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Complicazioni anestesiologiche in pazienti sottoposti a endoscopie gastrointestinali e biopsie epatiche

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Complicazioni anestesiologiche in

pazienti sottoposti a endoscopie

gastrointestinali e biopsie epatiche

ANNO ACCADEMICO 2018/2019

Candidato:

Relatore:

(2)

Che sia buna vita, che sia buono il tempo, canti il vento

(3)

Indice

Riassunto Abstract

Pag. 5 Pag. 6

Capitolo 1.0: Caratteristiche del paziente gastroenterico

Pag. 7

1.1 L’apparato gastroenterico Pag. 7

1.2 Lesioni alla barriera intestinale Pag. 8

1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12

L’organizzazione del villo intestinale e ipotensione Le patologie gastrointestinali

Il malassorbimento intestinale Inflammatory Bowel Disease, IBD Enteropatia proteino-disperdente Il ruolo dell’albumina

Paziente gastroenterico e coagulopatie Paziente gastroenterico e anemia Squilibri elettrolitici

Asse intestino- fegato

Pag.9 Pag.10 Pag.11 Pag.12 Pag.13 Pag.15 Pag.16 Pag.17 Pag.18 Pag.19

Capitolo 2.0: Endoscopia del paziente gastroenterico Introduzione

Pag.20 Pag.20

2.1 Gastroduodenoscopia Pag.20

2.2 Proctoscopia e colonscopia Pag.21

(4)

2.4 Possibili complicazioni durante le procedure anestesiologiche

Pag.22

2.5 Corretto posizionamento del paziente Pag. 23

Capitolo 3.0: Gestione anestesiologica del paziente

gastroenterico Pag.25

3.1 Complicazioni anestesiologiche in corso di endoscopia del tratto gastroenterico

Pag.27

3.1.1 Ipoventilazione Pag.27

3.1.2 Aumento dei livelli di CO2: ipercapnia Pag.27

3.1.3 Variazione della compliance toracica Pag.29 3.1.4 3.1.5 3.1.6 3.1.7 3.1.8 3.1.9 3.2 Bradicardia riflessa Ipotensione Emesi Atelettasia

Alterazione dei fattori della coagulazione Emorragia della mucosa

Considerazioni farmacologiche durante l’anestesia generale in corso di endoscopie gastrointestinali

Pag.30 Pag.31 Pag.34 Pag.35 Pag.36 Pag.37 Pag.37

Capitolo 4.0: Studio Clinico Pag.39

4.1 Introduzione Pag.39

4.2 Scopo del lavoro Pag.40

4.3 Materiali e metodi Pag.40

4.4 Risultati Pag.41

4.5 Discussioni Pag.44

(5)

Bibliografia Pag.48

(6)

RIASSUNTO

Obiettivo: valutazione retrospettiva delle principali complicazioni anestesiologiche nei pazienti sottoposti a endoscopie gastrointestinali e biopsie epatiche.

Materiali e metodi: lo studio è stato condotto valutando le cartelle cliniche dal 2015 al 2020 di tutti i soggetti sottoposti ad anestesia per indagini diagnostiche gastroenterologiche.

I criteri di inclusione erano analisi emato-biochimiche pre e postoperatorie e cartella anestesiologica completa.

Risultati: Nello studio sono sati arruolati 33 cani di varie razze, con un’età media di 5,3 anni, un peso medio di 18,6 kg e una durata media della procedura endoscopica di 72 minuti. I sintomi più spesso riportati sono risultati vomito, melena, diarrea, ascite, dolorabilità addominale, ematemesi. Relativamente ai valori emato-biochimici, non sono state evidenziate sostanziali variazioni, il valore medio di albumina è risultato di 2,9 g/dL, il valore medio delle proteine totali è di 6 g/dL e il valore medio di HCT è di 40,26 %.

Si sono manifestate alcune complicazioni durante l’anestesia ed in particolar modo sono state riscontrate: bradicardia e ipotensione, con un una frequenza del circa 61,11 % per la bradicardia, del 16,66% per l’ipotensione e del 22,22% relativamente alla presenza di ipotensione e bradicardia contemporaneamente. Conclusioni: Le maggiori complicazioni riscontrate in seguito di endoscopia gastrointestinale e biopsia epatica, eseguite in anestesia generale, sono bradicardia e ipotensione.

Le procedure endoscopiche del tratto digestivo, possono provocare una stimolazione di organi a ricca innervazione parasimpatica, esitando in una riduzione della frequenza cardiaca. Un ostacolo al ritorno venoso del cuore di destra, provocato da un’eccessiva compressione dei vasi splancnici, potenzialmente indotto dall’aria utilizzata in corso di endoscopia, può predisporre i pazienti a fenomeni ipotensivi.

Non è da escludere che queste complicazioni possano anche essere influenzate dall’utilizzo di anestetici gassosi o da piani anestesiologici troppo profondi.

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ABSTRACT

Objective: retrospective evaluation of the main anaesthesiological complications in patients undergoing gastrointestinal endoscopies and liver biopsies.

Material and Methods: the study was conducted by evaluating the medical records from 2015 to 2020 of all subjects undergoing anesthesia for gastroenterological diagnostic investigations.

The inclusion criteria were pre-and postoperative blood-biochemical analyzes and complete anesthesiological record.

Results: in the study, 33 dogs of various breeds were enrolled, with an average age of 5.3 years, an average weight of 18.60 kg and an average duration of the endoscopic procedure of 72 minutes. The symptoms most often reported were vomiting, melena, diarrhea, ascites, abdominal tenderness, hematemesis. With regard to the blood-biochemical values, no substantial changes were highlighted, the average albumin value is 2.9 g/dL, the average total protein value is 6 g/dL and the average HCT value is 40.26%.

Some complications occurred during anesthesia: bradycardia and hypotension, with a frequency of approximately 61.11% for bradycardia, 16.66% for hypotension and 22.22% relative to the presence of hypotension and bradycardia simultaneously.

Conclusion: The major complications encountered following gastrointestinal

endoscopy and liver biopsy, performed under general anesthesia, resulted bradycardia and hypotension.

Endoscopic procedures of the digestive tract can provoke stimulation of organs with a rich parasympathetic innervation, resulting in a reduction in heart rate. An obstacle to the venous return of the right heart, caused by excessive compression of the vessels, potentially induced by the air used during endoscopy, can predispose patients to hypotensive phenomena.

It cannot be excluded that these complications may also be influenced by the use of gaseous anesthetics or by too deep anesthesiological plans.

(8)

CAPITOLO 1

Caratteristiche del paziente gastroenterico

1.1 L’apparato Gastroenterico

L’epitelio intestinale rappresenta un’ampia superficie di scambio tra il corpo, l’ambiente esterno e il sistema immunitario intestinale, il quale è costantemente esposto ad un ampio numero di allergeni come ad esempio quelli derivanti dal cibo, dalla microflora endogena e dai microrganismi patogeni.

La capacità del sistema immunitario intestinale, di tollerare un alto numero di allergeni innocui, preservando però la capacità di protezione verso i patogeni, viene definita tolleranza orale.

Quando questa condizione di equilibrio viene interrotta, porta allo scatenarsi di un processo infiammatorio incontrollato, che sta alla base della malattia intestinale cronica.

Diversi studi hanno indagato su quali siano i meccanismi specifici, e le condizioni predisponenti, che inducono la perdita della tolleranza immunologica e la conseguente dysregulation immunitaria (German et al.2003).

La parete dell'intestino tenue, presenta una tonaca mucosa, una sottomucosa, una muscolare, un'avventizia ed una sierosa. La mucosa è una struttura estremamente specializzata: essa presenta sulla sua superficie i villi, i quali sono tappezzati da cellule chiamate enterociti, che sono altresì, l’unità morfofunzionale dell’intestino tenue, poiché permettono il trasporto di nutrienti, acqua e ioni ed hanno una rilevante funzione di barriera. L’alterazione di una o più di queste attività è alla base di numerose malattie, intestinali e non.

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Il mantenimento dell’ecosistema intestinale è basato sulla integrità e sulla collaborazione stabile, tra la microflora intestinale, il sistema immunitario e la barriera costituita dalla mucosa intestinale.

Qualsiasi evento che intervenga ad alterare ognuna di queste componenti, crea uno squilibrio, con il conseguente instaurarsi di patologie locali e/o sistemiche. Di fondamentale importanza, è l’equilibrio tra le diverse specie della flora batterica, in cui sono presenti batteri ad azione nociva, batteri ad azione protettiva che diventano nocivi in particolari condizioni, e batteri ad azione protettiva come quelli appartenenti ai generi Lactobacillus, Bifidobacterium, Eubacterium.

I ceppi patogeni sono caratterizzati dalla capacità di produrre tossine, possono essere invasivi e produrre sostanze ad azione cancerogena; in condizioni di salute, la loro crescita e le loro attività metaboliche vengono inibite dalla flora protettiva.

1.2 Lesioni alla barriera intestinale

Lesioni della barriera intestinale, possono permettere il passaggio attraverso la mucosa di batteri contenuti nel lume, (generalmente batteri aerobi gram-negativi come Escherichia, Proteus, Klebsiella), fenomeno che è definito come translocazione.

Dopo aver attraversato la mucosa, i batteri vitali, possono raggiungere attraverso i vasi linfatici, i linfonodi mesenterici, la milza ed il fegato e quindi disseminarsi nell’organismo provocando sepsi. Questo è uno dei motivi per cui spesso un paziente enteropatico è anche epatopatico.

Tra le cause di lesioni alla barriera intestinale, sono di frequente riscontro ad esempio, le enteropatie food responsive, parassitosi intestinali, linfangectasia, cause infettive e enteropatie croniche ad eziologia idiopatica.

(10)

Altre cause che possono danneggiare la barriera intestinale, sono gli squilibri pressori, indotti da condizioni di ipotensione a livello della microcircolazione dei villi intestinali.

1.3 L’organizzazione del villo intestinale e ipotensione

L'organizzazione del microcircolo all'interno di un villo, è simile a una fontana, le arterie di piccolo calibro decorrono attraverso i diversi strati muscolari e raggiungono la sottomucosa, dove si diramano nelle arteriole. Alcune arteriole, rimangono nella sottomucosa, a formare un plesso vascolare sottomucoso, altre proiettano verso il lume intestinale e nella mucosa, inclusi i villi.

L’arteriola in ingresso, decorre fino al centro del villo, diramandosi in molti capillari fino alla punta del villo stesso. I capillari convergono nelle venule e riportano il sangue alla base del villo, inoltre interconnettono l’arteriola e la venula lungo l'intero villo.

L'organizzazione appena descritta, può creare un sistema di scambio controcorrente, che consente ai soluti permeabili, di spostarsi dall’arteriola alla venula, senza dover attraversare il villo in tutta la sua lunghezza, specialmente quando il flusso ematico nei villi è basso.

In presenza di prolungati tempi di transito, l'ossigeno trasportato per via ematica può diffondere dalla arteriola alla venula prima di raggiungere la punta del villo, rendendolo suscettibile a un danno anossico.

Al contrario, quando il flusso sanguigno nei villi è elevato, la porzione apicale dei villi è ben ossigenata e gli effetti dello scambio controcorrente sono ridotti.

Proprio per questo tipo di circolazione, definita “terminale”, i villi sono particolarmente sensibili agli squilibri pressori come l’ipotensione, la quale comporta una riduzione del flusso sanguigno, che in questo distretto corporeo può comportare gravi conseguenze, come l’infarto intestinale.

All’infarto intestinale segue la necrosi della barriera intestinale con conseguente proliferazione di batteri patogeni e loro disseminazione.

L’entrata di agenti patogeni nella circolazione sanguigna può comportare una grave malattia sistemica chiamata sepsi.

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1.4 Le patologie gastrointestinali

Le patologie gastrointestinali del cane sono prevalentemente caratterizzate da vomito e/o diarrea, tali patologie si suddividono in acute e croniche, in base al tempo trascorso dall’insorgenza dei sintomi (Guilford et al. 1996).

Le patologie nelle quali la digestione del cibo e l’assorbimento dei nutrienti risultano ridotti vengono classificate in: maldigestione e alterazioni primarie dell’assorbimento, anche se tali processi sono correlati tra loro.

In base al sito primario della lesione si può definire questa condizione: premucosale, mucosale e postmucosale; in base al suo perdurare nel tempo, è possibile riscontrare: ipoproteinemia, coagulopatie, diarrea, cambiamenti cutanei e perdita di peso (Guilford et al. 1996).

La digestione e l’assorbimento dei grassi nell’organismo animale avviene grazie all’azione degli acidi biliari, i quali partecipano all’emulsione dei lipidi, all’attivazione della lipasi pancreatica e alla formazione di micelle che facilitano il trasporto dei prodotti della digestione attraverso la membrana intestinale. Un loro deficit, conduce ad un alterato assorbimento dei grassi, il quale si riscontra anche in quei pazienti che presentano una patologia del piccolo intestino data da una sovraccrescita batterica (SIBO). Qui gli acidi biliari coniugati e ionizzati, rimangono inalterati a livello del piccolo intestino, senza essere assorbiti. La presenza di batteri anaerobi obbligati in corso di SIBO, può portare ad una loro attività di deconiugazione, a una forma non-ionizzata e liposolubile, permettendo così il loro assorbimento (Guilford et al.1996).

I deficit postmucosali (emolinfatica, come ad esempio in corso di linfangectasia primaria o secondaria) portano ad una riduzione dell’assorbimento dei chilomicroni e ad una perdita di proteine presenti nella linfa. Questa perdita proteica può essere correlata a processi erosivi che coinvolgono la mucosa intestinale e a processi infiammatori ed il sintomo più comune che possiamo riscontrare in un paziente affetto da patologie enteriche è la diarrea .

Se la sintomatologia diarroica evolve verso un andamento cronico, occorre prendere in considerazione anche l’ipotesi di un’enterite idiopatica (IBD-Idiopathic Inflammatory Browel Disease), spesso causa di vomito e diarrea cronica.

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Tra le possibili cause di enteriti associate a diarrea, troviamo comunemente anche la presenza di parassiti, causa di reazioni flogistiche locali con produzione di linfociti, plasmacellule e componente eosinofilica , come ad esempio in corso di infestazione da Trichiuris vulpis.

Le reazioni infiammatorie, creano un rilascio di mediatori chimici, i quali possono determinare un’atrofia dei villi intestinali, un’alterazione della motilità e conseguente diarrea osmotica (Guilford et al. 1996).

Per identificare la causa che ha portato a tale condizione, è necessario effettuare esami di laboratorio, emocromo , profilo biochimico e analisi delle feci.

Le sindromi da malassorbimento, le enteropatie proteino-disperdenti e insufficienza pancreatica esocrina, inducono una riduzione a livello plasmatico di colesterolo e talvolta anche dei trigliceridi, normalmente i range fisiologici del colesterolo oscillano tra 150-280mg/dL, quindi valori al di sotto di questi range di riferimento stanno ad indicare una condizione di ipocolesterolemia (Guilford et al. 1996).

1.5 Il malassorbimento intestinale

Il malassorbimento intestinale, altro importante fattore di comune riscontro in questa classe di pazienti, a seconda della causa sottostante, può colpire razze ed età differenti nella specie canina; il corredo sintomatologico e la gravità dei segni, variano quindi ampiamente.

Si tratta di una situazione in cui l’organismo animale, non riesce ad assorbire alcuni nutrienti fondamentali che vengono introdotti dal cane con l’alimentazione. Nella fatti specie in oggetto, non vengono assorbiti i macronutrienti (proteine, carboidrati, lipidi), né i micronutrienti (vitamine e minerali) comportando un progressivo dimagrimento nell’animale e una riduzione delle funzionalità organiche.

I possibili meccanismi patogenetici causa di malassorbimento, possono essere: - La mancata idrolisi del substrato: provocato da un’insufficienza

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- La carenza di fattori intrinseci: causata sempre da insufficienza pancreatica esocrina.

- La carenza nella solubilizzazione dei grassi: a causa di un’ostruzione biliare, da sovraccrescita batterica o da gravi enteriti del piccolo intestino (Jergens & Zoran, 2005).

Un mancato assorbimento di grassi, può comportare oltre che alla perdita di peso anche alla steatorrea, mentre, un ridotto assorbimento di proteine, porta ad una riduzione della massa muscolare e ad una diffusione di edemi.

È molto importante non sottovalutare il ridotto assorbimento di vitamine e minerali, in quanto, un mancato assorbimento di vitamine liposolubili come ad esempio la vitamina K, può portare l’animale a coagulopatie e a sanguinamenti diffusi, tipicamente riscontrabili nei casi di avvelenamento da dicumarinici (Edward et al. 1987; Perry et al. 1991).

Una riduzione dell’assorbimento di calcio, può predisporre a ipocalcemia oltreché a casi di tetania, anche se di più raro riscontro. Infine, anche un mancato assorbimento di ferro, non deve essere sottovalutato, in quanto può comportare una situazione di anemia, con fenomeni di microcitosi e ipocromasia.

Tra le principali cause di malassorbimento nel cane possiamo avere: - Risposta alla dieta , intolleranza o allergia alimentare

- Parassitosi

- Malattia infiammatoria intestinale - Neoplasie intestinali

- Infezioni micotiche

- Enteropatia antibiotico-responsiva, definita anche “disbiosi”

1.6 Inflammatory Bowel Disease , IBD

L’acronimo IBD viene utilizzato sia in medicina veterinaria che in medicina umana, al fine di indicare malattie a carattere idiopatico, caratterizzate dalla presenza di cellule infiammatorie nel tratto gastroenterico.

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L’eziopatogenesi di questo gruppo di malattie resta attualmente poco definita, anche se sembra che alla base ci sia un disordine immunomediato associato alla compartecipazione di fattori ambientali. In medicina umana è riconosciuta una predisposizione genetica, in quei soggetti affetti da Morbo di Crohn, nei quali è stata identificata un’anomalia del genere NOD2 (German et al. 2003), questo sembra essere verosimile in medicina veterinaria per la colite istiocitaria ulcerativa, maggiormente riscontrata i razze come il Boxer e Bulldog Francese (Churcher & Watson, 1997). Altre razze come il Pastore Tedesco, il Weimaraner e Border collie, sembrano invece predisposte allo sviluppo di IBD (Kathrani et al. 2010). In base al tratto digestivo colpito e alla cronicità della patologia, i segni clinici possono essere variabili e tra i principali ricordiamo il vomito, la perdita di peso e la presenza di muco e sangue nelle feci (Guilford, 1996).

1.5 Enteropatia proteino-disperdente

Qualsiasi malattia che produca flogosi, infiltrazione, congestione o perdita ematica intestinale può condurre ad una enteropatia proteino-disperdente (PLE), o gastropatia se colpisce lo stomaco. Le cause di PLE sono quindi molte, nel cane però, la linfangectasia sembra essere la più frequente (Nelson & Couto, 2015). L’enteropatia proteino disperdente (Protein-Losing Enteropathy - PLE) è caratterizzata dalla perdita di proteine plasmatiche all’interno del lume intestinale, la quale può colpire animali di qualsiasi razza, ma in particolare, è stata rilevata una predisposizione nelle seguenti razze: Yorkshire Terriers, Soft Coated Wheaten Terrier, Lundheund, Rottweiler (Tams, 2003).

Normalmente si verifica in associazione ad altre patologie gastrointestinali o sistemiche, come ad esempio le IBD idiopatiche, la linfangectasia intestinale, le neoplasie gastriche, alcune forme parassitarie o durante le enteriti acute a causa infettiva od idiopatica. Il meccanismo con cui si verifica la perdita proteica può essere correlato alla flogosi o all’erosione della barriera mucosale, oppure a patologie (acquisite o congenite), a carico del sistema linfatico e/o di quello vascolare (Williams, 1996).

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La linfangectasia intestinale (IL), colpisce prevalentemente il cane ed è un disturbo del sistema linfatico intestinale, nella fattispecie è una condizione caratterizzata dall’ostruzione dei vasi linfatici con successiva loro dilatazione a livello del vaso chilifero del villo intestinale (Nelson & Couto, 2015). A questo consegue, a livello della lamina propria e del lume intestinale, la fuoriuscita e diffusione del contenuto linfatico con perdita di proteine, come ad esempio le globuline e le albumine, inoltre il mancato riassorbimento di queste ultime, in particolar modo dell’albumina può peggiorare le condizioni dell’animale, in quanto l’albumina, rappresenta la porzione più abbondante delle proteine plasmatiche, circa il 35- 50% (Ceron et al. 2005); l’albumina è sintetizzata a livello epatico ed appartiene alle APP “negative”.

La panipoproteinemia non selettiva che si viene a creare, inizialmente si evidenzia solo come una ipoglobulinemia, solo successivamente come una ipoalbuminemia (aspetto che spesso viene evidenziato solo in una fase tardiva della patologia). Essendo la componente proteica di più basso peso molecolare, è la prima ad essere perduta.

Benché non sia documentata una predisposizione di razza per la linfangectasia intestinale, il Yorkshire terrier e il Wheaten terrier a pelo morbido sembrano più a rischio di altre razze (Nelson & Couto, 2015).

Questa patologia può essere accompagnata da diarrea incostante, ma il primo segno clinico che comunemente si manifesta è un’ascite da trasudato. Durante l’esplorazione chirurgica è possibile riscontrare lipogranulomi intestinali, secondari alla fuoriuscita di grassi dai vasi linfatici dilatati. I cani affetti da IL possono presentare un’ipercoagulabilità e occasionalmente può comparire tromboembolismo polmonare (Nelson & Couto,2015).

La sintesi epatica durante la PLE è accelerata in modo che le proteine con emivita breve come ad esempio le IgE, i fattori della coagulazione, prealbumina e transferrina siano mantenute in range normali.

Questa condizione può anche essere asintomatica, ma molto spesso può essere pericolosa per la vita, in quanto si possono avere versamenti e linfedemi. I

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soggetti con PLE hanno inoltre le difese immunitarie ridotte a causa della perdita di linfociti, globuline, ferro, calcio e altri componenti sierici. Dal punto di vista immunologico in umana si può riscontrare un’alterata funzione anticorpale, riduzione delle IgG, IgM e in particolare delle cellule T CD4. Nei cani gli studi al tal proposito non sono molti ma ci si aspetta che l’esaurimento di questi componenti abbia un andamento simile (Craven & Washabau, 2019).

1.6 Il ruolo dell’albumina

L’albumina è paragonabile ad una “calamita”, che, grazie alle cariche negative presenti sulla sua membrana, trattiene gli ioni a carica positiva impedendo ai liquidi corporei di accumularsi in eccesso nei tessuti periferici.

Il fegato è praticamente la sola fonte di produzione di albumina dell’organismo , quindi insieme alle problematiche intestinali, una carenza di questa proteina, definita ipoalbuminemia potrebbe stare ad indicare una manifestazione dell’incapacità epatica a sintetizzarla (Nelson & Couto, 2015).

L’ipoalbuminemia grave è un dato diagnostico importante ed è di facile riscontro in cani affetti da linfangectasia intestinale, emorragie gastroenteriche, malattie infiltratitve dell’apparato gastroenterico o ascite.

Le albumine svolgono dei ruoli molto importanti per l’organismo:

1) Intervengono nella regolazione e nel mantenimento della pressione colloido-osmotica del sangue, (fondamentale per il controllo degli scambi idrici fra capillari e liquido interstiziale)

2) Funzione chelante di tossine e sostanze di scarto 3) Trasporto di sostanze nel sangue

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4) Regolazione dell’equilibrio acido base, azione di tampone del pH

5) Attività modulante della funzione coagulativa, avendo a seconda della situazione un’azione anticoagulante e antiaggregante

Perdite gravi di albumina, generalmente al di sotto di 1 g/dL (German,2005; Tams, 2003; Williams, 1996) evidenziabili con analisi ematochimiche , possono comportare l’accumulo di liquido nei tessuti corporei; in particolar modo a livello delle porzioni declivi del corpo, anche se è possibile un accumulo a livello della cavità addominale, prendendo il nome di ascite, oppure a livello delle cavità pleuriche prendendo il nome di versamento pleurico, il quale può comportare difficoltà respiratore .

1.7 Paziente Gastroenterico e Coagulopatie

Un’altra problematica riscontrabile nei pazienti affetti da enteropatie croniche, è l’insorgenza di malattie trombo-emboliche imputabili ad una riduzione dei valori di antitrombina III.

L’antitrombina III è una glicoproteina plasmatica di piccole dimensioni sintetizzata dal fegato ad attività anticoagualante. Questa glicoproteina viene anche definita cofattore eparinico dato che rende farmacologicamente attiva l’eparina.

E’ stato dimostrato che cani con PLE, hanno una riduzione a livello ematico di antitrombina III facilmente persa per le sue ridotte dimensioni, quindi, questi soggetti, hanno una maggior predisposizione a incorrere in tromboembolismi, anche a livello polmonare (Goodwin et al.,2011).

I soggetti che si trovano di fronte a queste condizioni di riduzione dell’antitrombina III, possono incorrere in un’ulteriore condizione patologica che prende il nome di “Coagulazione Intravasale Disseminata CID”, precedentemente

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chiamata “Coagulopatia Da Consumo”, dove un’eccessiva coagulazione intravascolare conduce a microtrombosi a livello di diversi organi.

La CID è caratterizzata da un’anomala ed eccessiva generazione di fibrina e di trombina a livello ematico, può avere una lenta o rapida evoluzione e conseguentemente a questa si possono osservare alterazioni della coagulazione come :

1) PT e PTT più prolungati

2) Aumento del livello plasmatico del D-dimero

3) Decremento rapido del livello del fibrinogeno plasmatico 4) Trombocitopenia più grave

1.8 Paziente gastroenterico e anemia

Una delle complicazioni causate dall’infiammazione gastrointestinale, in medicina umana è l’anemia (Levine et al. 1995) e circa un terzo dei pazienti affetti da inflammatory bowel disease IBD, sviluppa una concomitante condizione di anemia (Gasche et al. 2004), nel cane invece è stata dimostrata una prevalenza dell’anemia nelle forme di IBD idiopatiche pari al 2% (Craven et al. 2004).

Le cause più comuni alla base dello stato anemico, associato alla flogosi intestinale cronica nell’uomo, sono la perdita di ferro attraverso la porzione gastrointestinale, l’alterazione del metabolismo operato dalle citochine pro– infiammatorie, la deficienza da cobalamina e di folati (Gasche et al. 2004). Tra le cause occasionali è possibile riscontrare l’emolisi e l’anemia indotta da farmaci.

In medicina veterinaria i disordini eritrocitari sono meno documentati, tuttavia esistono alcuni studi che evidenziano l’anemia come evento concomitante all’IBD nel cane (Jacobs et al.1990; Marchetti et al. 2006).

Marchetti et al.(2006), hanno condotto uno studio su 52 cani e 8 gatti di razza , sesso ed età differenti, gli animali oggetto dello studio erano affetti da gastrite/enterite /colite cronica (da almeno 15giorni), con assenza di ulteriori

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patologie concomitanti in grado di modificare l’emogramma. Lo studio Marchetti et al. (2006), costituisce l’unico riscontro di microcitemia in assenza di anemia. La carenza di ferro o la sua ridistribuzione in corso di flogosi cronica dell’apparato gastroenterico, potrebbe influenzare il diametro eritrocitario prima di determinare un’anemia.

1.9 Squilibri elettrolitici

In corso di patologie gastroenteriche anche la concentrazione degli elettroliti può andare in contro a importanti riduzioni (Nelson & Couto, 2015):

• Ipokaliemia: La concentrazione sierica di potassio in questo caso risulta inferiore a 3,6 mEq/L e nel caso dei pazienti gastroenterici, è imputabile a alla perdita di liquidi con vomito e diarrea. La maggior parte dei cani affetti da lieve ipokaliemia sono asintomatici, mentre nei casi gravi si assiste a una riduzione della contrattilità del miocardio e della gittata cardiaca, nonché alterazioni del ritmo cardiaco. La spiegazione alla base di questo è riconducibile ad una iniziale iperpolarizzazione delle membrane cellulari indotta dallo squilibrio. Il segno clinico più evidente è la debolezza muscolare e scheletrica dei pazienti.

• Ipocalcemia: L’ipocalcemia si riferisce a concentrazioni sieriche inferiori a 9 mg/dL nel cane adulto. Diverse sono le cause di ipocalcemia, ma un diminuito riassorbimento dall’apparato gastrointestinale fa parte delle cause più frequenti. I cani affetti da ipocalcemia possono essere asintomatici o mostrare una grave disfunzione neuromuscolare.

• Ipofosfatemia: Si parla di ipofosfatemia quando le concentrazioni sono inferiori a 3 mg/dL, ma valori al di sotto di 1,5 mg/dL sono clinicamente importanti. Questa condizione può essere conseguente a un ridotto assorbimento intestinale e a una aumentata escrezione urinaria. La conseguenza più grave è l’anemia emolitica, poiché si ha una riduzione a livello eritrocitario di ATP, che aumenta la fragilità degli stessi.

• Ipomagnesiemia: È possibile parlare di ipomagnesiemia quando le concentrazioni sieriche di magnesio totale e ionizzato sono inferiori a 1,5

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dell’assunzione orale o dell’assorbimento gastroenterico, in seguito a fenomeni di malassorbimento.

1.10 Asse intestino – fegato

Da uno studio condotto da Tripathi et al. 2018, è stata dimostrata una importante comunicazione tra fegato e microbiota intestinale e di come questo sia coinvolto nelle patologie epatiche: fegato e intestino comunicano attivamente e in maniera bidirezionale.

In presenza di disbiosi intestinale e di lesioni alla barriera intestinale, l’asse intestino-fegato diventa molto delicato. È possibile che si venga a creare un passaggio di microrganismi (German et al. 2003) e sostanze come endotossine e DNA batterico nel torrente circolatorio, con conseguente attivazione dei recettori immunitari epatici e innesco della cascata infiammatoria che implicherà un danneggiamento del tessuto epatico, anche in maniera irreversibile (Tripathi et al. 2018). La comunicazione tra intestino e fegato implica il coinvolgimento di: tratto biliare, circolazione sistemica e vena porta. Gli epatociti, sintetizzano gli acidi biliari facilitando l’emulsione e assorbimento dei grassi; in condizioni di disbiosi si ha uno squilibrio tra la quota di acidi biliari riassorbiti nell’ileo e ritrasportati al fegato. Questo squilibrio crea un’alterazione del circolo enteropatico con effetti metabolici non ancora chiari (Tripathi et al. 2018).

I microrganismi e le loro componenti, ovvero le endotossine batteriche, in seguito al danneggiamento della barriera intestinale, attraverso la vena porta arrivano al fegato e in seguito a colonizzazione e successiva proliferazione, portano all’instaurarsi di processo flogistico con conseguente danno epatico.

L’infiammazione del fegato prende il nome di epatite e normalmente può essere cronica o acuta come in questo caso, i cani con epatite acuta sono a elevato rischio di coagulazione intravasale disseminata. La perdita della funzionalità epatica può essere fatale, in quanto non esiste una “ dialisi” epatica, ma grazie alla notevole capacità rigenerativa di questo organo, gli animali che sopravvivono alla fase acuta possono riacquistare una perfetta normalità (Nelson & Couto,2015).

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Capitolo 2

Endoscopia del paziente gastroentrico

Introduzione

L'indagine endoscopica dell’apparato gastroenterico è un importante ausilio diagnostico che permette, se eseguito correttamente, di limitare al massimo le diagnosi scorrette, è una procedura con buon rapporto costo/beneficio indicata in animali con vomito, diarrea e dimagrimento cronici. Consente l’esplorazione rapida di porzioni selezionate dell’apparato gastroenterico e ne permette il campionamento tramite biopsia mucosale (Nelson & Couto, 2015).

Mediante la gastroscopia è possibile valutare la morfologia della mucosa gastrica e l’esecuzione di prelievi bioptici.

Gli endoscopi usati sono strumenti flessibili e non esiste uno strumento utilizzabile con successo in tutti gli animali e nelle diverse specie, le dimensioni variano in base al paziente.

Prima di sottoporre un soggetto ad esame endoscopico, è necessario e auspicabile che siano stati eseguiti altri accertamenti diagnostici, sia ematochimici sia di diagnostica per immagini.

Il digiuno prima dell'esame endoscopico deve essere almeno di 12 ore, ma alcuni autori nei consigliano anche 24 h – 36 h, ogni protocollo deve essere personalizzato secondo le considerazioni dell’anestesista.

Le endoscopie devono essere eseguite con il paziente intubato e mantenuto in uno stato di anestesia profonda .

2.1 Gastroduodenoscopia

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Nei cani con vomito, sospetta emorragia del tratto gastrointestinale prossimale, sospetto reflusso gastroduodenale o patologie dell’intestino tenue è indicata la gastroduodenoscopia con biopsia (Nelson&Couto,2015).

Come abbiamo già detto, non esiste uno strumento utilizzabile con successo in tutti gli animali: nella maggior parte dei cani di taglia media e grande, si utilizzano strumenti di diametro compreso tra 8mm e 12mm, con una lunghezza di 100-130 cm e con un canale di lavoro da 2 a 2,6mm. Negli animali di piccola taglia, sia cani che gatti, vengono impiegate sonde con diametro tra 5 e 8 mm (Bottero&Ruggiero,2011).

La gastroduodenoscopia è un’indagine più specifica e sensibile quando vogliamo identificare ulcere mucosali, erosioni, tumori e lesioni infiammatorie.

Durante la procedura lo stomaco deve essere insufflato con aria per consentirne una migliore e ottimale valutazione della mucosa, mediante l’ausilio di un aspiratore, è possibile rimuovere le secrezioni di aria (Nelson & Couto, 2015). Per un corretto campionamento vengono utilizzate delle pinze bioptiche ed è opportuno effettuare sia la biopsia della mucosa gastrica, sia quella duodenale, in quanto può capitare che una mucosa apparentemente normale,può celare gravi processi patologici. Negli animali che presentano evidente dimagrimento,ipoalbuminemia, malattia dell’intestino crasso che non risponde alla terapia alimentare sono indicate la proctoscopia o la colonscopia (Nelson & Couto, 2015).

2.2 Proctoscopia e colonscopia

Di fronte a pazienti che presentano una patologia rettale evidente, come la stenosi, si esegue la proctoscopia.

Colonscopia e proctoscopia sono più facili rispetto alla gastroduodenoscopia, necessitano di un minor contenimento dell’animale e la strumentazione è meno costosa. Per esplorare il colon, è necessario effettuare una sua pulizia: l’animale deve essere a digiuno da 24h almeno e la notte prima della procedura, gli viene somministrato un blando lassativo. In corso di colonscopia è possibile fare una

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valutazione anche della valvola ileociecocolica, specialmente per fare diagnosi di linfoma nel gatto.

2.3 Trattamento farmacologico in corso di endoscopia

La gastroduodenoscopia richiede l’anestesia generale e il protocollo anestetico da adottare dipende dallo stato di salute del paziente. Alcuni anestesisti utilizzano i farmaci oppiodi nella premedicazione, altri preferiscono non utilizzarli in quanto possono dare vomito e aumentare il tono della porzione antrale di stomaco e duodeno, rendendo più difficoltoso il passaggio dell’endoscopio attraverso lo sfintere pilorico (Seymour & Gleed, 1999).

I pazienti che si sottopongono a endoscopie digestive, normalmente sono animali che hanno un’anamnesi di vomito cronico o hanno un importante grado di disidratazione, per cui è auspicabile, procedere preventivamente con la somministrazione di fluidi endovenosi prima dell’inizio della procedura. L’induzione dell’anestesia può essere fatta con qualsiasi agente iniettabile come ad esempio il propofol e il mantenimento, può essere ottenuto con un agente inalatorio come isofluorano o sevolfuorano (Seymour & Gleed, 1999).

L’attento monitoraggio della profondità anestetica è fondamentale per prevenire fenomeni di masticazione, che si possono presentare quando il piano anestesiologico non è corretto o mal monitorato. Gli endoscopi sono strumenti molto costosi e fragili, il danno causato può è essere molto importante dal punto di vista economico (Seymour & Gleed, 1999).

2.4 Possibili complicazioni durante le procedure anestesiologiche

Intubare il paziente è la modalità necessaria affinché si possa lavorare in totale sicurezza, permette di ventilare il paziente che talvolta risulta non essere in grado di respirare autonomamente e, grazie ad una struttura presente all’estremità del tracheotubo, chiamata cuffia, è possibile sigillare le vie aeree evitando l’inalazione e aspirazione di materiale liquido di provenienza gastroenterica.

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È auspicabile, dopo aver indotto l’animale e dopo averlo intubato, riuscire a mantenere fissato il tubo endotracheale alla mandibola, piuttosto che dietro la testa: in questa posizione, i movimenti dell'endoscopio, possono allentarne la tenuta e quindi causarne un mal posizionamento, provocando così la possibile estubazione del paziente, con passaggio di materiale nell’apparato respiratorio (Bottero & Ruggiero, 2011).

Nell’introduzione orale dell’endoscopio è necessario evitare traumi allo strumento per questo si impiegano apribocca, generalmente in metallo, o, nel gatto, si posiziona un cappuccio di siringa con le estremità posizionate tra i canini, al fine di evitare un’eccessiva compressione dell’arteria mascellare e di conseguenza lo sviluppo della “cecità anestetica” ( Petra & Giannella, 2018).

Inoltre lavorare in condizioni di anestesia profonda, garantisce una migliore gestione del paziente, permette una buona gestione del dolore e favorisce un buon miorilassamento, necessario per ridurre gli spasmi, ed agevolare così, il passaggio dell’endoscopio attraverso gli sfinteri (pilorico e ileocolico) (Seymour & Duke-Novakovski, 2007).

2.5 Corretto posizionamento del paziente

Le procedure endoscopiche possibilmente effettuabili a livello dell’apparato digerente sono: esofagoscopia, gastroscopia, endoscopia del piccolo intestino, endoscopia del grosso intestino .

La posizione che deve essere adottata durante queste procedure, è il decubito di sinistra, in particolare per favorire il passaggio dell’endoscopio a livello pilorico. Infatti, in decubito sinistro, l’antro pilorico e la valvola ileocolica, si vengono a trovare in posizione sollevata e non occupata dal liquido che, in quantità maggiore o minore, è sempre presente nel viscere.

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Durante la procedura endoscopica viene insufflata aria all’interno delle cavità, questo è necessario, affinché venga garantita un ottimale visualizzazione macroscopica delle strutture sottoposte ad esame. Il quantitativo di aria insufflata, viene regolata manualmente dall’operatore in base alle proprie necessità, ma l’eventuale eccesso, può compromettere la respirazione e/o il ritorno venoso . Al raggiungimento dell’antro pilorico, soprattutto nei cani di grossa taglia, è possibile infatti imbattersi in una complicazione, definita “movimento paradosso,” provocata dall’alloggiamento della sonda nella grande curvatura dello stomaco, la quale, agisce come una sorta di leva direzionale. Questa complicazione molto spesso è legata all’iperinsufflazione gastrica e l’utilizzo di sonde di diametro ridotto e quindi più flessibili, rendono maggiormente probabile il verificarsi dell’“evento paradosso”.

Lo sfintere pilorico del cane, nella maggior parte dei casi, è chiuso o con il lume appena visibile; nei cani di taglia piccola è possibile indurre il vomito durante tale procedura, caso in cui, viene sospesa l’indagine (Bottero & Ruggiero, 2011).

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Capitolo 3

Gestione

anestesiologica

del

paziente

gastroenterico

I pazienti gastroenterici che devono essere sottoposti a procedura endoscopica, devono essere gestiti con particolare attenzione, in quanto questi soggetti possono presentare una varietà di segni clinici e condizioni preesistenti di notevole importanza come ad esempio: vomito, diarrea, alterazione dei fattori della coagulazione, riduzione degli elettroliti. Queste condizioni patologiche devono essere gestite e controllate al meglio prima di condurre un’anestesia (Paddleford, 1999).

L’esame endoscopico del tratto gastrointestinale superiore è necessario affinché si possano visualizzare le condizioni della mucosa gastroenterica ed effettuare dei campionamenti per poter eseguire un esame istopatologico.

La chirurgia endoscopica è ampiamente utilizzata sia in medicina veterinaria che in medicina umana, ed è stato dimostrato che il dolore postoperatorio è ampiamente ben tollerato, inclusa l’ottima risposta allo stress (Asakawa, 2016). Nonostante la procedura non richieda un trattamento analgesico, viene comunque effettuata una copertura analgesica per poter rendere più stabile l’anestesia. Durante la procedura, viene utilizzata aria e proprio per questo motivo è necessario prestare particolare attenzione al grado di distensione gastrointestinale. Un'eccessiva distensione può comportare un’importante pressione a livello dei visceri e di conseguenza sul diaframma, impedendo così una corretta ventilazione, che a sua volta può ridurre la profondità dell'anestesia (Bottero & Ruggiero, 2011). Questa condizione prende il nome di ipoventilazione, caratterizzata dall’aumento a livello ematico dei valori di PaCO2 (pressione parziale di CO2 nel

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sangue arterioso), dalla riduzione del pH e della PaO2 (pressione parziale di O2 nel

sangue arterioso).

Il grado di distensione indotto dall’insufflazione può essere valutato palpando delicatamente l'addome del paziente. Se il paziente reagisce alla stimolazione dell'endoscopia, è consigliabile somministrare un analgesico sotto forma di bolo endovenoso. Se si utilizza il fentanyl potrebbe essere necessario sostenere la ventilazione per un breve periodo di tempo poiché ha un’azione depressiva sull’apparato respiratorio. La sovradistensione del tratto gastrointestinale può anche ridurre il ritorno venoso comprimendo la vena cava caudale e quindi ridurre la gittata cardiaca (Bufalari & Lachin, 2017).

Una possibile complicazione data dalla distensione addominale è l'improvvisa stimolazione vagale, poiché il nervo Vago si ramifica e innerva la maggior parte del tratto gastrointestinale per cui un eccessivo stiramento di questo tratto può comportare un’attivazione dei recettori presenti e causare una improvvisa bradicardia. In questo caso, il tratto gastrointestinale deve essere immediatamente sgonfiato, deve essere interrotta la procedura e somministrata per via endovenosa l’atropina.

In corso di endoscopia del tratto digerente si rende necessario porre particolare attenzione ad eventuali variazioni della frequenza cardiaca e del ritmo: questo è possibile grazie all’utilizzo del tracciato ECG. Distendendo il peritoneo, possono insorgere aritmie cardiache quali asistolia, ritmo nodale, bradicardia sinusale e stimolazione vagale, come spesso accade in corso di endoscopia digestiva (Bufalari & Lachin, 2017). Sono diversi i fattori che contribuiscono allo sviluppo di aritmie in anestesia, come l’utilizzo di farmaci anestetici volatili o di farmaci come la ketamina la quale blocca la ricaptazione della noradrenalina favorendo così lo sviluppo di aritmie. Quindi un attento monitoraggio e l’accurata valutazione del protocollo anestesiologico da adottare risulta essere fondamentale.

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3.1 Complicazioni anestesiologiche in corso di endoscopia

del tratto gastroenterico

3.1.1 Ipoventilazione

Durante le procedure endoscopiche, è possibile che la pressione indotta dall’insufflazione di aria possa provocare un’eccessiva distensione addominale, di conseguenza è probabile incorrere in una condizione di ipoventilazione (Bufalari & Lachin,2017). L’ipoventilazione è definita come la riduzione della ventilazione alveolare e del volume minuto dell’animale, con conseguente aumento della pressione parziale arteriosa dell’anidride carbonica ovvero PaCO2 (Zilberstein,

2017). Per poter determinare il valore di PaCO2 è necessario effettuare un prelievo

ematico arterioso. L’anidride carbonica è prodotta da tutti i tessuti come prodotto di scarto e grazie al sangue viene trasportata a livello polmonare dove viene eliminata in proporzione alla ventilazione minuto (Anderson et al. 2000). Esiste una correlazione inversa tra il grado di ventilazione e l’aumento della pressione parziale di anidride carbonica; valori superiori a 44 mmHg indicano una condizione di ipercapnia, chiaro indice di ipoventilazione (Bufalari & Luchini, 2017).

3.1.2 Aumento dei livelli di CO

2

: ipercapnia

Come precedentemente descritto, durante una procedura endoscopica si può avere ipoventilazione e ipercapnia. L’anidride carbonica (CO2) è un prodotto derivante

dal metabolismo cellulare, raccolto dal circolo sanguigno e trasportato fino agli alveoli polmonari, dove viene eliminato. Nei piccoli animali, le normali concentrazioni di CO2 a fine espirazione (EtCO2, end-tidal CO2) sono comprese

tra 35 e 45 mmHg.

La presenza di elevati livelli di CO2 (EtCO2 > 60 mmHg), determina una

condizione di vasodilatazione nel paziente. Al contrario, una condizione di ipocapnia (EtCO2 <35 mmHg), che si osservano quando il paziente è in uno stato

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di iperventilazione o in presenza di una ridotta produzione di CO2 (ipotermia e/o

ipotensione), produce vasocostrizione.

Di fronte ad un evento di ipoventilazione è possibile incorrere in una riduzione dell’apporto di ossigeno a livello ematico, definita ipossiemia. L’ipossiemia è data da una riduzione della pressione arteriosa di ossigeno (PaO2) a livelli inferiori a

80 mmHg, cui corrisponde una saturazione di ossigeno (SpO2) di circa il 96%, ma

generalmente è richiesto un trattamento quando la pressione parziale di ossigeno (PaO2) è inferiore a 60 mmHg, corrispondente ad un valore di saturazione

dell’emoglobina con l’ O2 (SpO2) del 91%. L’ipossiemia è una delle varie cause

responsabili di ipossia, ovvero della riduzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti. All’origine vi può essere un apporto insufficiente di ossigeno nella miscela di gas inspirati, uno stato di ipoventilazione oppure un’alterazione dell’equilibrio ventilazione/perfusione (V/Q) o dei meccanismi di diffusione dei gas (Bufalari & Lachin, 2017).

In presenza di ipossia acuta, oltre a un aumento della frequenza respiratoria diretto a incrementare i livelli di PaO2, si verificano un aumento della frequenza cardiaca

e della contrattilità miocardica, nonché una vasodilatazione sistemica e un aumento della pressione arteriosa sistemica e polmonare. A livello polmonare si produce vasocostrizione, che consente la ridistribuzione del flusso sanguigno polmonare verso le zone con migliore ventilazione (Bufalari & Lachin, 2017).

Per ottenere un quadro completo sulla funzione respiratoria del paziente, si può condurre un’emogasanalisi. L’emogasanalisi è un esame di importante ausilio diagnostico nei soggetti sottoposti ad anestesia, poiché è in grado di fornire indicazioni riguardo alla funzionalità respiratoria e allo stato acido-base del paziente, prendendo in considerazione la capacità ventilatoria e l’efficacia dei polmoni nell’ossigenare il sangue.

Il quadro completo dell’emogasanalisi è espresso da cinque parametri: 1) pressione parziale di CO2

2) pressione parziale di O2

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3-4) concentrazione degli ioni H+

5) concentrazione dell’eccesso di basi

La PaCO2 e PaO2 sono indici della funzionalità respiratoria, mentre gli indici

dello stato acido-base sono dati da pH, concentrazione degli ioni HCO3- e B.E. (base excess).

L’incremento di PaCO2 conduce a una variazione di pH, ovvero si ha uno

spostamento verso valori di acidità del pH. Per definizione, il pH è dato dalla concentrazione di ioni H+ e dalla quantità di acidi e di basi disciolti in una soluzione; in condizioni fisiologiche il valore è 7,35-7,46 (leggermente alcalino). Dall’equazione di Henderson-Hasselbach si evince che:

- Il pH è direttamente proporzionale al HCO3- e inversamente proporzionale alla PaCO2.

- Ad ogni incremento della PaCO2 aumenta l’acidità dell’organismo.

- Ad ogni diminuzione della PaCO2 si ha una riduzione dell’acidità.

- A ogni aumento o diminuzione del HCO3- il pH si alza o si abbassa.

L’equilibrio acido-base presiede a tutte le attività metaboliche e sostiene ogni funzione vitale necessaria per la sopravvivenza dell’organismo animale (Bufalari & Lachin, 2017).

3.1.3 Variazione della compliance toracica

In corso di endoscopia gastrointestinale si verifica una variazione della compliance toracica. La compliance toracica si riferisce all’aumento di volume dei polmoni, del torace o dell’insieme di torace e polmoni. Quindi la compliance toracica indica il grado di distensibilità dei polmoni o della gabbia toracica.

La compliance totale del sistema respiratorio è una variabile importante dal punto di vista clinico e può essere misurata in maniera non invasiva durante l’anestesia.

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L’unità di misura adottata per la compliance è ml/cmH2O e viene calcolata

mediante il rapporto tra il volume tidalico e la differenza tra la pressione di fine inspirazione e quella di fine espirazione; nell’eventualità in cui non venga applicata una pressione di fine espirazione, essa corrisponde al rapporto tra volume tidalico e pressione di fine inspirazione.

La taglia dell’animale influenza la compliance, poiché aumenta con l’aumentare della taglia (Bufalari & Lachin, 2017).

L’aumento della pressione addominale, con conseguente spostamento craniale del diaframma, può portare ad una riduzione della compliance toracica, ed è da considerarsi normale un aumento delle pressioni delle vie aeree. Dal momento in cui non è presente una reale sovradistensione alveolare, un aumento moderato delle pressioni all’interno delle vie aeree può essere tollerato; inoltre, è possibile lavorare sulla frequenza respiratoria per poter riportare i valori di PaCO2

all’interno dei range fisiologici (<44 mmHg) (Bufalari & Lachin, 2017).

Per stimare clinicamente la compliance e la resistenza del sistema respiratorio sono indispensabili due misurazioni:

1) il volume tidalico somministrato al paziente. 2) Le pressioni delle vie aeree.

Idealmente la compliance andrebbe misurata in condizioni di assenza di flusso, in quanto la presenza di un flusso genera una pressione nelle vie aeree legata alle resistenze. Questa misurazione, chiamata compliance statica, non viene comunemente impiegata durante l’anestesia a differenza della compliance dinamica, di più semplice misurazione e calcolata considerando la pressione di picco delle vie aeree a fine inspirazione (Moens & Staffieri,2012)

3.1.4 Bradicardia riflessa

La bradicardia riflessa o bradiaritmia che può verificarsi durante le procedure endoscopiche è ben nota e nella maggior parte dei casi si verifica a causa di un aumento del riflesso del tono vagale subito dopo lo stiramento del peritoneo o

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dopo la manipolazione di organi viscerali. La bradicardia riflessa si risolve con l'interruzione della manovra chirurgica causale e con la somministrazione di farmaci anticolinergici.

Il nervo vago (detto anche nervo pneumogastrico o nervo X) è un nervo costituito da fibre somatiche e viscerali ed è il più lungo dei nervi encefalici; esso è un nervo di notevole importanza in quanto porta un grosso contingente di fibre effettrici viscerali (parasimpatiche) che innervano la maggior parte degli organi del torace e dell’addome.

Durante le manovre endoscopiche del tratto digestivo o in seguito a compressioni di organi a ricca innervazione parasimpatica, le fibre dei barocettori agiscono a livello del centro vasomotorio pressorio con conseguente aumento del tono vagale, che comporta una riduzione della frequenza cardiaca anche del 50-60%, e una riduzione del controllo simpatico cardiaco e periferico, che diminuisce a sua volta la contrattilità cardiaca e il tono vascolare, per caduta delle resistenze vascolari sistemiche (Bufalari & Lachin, 2017).

3.1.5 Ipotensione

L’ipotensione è data dalla diminuzione della pressione arteriosa al di sotto di valori ritenuti critici per il mantenimento dei meccanismi di autoregolazione dei vari organi e apparati (Bufalari & Lachin, 2017).

La pressione arteriosa media (PAM) nei cani e nei gatti in stato di veglia è di 90-100 mmHg (per valori medi di pressione sistolica pari a 135-160 mmHg e di pressione diastolica pari a 65-80 mmHg), mentre in anestesia generale si verifica una riduzione della funzionalità cardiovascolare nonchè della pressione arteriosa, durante l’anestesia inalatoria profonda nel cane abbiamo una vasodilatazione periferica, accompagnata da una riduzione della contrattilità del miocardio. Quando la pressione arteriosa scende al di sotto di 70 mmHg, diminuzione provocata spesso dagli agenti anestetici, il flusso ematico all’interno degli organi e i meccanismi di autoregolazione annessi possono alterarsi (Paddleford, 1999). Un evento ipotensivo viene considerato come tale quando la pressione arteriosa

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sistolica è <90mmHg e la pressione arteriosa media è <60 mmHg (Bufalari & Lachin, 2017).

Stati ipotensivi della durata di 10 minuti possono portare a conseguenze diverse: alcuni pazienti possono riprendersi completamente senza manifestare importanti problematiche, altri possono sviluppare insufficienza renale o cecità, altri ancora, in seguito ad un insufficiente flusso splacnico, possono andare incontro a ischemia intestinale e a danni alla barriera mucosale, la quale non sarà più in grado di opporsi al riassorbimento delle endostossine intraluminali. Il danno tissutale conseguente all’ipossia in associazione alla stimolazione delle reazioni a cascata della coagulazione ematica e alla produzione di prostaglandine, contribuiscono all’istaurarsi di uno shock (Paddleford, 1999).

I segni clinici che un anestesista può aspettarsi in corso di ipotensione sono: - polso debole a livello di arterie periferiche

- aumento del tempo di riempimento capillare

- pressione arteriosa sistolica <90 mmHg e pressione arteriosa media <60 mmHg.

Le cause di ipotensione più comuni che si possono riscontrare nel corso di un’anestesia sono:

1) l’impiego di farmaci anestetici come alotano, isofluorano, sevofluorano e propofol.

2) Pazienti affetti da squilibri di fluidi, disturbi elettrolitici o acido-base e da patologie cardiache.

3) Ridotto ritorno venoso al cuore dovuto a un aumento della pressione intraddominale (come può verificarsi durante l’insufflazione di aria in endoscopia gastrointestinale).

4) Iniezione endovenosa rapida di cefalosporine o gentamicina, porta a una riduzione della gittata cardiaca

5) Patologie cardiache come insufficienze valvolari e insufficienza cardiaca congestizia.

6) Shock anafilattico, shock da endotossine o da rilascio di sostanze vasoattive (Paddleford, 1999).

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7) Piani anestesiologici eccessivamente profondi

8) Ostacolo al ritorno venoso all’atrio di destra per eccessiva compressione delle vene toraciche nella ventilazione controllata a pressione positiva o in seguito a manovre chirurgiche come anche le endoscopie (Bufalari & Lachin, 2017)

In particolare, durante un’endoscopia gastrointestinale l’ipotensione è una problematica di frequente riscontro (Leib et al. 2004) e questo può dipendere principalmente da alcuni fattori che possono presentarsi durante la procedura ovvero dalla diminuzione della portata cardiaca, della contrattilità miocardica e delle resistenze vascolari sistemiche. Di fronte ad un evento ipotensivo con portata cardiaca normale o aumentata, è necessario rivolgere l’attenzione alle resistenze vascolari sistemiche, se invece l’ipotensione è accompagnata dalla riduzione della portata cardiaca, la causa potrebbe essere imputabile ad un deficit di pompa o a una riduzione brutale della volemia a causa di un’emorragia imprevista, come ad esempio in seguito ad una lesione durante la procedura diagnostica o in seguito ad una biopsia.

Tutti gli anestetici iniettabili ad esclusione della ketamina sono potenzialmente in grado di provocare una diminuzione dell’attività simpatica con conseguente riduzione delle resistenze vascolari sistemiche.

Trattamenti farmacologici antiipotensivi e considerazioni generali

Di fronte ad una condizione ipotensiva è necessario capirne l’origine. L’alleggerimento del piano anestetico è il primo intervento da prendere in considerazione. Non bisogna altresì sottovalutare un’eccessiva somministrazione di oppioidi che possono mediante sovrastimolazione parasimpatica, essere causa o anche concausa di ipotensione. La somministrazione di O2 al 100% mediante

ventilazione controllata è importante, poiché in corso di ipotensione la ventilazione spontanea può diventare insufficiente.

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L’ipotensione può essere attribuibile a una condizione di ipovolemia: in questo caso è opportuno valutare e gestire opportunatamente la velocità di infusione del fluido scelto nonché considerare la somministrazione di colloidi per via EV. Se la volemia del paziente è corretta, i farmaci inotropi di prima scelta sono la dobutamina e la dopamina, altrimenti è possibile utilizzare l’efedrina oppure prendere in considerazione l’utilizzo di adrenalina o di noradrenalina (Bufalari & Lachin, 2017).

La dopamina esercita la sua azione diretta sui recettori α- e β-adrenergici e dopaminergici, agisce anche indirettamente per liberazione di noradrenalina endogena. I suoi effetti cardiovascolari che conseguono al suo utilizzo sono:

1) effetto inotropo e cronotropo positivo, nel cane meno evidente rispetto all’uomo (Bufalari & Lachin, 2017), per azione sui recettori β1 adrenergici.

2) Ad alti dosaggi, induce vasocostrizione per attivazione dei recettori α1 adrenergici.

3) Aumento importante della pressione sistolica, a differenza della pressione diastolica che può rimanere invariata.

La dobutamina viene somministrata per ottenere un incremento selettivo della contrattilità del miocardio; essa provoca un aumento della gittata cardiaca e del volume sistolico, senza comportare un eccessivo aumento della frequenza cardiaca. Questo farmaco ha un’emivita di circa 2 minuti, per cui è necessaria l’infusione endovenosa continua (Bufalari & Lachin, 2017).

3.1.7 Emesi

Durante l’endoscopia digestiva, come ad esempio in corso di esame gastroscopico negli animali d’affezione, il paziente se non intubato, potrebbe andare in contro a inalazione e aspirazione di materiale liquido di provenienza gastroenterica con conseguente polmonite ab-ingestis.

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Il contenuto gastrico produce danni soprattutto a causa della sua acidità, poiché provoca un'ustione chimica delle vie aeree e dei polmoni che comporta: rapida broncocostrizione, atelettasia, edema ed emorragia alveolare. Questa sindrome può risolversi spontaneamente, solitamente entro pochi giorni, o può evolvere in sindrome da distress respiratorio. Inoltre, talvolta si può verificare una sovrainfezione batterica (Sanjay & Sethi, 2017).

3.1.8 Atelettasia

Atelettasia deriva dalle parole greche “ateles” e “ektasis” che significano espansione incompleta; essa consta nella perdita di volume di una parte o di tutto il polmone, con o senza spostamento del mediastino e può essere classificata in ostruttiva e non ostruttiva.

L’atelettasia ostruttiva è la più comune causa di collasso polmonare, sia nei pazienti adulti che pediatrici, ed è di solito causata da tumori, tappi di muco o corpi estranei.

L’atelettasia non ostruttiva può essere di vario tipo in base alla causa che la determina. Può essere classificata in: atelettasia da compressione (provocata ad esempio dalla presenza di grandi masse tumorali o da enfisema), cicatriziale (la quale si forma ad esempio in seguito a patologie granulomatose), adesiva (deficit di surfattante) e passiva (dovuta alla perdita di contatto tra le pleure) (Ray et al., 2013).

L’atelettasia compare nel 90% dei pazienti anestetizzati (Gunnarsson et al. 1991) ed è presente sia in respirazione spontanea che durante la paralisi muscolare, sia in anestesia generale intravenosa che inalatoria (Strandberg et al. 1986). Le regioni polmonari che presentano una ventilazione inferiore rispetto alla perfusione sono suscettibili al collasso, e questo in particolare può verificarsi quando la concentrazione di ossigeno ispirato è alta e quindi si ha un flusso maggiore di ossigeno che va dagli alveoli al capillare e che provoca, un progressivo restringimento degli alveoli.

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Durante le procedure endoscopiche, come precedentemente riportato, si possono osservare delle complicazioni che possono predisporre ad un notevole aumento della pressione addominale, la quale può comportare a sua volta alterazioni di tipo respiratorio.

Inoltre, la posizione convenzionalmente assunta in corso di endoscopia è la latero-laterale di sinistra (Bottero & Ruggiero, 2011) e questa, se mantenuta per un eccessivo periodo di tempo, può portare all’atelettasia.

Lo sviluppo di atelettasia comporta la riduzione della compliance polmonare, la diminuzione dell’ossigenazione ematica, l’aumento delle resistenze vascolari, lo sviluppo di un danno polmonare; essi sono effetti che persistono nel periodo postoperatorio con un impatto più o meno importante sui pazienti ricoverati (Duggan et al. 2005).

Uno dei primi studi riferiti agli effetti dell’atelettasia polmonare è quello di Mead & Collier (1959), nel quale si riporta che in cani sottoposti ad anestesia generale, in respirazione spontanea o trattati con neurobloccanti muscolari e ventilati con un volume tidalico di circa 12,5 ml/kg; la compliance polmonare diminuiva progressivamente. Inoltre, Mead e Collier hanno scoperto che questa alterazione della compliance può essere trattata con il reclutamento polmonare, mentre una desufflazione forzata avrebbe causato un’ulteriore riduzione della compliance. Gli effetti negativi legati all’atelettasia persistono nel periodo postoperatorio e possono avere un impatto sul recupero del paziente. L’atelettasia può persistere fino a 2 giorni dopo la procedura chirurgica (Lindberg et al. 1992), anche se la disfunzione polmonare è transitoria, infatti la normale funzionalità polmonare può riprendere anche subito dopo l'anestesia e la chirurgia.

3.1.9 Alterazione dei fattori della coagulazione

Solitamente i pazienti sottoposti a endoscopie digestive sono soggetti che presentano problematiche a livello intestinale, definiti quindi enteropatici (Nelson & Couto, 2015).

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Una delle problematiche riscontrabili nei pazienti affetti da enteropatie è l’insorgenza di malattie tromboemboliche imputabili ad una riduzione dei valori di antitrombina III. L’antitrombina III è una glicoproteina plasmatica ad attività anticoagulante e la sua assenza o la sua riduzione predispone a gravi coagulopatie, come il tromboembolismo polmonare. Il tromboembolismo polmonare è una condizione estremamente grave, causata dall’ostruzione di uno o più rami dell’arteria polmonare, con conseguente ostacolo del flusso sanguigno attraverso i polmoni e aumento delle pressioni nelle sezioni destre del cuore (che si trovano a stretto contatto con il circolo arterioso polmonare) (L. Goodwin et al., 2011).

3.1.10 Emorragia della mucosa

Una complicazione che si può verificare in corso di endoscopia del tratto digerente è un copioso sanguinamento della mucosa soprattutto quando essa risulta patologica, ovvero in caso di neoplasie e di ulcerazioni (Moore, 2003) . In questi casi si rende necessaria la considerazione di una risoluzione chirurgica o di una trasfusione qualora la perdita ematica fosse importante.

In letteratura è stato inoltre riportato che i fenomeni emorragici si possono osservare anche in seguito ad una eccessiva pressione o forza esercitata dall’operatore durante le procedure endoscopiche ; questo può portare ad un danneggiamento di organi e vasi sanguigni adiacenti alla zona sottoposta ad esame, condizione eventualmente aggravata quando ci troviamo di fronte a lesioni come l’ulcera gastrica profonda o in corso di biopsie profonde (Moore 2003).

3.2 Considerazioni farmacologiche durante l’anestesia

generale in corso di endoscopie gastrointestinali

Lo studio di Weil (2009) sostiene che i farmaci anestetici possono alterare negativamente la motilità intestinale e la funzione dei vari sfinteri del tratto digerente; inoltre, possono indurre e favorire il vomito. Ad esempio, gli agonisti

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completi dei recettori µ come morfina, idromorfone e ossimorfone favoriscono il vomito quando vengono somministrati per via IM. I farmaci che inducono il vomito devono essere assolutamente evitati qualora il paziente riporti un corpo estraneo esofageo o gastrico.

L’impiego di farmaci come l’atropina, la morfina, l’acepromazina, il glicopirrolato e l’uso di soluzioni saline prima dell’endoscopia, possono influenzare negativamente il passaggio della sonda a livello degli sfinteri, in particolare a livello pilorico; per questo motivo, Weil (2009) sostiene di non utilizzare i farmaci agonisti completi dei recettori per gli oppiodi, in caso di duodenoscopia. Secondo tale autore l’utilizzo di farmaci α2-agonisti, come la

medetomidina, non ostacola il passaggio dell’endoscopio ma potrebbe indurre il vomito, quindi la somministrazione di butorfanolo a 0,2 mg/kg in premedicazione sembra essere la scelta più adatta in quanto non influisce sugli sfinteri e non induce il vomito. I farmaci che possono essere somministrati nella fase di premedicazione per una gastroduodenoscopia nel gatto sono: idromorfone, glicopirrolato, medetomidina o butorfanolo

La scelta di un buon protocollo anestesiologico è sempre di fondamentale importanza al fine di prevenire e ridurre l’insorgenza di complicazioni. Nello studio di Weil (2009) vengono riportati dei protocolli anestesiologici validi per l’endoscopia del tratto gastro intestinale superiore. Per la fase di premedicazione è prevista la somministrazione di: acepromazina (0,02 mg/kg), midazolam (0,1-0,2 mg/kg), butorfanolo (0,2 mg/kg) o idromorfone (0,05-0,1 mg/kg).

Per la fase di induzione è previsto l’utilizzo di: propofol (6 mg/kg), ketamina (5 mg/kg) o diazepam (0,2 mg/kg).

Per la fase di mantenimento è prevista la somministrazione di anestetici inalatori come isofluorano o sevofluorano.

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