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Lavoro minorile in Peru'. Diritti formali, realta' di sfruttamento e tentativi di pratiche solidali.

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INTRODUZIONE

el niño trabajador/con su esfuerzo triunfarà y su lucha serà/ un dulce canto de libertad (Inno MANTHOC)

La tematica del lavoro minorile da sempre divide l'opinione pubblica. La domanda che ci si pone è: è giusto che ancora oggi esistano Paesi in cui i bambini siano costretti a lavorare?

L'idea di questa tesi nasce al rientro di un periodo di tirocinio svolto a Lima, presso il MANTHOC, il primo movimento al mondo di bambini e adolescenti lavoratori diretto dagli stessi bambini e adolescenti che ne fanno parte.

Quando sono partita per Lima non avevo ben chiaro cosa fosse il MANTHOC e l'idea di un movimento di bambini che rivendica il diritto a lavorare degnamente mi sembrava curiosa, in quanto ai termini “lavoro minorile” da sempre associavo la parola “sfruttamento” e non certo “dignità”. Non riuscivo dunque a capire come dei bambini potessero rivendicare il diritto ad essere sfruttati! In realtà erano poche le cose che avevo chiare; sapevo solamente di essere contraria al lavoro minorile, in quanto il bambino dovrebbe avere come unici obblighi quelli di studiare e di giocare.

Questa esperienza mi ha invece permesso di rivalutare l'infanzia in generale e la problematica del lavoro infantile in particolare, vedendola per la prima volta attraverso gli occhi dei diretti interessati: i bambini lavoratori.

Essi mi hanno aiutata a capire che la posizione abolizionista adottata dai grandi organismi internazionali (Organizzazione Internazionale del Lavoro in primis) e ripresa dalla maggior parte dell'opinione pubblica occidentale non aiuta in nessun modo il bambino lavoratore, anzi spesso lo danneggia.

All'interno del MANTHOC sono stata inserita nell'organico del cosiddetto “Programa Laboral” e ho potuto per la prima volta confrontarmi con le tematiche dell'economia di solidarietà e del commercio equo e solidale, stando questa volta dalla parte del produttore e non del consumatore, come era stato fino a quel momento.

Nei quattro capitoli che compongono la mia tesi ho provato a tracciare un percorso che riunisca quindi questi due mondi: quello dei bambini e adolescenti lavoratori organizzati del Perù e quello dell'economia di solidarietà.

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Secondo il pensiero di molti questi due mondi sono in netta contraddizione, in quanto non può esistere solidarietà in un contesto in cui sussista il ricorso al lavoro dei bambini e degli adolescenti. Ma durante i sei mesi del mio tirocinio ho avuto modo di constatare che, a determinate condizioni, i due mondi possono coesistere e trarre giovamento l'uno dall'altro.

E' fondamentale imparare a discernere tra lavoro degno e sfruttamento. Ed è proprio questo che il MANTHOC (così come altre associazioni e movimenti presenti sul territorio) fa: offre alternative di lavoro che non implichino sfruttamento, aiuta i minori a comprendere i propri diritti e a rivendicarli, insegna che coniugare studio e lavoro è possibile.

Lo scopo della tesi è quello di mettere in luce un diverso modo di intendere il lavoro minorile, che diventa una alternativa al degrado della vita di strada, ed è in grado di realizzare strutture di vita sociale, di educazione e di lavoro giusto. Non si nega che la realtà dei bambini lavoratori sia a volte molto difficile (questo anche per problematiche esterne al loro lavoro), ma probabilmente lo sarebbe ancora di più se gli fosse tolta la possibilità di lavorare.

Nel primo capitolo, dopo una breve introduzione su cosa si intenda per “bambino”, “adolescente” , “lavoro minorile” e “NATs”; sui tre approcci al lavoro minorile (abolizionista, pragmatico e della valorizzazione critica), viene passata in rassegna la legislazione internazionale e nazionale peruviana sulla tematica del lavoro infantile.

Si sottolinea come la legislazione internazionale converga tutta su un punto: l'eliminazione del lavoro infantile, considerato come dannoso per la salute e lo sviluppo fisico e psicologico del minore, e come nemico dell'istruzione e della formazione del bambino e dell'adolescente. Naturalmente la lotta al lavoro infantile non è facile né di breve durata, per cui è stata data la priorità allo sradicamento delle peggiori forme di lavoro infantile, allo sfruttamento e all'utilizzo dei minori in attività illecite e/o illegali.

La legislazione peruviana riprende in toto i dettami della legislazione internazionale (avendo il Perù ratificato le principali convenzioni in materia di infanzia e di lavoro infantile) e si fa quindi promotrice dello sradicamento del lavoro minorile. E' innegabile però che il paese debba fare i conti con la propria realtà, in cui una buona percentuale di bambini e di adolescenti lavorano, sia per necessità che per un fattore culturale, e inevitabilmente adattarvi le proprie leggi.

Per questo nel 1992 il Perù, primo paese al mondo, vara un Codice del Bambino e dell' Adolescente, dedicando una parte ai bambini e adolescenti lavoratori e fissando a 12 anni l'età minima per lavorare. Attraverso successive modifiche, volte ad adeguare il Codice alla legislazione internazionale (in particolare alla Convenzione ILO sull'età minima), l'età minima viene spostata a

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14 anni.

In ogni caso il Codice del Bambino e dell'Adolescente, pur tagliando fuori tutta l'infanzia lavoratrice (intendendo per infanzia i minori di 14 anni), riconosce agli adolescenti il diritto a lavorare e garantisce loro una serie di diritti in quanto lavoratori.

Nel secondo capitolo viene introdotta la realtà peruviana dal punto di vista delle strutture demografiche e sociali. Il Perù appare come un paese sostanzialmente giovane e povero, ed è inevitabile quindi che i giovani e i giovanissimi vengano introdotti presto nel mondo del lavoro. Il lavoro minorile viene analizzato suddividendo i minori in due categorie: i bambini e gli adolescenti. Per ciascuna delle categorie si prendono in considerazione la zona di provenienza, il sesso, il tipo di lavoro svolto, il grado di istruzione raggiunto, etc... .

In ultimo viene messo in evidenza il contributo dato dal lavoro minorile al PIL peruviano.

Il terzo capitolo verte invece sull'economia di solidarietà. La tematica viene presentata attraverso un excursus che esamina i precedenti all'economia di solidarietà, fino ad arrivare alla sua formulazione ad opera di Luis Razeto, che per primo ha provato a coniugare i due termini, economia e solidarietà. Viene poi esaminata la presenza dell'economia di solidarietà in Perù, dalla sua nascita (prevalentemente grazie all'azione di vari movimenti sociali) fino ad oggi.

Attualmente la più grande associazione peruviana impegnata nella promozione dell'economia solidale è il GRESP, la Rete di Economia Solidale del Perù.

Il quarto e ultimo capitolo parte dalla considerazione che i Movimenti di bambini e adolescenti lavoratori organizzati possono essere considerati alla stregua di movimenti sociali e in qualità di soggetti attivi di economia solidale (e non solo).

Viene poi presentato il caso concreto del MANTHOC che da anni si è inserito nel circuito solidale, attraverso laboratori produttivi e alberghi solidali, cogestiti dagli stessi bambini e adolescenti del Movimento. I prodotti del MANTHOC sono attualmente venduti in Perù e in Europa attraverso il circuito del commercio equo e solidale.

In Italia i prodotti arrivano grazie alla Cooperativa Equo Mercato, la quale, andando in controtendenza rispetto ai dettami del commercio equo e solidale (che non prevede il ricorso al lavoro minorile), ha deciso di pubblicizzarli e commerciarli, contribuendo anche alla diffusione degli ideali del MANTHOC e alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica italiana sul tema dei minori lavoratori.

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CAPITOLO 1

La legislazione internazionale e la legislazione del Perù

Il lavoro minorile continua a costituire ancora oggi un grave problema in molte parti del mondo, soprattutto nei Paesi definiti “sottosviluppati” di Africa, Asia e America Latina, nei quali sussistono condizioni di vita misere per i bambini e adolescenti lavoratori e bassi tassi di istruzione, che spesso portano a vere e proprie situazioni di schiavitù.

Ovviamente non sempre la situazione è così drammatica, ma proprio nel tentativo di proteggere bambini e adolescenti da forme di sfruttamento, nel corso degli anni si sono susseguite una serie di leggi, convenzioni, direttive nazionali e internazionali. Tali norme puntano, non sempre a ragione e non sempre con i giusti mezzi, all'eliminazione totale del lavoro infantile.

In ambito internazionale, a tal proposito i maggiori sforzi sono stati fatti dalle Nazioni Unite e dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.

1. 1 Definizioni di bambino, adolescente e lavoro minorile

Quando si tratta la problematica del lavoro minorile è opportuno avere ben chiaro cosa si intenda con i termini di “bambino”, “adolescente” e “lavoro minorile”.

Apparentemente si tratta di termini semplici, di immediata comprensione, ma in realtà essi non vengono utilizzati allo stesso modo in tutta la legislazione nazionale e internazionale, né nel sentire comune.

Infatti le definizioni dei primi due termini- bambino e adolescente- sono varie e differiscono da un Paese all'altro, così come sono diverse a seconda dell'istituzione nazionale o internazionale che vi fa ricorso.

La Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia1 definisce “fanciullo” (dall'originale inglese 1 Approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

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“child”) qualunque essere umano di età inferiore ai 18 anni, a meno che non sia diventato maggiorenne prima, in conformità alle leggi del suo Stato di appartenenza.

A proposito della traduzione italiana (la cui versione ufficiale è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 11 giugno 1991), UNICEF Italia sottolinea che sarebbe stato preferibile rendere il termine inglese con la locuzione “bambino, ragazzo e adolescente”, piuttosto che con il solo “fanciullo”.

L'articolo 32 di tale Convenzione, che si riferisce al lavoro minorile, riconosce al fanciullo il diritto ad essere protetto dallo sfruttamento economico e dal suo utilizzo in lavori che possano risultare pericolosi o impedirne il percorso scolastico-educativo, essere nocivi per la sua salute, il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale.

L'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) fornisce invece una precisa distinzione tra bambino e adolescente, sulla base del fatto che ogni fase della crescita e dello sviluppo dell'individuo racchiuda circostanze particolari. A questo proposito considera bambini tutti i minori di 14 anni. Tale età è infatti considerata il limite minimo per entrare nel mondo del lavoro nella maggior parte dei paesi latino americani nonché il termine dell'obbligo scolastico nella maggior parte dei paesi. Adolescenti sono invece gli individui di età compresa tra i 14 e i 18 anni non ancora compiuti.

Per quanto concerne l'età minima per lavorare, l'ILO definisce l'infanzia in funzione dell'età minima per accedere al mondo del lavoro. In tutta l'America Latina si entra a far parte della cosiddetta popolazione economicamente attiva a partire dai 14 anni di età. A questa età minima si aggiungono altri due limiti d'età. Il primo limite (solitamente corrispondente ai 12 anni), che costituisce un'eccezione, permette in alcuni casi la realizzazione di lavori definiti leggeri a condizione che questo impiego sia eseguito in condizioni adeguate e non impedisca al bambino di terminare il percorso della scuola dell'obbligo. Il secondo limite proibisce invece la realizzazione di lavori, pesanti o pericolosi. Vengono definite occupazioni ad alto rischio o pericolose, tutte quelle che mettono a rischio l'incolumità, la salute fisica o la salute mentale del bambino o dell'adolescente. All'interno di tale categoria si trovano attività che, indipendentemente dalle condizioni di lavoro, non dovrebbero in nessun caso essere svolte da bambini o adolescenti, quali i lavori sotterranei, i lavori notturni o per turni, orari extra, che possono essere svolti solamente a partire dai 18 anni, anche se in alcuni paesi l'età minima può essere 16 anni.

In Perù il Codice del Bambino e dell'Adolescente, approvato con decreto legge n. 27337, definisce bambini tutti gli esseri umani dalla nascita fino al compimento del dodicesimo anno, e adolescenti

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tutti i ragazzi tra i 12 e i 18 anni non compiuti. Entrambi i gruppi risultano soggetti di diritto, libertà e protezione specifica. Tale distinzione viene ripresa anche dal MANTHOC e da numerose ONG che lavorano con e per l'infanzia.

La legislazione peruviana definisce “lavoro minorile” qualsiasi attività economica a carattere lecito realizzata in forma regolare, periodica o stagionale da bambini e/o adolescenti, e che implichi la loro partecipazione nella fase di produzione o commercializzazione di beni e/o servizi destinati al mercato, il baratto, l'autoconsumo, indipendentemente dal fatto che tale attività sia soggetta o meno a retribuzione. In accordo a tale definizione le attività economiche illecite, quali prostituzione infantile o spaccio di droga, non sono classificabili come lavoro infantile, né lo sono altri metodi per ottenere reddito quali furti o accattonaggio.

Allo stesso modo, la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alle faccende domestiche non viene inclusa nella categoria “lavoro”, nonostante l'importanza di tale attività. Tali occupazioni vengono invece considerate appartenenti alla categoria lavoro da numerose associazioni e ONG che si occupano di infanzia (es. Save the Children e lo stesso MANTHOC).

Save the Children inoltre considera lavori anche le attività illecite, sostenendo che in questa scelta rientri il rifiuto di criminalizzare i minori costretti a compiere tali attività (riaffermando quindi che la responsabilità sta unicamente in capo agli sfruttatori) e la consapevolezza che gli effetti di tale situazione di sfruttamento siano assimilabili a quelli derivanti dallo svolgimento di lavori particolarmente nocivi.

E' importante operare una distinzione tra lavoro minorile e sfruttamento anche per poter correttamente interpretare i dati ufficiali del fenomeno (dati comunque imprecisi in quanto si tratta prevalentemente di lavoro sommerso e irregolare). Bisogna infatti fare attenzione ad interpretare le cifre poiché il termine "lavoro " comprende un insieme molto eterogeneo di attività: da semplice aiuto familiare (lavoro nei campi, raccolta di legna o acqua, accudimento di fratelli più piccoli o di anziani) a vere e proprie attività all’esterno della casa (a servizio presso famiglie benestanti, nelle strade, in laboratori artigianali, in fabbriche, piantagioni, cave o miniere, etc...). Si va inoltre da poche ore lavorative ad un lavoro svolto durante tutto l’arco della giornata (fino a 12-14 ore) che può costituire la principale fonte di reddito della famiglia.

Altra parola entrata entrata ormai nell'uso comune per coloro che si occupano di lavoro minorile è “NATs”, un acronimo in lingua spagnola che in poche lettere racchiude tutta la realtà del lavoro di bambini e adolescenti, circa 211 milioni di individui nel mondo.

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La sigla NATs è stata ripresa e utilizzata anche in Italia, mentre nei paesi anglofoni si parla di “Working Children” e in quelli francofoni di EJT (“Enfants et Jeunes Travailleurs”).

Si nota come l'attenzione si sposti dal lavoro minorile al bambino e adolescente lavoratore, che diventa il protagonista di tutte le rivendicazioni in materia, portate avanti dal bambino stesso (finalmente soggetto di diritti e consapevole di esserlo), dalla sua famiglia, dagli educatori e dalla Comunità. Nel corso degli anni i bambini e adolescenti lavoratori hanno cominciato ad abbandonare la solitudine delle condizione individuale, per costituirsi in Movimenti prima locali e nazionali, poi continentali e internazionali per la difesa dei propri diritti.

Il primo Movimento a nascere è stato proprio quello peruviano: il MANTHOC (Movimiento de Niños y Adolescentes Trabajadores Hijos de Obreros Cristianos-Movimento di Bambini e Adolescenti Lavoratori Figli di Operai Cristiani). Nato nel 1976 come parte della JOC (Juventud Obrera Cristiana-Gioventù Operaia Cristiana), si è convertito qualche anno dopo nel primo movimento al mondo costituito da bambini e adolescenti lavoratori.

I movimenti dei bambini e adolescenti lavoratori si riuniscono e si scambiano esperienze, sensazioni, gioie e sofferenze in cui la lotta per sopravvivere si intreccia alla rivendicazione per il diritto all’educazione, alla salute, al tempo libero e al gioco, a condizioni di vita degna. I NATs si organizzano per andare contro ogni forma di sfruttamento economico dei minori, ritenendo il lavoro, quando svolto mediante opportune modalità, uno strumento di formazione e di educazione, una forma di riproduzione della vita, ma anche costruzione di una propria identità positiva.

I movimenti organizzano servizi di sostegno per i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze che lavorano: mense, biblioteche, case di accoglienza, servizi di sanità di base, microimprese. Organizzano scuole con orari flessibili e metodi alternativi che consentano di alternare scuola e lavoro con laboratori per dare un’alternativa di lavoro dignitoso a quei bambini che stanno tentando di uscire da una situazione di sfruttamento. I NATs, affacciandosi sullo scenario internazionale, chiedono di essere parte di una discussione che riguarda direttamente le loro stesse vite e di essere consultati nel lungo e complesso cammino verso la ricerca di soluzioni al grave problema dello sfruttamento del lavoro minorile.

I tre approcci

Il dibattito internazionale sul lavoro minorile vede diverse posizione in rappresentanza di diverse istituzioni e organizzazioni che hanno differenti modi di intendere la questione.

Sintetizzando le diverse espressioni critiche si può arrivare alla definizione di tre differenti posizioni: l'abolizionismo, l'approccio pragmatico e la valorizzazione critica del lavoro infantile.

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Abolizionismo

Secondo questo approccio il lavoro infantile deve essere sradicato ed eliminato in quanto rappresenterebbe una minaccia alla salute e al corretto sviluppo del bambino e dell'adolescente, essendo pieno di rischi. Esso rende il bambino e l'adolescente soggetti vulnerabili, facilmente oggetti di abusi e sfruttamento.

Il lavoro, come altri tipi di responsabilità, è considerato un ambito per soli adulti, e il suo espletamento da parte di persone che adulte ancora non sono rischierebbe di pregiudicare irrimediabilmente le possibilità di avere uno sviluppo fisico, educativo ed emotivo corretto.

Il lavoro dei minori è reputato in completa antitesi con la scuola e i suoi fini di apprendimento e per questo rappresenterebbe un inesorabile fattore di esclusione sociale. Secondo i fautori di questo approccio quindi i bambini dovrebbero dedicare il loro tempo esclusivamente alla scuola e al gioco; le uniche attività ritenute in grado di garantire al bambino e all'adolescente uno sviluppo equilibrato. Nella visione abolizionista la scuola assume una centralità preponderante anche sulle altre istituzioni come la famiglia e la comunità che da noi in Occidente hanno perso parte del proprio ruolo.

Un altro punto fermo di questo tipo di approccio è quello che fa di povertà e lavoro minorile un circolo vizioso da cui non ci sarebbe uscita. E' la miseria che costringe i bambini e gli adolescenti a lavorare, ma l'esistenza del lavoro minorile sarebbe una delle cause principali della povertà di molti Paesi, tanto che si pensa che non si possano migliorare le condizioni di un paese se prima non si elimina il lavoro minorile.

Il principale esponente dell'approccio abolizionista è probabilmente l'ILO che dal 1992 ha attivato l'IPEC (International Programme on Elimination of Child Labour-Programma Internazionale per l'Eliminazione del Lavoro Minorile) il più esteso programma mai realizzato per l'eliminazione del lavoro minorile. L'IPEC si propone di eliminare in toto il lavoro minorile al di sotto dei 12 anni, quello in condizioni di schiavitù, quello dannoso per una crescita sana e, in ultimo, di migliorare le condizioni dei ragazzi lavoratori al di sotto dei 15 anni.

A

pproccio pragmatico

Più che una vera e propria posizione etica questo approccio rappresenta una riedizione dell'abolizionismo riveduta secondo i più recenti sviluppi della ricerca in materia. Secondo questo approccio non è possibile escludere a priori la possibilità che il bambino e l'adolescente lavori anche se sarebbe più opportuno che non lo facesse. Per questo bisogna adoperarsi al fine di contenerne gli

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effetti più negativi. Praticamente si ammette che esistano Paesi in cui il lavoro minorile è inevitabile.

La scuola resta il luogo ideale per il bambino e l'adolescente anche se si riconoscono alcune potenzialità formative al lavoro e alla partecipazione. Non si arriva però alla ideazione di progetti che contemplino il lavoro minorile al centro delle loro attenzioni.

Gli organismi che si avvicinano a queste posizioni sono quelli che lanciano campagne legate all'adozione di clausole sociali volte alla individuazione di prodotti ottenuti senza il lavoro dei bambini e degli adolescenti. E' da aggiungere che questo tipo di approccio alla cooperazione sottovaluta un attento esame critico sull'impatto di medio e lungo periodo, giungendo a situazioni dove il rimedio può essere peggiore del male, in quanto si sottovaluta il rischio della clandestinità per quei milioni di bambini e adolescenti che lavorano nella più totale informalità e che potrebbero essere così spinti verso attività dichiaratamente illecite.

E' questo il tipo di approccio a cui fondamentalmente si rifà la Global March Against Child Labour2

che talvolta si dichiara contro lo sfruttamento del lavoro minorile ma che poi utilizza termini dichiaratamente abolizionistici e appoggia la Convenzione n. 138 dell'ILO, che ha una impostazione repressiva.

Sette sono le proposte elaborate dai partecipanti alla Global March:

● sensibilizzazione sul tema dello sfruttamento infantile;

● ratifica e applicazione da parte degli Stati delle leggi esistenti e delle Convenzioni sul lavoro

minorile;

● massimo stanziamento di risorse nazionali e internazionali per garantire l’istruzione a tutti i

bambini e le bambine del mondo;

● mobilitazione dell’opinione pubblica per lottare contro le ingiustizie sociali che obbligano i

bambini a lavorare;

● eliminazione immediata delle forme più intollerabili di lavoro minorile; ● promozione di azioni concrete da parte di imprenditori e consumatori; ● riabilitazione e reintegrazione sociale dei bambini lavoratori.

A questa posizione può ricondursi anche il pensiero dell'UNICEF. L’azione dell'UNICEF ruota intorno ad una serie di provvedimenti ritenuti fondamentali e urgenti da adottare:

2 La Global March against Child Labour (Marcia Globale contro il Lavoro Minorile) nasce nel 1998, come una vera e propria marcia, che attraversa 90 Paesi, mobilitando milioni di persone, per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e delle Istituzioni sul problema dello sfruttamento del lavoro infantile e per chiedere istruzione gratuita e di qualità per tutti i bambini del mondo.

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● l’eliminazione immediata del lavoro infantile in condizioni pericolose e di sfruttamento; ● l’istruzione gratuita e obbligatoria;

● una maggiore tutela legale del lavoro minorile nel settore economico non ufficiale, compresi

i lavori in strada, in ambito familiare e domestico;

● la registrazione all’anagrafe dei neonati per garantire l’esercizio dei diritti del bambino e per

agevolare i controlli degli ispettori del lavoro;

● la raccolta dei dati ed il loro controllo;

● la promozione dei Codici di condotta e le politiche di acquisto a tutela dei minori.

Valorizzazione critica del lavoro infantile

La valorizzazione critica è la posizione eticamente opposta all'abolizionismo. Questa posizione è portata avanti da ben 31 anni dal MANTHOC, primo nato tra i movimenti di bambini e adolescenti lavoratori. Essa risulta dalla convergenza di due diverse correnti, l'una maturata in ambito accademico tramite la riscoperta di alcune avanzate tendenze pedagogiche, l'altra che segue l'esperienza di concreti progetti ed interventi non convenzionali in tema di lavoro minorile ed infanzia di strada. La posizione dei sostenitori della valorizzazione critica parte dall'assunto che il lavoro non sia un concetto negativo in sé, e quindi non si possa considerarlo negativo neanche per i bambini e adolescenti che partecipano così al sostentamento economico della propria famiglia, gettando le basi per la costruzione di quella autostima necessaria per la propria identità. Al contrario di ciò che avviene nei progetti ispirati all'abolizionismo in questo approccio si tende a dar valore all'idea di partecipazione e di auto-organizzazione dei bambini e degli adolescenti lavoratori che devono rendersi conto da soli della propria condizione e delle cose da fare per migliorarla.

In questo senso all'infanzia non si riconosce quel ruolo neutrale cui la si vorrebbe ridurre da più parti, un momento storico vivibile solo attraverso il gioco e l'apprendimento scolastico e al quale viene negata qualsiasi forma di responsabilità economica. Si tratta di una visione etnocentrica, occidentale, che individua la scuola come unico ambito di esperienza educativa significativa per i minori. Nasce da una idea di infanzia privatizzata e protetta da qualsiasi assunzione di responsabilità. Questo nonostante il lavoro sia in molti contesti il principale luogo di socializzazione e una reazione razionale alle limitazioni di cui soffrono famiglie e bambini.

Per questo si vuole riconoscere in prima linea il diritto al lavoro come un diritto umano se pur valutato in una luce critica. In questo senso si rende necessaria una analisi approfondita di quali lavori possano essere considerati deleteri e quali no.

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• il tipo di mansione • l'orario di lavoro

• il grado di esposizione ai rischi • l'età del soggetto

• le sue possibilità di accesso all'educazione • il tipo di relazione vissuta con la famiglia.

In sintesi nelle parole di Schibotto "valorizzare criticamente il lavoro infantile non significa

giustificare lo sfruttamento e gli sfruttatori, ma in primo luogo valorizzare i bambini lavoratori in quanto potenziali attori di una critica agli ingiusti meccanismi sociali. Si tratta di valorizzare l'organizzazione degli stessi bambini ed adolescenti lavoratori, la loro emergenza storica, il loro diritto ad essere riconosciuti come gruppo sociale e non solo come una sommatoria di individuali disperazioni"3.

Per questo i sostenitori della valorizzazione critica ritengono che sia necessario riconoscere il lavoro minorile per poterlo proteggere, e non far rimanere il fenomeno sommerso: nell’illegalità abusi e sfruttamenti sono più facili.

1.2 Dalla Dichiarazione ONU sui Diritti del Fanciullo alla

Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia

Il primo documento prodotto dalle Nazioni Unite sulle tematiche dell'infanzia è la Dichiarazione

Universale sui Diritti del Fanciullo4, approvata dall'Assemblea Generale il 20 novembre 1959.

Tale dichiarazione rappresenta sicuramente un enorme passo avanti verso il riconoscimento dei diritti dei minori, ma si tratta comunque di diritti che rimangono sulla carta, essendo tale documento una dichiarazione di principi e di intenti che non pongono nessun obbligo in capo agli Stati firmatari. Nonostante ciò essa gode di una certa autorevolezza morale, essendo stata approvata all'unanimità ed essendo portatrice di numerose innovazioni. Introduce infatti il concetto che il minore- al pari degli altri esseri umani- sia soggetto di diritti e pertanto non debba essere vittima di sfruttamento.

La Dichiarazione pone il divieto di ammissione al lavoro per i minori che non abbiano raggiunto

3 G. SCHIBOTTO, Il bambino lavoratore da vittima a soggetto, atti del Convegno Internazionale “La violazione dei diritti fondamentali dell'infanzia e dei minori, Macerata, 1995, p. 49

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l'età minima e il divieto di impiego dei bambini in attività nocive per la salute o che ne ostacolino lo sviluppo fisico e/o mentale.

Si deve attendere il 20 novembre 1989 (30 anni dopo!) per la nascita della Convenzione sui Diritti

dell'Infanzia5, documento giuridicamente vincolante per gli Stati che l'hanno ratificata.

I lavori preparatori sono stati lunghissimi -più di 10 anni- ma è bastato meno di un anno perché entrasse in vigore. Essa riconosce ed afferma la dignità e la preziosità della vita di tutti i bambini e si impegna a garantire loro condizioni di vita migliori.

Già nell'articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, l'ONU aveva dimostrato una particolare attenzione ai temi dell'infanzia, affermando che “La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali

cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.” Per questo non stupisce che, a distanza di anni, l'Assemblea Generale sia

arrivata alla proclamazione di una Convenzione interamente dedicata ai temi dell'infanzia, riconoscendo a tale tappa della vita specifiche caratteristiche e peculiarità, poiché aveva già dichiarato che il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita.

Nel Preambolo della Convenzione vengono citati i precedenti tentativi di legiferare in materia di infanzia: “Tenendo presente che la necessità di concedere una protezione speciale al fanciullo è

stata enunciata nella Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo adottata dall’Assemblea Generale il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici – in particolare negli artt. 23 e 24 - nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali - in particolare all’art. 10 - e negli Statuti e strumenti pertinenti delle Istituzioni specializzate e delle Organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere del fanciullo”.

La Convenzione parte con la definizione del termine fanciullo, intendendolo come un individuo di età inferiore ai 18 anni, e prosegue trattando i temi del diritto al nome, alla famiglia, alla nazionalità, ad un'istruzione, etc... .

Per la prima volta il minore viene qualificato come soggetto di tutta la gamma dei diritti umani- sia

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quelli di prima generazione (civili e politici) che quelli di seconda generazione (economici, sociali e culturali)- e non più come un semplice oggetto di tutela .

Nell'articolo 31 si introducono le attività considerate adatte al fanciullo, quali “il diritto al riposo e

al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”. Ma solamente nell'articolo 32 si parla esplicitamente di

lavoro minorile (inteso come impiego di minori in attività lecite), o meglio di sfruttamento e di divieto di partecipare in attività lavorative rischiose.

“Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.

Non vengono forniti criteri che permettano di discernere un lavoro che implichi sfruttamento da uno che invece non lo sia, ma riferendoci ai criteri adottati dal Comitato Esecutivo dell'UNICEF nel 1986 possiamo dire che si ha sfruttamento in presenza di:

• lavoro a tempo pieno in età troppo giovane; • troppe ore di lavoro;

• lavoro pericoloso per la salute o che comporti stress fisico o psicologico; • salario inadeguato;

• lavoro che impedisca di accedere all'istruzione; • lavoro che mini la dignità e autostima dei bambini.

Nel secondo comma dell'articolo 32 si elencano invece i doveri in capo ai singoli Stati, inerenti l'adozione di misure legislative, amministrative, sociali ed educative che garantiscano l'applicazione del suddetto articolo. A tal proposito, agli Stati viene chiesto di stabilire una età minima per l'ingresso al mondo lavorativo (o più età minime a seconda del lavoro che dovrà essere svolto), una adeguata regolamentazione degli orari di lavoro e delle condizioni di impiego, pene o altre sanzioni appropriate nel caso di non rispetto delle precedenti regole.

Appare evidente che la volontà di difendere i diritti dei minori non si associa con un totale rigetto della possibilità del lavoro minorile, a patto che questo non impedisca al fanciullo di studiare e di mantenersi in salute. Ogni decisione viene comunque lasciata agli Stati parte, che hanno appunto il compito di legiferare in materia e di decidere se essere o meno abolizionisti.

Rimane comunque la sensazione che tale articolo non sia totalmente abolizionista.

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e illegali, quali la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti (art. 33), lo sfruttamento e la violenza sessuale (art.34), la vendita, il rapimento e la tratta di fanciulli (art.35).

In ultimo, l'articolo 38 fa riferimento ad un particolare tipo di lavoro: quello nelle forze armate. In questo caso è la stessa Convenzione a fissare un limite di età, pari a 15 anni, in virtù del rispetto delle regole del diritto umanitario internazionale. I minori di tale età non possono prendere parte alle ostilità in caso di conflitto armato né possono essere arruolate.

Manfred Liebel, nel suo saggio “La otra infancia” sottolinea come la Convenzione formuli tre tipi di diritti: “protecciòn, provisiòn y partecipaciòn”.

Nel primo caso essa garantisce al minore protezione contro i maltrattamenti, lo sfruttamento economico e sessuale e la discriminazione per razza, sesso o età.

Nel secondo caso concede ai minori il diritto ad uno sviluppo senza interferenze durante la prima infanzia, a ricevere almeno l'istruzione di base, all'assistenza sanitaria e a condizioni di vita generali degne in quanto essere umano.

Nel terzo caso concede ai minori il diritto ad accedere liberamente all'informazione, alla libertà di espressione, alla partecipazione alle decisioni riguardanti l'infanzia e, in ultimo, il diritto a riunirsi in modo pacifico e a costituire proprie organizzazioni.

Con lo stabilire questi diritti intrinsechi nella condizione del minore, per la prima volta la Convenzione supera la concezione che “la vera vita del minore inizia quando è finalmente cresciuto”. Essendo depositari di diritti il bambino e l'adolescente possono pretendere di vivere una vita degna all'interno della società, in qualità di soggetti attivi.

In realtà però la Convenzione non lascia molto spazio d'azione ai fanciulli, relegando l'infanzia ad uno spazio in cui comunque sono gli adulti ad aver diritto all'ultima parola, in quanto ritenuti gli unici in grado di capire cosa sia meglio per i minori. Infatti i diritti di partecipazioni sono formulati in modo così generale oppure sono così carichi di condizioni che risulta difficile lasciare veramente spazio alle opinioni dei fanciulli.

A. Cussianovich6 arriva a dire che, ancora in questa Convenzione, come nelle precedenti, il minore

è considerato “màs como problema que como potencial social”7.

Di fondamentale importanza risulta essere l'articolo 44 che impone un meccanismo di monitoraggio; tutti gli Stati firmatari sono infatti obbligati a presentare al Comitato dei diritti dell'Infanzia8 un rapporto periodico (il primo a due anni dalla ratifica, e in seguito a cadenza 6 Noto pedagogista e tra i fondatori del MANTHOC

7 M. LIEBEL, La otra Infancia, IFEJANT, p. 37

(15)

quinquennale) sull'attuazione nel proprio territorio dei diritti previsti dalla Convenzione e sulle eventuali difficoltà incontrate.

Il Perù ha ratificato la Convenzione il 14 agosto 1990.

Alla Convenzione si accompagnano due Protocolli Opzionali, uno sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati e uno sulla vendita, prostituzione e pornografia dei bambini.

La Sessione Speciale sull'Infanzia

Dall'otto al dieci maggio 2002, alla presenza di oltre 60 capi di Stato e di Governo, si è svolta a New York la Sessione Speciale delle Nazioni Unite sull'Infanzia a cui hanno partecipato, oltre ai leader politici, personalità di spicco appartenenti al mondo degli affari, dell'arte, della cultura, del mondo accademico e religioso, e soprattutto oltre 500 giovani provenienti da 158 diversi Paesi. Si è trattato della più grande e importante Conferenza dedicata all'infanzia, dopo il Vertice Mondiale per l'Infanzia del 1990, nel corso della quale le nazioni presenti hanno assunto una serie di obiettivi da raggiungere per migliorare le condizioni dell'infanzia nel mondo.

Per la prima volta dei ragazzi si sono fisicamente presentati al Consiglio di Sicurezza per parlare in plenaria dei loro diritti, mettendo a punto una strategia d'azione elaborata nei giorni precedenti il Vertice, nel Children's Forum internazionale.

In questo Forum, tenutosi a porte chiuse e senza la presenza di adulti, i ragazzi hanno discusso della condizione dell'infanzia nel mondo, esaminando il rapporto delle Nazioni Unite sui progressi compiuti negli ultimi dieci anni e gli impegni che le nazioni non hanno mantenuto. Sulla base di tale analisi hanno definito le loro richieste e discusso la bozza di lavoro e gli impegni per il futuro che i "delegati ufficiali" degli Stati partecipanti avrebbero dovuto esaminare subito dopo. Le conclusioni tratte sono state portate da due ragazzi (scelti da tutti i partecipanti al Forum) alla serata inaugurale, in plenaria, dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Le richieste avanzate dai rappresentanti del Forum hanno trovato una risposta nel documento "Un

mondo a misura di bambino", con cui si è conclusa la Sessione Speciale, il quale prevede quattro

obiettivi prioritari:

● migliorare la salute dei bambini ● garantire a tutti un'istruzione di qualità

Convenzione. I membri sono eletti, tramite scrutinio segreto, tra i componenti di una lista designati uno per ogni Stato parte. La partecipazione avviene a titolo personale e in base alla ripartizione geografica. Il mandato dura 4 anni ed è ripetibile.

(16)

● proteggere i bambini dallo sfruttamento, dalla violenza e dagli abusi ● combattere la diffusione dell'HIV/AIDS.

Il problema del lavoro minorile, considerato ancora molto presente nel mondo, viene collegato al tema dell'istruzione, vista come fattore chiave per la riduzione della povertà (causa e conseguenza del lavoro minorile) e del lavoro minorile. Si chiede quindi l'adozione di misure efficaci e immediate per l'eliminazione del lavoro minorile, come definito dalla Convenzione ILO 182, ed elaborare e attuare strategie per l'eliminazione del lavoro minorile contrario agli standard internazionali accettati.

A tal proposito vengono individuate una serie di strategie ed interventi per combattere il lavoro minorile:

● Adottare d'urgenza misure efficaci e immediate per assicurare la proibizione e l'eliminazione

delle peggiori forme di lavoro minorile. Provvedere al recupero e al reinserimento sociale dei bambini sottratti alle forme peggiori di lavoro minorile, garantendo loro, tra le altre cose, l'accesso all'istruzione elementare gratuita e, ogniqualvolta possibile e opportuno, la formazione professionale.

● Adottare misure appropriate per collaborare all'eliminazione delle peggiori forme di lavoro

minorile, attraverso il potenziamento della cooperazione internazionale e/o delle varie forme d'assistenza, ivi compresi i programmi di sostegno allo sviluppo economico e sociale, quelli per la lotta alla povertà e per l'istruzione universale.

● Elaborare e perseguire strategie volte a tutelare i bambini dalle forme di sfruttamento

economico e da ogni attività lavorativa che appaia pericolosa o che interferisca con l'istruzione del bambino, ne metta a repentaglio la salute o ne comprometta il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale.

● In tale contesto, tutelare l'infanzia da ogni forma di sfruttamento economico attraverso

alleanze nazionali e per mezzo della cooperazione internazionale; migliorare le condizioni dell'infanzia garantendo ai bambini lavoratori, fra le altre cose, un'istruzione di base gratuita, la formazione professionale, l'inserimento nel sistema educativo servendosi di tutte le vie disponibili; incoraggiare il sostegno alle politiche economiche e sociali mirate alla lotta alla povertà e a garantire alle comunità familiari, e in particolare alle donne, la possibilità di un lavoro e di un reddito.

● Promuovere la cooperazione internazionale per aiutare i paesi in via di sviluppo nella loro

(17)

e sociali mirate alla lotta alla povertà, ribadendo al contempo che gli standard di lavoro non dovrebbero essere usati a fini commerciali protezionisti.

● Potenziare la raccolta e le analisi dei dati concernenti il lavoro minorile.

● Inquadrare gli interventi concernenti il lavoro minorile negli sforzi profusi a livello

nazionale per la lotta alla povertà e a favore dello sviluppo, in particolare inserendoli in politiche e programmi riguardanti i settori della sanità, dell'istruzione, del lavoro e della protezione sociale.

1.3 L'Organizzazione Internazionale del Lavoro, ILO

9

La legislazione internazionale concernente il lavoro minorile inizia nel 1919 con la Convenzione n° 5 dell’ILO, in cui viene fissata a 14 anni l’età minima per un impiego nell’industria.

Dal 1919 al 1973 l'ILO adotta altre 5 Convenzioni e 4 Raccomandazioni sull'età minima in particolari settori di attività economica.

Nel 1973, sempre l’ILO, con la Convenzione n° 138 sull'età minima10 (e la relativa

Raccomandazione n°146) stabilisce, all'articolo 2, che per qualsiasi genere di lavoro non è possibile impiegare ragazzi al di sotto i 15 anni (14 nei paesi “la cui economia e le cui istituzioni scolastiche

non sono sufficientemente sviluppate” ) in modo da permettere a chiunque di completare

l’istruzione scolastica obbligatoria. L'età minima scende a 12/13 anni (articolo 7) nel caso di lavori leggeri che non danneggino la salute e lo sviluppo dei ragazzi e non ne impediscano la frequenza scolastica. Qualsiasi lavoro che possa compromettere salute, sicurezza e moralità non può invece essere svolto prima dei 18 anni (articolo 3). Tale Convezione sostituisce tutta la normativa precedente.

La Convenzione sull'età minima si auto definisce, nel Preambolo come uno “strumento generale su

tale materia... in vista dell'abolizione totale del lavoro infantile”; l'obiettivo dello sradicamento

totale del lavoro infantile (sotto i 15 anni) accompagnato dal desiderio di alzare progressivamente

9 L'ILO è una Agenzia Specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne. I suoi principali obiettivi sono: promuovere i diritti dei lavoratori, incoraggiare l'occupazione in condizioni dignitose, migliorare la protezione sociale e rafforzare il dialogo sulle problematiche del lavoro.

E' l'unica Agenzia delle Nazioni Unite ad avere una struttura tripartita: i rappresentanti dei governi, degli imprenditori e dei lavoratori determinano congiuntamente le politiche e i programmi dell'ILO.

L'ILO è l'organismo internazionale responsabile dell'adozione e dell'attuazione delle norme internazionali del lavoro. Nato nel 1919 è oggi composto da 179 Stati membri.

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l'età minima viene subito ribadito all'articolo 1:

“Ciascun membro per il quale la presente convenzione è in vigore si impegna a perseguire una politica interna tendente ad assicurare l’abolizione effettiva del lavoro infantile e ad aumentare progressivamente l’età minima per l’assunzione all’impiego o al lavoro ad un livello che permetta agli adolescenti di raggiungere il più completo sviluppo fisico e mentale.” .

All'articolo 5 comma 3 viene specificato il campo minimo d'applicazione della Convenzione, vale a dire “le industrie estrattive; le industrie manifatturiere; l’edilizia e i lavori pubblici, l’elettricità, il

gas e l’acqua, i servizi sanitari, i trasporti, magazzini e comunicazioni; le piantagioni e le altre aziende agricole sfruttate soprattutto per scopi commerciali; sono escluse le aziende familiari o di piccole dimensioni che producono per il mercato locale e non impiegano regolarmente lavoratori salariati”.

Il successivo articolo 6 specifica altri ambiti lavorativi per i quali non viene applicata la Convenzione: “ La presente convenzione non si applica né al lavoro effettuato da bambini o da

adolescenti in istituti scolastici, in scuole professionali o tecniche o in altri istituti di formazione professionale, né al lavoro effettuato da ragazzi di almeno quattordici anni in aziende, qualora tale lavoro venga compiuto conformemente alle condizioni prescritte dalle autorità competenti previa consultazione delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, se esistono, e faccia parte integrante:

o di un insegnamento o di una formazione professionale la cui responsabilità spetti in primo luogo ad una scuola o ad un istituto di formazione professionale;

o di un programma di formazione professionale approvato dall’autorità competente ed eseguito principalmente e interamente in una azienda;

o di un programma di orientamento professionale destinato a facilitare la scelta di una professione o di un tipo di formazione professionale”.

Il Perù ha ratificato la Convenzione 138 il 13 novembre 2002, fissando l'età minima per accedere al lavoro a 14 anni, mediante il D.S. N° 038-2001-RE.

Nel 1992 l'ILO dà vita al Programma IPEC (International Programme on the Elimination of Child Labour). Si tratta di un programma di cooperazione tecnica per l'eliminazione del lavoro minorile attraverso il rafforzamento delle capacità nazionali di affrontare il problema promuovendo lo sviluppo e offrendo ai bambini alternative educative adeguate e ai genitori un lavoro dignitoso e un reddito sufficiente. Il Programma si propone di sviluppare azioni congiunte che coinvolgano i

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governi e la società civile (ONG, associazioni di lavoratori, etc...) al fine di elaborare strategie nazionali d'azione, sensibilizzare riguardo il problema e le conseguenze del lavoro minorile e offrire attenzione integrale ai bambini e agli adolescenti lavoratori.

L'IPEC rivolge una particolare attenzione ai minori in particolari condizioni di vulnerabilità, ai bambini sotto i 12 anni e alle bambine, dando massima priorità alle azioni contro le forme estreme di sfruttamento minorile, quali il lavoro in condizioni pericolose, l'asservimento dei figli per ripagare i debiti dei genitori, la prostituzione e il traffico di minori.

Il Perù è entrato a far parte del Programma IPEC il 31 luglio 1996, attraverso l'intervento della Cooperazione Spagnola.

Mediante il Memorandum de Entendimiento tra il Governo Peruviano e l'Organizzazione Internazionale del Lavoro si stabilisce che per raggiungere l'obiettivo finale dello sradicamento del lavoro infantile, il Governo attraverso l' Ente Rector del Sistema Nacional de Atenciòn Integral al Niño y al Adolescente si compromette a creare il Comitè Directivo Nacional para la Erradicaciòn del Trabajo Infantil y Protecciòn del Adolescente Trabajador.

Il Comitè è stato effettivamente creato mediante la Resoluciòn Suprema n° 059-97-PROMUDEH11,

in data 8 agosto 1997.

Il Memorandum de Entendimiento tra il Governo Peruviano, rappresentato dal Ministero del Lavoro e della Promozione dell'Impiego, e l'ILO, è stato rinnovato l'11 dicembre 2002.

In tale data si è anche decisa l'istituzione di un nuovo Comitè Directivo Nacional para la Prevenciòn y la Erradicaciòn del Trabajo Infantil (CPETI) tramite la Resoluciòn Suprema n° 018-2003-TR. Sono integranti del Comitè:

● due rappresentanti del Ministerio de Trabajo y Promociòn del Empleo, uno dei quali avrà

carica di presidente

● un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri ● un rappresentante del MIMDES

● un rappresentante del Ministerio de Educaciòn ● un rappresentante del Ministerio de Salud ● un rappresentante del Ministerio de Agricultura ● un rappresentante del Ministerio de Energìa y Minas ● un rappresentante del Ministerio de Justicia

● un rappresentante del Ministerio del Interior 11 Oggi MIMDES, Ministerio de la Mujer y Desarrollo Social

(20)

● un rappresentante del Ministerio de Vivienda, Construccìon y Saneamiento ● un rappresentante del Ministerio de Comercio Exterior y Turismo

● un rappresentante del Ministerio de Economia y Finanzas ● un rappresentante del Potere Giudiziario

● un rappresentante del Ministerio Publico ● un rappresentante dei Governi Regionali

● un rappresentante dell'Istituto Nazionale di Statistica e Informatica (INEI) ● un rappresentante dell'Associazione delle Municipalità del Perù

● un rappresentante per ciascuna Confederazione Sindacale rappresentata nel Consiglio

Nazionale del Lavoro e della Promozione dell'Impiego

● un rappresentante della Confederazione Nazionale delle Istituzioni Impresariali Private

(CONFIEP)

● un rappresentante della Società Nazionale delle Industrie (SNI) ● un rappresentante dell'Associazione degli Esportatori (ADEX)

● un rappresentante dell'Associazione dei Piccoli e Medi Industriali del Perù (APEMIPE)

Partecipano inoltre:

● ILO

● UNICEF

● Organizaciòn Panamericana de Salud (OPS)

● Agenzia di Cooperazione Internazionale del Giappone (JICA) ● Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione (COSUDE) ● Agenzia Spagnola di Cooperazione Internazionale (AECI) ● Cooperazione Tedesca allo Sviluppo

● Unione Europea

● Red por un futuro sin Trabajo Infantil ● Istituto di Salute e Lavoro (ISAT)

● Acciòn Solidaria para el Desarrollo (COOPERACCION) ● Gruppo di Iniziativa per i diritti del bambino (GIN) ● Organizzazione Global March contro il lavoro minorile.

La funzione di segreteria tecnica del Comitè viene svolta dalla Direcciòn de Inspecciòn Laboral e dalla Direzione Regionale del Lavoro e Promozione dell'Impiego di Lima e Callao con il supporto

(21)

tecnico degli esperti dell'IPEC.

Le tematiche sulle quali si lavora sono: lavoro infantile domestico, prostituzione infantile, lavoro nel campo della fabbricazione di mattoni, lavoro urbano, statistiche, rafforzamento istituzionale, educazione, mobilizzazione e sensibilizzazione, lavoro in miniera.

Il Comitè può istituire sottocommissioni di lavoro e comitati decentralizzati a livello nazionale. Le sue funzioni sono:

● elaborare il “Plan Nacional de Prevenciòn y Erradicaciòn del Trabajo Infantil”, da

approvarsi mediante Decreto Supremo del MIMDES e pubblicarsi sul giornale ufficiale “El Peruano” e su un quotidiano nazionale

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attività previste dal Programa Internacional de Erradicaciòn del Trabajo Infantil con altri sforzi nazionali volti all'eliminazione del lavoro infantile

● assessorare nella selezione di aree prioritarie per lo sviluppo di attività e appoggio del

Programa Internaciònal

● verificare periodicamente le attività del Programa Internacional nel Paese

● vigilare sul raggiungimento degli obiettivi e delle mete stabiliti dai diversi programmi ILO

sul tema del lavoro infantile, e su tutti gli altri strumenti a disposizione dello Stato per la prevenzione e sradicamento del lavoro infantile.

A proposito del Memorandum i NATs del Perù hanno espresso la propria opinione nel 2003, in occasione del quattordicesimo anniversario della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia con un ”Pronunciamiento del Movimiento Nacional de Niñ@s y Adolescentes Trabajadores Organiz@dos

del Perù (MNNATSTOP)12. Los niños y adolescentes trabajadores organizados promoviendo el

Protagonismo social de la infancia peruana”.

Ciò che maggiormente viene contestato è il fatto che, secondo i NATs, il Memorandum si burli dei diritti dei bambini e adolescenti, in quanto al momento della firma non è mai stata presa in considerazione l'idea di chiedere ai NATs di esprimere la propria opinione al riguardo13, andando

contro a ciò che si afferma nella Convenzione sui Diritti dell'Infanzia riguardo la necessità di lasciare che i fanciulli possano esprimere la propria opinione nelle questioni che li riguardano direttamente.

I NATs contestano il fatto che le due Convenzioni ILO siano state ratificate senza tenere in conto delle richieste e proposte fatte dai Movimenti di bambini e adolescenti lavoratori, e concludono così: “Señores de la OIT14, les recordamos que la Convención nos reconoce como personas, como sujetos de derechos, por lo tanto como actores, como creadores y protagonistas del cumplimiento de nuestros derechos (Art.6)” .

Ironicamente, sempre nello stesso documento, i NATs chiedono all'ILO come possa pensare di riuscire a risolvere il problema del lavoro infantile se ancora non è riuscito a risolvere i problemi lavorativi dei loro padri.

Nel 1998 l'ILO adotta la Dichiarazione sui Principi e i Diritti Fondamentali nel Lavoro, inserendo nell'elenco dei quattro diritti fondamentali l'abolizione effettiva del lavoro minorile,

12 Movimiento Nacional de NATs Organizados del Perù. Si tratta di un movimento che comprende tutte le associazioni e movimenti di NATs presenti in Perù.

13 ¿ piensan que nosotros los niñ@s, por ser niñ@s, somos menos humanos?

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insieme alla libertà di associazione e diritto di contrattazione collettiva, l'eliminazione da ogni forma di lavoro forzato e l'eliminazione della discriminazione nell'accesso al lavoro.

La Dichiarazione prevede un Rapporto Globale Annuale sulla situazione mondiale in relazione ai quattro principi. Ogni anno viene esaminato solamente uno dei quattro principi, e il 2002 è stato l'anno del lavoro minorile. Il Rapporto prodotto prende il nome di “A future without child labour” e mette in luce come il lavoro minorile sia ancora diffusissimo in tutto il mondo (nessun paese escluso, neanche quelli cosiddetti “sviluppati”) e soprattutto come un bambino ogni otto -di età compresa tra i 5 e i 17 anni- sia tuttora esposto alle forme peggiori di lavoro.

Nel 1999, la Convenzione dell’ILO n°182 sulle peggiori forme di lavoro minorile15 (con la

relativa Raccomandazione n°190) definisce e regolamenta le “Forme più gravi di sfruttamento minorile”.

Questa Convenzione non sostituisce la precedente del 1973, anzi la completa ribadendo che continua ad essere un importante strumento per l'eliminazione del lavoro minorile.

Nel Preambolo si mette in evidenza come l'effettiva eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile richieda un'azione onnicomprensiva e immediata, che tenga conto dell'importanza dell'educazione di base gratuita e della necessità di sottrarre a tutte queste forme di lavoro i minori e di provvedere alla loro riabilitazione e reinserimento sociale, tenendo presenti anche i bisogni delle famiglie. Viene riconosciuta la povertà come concausa del lavoro minorile e si individua una soluzione a lungo termine in una crescita economica sostenuta che conduca al progresso sociale, attraverso l'alleviamento della povertà e l'istruzione universale. Rendendosi conto dell'enormità del fenomeno “lavoro minorile” e della difficoltà nello sradicarlo, l'ILO decide di prefiggersi come obiettivo principale (almeno) l'eliminazione delle peggiori forme di lavoro infantile, che potremmo chiamare “sfruttamento del lavoro infantile”.

Per tutti gli individui al di sotto dei 18 anni (all'articolo 1 viene data la definizione di “minore”) viene stabilito il divieto di svolgere lavori che rientrano tra le forme più gravi di lavoro minorile (articolo 3):

a) tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti e l'asservimento, il lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati; b) l'impiego, l'ingaggio o l'offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici;

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c) l'impiego, l'ingaggio o l'offerta del minore ai fini di attività illecite, quali, in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono definiti dai trattati internazionali pertinenti;

d) qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore.

L'articolo 3 lettera d viene ulteriormente specificato nella Raccomandazione n°190 all'articolo 3. Vengono infatti elencati lavori che espongono i minori ad abusi fisici, psicologici o sessuali; i lavori svolti sotto terra, sott'acqua, ad altezze pericolose o in spazi ristretti; i lavori che implicano l'uso di macchinari, attrezzature e utensili pericolosi o il trasporto di carichi eccessivamente pesanti; i lavori svolti in ambienti insalubri; i lavori svolti in condizioni particolarmente difficili, con orari troppo lunghi o notturni o che costringano il bambino e/o l'adolescente a rimanere senza motivo valido presso i locali del datore di lavoro. Tali tipi di lavoro potrebbero, previa consultazione, essere permessi ai ragazzi a partire dai 16 anni, a patto che la loro salute, sicurezza e moralità vengano adeguatamente tutelate e che i ragazzi in questione abbiano ricevuto preventivamente un'istruzione specifica adeguata o una seria formazione professionale nel settore dell'attività svolta.

Lo sfruttamento del lavoro minorile ha infatti serie conseguenze non solo sulla salute e sullo sviluppo dei bambini, ma anche effetti psicologici che ne possono segnare tutta la vita. La vulnerabilità dei bambini li pone a rischio di incidenti e di malattie professionali più di un adulto che svolga lo stesso lavoro. I minori che lavorano possono essere esposti a prodotti nocivi (es. pesticidi e diserbanti in agricoltura); difficilmente i bambini hanno sufficienti conoscenze per maneggiare sostanze pericolose né sufficiente potere contrattuale per rifiutare determinate attività.; l'essere costretti a turni di lavoro troppo lunghi provoca cali dell'attenzione aumentando la possibilità di provocare o rimanere coinvolti in incidenti. La casistica degli incidenti è molto vasta e comprende amputazioni, ustioni, malattie della pelle, diminuzione della vista o dell'udito, malattie respiratorie, gastrointestinali, arrivando anche a invalidità permanenti. Inoltre molti lavori costringono i minori in posizioni innaturali protratte nel tempo o a prolungati sforzi fisici non adatti alla giovane età del soggetto, causando danni irreversibili in un corpo ancora in crescita.

L'articolo 12 della Raccomandazione definisce alcune forme di sfruttamento minorile come “crimine”, estraendole quindi dalla più generica definizione di lavoro minorile.

Si chiede dunque ai Membri di considerare crimini:

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● l'impiego di minori nel campo della prostituzione e della produzione di materiale pedo

pornografico

● l'impiego, l'ingaggio o l'offerta di minori in attività illecite quali la produzione e/o il traffico

di sostanze stupefacenti, o attività che comportino il trasporto o l'uso illeciti di armi (da fuoco e no).

Gli articoli 6, 7 e 8 mettono in evidenza gli obblighi in capo ai Membri, che corrispondono alla definizione e attuazione di programmi d'azione, da farsi in consultazione con le istituzioni pubbliche competenti e le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori (e all'occorrenza con gli altri gruppi interessati) volti ad eliminare come prima cosa le peggiori forme di lavoro minorile. All'eliminazione del lavoro minorile si arriva tramite efficaci provvedimenti con definite scadenze al fine di impedire che i minori partecipino alle forme peggiori di lavoro. E' fondamentale fornire la necessaria assistenza per il reinserimento dei minori sottratti alle peggiori forme di lavoro, individuare i minori esposti a particolari rischi e tenere conto della particolare situazione delle bambine e delle adolescenti.

A proposito dei programmi d'azione, la Raccomandazione n°190 precisa che devono essere progettati “prendendo in considerazione le opinioni dei minori direttamente colpiti dalle forme

peggiori di lavoro minorile”. Si riconosce quindi, almeno in teoria, al minore una capacità

decisionale e di giudizio riguardo la propria situazione personale e lavorativa.

Sia la Convenzione che la relativa Raccomandazione chiedono ai Membri di provvedere alla promulgazione di provvedimenti di natura penale, civile o amministrativa che appoggino e sostengano la lotta contro le forme peggiori di lavoro minorile.

Il Perù ha ratificato la Convenzione 182 il 10 gennaio 2002, mediante il D.S. N° 087-2001- RE.

1.4 I Vertici Iberoamericani dei Capi di Stato e di Governo e le

Conferenze Iberoamericane dei Ministri e Alti Responsabili

dell'Infanzia e dell'Adolescenza

I Paesi che partecipano ai Vertici Iberoamericani sono: Andorra, Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Cile, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Portogallo, Spagna, Uruguay e Venezuela.

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I Vertici finora tenutesi sono 17 e si sono svolti:

● 1991, nella città di Guadalajara, Messico ● 1992, nella città di Madrid, Spagna ● 1993, nella città di Salvador, Brasile

● 1994, nella città di Cartagena de las Indias, Colombia ● 1995, nella città di San Carlos de Bariloche, Argentina ● 1996, nelle città di Santiago del Cile e di Vina del Mar, Cile ● 1997, nell'isola di Margarita, Venezuela

● 1998, nella città di Oporto, Portogallo ● 1999, nella città di La Avana, Cuba ● 2000, nella città di Panama, Panama ● 2001, nella città di Lima, Perù

● 2002, nella città di Bavaro, Repubblica Dominicana ● 2003, nella città di Santa Cruz de la Sierra, Bolivia ● 2004, nella città di San Josè, Costa Rica

● 2005, nella città di Salamanca, Spagna ● 2006, nella città di Montevideo, Uruguay ● 2007, nella città di Santiago del Cile, Cile.

L'obiettivo di tali Vertici è quello di aumentare e promuovere lo sviluppo e la cooperazione tra i Paesi Iberoamericani. Ogni Vertice termina con una Dichiarazione che prende il nome dalla città in cui si è svolto il Vertice.

Particolare attenzione viene prestata ai temi dell'infanzia e dell'adolescenza; per quanto riguarda il lavoro minorile esso non viene esplicitamente trattato prima del Vertice di Panama (2000), anche se già nel 1991 i Governanti si impegnano nella formulazioni di Piani Nazionali d'Azione a favore dei diritti dell'Infanzia. Anche se indirettamente si comincia a parlare di eliminazione e sradicamento del lavoro minorile, attraverso la promozione di una maggiore istruzione per tutti (genitori compresi) e il miglioramento delle condizioni dei genitori, che in tal modo eviterebbero di ricorrere al lavoro dei figli.

Nella Dichiarazione di Panama, dal titolo “Infancia y adolescencia: un nuevo proyecto para un

nuevo siglo” , si parte dal presupposto che è necessario dedicare speciali attenzioni all'infanzia e

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democrazia, l'equità e la giustizia sociale. Gli Stati partecipanti si impegnano affinché, al più tardi nel 2015, tutti i bambini delle regioni Iberoamericane possano godere di una educazione precoce ed elementare gratuita e obbligatoria, basata sui principi della non discriminazione, equità, pertinenza, qualità ed efficacia. Per questo vengono avanzate diverse proposte, quali la creazione di programmi di incentivi (es. borse di studio) che permettano alle famiglie più povere di far studiare i propri figli, sviluppare programmi di sicurezza alimentare, sviluppare strategie e programmi nazionali per bambini e adolescenti che si trovano in condizioni avverse (orfani, bambini abbandonati, bambini lavoratori, bambini di strada), diffondere l'informazione sulle politiche di adozione e le campagne a favore dei bambini lavoratori o che vivono nella strada. Viene inoltre riconosciuto che la povertà e le sue cause hanno come conseguenza l'ingresso precoce nel mondo del lavoro, una vita per la strada, la delinquenza e lo sfruttamento economico, sessuale, etc... .

A questo proposito i Governi si impegnano ad attaccare le cause che generano questa situazione e a stimolare i paesi non ancora firmatari ad aderire ai diversi strumenti internazionali sull'eliminazione delle peggiori forme di lavoro infantile, sull'età minima, sulla protezione dei bambini e cooperazione in materia di adozione, sulla sottrazione di minori, sullo sfruttamento sessuale di minori, sul traffico d'organi, sull'arruolamento dei minori, etc... .

Anche nel successivo Vertice, quello di Lima, viene riaffermata l'importanza fondamentale dei bambini e degli adolescenti come soggetti di diritti all'interno delle società, e la necessità di appositi programmi e iniziative per tale fascia della popolazione.

Nella Dichiarazione di San Josè (2004) viene riaffermata la necessità di investire fondi nell'educazione (specialmente dei bambini e adolescenti facenti parte di categorie disagiate) e nello sradicamento del lavoro infantile.

In quella successiva (Salamanca) si fa invece riferimento alla costituzione di un Piano di Cooperazione e Integrazione della Gioventù, ad opera della OIJ (Organizaciòn Iberoamericana de Juventud) per assicurare e promuovere i diritti dei giovani e considerare il “trabajo decente” come diritto umano.

I Vertici sono sempre preceduti da una serie di Conferenze Iberoamericane nelle quali si affrontano temi specifici come l'educazione, la salute, l'ambiente, l'infanzia e l'adolescenza, e altri.

A queste conferenze partecipano i Ministri e gli Alti Responsabili di ogni settore.

La prima conferenza sui temi dell'infanzia si è tenuta nel 1999 a La Avana e ha il grande pregio di aver reintrodotto il tema dell'infanzia all'interno dell'agenda iberoamericana.

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Nella II Conferenza (Panama) viene realizzato un bilancio della situazione dell'infanzia e ci si accorda su una serie di compromessi comuni. Si calcola che nella regione iberoamericana 18-20 milioni di bambini e adolescenti minori di 15 anni siano vittime di sfruttamento economico o svolgono un lavoro. Ci si impegna quindi a varare campagne volte all'eliminazione del lavoro infantile, in accordo con quanto previsto dalle Convenzioni ILO 138 e 182, e a “rivitalizzare” la partecipazione al programma IPEC.

La III Conferenza tenutasi nel 2001 a Lima (Perù) ha portato all'approvazione dell'Agenda

Iberoamericana per l'Infanzia e l'Adolescenza e al suo Piano d'Azione che propone 18 mete da

raggiungere e 89 azioni strategiche, con l'intenzione di migliorare la qualità della vita, ritenuta insoddisfacente, dei bambini e degli adolescenti della regione.

Le mete e le azioni proposte cercano di intaccare le cause strutturali dei problemi che minacciano i diritti dei fanciulli e contribuiscono a perpetuare la povertà e la disuguaglianza.

La meta 13 è interamente dedicata all'eliminazione del lavoro infantile partendo dall'eliminazione delle forme peggiori di lavoro. Le azioni strategiche proposte sono cinque:

● sviluppo di politiche, piani e programmi per lo sradicamento del lavoro infantile e

l'eliminazione immediata delle peggiori forme di lavoro infantile, in conformità con la ratifica delle Convenzioni ILO 138 e 182, e applicando le misure idonee attraverso piani d'azione che si prefiggano mete specifiche

● rispettare gli accordi internazionali e le leggi nazionali sul lavoro infantile, in particolare le

Convenzioni ILO 138 e 182, che proibiscono la schiavitù, la vendita e la tratta di minori, la servitù per debiti e il lavoro forzato, l'arruolamento di bambini per partecipare a conflitti armati, prostituzione, pornografia e traffico di droga

● stabilire per tutti i paesi che lo ritengano necessario una apposita legislazione che

regolamenti il lavoro degli adolescenti in base all'età minima, garantendone i diritti lavorativi e salvaguardando l'assistenza alle lezioni scolastiche, attraverso la promozione di orari flessibili, programmi educativi di qualità pertinenti e compatibili con l'aspirazione di universalizzare l'educazione secondaria

● rafforzare e ampliare in ogni paese i servizi di ispezione lavorativa, con particolare

attenzione alle occupazioni pericolose o espressamente definite in ogni legislazione nazionale, svolte da bambini e adolescenti, nel settore formale o informale

Figura

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