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Il superamento degli Opg: una riforma "a metà del guado"

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Academic year: 2021

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Abstract: con questo lavoro si intende offrire una panoramica sul tra"amento

dell’infermo di mente autore di reato ritenuto socialmente pericoloso nell’ordinamento italiano, alla luce delle recente riforma per il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Si è partiti dalla disciplina relativa alle misure di sicurezza, destinate ai non imputabili, per poi proseguire in una panoramica su come, quando e perché veniva e viene eseguita la misura di sicurezza detentiva del ricovero in apposita stru"ura. A tal fine, si è resa indispensabile un’analisi circa gli sforzi del legislatore che hanno condo"o alla legge n. 81 del 2014, la quale ha sancito la definitiva chiusura degli Opg in Italia; data l’a"enzione rivolta al luogo ove eseguire le misure di sicurezza, si è ritenuto di procedere a una ricognizione di quella che era l’istituzione dell’Opg e di quelle che sono invece le nuove residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems).

Doverosa è stata anche un’analisi della situazione delle varie stru"ure presenti sul territorio nazionale, così da poterne me"ere in evidenza punti di forza e di debolezza al fine di rifle"ere circa possibili #turi interventi, volti a migliorarne l’efficienza complessiva.

Ci si domanda, infine, anche come e in che direzione la riforma possa evolversi; si sono dunque analizzate possibili soluzioni ai problemi emersi nell’a"uazione della riforma e ai potenziali rischi derivanti dalla discussione del d.d.l. AC4368 che potrebbe mutilare o, addiri"ura, annullare i progressi fa"i dalla riforma per il superamento degli Opg.

(2)

Capitolo I

Dal Manicomio Giudiziario all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario
 Sezione I - Panoramica sulla disciplina relativa alle misure di sicurezza nel codice Rocco

1. Introduzione ……… 6


1.1 Il doppio binario in Italia ……….……….… 7

2. Una breve panoramica sulla disciplina relativa alle misure di sicurezza nel codice Rocco .………..……..………. 11


2.1 Osservazioni generali sull’applicazione delle misure di sicurezza ….….. 13


2.2 Una breve introduzione al conce!o di ‘pericolosità sociale’ ……… 14


2.2.1 Le presunzioni di pericolosità ……….…….….………..…….…… 16


2.3 La durata potenzialmente illimitata della misura di sicurezza …..……… 19


2.4 Costituzionalizzazione del doppio binario? ………..….….….……… 21


2.4.1 Il principio di colpevolezza e misura di sicurezza applicata al so"e!o non imputabile ………..……….……..… 23


2.5 Manicomio giudiziario e principi costituzionali …….………..… 25


Sezione II - La le!e sull’ordinamento penitenziario e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario 1. Dal manicomio giudiziario all'Opg (lg 354/75) ……….………. 30


1.1 L’applicabilità delle misure alternative ………….……….……..……… 31


1.2 I benefici applicabili all’internato ………..……….…..………….. 34


1.3 Il tra!amento dell’internato in Opg ……….. 36


1.4 Il ricorso ai sistemi di contenzione ………..……….……… 40

2. Ospedale Psichiatrico e Ospedale Psichiatrico Giudiziario ………..… 44


2.1 La riforma dell’assistenza psichiatrica ……….…… 45


2.2 Influenza della le"e n. 189/1978 nella gestione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ……….……….… 47

3. La popolazione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario .……….. 49

4. La pratica degli ‘ergastoli bianchi’ ……..……….….…….……….. 54

(3)

Capitolo II


Dal “definitivo” superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari all’istituzione delle nuove Residenze per l’Esecuzione delle Misure di

Sicurezza (Rems):


1. Il ricovero in Opg come extrema ratio (sent. n. 253 del 2003) ……… 61


1.1 Possibilità di scelta della misura di sicurezza provvisoria (sent. n. 367 del 2004) ……… 66


1.2 L’applicazione di ‘fantasiose’ misure di sicurezza non detentive da parte della Magistratura e il richiamo al principio di legalità da parte della Corte …….……….………..……….…… 68

2. Le proposte di riforma ..………..…………..……….……….. 70


2.1 L’imputabilità dell’infermo di mente ……….……… 72


2.2 La pericolosità sociale ………..……….………. 74


2.3 Le misure di sicurezza ………..………. 77

3. Il d. lgs 230/99: il primo passo per il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario ……….………….……….…… 79

4. Il d.p.c.m 1 Aprile 2008 e il trasferimento delle #nzioni sanitarie degli Opg alle regioni …..……….………..……….… 84

5. La commissione Marino …..………..……….…… 88

6. La le"e 9/2012: un termine per il superamento degli Opg ……… 91


6.1 L’art. 3 ter della le"e n. 9 del 2012 ………..…….. 94


6.2 Il Decreto Ministeriale n. 270 del 2012 ….…..……… 97


6.3 Luci e ombre della le"e n. 9 del 2012 ……….………… 99


6.4 La prima proroga: il decreto Balduzzi (d. lg. n. 24/013) ………….……… 103


6.5 La seconda ed ultima proroga del termine per la chiusura degli Opg (d.lg. n. 52 del 2014) ………..……….……….……. 106

7. La le"e n. 81 del 2014: la chiusura degli Opg e l’apertura delle Rems ..… 108


7.1 La natura sussidiaria delle misure di sicurezza detentive ……..………….. 110


7.1.1 Il potenziamento dei Dipartimenti di Salute Mentale ……… 114


7.2 L’introduzione di un limite massimo di durata della misura di sicurezza ……….……….….…. 115


7.2.1 Il calcolo del termine massimo …….………..…………. 119


7.3 I nuovi criteri per la valutazione della pericolosità sociale ……….……… 123


7.3.1 Dubbi di costituzionalità: la sentenza n. 186 del 2015 ..….….….….….… 129


7.4 Il principio di territorialità nella le"e n. 81 del 2014 …….………..…….… 136


7.5 Le mancate modifiche al codice penale ……….….….…….. 139

(4)

Capitolo III


Le nuove Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems):
 1. I requisiti organizzativi della Rems (Conferenza Unificata Stato - Regioni

2015) ………..……….……… 144


1.1 Il ruolo dell’Amministrazione sanitaria e dell’Amministrazione penitenziaria ………..………..……. 150

2. Le cara!eristiche Stru!urali: da una logica contenitiva a una logica terapeutica ……….………. 152


2.1 Affidare la gestione a privati? ……….……….………… 158

3. Il personale……….………..…….. 160


3.1 la posizione di garanzia ……….……….…. 165

4. L’offerta terapeutica interna ………..….…….. 167


4.1 Tra!amento sanitario obbligatorio e Rems ………..………… 171

5. I percorsi terapeutici alternativi al ricovero: il potenziamento dei Dsm … 172
 5.1 La libertà vigilata terapeutica ……….………. 176


5.2 La sorte dei dimessi dagli Opg ……….…..…… 178


5.3 La sorte dei dimessi dalle Rems ……….……… 180

6. Il commissariamento delle regioni inadempienti ….…….……….…………. 182


6.1 Le criticità riscontrate dal Commissario unico per il superamento degli Opg ……….…………..………. 185


6.2 Gli obie!ivi prefissati dal Commissario unico per il superamento degli Opg ……….……… 188

7. Una breve analisi delle realtà regionali alla luce della relazione del Commissario unico ……….……….……….……… 190


Capitolo IV
 Prospe"ive di Armonizzazione e di Riforma: uno sguardo ad una possibile #tura normativa: 1. I lavori di coordinamento e le modifiche al codice Penale .……..…….…..… 203


1.1 Le modifiche alla le"e di Ordinamento penitenziario e al Regolamento d’esecuzione ……….………..……. 209


1.2 Dalla ‘pericolosità sociale’ al ‘bisogno di cure’: l’integrazione tra saperi ……….……..……… 214


1.3 La persistenza della pericolosità sociale del so"e!o allo spirare del termine massimo di durata della misura di sicurezza detentiva ……… 217

2. Il necessario miglioramento della coordinazione tra Magistratura e servizi per la cura dell’infermo di mente ……….…… 225

3. I problemi emersi dall’a!uazione della riforma e come affrontarli …….…. 230

4. Le misure di sicurezza in a!esa di esecuzione ……….……… 232


4.1 Il problema delle misure di sicurezza provvisorie ………..……… 234


(5)

5. Le sezioni psichiatriche penitenziarie ……..…………..……..……..…….….……. 241
 5.1 Il problema dei ‘minorati psichici’ ……….. 245 6. Il meccanismo delle licenze ……..………..…….………. 246 7. Il d.d.l. AC4368 e le modifiche al Codice penale e all’Ordinamento

Penitenziario ..……….………….. 247
 7.1 Il rischio di un “ritorno al passato” ………..………….…………. 249 Bibliografia …………..……….……….….……… 256

(6)

CAPITOLO I

Dal Manicomio Giudiziario all’Ospedale Psichiatrico

Giudiziario

SEZIONE I 


Panoramica sulla disciplina relativa alle misure di

sicurezza nel codice Rocco

Sommario: 1. Introduzione. - 1.1 Il doppio binario in Italia. - 2. Una breve

panoramica sulla disciplina relativa alle misure di sicurezza nel codice Rocco. - 2.1 Osservazioni generali sull’applicazione delle misure di sicurezza. - 2.2 Una breve introduzione al conce"o di ‘pericolosità sociale’. - 2.2.1 Le presunzioni di pericolosità. - 2.3 Durata potenzialmente illimitata della misura di sicurezza. - 2.4 Costituzionalizzazione del doppio binario? - 2.4.1 Principio di colpevolezza e misura di sicurezza applicata al sogge"o non imputabile. - 2.5 Manicomio giudiziario e principi costituzionali.

1. Introduzione: nel mese di Aprile del 2017 anche l’ultimo Ospedale Psichiatrico Giudiziario presente in Italia, quello di Barcellona Pozzo di Go!o, ha chiuso i ba!enti. Un ulteriore tassello del ricco mosaico disegnato dalla riforma per il superamento degli Opg è andato dunque al suo posto anche se, facendo un passo indietro e rivolgendo uno sguardo al complesso dell’opera, non si può fare a meno di constatare come il proge!o sia soltanto a metà del lavoro e richieda ancora impegno e dedizione per essere portato a termine. Per capire però la portata di questa riforma, che in molti definiscono una vera e propria ‘rivoluzione’, e apprezzarne a pieno la forza, occorre soffermarci sulle numerose e faticose tappe che ne hanno scandito il percorso e sull’istituzione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

(7)

È infa!i corre!o affermare che si è arrivati al superamento degli Opg non senza intoppi, ripensamenti e ritardi; la riforma in questione sembra essere una delle più travagliate degli ultimi decenni, tra continue modifiche e proroghe. La perseveranza nel voler riformare tale materia però appare da subito giustificata e comprensibile, se si volge lo sguardo all’istituzione da “a!accare”: l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. L’Opg veniva infa!i definito dalla do!rina come “luogo di internamento temuto ancor più del carcere, per la sua natura altamente affli!iva e per il livello estremo di incidenza sulla libertà personale del so$e!o che vi è recluso” . 1

In questi luoghi, di ospedaliero vi era ben poco; l’Opg infa!i si risolveva in un’istituzione totale, dalla chiara impronta custodialistica, mentre la %nzione terapeutica rimaneva soltanto tra le buone intenzioni del legislatore.

1.1 Il doppio binario in Italia: facciamo però un passo indietro. Infa!i prima di parlare di Opg o di manicomio giudiziario (questo il nome dell’istituzione prima della le$e 354 del 1975) occorre soffermarci sull’istituto delle misure di sicurezza, cioè quel tipo di sanzioni che decretavano l’ingresso del reo folle (cioè la persona affe!a da patologia psichiatrica che aveva compiuto un fa!o previsto dalla le$e come reato) all’interno del manicomio giudiziario.

In Italia si parla di “sistema sanzionatorio a doppio binario”, cioè un sistema sanzionatorio che prevede, accanto alle pene per i so$e!i imputabili, le misure di sicurezza per i so$e!i pericolosi, siano essi imputabili o non imputabili. Infa!i la misura di sicurezza può essere applicabile al so$e!o imputabile, nei cui confronti verrà eseguita una volta scontata la pena, e al so$e!o non imputabile, nei cui confronti la pena non può essere applicata. 


Con il sistema sanzionatorio a doppio binario il codice Penale Rocco, del 1930, conciliava gli indirizzi della Scuola Classica e della Scuola Positiva.

La Scuola Classica, che vede l’uomo come libero e responsabile delle proprie azioni, concepisce la pena con una duplice finalità: retributiva, in quanto

A. Martini, Commento all’art. 222 c.p., in Codice Penale, a cura di T. Padovani, Milano, 2011, p.

1

(8)

tendente a riaffermare l’autorità della le$e violata, e general-preventiva, in quanto strumento volto a far sì che ogni singolo si determini a non comme!ere il crimine.

La pena, così come configurata dalla Scuola Classica, si rivolge ad un uomo razionale, in grado di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. In quest’o!ica alla pena deve dunque so$iacere soltanto colui che è in grado di determinarsi; il meccanismo è quello descri!o da Focault, con la metafora della porta girevole: “quando il patologico entra in scena, la criminalità, a termini di le$e, deve uscirne” . 2

La Scuola Positiva invece criticava aspramente il conce!o di libero arbitrio, caposaldo del sistema delineato dalla Scuola Classica, ritenendolo una mera concezione metafisica, astra!a e mai provata. Secondo la Scuola Positiva, l’uomo non era libero di compiere le proprie scelte, in quanto influenzato da fa!ori, biologici e sociali, che me!evano in risalto la componente criminale che era propria del so$e!o. Se dunque il reato è determinato dalle condizioni biologiche e sociali la pena doveva essere applicata a prescindere dalla colpevolezza dell’agente, in o!ica di difesa sociale: il conce!o di colpevolezza perde importanza in favore del conce!o di pericolosità sociale. La Scuola Positiva mira al benessere della società più che al dolore del reo; infa!i Enrico Ferri, uno dei ma$iori esponenti della Scuola Positiva, sosteneva che “deli!o e pazzia sono due sventure: tra!iamoli entrambi senza rancore, ma difendiamoci da entrambi” .
3

Per usare le parole di Cesare Lombroso, altro importante esponente della Scuola Positiva, “la pena non deve essere commisurata alla gravità del fa!o o alla colpevolezza dell’autore, quanto piu!osto alla temibilità del reo” . 4

La pena dunque ha, per la Scuola Positiva, una %nzione special-preventiva.

M. Focault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), III Edizione, 2002, Milano,

2

p. 37

E. Ferri, Sociologia criminale, IV ed., Torino, Fratelli Bocca, 1900, p. 870

3

C. Lombroso, L'uomo delinquente, 1897, Milano, ristampa 2013, p. 1778

(9)

Il codice Rocco, del 1930, cercò una sorta di ‘compromesso’ tra gli orientamenti delle due scuole mantenendo, da un lato, la centralità dell’imputabilità (sulla quale si fondava l’applicazione della pena) e, dall’altro, elevando la pericolosità sociale a fondamento per l’applicazione delle misure di sicurezza.

Un ruolo importante nell’elaborazione della disciplina codicistica % però ricoperto da una ‘terza scuola’ che consentì di superare le principali differenze tra scuola classica e scuola positiva: stiamo parlando della Scuola Tecnico-Giuridica.

La Scuola Tecnico-Giuridica infa!i, pur salvando l’impianto della pena retributiva, colmava il ‘vuoto di sicurezza’ a!raverso altre misure, con %nzione special-preventiva, basate sulla pericolosità sociale. La Scuola Tecnico-Giuridica aveva ideato infa!i un modello dualistico: lo scopo special-preventivo non era una %nzione propria della pena, ancorata a una %nzione general-preventiva, ma era un obie!ivo da perseguire con il diverso strumento delle misure di sicurezza.


Questo approccio sedusse Arturo Rocco che intravedeva in tale orientamento un efficace sistema per il superamento dei limiti delle due scuole: la scuola classica, troppo ancorata a speculazioni metafisiche, e la scuola positiva, che confondeva la scienza giuridica con le altre scienze umane . 5

Il codice Rocco infa!i ado!ò il modello delineato dalla Scuola Tecnico-Giuridica, mantenendo la pena, con %nzione retributiva, e introducendo le misure di sicurezza:

a) Pena Retributiva: determinate nella loro durata, in proposizione alla gravità del fa!o e alla colpevolezza del so$e!o

b) Misura di Sicurezza: sanzioni a contenuto preventivo e di difesa sociale rapportate non alla gravità del fa!o ma alla sola pericolosità del so$e!o, cioè alla probabilità di commissione di nuovi reati. Le misure di sicurezza, nel codice Rocco, non hanno una durata massima predeterminata, sono

Arturo Rocco, Il metodo della scienza del diritto penale, in Rivista di diritto e procedura penale, I,

5

(10)

anzi destinate a perdurare col persistere della pericolosità sociale, che deve essere riesaminata periodicamente.

Il codice ha dunque “ritenuto opportuno prendere da ciascuna scuola soltanto ciò che in esse vi è di buono e vero, cercando di creare un sistema che tu!e le scuole componesse nell’unità di un più alto organismo a!o a soddisfare i reali bisogni e le effe!ive esigenze di vita della società e dello Stato” . 6

Quello del codice Penale del 1930 è dunque un sistema massimamente flessibile, massimamente indeterminato e massimamente garantista. 
7

Il codice Rocco, infa!i, risponde senz’altro anche alla logica e alla finalità di uno stato autoritario, accentuando la risposta sanzionatoria a!raverso la criminalizzaizone di una vasta area di comportamenti e a!raverso l’espansione di uno strumento repressivo, in aree dove prima non poteva giungere.


Con il codice Rocco pene e misure di sicurezza si applicano prendendo in considerazione presupposti e valutazioni di cara!ere diverso; dunque, avendo presupposti applicativi diversi che non si escludono a vicenda, in alcune ipotesi, la misura di sicurezza non sostituisce la pena ma vi si somma.

Il presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza, come abbia già de!o, è, oltre alla commissione di un fa!o previsto dalla le$e come reato, la pericolosità sociale, la cui sussistenza, nella versione originale del codice Penale, era presunta dalla le$e, che identificava figure so$e!ive di autore pericoloso (infermo di mente; delinquente abituale etc).

Inoltre, come de!o, secondo il codice Rocco la misura di sicurezza dura fintanto che la pericolosità sociale rimane: non vi è alcuna durata predeterminata, come avviene invece per le pene.

Si prevede invece una durata minima della misura di sicurezza, che varia in base alle diverse misure; va però de!o che o$i, a differenza del passato, la Corte

Alfredo Rocco, Relazione a Sua Maestà il Re, in Testo del nuovo codice penale con relazione a

6

Sua Maestà il Re del Guardasigilli, Roma, 1930

M. Pelissero, Il doppio binario nel sistema penale italiano, UNC School of Law, 2012,

7

consultabile su http://www.law.unc.edu/documents/faculty/adversaryconference/doppiobinario-italiano-pelissero.pdf, p. 2

(11)

Costituzionale ha decretato che il giudice può far cessare la misura anche 8

prima del decorso del termine minimo.

Infine, la disciplina delle misure di sicurezza, è retroa"iva, a differenza di quella relativa alle pene. Ciò si giustifica per via del fa!o che, essendo le misure di sicurezza strumenti volti a prevenire la commissione di ulteriori reati, non deve essere assicurato alcun affidamento in ordine alla prevedibilità sanzionatoria: va dunque applicata la disciplina vigente al tempo dell’applicazione della misura di sicurezza (anche se più sfavorevole, rispe!o a quella del tempus commissi delicti).

Il doppio binario dunque si adeguava alla perfezione alle esigenze di rigore, proprie della politica criminale del fascismo.

2. Una breve panoramica sulla disciplina relativa alle misure di sicurezza nel codice Rocco: come abbiamo visto, le misure di sicurezza sono state concepite come strumenti di difesa sociale, nelle ipotesi in cui la pena sia insufficiente o inefficace.

Delle misure di sicurezza tra!a l’art. 202 c.p. secondo il quale “possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fa!o preveduto dalla le$e come reato”.

L’art. 203 c.p. comma 1 invece ci dice che “è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fa!i indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che comme!a nuovi fa!i preveduti dalla le$e come reati”.


Il codice prevedeva inoltre numerose presunzioni di pericolosità sociale, che sono però venute meno con l’approvazione della le$e 663/1986 (cd. Le$e Gozzini) che ha abrogato l’art. 204 c.p. che presumeva la qualità di personale socialmente pericolosa nei “casi espressamente determinati dalla le$e’.

Dunque l’art. 203 c.p. prevede che le misure di sicurezza possano essere applicate anche ai so$e!i non imputabili.

Corte Costituzionale; sentenza n. 110 del 1974

(12)

Ma chi sono i so$e!i non imputabili? Ex art. 85 c.p. non è punibile colui che non era imputabile al momento della commissione del fa!o, al secondo comma si specifica che è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.

Con ‘capacità di intendere’ si fa riferimento alla capacità del so$e!o di cogliere il significato delle azioni che sta ponendo in essere e delle possibili ripercussioni delle stesse.

Con ‘capacità di volere’, invece, ci si riferisce alla possibilità del so$e!o agente di riuscire a contenere e frenare i propri impulsi.


Dunque l’incapacità di intendere e di volere dovrebbe essere considerata in senso %nzionalistico come “non susce!ibilità del so$e!o del meccanismo intimidivo della pena: so!o il profilo intelle!ivo, della capacità di rendersi conto, e volitivo, della capacità e possibilità di controllo del suo agire. Così che la pena è inefficace” . 9

Dunque la giustificazione della presenza delle misure di sicurezza nel nostro Ordinamento risiede nell’assunto che, dal so$e!o pericoloso che abbia commesso un fa!o previsto dalla le$e come reato, la società debba difendersi.
 Così le misure di sicurezza possono essere applicate ai so$e!i non imputabili socialmente pericolosi, in alternativa alla pena, e ai so$e!i imputabili socialmente pericolosi, in a$iunta alla pena.

Dunque le misure di sicurezza sono applicabili in presenza di due presupposti, uno o$e!ivo, consistente nella commissione di un reato, e uno so$e!ivo, consistente nella pericolosità sociale dell’individuo.

Il presupposto della pericolosità sociale, cioè la probabilità di comme!ere nuovi fa!i previsti dalla le$e come reato, è il perno a!orno al quale ruota l’intera disciplina delle misure di sicurezza.

Il codice Rocco accentua l’individualizzazione e la %nzione special-preventiva non solo introducendo le misure di sicurezza ma anche valorizzando elementi relativi alla qualità dell’autore nella commisurazione della pena. È l’art. 133 c.p. che, tra!ando della ‘gravità del reato’, prevede vari criteri a!i a commisurare la

S. Aleo, Imputabilità e pericolosità sociale dell’individuo infermo di mente, in Rassegna

9

(13)

pena, tra il minimo e il massimo edi!ale; infa!i, stante il potere del giudice nel determinare la pena, il legislatore ha determinato alcune condizioni e circostanze da tenere in considerazione in questa operazione.

L’art. 133 c.p. prevede infa!i due gruppi di circostanze: a) Gravità del Fa"o (comma 1): rileva la:


1 - natura, specie, mezzi, o$e!o, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione


2 - gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa del reato
 3 - intensità del dolo o il grado della colpa

b) Capacità a delinquere dell’autore (comma 2): rilevano i:
 1 - motivi a delinquere e cara!ere del reo


2 - precedenti penali e giudiziari, condo!a e vita del reo, antecedenti al reato


3 - condo!a contemporanea o susseguente al reato


4 - condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo

I criteri elencati dall’art. 133 c.p., oltre che ‘instradare’ il potere di commisurazione della pena del giudice, servono anche per la valutazione della pericolosità sociale del so$e!o, come espressamente sancito dall’art. 203 c.p.

2.1 Osservazioni generali sull’applicazione delle misure di sicurezza: le misure di sicurezza possono essere distinte con riguardo ai destinatari della misura stessa:

a) Sogge"i maturi e sani: sono loro applicabili le misure di sicurezza dell’assegnazione in colonia agricola e presso una casa di lavoro, e vengono applicate in seguito all’espiazione della condanna.


In questa categoria rientrano le misure rivolte a so$e!i imputabili e al contempo ritenuti pericolosi, ovvero i delinquenti abituali (art. 102, 103 e 104 c.p.) , professionali (art. 105 c.p.) o per tendenza (art. 108 c.p.) . 10 11

le presunzioni di pericolosità sociale sono state abolite dalla legge n. 633 del 1986, la cd Gozzini

10

per un approfondimento circa lo studio del delinquente professionale, il delinquente per tendenza

11

(14)

b) Sogge"i non imputabili o semi imputabili: sono loro applicabili le misure di sicurezza del ricovero in manicomio giudiziario (art. 222 c.p.), assegnazione a una casa di cura e custodia (art. 219 c.p.) e il ricovero in riformatorio giudiziario (art. 224, 225 c.p.).

Il ricovero in Manicomio Giudiziario (rinominato Ospedale Psichiatrico Giudiziario dalla le$e n. 354/75) è sicuramente la misura di sicurezza più affli!iva tra il ricco novero previsto dal codice Rocco ed è applicabile ai prosciolti ritenuti non imputabili.

Nell’impostazione originaria del codice Rocco il ricovero in manicomio giudiziario non era però sempre subordinato a una concreta valutazione circa la pericolosità sociale del so$e!o dato che, come abbiamo de!o, in moltissimi casi veniva presunta ex lege.


Il ricovero in manicomio giudiziario è la misura di sicurezza che più incide sulla libertà personale del so$e!o non soltanto per via del limite massimo indeterminato della durata o per le molte ipotesi di presunzione di pericolosità sociale, cara!eristiche comuni a tu!e le misure di sicurezza, ma anche e sopratu!o per le modalità organizzative, %nzionali proprie del manicomio giudiziario. Infa!i tale istituzione, come vedremo, pur prefi$endosi l’obie!ivo, oltre alla tutela della società dal so$e!o ritenuto pericoloso, della cura dell’internato finiva per risolversi in un istituto dalla mera %nzione custodialistica da cui una volta entrati era difficile, se non addiri!ura impossibile, uscire.

2.2 Una breve introduzione al conce!o di ‘pericolosità sociale’: il conce!o di ‘pericolosità sociale’ viene introdo!o con il codice Rocco che, all’art. 203 c.p., ritiene “socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fa!i indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che comme!a nuovi fa!i preveduti dalla le$e come reati”. Le misure di sicurezza dunque, secondo il codice, possono essere disposte nei casi in cui la pericolosità sociale è presunta dalla le$e (abrogati però dalla le$e 633 del 1986) e nel caso in cui il giudice, sulla base di un giudizio

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prognostico, ritenga il reo pericoloso per la società (al fine di tale esame non ha nessuna rilevanza l’essere pericolosi per se stessi) . 12

L’introduzione del conce!o di pericolosità sociale nel codice si sposa perfe!amente con l’orientamento della psichiatria degli anni ‘30 che vedeva nella mala!ia della mente un coefficiente destinato ad aumentare esponenzialmente la pericolosità del so$e!o, a causa dell’imprevedibilità dei suoi comportamenti violenti (al contrario della mala!ia del corpo, coefficiente che invece riduceva la pericolosità dell’individuo) . 13

Come de!o, al tempo dell’emanazione del codice Rocco, la pericolosità sociale veniva presunta in moltissimi casi, negando di conseguenza la possibilità di un esame caso per caso svolto dal Magistrato. Le -molte- presunzioni di pericolosità sociale, poi abrogate dalla le$e Gozzini, erano perfe!amente coerenti con le idee poste a fondamento dell’istituto; infa!i, se si muove dall’equivalenza ‘mala!ia mentale - pericolosità’, una delibazione a tal proposito della Magistratura sarebbe risultata del tu!o superflua ed inutile. Per il codice, infa!i, la colle!ività non può che essere tutelata con l’internamento del reo-folle e dunque, in tale prospe!iva, non c’è bisogno né di esaminare il caso concreto né di valutare misure di sicurezza alternative all’internamento. Appare dunque chiaro come, nel disegno del legislatore del 1930, si persegua con priorità assoluta la finalità della tutela sociale e, solo in via subordinata ed eventuale, la cura dell’internato.

C’è da a$iungere però che, se anche il legislatore mostrava un barlume di interesse per la cura dell’individuo, pur se in secondo piano, i fa!i hanno dimostrato come le istituzioni destinate all’esecuzione delle misure di sicurezza fossero orientate a una quasi totale dedizione all’esigenza custodialistica, dimenticando ogni %nzione terapeutica di cui l’internato avrebbe dovuto usufruire.


V. Manzini, Trattato di diritto penale, III, Vedizione, Torino, 1981

12

M. L. Fadda, Misure di sicurezza e detenuto psichiatrico nella fase dell’esecuzione, in Rassegna

13

(16)

La normativa del codice Rocco stru!urata in tal senso, infa!i, entrò in ro!a di collisione con le norme assistenziali e terapeutiche emanate a partire dagli anni ’70, che individuano il malato di mente come titolare di una serie di diri!i, tali da imporre limitazioni alla potestà coercitiva dello Stato nei suoi confronti . 14

È chiaro il contrasto tra la vecchia normativa, orientata alla tutela della società, e la nuova normativa civilistica, che pone al centro l’individuo e la cura dovutagli, espressione dell’art. 32 Cost. e di numerose fonti internazionali (tra cui la Convenzione di Oviedo, del 1997, ratificata nel 2001 dall’Italia).

Paradossalmente, si erano venuti a creare due sistemi normativi, diversi e paralleli, che si occupavano del malato psichico, a seconda che questi avesse o non avesse commesso un reato.

Se dunque, nella legislazione civile, abbiamo assistito all’abolizione del connubio tra mala!ia mentale e conce!o di pericolosità (specialmente con la le$e 180/78, la cd le$e Basaglia), nel sistema penale continuavano a prevalere le istanze di difesa sociale che oscuravano -quasi- completamente le istanze terapeutico-riabilitative. Il reo folle, considerato incurabile e pericoloso, doveva dunque essere isolato dalla società, doveva essere rinchiuso in un’istituzione, nella sostanza, manicomiale.

Queste istituzioni sono state, nel corso degli anni, o$e!o di molte a!enzioni e svariate critiche, dato che rappresentavano il prototipo perfe!o di %sione tra carcere e manicomio, dove non si considera la possibilità di curare il paziente ma ci si preoccupa solo di isolarlo, così da preservare la colle!ività dal pericolo di recidiva.

2.2.1 Le presunzioni di pericolosità: come abbiamo più volte de!o, prima dell’entrata in vigore della le$e 633 del 1986 (cosidde!a le$e Gozzini), nel codice Penale erano presenti molte presunzioni di pericolosità sociale.

M. L. Fadda, Op. Cit, p. 25

(17)

Se o$i è superata la convinzione che l’infermo di mente sia pericoloso socialmente in quanto tale in passato era diffusa l’idea opposta. L’idea dell’infermo di mente pericoloso infa!i tendeva (ma, nell’opinione comune, tende ancora o$i) a rassicurare: “è caduto un aereo, è stato un a!o terroristico? No, è impazzito il pilota. Meno male”. Perchè che a delinquere siano i diversi è sempre rassicurante, magari un pò razzista ma comunque rassicurante. Infa!i, il fa!o che il so$e!o che delinque possa non essere poi così diverso come ci piacerebbe che fosse ci costringe a porci delle -scomode- domande su noi stessi . Da questo punto di vista, l’infermo di mente che delinque non poteva 15

che essere una sicurezza.

Tornando alla disciplina codicistica, prima del 1986, si prevedevano tre differenti modalità di determinazione della pericolosità sociale:

a) presunzioni di pericolosità sociale (art. 204 c.p. comma 2). L’art. 204, comma 2, c.p., infa!i prima dell’abrogazione ad opera dell’art. 31, L. n. 331/1986, prevedeva che: “nei casi espressamente determinati, la qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla le$e”

b) pericolosità sociale valutata a seguito di accertamento del giudice (art. 203 e 204 c.p.). L’art. 204, comma 1, c.p., prima dell’abrogazione ad opera dell’art. 31, L. n. 663/1986, prevedeva che: “le misure di sicurezza sono ordinate, previo accertamento che colui il quale ha commesso il fa!o è persona socialmente pericolosa”

c) pericolosità sociale esclusa a seguito di presunzione legale (art.229 e 230 c.p.)

Come possiamo notare, norma centrale in fa!o di presunzione di pericolosità sociale è l’art. 204 c.p.; infa!i, prima dell’abrogazione del 1986, tale norma elencava delle presunzioni iuris et de iure, cioè presunzioni assolute che imponevano al giudice l’applicazione della misura di sicurezza, senza lasciare spazio a nessuna valutazione in relazione alla sussistenza della pericolosità sociale nel caso concreto.

G. Balbi, Infermità di mente e pericolosità sociale tra Opg e Rems, in

15

(18)

Le presunzioni di pericolosità sociale si basavano sul fa!o che l’individuo avesse commesso un fa!o previsto dalla le$e come reato, %$endo così dal positivismo più estremo che avrebbe svincolato il giudizio di pericolosità da tale presupposto.

C’è da dire che la pericolosità sociale presunta era al centro di numerosi diba!iti in do!rina e giurisprudenza da ben prima che si emanasse la le$e Gozzini, dato che, raramente, le ipotesi previste dall’art. 204 c.p. corrispondevano alla realtà dei fa!i.

Ben presto, infa!i, si incominciarono a sollevare questioni di legi!imità lamentando un contrasto con i principi di legalità e di colpevolezza, dato che si applicavano misure di sicurezza a individui che erano, preventivamente, ‘etiche!ati’ come socialmente pericolosi.


La le$e arginava tali presunzioni semplicemente prevedendo un riesame periodico della persistenza della pericolosità del so$e!o.

Comunque, come ormai sappiamo, diba!iti e sentenze della Corte Costituzionale hanno portato all’abrogazione dell’art. 204 c.p. e, con esso, di 16

tu!e le presunzioni in tema di pericolosità sociale.

Dal 1986 infa!i tu!e le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento della concreta pericolosità sociale dell’autore del fa!o di reato . 17

Si è così superata qualsiasi valutazione aprioristica sul so$e!o, che rischiava di sconfinare in automatismi in grado di alterare profondamente la ratio delle norme de!ate in tema di pericolosità sociale. 


Le presunzioni, seppur condannabili, liberavano il giudice dal peso incombente della decisione sulla pericolosità di un so$e!o per la comunità. Ciò che il codice Rocco affidava a presunzioni, non era molto diverso dal compito che nel medioevo veniva affidato alle ordalie, ‘prove’ che dovevano dimostrare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato agli occhi del giudice e della colle!ività. Lo scopo era far sì che l’aspe!o del giudicare, compito divino e non

ci riferiamo, in special modo, alle sentenze nn. 139/1982 e 249/1983 e n. 1 del 20 gennaio 1971

16

Canestrari, Cornacchia, De Simone, Manuale di diritto penale, Parte generale, Bologna, 2007, p.

17

(19)

umano, fosse affidato a ‘segni’ appunto del giudizio di Dio che rendevano obbligata una determinata decisione. 


Al giorno d’o$i molto è cambiato, ma non il disagio di dover giudicare delle coscienze, e la conseguenza è una partita di ping-pong tra giudici e periti, nessuno dei quali vuole dover rispondere alla domanda: ‘oltre ad essere ma!o, è anche pericoloso?’ .
18

Merita di esser citato anche l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione che, nel 1990, ha precisato che la pericolosità sociale deve essere intesa come una qualità del so$e!o, da cui si deduce la probabilità che egli comme!a nuovi reati. La pericolosità sociale è quella nota cara!erizzante del so$e!o che, anche al di %ori del fa!o di reato, manifesta nella sua personalità delle qualità tali da far ritenere non solo possibile, ma molto probabile, una sua ricaduta nel reato . La Corte di Cassazione dunque sposa l’idea della necessità 19

della valutazione a!uale e personale della pericolosità sociale, rifiutando qualsiasi valutazione a priori di cara!ere presuntivo.

Altri orientamenti invece inquadrano la pericolosità sociale non soltanto in base alle condizioni so$e!ive dell’autore del reato, ma anche in base a quelle o$e!ive, “so!o l’azione delle quali è probabile che un individuo comme!a un fa!o socialmente dannoso o pericoloso” . 20

2.3 La durata potenzialmente illimitata della misura di sicurezza: come già accennato, le misure di sicurezza hanno una durata potenzialmente infinita, non essendo previsto né un limite massimo di durata né un numero massimo

M. Fiorentini, Profili Costituzionali del trattamento della malattia mentale, in http://

18

www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2015/09/Fiorentini-Malattia-mentale.pdf, p. 12

Cass. pen., 5.6.1990, RV 184786, la quale ha affermato che: “la pericolosità sociale è una qualità,

19

un modo di essere del soggetto, da cui si deduce la probabilità che egli commetta nuovi reati. Essa si differenzia dalla capacità criminale, che esiste sempre in maniera più o meno accentuata, per il fatto stesso che il soggetto ha già commesso il reato e costituisce quindi una attitudine soggettiva alla commissione dei reati stessi”

B. Petrocelli, La pericolosità criminale e la sua posizione giuridica, Padova, 1940, p. 47

(20)

di proroghe ordinabili in base alle risultanze del giudizio sulla persistenza della pericolosità sociale dell’individuo.

Nella visione del codice Rocco tu!o ciò era perfe!amente coerente con la %nzione difensiva per cui le misure di sicurezza erano state previste: se la loro %nzione è quella di prote$ere la società da un so$e!o pericoloso, la loro durata non poteva che essere correlata al persistere della pericolosità.

Se però da un lato osserviamo cara!eristiche proprie della %nzione special-preventiva, dall’altro emergono anche cara!eristiche che rimandano ad una visione retributiva. Infa!i, all’indeterminatezza temporale si a$iungeva la previsione di un limite minimo di durata, commisurato alla gravità del fa!o commesso.

Per giustificare la previsione di un limite minimo si è argomentato dicendo che la commissione di fa!i gravi altro non è che l’ovvio sintomo di una pericolosità sociale ma$iormente radicata nell’individuo che, di conseguenza, comporterebbe la necessità di una reclusione più duratura.

Il codice però non sembra aderire a questo ordine di idee dato che, nella determinazione del limite minimo di durata della misura di sicurezza, manca ogni riferimento alla pena commisurata in concreto, che perme!erebbe di porre al centro dell’a!enzione l’esame sul fa!o contestualizzandolo in un’o!ica che meglio perme!erebbe di valutare la pericolosità sociale.

Il codice fa infa!i riferimento soltanto al massimo edi!ale della pena, calandosi in un’o!ica meramente astra!a del reato e allontanandosi da quella dimensione concreta che, forse, sarebbe stata più utile ai fini di una valutazione quale quella circa la sussistenza della pericolosità sociale. Questa decisione, inutile dirlo, si traduce in una disciplina particolarmente svanta$iosa per i so$e!i non imputabili che si trovano so$e!i a una misura di sicurezza con una durata minima predeterminata e una durata massima potenzialmente illimitata nel tempo.

(21)

In sostanza, il codice Rocco mirava a far espiare almeno una parte della misura affli!iva, anche al non imputabile .
21

La misura è ancor più affli!iva se si pensa che, fino all’intervento della Corte Costituzionale del 1974, che dichiarò l’illegi!imità dell’art. 207 c.p. nella parte in cui non consentiva una revoca anticipata al Magistrato di Sorveglianza, non vi era possibilità alcuna di so!rarsi alle grinfie della misura di sicurezza prima dello spirare del termine minimo.

2.4 Costituzionalizzazione del doppio binario?: nel codice Rocco, come abbiamo de!o, il manicomio giudiziario era stato ele!o a istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza cui erano stati condannati i prosciolti per vizio totale di mente. Quando però, nel 1948, entrò in vigore la Costituzione il sistema del doppio binario e l’istituzione del manicomio giudiziario dove!ero fare i conti con i principi costituzionali appena emanati.

La Corte Costituzionale, in a!ività dal 1956, è infa!i stata chiamata più volte ad intervenire in materia sostituendosi talvolta al legislatore che rimaneva 22

inerte davanti all’inadeguatezza del sistema delle misure di sicurezza, come delineato dal codice Penale, di fronte ai de!ati della Carta costituzionale. Come de!o, le norme del codice dove!ero confrontarsi con i principi costituzionali. Primo fra questi il principio di legalità, espresso dall’art. 25 Cost. (e, peraltro, già sancito dall’art. 199 c.p.) che fa espresso riferimento alle misure di sicurezza enunciando, al comma 3, che ‘nessuno può essere so!oposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla le$e’. In molti hanno sostenuto che questo espresso riferimento alle misure di sicurezza nella Carta Costituzionale avesse un respiro molto più ampio del mero significato le!erale e che sancisse dunque una vera e propria ‘costituzionalizzazione’ del sistema del doppio binario.

A. Manacorda, Il Manicomio giudiziario: cultura psichiatrica e scienza giuridica nella storia di

21

un'istituzione totale, Bari, 1982, p. 32 infra Cap. II

(22)

Altri invece sostenevano la tesi secondo cui il costituente non avesse concepito l’art. 25 Cost. come un ‘nulla osta’ al sistema del doppio binario imponendone il mantenimento, quanto piu!osto come un modo per estendere la garanzia di legalità anche alla misura di sicurezza, visto il cara!ere affli!ivo incidente sulla libertà personale che le cara!erizzano . Sarebbe infa!i erroneo interpretare 23

una norma di rango superiore, come è quella costituzionale, alla luce di una norma di rango inferiore facendo derivare da ciò la conservazione e la costituzionalizzazione dell’asse!o legislativo previgente . 24

Al di là dello specifico diba!ito in merito all’art. 25 Cost., le misure di sicurezza %rono bersaglio di svariate critiche; dapprima ci si concentrò su aspe!i specifici della normativa tanto che, con il tempo, si iniziò a me!ere in discussione la legi!imazione stessa delle misure di sicurezza . 25

Questa ‘crisi’ delle misure di sicurezza emergeva dall’impossibilità, riguardo agli imputabili, di distinguere tra pena e misura di sicurezza, sia sul piano teorico che in relazione al loro contenuto concreto.

Si sosteneva che era diversa la %nzione della pena, retributiva, da quella delle misure di sicurezza, preventiva. Ma, se già con il codice Rocco la pena tendeva ad assumere -anche- %nzioni di prevenzione sociale, dopo l’emanazione della Carta costituzionale, in special modo con l’introduzione dell’art. 27, le peculiarità delle misure di sicurezza si asso!igliarono ancora di più, so!o il profilo %nzionale.

Infa!i l’art. 27 Cost., al comma 3, enuncia che “le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato”; l’enunciato in questione è stato interpretato come un’affermazione della %nzione special-preventiva della pena in fase esecutiva. La tendenza alla rieducazione che cara!erizza la pena ha dunque finito per avvicinarla, ancor di più, alle misure di sicurezza.

M. Pelissero, Il doppio binario nel (cit), p.4 ss

23

M. Pelissero, Il doppio binario nel (cit), p.4 ss

24

E. Musco, La misura di sicurezza detentiva. Profili storici e costituzionali, Milano, 1978, p. 167

25

(23)

La giurisprudenza si è mossa verso il riconoscimento di un cara!ere poli%nzionale della pena; l’idea di una pena meramente retributiva è andata affievolendosi col tempo.

Ma se alla pena viene riconosciuto un profilo special-preventivo, che va a sommarsi al profilo retributivo, non si può far a meno di notare come anche le misure di sicurezza presentino più profili; infa!i, alla %nzione di prevenzione, si a$iungeva un contenuto affli!ivo identico a quello della pena (se non addiri!ura ma$iore, data la durata della misura di sicurezza che, in astra!o, poteva essere infinita).

Dunque, in special modo sul piano pratico, risultava veramente difficile -se non impossibile- operare una distinzione efficace tra misure di sicurezza e pena. Anche dal punto di vista logistico tra pena e misura di sicurezza era difficile cogliere delle differenze dato che, molto spesso, le colonie agricole, le case di lavoro e i manicomi giudiziari altri non erano che speciali sezioni degli istituti penitenziari in cui si scontavano le pene detentive.

Fu questa identità di %nzioni e impossibilità di distinzione che portò Kohlrausch a coniare l’espressione “frode delle etiche!e” . 26

Dunque il sistema dualistico, giustificato sulla carta in base ai diversi presupposti tra pene e misure di sicurezza, sembra alla realtà dei fa!i ridursi a un sistema monistico, dove pene e misure di sicurezza si fondono in un unica essenza esecutiva, impossibile da scindere se non, appunto, sul piano della denominazione delle stesse.

2.4.1 Principio di colpevolezza e misura di sicurezza applicata al so$e!o non imputabile: il comma 1 dell’art. 27 Cost. dicendo che “la responsabilità penale è personale” individua nella personalità il cara!ere essenziale della responsabilità penale.

Nonostante un orientamento minoritario della do!rina che vede nel comma 1 soltanto un generale divieto di prevedere ipotesi di responsabilità per fa!o

Kohlrausch usò tale espressione nella sua celebre opera Sicherungshaft del 1924

(24)

altrui, la portata dell’art. 27 comma 1 sarebbe ben più ampia, in quanto volta ad escludere la responsabilità penale in dife!o della possibilità di muovere un rimprovero all'autore del fa!o.

Inoltre, tale interpretazione si sposa alla perfezione con il già citato comma 3 dell’art. 27 Cost. che, nell'esplicitare la %nzione rieducativa della pena, sarebbe ben poco comprensibile qualora si amme!esse una responsabilità penale anche in ordine a fa!i riguardo ai quali non sia possibile muovere alcun rimprovero all'autore del fa!o.

La colpevolezza presuppone, dunque, l'imputabilità, nel senso che la rimproverabilità di un so$e!o dipende dalla possibilità, da parte del so$e!o stesso, di scegliere condo!e alternative, possibilità esclusa dall'incapacità d'intendere e volere.

L’incapacità di intendere e di volere dunque esclude la colpevolezza, sulla quale si fonda l’applicazione della pena, ma può, tu!avia, rendere necessaria l'applicazione di una misura di sicurezza in relazione alla pericolosità sociale dell'autore del fa!o.

In base a questa premessa si può facilmente concludere come la misura di sicurezza destinata al so$e!o non imputabile debba differire, nel contenuto, dalla pena, altrimenti si finirebbe per applicare al non imputabile una pena mascherata da una diversa denominazione.

Be!iol, nel riaffermare il principio retributivo della pena, sosteneva che la misura di sicurezza destinata al non imputabile dovesse fondarsi sul principio di solidarietà, assumendo una %nzione di risocializzazione e offrendo a quei ci!adini che partivano da una posizione di svanta$io -come gli infermi di mente- gli strumenti idonei a consentire loro di svolgere la propria personalità . 27

La misura di sicurezza rivolta ai non imputabili sarebbe perciò giustificata dalla finalità terapeutica che viene ad assumere, finalità però che rischia di

G. Bettiol, I problemi di fondo delle misure di sicurezza, in Bettiol (a cura di), Stato di diritto e

27

(25)

rimanere soltanto sulla carta, data la portata enormemente affli!iva delle misure di sicurezza . 28

Dunque gli istituti dove si eseguono le misure di sicurezza (e, in special modo il manicomio giudiziario) dovrebbe distinguersi dagli istituti carcerari, presentando cara!eristiche simili a quelle degli ospedali e degli istituti di sanità mentale.

L’affermazione dei principi sanciti dalla Costituzione sembrano quindi spingere verso una rinuncia del sistema del doppio binario e alla cara!erizzazione delle misure di sicurezza rivolte al so$e!o non imputabile per il loro contenuto risocializzante e terapeutico.

2.5 Manicomio giudiziario e principi costituzionali: nel manicomio giudiziario vengono (o, meglio, dovrebbero) venire in evidenza le %nzionalità terapeutiche proprie delle misure di sicurezza.

Occorre tenere a mente, come abbiamo visto, che il diri!o alla salute è un diri!o inviolabile e che, come tale, deve essere garantito in tu!e le situazioni, comprese quelle in cui il so$e!o si trova a subire una restrizione della propria libertà personale come conseguenza della commissione di un reato.

Si deve ricordare anche che la misura di sicurezza ha una finalità terapeutica e che è proprio tale aspe!o che la differenzia dalla pena (o, almeno, così dovrebbe essere).

Dunque si deve garantire agli internati in manicomio giudiziario, così come ai detenuti, il diri!o alla salute dato che la misura di sicurezza, così come la pena, non può limitare il godimento di diri!i costituzionali (al di là, ovviamente, di quelli incompatibili con la detenzione ). 29

Il tu!o viene enfatizzato dal cara!ere spiccatamente rieducativo che l’internamento in manicomio giudiziario dovrebbe assumere: la rieducazione e

F. Bricola, Art. 25, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione. Rapporti civili,

28

Bologna, 1981, p. 300 ss

T. Padovani, L'ospedale psichiatrico giudiziario e la tutela costituzionale della salute in U.

29

(26)

la prevenzione speciale infa!i, nell’o!ica delle misure di sicurezza, si specificano come cura.

A tal proposito sono molto interessanti le analisi e le critiche mosse in merito da una parte minoritaria della do!rina secondo la quale l’art. 32 Cost., 30

dovrebbe illuminare la disciplina delle misure di sicurezza sia so!o aspe!i organizzativi che su aspe!i istituzionali, essendo appunto le misure di sicurezza finalizzate all’intervento terapeutico.

Infa!i la risocializzazione, in tema di misure di sicurezza, si sostanzia in un’esigenza curativa dell’internato che, essendo un tra!amento sanitario coa!ivo, deve rispe!are i limiti previsti dal comma 2 dell’art. 32 Cost. 31

(“nessuno può essere obbligato a un determinato tra!amento sanitario se non per disposizione di le$e. La le$e non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispe!o della persona umana”).

Dunque, se la %nzione del manicomio giudiziario è pre!amente terapeutica la sua ragione d’essere risiede nelle particolari esigenze di terapia di cui necessita il folle reo rispe!o al folle comune.


Di conseguenza la stru!ura e l’organizzazione del manicomio giudiziario devono risultare idonee allo svolgimento della %nzione terapeutica almeno al pari delle stru!ure civili rivolte alla cura dei malati di mente, differenziandosi al tempo stesso dal tra!amento penitenziario in senso stre!o . Inoltre il 32

personale adde!o al tra!amento di questi so$e!i dovrebbe essere altamente qualificato. Il manicomio giudiziario non deve limitarsi a recludere il malato di mente autore di reato ma deve essere in grado di offrirgli una terapia efficace; deve dunque, come minimo, presentare requisiti analoghi a quelli delle stru!ure che, all’esterno, si occupano di provvedere alla salute dei malati di mente.

ci riferiamo al Prof. Avv. Tullio Padovani

30

T. Padovani, Op. Cit., p. 239 ss

31

T. Padovani, Op. Cit., p. 239 ss

(27)

La realtà dei fa!i però era (e in parte è) ben diversa, basti pensare all’insoddisfacente rapporto numerico tra pazienti e personale medico e sanitario. Lascia perplessi il fa!o che, nel 1978 si muovessero critiche che risultano ai nostri orecchi di un’allarmante a!ualità.

Anche con l’introduzione della le$e 354 del 1975 (cosidde!a le$e di Ordinamento penitenziario) le cose non cambiarono di molto.

Il manicomio giudiziario venne rinominato Ospedale Psichiatrico Giudiziario, per enfatizzarne le finalità terapeutiche, e si enunciò la necessità che i singoli istituti fossero organizzati con cara!eristiche differenziate, in relazione alla posizione giuridica dei detenuti e degli internati e alla necessità del tra!amento individuale o di gruppo degli stessi (art. 64 della lg 354/75).

L’anno seguente venne emanato un regolamento contente norme sull’esecuzione dell’ordinamento penitenziario, in cui si precisava che gli operatori professionali e volontari, destinati ad operare negli ospedali psichiatrici giudiziari, fossero selezionati con riferimento alle peculiari esigenze di tra!amento dei so$e!i ospitati (in base a quanto predisposto dall’art. 98 del Regolamento penitenziario, R.D. 431 del 29.04.1976).

Tale normativa non era affa!o in linea con le finalità terapeutiche che il manicomio giudiziario avrebbe dovuto svolgere. Nella realtà i manicomi giudiziari infa!i somigliavano più a penitenziari che a ospedali dove volgere le adeguate cure ai rei folli (d’altronde, il manicomio giudiziario nasce proprio come istituto di pena speciale).

Infa!i la le$e 354 del 1975 modella il tra!amento degli internati nei neo-rinominati ospedali psichiatrici giudiziari sul tra!amento riservato ai detenuti negli istituti di pena; certo, alcuni istituti mostrano piccole differenze ma si tra!a sempre di istituti modellati su altri istituti, nati e pensati per i detenuti. Le modifiche introdo!i dalla le$e sull’o.p. si risolvevano, nonostante le buone intenzioni iniziali, in una mera perpetrazione della realtà manicomiale precedente.

(28)

Parte della do!rina sosteneva che il rispe!o dell’art. 32 Cost. da parte della 33

misura di sicurezza dell’Opg non si esaurisse nella mera garanzia di un tra!amento che abbia una valenza terapeutica, ma che consistesse anche nel garantire il rispe!o dei limiti per i tra!amenti sanitari obbligatori, previsti dal comma 3 della norma costituzionale in questione . 34

La Costituzione infa!i prevede due garanzie relative a tra!amenti sanitari somministrati senza il consenso del paziente, come risulta essere quello imposto con la misura di sicurezza del ricovero in Opg:

a) Riserva di Le$e, garantita ampiamente dalla previsione, all’art.25 Cost. delle misure di sicurezza

b) Divieto di tra!amenti che violino il rispe!o della dignità umana

È in relazione a questo secondo punto che si rinvengono importanti limiti all’internamento in Opg; infa!i, per garantire il pieno rispe!o della persona umana i tra!amenti coa!ivi possono essere disposti soltanto per finalità terapeutiche e non possono durare per un tempo superiore a quello in cui perdurano le esigenze di salute, altrimenti la misura di sicurezza finirebbe per diventare una illegi!ima strumentalizzazione della persona . 35

In quest’o!ica parte della do!rina riteneva illegi!ima sia la presunzione di pericolosità sociale, che non consentiva una rivalutazione circa l’a!ualità dell’infermità mentale, sia la durata minima della misura di sicurezza, che perme!eva di perpetrare un tra!amento non più necessario e persino potenzialmente dannoso per la salute dell’internato, nel caso in cui egli fosse ormai da ritenersi sano ma il termine minimo non fosse ancora decorso.

Tali previsioni normative infa!i saranno, come abbiamo già accennato, travolte da varie sentenze di illegi!imità ad opera della Corte Costituzionale e, nel caso

ci riferiamo al Prof. Avv. Tullio Padovani

33

T. Padovani, Op. Cit., p. 260

34

T. Padovani, Op. Cit., p. 260

(29)

della presunzione di pericolosità sociale, o$e!o di abrogazione da parte dello stesso legislatore . 36

ci riferiamo alla legge 10 ottobre 1986, n. 663, cosiddetta Legge Gozzini che ha abrogato l’art.

36

(30)

SEZIONE II

La le!e sull’ordinamento penitenziario e l’Ospedale

Psichiatrico Giudiziario

Sommario: 1. Dal manicomio giudiziario all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario: la

legge 354 del 1975. - 1.1 L’applicabilità delle misure alternative. - 1.2 I benefici applicabili all’internato. - 1.3 Il tra"amento dell’internato in Opg. - 1.4 Il ricorso ai sistemi di contenzione. - 2. Ospedale Psichiatrico Civile e Ospedale Psichiatrico Giudiziario. - 2.1 La riforma dell’assistenza psichiatrica. - 2.2 Influenza della legge n. 180 del 1978 nella gestione degli Opg. - 3. La popolazione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. - 4. La pratica degli ‘ergastoli bianchi’. - 5. Gli interventi ad opera della Corte Costituzionale.

1. Dal manicomio giudiziario all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario: la le$e 354 del 1975: come abbiamo visto nel precedente capitolo la le$e 354 del 1975 (la cosidde!a le$e di Ordinamento penitenziario) dispiegò i suoi effe!i anche sul manicomio giudiziario investendolo della rinnovata a!enzione all’effe!ività della garanzia dei diri!i dei so$e!i so!oposti a restrizione della libertà personale.


Negli anni antecedenti all’emanazione della le$e 354 del 1975 l’istituzione del manicomio giudiziario era stata ritenuta legi!ima, nonostante le numerose critiche e le evidenti contraddizioni, in virtù della %nzione terapeutica svolta. È infa!i in questa direzione che si muove la disciplina dell’ordinamento penitenziario destinata ai manicomi giudiziari.

Infa!i, per prima cosa, la le$e 354/75 si preoccupa di cambiare nome al manicomio giudiziario, denominandolo Ospedale Psichiatrico Giudiziario: è chiaro l’intento del legislatore, cioè quello di richiamare una %nzione terapeutica, un’accezione ospedaliera che rimandi al bisogno di cura dell’internato abbondando così ogni logica manicomiale e meramente custodiale.

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Questa nuova denominazione trasuda le buone intenzioni del legislatore, che però sono subito tradite dalle -poche- successive norme dedicate dalla le$e all’Opg. Infa!i nonostante il fermento della psichiatria di quegli anni, che lamentava come ai progressi in campo scientifico non avessero avuto seguito adeguati ada!amenti della normativa riguardante i sofferenti psichici autori di reato, e nonostante le critiche mosse da una larga parte della do!rina che vedeva i manicomi giudiziari/Opg troppo simili agli istituti di pena vanificando così il senso proprio delle misura di sicurezza, le cose non mutarono di molto. 


La stru!ura, l’organizzazione e la disciplina relativa all’ospedale psichiatrico giudiziario infa!i rimase molto simile a quella propria degli istituti di pena; in pratica la misura di sicurezza si confermava del tu!o simile alla pena, se non addiri!ura più restri!iva.

La logica manicomiale, dunque, non era affa!o superata, i ‘nuovi’ ospedali psichiatrici giudiziari si riconfermavano stru!ure analoghe alle carceri e la vita al loro interno poco aveva a che fare con l’o!ica terapeutica, che invece avrebbe dovuto connotarli. Ancora una volta, una stru!ura che avrebbe dovuto curare l’internato, tenendo conto della sua specifica situazione giuridica e clinica, si limitava a segregarlo, rispondendo meramente a o!iche di custodia e tutela della società.

Ci si preoccupa di neutralizzare la componente relativa alla pericolosità sociale dell’internato, mentre si sorvola quasi completamente sulla componente relativa alla mala!ia psichica da cui è affe!o il so$e!o che, più che paziente, è un vero e proprio prigioniero della stru!ura e del sistema.

Vediamo ora nel de!aglio quali sono le norme con cui la le$e di Ordinamento penitenziario regola la vita del so$e!o destinato al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.

1.1 L’applicabilità delle misure alternative: la le$e 354 del 1975, che si sostituisce al regolamento delle carceri del 1931, mira innanzitu!o all’a!uazione del prece!o costituzionale circa la %nzione rieducativa della

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pena, enunciato all’art. 27 Cost. La le$e di Ordinamento penitenziario riconosce diri!i ai detenuti e mitiga le discipline laddove il loro eccessivo rigore si rivelava in contraddizione con il fine rieducativo della pena: emerge chiara la distanza dal precedente regolamento delle carceri, autoritario e rigido, emanato durante il ventennio fascista.

La le$e di Ordinamento penitenziario finalizza il tra!amento del so$e!o detenuto a una chiara %nzione rieducativa, mirando al reinserimento sociale dello stesso una volta espiata la pena.

Il processo rieducativo non si pone però come un percorso obbligato e sempre uguale a sé stesso quanto, piu!osto, come un percorso diversificato caso per caso, che può avvalersi di strumenti utili a conformarlo alle esigenze e ai progressi (o regressi) del so$e!o.

Infa!i si prevedono degli istituti capaci di premiare le conquiste nel processo rieducativo del detenuto e degli istituti alternativi alla detenzione, ben consci del fa!o che, talvolta, per rieducare e risocializzare il reo è più opportuno perme!ergli di scontare la pena %ori dal carcere.

Vediamo brevemente quali sono le Misure Alternative alla detenzione e come si a!e$iano nei confronti dell’internato:

a) Affidamento in Prova al Servizio Sociale (art. 47 o.p.) : dopo un mese di 37 osservazione il detenuto, condannato a pena non superiore a 3 anni, può essere affidato al servizio sociale se ciò è utile al suo percorso rieducativo e se non c’è pericolo di recidiva. In caso di esito positivo della prova la pena e gli effe!i penali si estinguono.


L’internato in ospedale psichiatrico giudiziario è escluso dalla possibilità di affidamento in prova. Non si capisce il motivo di tale decisione, dato che la misura alternativa in esame ben potrebbe valorizzare l'aspe!o terapeutico su quello custodiale, valorizzando la ragion d’essere stessa dell’Opg.


Consentendo l’affidamento in prova anche nei confronti dell’internato in Opg si consentirebbe ad esso di muoversi in libertà, nel suo contesto

per un’analisi della disciplina si rinvia a, M. Canepa, S. Merlo, Manuale di diritto penitenziario,

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sociale, invece di trasferirlo in luoghi distanti dal suo contesto territoriale , 38

causando così la sua emarginazione e rendendo più difficoltoso un eventuale reinserimento a misura di sicurezza scontata.


Inoltre il Tribunale di Sorveglianza avrebbe potuto disporre tu!e le misure idonee per evitare la recidiva del so$e!o, evitando così l’impa!o con l’istituzione totale dell’Opg e, con esso, tu!e le relative conseguenze negative sull’internato.


Neanche l’ipotetica incompatibilità tra pericolosità sociale e affidamento in prova spiega una tale differenza di tra!amento tra detenuto e internato in Opg; persino la giurisprudenza ritiene che l’apprezzamento, ex art. 47 lg o.p., dell'idoneità delle prescrizioni prescelte per l'affidamento in prova a prevenire il pericolo non contrastanti con una valutazione complessiva in termini di pericolosità del so$e!o . 39

b) Liberazione Condizionale: era già prevista prima della le$e 354/75 dall’art. 176 c.p.; la liberazione condizionale può essere concessa al detenuto che ha dato prova di ravvedimento, dopo aver scontato almeno parte della sua pena. Il so$e!o ammesso alla liberazione condizionale viene poi so!oposto a libertà vigilata. Una volta decorso il tempo residuo della pena, qualora non vi sia stata revoca della liberazione condizionale (per violazione degli obblighi o commissione di deli!i della stessa indole), la pena si estingue.


Anche questa misura alternativa viene esclusa per gli internati, senza dare alcuna motivazione di tale scelta normativa.

c) Semilibertà: più che di una misura alternativa si tra!a di una diversa esecuzione della pena o misura di sicurezza. Il so$e!o può passare una parte della giornata al di %ori dell’istituto dove deve scontare la pena o misura di sicurezza per svolgere delle a!ività ritenuti utili al suo percorso

fino alla riforma della sanità penitenziaria del 1999 non si prevedeva il rispetto di un principio di

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territorialità che prevedesse l'invio nell’Opg più vicino alla località da dove proviene il soggetto.
 vedi infra Cap. IV

L. Filippi e S. Spangher, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2011, p. 108 ss

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rieducativo e al reinserimento sociale. 


La semilibertà, al contrario delle altre misure alternative, è accessibile anche da parte dell’internato; anzi, addiri!ura egli può accedervi in qualunque momento, a differenza del detenuto che deve invece vantare una pena residua inferiore a un determinato periodo oppure deve aver già scontato una porzione pretedeterminata di pena. 


Per accedere alla semilibertà si deve dar prova di aver compiuto dei progressi che inducono a ritener presenti le condizioni per un reinserimento, graduale, del so$e!o nella società.

d) Detenzione Domiciliare (legge n. 633 del 1986): nel 1986 la le$e Gozzini a$iunse l’art. 47 Ter alla le$e 354/75 introducendo la detenzione domiciliare, una misura alternativa cui possono accedere so$e!i che versano in determinati condizioni (ad esempio può accedervi la madre con prole inferiore a 10 anni, gli ultrase!antenni, i minori di 21 anni per particolari esigenze etc) e che abbiano un quantum di pena residua. Il condannato ammesso alla detenzione domiciliare finisce di espiare la pena rimasta presso la propria abitazione.


All’internato non viene però riconosciuta la possibilità di poter scontare la misura di sicurezza presso la propria abitazione, ex art. 47 Ter le$e 354/75.
 Nel corso degli anni, inoltre, %rono a$iunte altre forme di detenzione domiciliare, più specifiche, ma mai nessuna di queste venne estesa agli internati.

Dunque un so$e!o internato in Opg può usufruire solo del regime di semilibertà. Un piccolo cambiamento si ebbe con l’introduzione, da parte della le$e n. 231 del 1999, delle misure alternative rivolte ai so$e!i, sia detenuti che internati, affe!i da AIDS o grave immunodeficienza conclamata (situazioni cioè talmente gravi ritenuti incompatibili dalla le$e con l’espiazione della pena presso una stru!ura carceraria o un Opg). Ma a ben vedere questa estensione nei confronti dell’internato non sembra certo inserirsi in un contesto a!ento alla sua rieducazione, alla sua cura o al suo reinserimento sociale.

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