Introduzione
«An open mind, I need not to remind readers, is the key to a successful university life, and may even have direct applications to those living and working outside the academy.»
(Richard Russo, da Straight Man) «The academy is, despite everything, a good place...»
(Geoffrey Hartman, da Criticism in the Wilderness)
Il campus novel è principalmente un fenomeno letterario anglo-‐americano, che prende le mosse nel secondo dopoguerra e, da quel momento in poi, conosce uno sviluppo senza precedenti. Non è, infatti, un caso se tra il 1945 e il 1979 vengono pubblicati più di 200 titoli in Gran Bretagna e oltre 400 romanzi negli Stati Uniti. Si tratta di cifre che testimoniano della grande popolarità e dell’immenso successo del genere, il cui segreto è racchiuso nella seguente affermazione di David Lodge: “academic conflicts are relatively harmless, safely insulated from the real world and its sombre concerns”1.
Il primo classico esempio di campus novel è di area americana ed è rappresentato da The Groves of Academe di Mary McCarthy (1952), seguito, in Inghilterra, da Lucky Jim di Kinglsey Amis, uscito nel 1954, alcuni anni prima che si adottasse il termine “campus” per indicare quel microcosmo che è l’università o il college intorno al quale si organizzano le vicende di ogni romanzo accademico che si rispetti. Romanzi riguardanti la vita studentesca e universitaria erano stati prodotti anche prima degli anni Cinquanta: si pensi a
The Adventures of Mr Verdant Green di Cuthbert Bede e ad autori quali
Zuleika Dobson o Compton Mackenzie che cominciano a pubblicare le loro opere agli albori del XX secolo. Tuttavia, ciò che distingue il moderno romanzo universitario da quelli pubblicati nei primi anni Cinquanta è l’importanza
1 Eva Bjork Lambertsson, Campus Clown and the Canon: David Lodge’s Campus Fiction,
Stockholm, Umea University, 1993, p. 37.
assegnata alle vicende di professori e ricercatori, che diventano figure di primo piano mettendo in ombra gli studenti, le cui apparizioni risultano sporadiche e di scarsa rilevanza.
Senza dubbio, la proliferazione dei campus novel è legata al fatto che alcuni autori sono professori universitari e molti altri, in passato, sono stati studenti o dottorandi in un college o in un’università. Possession: A Romance di Antonia Susan Byatt è un esempio inequivocabile di questa tendenza. La Byatt è stata docente allo University College di Londra fino al 1983, alcuni dei suoi primi romanzi, nella fattispecie The Game e Still Life, trattano di studenti e situazioni tipicamente universitarie. Ma Possession si colloca in una categoria completamente diversa dalle sue opere precedenti. Il romanzo, di 550 pagine, richiede grande impegno da parte del lettore, il quale deve sapersi destreggiare nei meandri di una scrittura risultante dal pastiche di elementi appartenenti alla poesia e alla prosa di epoca vittoriana. Non solo, i protagonisti sono tutti accademici del XX secolo, colti nel loro ruolo di studiosi, per cui la conoscenza ha un valore inestimabile e la cui perdita o mancata acquisizione non trovano compensazione di sorta. Possession ha vinto il Booker Prize nel 1990, ma l’aspetto che più sorprende è la sua enorme popolarità: non c’è stato nessun altro romanzo inglese che sia stato in grado di vendere 250,000 copie nel solo 1991 e che sia stato tradotto in ben sedici lingue diverse. Il romanzo della Byatt rappresenta, senza dubbio, un’anomalia, ma Bertram Cope’s Year, scritto da Henry Blake Fuller nel 1919, è stato ripubblicato nel 1998 e l’interesse dei lettori sembra non affievolirsi. The
Groves of Academe, Lucky Jim, Pnin di Nabokov e Pictures From An Institution
di Randall Jarrel, tutti campus novel scritti tra il 1952 e il 1959, sono tuttora reperibili in qualsiasi libreria o biblioteca come pure le più grandi opere di David Lodge e Malcom Bradbury, tra le quali si ricordano The British Museum
is Falling Down (1965), Changing Places (1975), Small World (1984), Nice Work
(1988), Eating People is Wrong (1962) e The History Man (1974).
Sull’onda di questo innegabile successo, il presente lavoro si propone di analizzare il genere del campus novel, poco noto in Italia, se non addirittura
sconosciuto, e di portarne alla luce le caratteristiche fondamentali tramite la lettura attenta, la traduzione e l’analisi di alcuni passi emblematici di un romanzo accademico sui generis qual è All is Forgotten, Nothing is Lost di Lan Samantha Chang. Proprio a partire dal contenuto di quest’ultimo, si procederà a una riflessione accurata sul ruolo della poesia nel mondo contemporaneo, nonché sul suo valore di artisticità e sulla significatività e interdipendenza dei diversi processi che presiedono alla creazione e realizzazione di un testo poetico. Si concluderà, quindi, con alcune considerazioni sulle condizioni di esistenza di una poesia rinnovata, in grado di riconquistare una posizione di prestigio nel panorama letterario e di farsi portatrice di nuovi valori e di una nuova lettura del reale che possa avere incidenza positiva sulla comunità dei lettori e possa guidarli nella loro esperienza quotidiana e sempre mutevole del mondo.
In particolare, l’elaborato consterà di tre grandi sezioni, ciascuna delle quali sarà suddivisa in paragrafi e tratterà un argomento specifico. La prima sezione sarà dedicata interamente al campus novel. Dopo aver esposto brevemente le condizioni di nascita del genere, verrà messa in luce l’importanza dell’elemento campus nel romanzo accademico, le cui vicende ruotano intorno a quanto avviene in questo microcosmo che finisce, così, per assumere un’aura mitica, facendosi teatro di conflitti ed eventi che si verificano in maniera amplificata nel mondo fuori. Si passerà poi a parlare del tono predominante, che non può definirsi né totalmente celebrativo né completamente satirico. Al contrario, nella maggior parte dei casi, l’autore compenetra i due aspetti al fine di produrre una critica lucida dell’ambiente universitario, che sappia coglierne punti di forza e debolezze, facendo risaltare il conflitto tra reale e ideale, che è uno dei temi dominanti del genere. Alla questione del tono è, ovviamente, collegata una possibile tassonomia dei diversi campus novel, ciascuno dei quali dà priorità alla satira, all’ironia pungente o alla celebrazione nostalgica a seconda dell’obiettivo perseguito e dei protagonisti che ne animano le pagine. A tal proposito, si noterà come il romanzo accademico sia incentrato prevalentemente sulla figura del
professore tanto da guadagnarsi l’etichetta di Professoroman, ossia romanzo del professore. Gli studenti sono pressoché assenti o, quantomeno, ricoprono un ruolo quasi insignificante e sono generalmente presentati come individui svogliati e sediziosi. L’unica eccezione è rappresentata dai gruppi di studentesse selezionate, oggetto del desiderio di alcuni professori e, talora, soggetti di un agire dal sapore ricattatorio. Egualmente, senza volver scomodare rivendicazioni femministe, le donne non sono presentate in maniera positiva. Tutto il contrario. Solitamente, il lettore si trova di fronte a mogli frustrate o a studentesse civettuole senza grandi aspirazioni intellettuali. Se capita che faccia la sua comparsa una docente donna, quest’ultima è quasi sempre specializzata in un’area di studio di scarso interesse e d’importanza infima. Non si può, infine, dimenticare una componente essenziale di ogni buon campus novel, vale a dire l’intertestualità. I romanzi accademici, infatti, si nutrono di altra letteratura e sono intessuti da rimandi intertestuali che spaziano dalle opere della tradizione antica a quelle moderne e contemporanee. In alcuni casi l’autore rende esplicito il riferimento ai propri ipotesti, mentre in altri casi opta per l’allusione velata rendendo chiaro l’elemento intertestuale solo a una cerchia ristretta di lettori avveduti. Per quanto la funzione dei singoli riferimenti sia grandemente variabile, nel complesso essi servono a sottolineare l’alto grado di letterarietà dell’opera. Alle luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti, l’ultimo paragrafo della prima sezione sarà, dunque, deputato alla presentazione del romanzo All is Forgotten, Nothing is Lost, scelto come esempio concreto di campus novel. Oltre a fornire alcune informazioni fondamentali sull’autrice, Lan Samantha Chang, e sulle sue opere precedenti, si cercherà di esporre in modo esaustivo il contenuto del romanzo e di evidenziarne gli aspetti che lo discostano dal romanzo accademico tradizionale e ne fanno l’eccezione che conferma la regola. Nella fattispecie, si mostrerà come, da un punto di vista contenutistico, l’opera non si riduca a essere un mero sfoggio di erudizione fine a se stessa, ma cerchi di andare al di
là dei limiti di una letterarietà sterile ponendo al lettore domande essenziali sul valore della poesia come forma d’arte che può cambiare la vita di ognuno.
La seconda sezione conterrà la traduzione con testo inglese a fronte di alcune parti selezionate di All is Forgotten, Nothing is Lost. La scelta dei contenuti da tradurre è stata operata in funzione dell’analisi sviluppata nella terza sezione dell’elaborato. Sarà, infatti, tradotta interamente la prima parte del romanzo, dal titolo A poetic education, in cui emerge fin da subito la vita nel campus e le dinamiche relative al rapporto docente-‐allievo, e alcuni stralci della seconda, intitolata An Imagined Life, in cui sono sviluppate ampiamente domande di portata universale sul significato della poesia come arte e del ruolo di poeta in quanto artista.
Ne consegue che la terza e ultima parte verterà sul commento alla traduzione. Inizialmente si proporrà un’analisi traduttologica basata sul confronto tra i due testi, finalizzato a esporre le maggiori difficoltà riscontrate a livello linguistico nel corso del processo di traduzione inteso come relazione tra originale e traduzione. In seguito, ci si concentrerà sull’articolazione e l’analisi delle domande poste dal romanzo: che cosa fa di una poesia un’opera d’arte? In che modo un poeta sceglie di adottare un dato stile e una data forma che diventino la sua cifra distintiva? La poesia ha una portata ontologica? Quanta importanza ha il giudizio di gusto come pure l’apprezzamento e, dunque, la ricezione nel riconoscimento istituzionale di un poeta? Sono davvero fondamentali perché un artista sia riconosciuto poeta a tutti gli effetti? Procedendo con ordine, si comincerà a stabilire che un’opera d’arte e, in particolare, una poesia può dirsi tale nel momento in cui in essa sono riscontrabili alcune caratteristiche immanenti, delle costruzioni segniche responsabili della semantizzazione dell’opera stessa, che si attivano al momento della fruizione. In altri termini, è necessario fare esperienza estetico-‐artistica delle caratteristiche di un’opera poetica perché essa acquisisca, a buon diritto, lo statuto di opera d’arte. Ora, se una poesia comunica qualcosa, ciò significa che ha una portata ontologica, la quale si esprime nella sua capacità di costruire mondi all’interno dei quali l’essere
ritorna alla vera presenza. Stabilito il valore ontologico e gnoseologico della poesia, si passerà, poi, ad analizzare nel dettaglio i vari processi che sono alla base della poiesis, ossia del fare poetico. Si preciserà come l’ispirazione non sia più da considerarsi come derivante da una forza divina esteriore, ma come, in accordo alle nuove scoperte della poetica cognitiva, si radichi nel cosiddetto inconscio cognitivo, una sorta di magazzino esperienziale i cui materiali vengono attivati solo nel momento in cui un autore vi imprime una specifica intenzionalità. Ed è proprio a partire dall’intenzionalità e dalla volontà di comunicare qualcosa di preciso che l’autore sceglie di conferire una data forma e un determinato stile alla sua opera, dove per stile si deve intendere una sorta di elemento attrattore, di interfaccia tramite la quale l’individuo rende esplicito il suo rapporto con il mondo esterno. A tal proposito, verrà riconsiderato il monologo drammatico così da smentire le accuse di impersonalità e artificiosità e metterne in luce il carattere fondamentalmente retorico-‐argomentativo e il valore di verità. Si è scelto di trattare del monologo drammatico in quanto occupa un posto di preminenza nel romanzo della Chang. Roman Morris, infatti, ne fa la sua forma poetica di elezione, andando spesso incontro alle critiche di compagni, amici e insegnanti, che lo accusano di voler nascondere con questa scelta il proprio io nonché i propri sentimenti profondi. Infine, ci si concentrerà sull’importanza della ricezione nel riconoscimento istituzionale di un’opera poetica e del suo autore. Non a caso, il giudizio estetico è ciò che determina il valore, la qualità di un’opera poetica che ha suscitato interesse. Esso si compone di valutazioni operate dai singoli, ma guidate da un sostrato culturale comune che ne garantisce la validità universale e consente, di conseguenza, l’inserimento di un’opera poetica, come di qualsiasi altra opera artistica, in circuiti a fruizione istituzionale.
In conclusione, non si poteva non chiudere questo lavoro con una riflessione che, prendendo le mosse da quanto affermato da Heidegger nel suo saggio Perché i poeti, auspichi a un rinnovamento della poesia che, collaborando in modo proficuo con un’istituzione tanto importante e
prestigiosa come l’università, ritorni a essere vera presenza, a testimoniare della presenza dell’essere-‐nel-‐mondo e, quindi, a configurarsi come atto di ribellione nei confronti delle credenze e delle ideologie dominanti, spesso sterili e illusorie.
1. Il mondo accademico:
tra realtà e immaginazione
1.1. Il mito del campus.
«Se mi doveste chiedere di parlarvi di mia moglie, dovrei avvisarvi subito che so ben poco di lei. O almeno non quanto credevo di sapere. […] È morta sei mesi fa, quasi esatti. Una notte di mezza estate, a Oxford, sotto un grande e rigoglioso platano nel parco del Worcester College, andando verso il lago, con il ponte che porta al giardino del preside da qualche parte sulla destra e la luna nuova che sorge. È un punto buono come un altro per cominciare. O, immagino, per morire.»2 Così si apre Ogni contatto lascia una traccia, opera prima di Elanor Dymott, alla quale Oxford fa da sfondo e che si presenta come luogo a un tempo immaginario e reale, quasi tangibile.
A questo punto, sorgerebbe una domanda più che legittima: ma Oxford è più reale o immaginario/immaginato, è un luogo dentro la finzione o si colloca
fuori dalla finzione o, ancora, si può parlare di una Oxford della finzione?
Difficile dare una risposta esauriente in grado di sciogliere l’enigma, quasi impossibile se si pensa che questa è proprio la formula alchemica alla base di un buon campus novel, definito anche academic novel, college novel o
university novel. Non è un caso che molti scrittori ci tengano a precisare che
l’università che appare nei loro romanzi è frutto della loro fervida immaginazione e conserva solo un pallido ricordo dell’istituzione reale. In tal modo, si fa quasi luogo mitico, sede di avvenimenti disparati che vanno dalle storie d’amore agli omicidi, dalle lotte per la preminenza ai misteri più fitti e impenetrabili: si potrebbe parlare di un mito del campus. Tanto David Lodge quanto Malcom Bradbury hanno riflettuto a lungo sul rapporto romanzo-‐vita reale, cercando di problematizzare la questione e di mostrarla con chiarezza al lettore:
It is a total invention with delusory approximations to historical reality, just as is history itself. Not only does the university of Watermouth, which appears here, bear no relation to the real University of Watermouth (which does not exists) or to any other university; the year 1972, which also appears, bears no relation to the real 1972, which was a fiction anyway; and so on.3
Although some of the locations and public events portrayed in this novel bear a certain resemblance to actual locations and events, the characters, considered either as individuals or as members of institutions, are entirely imaginary. Rummidge and Euphoria are places on the map of a comic world which resembles the one we are standing on without corresponding exactly to it, and which is peopled by fragments of the imagination.4
Fatta questa premessa iniziale, che cos’è esattamente un campus novel? Si tratta di un genere, o meglio di un sottogenere, della forma romanzesca nato nel Regno Unito e negli Stati Uniti negli anni Cinquanta del Novecento e, da allora, particolarmente prolifico. Per quanto concerne l’area britannica, le sue origini si collocano nei vari momenti di riforma dell’istituzione universitaria a partire dalla metà del XIX secolo. Nel 1850, infatti, una serie di resoconti del governo inglese condanna i curricula delle due più grandi università, Oxford e Cambridge, come troppo classici e ormai superati, adatti solo alle esigenze delle classi sociali privilegiate. Così, due Reform Acts, rispettivamente nel 1854 e nel 1856, consentono l’accesso a Oxbridge a tutti gli studenti fuori dalla Chiesa inglese. Inoltre, questo movimento contro qualsiasi forma di esclusione conduce, nel 1879, all’ammissione delle donne, prima del tutto escluse dal sistema educativo, al Somerville College di Oxford5. In tal modo, si viene a
3 Malcom Bradbury, Author’s Note, in The History Man, London, Secker & Warburg, 1975. 4 David Lodge, Changing Places, in The Campus Trilogy: Changing Places, Small World, Nice
Work, London, Penguin, 2011, p.4.
5 Come fa notare Janice Rossen, l’esclusione delle donne dalla comunità universitaria,
nonostante gli atti di riforma e le possibilità di accesso al sistema educativo, trova una notevole risonanza nelle pagine delle campus novel. “There has been nothing else like the wholesale resistance to the admission of a particular, coherent group to the University in Britain, and this is part and parcel of the subject” scrive la Rossen. “The two facts are
creare una nuova situazione sociale pronta per essere assunta come materia di considerazioni narrative.
Reform brought new causes to urge, and a new cast of characters to add to the traditional rakes. With reform, it became more plausible to take an interest in the success of scholars; examinations halls became the scenes of triumphs and disasters in which good very neatly always triumphed over evil.6
Come i loro antecedenti inglesi, anche i campus novel americani si radicano nei grandi cambiamenti sociali e nella crescita industriale del XIX secolo, due fenomeni, questi ultimi, che destabilizzano fortemente e rimettono in discussione l’influenza culturale fino ad allora esercitata dalle istituzioni di alta formazione quali Harvard e Yale, portavoce del valore umanizzante della cultura.
The advance of industrial capitalism during the nineteenth century is another cause for the popular suspicion of the academy. The mechanical sciences which fathered and made this advance possible were eminently practical ones. It was engineering which laid the rails and built the bridges and designed the mills, not philosophy. And the money which engineering made possible was used to buy and sell engineers, so it was unlikely that the capitalist businessman should even respect the engineer when his knowledge brought him so little power.7
A questa prima fase di cambiamento, si deve aggiungere la rapida crescita delle università americane nel secondo dopoguerra, una crescita dovuta in inextricable – women got into the University, and women were bitterly opposed in their efforts to do so. The powerful initial resistance to their inclusion in the University would certainly have affected how they saw themselves and their place in that community for some time to come”. (Janice Rossen, The University in Modern Fiction: When Power is Academic, New York, St. Martin’s Press, 1993, p. 34).
6 Mortimer Robinson Proctor, The English University Novel, Berckeley, University of California
Press, 1957, p. 59.
7 John Lyons, The College Novel in America, Carbondale, Southern Illinois University Press,
gran parte alla necessità di assorbire i veterani e, successivamente, un numero sempre maggiore di persone, la cosiddetta baby-‐booming population. Addirittura, molte università cominciano a funzionare in loco parentis e danno origine a una vera e propria società nel campus, favorendo e promuovendo le relazioni tra gli studenti e tra gli studenti e il corpo docente.
Il campus diventa allora una sorta di microcosmo che rispecchia il mondo fuori e, nel contempo, cerca di opporvi un modello di ordine pur conservando una certa varietà e multiformità intrinseche, si fa quasi “ombelico del mondo”. In un certo senso, diventa sostituto effimero, metafora, visione di un ambiente esterno caratterizzato dalla dispersione urbana, da una costante frammentazione dello spazio, all’interno del quale il singolo, e nella fattispecie l’intellettuale, si sente alienato. Insomma, il campus è continuità e unità, laddove il mondo fuori è disordine e dispersione. E questo comporta vantaggi innegabili, soprattutto da un punto di vista estetico. Innanzitutto, come afferma David Lodge, il campus, in virtù delle sue dimensioni ridotte, permette di studiare più da vicino i conflitti e le forze sotterranee che presiedono allo sviluppo della vita collettiva nel senso più ampio del termine:
The University is a kind of microcosm of society at large, in which the principles, drives and conflicts that govern collective human life are displayed and may be studied in a clear light and on a manageable scale.8
Tutti i romanzi che scelgono come ambientazione l’università, leggono la società, le sue illusioni e disillusioni, in funzione del mondo studentesco, accademico e intellettuale visto come emblematico luogo di cultura, in cui è possibile produrre cultura e formarsi un punto di vista critico sulle dinamiche societarie e culturali.
In secondo luogo, il campus novel si avvale di uno schema temporale ben preciso. Il tempo accademico è, per così dire, compartimentalizzato, organizzato secondo griglie e calendari predeterminati, vacanze e rituali
stabiliti. Molti dei personaggi hanno addirittura nomi che alludono a questo sistema, come Annie Callendar in The History Man di Malcom Bradbury. Alcuni autori scelgono l’intero anno accademico, con la sua divisione in semestri e sottosemestri, come unità temporale entro i limiti della quale si sviluppa la vicenda romanzesca. Altri, invece, preferiscono concentrarsi su lassi di tempo più limitati, la prima settimana di corso oppure quel periodo che a Oxford è definito Schools, quando agli studenti è richiesto di portare a termine gli studi e sostenere gli ultimi esami prima della fine dell’anno. Si può, poi, proporre un’ulteriore suddivisione temporale e individuare un microlivello e un macrolivello. Il microlivello consta delle lezioni, delle ore di ricevimento e delle riunioni dipartimentali, mentre il macrolivello comprende le eventuali pause sabbatiche deputate alla ricerca. Carol Shields e Alison Lurie9sono tra le scrittrici che hanno scelto di parlare proprio dell’anno sabbatico, che può anche rivelarsi un momento di cambiamento, di svolta e di epifania joycianamente intesa.
E il cambiamento è fattore fondamentale in qualsiasi romanzo, soprattutto in quello accademico, dove l’ambientazione universitaria con i suoi rituali, le facoltà, le lauree e i corsi molteplici finisce per essere una struttura centripeta, ai limiti della rarefazione.
Academic time moves quickly. A college year is not really a year, lacking as it does three months. And it is endlessly divided into units which, at their beginning, appear larger than then they are – terms, half-‐terms, months, weeks. And the ultimate unit, the hour, is not really an hour, lacking as it does ten minutes.10
9 In Foreign Affairs (1984), Alison Lurie segue le vicende di Virginia Miner (Vinnie), professore
alla Corinth University, che decide di trasferirsi per un anno a Londra e proseguire le sue ricerche sulla letteratura per bambini. Carol Shields, invece, con il suo Swann: A Mistery (1987) si concentra su un gruppo di quattro individui che decidono d’investire un anno della loro vita per fare ricerche su una misteriosa poetessa canadese, Mary Swann, la quale ha giocato un ruolo fondamentale nelle loro vite, lasciando un segno indelebile.
10 Lionel Trilling, Of This Place, Of That Time, and Other Stories, New York-‐London, Harcourt
Come ben spiegato da Trilling, a differenza dello spazio, il tempo non è connotato da rarefazione e immobilità. Tutto il contrario. L’anno accademico risulta dalla combinazione di un principio ciclico, ossia la facoltà e l’istituzione universitaria che ricomincia ogni hanno nello stesso momento, con un principio lineare, rappresentato dagli studenti sempre nuovi e sempre in movimento. Stando alle parole di Hazard Adams, “the solar cycle of academic
life balances the linear progression of the academic career”11. La metafora temporale delle quattro stagioni, allora, con la sua forza icastica, si rivela perfetta per illustrare questa duplice natura del tempo accademico, parimenti ciclico e mutevole. In questa prospettiva, il trimestre autunnale o fall quarter, è il periodo della speranza: ricomincia un ciclo e gli studenti fanno ritorno al campus portandosi dietro un bagaglio carico di aspettative e buoni propositi.
Now it is the autumn again; the people are all coming back. The recess of summer is over, when holidays are taken, newspapers shrink, history itself seems momentarily to falter and stop. But the papers are thickening and filling again; things seems to be happening; back to Corfu and Sète, Positano and Liningrad, people are parking their cars and campers in their drives and opening their diaries, and calling up other people on the telephone […] Everywhere there are new developments, new indignities; the intelligent people survey the autumn world, and liberal and radical hackles rise, and fresh faces are about, and the shine shines fitfully, and the telephones ring.12
L’inverno o winter quarter è solitamente associato all’introspezione. Ormai il fermento, le tensioni e le passioni autunnali hanno lasciato il posto allo studio individuale, alla fuga e al rifugio nel caldo conforto della ricerca.
11 Adams Hazard, The Academic Tribes, Urbana-‐Chicago, University of Illinois Press, 1988, p.
82.
The snow had only just dropped, and in the court below my rooms all sounds were dull […]. It was scorchingly hot in front of the fire and warm, cosy, shielded, in the zone of the two armchairs and the sofa which formed an island of comfort round the fireplace. Outside that zone, as one went towards the walls of the lofty medieval room, the draughts were bitter […]. So that, on a night like this, one came to treat most of the room as the open air, and hurried back to the cosy island in front of the fireplace, the pool of light from the reading lamp on the mantelpiece, the radiance which was more pleasant because of the cold hair which one has just escaped.13
Ma ben presto la primavera giunge a turbare questo “cosy exile”. È il momento del risveglio, il corpo studentesco entra in fermento per l’avvicinarsi degli esami e l’amministrazione riprende la sua attività a pieno ritmo. Ci si sta preparando all’arrivo dell’estate, di cui l’euforia e l’eccitazione sono le cifre distintive. Niente più lezioni, niente più esami, niente più scadenze da rispettare, al loro posto subentrano le cerimonie di consegna dei diplomi, le feste di laurea, i ritrovi studenteschi e il chiassoso brulicare di studenti che preparano quelle stesse valige, che avevano riportato al campus in autunno, e partono alla volta di nuove avventure, magari meno intellettuali, ma altrettanto formative.
1.2. Comedy or seriousness? Comedy and seriousness?
La questione del tono nel campus novel.
Se tutti i campus novel sono caratterizzati da un cronotopo14ben preciso e facilmente individuabile, derivante dalla fusione del microcosmo campus con uno schema temporale scandito da rituali predeterminati e organizzato ciclicamente al pari delle stagioni, ciò che li distingue gli uni dagli altri è la scelta del tono. Quest’ultimo è centrale nel romanzo accademico, poiché si tratta di un aspetto che non è mai rimasto costante e immutato, ma ha sempre subito l’influenza delle condizioni storiche che si sono presentate negli anni e delle ripercussioni che le stesse hanno avuto sul sistema educativo.
In generale, molti ritengono che la maggior parte dei campus novel siano comico-‐satirici. La questione, però, appare più complessa, soprattutto se si considera che un romanzo comico non è necessariamente anche satirico e viceversa, un romanzo satirico non è, per forza di cose, anche comico. Inoltre, spesso dietro la comicità o la satira si nascondono intenti seri, che possono volgere quella stessa comicità o satira apparenti in tragedia. Non si può, infine, escludere una componente celebrativa della vita universitaria. A tal proposito, per comprendere appieno la varietà di tono e le sue molteplici sfumature, è opportuno proporre un excursus dello sviluppo del campus novel dagli anni cinquanta del Novecento a oggi, avvalendosi anche dell’ottima prospettiva adottata dalla studiosa Elaine Showalter15, che assegna a ogni
14 Il concetto di cronotopo, elaborato da Michail Bachtin, risulta perfettamente calzante in
relazione all’organizzazione del tempo e dello spazio nel campus novel, come illustrato nel paragrafo 1.1. Scrive Bachtin: “Chiameremo cronotopo (il che significa letteralmente «tempospazio») l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente […]. A noi interessa che in questo termine sia espressa l’inscindibilità dello spazio e del tempo. Il cronotopo è da noi inteso come una categoria che riguarda la forma e il contenuto della letteratura […]. Nel cronotopo letterario ha luogo la fusione dei connotati spaziali e temporali in un tutto dotato di senso e di concretezza.” (Michail Bachtin, “Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo”, in Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979, p. 231).
15 Elaine Showalter, Faculty Towers. The Academic Novel and Its Discontents, Philadelphia,
epoca una torre di materiale diverso per illustrare con efficacia visiva lo status dell’università in una data epoca.
Come già accennato, tutto comincia negli anni Cinquanta del Novecento, il periodo delle Ivory Towers. Il campus novel mette in scena una società ristretta con le proprie regole e le proprie tradizioni, separata dal mondo esterno, visto come gretto e intellettualmente povero. È un mondo comodo e accogliente, “womblike”, seppure a tratti soffocante. La fedeltà e la lealtà dei docenti vanno all’università nella sua interezza, nel suo essere un’istituzione di grande prestigio, che consente loro di costruirsi una posizione intellettuale rispettabile. Insomma, il tono è visibilmente celebrativo, come appare chiaro in The Masters (1951) di Charles Percy Snow, uno dei primi campus novel. Qui, l’autore prende le mosse dalla convinzione che la vita a Oxbridge sia la più felice che un individuo possa desiderare. Cambridge è presentata alla stregua di un santuario, un luogo isolato nel quale i docenti sono serviti e riveriti da una servitù attenta e discreta, protetti dalla confusione e dai disordini che stanno al di fuori delle mura.
Everyone, inside and out, took it for granted that the academic life was a valuable one to live. […] For many it was a profound comfort to be one of a society completely sure of itself, completely certain of its values, completely without misgivings about whether it was living a good life. […] The college was the place where men lived the least anxious, the most comforting, the freest life.16
Paradossalmente, gli anni Cinquanta sono anche il decennio in cui hanno visto la luce i romanzi accademici più divertenti e connotati da una satira pungente.
Lucky Jim (1954) di Kingsley Amis si distingue, innanzitutto, per
un’ambientazione alternativa: il lettore non si ritrova più a passeggiare nei corridoi delle illustri Oxford e Cambridge, ma in quelli di una semplice università di provincia, il cosiddetto redbrick college. Il professore, lungi
dall’essere una figura rispettabile e di una certa levatura culturale, è un ipocrita compassato e borioso, che si crede superiore a qualsiasi problema di ordine pratico e la cui fiducia in se stesso non è altro che vuota compiacenza. La presunzione, sua nota distintiva, finisce per accordarsi alla perfezione con la sua insignificanza e vacuità morale. È significativo notare che Lucky Jim ha aperto la strada a molti romanzi accademici successivi, così come, in area americana, un ruolo di guida è assunto da The Groves of Academe di Mary McCarthy e Pictures form an Institution di Randall Jarrell, entrambi riflessioni sui fallimenti di generazioni perdute dietro il miraggio di una formazione umanistica capace di migliorare l’esistenza e la capacità di resistenza civile e morale delle persone.
Il 1960 inaugura un decennio burrascoso a livello storico, ma non nelle pagine dei campus novel, dominate dalle Tribal Towers. Non si fa menzione diretta di fatti di grande impatto storico-‐sociale quali la guerra in Vietnam, le proteste politiche, il Civil Rights Movement, la rivoluzione sessuale, il Women’s Movement, etc., anche se tracce di questi sconvolgimenti sono pur sempre visibili in controluce e riconducibili alle dinamiche interne all’ambiente universitario. Il romanzo accademico degli anni Sessanta volge lo sguardo con nostalgia al passato, a un’epoca non tormentata dai disordini sociali e, così facendo, registra un profondo malcontento, un senso d’infelicità e disillusione. Inoltre, gli autori tendono a focalizzarsi non più sull’università come istituzione, ma sul solo dipartimento angloamericano, il quale diventa una sorta di tribù, un’entità etnografica all’interno della quale si dà voce all’insoddisfazione dilagante, alla consapevolezza che il campus non può più essere inteso come un hortus conclusus, immune da influenze esterne. A questo cambiamento contenutistico corrisponde, ovviamente, un cambiamento di tono: non c’è più traccia di ammirazione ed elogio della vita accademica. Al contrario, il tono si fa più acerbo, più schietto e il mondo universitario è letto in chiave darwiniana, presieduto cioè dalla lotta per il potere e la sopravvivenza. Non a caso, in questa atmosfera quasi “tribale”, si riscontra un’attenzione particolare al côté freudiano delle dinamiche
universitarie, ossia alle proiezioni edipiche su un posto di preminenza: si è pronti a fare di tutto, persino a calpestare gli amici, pur di assicurarsi un posto sicuro all’università. Esemplare di questo filone è il romanzo Stepping
Westward (1965) di Malcom Bradbury, che segue le vicende di James Walker,
insegnante di scrittura creativa alla Benedict Arnold University in America. Scelto dall’università perché rappresentante della generazione degli Angry Young Men17 e, dunque, dei nuovi ideali liberali, in realtà si rivela un trentenne irritabile, del tutto inadeguato a ricoprire un ruolo di primaria importanza come quello che gli è stato assegnato. Per questo, sarà sfidato da altri individui ben più ambiziosi e decisi a farsi valere per soffiargli il posto tanto agognato.
Bisogna attendere gli anni Settanta perché il campus novel cominci a esplorare in concreto il panorama politico in subbuglio del decennio precedente. Nonostante ciò, l’influenza del Women’s Movement è sempre minimizzata, se non del tutto ignorata. Il femminismo fa la sua comparsa sul palcoscenico della vita accademica in sordina, in modo esitante e indiretto. Permane una certa refrattarietà nei confronti delle donne come parte attiva di un mondo intellettuale a prevalenza maschile. Eppure, al di là di queste sacche di resistenza, l’università cessa di essere un rifugio, un luogo a se stante e diventa un tassello fondamentale di una società in continuo mutamento. Da fortezza si fa istituzione fragile, dai confini permeabili, finalmente pronta ad aprirsi a possibilità d’innovazione nel campo della ricerca e dell’insegnamento, ma anche vulnerabile e messa a dura prova dal sopraggiungere di forze esterne che potrebbero minarne la confortante struttura tradizionale. Gli autori, allora, propendono per un tono pungente, disincantato e riflessivo e, talora, si abbandonano a pesanti critiche degli
17 L’espressione, il cui significato letterale è “giovani arrabbiati”, è tratta dalla commedia di
John Osborne Look Back in Anger (1956). È stata adottata in Inghilterra per indicare un gruppo di scrittori rivelatisi nel 1950-‐60 accomunati dalla forte protesta contro l’establishment culturale e sociopolitico. Tale movimento conta tra le sue file personalità quali Harold Pinter, Kingley Amis e John Braine.
eccessi degli anni Sessanta. E che cosa può esserci di meglio se non delle Glass
Towers per illustrare questa svolta, questa duplicità? L’architettura stessa
delle università sostituisce il “redbrick” con il “plate glass”, ossia il vetro laminato: la cosiddetta “glass house”
[…]is the home of innovation, progress, imagination; but it is transparent and easily shattered […] In the novels of the 70s, glass becomes a mirror for the new academic self.18
Agli spazi chiusi e introspettivi della vecchia Oxbridge si sostituiscono i grandi spazi aperti delle nuove università, che abbattono o, quantomeno, cercano di abbattere le barriere tra uomini e donne, tra lavoro e studio, tra corpo e mente. Allo stesso tempo, però, coloro che vivono nelle “glass houses” non possono nascondersi e il vetro finisce per essere anche un’arma, riflette un’ambivalenza, un senso d’incertezza e di paura nei confronti dei cambiamenti in atto nell’ambiente universitario. The History Man (1975) di Malcom Bradbury è una delle accuse più dure mai rivolte a quelli che l’autore considera gli aspetti più beceri delle agitazioni degli anni Sessanta-‐Settanta, nella fattispecie il femminismo radicale, la liberazione sessuale, il radicalismo di sinistra, etc. La Watermouth University, con le sue aule denominate Hobbs, Kant, Marx, Hegel, Toynbee e Spengler, è emblema della nuova università all’avanguardia, che sembra non essere nemmeno una vera università, il campus addirittura è:
[…] one of those dominant modern environments of multifunctionality that modern man creates: close it down as a university, a prospect that seemed to become increasingly possible as the students came to hate the world, and the world of university, and you could open it again as a factory, a prison, a shopping precinct.19
18 Elaine Showalter, Op. cit., p. 50. 19 Malcom Bradbury, Op. cit., p. 65.
Un’ulteriore svolta si ha negli anni Ottanta, quando si assiste all’istituzionalizzazione della critica letteraria e dei women’s studies. In particolare, la teoria letteraria viene considerata requisito fondamentale per la legittimità intellettuale e professionale ed è alla base dello “star system” universitario, che comincia a formarsi proprio in questo periodo. Molte università, infatti, entrano in competizione per assicurarsi i servigi di rinomati teorici della letteratura e aggiudicarsi, così, l’etichetta di “università prestigiosa”. Il decennio vede anche la timida entrata in scena delle donne, che si presentano come validi candidati per incarichi che conferiscano loro uno status pari a quello degli uomini. A buon diritto, si parla allora di Feminist
Towers, benché il ruolo femminile sia sempre circondato da un alone di
scoraggiamento, come a dire che le donne, per quanto brillanti e capaci, non potranno mai essere rese partecipi delle gioie accademiche tanto quanto gli uomini. Tale consapevolezza è espressa con un tono di amara rassegnazione, d’ironia tragica e d’inevitabile accettazione. Romanzi quali Death in a Tenured
Position (1981) di Carolyn Hallburn, Foreign Affairs (1984) di Alison Lurie e Swann: A Mystery (1987) di Carol Shields, sono tutti scritti da donne, eppure
la donna non sembra ottenere lo stesso statuto identitario dell’uomo. Janet Mandelbaum (Death in a Tenured Position), è la prima docente donna ad Harvard e viene trovata morta nella vasca da bagno, quasi una punizione per aver tentato di fare la parte dell’uomo. Virginia “Vinnie” Miner (Foreign
Affairs) è vista come una sorta di Cenerentola, nubile e interessata a un
ambito letterario del tutto minore qual è quello della letteratura per l’infanzia. Infine, Sarah Maloney (Swann: A Mystery), docente femminista di letteratura inglese, è una donna di successo, ma mostra una certa irrequietezza nei confronti dell’ambiente accademico, delle falsità e dei sotterfugi che lo caratterizzano. È pronta a mettersi in gioco, è per natura una vincitrice, ma, semplicemente, non vuole giocare e, quindi, non vuole vincere.
Arriviamo, così, agli anni Novanta, l’epoca delle Tenured Towers. Il campus
novel perde qualsiasi traccia d’idealismo, poiché l’università è ormai diventata