tempo dopo, in seguito al viaggio che fa in Cina e Corea del Nord, le sue posizioni cambiano nuovamente, e ispirato dai modelli che aveva visto nei due Paesi visitati, attua anche in patria una “rivoluzione culturale”, sempre più improntata sul culto della personalità e soprattutto funzionale a impedire le richieste di “liberalizzazione” che vari esponenti del partito richiedevano a gran voce. Nel frattempo chiede e ottiene anche la storica visita del presidente Nixon in Romania. È la prima volta che un presidente americano mette piede in uno stato socialista, e, allo stesso tempo è uno schiaffo a Mosca.

Questa politica bifronte (peraltro attuata anche sul piano interno) ha come scopo ultimo l'ottenimento del prestigio su piano internazionale per poter mantenere (violando i diritti civili e i diritti dell'uomo) nel suo Paese lo status di leader assoluto e poter agire indisturbato per costruire il suo impero personale. Per prima cosa la politica interna dei Ceaușescu (uso volutamente il plurale, poiché, come già detto, la moglie Elena ha un potere decisionale quasi pari al marito) mira a disarticolare il più possibile la società così da limitare (o addirittura

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annullare completamente) tutte le possibili voci di dissenso, in modo da permettere loro di avere pieno potere e completo controllo sul Paese. Questo avviene per gradi attraverso vari processi che hanno dell'incredibile.

Una delle scelte è quella di spostare in massa la popolazione rurale (maggioritaria nel Paese) dai villaggi allo spazio urbano. Il pretesto è quello di creare migliori condizioni di vita, ma in realtà il fine è quello di disgregare tutto il patrimonio di tradizioni che hanno portato il mondo contadino a essere refrattario da sempre ai precetti del comunismo. Un secondo obbiettivo è quello di ottenere un assoluto controllo sulla popolazione, cancellando anche tutta quella componente etnica minoritaria che avrebbe potuto far riferimento a referenti esterni, minando così il controllo dei comunisti. Per questo motivo Ceaușescu si accorda con Bonn e Tel Aviv, favorendo l'emigrazione dei tedeschi (presenti sopratutto in Transilvania) e degli ebrei in cambio di ingenti somme. Coloro che rimangono (fra cui i magiari) sono inglobati e mescolati con la popolazione a maggioranza romena, cancellando così la loro specificità culturale. Anche l'interdizione della libertà di qualsiasi culto religioso contribuisce ulteriormente a disgregare le basi su cui la popolazione aveva costruito la propria identità. Parallelamente, viene portata avanti una massiccia campagna propagandistica di stampo nazionalistico e patriottico incentrata sulla figura salvifica del “Genio dei Carpazi”, come si faceva chiamare il dittatore. La censura è spietata, gli intellettuali sono o asserviti o ridotti al silenzio, e le poche voci di dissenso non riescono a trovare né l'appoggio della popolazione, stremata dall'indigenza e dalla paura, né del mondo internazionale (a differenza di quello che succede in altri paesi, fra cui anche l'Unione Sovietica), dove Ceaușescu è visto di buon occhio.

Negli anni '80 il quadro peggiora ulteriormente. Ormai la coppia di dittatori ha alla sua mercé un intero popolo. Le manie di grandezza portano il leader a voler estinguere il debito estero della Romania, e ciò comporta che tutto venga destinato alle esportazioni, mentre per la popolazione non rimangono che gli scarti. Tutti i beni primari, dal cibo, ai medicinali, all'energia elettrica al combustibile usato per il riscaldamento, vengono razionalizzati, secondo criteri che portano la popolazione sull'orlo del baratro. Sono gli anni della fame, delle interminabili file per comprare beni scadenti (quando si trovano), del freddo, della

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paura e della disinformazione completa del paese (le trasmissioni televisive erano limitate a due ore in cui si parlava solo di Ceaușescu). Questa situazione, già drammatica di per sé, lo diventa ancora di più considerando che, precedentemente, per far fronte a un tasso di natalità sempre più basso, il governo aveva varato una legge che metteva fuorilegge l'aborto prima della quarta gravidanza (legge che, peraltro, non aveva sortito l'effetto sperato, incrementando il fenomeno degli aborti illegali, con conseguenze tragiche per le donne).

Ad aggravare (se possibile) la già disastrosa situazione contribuisce anche la distruzione della città di Bucarest. In seguito al fortissimo terremoto del 1977 (2550 morti) moltissimi edifici crollano e altri rimangono pericolanti. Questo è un pretesto per il dittatore, che trova il momento propizio per coronare il suo culto della personalità con l'inizio della costruzione, nel 1981, della Casa del Popolo (Casa poporului), oggi Palazzo del Parlamento. Opera mastodontica, con una superficie di 350.000 m2 (è il secondo edificio al mondo per estensione), ha

richiesto la demolizione del centro storico di Bucarest, comportando così un ulteriore shock culturale ed economico in un Paese già in ginocchio. D'altronde la costruzione sarà terminata dopo la caduta del regime.

Siamo, quindi, di fronte a una situazione in cui il tessuto sociale è completamente distrutto (dagli spostamenti fisici della popolazione, dal controllo repressivo della polizia, dalla distruzione della cultura e delle tradizioni), i rapporti umani sono costruiti su una base di ambiguità, paura e sospetto e la popolazione usa tutte le proprie energie per far fronte alla sopravvivenza fisica, impossibilitata e disinteressata alla volontà di opporsi alla dittatura sia individualmente che collettivamente.

Con queste premesse la caduta del regime dei Ceaușescu è percepita quasi come un miracolo e avviene più sulla spinta delle vicende esterne al paese e anche grazie al fatto che, ormai, nel loro delirio di onnipotenza, i coniugi non riescono più a vedere il reale stato in cui versa la nazione, sottovalutando tutti i segnali che avrebbero potuto far presagire l'imminente rivoluzione. Nel dicembre 1989, in seguito allo scoppio di violentissime proteste, la coppia subisce un sommario processo e viene condannata alla fucilazione ad opera di un gruppo interno al partito e alle Forze Armate, evitando così alla Romania di precipitare in una

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guerra civile, fatto che preoccupava anche per comunità internazionale.

Si conclude così la vicenda di uno dei più feroci regimi dittatoriali del secondo novecento, che lasciava come eredità un paese distrutto su tutti i fronti, da quello umano a quello economico.19

2.4. Verso un nuovo inizio

Vorrei concludere questa sezione parlando brevemente di ciò che è avvenuto dopo la caduta del regime dittatoriale, poiché tutte le vicende immediatamente post '89 sono strettamente collegate con l'eredità lasciata da cinquant'anni di regime comunista e quasi trenta di “nazional-comunismo” (o “comunismo antinazionale”?) del regime Ceaușescu.20

A causa del particolare contesto socio-economico creatosi nel paese, tutte le voci dei dissidenti e egli intellettuali vengono ignorate, perché non capite dalla maggioranza della popolazione abbruttita dagli stenti, mentre si fanno strada verso il potere gli ex-gerarchi della precedente nomenklatura comunista. Tutto ciò porta a un contesto a metà strada fra la democrazia e lo spettro di una possibile nuova dittatura, pur diversa da quella di Ceaușescu. La popolazione non è in grado di reagire immediatamente e questo permette cospicue speculazioni, il propagarsi della già diffusa corruzione e la scalata di personaggi ambigui.

Ancora oggi, purtroppo, la Romania deve fare i conti con gli strascichi lasciati dagli spettri del comunismo e della caotica situazione creatasi successivamente.

19 Cfr. A. Biagini, op. cit., pp. 117-133 20 Cfr. A. Biagini, op. cit., p.138

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3. Il romanzo Sertarul cu aplauze

Nella vasta produzione letteraria di Ana Blandiana, Sertarul cu aplauze è il primo e unico esempio di romanzo. Se questo non bastasse per incuriosire e affascinare un eventuale lettore, c'è da dire anche che la sua storia è, quantomeno, singolare.

Questo romanzo viene dato alle stampe per la prima volta nel 1992 dalla casa editrice Tinerama, e successivamente saranno pubblicate altre tre edizioni (la seconda nel 1998 presso la casa editrice Litera – David, la terza nel 2000 presso la casa editrice Dacia e la quarta nel 2004 presso la casa editrice Humanitas). Ma i primi anni '90 non erano certo anni propizi per la letteratura, e quindi neanche per il libro in questione. Appena pubblicato, infatti, non suscita molto interesse fra i lettori romeni, i quali si trovano a fare i conti con seri problemi di carattere socio-economico, causati dal caos politico instauratosi dopo la caduta del regime comunista. In patria passa, quindi, quasi inosservato, anche se all'estero viene già tradotto, l'anno successivo, in tedesco.

Oltre alla peculiare storia editoriale, la stesura stessa del romanzo è particolare. Esso non viene scritto tutto insieme, ma la sua creazione impegnerà Blandiana per ben otto anni. Infatti, come, l'autrice stessa scrive alla fine della sua opera, la stesura dei primi ventidue capitoli avviene fra il 1983 e il 1989, mentre l'ultimo capitolo viene scritto a marzo del 1991. Il luogo dove viene scritto, invece, è sempre lo stesso, il villaggio Comana, tanto caro all'autrice. C'è anche da dire che quest'opera, sin dall'inizio, non è stata scritta per essere pubblicata, ma per far parte di quella produzione (definita dalla critica post '89 come literatură de sertar, ovvero “letteratura da cassetto”) dalle caratteristiche incompatibili con la censura (formalmente abolita nel 1977 da Ceaușescu, ma, in realtà sempre più presente e repressiva21). Dunque l'opera sarebbe stata destinata a rimanere

nascosta in qualche cassetto della scrivania, senza la speranza di essere mai pubblicata, a meno che non si fosse verificato qualche cambiamento. È, dunque, concepita come opera personale, una sorta di “testamento” dell'autrice per i

21 Cfr. A. Blandiana, Anii 80 – între exasperare și rezistență (din jurnalul romanului „Sertarul cu aplauze”), disponibile all'indirizzo http://www.memorialsighet.ro/scoala-memoriei-2005-ana-blandiana-anii-80-intre-exasperare-si-rezistenta-din-jurnalul-romanului-sertarul-cu-aplauze/ (ultima consultazione 04/06/2016)

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posteri, che racchiude però al suo interno una speranza di presa di coscienza collettiva.22

La struttura fisica del romanzo viene esplicitata in maniera estremamente esaustiva dall'autrice stessa nel diciottesimo capitolo. Proverò qui a riassumerla brevemente.

Il romanzo si compone di ventitré capitoli, segmentati non in base a una narrazione lineare, ma secondo tre flussi narrativi che alla fine, nell'ultimo capitolo (l'unico non numerato, ma intitolato capitolul ultim, appunto “capitolo ultimo”) si intrecciano e si sovrappongono, evocando un simbolismo simile a quello di Umberto Eco, atto a lasciare spazio a nuove interpretazioni.23 I capitoli 3,

6, 13, 19 e 21 compongono il primo flusso narrativo, quello più “canonico”, scritto in terza persona, che racconta le vicende del protagonista del libro, Alexandru Șerban, uno scrittore che vive al Plai, un posto sulle sponde del Danubio, insieme all'archeologo e amico Tudor Țărnea che dirige gli scavi di un sito bizantino situato su un'isola del Danubio, accompagnato da un suo gruppo di studenti. Il secondo flusso (che costituisce la parte più cospicua del romanzo, comprendendo i capitoli 1, 2, 5, 7, 9, 11, 12, 15, 16, 17 e 22), redatto in prima persona e aperto e chiuso da apici, è costituito dal libro che Alexandru (allo stesso tempo personaggio, autore e narratore) sta scrivendo. L'azione si svolge prima nell'appartamento dello scrittore, per poi spostarsi in un posto strano, una sorta di incrocio fra una scuola, un ospedale psichiatrico e una prigione. Il terzo flusso, infine, quello dei capitoli 4, 8, 10, 14 e 18, è redatto anch'esso in prima persona (scritto in carattere corsivo), stavolta esplicitamente dall'autrice Ana Blandiana che, a margine delle vicende degli altri due flussi, commenta ed esprime le proprie opinioni, mescolandoci anche racconti e ricordi della propria vita, dando vita così a un'ulteriore punto di vista. Le vicende di tutti e tre i flussi sono, poi, intercalati (nei capitoli 2, 4, 8 e 13) da dei dialoghi (redatti fra parentesi tonde) fra uno dei personaggi presenti nel capitolo e un altro personaggio di cui non si fa alcuna

22 Cfr. M. Papazu, Oglinda totalitarismului în opera Anei Blandiana (28 ottobre 2010), in «Cultura literară», 2010, nr. 297, disponibile all'indirizzo

http://revistacultura.ro/nou/2010/10/oglinda-totalitarismului-in-opera-anei-blandiana/ (ultima consultazione 4/06/2016)

23 Cfr. I. Talvâc, Eul suprimat de regimul devastator (2 marzo 2009), in «Nord Literar», 2009, nr. 2 (69), disponibile all'indirizzo http://www2.nord-literar.ro/index.php?

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descrizione, ma che è facilmente identificabile come un ufficiale della polizia segreta, la Securitate, il quale si fa raccontare per filo e per segno la vicenda del capitolo. Si crea così un'ulteriore realtà, parallela a quella precedentemente presentata, filtrata dalla lente della sorveglianza continua e opprimente.

Il libro si apre con l'irruzione di tre loschi figuri nell'appartamento di Alexandru che si trova in compagnia dei suoi amici, tutti intellettuali, e la successiva perquisizione della casa, priva di senso, contornata da azioni assurde e grottesche, di stampo kafkiano. Tutto ciò ha un inizio ben preciso, il 30 gennaio 1980, alle 18 circa. Il lettore, quindi, si trova immerso nel vivo dell'azione, nel secondo flusso narrativo, venendo da subito a contatto, nei primi due capitoli, con il punto di vista soggettivo del personaggio principale, che presenta in tutta la sua grottesca anormalità la quotidianità di un popolo costretto a vivere secondo delle regole imposte dall'alto. Sono regole prive di qualsiasi logica e incomprensibili ai più, addirittura forse anche a coloro che le mettono in pratica. Una pazzia collettiva, che si delinea sempre di più quando lo scrittore viene trattenuto (forzatamente) nell'ospedale psichiatrico, collocato in un ex-monastero, che funge allo stesso tempo sia da istituto di rieducazione ma che ha tutte le caratteristiche di una prigione. La direttrice dell'istituto è la compagna Mardare, la cui descrizione fa pensare alla direttrice di un carcere, mentre i medici-guardie, fra cui il dottor Bentan e la psicologa Sabina sono i suoi subalterni. Il fine ultimo della rieducazione è quello di far diventare i dissidenti, considerati soggetti antisociali, degli automi felici e applaudenti, parte di una comune realtà prefabbricata, funzionale a un sistema totalitario. Il titolo stesso del romanzo rimanda a un episodio-chiave che si svolge nel capitolo 12, quando Alexandru scopre all'interno dell'istituto-prigione una stanza in cui ci sono molti cassetti pieni di registrazioni di applausi, minuziosamente catalogati, usati per le “sedute di rieducazione”, ovvero per accelerare il processo di lavaggio del cervello dei soggetti. Pochi sono coloro che non cedono, ad esempio l'ingegnere che Alexandru incontra. Ma nessuno ha il coraggio di fare niente, se non aspettare che le cose cambino. Tutto è statico, ed è proprio questo l'asso nella manica che il sistema detiene. Durante tutto il periodo di detenzione, il pensiero fisso di Alexandru è quello di evadere, ma quando alla fine ci riesce scopre con orrore che ormai, salvo poche eccezioni,

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il processo di indottrinamento si è esteso anche alla realtà esterna, e realizza di trovarsi ormai in un universo fatto di automi mansueti, incapaci di reagire e ribellarsi alle mostruose angherie di un sistema malato.

Il primo flusso, invece, viene introdotto nel terzo capitolo ed è la storia di Alexandru narrata da Blandiana. Seguendo uno schema logico possiamo capire che il racconto si svolge dopo la traumatica esperienza della rieducazione. Probabilmente sentendo il bisogno di fuggire da una realtà che lo opprime e rattristisce, lo scrittore cerca rifugio presso il Plai, sulle sponde del Danubio, dove un gruppo di studenti, guidati dal Professor Țărnea, sta facendo degli scavi su un'isola sulla quale c'è un sito bizantino, sommerso dal fiume. Questo blocco, ancora più del primo, è impregnato di elementi fantastici e dipinge una sorta di “isola felice” lontana dagli orrori da una società distopica, in cui la gente è costretta a fare la fame e vivere di stenti. In realtà, tutti i personaggi del Plai sono dei rifugiati che vogliono illudersi di vivere una vita altra, più felice rispetto ai loro simili, una vita scandita dai ritmi e dalle regole di una benevola natura e non da quelli di una società per loro assurda.

Il quarto capitolo introduce il terzo flusso, quello scritto in prima persona da Blandiana. È una sorta di diario nel quale l'autrice, oltre a commentarlo, fa un quadro oggettivo e della aberrante realtà del regime di Ceaușescu, descrivendo, ad esempio, il dramma della distruzione di tutti gli edifici storici di Bucarest per costruire uno dei simboli della megalomania del dittatore, ovvero la Casa del Popolo (attuale Palazzo del Parlamento, la seconda costruzione più grande al mondo dopo il Pentagono), con tutto ciò che questo comporta nella collettività. Più in generale, viene descritta la distruzione di tutto ciò che poteva costituire un punto di riferimento per il popolo, le cui radici vengono così brutalmente scardinate. A questo si aggiungono ricordi e storie private che l'autrice racconta con una chiara vena nostalgica.

In vari punti il flusso dei testi viene interrotto per lasciare spazio all'interrogatorio che un enigmatico personaggio, identificabile con un agente della polizia segreta, fa a un altro personaggio presente nel romanzo, cercando di estrapolare con vari stratagemmi un racconto dettagliato della vicenda del capitolo nel quale è inserito. Ad esempio, alla fine del quarto capitolo, dopo che la

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scrittrice racconta la visita ricevuta da parte di due suoi amici nella casa di Comana, c'è l'interrogatorio della vicina della donna, Paraschiva, una contadina semi-analfabeta, che, con dei subdoli stratagemmi, viene indotta a raccontare nei minimi particolari quello che Blandiana e il marito fanno giornalmente, oltre ad essere convinta a scrivere da quel momento in poi i numeri di targa delle macchine dei loro visitatori.

La struttura del romanzo è pensata in modo che nonostante i tre flussi si intreccino, non abbiano mai un effettivo punto di intersezione. Questo, però, fino all'ultimo capitolo (scritto dopo la caduta del regime), nel quale il cerchio, finalmente, si chiude e i tre flussi si mescolano. Il capitolo infatti riprende la scena del capitolo iniziale, con i tre invasori che arrivano, sbeffeggiano e distruggono il manoscritto di Alexandru. Tutto avviene, però, in un contesto di distruzione più ampio, ovvero mentre il Danubio, le cui acque prima erano percepite (erroneamente) come idilliache, si riversano, piene di sporcizia, e ingoiano tutto quello che trovano davanti, per finire con l'ingoiare Blandiana e Alexandru che nel frattempo si sono incontrati e si sono confrontati sulla vicenda. Tutto viene inglobato dalle acque vischiose, niente ha più nitidezza, non esistono più confini. È il prezzo da pagare per una libertà ottenuta senza avere coscienza di cosa sia realmente la libertà: una sorta di anarchia malata, regolata dalle leggi della selezione naturale, trasposte in un contesto sociale ancora convalescente, che non può che portare al caos e alla sopraffazione. Un contesto nel quale ognuno pensa al proprio orticello con avidità e senza avere chiara la distinzione fra bene e male. Il tutto si chiude in maniera ambigua, con un pessimismo di fondo che viene però smorzato dai versi ripresi dal capitolo 20, lasciando un piccolo spiraglio di speranza.

Per tutto il romanzo sembra quasi di assistere a una messinscena. I personaggi sembrano recitare svogliatamente il loro ruolo, come in un'opera teatrale fatta e rifatta. Il tutto è un continuo sembrare, una continua parvenza. Tutto è ambiguità. Niente è sicuro, concreto. La figura dell'archeologo esplicita bene questa insicurezza: lui non sa, ma può solo supporre ciò che è stato in base a delle tracce.

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indicibili. Tutto ciò che viene descritto al suo interno, a partire dalla vicenda che ispirerà il titolo, è tragicamente vero, anche se incredibile. Sono sprazzi di una realtà distopica, mostruosa, inimmaginabile. Nonostante vengano amalgamati alla descrizione dei fatti anche elementi chiaramente fantastici, questi non fanno altro che accentuare l'abominevole assurdità del reale. Tutto il romanzo è permeato da una sorta di schizofrenia. Niente è più ciò che sembra. O meglio, non c'è la sicurezza di questa cosa. Tutto è vissuto con angoscia, con titubanza, con diffidenza. Non è solo l'immaginazione dell'autrice o del suo personaggio. È la verità. Un intero popolo, sotto la dittatura, era realmente tenuto in queste condizioni. Tutto è doppio, sfumato, incomprensibile fino in fondo. Nel frattempo tutti cercano di fuggire, fisicamente o semplicemente sublimando la realtà. Si cerca di farlo attraverso l'ironia, oppure chiudendosi nella propria torre d'avorio, oppure, ancora, andando in apparenti paradisi idilliaci. Ma tutti questi castelli di carte crollano non appena gli elementi del reale li colpiscono. Perché non è la fuga che salva, bensì la coalizione per cercare di cambiare la realtà sbagliata. Ma cos'è giusto e sbagliato? Il comunismo ha vinto, è riuscito a creare, attraverso i suoi brutali metodi un esercito di marionette, di automi privi di capacità di analisi. Coloro (pochi) che riescono ancora a ragionare sono ugualmente schiavi del sistema. Sono ricattabili. L'insicurezza, il sospetto, hanno fatto il loro dovere. E in un universo dove non c'è coesione tutto è vano. Questa è l'eredità che ha lasciato il comunismo, senza speranza… O forse no…

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Capitolo II

Commento traduttologico

1. Premessa

Scrivo questo capitolo nella speranza di poter esporre il più chiaramente possibile il percorso traduttivo che ho intrapreso per arrivare alla stesura finale, in lingua italiana, delle parti selezionate dall'opera Sertarul cu aplauze. Cercherò, quindi, di discutere in questa sede alcune delle scelte che ho fatto per quanto riguarda la traduzione di vari elementi testuali con l'intenzione di rendere più agevole la fruizione del libro a un potenziale lettore italiano.

Il testo, come esposto nel capitolo precedente, è un quadro della Romania degli anni ottanta, dipinto da più punti di vista. In effetti la sua peculiarità è proprio quella di essere, per così dire, uno e trino, ovvero composto da tre flussi, ognuno con le sue particolarità, concentrati in un unico romanzo. È proprio per questo motivo che quando mi sono cimentata in quest'impresa, mi è da subito stato chiaro che Sertarul cu aplauze non sarebbe stato un romanzo facile da tradurre. Memore delle parole di Newmark, il quale afferma:

Definiamo così il problema: un testo da tradurre è come una particella in un campo elettrico, attratta dalle forze contrastanti delle due culture e delle norme delle due lingue, delle idiosincrasie di un autore (che può infrangere le norme della sua lingua) e delle aspettative dei lettori, dei pregiudizi del traduttore ed eventualmente anche dell'editore. […].

[…]. Il primo compito del traduttore è capire il testo, spesso analizzarlo o per lo meno evidenziarne degli aspetti generali, prima di scegliere un metodo traduttivo adeguato; […].1

ho deciso dunque di leggere per ben due volte il testo prima di iniziare a redigere la mia proposta di traduzione. Ho deciso poi di tradurre i primi quattro capitoli (considerando i primi due come un blocco narrativo unico), il capitolo venti e l'ultimo capitolo.

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Per quanto riguarda i capitoli iniziali, la scelta è stata dettata dalla necessità di introdurre il lettore a ciascuno dei tre flussi narrativi costitutori del romanzo, mentre l'ultimo capitolo segna anche il loro amalgamarsi. Il capitolo venti, invece, è una breve poesia, molto importante e interessante, oltre che da un punto di vista linguistico e traduttologico, anche per la comprensione del senso generale dell'opera.

In un primo momento sono stata tentata, quindi, di rifarmi al principio secondo il quale un traduttore dovrebbe cercare di suscitare nei lettori della LA, attraverso il testo tradotto, le stesse sensazioni provate dai lettori del testo in LP. Per una spiegazione più precisa di tale concetto ripropongo qui le parole di Newmark a tale riguardo:

[…] ci si riferisce a questo principio come […] dell'«equivalenza funzionale» (Nida), che aggira e pone fine alla controversia […] se la traduzione debba tendere verso la lingua di partenza o verso quella di arrivo […]. Tale principio richiede immaginazione e intuizione da parte del traduttore che non deve identificarsi col lettore dell'originale ma deve entrare in empatia con lui, tenendo presente che può reagire o partecipare in forme a lui estranee. In base a questo principio si pone, giustamente, l'accento sulla comunicazione, sul terzo termine della relazione traduttiva, il lettore […]. Il traduttore dovrebbe produrre una traduzione diversa dello stesso testo a seconda dei diversi tipi di pubblico.2

Dunque, il primo problema che mi sono posta è stato quello dell'entità “lettore”. Riflettendo sul testo, però, mi è apparso chiaro che per la sua peculiare natura (come precedentemente esposto, esso non era stato scritto per essere pubblicato), non si rivolgeva a un target specifico. Io l'ho percepito, piuttosto, come un invito alla riflessione, che, a vari livelli, poteva essere approfondita e introiettata da tutti i potenziali lettori della LP, i quali condividevano con l'autrice lo stesso ambiente e la stessa sorte. A questo punto, la domanda spontanea è stata: quale tipologia di lettore italiano dovrei prendere come modello? Sicuramente, mi sono detta, il prototipo del lettore italiano al quale dovrei rivolgermi è un lettore con un livello di istruzione superiore, colto, interessato alle vicende

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