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Sviluppo di un software di riscostruzione dell'impulso per la caratterizzazione di impulsi laser ultracorti di alta potenza

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1

Università di Pisa

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e

Naturali

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Anno accademico 2013/1014

Elaborato Finale

Sviluppo di un software di riscostruzione e

caratterizzazione di impulsi laser ultracorti di alta

potenza

Candidato

Mario Galletti Relatori

Matricola n° Prof. Danilo Giulietti

438141

(2)
(3)

3

1

Abstract

1

2

Introduzione

3

Sistemi laser ad impulsi ultracorti 3

2.1.1 Impulsi laser sempre più corti: dalla generazione libera al mode-locking

amplificato 5

2.1.2 Chirped Pulse Amplification 7

Problematica relativa alla misura degli impulsi ultracorti 10

3

Breve trattazione teorica di impulsi laser ultracorti

15

4

Ottica non-lineare alla base delle diagnostiche utilizzate per la

caratterizzazione di impulsi ultracorti

25

5

Trattazione dei metodi utilizzati per la misura degli impulsi

39

Autocorrelazione e Spettro 39

FROG 43

6

GRating-Eliminated No-nonsense Observation of Ultrafast

Incident Laser Light E-fields

(GRENOUILLE)

55

7

Algoritmo di ricostruzione di un impulso laser sulla base dei dati

forniti da GRENOUILLE

63

8

Calibrazione della scala temporale e spettrale nelle immagini

GRENOUILLE

77

Calibrazione temporale 80

Calibrazione spettrale 83

(4)

4

10

Descrizione dell’apparato sperimentale

105

Autocorrelatore a singolo impulso 105

Set-up sperimentale in Target Area PetaWatt (TAP) 110

11

Presentazione e Elaborazione dei dati sperimentali

119

12

Conclusioni e prospettive

131

(5)

5

1.

Abstract

La caratterizzazione degli impulsi laser ultracorti ed in particolare la misura della loro durata è sempre stata una “sfida” affascinante. Tuttavia le difficoltà che si presentano sono molteplici: la ricerca di un evento più breve da usare come termine di paragone, effetti non-lineari causati dallo stesso impulso, complessità del set-up sperimentale necessario per effettuare le misure.

Nel caso degli impulsi laser ultracorti (scala dei femtosecondi), essendo difficilmente disponibile un impulso “paragone” più corto, è l’impulso stesso a fungere anche da “paragone”.

Una delle tecniche più promettenti nel campo della caratterizzazione degli impulsi laser ultracorti è GRENOUILLE (Grating-eliminated no-nonsense observation of

ultrafast incident laser light e-fields), che risulta essere più efficace rispetto ad altre tecniche come l’autocorrelazione e l’autocorrelazione interferometrica, che non portano fra l’altro alla caratterizzazione completa dell’impulso laser. Inoltre GRENOUILLE è più semplice da realizzare rispetto ad altri metodi di misura completa dei parametri intensità e fase dell’impulso, come FROG

(Frequency-resolved optical gating).

GRENOUILLE si basa sulla precedente tecnica FROG rispetto alla quale la configurazione sperimentale prevede importanti semplificazioni grazie all’impiego di un biprisma di Fresnel ed un cristallo spesso per la Generazione di Seconda Armonica. Quest’ultima innovazione consente fra l’altro di aumentare considerevolmente il segnale di Seconda Armonica alla base della misura.

Il risultato di una misura GRENOUILLE consiste in uno spettrogramma, cioè in una traccia bidimensionale in cui sull’asse verticale è riportato lo spettro della radiazione laser in funzione del tempo (asse orizzontale).

In questo lavoro di tesi si presenta lo sviluppo di un software di analisi per dati acquisiti da un apparato GRENOUILLE ed il relativo confronto con i dati ottenuti da un autocorrelatore.

La diagnostica innovativa è basata sull’acquisizione della traccia GRENOUILLE, a cui viene sottratto il background e calibrata prima di essere inserita nel programma di analisi. In un secondo momento, la traccia GRENOUILLE viene paragonata con una traccia “ricostruita” sulla base di parametri di un impulso “arbitrario” simile a quello sperimentale ipotizzato. Usando quindi un algoritmo di minimizzazione si varia l’impulso “arbitrario” così da minimizzare la funzione “distanza” tra le due immagini (𝝌𝟐) e ottenere finalmente la “forma” dell’impulso laser preso in esame.

Il software di analisi delle tracce GRENOUILLE è stato testato su immagini sperimentali acquisite da impulsi laser ultracorti disponibili presso la Central Laser

Facility (CLF) del Science and Tecnology Facility Council (STFC) presso il Rutherford

Appleton Laboratory (UK).

L’attività di tesi è consistita essenzialmente di due parti. Lo sviluppo del programma di analisi delle immagini GRENOUILLE è stato portato avanti presso il Dipartimento di Fisica dell’Universita di Pisa all’interno di una collaborazione scientifica tra il Prof. Danilo Giulietti ed il Dr. Marco Galimberti del CLF, STFC. La

(6)

6 parte sperimentale è stata invece condotta presso la Central Laser Facility del RAL, sotto la guida del Dr. Galimberti. Essa è consistita nella realizzazione di un autocorrelatore, che è stato successivamente usato per il confronto tra i risultati della misura della durata di impulsi ultracorti ottenuti con quest’ultimo (tecnica convenzionale) e con la tecnica GRENOUILLE. Questo lavoro di tesi ha mostrato come sia possibile impiegare questa tecnica innovativa su un sistema laser di grande potenza come VULCAN, che consente tramite una successiva analisi delle tracce (metodo del minimo sviluppato) di ottenere una completa e ottimale caratterizzazione dell’impulso laser ultracorto. Una caratteristica del metodo sviluppato consiste nella possibilità di integrarlo con ulteriori informazioni provenienti da altre diagnostiche, aumentando così l’accuratezza della caratterizzazione dell’impulso laser preso in esame.

(7)

7

2.

Introduzione

2.1

Sistemi laser ad impulsi ultracorti

I sistemi laser hanno delle caratteristiche ben precise (numero di modi, monocromaticità, potenza, durata dell’impulso, ecc.) in base alle quali possono essere classificati.

Rispetto alla durata temporale della radiazione emessa i sistemi laser si possono suddividere in due categorie:

o Laser in continua; o Laser impulsati. In base al numero di modi:

o Laser monomodo, caratterizzati da un’alta monocromaticità e grado di coerenza;

o Laser multimodo longitudinale:

 Laser in continua, caratterizzati da un’intensità di emissione che varia attorno a un valore medio;

 Laser impulsati, caratterizzati dall’interferenza tra i vari modi coesistenti in cavità, che può produrre un’emissione a spikes ovvero un treno di impulsi “giganti”, nel caso in cui la differenza di fase tra due modi successivi sia costante.

La realizzazione di impulsi laser ultracorti passa per un’intelligente utilizzo dei sistemi laser impulsati multimodo. Tuttavia, il problema che si presenta nella realizzazione di questi laser è legato agli alti valori dell’intensità raggiunte, causa del danneggiamento dei materiali costituenti il set-up.

L’intensità deve rimanere al di sotto di un certo valore di soglia di rottura delle componenti ottiche utilizzate. In effetti, elevate intensità possono indurre indesiderati effetti non-lineari nei materiali, degradando la qualità del fascio a causa di instabilità che ne innalzano ulteriormente l’intensità (self focusing).

La svolta tecnologica che ha consentito di superare questi problemi si è avuta con l’avvento della cosiddetta Chirped Pulse Amplification (CPA). L’impulso proveniente da un oscillatore viene inizialmente allungato temporalmente mediante una prima coppia di reticoli di diffrazione, riducendo così il valore della potenza di picco di molti ordini di grandezza; successivamente l’impulso viene amplificato, pur mantenendolo al di sotto della soglia di rottura dei materiali;

(8)

8

infine si ripristina la durata dell’impulso iniziale comprimendolo, sottovuoto, tramite una seconda coppia di reticoli di diffrazione.

(9)

9

2.1.1

Impulsi sempre più corti:

dalla generazione libera al mode-locking amplificato

Inizialmente i sistemi laser ad impulsi corti a disposizione erano quelli il cui mezzo attivo era irraggiato da un flash (durata dell’ordine del 𝜇𝑠).

L’emissione laser, in questo caso, non è continua nell’intervallo temporale in cui agisce il flash, ma è costituita da una serie di sub-impulsi (struttura a spikes) di durata minore (dell’ordine del 𝑛𝑠 o anche più corti).

In questa configurazione esiste una competizione continua tra l’emissione stimolata e l’inversione di popolazione. Nel momento in cui l’inversione di popalazione supera il valore di soglia per l’effetto laser si ha emissione di radiazione; questa emissione, riducendo il livello d’inversione di popolazione, riporta il sistema sotto soglia con conseguente interruzione di emissione di radiazione. Durante l’azione del pompaggio queste due condizioni si alternano più volte, facendo sì che il laser emetta un treno di impulsi, la cui intensità varia nel tempo seguendo quella della radiazione di pompa. Le potenze ottenute in questa modalità di funzionamento di un sistema laser impulsato (generazione libera [1]), risultano essere dell’ordine di centinaia di 𝑘𝑊.

Inseguendo l’obiettivo di una sempre maggiore potenza fornita da un sistema laser impulsato, agli inizi degli anni ’60, fu introdotta una nuova tecnica basata sul controllo del fattore di merito di un oscillatore laser, tramite l’inserimento in cavità di un elemento elettro-ottico che induce una perdita controllata.

Quest’ultimo consiste in una cella di Pockels, che, tramite il controllo elettronico della birifrangenza artificiale di un opportuno cristallo, è in grado di inibire le oscillazioni laser in cavità, consentendo, attraverso l’innalzamento della soglia di attivazione del processo laser, il raggiungimento di valori estremamente alti del livello d’inversione di popolazione. Una volta ripristinato l’alto valore del fattore di merito della cavità si creano le condizioni per l’emissione di impulso gigante che, spopolando completamente il livello superiore su cui opera il sistema laser, impedisce una successiva inversione di popolazione, operata dalla coda del flash di pompa, che consenta di superare nuovamente la soglia di emissione. Questo modo di operare il laser (Q-switching [1]) consente di ottenere impulsi della durata di 𝜏𝑐 ~ 10 − 100 𝑛𝑠 e potenze dell’ordine di centinaia di 𝑀𝑊.

Successivamente venne realizzata una tecnica per sviluppare maggiormente in potenza i sistemi laser (soprattutto impulsati), ma allo stesso tempo mantenendo una buona qualità del fascio, breve lunghezza temporale, eccellente stabilità e buon controllo del fascio. Si pensò di generare un input stabile da un oscillatore ben controllato e di amplificare quest’ultimo tramite una catena di amplificatori, dispositivo conosciuto come Master-Oscillator-Power-Amplifier (MOPA)[3].

Il segnale in uscita è molto più stabile rispetto al caso in cui si utilizzi il solo singolo oscillatore portato a lavorare ad alta potenza; tuttavia si presentano anche nuove problematiche come le difficoltà nell’ottenere la piena potenza, il rumore nell’impulso d’uscita e la limitazione sulla potenza a causa della dissipazione del calore.

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10

Considerando il modo di operare Q-Switching, si pensò di sfruttare il caratteristico andamento dell’impulso gigante costituito da una successione caotica di spikes (della durata del 𝑝𝑠). In effetti, con l’introduzione in cavità di un cristallo il cui indice di rifrazione viene modulato da una Radio-Frequenza, è possibile far sì che la differenza di fase fra due modi longitudinali adiacenti sia costante. In questo modo si realizza una sorta d’interferenza nel tempo dei modi coesistenti in cavità (N), che produce un treno di impulsi giganti la cui massima ampiezza risulta fino ad N volte quella del

Q-Switching originario. È possibile selezionare il più intenso degli impulsi così prodotti tramite l’opportuno uso di una cella di Pockels.

Questo ulteriore modo di operare un sistema laser impulsato (Mode-Locking [1])

consente di raggiungere potenze di svariate decine di GW, che, date le dimensioni delle usuali componenti ottiche costituenti il sistema laser, portano ad intensità pericolosamente vicine alle loro soglie di danneggiamento. Ciò impedì di fatto di aumentare ulteriormente i massimi valori di potenza forniti da un sistema laser impulsato, a meno di non voler utilizzare componenti dalle dimensioni trasversali talmente grandi da renderle non praticabili dal punto di vista realizzativo ed economico.

In FIG.1 è riportata l’evoluzione nel tempo della minima durata degli impulsi laser.

(11)

11

2.1.2

Chirped Pulse Amplification

L’introduzione della tecnica CPA [7] ha permesso una svolta nella produzione di impulsi laser ultracorti ad alta potenza (dell’ordine del PW), attraverso l’amplificazione degli stessi che porta la loro energia a valori in precedenza raggiungibili solo da impulsi più lunghi (ns).

La tecnica CPA fu realizzata nel 1960, in un primo momento per risolvere un altro problema riguardante le limitazioni in potenza dei radar.

Nel 1985 si realizzò, grazie a un gruppo di ricerca dell’Universita di Rochester, che la tecnica del CPA poteva essere applicata, con altrettanti benefici, a problemi ottici e con conseguenze rivoluzionarie per gli impulsi ultracorti e le loro applicazioni.

L’idea base della tecnica, considerate le limitazioni che si hanno nella propagazione degli impulsi ultracorti, è di modificare gli impulsi in maniera controllata e reversibile in modo che nell’amplificatore non si propaghino impulsi ultracorti, ma lunghi. Nei sistemi laser ad altissima potenza vengono preferenzialmente impiegate componenti ottiche che lavorano in riflessione (specchi, reticoli di diffrazione in riflessione, ecc.), le quali sono caratterizzate da una più alta intensità di soglia di danneggiamento rispetto alle componenti che lavorano in trasmissione (lenti,prismi, ecc.).

Il set-up utilizzato per raggirare il problema dei danni all’amplificatore e raggiungere potenze molto elevate con impulsi laser ultracorti, è costituito da una prima coppia di reticoli che allarga l’impulso temporalmente di un fattore 103− 105 (stretcher), la

catena di amplificazione ed infine una seconda coppia di reticoli di diffrazione che riporta l’impulso alla durata originale (compressor); vedi FIG.2.

(12)

12

Esistono molte implementazioni di stretcher e compressori, le quali tutte hanno in comune l’uso della dispersione.

Quella più comunemente usata per i laser di alta potenza utilizza reticoli di diffrazione, le cui superfici per potenze superiori al PetaWatt possono raggiungere aperture di 1 𝑚2; a causa di questa manipolazione il fascio d’uscita presenta delle distorsioni,

relative sia all’intensità che alla fase, che non consentono una corretta ricompressione limitando la massima potenza ottenibile.

Per tenere sotto controllo e ridurre gli effetti di queste distorsioni sono state sviluppate delle opportune tecniche diagnostiche e di manipolazione correttiva (pulse-shaping, adaptive optics, ecc.).

La tecnica CPA consente di ottenere, con apparati di ridotte dimensioni e costi (FIG.3), impulsi della durata di poche decine di fs con potenze che vanno ben oltre quelle trasportate da impulsi più lunghi (ns) come ad esempio quelli del più potente laser ai ns operante presso il Lawrence Livermore National Laboratory (FIG.4).

(13)

13 FIG.4 Il laser ai ns da 500 TW del Lawrence Livermore National Laboratory.

Gli impulsi CPA sono utilizzati in applicazioni in cui si richiede alta potenza e alte intensità nella regione focale.

Questa tecnica può essere usata in numerose applicazioni nel campo medico, industriale, energetico e della sicurezza.

Nell’ambito della ricerca di base le applicazioni più rilevanti sono quelle che riguardano lo sviluppo d’impulsi agli atto-secondi per lo studio di processi ultraveloci e le nuove tecniche di accelerazione di particelle cariche basate sugli enormi campi elettrici prodotti dalla propagazione di impulsi laser ultraintensi in un plasma (Laser

Wakefield Acceleration).

(14)

14

2.2

Problematica relativa alla misura degli impulsi

ultracorti

La misura di un evento nel tempo implica l’uso di uno più breve (o almeno di durata comparabile) da utilizzare come termine di paragone. Il termine di paragone più breve dell’evento da caratterizzare, chiamato funzione di gate, serve a “congelare” l’azione dell’evento che si cerca di misurare.

FIG.5 Esempio di azione “congelata”.

Quando non si ha a disposizione un impulso più corto di quello di interesse non resta altro da fare che utilizzare l’impulso stesso come gate.

In effetti, nel 1991 D. Kane e di R. Trebino svilupparono una tecnica (FROG), con la quale si può misurare l’intensità e la fase, dipendenti dal tempo e dalla frequenza, di impulsi ultracorti.

(15)

15

La tecnica è risultata rigorosa, generale e affidabile grazie alla capacità di realizzare misure dell’impulso nel dominio tempo-frequenza in analogia a quanto avviene in uno spartito musicale (2D phase-retrieval problem [10]).

L’interesse nella determinazione della durata di un impulso laser ultracorto risiede nel fatto che, usato come sonda, esso consente di studiare innumerevoli fenomeni:

- Biologici: fotosintesi, ripiegamento proteico, ecc;

- Chimici: vibrazioni molecolari, orientazioni, collisioni nei liquidi, ecc; - Fisici: vita media di stati eccitati (FIG.6), foto-ionizzazione, ecc; - Ingegneristici: risposte dei detector, elettronica, ecc;

FIG.6 Salti quantici ed emissione di radiazione.

La caratterizzazione completa dell’impulso laser è anch’essa essenziale nello studio di

alcuni fenomeni fisici:

- Il processo di foto-dissociazione è più efficiente nel caso di un impulso chirped, caratterizzato cioè da una variazione di frequenza nel tempo;

- I fenomeni non-lineari (self-focusing, self-phase modulation, ecc.) che determinano l’alterazione di un fascio laser;

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- La produzione di impulsi ancora più corti, consentita dalla comprensione dell’origine delle distorsioni osservate sull’impulso;

- La rivelazione delle alterazioni dei parametri di un impulso ultracorto al passaggio attraverso un materiale per desumerne le sue caratteristiche strutturali.

(17)

17

Bibliografia

[1] O.Svelto, Principles of Lasers, Springer (2010)

[2] G. Steinmeyer: “A review of ultrafast optics and optoelectronics”, J. Opt. A: Pure Appl. Opt. 5 (2003)

[3] Siegman A. E. Lasers, Mill Valley, CA: University Science Book [4] D. Strickland, G. Mourou: “Compression of amplified chirped

optical pulses”, Opt. Commun. 56, 219 (1985)

[5] M. D. Perry et al: “Petawatt laser pulses”, Opt. Lett. 24, 160-162 (1999)

[6] A. Dubietis, G. Jonusauskas, A. Piskarskas: “Powerful femtosecond pulse generation by chirped and stretched pulse parametric amplification in BBO crystal”, Opt. Commun. 88, 437–440 (1992) [7] I. Jovanovic et al.: “Optical parametric chirped pulse amplifier as an

alternative to Ti:Sapphire regenerative amplifiers”, Appl. Opt. 41, 2923 (2002)

[8] C. Hernandez-Gomez et al.: “The Vulcan 10 PW Project”, J. of Physics: Conf. Series 244, 032006 (2010)

[9] D. Giulietti, “The particle laser plasma acceleration in Italy”, J. of Physics: Conf. Series 508, 012001 (2014)

[10] R.Trebino, Frequency-Resolved Optical Gating: The measurement of Ultrashort Laser Pulses, Springer (2012)

[11] F.X. Kaertner, E.P. Ippen and S.T. Cundiff, "Femtosecond Laser Development", Chap.2, Femtosecond Optical Frequency Comb Technology: Principles, Operation and Applications, J. Ye and S.T. Cundiff, Springer Verlag, 2004.

(18)
(19)

19

3.

Breve trattazione teorica di impulsi laser

ultracorti

La trattazione teorica degli impulsi ultracorti può essere molto complicata. L’espressione generale del campo elettrico

𝜺(𝒙, 𝒚, 𝒛, 𝒕) = 𝜺(𝒓⃗ , 𝒕)

può avere una dipendenza complessa sia rispetto al tempo che allo spazio.

La ricerca di una presentazione semplice degli argomenti induce ad usare svariate approssimazioni riguardo al campo elettrico che descrive l’impulso.

Una delle prime approssimazioni che si possono fare è l’approssimazione scalare, che permette di considerare il campo polarizzato linearmente, così da utilizzare solamente una componente. Inoltre essendo che generalmente gli impulsi ultracorti sono abbastanza “lisci” (TEM00) spazialmente, l’espressione del campo elettrico si può fattorizzare in una parte dipendente dalle coordinate spaziali e una da quelli temporali [1]. A questo punto essendo che l’interesse della caratterizzazione ricade solamente sulle caratteristiche temporali dell’impulso, si può approssimare il campo elettrico trascurando la parte dipendente dallo spazio.

Alla luce di queste prime due approssimazioni gli impulsi ultracorti sono descritti da un campo risultante dal prodotto di una componente veloce, onda sinusoidale di pochi cicli, per una componente lenta, funzione inviluppo (Eq.1).

𝜺(𝒕) =𝟏

𝟐√𝑰(𝒕)𝒆

𝒊(𝒘𝟎𝒕−𝜱(𝒕)) + 𝒄. 𝒄. (1)

dove si indica con 𝒕 il tempo nel Sistema di Riferimento (S.d.R) dell’impulso, con 𝝎𝟎

(~1015 𝑠−1) la frequenza angolare portante, con 𝑰(𝒕) e 𝜱(𝒕) intensità e fase

dipendenti dal tempo.

L’espressione (1) può essere semplificata ulteriormente poichè essendo il fattore contenente la dipendenza da 𝝎𝟎 veloce rispetto a 𝑰(𝒕), 𝒆−𝒊𝜱(𝒕) (fattori lenti) può essere

trascurato.

Inoltre può essere applicata l’approssimazione di segnale analitico, cioè non considerare la parte coniugata del campo. Si raggiunge così una semplice espressione per il campo, chiamata ampiezza complessa dell’onda:

𝑬(𝒕) = √𝑰(𝒕)𝒆−𝒊𝜱(𝒕) (2)

Applicando il modulo quadro all’espressione (2) si ricava l’intensità : 𝑰(𝒕) = |𝑬(𝒕)|𝟐 (3)

(20)

20

In FIG.7 è riportato in funzione del tempo l’andamento del campo elettrico oscillante, la funzione inviluppo e la relativa intensità.

FIG.7 Campo elettrico, Intensita’, Ampiezza di un impulso gaussiano. La fase dell’impulso è zero (non graficata).

La definizione della fase risulta:

𝜱(𝒕) = −𝒂𝒓𝒄𝒕𝒂𝒏 (𝑹𝒆[𝑬(𝒕)]

𝑰𝒎[𝑬(𝒕)]) (4)

Le grandezze fin qui trattate hanno come dominio quello temporale.

Riportare le stesse nel dominio spettrale consiste nel fare la Trasformata di Fourier (TF) di quelle funzioni.

In questo modo il campo elettrico risulta:

𝜺̃(𝝎) = ∫ 𝜺(𝒕)𝒆−𝒊𝝎𝒕

∞ −∞

𝒅𝒕 (5) l’equazione (5) può essere riscritta nella forma:

(21)

21

dove si può individuare una fattore 𝑺(𝝎) che corrisponde allo spettro dell’impulso e un fattore 𝒆−𝒊𝝋(𝝎) relativo alla fase spettrale.

Tipicamente poichè 𝜺(𝒕) è espresso tramite una funzione reale, si ha per lo spettro e per la fase spettrale una struttura per frequenze positive e una per quelle negative, contenenti entrambe le stesse informazioni.

Per questo motivo non si considera la struttura relativa alle frequenze negative, come mostrato in FIG.8.

FIG.8 Lo spettro (linea continua) e la fase spettrale (linea tratteggiata) corrispondenti rispettivamente all’impulso reale (grigio) e all’ampiezza complessa (nera). Nel riquadro rosso le strutture sia per lo spettro che per la fase a frequenze positive considerate.

Lo spettro e la fase spettrale, analogamente al dominio temporale, sono dati da: 𝑺(𝝎) = |𝜺̃(𝝎)|𝟐 (7)

𝝋(𝝎) = −𝒂𝒓𝒄𝒕𝒂𝒏 (𝑹𝒆[𝜺̃(𝝎)]

𝑰𝒎[𝜺̃(𝝎)]) (8)

Ricapitolando, il dominio temporale predilige la trattazione con un campo espresso tramite una funzione complessa, così che l’ampiezza sia priva di rapide oscillazioni mentre il dominio spettrale predilige la trattazione con un campo espresso tramite una funzione reale, che fornisce lo spettro centrato alla frequenza portante ma per la quale si trascurano le strutture relative alle frequenze negative.

Descritto l’impulso nei due domini, si introducono ora altre caratteristiche riguardanti gli impulsi ultracorti.

(22)

22

La frequenza angolare istantanea è definita:

𝝎𝒊𝒏𝒔𝒕(𝒕) = 𝝎𝟎 −𝒅𝜱(𝒕)

𝒅𝒕 (9)

da cui si può notare come la fase temporale contenga informazioni sulla frequenza rispetto al tempo.

Inoltre sviluppando la fase temporale in serie di Taylor nell’intorno di t=0 si ha: 𝜱(𝒕) = 𝜱𝟎 + 𝒕𝜱𝟏 + 𝒕𝟐𝜱𝟐

𝟐 + ⋯ (10)

da questo sviluppo al second’ordine non si riescono a trarre alcune informazioni sulle caratteristiche di impulsi non estremamente complessi.

Mentre la fase temporale dà informazioni su 𝝎𝒊𝒏𝒔𝒕(𝒕), la fase spettrale dà informazioni temporali in funzione della frequenza; si definisce così il Group Delay (GD) dato da:

𝒕𝒈𝒓𝒐𝒖𝒑(𝝎) =𝒅𝝋(𝝎)

𝒅𝝎 (11)

si fa notare che quest’espressione (11) non è l’inverso di 𝝎𝒊𝒏𝒔𝒕(𝒕), Eq. (9).

Analogamente si può sviluppare in serie di Taylor la fase spettrale: 𝝋(𝝎) = 𝝋𝟎 + (𝝎 − 𝝎𝟎)𝝋𝟏+ (𝝎 − 𝝎𝟎)𝟐𝝋𝟐

𝟐 + ⋯ (12)

Lo sviluppo in serie di Taylor della fase temporale e spettrale, permette lo studio delle caratteristiche dell’impulso ai vari ordini.

L’ordine zero è lo stesso in entrambi i domini e corrisponde a moltiplicare per una costante complessa il campo:

𝑬(𝒕)𝒆𝒊𝜱𝟎 𝑻𝑭→ 𝑬̃(𝝎)𝒆𝒊𝜱𝟎 = 𝑬̃(𝝎)𝒆𝒊𝝋𝟎

Questo termine viene chiamato fase assoluta, ma in realta è una fase relativa dell’onda portante rispetto al picco dell’inviluppo dell’impulso.

Quest’ordine non è molto rilevante se l’impulso è lungo diversi cicli, infatti variazioni nella fase assoluta traslano l’onda portante a un valore leggermente diverso quindi si avrà una piccolissima variazione del campo (FIG.9).

(23)

23 FIG.9 Campo elettrico di due impulsi della durata di 10-fs nel vicino infrarosso con fasi assolute differenti.

Al contrario, quando abbiamo impulsi di pochi cicli si notano importanti differenze nel campo e la fase assoluta è determinante (FIG.10).

(24)

24 FIG.10 Campo elettrico di impulsi singolo ciclo nel vicino infrarosso con fasi assolute differenti.

Il primo ordine invece comporta una traslazione in entrambi i domini.

Un termine lineare spettrale porta a uno shift temporale nella sua trasformata di Fourier; questo è poco interessante in quanto non ci si cura del tempo di arrivo dell’impulso nel set-up.

Il termine lineare nel dominio temporale fornisce delle informazioni importanti in quanto ad esso corrisponde una traslazione spettrale misurabile mediante uno spettrometro (FIG.11).

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Il secondo ordine della fase temporale rappresenta una variazione lineare nelle frequenze (sostistuendo l’eq. (10) nella definizione (9)).

L’impulso con queste caratteristiche è detto linearly chirped (FIG.12 sx).

Una variazione quadratica nella fase temporale corrisponde a una variazione quadratica nella fase spettrale (FIG.12 dx e FIG.13).

Un esempio di questa tipologia si ottiene quando un impulso si propaga attraverso un materiale. In questo caso un impulso che abbia una frequenza costante nel tempo, all’uscita del materiale risulta linearly chirped positivo.

FIG.12 Impulso gaussiano da 20-fs con fase temporale quadratica, chirped linearmente (sx). Intensità, fase e frequenza istantanea dello stesso impulso rispetto al tempo (dx).

FIG.13 Lo spetto, la fase spettrale, il GD in funzione della frequenza, che mantengono gli stessi andamenti dei loro corrispettivi nel dominio temporale (tranne la fase con valori opposti).

Un impulso di radiazione, propagandosi attraverso un mezzo il cui indice di rifrazione dipende dalla frequenza, subisce delle distorsioni. La relativa componente spettrale

(26)

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del campo elettrico, all’uscita del mezzo di indice di rifrazione 𝒏(𝝎), coefficiente di assorbimento 𝜶(𝝎) e lunghezza L,

𝑬̃𝒐𝒖𝒕(𝝎) = 𝑬̃𝒊𝒏(𝝎) 𝒆−𝜶(𝝎)𝑳/𝟐 𝒆𝒊𝒏(𝝎)𝝎𝑳/𝒄 (13)

Si nota che l’assorbimento modifica lo spettro, restringendolo: 𝑺𝒐𝒖𝒕(𝝎) = 𝑺𝒊𝒏(𝝎) 𝒆−𝜶(𝝎)𝑳 (14)

mentre la dispersione del mezzo modifica la fase spettrale al secondo ordine: 𝝋𝒐𝒖𝒕(𝝎) = 𝝋𝒊𝒏(𝝎) + 𝒊𝒏(𝝎)𝝎𝑳

𝒄 (15)

Ordini superiori al secondo servono per descrivere impulsi ancora più complessi; essi vengono studiati nel dominio spettrale visto che lo spettro è facilmente rivelabile sperimentalmente.

L’ultima grandezza caratteristica molto importante, che torna utile definire, è il Time

Bandwidth Pulse (TBP).

Il TBP è nient’altro che il prodotto tra la larghezza temporale e quella spettrale di un impulso. Visto che il tempo di coerenza 𝝉𝒄 è legato alla durata della struttura temporale più piccola presente nell’impulso, e quindi all’inverso della sua larghezza di banda, si ha che

𝑻𝑩𝑷 = 𝝉

𝝉𝒄 (16)

ovvero il TBP fornisce una stima del numero di sub-strutture presenti nell’impulso. Il TBP può assumere valori da 0.1 a 1, il suo valore aumenta con il crescere della complessità dell’impulso.

(27)

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Bibliografia

[1] R.Trebino, Frequency-Resolved Optical Gating: The measurement of Ultrashort Laser Pulses, Springer (2012)

[2] Rulliere, c., ed. Femtosecond Laser Pulses: Principles and Experiments. 1998, Springer: Heidelberg.

[3] Kaiser, w., ed. Ultrashort Laser Pulses and Applications. Topics in Applied Physics. Vol. 60. 1988, Springer-Verlag: Berlin.

[4] Stark, H., ed.lmage Recovery: Theory and Application. 1987, Academic Press: Orlando.

[5] Cohen, L., Time-Frequency Analysis. 1995, Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall.

[6] G. Steinmeyer: “A review of ultrafast optics and optoelectronics”, J. Opt. A: Pure Appl. Opt. 5 (2003)

(28)
(29)

29

4.

Ottica

non-lineare

alla

base

delle

diagnostiche

utilizzate

per

la

caratterizzazione di impulse ultracorti

La caratteristica principale degli impulsi ultracorti è che tutta l’energia è concentrata in un piccolo intervallo temporale, questo comporta alti valori di potenza.

Ad esempio un impulso da 1 nJ in 100 fs, tipico di un laser TiSa, ha una potenza di 104 W e se focalizzato in 10 𝜇𝑚 consente di raggiungere un’intensità di 1010 𝑊

𝑐𝑚2.

Per ottica non-lineare si intende quel regime in cui l’equazione fondamentale dell’ottica non dipende più linearmente dai campi.

Questo avviene ad esempio quando ad intensità molto alte la costante dielettrica del mezzo dipende dall’intensità stessa.

I fenomeni non-lineari sono alla base delle principali diagnostiche utilizzate per caratterizzare gli impulsi laser. Fra questi svolge indubbiamente un ruolo centrale la Generazione della Seconda Armonica (SHG) della frequenza fondamentale del laser. L’equazione fondamentale dell’ottica è

𝝏 𝝏𝒛( 𝝏𝜺 𝝏𝒛) − 𝟏 𝒄𝟐 𝝏 𝝏𝒕( 𝝏𝜺 𝝏𝒕) = 𝝁𝟎 𝝏 𝝏𝒕( 𝝏𝑷 𝝏𝒕) (1)

dove con 𝝁𝟎 si è indicato la permeabilità magnetica nel vuoto, con c la velocità della luce nel vuoto, con P la polarizzazione indotta (che tiene conto della risposta del mezzo alla sollecitazione ricevuta) e con 𝜺 il campo elettrico (somma di quello in ingresso e quello dovuto alla risposta del mezzo).

La polarizzazione, a seconda del regime che si intende analizzare, include termini diversi.

Nel regine lineare, a basse intensità essa risulta 𝑷 = 𝝐𝟎𝝌(𝟏)𝜺 (2)

dove 𝝐𝟎 è la costante dielettrica nel vuoto, 𝝌(𝟏) la suscettività ed infine 𝜺 il campo

elettrico precedentemente definito.

Il campo elettrico di input fa oscillare i dipoli all’interno del mezzo alla sua stessa frequenza e a loro volta questi emettono un campo sempre alla medesima frequenza (FIG.14).

(30)

30 FIG.14 Molecola eccitata da un debole campo elettrico: la molecola oscilla alla frequenza del campo elettrico ed emette solamente quella frequenza.

In queste condizioni vale ancora il principio di sovrapposizione e i fasci di radiazione possono combinarsi senza che subiscano modifiche.

Nel regime non-lineare, in cui si entra per alte intensità, nella valutazione della polarizzazione devono essere presi in considerazione anche altri termini non-lineari:

𝑷 = 𝝐𝟎[𝝌(𝟏)𝜺 + 𝝌(𝟐)𝜺𝟐+ 𝝌(𝟑)𝜺𝟑+ ⋯ ] (3)

Le condizioni sono cambiate; in uscita si avrà un campo elettrico che contiene delle frequenze diverse da quella di input (FIG.15).

FIG.15 Molecola eccitata da un intenso campo elettrico: la molecola oscilla anarmonicamente ed emette oltre che la frequenza fontamentale anche quelle di ordine superiore.

Nel proseguio di questo paragrafo ci limiteremo a studiare le caratteristiche dell’impulso d’uscita derivanti dagli effetti non-lineari, limitandoci al solo termine del second’ordine ripotato nell’equazione (3).

(31)

31

Considerando in questo caso un campo elettrico dipendente soltanto dalla variabile temporale (cap. 3, Eq. (1) con fase nulla):

𝜺(𝒕) =𝟏

𝟐𝑬(𝒕)𝒆

𝒊𝝎𝒕+ 𝒄. 𝒄. (4)

ed elevando al quadrato l’Eq. (4):

𝜺𝟐(𝒕) = 𝟏 𝟒𝑬 𝟐(𝒕)𝒆𝒊𝟐𝝎𝒕 +𝟏 𝟒𝑬 ∗𝟐(𝒕)𝒆−𝒊𝟐𝝎𝒕+𝟏 𝟐|𝑬(𝒕)| 𝟐 (5)

si vede come per l’espressione della polarizzazione (Eq. (3)) compaiano termini dipendenti dal quadrato del campo elettrico che variano nel tempo con frequenza doppia rispetto alla fondamentale (FIG.16). Si osservi come sia presente anche un termine costante nel tempo (𝝎 = 𝟎), relativo al cosiddetto fenomeno di rettificazione ottica che, seppur importante, risulta molto debole.

FIG.16 Geometria relativa alla SHG collineare (sx) e quella relativa al caso non collineare (dx).

Le caratteristiche dell’impulso in output possono essere determinate più accuratamente se si prende in considerazione la sovrapposizione di due fasci

𝜺(𝒓, 𝒕) = 𝜺𝟏(𝒓, 𝒕) + 𝜺𝟐(𝒓, 𝒕) (6)

e se inoltre si considera anche il fattore dipendente dalla parte spaziale nell’Eq. (4), precedentemente soppresso.

Sempre considerando il second’ordine, saranno presenti sia termini già descritti precedentemente, che termini aggiuntivi che descrivono altri processi non-lineari adoperati nella caratterizzazione di impulsi ultracorti.

Quindi sviluppando il quadrato dell’equazione (6), si notano nuovi termini che mostrano la creazione di una luce con frequenza somma delle frequenze e vettore

(32)

32

d’onda somma dei vettori d’onda, fenomeno chiamato Sum Frequency Generation (SFG): 𝟏 𝟐𝑬𝟏𝑬𝟐𝒆 {𝒊(𝝎𝟏+𝝎𝟐)𝒕−𝒊(𝒌⃗⃗ 𝟏+𝒌⃗⃗ 𝟐)𝒓⃗ }+𝟏 𝟐𝑬 ∗ 𝟏𝑬∗𝟐𝒆−{𝒊(𝝎𝟏+𝝎𝟐)𝒕−𝒊(𝒌⃗⃗ 𝟏+𝒌⃗⃗ 𝟐)𝒓⃗ } (7)

In maniera analoga, altri termini risultanti dal calcolo mostrano la creazione di una luce con frequenza differenza delle frequenze e vettore d’onda differenza dei vettori d’onda, fenomeno chiamato Difference Frequency Generation (DFG):

𝟏 𝟐𝑬𝟏𝑬 ∗ 𝟐𝒆{𝒊(𝝎𝟏−𝝎𝟐)𝒕−𝒊(𝒌 ⃗⃗ 𝟏−𝒌⃗⃗ 𝟐)𝒓⃗ } +𝟏 𝟐𝑬 ∗ 𝟏𝑬𝟐𝒆−{𝒊(𝝎𝟏−𝝎𝟐)𝒕−𝒊(𝒌 ⃗⃗ 𝟏−𝒌⃗⃗ 𝟐)𝒓⃗ } (8)

Le direzioni di emissione appena trovate per i fasci in output sono molto importanti in quanto se ne deve tenere conto accuratamente al momento della loro rivelazione, essendo la relativa intensità di radiazione emessa molto debole.

La trattazione teorica di questi fenomeni, che consiste nella risoluzione dell’equazione fondamentale dell’ottica, è in generale molto complessa, tuttavia si riesce a formularne una più semplice mediante alcune approssimazioni e assunzioni che valgono nei casi d’interesse:

- Scrivendo l’equazione (1) per una frequenza 𝝎𝟎 fissata e considerandola valida

in un piccolo intorno di frequenze;

- Considerando gli effetti non-lineari abbastanza deboli da non alterare il fascio in entrata;

- Considerando i fasci uniformi spazialmente;

- Considerando l’approssimazione Slow Varying Envelope Approximation, SVEA, dove i campi degli impulsi ultracorti sono dati dal prodotto tra una sinusoide ed un inviluppo che varia lentamente nel tempo;

- Considerando la polarizzazione P che si propaga lungo l’asse z con stessa frequenza e vettore d’onda del campo. Essendo che l’inviluppo è il fattore lento temporalmente sia per il campo che per la polarizzazione, la sua variazione nel tempo (derivata rispetto a t) sarà molto piccola. Tramite le precedenti assunzioni sulle derivate di E e P, possono non essere prese in considerazione le derivate seconde sia per E che per P

|𝝏 𝝏𝒕( 𝝏𝑬 𝝏𝒕)| ≪ |𝟐𝒊𝛚𝟎 𝝏𝑬 𝝏𝒕| ≪ |𝛚𝟎 𝟐𝑬| (11)

(33)

33

Lo stesso è valido per le derivate spaziali: | 𝝏 𝝏𝒛( 𝝏𝑬 𝝏𝒛)| ≪ |𝟐𝒊𝛚𝟎 𝝏𝑬 𝝏𝒛| ≪ |𝛚𝟎 𝟐𝑬| (12)

- Considerando la polarizzazione debole così da non si considerare neanche la derivata prima rispetto alla coordinata temporale;

- Non considerando effetti diffrattivi;

- Sostituendo alla velocità della luce la velocità di gruppo 𝒗𝒈, considerata uguale

per tutte le frequenze;

- Considerando il S.d.R dell’impulso 𝒛𝒊 = 𝒛 e 𝒕𝒊 = 𝒕 − 𝒛/𝒗𝒈.

Con queste assunzioni l’equazione fondamentale dell’ottica (1) si riduce a: 𝝏𝑬

𝝏𝒛 = −𝒊

𝝁𝟎𝛚𝟎𝟐

𝟐𝒌𝟎 𝑷 (13)

Per un inviluppo costante della polarizzazione la soluzione dell’equazione (13) risulta essere:

𝑬(𝒛, 𝒕) = −𝒊𝝁𝟎𝛚𝟎

𝟐

𝟐𝒌𝟎 𝑷𝒛 (14)

si trova così un campo elettrico che cresce linearmente con la distanza z.

Una ragione, oltre all’intensità richieste, per cui i fenomeni riguardanti l’ottica non-lineare non sono parte della vita giornaliera è il fenomeno del phase-matching (PM) [6].

Il fenomeno riguarda la tendenza dell’onda generata a sfasarsi rispetto alla polarizzazione indotta dopo una certa distanza durante la propagazione all’interno di un mezzo non-lineare, portando così alla cancellazione dei contributi tra l’onda generata e la luce prodotta successivamente (FIG.17).

(34)

34 FIG.17 Il concetto di Phase Matching (de Dood, 2006 [6]).

Affinchè non si crei sfasamento, la luce prodotta e la polarizzazione indotta devono avere la stessa velocità di fase e dato che hanno la stessa frequenza allora dovranno avere lo stesso vettore d’onda; si nota che sono le condizioni assunte implicitamente in precedenza.

Quest’assunzione non è sempre rispettata poichè i vettori d’onda possono essere diversi, si riscrive quindi l’equazione fondamentale dell’ottica usando 𝒌𝟎 per la luce

prodotta e 𝒌𝑷 per la polarizzazione indotta (in seguito produce diversi contributi con

fase relativa fissata): 𝟐𝒊𝒌𝟎𝝏𝑬

𝝏𝒛𝒆

𝒊(𝝎𝟎𝒕−𝒌𝟎𝒛) = 𝝁

𝟎𝒘𝟎𝟐𝑷𝒆𝒊(𝝎𝟎𝒕−𝒌𝑷𝒛) (15)

e integrando nell’intervallo [0,L], estensione del cristallo:

𝑬(𝑳, 𝒕) = −𝒊𝝁𝟎𝝎𝟎 𝟐𝑳𝑷 𝒌𝟎 𝒆 −𝒊∆𝒌𝑳𝟐𝐬𝐢𝐧 ∆𝒌 𝑳 𝟐 ∆𝒌𝑳𝟐 (16) con ∆𝒌 = 𝒌𝟎 − 𝒌𝒑.

(35)

35

La funzione riportata nell’equazione (16) raggiunge il massimo per ∆𝒌 = 𝟎 che è proprio la condizione di phase-matching.

Si analizza questo fenomeno nel processo di SGH collineare. Un fascio in entrata ha frequenza 𝝎𝟏 e vettore d’onda 𝒌𝟏 mentre la Seconda a

Armonica ha frequenza doppia e con 𝒌𝟎 = 𝟐𝝎𝟏𝒏(𝟐𝝎𝟏)/𝒄.

La polarizzazione indotta ha vettore d’onda 𝒌𝑷 = 𝟐𝒌𝟏 (equ. (3)) quindi la condizione

di phase-matching sarà

𝒌𝟎 = 𝟐𝒌𝟏 (17 𝑎) da cui discende:

𝒏(𝝎𝟏) = 𝒏(𝟐𝝎𝟏) (17 𝑏)

quindi si deve trovare un mezzo per cui l’indice di rifrazione abbia lo stesso valore per due frequenze diverse, ma con i cristalli semplici, che hanno una dispersione che varia al variare della frequenza, non riusciamo a soddisfare questa condizione (FIG.18).

FIG.18 Indice di Rifrazione vs Frequenza di un materiale dielettrico.

Tuttavia, grazie alle proprietà di un mezzo birifrangente che presenta un indice di rifrazione ordinario e uno straordinario, si riesce a raggiungere la condizione di PM cercata (FIG.19).

(36)

36 FIG.19 Indice di Rifrazione vs Frequenza di un tipico mezzo birifrangente.

Quello che abbiamo descritto riguarda il PM nel caso di SHG collineare mentre nel non-collineare dovendo considerare un angolo tra i due fasci la condizione si trasforma in: 𝒌𝟎 = 𝟐𝒌𝟏𝐜𝐨𝐬𝜽 𝟐 da cui discende: 𝒏(𝝎𝟏) 𝐜𝐨𝐬𝜽 𝟐 = 𝒏(𝟐𝝎𝟏) (18)

ottenuta considerando le componenti parallele alla normale al cristallo.

L’efficienza di PM presenta grandi differenze a secondo dell’angolo 𝜽 di incidenza e dello spessore del mezzo (FIG.20).

(37)

37 FIG.20 Efficienza di PM per un cristallo non-lineare BBO di 10 𝜇𝑚 (sx) e di 100 𝜇𝑚 (dx) per diversi 𝜽.

Nella misura degli impulsi ultracorti è molto importante trovare la condizione di PM affinchè ci sia un’alta efficienza di conversione, ma non si richiede solamente il

matching di una frequenza ma di tutta la banda presente nell’impulso (PMB).

Assumendo un phase-matching esatto a 𝝀𝟎, si riscrive l’equazione (17 a) in funzione della lunghezza d’onda

∆𝒌(𝝀) = 𝟐𝒌𝟏− 𝒌𝟐 = 𝟒𝝅

𝝀 [𝒏(𝝀) − 𝒏 ( 𝝀

𝟐)] (19)

espandendo sia 𝟏𝝀 che 𝒏(𝝀) fino al prim’ordine intorno a 𝝀𝟎 e richiamando la condizione

di phase-matching per 𝝀𝟎 si ha ∆𝒌(𝜹𝝀) = 𝟒𝝅 𝝀𝟎 [𝜹𝝀𝒏̇(𝝀𝟎) − 𝜹𝝀 𝟐 𝒏̇ ( 𝝀𝟎 𝟐)] (20)

La curva d’efficienza riportata nell’equazione (16) decresce di un fattore due per la condizione ∆𝒌𝑳

𝟐 = ±𝟏. 𝟑𝟗 e sostituendo si ha

𝜹𝝀𝑭𝑾𝑯𝑴 = 𝟎. 𝟒𝟒𝝀𝟎/𝑳

|𝒏̇(𝝀𝟎) −𝟏𝟐𝒏̇(𝝀𝟎/𝟐)|

(21)

Dalla espressione (21) si osserva che per incrementare il PMB bisogna diminuire L, questo metodo più semplice ma presenta delle controindicazioni (FIG.21).

(38)

38 FIG.21 PMB vs Lunghezza d’onda per un cristallo BBO a diverse L.

Un altro metodo per il calcolo del PMB sfrutta il dominio temporale. Considerando un input e la SH da esso generata aventi la stessa velocità di fase, si potrebbe avere comunque un Group Velocity Mismatch (GVM) a causa della diversa velocità di gruppo, per cui i due fasci non si sovrappongono efficientemente all’uscita del cristallo (FIG.22).

FIG.22 Group-velocity mismatch.

La durata temporale 𝜹𝒕 della SH sarà determinata dalla differenza dei tempi di propagazione tra l’input e la SH da esso generata

𝜹𝒕 = 𝑳 [ 𝟏 𝒗𝒈(𝝀𝟐 )𝟎

− 𝟏

(39)

39

Sostituendo nell’equazione (22) l’espressione della velocità di gruppo

𝒗𝒈(𝝀) = 𝒄𝟎 𝒏(𝝀) 𝟏 − ( 𝝀 𝒏(𝝀)) 𝒏(𝝀)̇ (23)

e considerando sempre il phase-matching a 𝝀𝟎, l’equazione precedente (22) si trasforma in: 𝜹𝒕 =𝑳𝝀𝟎 𝒄 [𝒏̇(𝝀𝟎) − 𝟏 𝟐𝒏̇ ( 𝝀𝟎 𝟐)] (24)

Generalmente si assume che la SH abbia un’intensità con andamento gaussiano, cioè tale che 𝜹𝒕𝜹𝒗 = 𝟎. 𝟒𝟒, usando 𝜹𝒗 = 𝜹 (𝒄

𝝀) = 𝜹𝝀 𝒄

𝝀𝟐 . Si arriva così alla medesima

definizione di 𝜹𝝀𝑭𝑾𝑯𝑴 riportata in Eq. (21).

Gli impulsi ultracorti hanno una banda molto larga, di conseguenza serve un cristallo molto sottile per soddisfare le condizioni di PMB.

In questa configurazione come si è precedentemente osservato si ha che l’intensità della SH proporzionale a 𝑳𝟐 risulti molto debole. È quindi necessario trovare un

giusto compromesso nella scelta di L fra PMB ottimale e intensità di Seconda Armonica sufficientemente intensa.

Per ottenere intensità di Seconda Armonica facilmente rivelabili anche se deboli sono necessarie altissime intensità in input.

Dall’equazione (25): 𝑰𝟐𝝎 = 𝜼𝟎𝝎 𝟐𝝌(𝟐)𝟐𝑰𝝎𝟐𝑳𝟐 𝟐𝒄𝟐𝒏𝟑 𝐬𝐢𝐧∆𝒌𝑳𝟐 𝟐 ∆𝒌𝑳 𝟐 𝟐 (25)

si può ricavare, in condizione di PM, il rapporto tra l’intensità di SH e l’intensità in entrata

𝑰𝟐𝝎 𝑰𝝎 =

𝟐𝜼𝟎𝝎𝟐𝒅𝟐𝑰𝝎𝑳𝟐

𝒄𝟐𝒏𝟑 (26)

dove il fattore 𝒅 è un coefficiente che dipende dal materiale e dalle polarizzazioni dei campi rispetto agli assi del cristallo.

Usando un Beta-Borate-Oxide come cristallo non-lineare, 𝒅~2 ∗ 10−12 𝑚

𝑉 , 𝒏~1.6 e

(40)

40

𝑰𝟐𝝎

𝑰𝝎 = 𝟓 ∗ 𝟏𝟎

−𝟖𝑰𝝎𝑳𝟐 (27)

Dall’equazione (27) si vede come essendo il coefficiente moltiplicativo molto piccolo serva un’intensità 𝑰𝝎 molto alta per avere un’efficienza decente.

Un impulso di TiSa con energia del nJ e durata 100 fs avrà un’intensità di 1010 𝑊 𝑐𝑚2

quando focalizzato su uno spot di 10 𝜇𝑚 diraggio.

Tuttavia date le leggi dell’ottica un’intensità di questo genere può essere mantenuta entro una lunghezza di Rayleigh.

𝒛𝑹 = 𝝅𝝎𝟎

𝟐

𝝀

con 𝝀 la lunghezza d’onda e 𝝎𝟎 approssimativamente il raggio del fascio.

Il fatto presentato limita la larghezza del cristallo da usare, già limitata dalla larghezza di banda (richiede che si abbia un valore inferiore ai 100 𝜇𝑚).

Scegliendo questo limite superiore stimato come il miglior valore possibile, otterremo una configurazione per la quale si ha un’efficienza del 5%, che è molto bassa.

(41)

41

Bibliografia

[1] R.Trebino, Frequency-Resolved Optical Gating: The measurement of Ultrashort Laser Pulses, Springer (2012)

[2] J.-C. Diels and W. Rudolph, Ultrashort Laser Pulse Phenomena, Academic Press, 1996.

[3] A. Yariv, Quantum Electronics, 3rd ed. Wiley, 1989.

[4] D.L. Mills, Nonlinear Optics: Basic Concepts, 2nd ed., Springer Verlag, 1998.

[5] P. Butcher and D. Cotter, The Elements of Nonlinear Optics, Cambridge University Press, 1991.

[6] M.J.A de Dood, Second Harmonic Generation, Huygens

(42)
(43)

43

5.

Trattazione dei vari metodi attualmente

utilizzati per misurare la durata degli impulsi

laser ultracorti.

5.1

Autocorrelazione e spettro

I primi tentativi di caratterizzazione di impulsi ultracorti furono realizzati grazie all’autocorrelatore (AC) nel dominio temporale e allo spettrometro nel dominio spettrale; l’uno misurava l’intensità di autocorrelazione, mentre l’altro lo spettro dell’impulso.

Entrambe le tecniche presentano delle problematiche nella caratterizzazione dell’impulso, poichè la prima non riusciva a misurare nè intensità nè fase dipendente dal tempo mentre la seconda non riusciva a misurare la fase spettrale dell’impulso. La misura dello spettro è facilmente realizzabile mediante diversi tipi di spettrometri. In questo caso l’unica informazione ottenuta consiste nello spettro dell’impulso; si può dimostrare che la sola conoscenza dello spettro non consente la completa caratterizzazione dell’impulso in quanto impulsi con andamento temporale diverso possono avere lo stesso spettro (1D phase-retrieval problem [1]), e questa non è l’unica ambiguità presente nella tecnica.

Nel dominio temporale l’autocorrelatore è basato sul confronto di un impulso con sè

stesso. Ciò è realizzato dividendo in due un impulso ultracorto tramite un

beam-splitter (BS), ritardandone uno rispetto all’altro ed infine sovrapponendoli in un mezzo ottico non-lineare come ad esempio un cristallo per la Generazione di Seconda Armonica (SHG) (FIG.23).

(44)

44

Nel mezzo non-lineare si produce così una radiazione di frequenza doppia rispetto a quella dell’impulso in ingresso, con un’intensità che varia in fuzione del ritardo 𝝉 tra i due impulsi:

𝐈𝑺𝑯𝑮 ∝ 𝑰(𝒕)𝑰(𝒕 − 𝝉) (5)

I rivelatori ottici sono generalmente sono troppo lenti per risolvere l’impulso nel tempo, di conseguenza si misura l’integrale temporale dell’emissione di SH:

𝑨𝟐(𝝉) = ∫ 𝑰(𝒕)𝑰(𝒕 − 𝝉) 𝒅𝒕

∞ −∞

(6) detto intensità di autocorrelazione.

Il segnale ottenuto dall’autocorrelatore presenta alcune caratteristiche specifiche come la simmetria temporalmente al variare di 𝝉, il ritrovamento del massimo per il segnale per 𝝉 = 𝟎, e infine la sua TF risulta reale e positiva, proveniente dal teorema dell’autocorrelazione.

Queste proprietà sono anche un feedback utile per verificare l’affidabilità sperimentale della misura.

L’informazione principale che si ricava dal segnale di autocorrelazione è la lunghezza dell’impulso, infatti quando non vi è più sovrapposizione temporale fra i due impulsi l’emissione di Seconda Armonica scompare.

La traccia dell’autocorrelatore non fornisce informazioni accurate sull’intensità dell’impulso, come si può vedere da FIG. 24; inoltre questa tecnica diagnostica non fornisce alcuna informazione riguardo alla fase dell’impulso.

FIG.24 Sulla sx due impulsi dall’andamento temporale visibilmente diverso. Sulla dx i corrispondenti segnali all’uscita di un AC che risultano sostanzialmente identici.

(45)

45

Lo studio sulle ambiguità non rivelate dai segnali di AC fu portato avanti da Akutowicz [2], che mostrò come impulsi iniziali molto diversi tra loro, come esponenziali decrescenti e sinusoidi decrescenti, fornissero gli stessi segnali di autocorrelazione (FIG.25).

FIG.25 Sopra due diversi impulsi di radiazione, cui corrisponde sotto lo stesso segnale di AC.

Quanto appena mostrato risulta ancora più evidente per impulsi complessi, infatti il segnale di AC perde quasi completamente l’informazione relativa alla struttura presente nell’impulso, come mostrato in FIG.26.

FIG.26 Impulsi con struttura complessa e inviluppo Gaussiano (sx) ed i relativi segnali AC (dx).

(46)

46

Le peculiarità della traccia per questi tipi di impulsi è che aumentando la complessità della struttura iniziale, lo spike diventa più stretto e la base si modella diventando “smooth”. Le due tecniche appena descritte non consentono di rilevare distorsioni dell’impulso e non sono immuni da errori sistematici o random [1].

La seconda tipologia di errore appare nelle tracce come rumore per entrambe le tecniche; mentre la prima, a cui si deve prestare molta attenzione, porta a tracce completamente differenti da quelle previste a causa dei piccoli errori nei metodi di misura.

Gli errori sistematici che possono presentarsi nella misura dello spettro sono prodotti da:

- Luce vagante, che altera l’effettivo spettro dell’impulso;

- Efficienza dei dispositivi, che compongono il set-up che varia a secondo della frequenza;

- Calibrazioni, effettuate con scarsa accuratezza;

- Effetti spazio-temporali dovuti agli elementi dispersivi del set-up.

Gli errori sistematici che si presentano nell’utilizzo della tecnica di AC possono essere prodotti da:

- Group Velocity Delay, la dipendenza della velocità di gruppo dalla frequenza in un mezzo comporta la deformazione dell’impulso durante la sua propagazione; - Asimmetrie, dovute all’attraversamento di più materiali da parte di uno dei due

fasci;

- GVM, i processi non-lineari devono avere sufficiente larghezza di banda per convertire l’intero spettro nell’appropriato segnale, in caso contrario si avrebbe un impulso più corto di quanto è in realtà;

- Front tilt dell’impulso, quando si attraversa un elemento dispersivo si introduce, oltre ad una dispersione angolare, una modifica del fronte dell’impulso;

- Variazioni spaziali, un chirp spaziale della frequenza indotto dalla non uniformità di intensità e di fase nel fascio;

- Disallineamenti, sono creati al momento in cui si vuole variare il ritardo tra i due impulsi;

(47)

47

5.2 Frequency-Resolved Optical Gating

Il continuo sviluppo delle tecniche diagnostiche, sfruttando le caratteristiche di quelle precedentemente presentate, diede alla luce una tecnica molto efficace chiamata

Frequency-Resolved Optical Gating (FROG [14,15,16,19]).

FROG è una tecnica che opera in un dominio ibrido tempo-frequenza; quindi le misure richiedono simultaneamente due risoluzioni una temporale e una spettrale.

Vi è un’analogia con lo spartito musicale in cui in funzione del tempo sono indicate le varie note da eseguire con un’opportuna intensità (FIG.27).

FIG.27 Lo spartito musicale indica un’andamento temporale delle frequenze emesse con un’opportuna intensità.

Una versione rigorosa matematicamente, della rappresentazione nel dominio tempo-frequenza, è lo spettrogramma: 𝜺𝒈(𝝎, 𝝉) = |∫ 𝑬(𝒕)𝒈(𝒕 − 𝝉)𝒆−𝒊𝝎𝒕𝒅𝒕 ∞ −∞ | 𝟐 (14)

con 𝒈(𝒕 − 𝝉) funzione ritardata di un tempo 𝝉, che funziona come gate per l’impulso. Una rappresentazione grafica dell’integrando della TF per un impulso E(t) gaussiano

(48)

48 FIG.28 Spiegazione grafica dell’integrando della TF.

Lo spettrogramma mostra lo spettro di parti differenti dell’impulso al variare del valore 𝝉.

Lo spettrogramma intuitivamente mette in evidenza la 𝝎𝒊𝒏𝒔𝒕 vs 𝒕 come mostrato in

FIG.29.

FIG.29 Spettrogramma di impulsi Gaussiani linearly chirped usando un gate Gaussiano, simile a uno spartito musicale che mostra l’andamento della frequenza rispetto al tempo.

(49)

49

FROG sembra che riesca a fornire tutte le informazioni sia spettrali che temporali necessarie per la caratterizzazione di un impulso.

A questo punto si ripropone il problema di quale sia l’impulso di gate più opportuno da utilizzare; in particolare se convenga utilizzare degli impulsi di gate particolarmente corti rispetto alla durata dell’impulso da analizzare.

In realtà si può vedere che utilizzando come gate 𝒈(𝒕 − 𝝉) una delta di Dirac (non disponibile in laboratorio), l’equazione (14) diventa:

𝜺𝒈(𝝎 , 𝝉) = |∫ 𝑬(𝒕)𝜹(𝒕 − 𝝉)𝒆−𝒊𝝎𝒕𝒅𝒕 ∞ −∞ | 𝟐 = |𝑬(𝝉)𝒆−𝒊𝝎𝝉|𝟐 |𝑬(𝝉)|𝟐 = 𝑰(𝝉) (15)

da cui si nota che nella traccia di FROG scompare la dipendenza da 𝝎 e così tutta l’informazione sulla fase. Alla fine ci si accorge che la cosa da fare è utilizzare l’impulso stesso come funzione di gate.

Un altro problema sta nel ricavare le informazioni sull’impulso a partire dallo spettrogramma, operazione che richiede la conoscenza della funzione di gate che è proprio il segnale che si vuole caratterizzare rendendo così tali algoritmi praticamente inutilizzabili.

La soluzione di questo problema consiste nel riscrivere l’integrando della TF del segnale FROG (eq. (16)) come riportato nell’eq. (17):

𝑰𝑭𝑹𝑶𝑮 = |∫ 𝑬𝒔𝒊𝒈(𝒕, 𝝉)𝒆−𝒊𝝎𝒕𝒅𝒕| 𝟐

(16) 𝑬𝒔𝒊𝒈(𝒕, 𝝉) = ∫ 𝑬̅𝒔𝒊𝒈(𝒕, 𝜴)𝒆−𝒊𝝎𝜴𝒅𝜴 (17)

Inserendo nell’equazione (16) l’espressione (17) si avrà: 𝑰𝑭𝑹𝑶𝑮 = |∫ ∫ 𝑬̅𝒔𝒊𝒈(𝒕, 𝜴)𝒆−𝒊𝝎𝜴𝒅𝜴 𝒆−𝒊𝝎𝒕𝒅𝒕|

𝟐

(18)

da cui ricavando 𝑬̅𝒔𝒊𝒈(𝒕, 𝜴), sostituendolo nell’equazione (17) e ponendo 𝝉 = 𝒕 si

riuscira a ricavare E(t).

Osservando l’equazione (18), la situazione sembra addirittura peggiorata rispetto all’ Eq. (16), essendo passati dalla risoluzione di un problema 1D Integral-Inversion a quella di uno 2D Integral-Inversion.

(50)

50

In realtà il problema che si presenta è della tipolgia 2D Phase-Retrieval problem [11,12,17,20,21], per cui grazie alle caratteristiche proprie del segnale 𝑰𝑭𝑹𝑶𝑮 si può

ottenere l’andamento della sua fase e intensità in maniera quasi univoca.

Avere una misura dell’impulso tramite la traccia di FROG implica quindi risolvere il problema 2D Phase-Retrieval che, al contrario del 1D, è risolvibile poichè fallisce il teorema fondamentale dell’algebra in due dimensioni (la misura rappresentata da un polinomio a due variabili che non può essere fattorizzato completamente).

Il problema 2D Phase-Retrieval ha un’unica soluzione (FIG.30), grazie alle condizioni al contorno assegnate a 𝑬𝒔𝒊𝒈(𝒕), continuando però sempre ad avere alcune ambiguità

relative alla fase assoluta, alle traslazioni temporali e all’inversione temporale.

FIG.30 Tracce FROG di un impulso linearly chirped (sx) ed uno più complesso (dx) (Kohler, Ohio State University).

(51)

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Il set-up di FROG (FIG.31) che si basa sulla SHG è semplicemente un autocorrelatore risolto spettralmente,

FIG.31 Set-up FROG SHG.

per cui il segnale è come quello di un AC

𝑬𝒔𝒊𝒈𝑺𝑯𝑮 = 𝑬(𝒕)𝑬(𝒕 − 𝝉)

Risolvere spettralmente quest’emissione di Seconda Armonica equivale a farne la Trasformata di Fourier (TF).

Il segnale SHG FROG (FIG.32) è dunque:

𝑰𝑭𝑹𝑶𝑮𝑺𝑯𝑮 = |∫ 𝑬(𝒕)𝑬(𝒕 − 𝝉)𝒆−𝒊𝒘𝒕𝒅𝒕 ∞ −∞ | 𝟐 (19)

Come si può osservare l’equazione appena scritta rappresenta uno spettrogramma in cui la funzione di gate è proprio l’impulso stesso.

(52)

52 FIG.32 Tracce SHG FROG per impulsi molto comuni.

SHG FROG è un metodo molto accurato (FIG. 33).

Fig.33 Uno degli impulsi più corti determinato tramite SHG FROG (Baltuska, Pshenichnikov, and Weirsma,1999 [23]).

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Questa configurazione presenta i seguenti vantaggi:

- sensibilità nelle misure, che consente di ottenere un’accurata caratterizzazione dell’impulso ;

- sufficiente PMB (dipendente da L del cristallo), consente di non alterare l’effettiva larghezza temporale dell’impulso da caratterizzare;

- qualsiasi errore sistematico presente può essere modellato nell’algoritmo (anche se generalmente non necessario);

- determina le caratteristiche dell’impulso, adoperando il dominio temporale per la risoluzione su tempi più lunghi, quello spettrale su tempi più corti;

- presenta un feedback per verificare la convergenza dell’algoritmo utilizzato; - rivela la struttura spettrale fine di un impulso, cosa che non consente un

semplice spettrometro, come si può notare in figura 34

FIG.34 FROG (sx) rivela la struttura spettrale fine che non è evidenziata da uno spettrometro (dx).

Tuttavia FROG presenta anche alcuni limiti:

- SHG FROG presenta delle tracce simmetriche e di conseguenza ambiguità nella direzione temporale. Queste ambiguità potrebbero essere risolte inserendo un vetro prima del BS, in questa maniera si introduce un chirp noto che ha come effetto la produzione di una traccia asimmetrica;

- Non si può stimare la fase relativa se si hanno impulsi doppi;

- Non si riesce a fare una stima della fase assoluta 𝝋𝟎 (primo termine della serie di Taylor della fase spettrale), a causa della presenza del modulo quadro;

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- visto che FROG usa come gate se stesso, non si ha nessuna referenza temporale non misurato il tempo di arrivo, che corrisponde (nel dominio spettrale) a 𝝋𝟏 il

coefficiente al prim’ordine della serie di Taylor della fase spettrale.

Grazie a questa tecnica si arriva ad avere una completa conoscenza dell’impulso iniziale eccetto per alcune ambiguità non rilevanti.

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