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Valutazione di un metodo immunonefelometrico per la determinazione della transferrina carboidrato carente (CDT).

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Università degli studi di Pisa

Facoltà di medicina e chirurgia

Scuola di Specializzazione in Patologia Clinica

Valutazione di un metodo immunonefelometrico diretto per la

determinazione della transferrina carboidrato carente (CDT)

Relatore: Ch.mo Prof.re Marco Mori

Relatore esterno: Ch.mo Prof.re Gialuigi Devoto

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INDICE

1. Introduzione

... 4

1.1.Definizione: le caratteristiche della sostanza alcol... 4

1.2.Assorbimento, metabolismo ed eliminazione...5

2. Conseguenze dell'abuso di alcol sull'organismo del singolo induviduo

e sulla società

...10

3. Morti e malattie alcol-correlate: la dimensione del fenomeno nel

mondo, in Europa e in Italia

...15

3.1.Consumi europei e nazionali di bevande alcoliche...16

4. Diagnosi dell'abuso alcolico

...18

5. La transferrina

...21

5.1.Struttura e funzioni...21

5.2.Origine...21

5.3.Eterogeneità...21

6. Definizione di transferrina carboidrato carente – Carbohydrate

deficient transferrin (CDT)

...24

6.1.Meccanismi fisiopatologici dell'incremento alcol-indotto della CDT...25

7. Impiego della CDT

...27

8. Determinazione della CDT

...28

(3)

8.2.Fase analitica...29

8.3.Importanza della standardizzazione dei risultati...33

8.4.Fase post-analitica...35

9. Interpretazione dei dati

...36

9.1.Considerazioni sull'interpretazione dei risultati...36

9.2.Efficienza diagnostica della CDT...38

9.3.Selezione dei valori di cut-off...39

10. Scopo dello studio

...40

10.1.Materiali e metodi...40

10.2.Prima parte dello studio...41

10.2.1.Casistica clinica...41

10.2.2.Metodi analitici impiegati...41

10.2.3.Risultati...46

10.2.4.Valutazione dell'impatto organizzativo...48

10.2.5.Discussione...49

10.3.Seconda parte dello studio...51

10.3.1.Casistica clinica...51

10.3.2.Metodi analitici impiegati...51

10.3.3.Risultati...55

10.3.4.Valutazione dell'impatto organizzativo...58

10.3.5.Discussione...58

11.Conclusioni

...60

(4)

1. INTRODUZIONE

1.1.Definizione: le caratteristiche della sostanza alcol

L’etanolo, non essendo una sostanza nutriente, come invece sono gli zuccheri, i grassi, le proteine, le vitamine e i sali minerali, non può essere considerato un alimento. Infatti, pur apportando una cospicua quantità di calorie (l’equivalente calorico di un grammo di alcol o potere calorico è pari a 7 Kcal, inferiore solo ai grassi), non può essere ultilizzato dall'organismo né per la formazione dei tessuti, né per il lavoro muscolare, ma soltanto per il cosiddetto metabolismo basale (il metabolismo che rende possibile le funzioni essenziali dell’organismo in condizioni di riposo). Questo riduce il consumo degli zuccheri e dei depositi di grassi dell’organismo normalmente utilizzati a tale scopo. Per questo motivo l’alcol, se assunto in grande quantità, favorisce il sovrappeso (1,2).

La quantità di alcol etilico contenuto in una bevanda si misura, come viene riportato sull’etichetta del contenitore, in gradi alcolici, detti più comunemente gradi (°). I gradi rappresentano la percentuale di alcol sul volume della bevanda (precisamente i ml di alcol contenuti in 100 ml di bevanda alcolica). Per ottenere i grammi di alcol in 100 ml è sufficiente moltiplicare tale valore per 0.8 (3,4,5).

L’alcol è una sostanza estranea all’organismo, non essenziale, ad azione tossica per molti organi ed apparati (in particolare fegato, sistema nervoso centrale ed apparato cardiocircolatorio), classificato dall’IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) fra le sostanze cancerogene per l’uomo e dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) fra le droghe. Esso, infatti, ha un potere psicoattivo, perchè va ad agire sul cervello dell’uomo modificandone il comportamento, influenzando in particolar modo le capacità di attenzione e di concentrazione ed i tempi di reazione agli stimoli (6,7,17). Una sua eccessiva assunzione (abuso), protratta nel tempo, induce assuefazione o tolleranza, con una conseguente necessità di aumentare la dose ingerita per ottenere lo stesso effetto, e dipendenza di tipo fisico e psichico che si traduce in un bisogno invincibile di ricorrere all’alcol con effetti negativi per lo stile di vita della persona che ne fa uso e problematiche anche familiari e sociali (8).

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1.2.Assorbimento, metabolismo ed eliminazione

L'alcol ingerito passa nel sangue in parte a livello dello stomaco (20%), ma soprattutto a livello del primo tratto dell'intestino (80%). La velocità di questo processo, detto assorbimento, è molto rapida (l’alcol è riscontrabile nel sangue dopo soli cinque minuti dall'ingestione e raggiunge il picco massimo dopo 30 min. - 1 ora), ma è influenzata da diversi fattori: aumenta se si è a stomaco vuoto, se le bevande sono ad alta gradazione (superalcolici), se l’alcol è ingerito rapidamente, se si assumono bevande “gassate” o “frizzanti” contenenti anidride carbonica, mentre è più lento se si è a stomaco pieno (soprattutto dopo un pasto ad alto contenuto di grassi), se le bevande sono a bassa gradazione e se si beve lentamente, non vuotando di colpo il bicchiere (1,2,4,5).

Trasportato dal sangue, l'alcol raggiunge, diffondendo velocemente ed uniformemente nei liquidi corporei grazie alla sua solubilità in acqua, tutti gli organi e i tessuti del nostro corpo, sebbene in tempi diversi: dopo 10-15 minuti arriva al fegato, al cervello, al cuore e ai reni, dopo circa un'ora ai muscoli e al tessuto adiposo. Questo tipo di distribuzione è uno dei meccanismi fondamentali della diversa tolleranza all’alcol nei diversi individui, nei diversi sessi e nelle diverse condizioni (1,5).

Poiché non esistono per l’alcol possibilità di deposito nell’organismo, esso deve essere rapidamente trasformato in altre sostanze meno nocive, che vengono infine eliminate. Il 90-95% della quantità di etanolo assunta viene metabolizzata a livello epatico, la rimanente parte a livello del tratto digerente, ed in particolare nello stomaco, del rene, dei polmoni e dei muscoli (1,5). Per tutti il principale meccanismo metabolico è l’ossidazione ad opera di enzimi deidrogenasici. Una volta ingerito l’alcol arriva allo stomaco dove entra in azione un' alcol deidrogenasi, simile a quella epatica. Questa è situata sulla superficie della mucosa di tutto il tratto gastroenterico ma con massima concentrazione gastrica e costituisce quindi una prima barriera all’assorbimento di questa sostanza, riducendone la quantità che penetra nel circolo sistemico. L' enzima risulta presente in una concentrazione minore, circa la metà, nella donna rispetto a quella dell'uomo; per questo la donna non può assumere le stesse quantità di alcol dell’uomo ma circa un 50% in meno (6).

La quantità di alcol assorbita arriva al fegato dove viene metabolizzata da tre sistemi enzimatici diversi.

(6)

Il primo e più importante vede coinvolte due deidrogenasi: alcol deidrogenasi e aldeide deidrogenasi. Questo sistema, localizzato nel citosol, metabolizza circa il 90% della dose di alcol che arriva al fegato. La prima reazione trasforma l’alcol in acetaldeide con liberazione di idrogeno e consumo di NAD+; la seconda trasforma l’acetaldeide in acetato con liberazione di H+ e ancora consumo di NAD+.

Queste due ossidazioni come abbiamo visto portano allo sbilanciamento del rapporto NAD+/NADH e all’eccesso di H+ all’interno della cellula. Tra le conseguenze vi è l' aumento dell’acidità dell’ambiente contro cui la cellula mette in atto una serie di misure: la via metabolica che dal piruvato porta alla formazione di glucosio viene bloccata ed il piruvato è trasformato in lattato. Questa inversione metabolica porta ad alcune importanti conseguenze, in particolare all’ipoglicemia che assume particolare importanza nell’intossicazione acuta. La malnutrizione che spesso si associa in questi pazienti non fà altro che diminuire le riserve glucidiche. A dosi elevate di etanolo sono sufficienti 14-16 ore di digiuno per avere una ipoglicemia sintomatica. L’eccesso di acido lattico intracellulare può inoltre provocare acidosi lattica interferendo con l’escrezione renale degli acidi ed in particolare dell’acido urico, provocando la comparsa di gotta.

Anche l’ossidazione degli acidi grassi viene compromessa perchè gli H+ in eccesso entrano nei mitocondri dove vengono utilizzati in alternativa agli H+ prodotti dal metabolismo degli acidi grassi. Questa via viene quindi bloccata e si crea un eccesso di grassi che si depositano nel fegato creando steatosi e dando il via al danno epatico da alcol. Questo dimostra come l’assunzione di alcol provochi alterazioni sia a livello del metabolismo degli acidi grassi che di quello degli zuccheri.

Il secondo sistema è rappresentato dagli enzimi microsomiali o MEOS, costituito in maggioranza da una NADPH-ossidasi. Il citocromo P4502E1 ha un’alta affinità per l’alcol che viene anche in questo caso trasformato in acetaldeide e acqua. Questo enzima, essendo anche deputato al metabolismo di alcuni farmaci quali ad esempio il paracetamolo, se eccessivamente stimolato porta ad importanti influenze anche sul metabolismo di questi farmaci. I pazienti etilisti risultano infatti maggiormente sensibili a questi tipi di sostanze, fino a mostrare gravi danni epatici anche a dosi normalmente terapeutiche. Il MEOS è un sistema inducibile quindi capace di aumentare la sua attività in caso di aumentata richiesta; negli alcolisti infatti la sua funzione può aumentare di

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2-3 volte per eliminare tutto l’alcol presente. Il CitP-450 e in generale la catena respiratoria mitocondriale se stimolate in eccesso o in condizione di carenza di sostanze antiossidanti, come avviene nell’etilismo cronico, producono nella cellula un accumulo di radicali liberi capaci di causare gravi alterazioni nella permeabilità di membrana, nei segnali intracellulari e nella sintesi proteica (6).

L’ultimo sistema metabolico dell’alcol, che però partecipa solo in minima parte è rappresentato da una catalasi che porta alla formazione di acetaldeide (6).

.

Figura 1: schema riassuntivo delle modificazioni metaboliche indotte dall’alcol (6).

Va sottolineato, però, che lo stomaco metabolizza l’etanolo prima ancora del suo passaggio nel sangue, mentre il fegato agisce solo dopo il suo ingresso nell’organismo. Ciò fa sì che l’etanolo, fino a quando il fegato non ne ha completato la trasformazione, continui a circolare, a distribuirsi nei vari organi ed ad esercitare i suoi effetti sull’organismo (5,7).

La velocità con cui il fegato riesce a rimuovere l'alcol dal sangue varia da individuo ad individuo; in media il fegato è in grado di rimuovere fino a 0.5 Unità Alcoliche (U.A.) per ogni ora ovvero è capace di smaltire 1/2 bicchiere di una qualsiasi bevanda alcolica all’ora circa.

Si definisce Unità Alcolica (U.A.) una quantità di alcol pari a circa 12 grammi di etanolo.

Considerati i tempi fisiologici del metabolismo dell’alcol è dunque raccomandabile non concentrare in breve tempo il consumo di bevande alcooliche onde evitare di “saturare”

(8)

lo specifico sistema di rimozione dal sangue.

Da ultimo, la residua quota di etanolo (2-10%) che non è stata metabolizzata dal fegato ed i prodotti derivanti dal metabolismo vengono eliminati attraverso il sudore, i polmoni con l’aria espirata ed il filtro renale con l' urina.

Sulla base di queste modalità di eliminazione vengono realizzati i test non invasivi (palloncino) che consentono, con l’impiego di apposite apparecchiature (etilometro), di valutare la concentrazione di alcol presente nel sangue (alcolemia), che si misura in grammi per litro (g/l) di sangue (5).

Figura 2: vie di eliminazione dell'etanolo nell'organismo (10).

Secondo le Linee guida per una sana alimentazione dell’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), in accordo con le raccomandazioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), la dose quotidiana di alcol che una persona in buona salute può assumere e smaltire senza “saturare lo specifico sistema di rimozione dell’alcol dal sangue ed incorrere in gravi danni per il suo organismo non può essere rigidamente definita a priori, poiché dipende da numerose variabili individuali (5). Le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) indicano un “consumo moderato” giornaliero entro 2-3 unità alcoliche per l’uomo adulto, di 1-2 unità per la donna adulta e di 1 sola unità alcolica per gli anziani. Chi eccede tali soglie può considerarsi potenzialmente a rischio. Inoltre, la tollerabilità all’alcol può essere

ETANOLO Respiro 0,7% Sudore 0,1% Urine 0,3% Metabolismo 90% Prodotti del metabolismo Urine

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compromessa anche da condizioni di salute, assunzione di farmaci o altri fattori individuali. Sempre per l’Oms, è da considerare a “basso rischio” il consumo giornaliero durante i pasti principali che non supera i 20-40 grammi per gli uomini e 10-20 grammi per le donne (11).

Viene raccomandata l’astensione totale dal consumo di alcol per i bambini, gli adolescenti fino a 16 anni, le donne in gravidanza e durante l’allattamento (1,4,5,7,9,12).

Ricordiamo che una riduzione delle soglie e, a seconda dei casi, anche una astensione totale viene raccomandata per le persone con problemi di salute (ad esempio i malati di fegato) o che assumono farmaci.

I consumi che superano le soglie indicate dovrebbero perciò essere considerati potenzialmente a rischio.

(10)

2.CONSEGUENZE DELL'ABUSO DI ALCOL SULL'ORGANISMO

DEL SINGOLO INDIVIDUO E SULLA SOCIETA'

Dal consumo non moderato di alcol derivano molte conseguenze dannose per il singolo individuo (danni fisici e psichici), per le persone che lo circondano e per tutta la società (13). Sembra emergere l'ipotesi che l'elevato consumo potrebbe condurre ad una diminuzione dell'aspettativa di vita nei paesi con i consumi più elevati (14). L’alcol agisce praticamente su tutti gli organi del corpo umano, determinando solitamente nel caso di assunzioni episodiche i cosiddetti effetti acuti che sono a rapida insorgenza ed hanno breve durata e, nel caso di assunzioni prolungate i cosiddetti effetti cronici che invece persistono nel tempo. È comunque importante notare che talora anche le assunzioni episodiche eccessive (binge drinking: consumo di 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione) possono determinare conseguenze a lungo termine sulla salute dell’individuo (11).

A) Effetti Acuti

Gli effetti acuti dell'alcol sull'organismo umano variano notevolmente da persona a persona in quanto dipendono dalla concentrazione che l’alcol raggiunge nel sangue (alcolemia), a sua volta determinata da molteplici fattori:

• la quantità di alcol ingerita: per la cui valutazione devono essere considerati sia il volume sia la gradazione del tipo di bevanda alcolica assunta;

• la modalità di assunzione seguita: regolarmente in quantità moderate ai pasti oppure irregolarmente in quantità eccessive e fuori pasto;

• il peso;

• la composizione corporea: in particolare la percentuale di acqua corporea influenza la distribuzione dell’alcol nei vari organi e tessuti perché l’etanolo diffonde proprio nell’acqua;

• il sesso: le donne, avendo rispetto all’uomo un peso minore, minori quantità di acqua corporea e minore efficienza dei meccanismi di metabolizzazione dell’alcol, sono più vulnerabili ai suoi effetti e, a parità di consumo, presentano un’alcolemia più elevata;

• l’età: ad esempio nell’adolescenza e nella giovinezza fino ai 18 - 20 anni si riscontra

una relativa immaturità dei sistemi di smaltimento dell’alcol, mentre sopra i 65 anni la loro efficienza diminuisce in maniera significativa. In queste fasce di età gli individui

(11)

sono, dunque, maggiormente esposti agli effetti nocivi dell’alcol rispetto all’età adulta;

• fattori genetici: ridotta efficienza dei sistemi enzimatici del fegato in alcuni gruppi

etnici;

• la presenza di malattie o di condizioni psico-fisiche che riducono la capacità individuale di metabolizzare l’alcol;

• lo stato della parete di rivestimento dello stomaco: ad esempio in caso di gastrite l’aumentato flusso ematico e le lesioni alla parete connessi con il processo infiammatorio favoriscono il passaggio nel sangue o assorbimento dell’alcol);

• l’abitudine all’alcol;

• l’assunzione di farmaci anche di uso comune: es. aspirina ed altri antinfiammatori, antistaminici, antibiotici, anticoncezionali, farmaci per il sistema nervoso quali gli ipnotici ed altri, antipertensivi, anticoagulanti. Poiché molti di questi farmaci vengono metabolizzati nel fegato dagli stessi enzimi responsabili del metabolismo dell’alcol, l’assunzione di bevande alcooliche insieme ad essi rallenta lo smaltimento tanto dell’alcol quanto dei farmaci assunti, con conseguenti fenomeni di sovradosaggio e reazioni indesiderate talvolta anche molto gravi (9).

In generale, comunque, nonostante questa elevata variabilità individuale, si può affermare che all'aumentare delle dosi di alcol assunte gli effetti e le sensazioni che compaiono con maggiore frequenza sono indicati in tabella 1 (15).

Concentrazione di alcol nel sangue (g/l)

Numero di U.A. ingerite a stomaco

pieno in uomo adulto di 70 kg

Sensazioni più frequenti Effetti progressivi e abilità compromesse 0 □ NESSUN bicchiere di vino (12°) □ NESSUN boccale/lattina di birra normale (5°) □ NESSUN bicchierino di superalcolico di media gradazione (45°) Nessuna Nessuna 0.1-0.2 □ 0,5 - 1 bicchiere di vino (12°) □ 0,5 -1 boccale/lattina di birra normale (5°) □ 0,5 – 1 bicchierino di superalcolico di media gradazione (45°) Iniziale sensazione di ebbrezza. Iniziale riduzione delle inibizioni e del controllo.

Affievolimento della vigilanza, attenzione e controllo. Iniziale riduzione del coordinamento motorio. Iniziale riduzione della visione laterale. Nausea 0.3-0.4 □ 2 - 2,5 bicchieri di vino

(12)

□ 2- 2,5 boccali/lattine di birra normale (5°) □ 2 bicchierini di superalcolico di media gradazione (45°)

del controllo e della percezione del rischio.

controllo. Riduzione del coordinamento motorio e dei riflessi. Riduzione della visione laterale. Vomito 0.5 g/l : LIMITE LEGALE DEL TASSO ALCOLEMICO PER LA GUIDA

0.5-0.8 □ tra 3 e 5 bicchieri di vino (12°) □ tra 3 e 5 boccali/lattine di birra normale (5°) □ tra 3 e 5 bicchierini di superalcolico di media gradazione (45°) Cambiamenti dell’umore. Nausea, sonnolenza. Stato di eccitazione emotiva

Riduzione della capacità di giudizio. Riduzione della capacità di individuare oggetti in movimento e della visione laterale. Riflessi alterati. Alterazione delle capacità di reazione agli stimoli sonori e luminosi. Vomito 0.9-1.5 □ tra 6 e 10 bicchieri di vino (12°) □ tra 5 . e 9 boccali/lattine di birra normale (5°) □ tra 5 e 9 bicchierini di superalcolico di media gradazione (45°) Alterazione dell’umore. Rabbia. Tristezza. Confusione mentale, disorientamento. Compromissione della capacità di giudizio e di autocontrollo. Comportamenti socialmente inadeguati. Linguaggio mal articolato. Alterazione dell’equilibrio. Compromissione della visione, della percezione di forme, colori, dimensioni. Vomito 1.6-3.0 □ tra 10 . e 20 bicchieri di vino (12°) □ tra 10 e 18. boccali/lattine di birra normale (5°) □ tra 9. e 17. bicchierini di superalcolico di media gradazione (45°) Stordimento. Aggressività. Stato depressivo. Apatia. Letargia. Compromissione grave dello stato psicofisico. Comportamenti aggressivi e violenti. Difficoltà marcata a stare in piedi o camminare.

Stato di inerzia generale. Ipotermia. Vomito 3.1- 4.0 □ tra 20. e 26 e . bicchieri di vino (12°) □ tra 19 e 25 boccali/lattine di birra normale (5°) □ tra 18 e 23. bicchierini di superalcolico di media gradazione (45°)

Stato di incoscienza. Allucinazioni. Cessazione dei riflessi. Incontinenza. Vomito. Coma con possibilità di morte per soffocamento da vomito.

Oltre 4 □ oltre 27 bicchieri di vino (12°) □ oltre 25. boccali/lattine di birra normale (5°) □ oltre 24 bicchierini di superaloolico di media gradazione (45°) Difficoltà di respiro, sensazione di soffocamento. Sensazione di morire

Battito cardiaco rallentato. Fame d’aria. Coma. Morte per arresto respiratorio

Tabella 1: I principali sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica - La

seconda colonna indica la quantità di bevande alcoliche (in numero di U.A. o “bicchieri”) corrispondente ai vari livelli di alcolemia nel caso di consumo a stomaco pieno da parte di un uomo adulto, sano e del peso di 70Kg (15).

Gli incidenti stradali causati da guida in stato di ebbrezza, spesso mortali, rappresentano purtroppo solo una delle situazioni di rischio a cui il consumo non moderato di alcol

(13)

espone il singolo individuo e la comunità di appartenenza; gli altri sono rappresentati da: incidenti domestici, omicidi, suicidi, infortuni sul lavoro, violenze familiari, maltrattamento dei minori, episodi di criminalità, aumentata probabilità di comportamenti sessuali a rischio e di conseguenza esposizione a malattie sessualmente trasmissibili e infezioni da HIV, ecc) (9,16).

B) Cronici

Le persone che sono solite bere quantità di alcol superiori alla capacità di smaltimento dell'organismo si espongono a gravi rischi per la salute. L'assunzione prolungata e costante di alcol può, infatti, provocare più di 200 diverse malattie e condizioni.(9,16). Infatti:

-è una droga che porta ad uno stato di dipendenza fisica e psichica. Il rischio di dipendenza da alcol inizia già per bassi consumi ed aumenta proporzionalmente sia con la quantità consumata sia con l’assunzione di grandi quantità in un’unica occasione. I giovani adulti sono particolarmente a rischio per questa condizione (9);

- diverse condizioni di malattia: a carico dell’apparato digerente e precisamente del fegato (cirrosi), del pancreas, dello stomaco (gastriti); a carico del sistema cardiovascolare: vari tipi di malattia cardiaca (ipertensione, infarto ed altre), ictus; a carico del metabolismo (diabete); è classificato dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro come cancerogeno ed è causa di tumori della bocca, della laringe, dell’esofago, del fegato, del colon retto e, nella donna, della mammella; problemi immunologici in quanto agisce da immunosoppressore aumentando il rischio di tubercolosi, HIV/AIDS e malattie polmonari; malattie dello scheletro e muscolari; problemi dell’apparato riproduttivo ed essendo un potente teratogeno può determinare danni prenatali con conseguente aumento del rischio di nascite premature e sottopeso (9,16), deficit cognitivi e disturbi feto-alcolici.

- la compromissione delle capacità intellettive sia nell’adulto sia nell’adolescente. Nell'individuo adulto il rischio di danno cognitivo è una conseguenza della riduzione del volume cerebrale e così, come quello di altri disturbi della psiche quali ansia, disturbi del sonno e depressione, aumenta con la quantità di dose assunta fino a condurre alla demenza. Per quanto riguarda l'effetto durante l'adolescenza, essendo l’alcol neurotossico, interferisce con il processo della maturazione cerebrale che ha inizio dal momento della nascita, con l’acquisizione degli stimoli che provengono dal

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mondo esterno, e si completa tra i 20 e i 21 anni con importanti differenze individuali. Numerosi studi (17) hanno dimostrato che l’alcol esercita i suoi effetti a livello cellulare e molecolare su questi processi di sviluppo che avvengono in tempi diversi per ogni area costitutiva del cervello umano, mentre contemporaneamente la persona sviluppa la sua personalità e il suo funzionamento mentale. Questo, insieme alla relativa immaturità dei sistemi di smaltimento dell’alcol fino ai 18 - 20 anni, spiega la particolare vulnerabilità degli adolescenti e dei giovani agli effetti nocivi della sostanza. In particolare, durante l’adolescenza, l’alcol può determinare cambiamenti strutturali (diminuzione di volume) nell’ippocampo implicato nei processi di apprendimento. Questi documentati danni si traducono in perdita di memoria e di altre abilità come un’alterata percezione di se stessi e del mondo esterno (1,17).

Il consumo regolare, ma moderato di alcol avrebbe, invece, degli effetti benefici sul nostro organismo. Secondo numerosi studi, infatti, le persone abituate ad un consumo moderato e regolare di bevande a bassa gradazione alcolica vivrebbero più a lungo e presenterebbero una minore incidenza di alcune malattie croniche (soprattutto la malattia cardiocoronarica che spesso si conclude con l’infarto del miocardio) rispetto a chi non beve o a chi lo fa in modo non moderato.

Queste proprietà sono state spiegate in parte con la presenza di sostanze polifenoliche e antiossidanti ed in parte per la consuetudine di consumare queste bevande alcoliche durante i pasti (5).

Tuttavia sono ancora oggetto di discussione e di ricerca sia la grandezza della riduzione di questi rischi sia la quantità di alcol da ingerire per ottenere tali benefici effetti.

In base ai risultati più recenti, per la malattia cardiocoronarica la maggiore riduzione del rischio si otterrebbe con una media di 10 gr (corrispondente ad un bicchiere) ogni due giorni. Oltre i 20 gr (due bicchieri) al giorno il rischio di malattia vascolare aumenta. In età molto avanzata, la riduzione del rischio scompare (5,12).

Sottolineiamo però che sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) quanto il

National Institute of Health (NIH) degli Stati Uniti ribadiscono che nessun individuo

può essere sollecitato al consumo anche moderato di bevande alcoliche, considerando il rischio che l’uso di alcol comporta per l’organismo. Gli individui che non bevono, perciò, non possono e non devono essere invitati a modificare il proprio comportamento (7).

(15)

3.MORTI E MALATTIE ALCOL-CORRELATE: LA DIMENSIONE

DEL FENOMENO NEL MONDO, IN EUROPA E IN ITALIA

Ogni anno nel mondo l'uso "nocivo" di alcol causa 2,5 milioni di morti. 320 mila giovani di età compresa tra 15 e 19 anni muoiono per cause alcol-correlate; il dato corrisponde al 9% di tutte le morti relative all'intervallo di età indicato.

Ogni anno 120 mila cittadini dell’Unione Europea di età compresa tra i 15 e i 64 anni muoiono a causa dell’alcol (11). Secodo l'OMS l'alcol è il terzo fattore di rischio per i decessi e per le invalidità in Europa, ed il principale fattore di rischio per la salute dei giovani (18).

Con il termine di morti e di malattie alcolcorrelate si intende il numero complessivo delle morti e delle malattie di cui direttamente o indirettamente è responsabile l’alcol. Secondo una stima condotta con metodologia OMS, ogni anno in Italia muoiono oltre 24.000 individui per cause alcolcorrelate (incidenti stradali, domestici e in ambiente lavorativo, omicidi, suicidi, cirrosi epatica, patologie neuropsichiatriche e depressione, tumori) fra i soggetti con età superiore ai 20 anni. Sempre tra gli italiani di questa fascia di età, le morti attribuibili all’alcol rappresentano il 6,23 % del totale di tutte le morti fra gli individui di sesso maschile e il 2,45% del totale tra quelli di sesso femminile.

Tra le misure delle morti direttamente causate dall’alcol in una popolazione (i cosiddetti indicatori di danno diretto) una delle più importanti, in base alle indicazioni OMS, è rappresentata dalla mortalità per cirrosi epatica e patologie croniche del fegato. In Italia il suo valore è risultato pari a 10,73 ogni 100.000 abitanti nel 2004, confermando la tendenza alla diminuzione in atto da molti anni (22,60 nel 1990, 17,91 nel 1995, 13,64 nel 2001), in corrispondenza alla diminuzione del consumo medio pro capite di alcool puro nella popolazione. Le morti per questa causa si concentrano soprattutto nella popolazione più anziana, interessando gli individui tra i 60 e i 74 anni e quelli con più di 74 anni.

Tra le misure delle morti indirettamente prodotte dall’alcol in una popolazione (i cosiddetti indicatori di danno indiretto) la più rilevante è invece costituita dalla mortalità per incidente stradale. In Italia, infatti, si stima che una percentuale compresa tra il 30% e il 50% del totale della mortalità per incidente stradale sia attribuibile all’alcol. Ricordiamo infine che il 10% degli assistiti dai Medici di Medicina Generale presenta

(16)

una patologia alcol-correlata e che il 10% dei ricoveri negli ospedali è legata al consumo di bevande alcoliche.

3.1.Consumi europei e nazionali di bevande alcoliche

Le indagini sui temi della salute condotte tramite intervista (Health Interview Survey,

HIS) sono ormai realizzate in tutti i paesi dell'Unione Europea (UE) e indagano i

comportamenti relativi alla salute, tra cui gli stili di vita come, ad esempio, il consumo di alcol (11).

Nell’Unione Europea abbiamo una lunga storia legata al consumo di bevande alcoliche: secondo l'OMS beviamo più del doppio rispetto alla media mondiale. Negli ultimi dieci anni, il consumo è rimasto stabile attestandosi intorno a 11 litri di alcol puro per persona al di sopra di 15 anni di età (16,18,19).Questo ultimo dato, a prima vista, rappresenta una sostanziale diminuzione rispetto al picco dei 15 litri registrato a metà degli anni 70, se non fossero però da considerare i 55 milioni di adulti astinenti; includendo questo dato ed il consumo non registrato, ogni individuo che beve raggiunge nuovamente, purtroppo, i 15 litri all’anno (20).

Due importanti fonti per stimare la dimensione del fenomeno alcool in Italia, con particolare attenzione anche alla sua diffusione tra gli adolescenti e i giovani, sono rappresentate rispettivamente dall’Indagine Multiscopo «Aspetti della vita quotidiana» dell’Istat (11) e dall’«Indagine sugli Italiani e l’alcol. Consumi, atteggiamenti tendenze» promossa dall’Osservatorio Permanente Giovani ed Alcol e realizzata dalla Doxa. Infine, importanti confronti fra i dati italiani e quelli di altri paesi, europei e non, possono essere ricavati dall’indagine Health Behaviour in Schoolaged Children (HBSC - Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), promossa dall’OMS e relativa a studenti tra gli 11 e i 15 anni di età (21).

Sulla base dei dati Istat, in Italia (11) nel 2013 il 63,9% della popolazione dagli 11 anni in sù (34 milioni e 644 mila persone) ha consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno; Tale quota è stabile rispetto al 2012 ma in diminuzione rispetto a 10 anni prima (68,7%).

Tra il 2003 e il 2013 la percentuale dei consumatori giornalieri di bevande alcoliche scende dal 31% al 22,7%. Aumenta, invece, la quota di quanti consumano alcol

(17)

occasionalmente (dal 37,6% nel 2003 al 41,2% nel 2013) e di coloro che bevono alcolici fuori dai pasti (dal 24,8% al 25,8%) (22).

Nel complesso, i comportamenti a rischio nel consumo di alcol (consumo giornaliero non moderato, binge drinking, consumo di alcol da parte dei ragazzi di 11-15 anni) hanno riguardato 7 milioni e 144 mila persone (13,2%).

Rispetto al 2012, si osserva una sostanziale stabilità nell’abitudine ad almeno un comportamento di consumo a rischio, in controtendenza rispetto alla diminuzione registrata nei due anni precedenti. Una lieve diminuzione nella quota del binge drinking si registra solo tra le donne (che passano dal 3,1% al 2,5%) e tra gli uomini di 45-64 anni (dal 9,9% all’8,1%).

Nel 2012, il 56,2% dei cittadini stranieri, di 14 anni e più, residenti in Italia ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno. Valori superiori alla media si registrano tra le nazionalità dell’Est Europa: Romania (71,8%), Ucraina (71,4%), Polonia (69,2%), Moldavia (68,3%) e Albania (68,2%). Una quota più contenuta si osserva tra le collettività asiatiche, e quelle dell’area maghrebina (11).

(18)

4.DIAGNOSI DELL'ABUSO ALCOLICO

Alla luce di quanto detto sino ad ora è evidente quanto sia importante avere a disposizione degli strumenti che permettano una corretta diagnosi oggettiva e precoce di consumo non moderato o ancor peggio di casi con pesante abuso alcolico.

Accanto alla raccolta di informazioni anamnestiche, all'effetuazione di visite cliniche e all'utilizzo di questionari (esempio AUDIT e CAGE)1 che essendo autocompilati possono non corrispondere sempre alla verità è indispensabile quindi disporre di markers con una spiccata specificità per l'abuso alcolico.

Ricordiamo che per marcatore biochimico si intende una sostanza presente nei fluidi biologici in grado evidenziare la presenza o la progressione di una determinata condizione patologica. Un marker ideale di abuso alcolico deve possedere alcune caratteristiche quali: dare risultati attendibili e riproducibili; distinguere assunzioni alcoliche piccole, moderate e pesanti; avere un facile metodo di misura anche ripetuto nel tempo. Quando si sceglie un marcatore occorre considerarne la sensibilità (capacità del test di identificare tutte le persone che hanno consumato alcol), la specificità (capacità del test di identificare ed escludere tutte le persone che non hanno consumato alcol) ed infine sapere per quanto tempo il marcatore rimane positivo dal momento del consumo di alcol (14).

Esistono diversi tipi di marcatori:

- I biomarcatori di trait individuano la predisposizione genetica a sviluppare dipendenza da alcol dopo esposizione cronica, indicano infatti quelle caratteristiche trasmesse geneticamente come un determinato profilo biochimico piuttosto che un’alterata attività di un certo enzima o di un certo sistema di neurotrasmettitori, che predisporrebbero l’individuo a sviluppare alcol dipendenza. Esempi di trait markers sono l’enzima aldeide deidrogenasi (ALDH2) coinvolto nel metabolismo dell’alcol etilico o l’enzima monoaminoossidasi (MAO) coinvolto nel catabolismo delle amine biogene, come la dopamina, la norepinefrina e la serotonina (26). I trait marker sono ancora confinati nell'ambito della ricerca e rappresentano dunque una, peraltro ad oggi solo teorica, possibilità per identificare precocemente una predisposizione di determinati individui all’abuso alcolico e alla dipendenza alcolica e quindi per intervenire tempestivamente

1: AUDIT: alcohol use disorders identification. CAGE: il nome è l'acronimo delle quattro domande che lo compongono: (Cut down, Annoyed, Guilty, Eye-opened)

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con programmi educazionali e/o con supporto psicologico (14).

- I biomarcatori di stato sono invece indicatori di una condizione di abuso alcolico già in atto e possono essere classificati in chimici e biochimici. I marker chimici di abuso alcolico più classici sono rappresentati dall’alcol etilico e dai suoi congeneri contenuti nelle bevande alcoliche (metanolo, isopropanolo, etc.), la cui identificazione nel sangue ad elevate concentrazioni, in assenza di sintomi clinici, indicherebbe un’elevata tolleranza all’alcol del soggetto e quindi indirettamente un abuso cronico della sostanza. I marker biochimici si riferiscono invece alle modificazioni biochimiche rilevabili nei fluidi biologici a seguito di abuso alcolico cronico o ripetuto. Con specifico riguardo all’ambito clinico numerosi studi hanno evidenziato l’utilità e l’importanza dell’uso dei markers di abuso alcolico. Tali markers si sono rivelati utili nello screening di pazienti con abuso cronico di alcol, nel monitoraggio dell’astinenza a breve e lungo termine, nella differenziazione del “bere moderato” dal “bere problematico”, nella diagnosi differenziale dell’epatopatia cronica, nella valutazione dell’efficacia del trattamento di disassuefazione da alcol in corso di trials clinici, e nella determinazione del consumo alcolico in situazioni a rischio (es. guida, luogo di lavoro, gravidanza, ecc...) (26). Nell'ambito dei biomarcatori di stato sono stati presi in considerazione vari indicatori da ricercare nel sangue basati sulla misura diretta o indiretta degli effetti derivati dal consumo di alcol.

Sono quidi molti i test per tali biomarcatori proposti e considerati con lo scopo di identificare l'uso e l'abuso alcolico sia acuto che cronico, alcuni di essi sono in uso da così tanto tempo da essere considerati ormai tradizionali e di questi fanno parte:

AST (aspartato amminotransferasi), ALT (alanina amminotransferasi), GGT (gamma-glutammiltransferasi) ed MCV (volume corpuscolare medio degli eritrociti) (23, 24, 25, 26).

I marcatori classici appena elencati però si positivizzano solo negli stadi avanzati delle patologie alcol-correlate e sopratutto hanno una bassissima specificità in quanto una loro variazione avviene in molteplici quanto diverse situazioni cliniche. In tempi più recenti tuttavia un particolare indicatore ha catturato l'attenzione a livello internazionale: si tratta della transferrina carboidrato carente (CDT – carbhydrate-deficient transferrin). Accanto agli indicatori appena citati, mirando ad integrare e migliorare le possibilità diagnostiche, è allo studio la determinazione, sia in matrici convenzionali (sangue,

(20)

urina), sia alternative (capelli, meconio), di prodotti minori del metabolismo non ossidativo dell’alcol, quali l’etil glucuronide (EtG), il fosfatidiletanolo, gli esteri etilici degli acidi grassi (FAEE), gli addotti proteici dell'acetaldeide e i prodotti del metabolismo della serotonina [5-idrossitriptofolo (5-HTOL)]. Tali molecole sono virtualmente dotate di notevole specificità e in studi recenti si sono dimostrate promettenti anche in termini di sensibilità. (14,27). Nessuno di essi è in uso nel lavoro

clinico di routine, tranne l'etilglucuronide affiancato talvolta alla CDT in casi particolari come ad esempio in presenza di varianti genetiche che rendono impossibile la refertazione con quasi tutte le metodiche tradizionali. La CDT è quindi ad oggi il marcatore biochimico di abuso alcolico più utilizzato nella routine laboratoristica (28).

Finesrta di rilevazione

In fase di assunzione

Uso recente Uso "a rischio" Abuso/danno d'organo

Biomarcatore

di stato ETANOLO EtG, EtS, 5-HTOL CDT, PEth GGT, AST, ALT, MCV

Materiale biologico Respiro, sangue, urine,saliva, sudore Urine, sangue, capello. (EtG nel capello per conferma CDT

ed eventualmente nelle urine per individuare le

ricadute)

Sangue Sangue

Tabella 2: elenco riassuntivo degli indicatori di stato in uso per determinare l'abuso alcolico con

(21)

5.LA TRANSFERRINA

5.1.Struttura e funzioni

La Transferrina (Tf) è la proteina incaricata al trasporto del ferro nel plasma. Chimicamente si tratta di una β1-globulina con un peso molecolare che varia da 75.37 a 79.61 kDa. Dal punto di vista strutturale è costituita da una singola catena di 679 aminoacidici (aa) ed è composta da due domini globulari (N-terminale: aa 1-336 e C-terminale: aa 337-679). Questi domini possono legare ciascuno uno ione Fe3+, indipendentemente uno dall’altro. Il dominio C-terminale porta due catene glucidiche legate all’N delle asparagine in posizione 413 e 611.

La transferrina lega reversibilmente numerosi cationi come ferro, rame, zinco, cobalto e calcio, ma solo il legame con i primi due sembra avere significato fisiologico. Ciascuna molecola di transferrina ha la capacita di legare al massimo due ioni ferro e associare, in un processo pH-dipendente, un’anione (per bilanciare la carica dei cationi) che in vivo è rappresentato sostanzialmente dal bicarbonato. Il complesso Fe-Transferrina ha un’assorbanza massima a 470 nm (29).

5.2.Origine

La transferrina viene sintetizzata principalmente dal fegato ed in piccola quantita dal sistema reticolo endoteliale e dalle ghiandole endocrine (testicoli ed ovaie) ed ha un’emivita di circa 7 giorni (30).

I livelli plasmatici sono regolati specialmente dalla disponibilita di ferro: in condizioni ferrocarenziali le concentrazioni plasmatiche di transferrina aumentano mentre dopo somministrazione di ferro ritornano nella norma.

5.3.Eterogeneità

La transferrina è una molecola che presenta diversi livelli di eterogeneità (31).

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identificate quattro forme di transferrina: l’apotransferrina (punto isoelettrico2 (pI) Fe0 = 6.1), le transferrine monoferriche dove il ferro è legato ai domini N- o C-terminali (pI Fe1N = 5.8 e pI Fe1C = 5.7) e la transferrina diferrica (pI Fe2 = 5.4).

Negli individui normali il livello di saturazione del ferro è circa il 30%: per ogni ione ferrico si osserva una variazione approssimativa del pI di 0.3 unita.

Il secondo livello di eterogeneità è determinato dalla presenza e dalla composizione delle catene glicaniche. Queste sono costituite da residui di N-acetilglicosammina, mannosio e galattosio e possono essere bi-, tri- e tetrantennarie. Ciascuna antenna termina con una molecola di acido sialico che crea una carica negativa alla terminazione della catena.

Figura 3: struttura della catena glicanica (32).

In linea teorica sono possibili 9 diverse transferrine con residui di acido sialico da 0 ad 8 (da 0 a 2 catene, cioe da 0 ad 8 antenne). Le forme asialo, monosialo, eptasialo e octasialo non sono normalmente rilevabili nel siero. La tetrasialo-Fe1N-transferrina, la glicoforma più rappresentata nel siero umano (>80%), contiene due N-glicani biantennari per un totale di 4 residui di acido sialico (pI 5.4); sono inoltre presenti altre glicoforme quali la disialo-transferrina (pI 5.7), la trisialo-transferrina, (pI 5.6), la pentasialo-transferrina (pI 5.2) e la esasialo-transferrina, (pI 5.0). Per ogni residuo di acido sialico si osserva una variazione approssimativa del pI di 0.1 unità per molecola. Studi di spettrometria di massa hanno evidenziato che la disialotransferrina può coesistere in due varianti presenti in quantità differenti: la prima, quella maggiormente rappresentata, lega i due residui di acido sialico alla stessa catena glucidica, mentre l’altra possiede due catene glucidiche che legano un residuo di acido sialico ciascuna (29).

(23)

Il terzo livello di eterogeneità è collegato alla struttura primaria della proteina. Si conoscono almeno 38 varianti genetiche che differiscono per uno o più aminoacidi anche se tre sono i tipi di transferrina che si possono trovare con una prevalenza >1%. La transferrina C è la piu comune nella popolazione caucasica: di questa si conoscono almeno 16 varianti (C1-C16). La variante C1 è la più diffusa (95%) ed il suo gene codificante, polimorfico, possiede due varianti alleliche che generano la transferrina C2 (la prolina in posizione 570 è sostituita da una serina) e la C3.

Vi sono poi la Transferrina B (con migrazione più anodica) e la Transferrina D (con migrazione più catodica) delle quali a loro volta si conoscono numerose varianti. A queste si aggiungono le associazioni eterozigoti tra le varie C, B e D. L'eterogeneità della transferrina è stata dimostrata da Arndt con l'utilizzo dell'isoelectrofocusing e mostra 36 e 72 diverse sottostrutture rispettivamente nel caso di omozigoti ed eterozigoti.

Figura 4: isoelectrofocusing di campioni di siero con transferrine B, C e D omo- ed eterozigoti.

Alcuni campioni appartengono a soggetti alcolisti e questo spiega l'evidenza delle forme asialo-tf e disialo-tf (32).

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6.DEFINIZIONE DI TRANSFERRINA CARBOIDRATO CARENTE

- CARBOHYDRATEDEFICIENT TRANSFERRIN (CDT)

La scoperta della CDT si deve a Helena Stibler quando nel 1970 ha trovato un insieme di proteine anomale nel liquido cefalorachidiano di soggetti alcolisti che scomparivano in seguito all'astinenza. Le suddette proteine si rivelarono poi come transferrine a basso contenuto di acido sialico (33).

Successive indagini hanno dimostrato che in presenza di esagerati livelli di consumo alcolico non erano persi solamente i residui di acido sialico ma la ds-Tf e la as-Tf perdevano una o entrambe le catene glicaniche.

Le glicoforme di transferrina CDT-correlate comprendevano in passato quelle con un pI ≥5.7 e quindi asialo-Tf, monosialo-Tf e disialo-Tf, che rappresentano complessivamente, nei soggetti normali, meno del 2% della transferrina totale. Alcuni metodi immunometrici per la determinazione della CDT avevano incluso in origine quote di trisialo-Tf. Questo ha rappresentato l’oggetto di un dibattito che si è concluso con la decisione di escludere la trisialo-Tf dalla definizione della CDT, mostrando questa una mancata correlazione con l’abuso alcolico (30). In secondo tempo anche la monosialotransferrina è stata esclusa dalle glicoforme CDT-correlate infatti è stato provato che la sua concentrazione è indipendente dalla quantità di alcol assunta, dal momento che essa è collegata all'alto valore di trisialo-tf presente. Ne consegue che allo stato dell' arte con l'acronimo CDT ci si riferisce solamente all'insieme delle forme asialo-Tf e disialo-Tf (34).

(25)

Figura 5: alcune glicoforme della transferrina. Asialo-tf e disialo-tf sono le forme CDT-correlate

(32).

E’ noto che con le tecniche analitiche attualmente disponibili (isoelectrofocusing, elettroforesi capillare e cromatografia liquida ad alte prestazioni, HPLC) la disialo-Tf è determinabile in basse quantità anche nei soggetti che non bevono alcol, mentre la frazione asialo usualmente non è identificabile in tali soggetti. Tuttavia, in presenza di abuso alcolico l'incremento della disialo-Tf è molto netto ed inoltre si può assistere alla comparsa di concentrazioni determinabili di asialo-Tf.

6.1.Meccanismi fisiopatologici dell'incremento alcol-indotto della CDT

Sappiamo che prima del suo rilascio la transferrina va incontro a modificazioni post-traduzionali sostenute da un sistema enzimatico ad attività glucosiltansferasica che promuove l'attacco di catene di glicani ramificati in posizioni specifiche della proteina. Tali glicani terminano, come illustrato sopra nella descrizione della proteina, con residui di acido sialico e la loro incorporazione è alcol-dipendente (35).

Tuttavia, ad oggi, l’esatto meccanismo mediante il quale l’uso eccessivo di alcol etilico porti all’aumento delle glicoforme carboidrato-carenti della transferrina non è ancora

(26)

completamente compreso. Secondo la letteratura si tratta di un processo complesso che coinvolge il trasporto intracellulare di proteine e l’attivita enzimatica della glicosilazione piuttosto che la sintesi della catena proteica; è stato appunto dimostrato come l'alcol e il suo metabolita acetaldeide vadano a diminuire l'attività enzimatica dell' N-acetilglucosaminiltransferasi (enzima della glicosilazione) (35). Altri effetti sembrano l’aumento etanolo-dipendente dell’attività delle sialidasi plasmatiche e di membrana (32) e l’interferenza dell’etanolo sul trasporto delle proteine a livello dell’apparato del Golgi.

La concentrazione serica di CDT si riduce in seguito all’astinenza da alcol etilico. Presenta infatti un tempo di dimezzamento di 10 - 14 giorni dall’inizio dell’astinenza da etanolo, risultando così un marcatore indipendente a medio termine e non soggetto a variazioni causate da altre alterazioni fisiologiche determinate, ad esempio, dall’assunzione di farmaci, diabete, obesità, epatopatie, disordini ematologici.

Non ci sono per il momento dati che consentano una correlazione matematica tra la quantità di alcol assunta e la concentrazione di CDT nel sangue. Questa è anche una conseguenza del fatto che non tutti gli individui rispondono allo stesso modo, infatti è usuale la distinzione tra consumatori "high responder" e "low responder". Quel che è certo è che a parità di alcol assunto i primi presenteranno valori di CDT più elevati rispetto ai secondi (35).

Vi è un generale accordo sul fatto che deve considerarsi critica, ai fini dell' abuso alcolico e all'aumento conseguente della CDT una quantità di alcol pari a 60-80 g/die assunta per almeno 7 giorni, quantità considerata critica anche per le cirrosi e le altre patologie alcol-correlate. Vi sono tuttavia evidenze secondo cui la concentrazione di CDT aumenta, pur rimanendo entro i comuni limiti di normalità, anche in caso di moderato consumo di bevande alcoliche (36).

Secondo vari studi, non risultano significative differenze nelle concentrazioni basali di CDT in differenti aree geografiche, includendo anche quelle aree in cui è noto un deficit dei sistemi ossidativi dell’alcol (37).

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7.IMPIEGO DELLA CDT

La CDT in qualità di marcatore di abuso alcolico è impiegata in vari ambiti:

- medicina di base: ovviamente è indispensabile per l'immediata identificazione di un bevitore problematico che ancora non ha sviluppato patologie alcol-correlate (38). Inoltre è un importante indicatore delle CDGs, un gruppo di rare gravi patologie neurologiche accomunate da difetti genetici della glicosilazione proteica.

- in ospedale: numerosi pazienti ricoverati per altre patologie risultano poi bevitori; identificare quindi precocemente questi soggetti è utile per intraprendere terapie efficaci. I pazienti coinvolti in incidenti, che entrano in Pronto Soccorso per traumi vari risultano molto spesso positivi al test alcolemico. Prima di qualsiasi intervento chirurgico è fondamentale riconoscere i pazienti con problemi di alcol per ridurre complicanze e costi di ospadalizzazione (29,35). In casi di cirrosi epatica la determinazione della CDT è indispensabile per l'inserimento nelle liste per il trapianto di fegato e per il monitoraggio delle eventuali ricadute post-trapianto (26). In ultimo bisogna ricordare che i forti bevitori possono manifestare sindrome da astinenza e sono a rischio per sepsi, polmonite, emorragie ed addirittura morte.

- nella riabilitazione di persone alcol-dipendenti: qui la CDT è sicuramente utile ma può non essere sufficiente per monitorare l'effettuazione del trattamento e valutare le eventuali ricadute. In casi particolari si affianca il dosaggio dell'etilglucuronide nelle urine e del fosfatidiletanolo nel sangue intero.

- nel "work place testing": cioè nella "verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza" come disposto dal Nuovo testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro3.

- in medicina legale: è utilizzata nelle pratiche per l'adozione di minori, il rilascio del porto d'armi e ovviamente nei casi di patenti ritirate in seguito a guida in stato di ebbrezza, per deciderne o meno il nuovo rilascio (35).

(28)

8.DETERMINAZIONE DELLA CDT

8.1.Momento preanalitico

Il materiale biologico migliore è rappresentato dal siero, raccolto in provette secche o con acceleratore della coagulazione. Per la misura della CDT varie interferenze sono connesse all'utilizzo di anticoagulanti quali EDTA, citrato ed eparina in quanto questi vanno a competere con la transferrina per la saturazione con il ferro. Nelle tecniche separative la conseguenza è la comparsa di picchi interferenti nel tracciato e l'alterazione del rapporto tra le glicoforme. Altri problemi sono dovuti al sodio fluoruro che diminuisce la capacità separativa delle colonne cromatografiche. Anche i campioni emolizzati possono causare qualche difficoltà a seconda dei metodi utilizzati in quanto l'emoglobina assorbe alla stessa lunghezza d'onda del complesso transferrina-ferro e disturba la linea di base. In caso di utilizzo dei metodi immunoturbidimetrici la presenza di sieri fortemente lipemici può rendere difficoltosa l'analisi. Nonostante la stabiltà della CDT sia elevata, nel caso la determinazione dell'analita non sia effettuata nello stesso giorno del prelievo, i campioni vanno conservati in frigorifero per evitare che la contaminazione batterica possa favorire la neoformazione di glicoforme a basso contenuto di acido sialico. La CDT non risente di ripetuti congelamenti e scongelamenti, così come il ritmo circadiano, la dieta e l'assunzione di farmaci (in particolare del disulfiram: farmaco usato nella terapia dell'alcolismo) non hanno interferenze.

Evidenziamo infine l'importanza della catena di custodia4 (39) con la conservazione dei campioni per eventuali ulteriori analisi di revisione in quanto la determinazione della CDT ha importanti implicazioni medico-legali.

4: Catena di custodia: procedura documentata atta a garantire l'autenticità, l'integrità e la tracciabilità di un campione dal momento del prelievo/raccolta sino allo smaltimento; essa deve permettere, tra l'altro, di ricostruire l’iter del campione all’interno del Laboratorio, di conoscerne in ogni momento l'ubicazione, di identificarlo in maniera inequivocabile, di conservarlo correttamente e di verificare la correttezza delle condizioni di conservazione, di preservarlo in tutte le fasi da manomissioni e adulterazioni volontarie o involontarie, nonché di individuare tutte le movimentazioni e manipolazioni del campione, in quali date e da quali soggetti esse sono state eseguite (39).

(29)

8.2.Fase analitica

La già citata microeterogeneità della transferrina dovuta alla struttura primaria, al carico di ferro e ai residui di acido sialico, la somiglianza tra forme CDT e non-CDT e la loro bassa concentrazione rendono la misura della CDT piuttosto delicata, in special modo nella risoluzione dell'abuso. Nelle tecniche separative si prevede una preliminare completa saturazione della transferrina con reattivi che donano ioni ferrici per eliminare la variabilità dovuta alla differente carica ionica.

Dalla scoperta della CDT sono state sviluppate varie metodiche per la sua determinazione basate su principi diversi.

Iniziamo con il Metodo Immunometrico considerato un metodo di screening nel quale due tipi di principi sono stati applicati: indiretto e diretto.

Il metodo indiretto non disponendo di anticorpi specifici per le glicoforme CDT correlate, prevede la separazione, previa saturazione con ioni Fe3+, attraverso minicolonna cromatografica a scambio ionico. Le frazioni CDT ottenute vengono quindi dosate con metodi quali nefelometria, turbidimetria ecc. Sia le isoforme che la transferrina totale sono dosate utilizzando lo stesso anticorpo anti-Tf. La raccolta dell'eluato rappresenta il punto critico della tecnica, inoltre essa è fortemente influenzata dalle varianti genetiche e dalla presenza di elevati livelli di trisialo-Tf con conseguente sovrastima del valore della CDT per inclusione di quote di quest'ultima isoforma. (32). Il primo test commerciale di metodo immunometrico indiretto è apparso sul mercato nel 1992 seguito negli anni da altri simili ma, considerando l'introduzione di tecniche migliori, questa metodica immunometrica indiretta non è più disponibile dal 2008 dal momento che l’inaccuratezza analitica degli immunoassay per la CDT è stata chiaramente dimostrata da numerosi studi comparativi con l'HPLC.

Il metodo diretto invece è ancora in uso, in quanto è stata introdotta una innovazione

rappresentata dall’impiego del primo antisiero specifico per epitopi della molecola della transferrina che sono accessibili solo nelle isoforme CDT correlate, mentre sono protetti da residui oligosaccaridici nelle forme a maggiore indice di glicosilazione. Prevede infatti la separazione delle glicoforme attraverso la reazione con uno specifico anticorpo monoclonale anti-CDT. Il metodo non richiede alcuna fase di estrazione e può quindi essere completamente automatizzato, vantaggio notevole in caso di carichi di lavoro

(30)

consistenti (35). Inoltre, essendo la reazione antigene-anticorpo (Ag-Ab) basata sullo stato di glicosilazione degli epitopi e non sulla sequenza primaria o sulla carica della proteina, le varianti B o D della transferrina non determinano di norma alcuna interferenza. Da segnalare tuttavia che secondo alcuni autori questo metodo potrebbe sovrastimare la CDT di un 20-25% rispetto al valore reale.

Sia nel metodo indiretto sia in quello diretto i risultati sono espressi come %CDT misurando la CDT e la tansferrina totale.

Abbiamo poi il Metodo in HPLC che misura l’assorbanza del complesso ferro-transferrina a 460-470 nm e questo fatto rende tale tecnica specifica e sensibile e con un basso rischio di interferenze analitiche. Il primo metodo di determinazione cromatografica della CDT è stato proposto da Jeppsson et al. nel 1993. Il metodo era basato su una separazione a scambio anionico con un gradiente di eluizione salina e rivelazione a 460 nm (lunghezza d’onda selettiva per il complesso transferrina-ferro) (40). Questo metodo fu in seguito migliorato da Helander et al. (41) ed è caratterizzato da una linea di base costante e da una migliore separazione delle glicoforme. Tuttavia, la complessità nella preparazione del campione e delle fasi mobili e la lunghezza della corsa analitica poco si adattano ad elevati carichi di lavoro. Il mercato della diagnostica ha quindi proposto kit per HPLC derivati dal metodo originale ma adattati, semplificati ed ottimizzati nelle tempistiche di esecuzione al fine di incrementare la produttività, con qualche compromesso in termini di risoluzione delle glicoforme della transferrina. La disponibilità di reagenti altamente standardizzati, tuttavia, incrementa la trasferibilità dei metodi tra laboratori. Gli unici svantaggi sono rappresentati dal fatto di prevedere sempre la preventiva saturazione con ferro e che la presenza di varianti genetiche può interferire con la misura dell'analita di interesse. Questo è comunque al momento il metodo di riferimento.

L'Isoelectrofocusing (IEF) è stato il primo metodo, basato sul differente punto isoelettrico, applicato per identificare le glicoforme CDT e prevede una prima fase di separazione con elettroforesi seguita da un riconoscimento immunometrico come immunofissazione o immunoblotting (29). Ha da una parte una ottimale e insuperata selettività ma dall'altra un limite ineliminabile di imprecisione nelle determinazione quantitativa ed inoltre non è adatto all'utilizzo in routine per la sua elevata complessità . L’IEF è ancora utilizzata a volte nei casi dove sia necessario ottenere la risoluzione di

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glicoforme della CDT strettamente correlate (come nel caso di varianti genetiche). L'Elettroforesi capillare zonale (CZE) è una tecnica analitica ideale per separare e quantificare le proteine. I metodi in elettroforesi zonale determinano la separazione fisica delle glicoforme sulla base del rapporto carica/massa legato al diverso contenuto di acido sialico della proteina. Le prime applicazioni su campioni umani sono state effettuate da Landers (42), utilizzando un metodo di separazione zonale con tampone borato e rilevazione per adsorbimento UV a 200 nm. Al fine di ridurre l’interazione delle proteine con la parete del capillare, e quindi di migliorare la sensibilita e la selettivita analitiche, il metodo e stato migliorato con l'utilizzo di capillari di diametro interno ridotto che hanno permesso un'eccellente capacità risolutiva senza necessità di pre-trattamento del campione e di saturazione ferrica. Una ulteriore modifica è stata l'aggiunta di putrescina (amina organica) al tampone migliorando ulteriormente la risoluzione. Il mercato della diagnostica ha proposto anche in questo caso, sistemi CZE semplificati fruibili a tutti, sacrificando la qualità a favore di quantità delle misure e di velocità. Un punto critico degli strumenti CZE è rappresentato dalla lunghezza d'onda fissa (210 nm) non specifica per la transferrina, inoltre il rivestimento del capillare può adsorbire le glicoforme in modo differente ed i tamponi non sono totalmente trasparenti alla luce UV. Ancora, per natura, il capillare non può essere caricato oltre a un certo volume di campione e questo pregiudica la sensibilità in caso di campioni con bassa quantità di transferrina, condizione non rara nei forti bevitori. Sottolineiamo in ultimo che questa metodica può subire interferenze dalla presenza, specialmente con elevate quantita, di alcune proteine come immunoglobuline, crioglobuline e proteina C reattiva che possono confondere nell'identificazione dei picchi relativi alla CDT (43). In commercio esistono due soluzioni: utilizzano sia un solo capillare che un sistema multicapillare, automatico, che permette un’alta produttivita, ma che, su casi specifici, si e rivelato problematico nella determinazione dell’area dei picchi.

In letteratura sono riportate altre metodiche per la misurazione della CDT come la

tecnica MALDI-TOF utilizzata per studiare la transferrina umana ed avere una idea

chiara sulla struttura delle catene glicaniche, la HPLC-ESI-MS (High Performance Liquid Chromatography – electrospray Mass Spectrometry) usata per approfondire le glicoforme anomale presenti in un gruppo di malattie rare note come CGDs (Malattie Congenite della Glicosilazione) (44), tuttavia non ancora idonea a studi quantitativi e

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pertanto all’impiego nella determinazione della CDT, ed in ultimo un approccio alternativo, basato sull'accoppiamento HPLC-ICPMS (High Performance Liquid Chromatography- Inductively Coupled argon Plasma- Mass Spectrometry) utilizzato per misurare il contenuto di ferro nella transferrina. Si tratta di tecniche analitiche tutte molto raffinate ma sperimentali e costose, ad oggi di impossibile utilizzo nella routine laboratoristica. Non è comunque escluso che in futuro il metodo di riferimento possa basarsi sulla spettrometria di massa.

Metodo Prodotti

commerciali propostoCut-off Glicoforme identificate Note

Immunometrico indiretto con lettura turbidimetrica %CDT TIA Kit (Bio-Rad Laboratories, Hercules, CA), %CDT (Axis Shield, Dundee, UK), Tina quant® %CDT (Roche, Basel, Switzerland). 2.5% CDT è la percentuale della somma di varie glicoforme (possibilità di inclusione parti di trisialo-Tf) rispetto alla Tf tot.

Non più in uso.

Immunometrico diretto N Latex CDT (Dade Behring-Siemens) 2.5% CDT è la percentuale della somma di asialo-tf e disialo-asialo-tf rispetto alla Tf tot. HPLC 3 diversi metodi

commerciali 2.0% A seconda del metodo

commerciale variano i tempi di esecuzione HPLC % CDT (Bio-Rad) 1.7% (97th percentile) 1.8% (99th percentile) Le singole glicoforme sono espresse in percentuale rispetto alla Tf tot. Tempo di analisi 10 min.

CZE Ceofix

(Analisis-Beckman) 2.0% glicoforme sono Le singole

espresse in percentuale rispetto alla Tf tot

o percentuale di disialo-tf rispetto

(33)

alla tetrasialo-tf CZE Capillarys CDT (Sebia) 1.3% Le singole glicoforme sono espresse in percentuale rispetto alla Tf tot

o percentuale di disialo-tf rispetto alla tetrasialo-tf Multicapillare IEF (Alfa Wasserman) 2.0% Singole frazioni in percentuale sulla Tf tot.

Tabella 3: Elenco riassuntivo dei metodi di misura della CDT con relativo approfondimento delle

caratteristiche dei più comuni kits commerciali (32).

8.3.Importanza della standardizzazione dei risultati

Nel corso degli anni la definizione originale di CDT si è modificata e il valore stesso del marcatore deve essere considerato in maniera differente in accordo con gli studi clinici effettuati. Tutto è cambiato: i metodi analitici, le glicoforme misurate, l'unità di misura ed il cut-off impiegato.

Uno studio italiano condotto nei laboratori pubblici ha dimostrato una importante disomogeneità (45), in realtà presente in tutti i Paesi. Si è visto come diversi metodi diano diversi risultati a parità di reale concentrazione di CDT e le conseguenze sono una differenza nella sensibilità e nella specificità diagnostica ed una impossibile comparazione dei dati ottenuti nei diversi laboratori.

Queste considerazioni hanno condotto alla necessità di un processo di standardizzazione per la CDT ed infatti l'IFCC (International Federation of Clinical Chemistry) ha istituito un apposito gruppo di lavoro (IFCC WG-CDT) per sviluppare un sistema di riferimento. Per conseguire l'obiettivo preposto è stato necessario: definire il misurando e la nomenclatura, proporre una procedura di misura di riferimento e preparare materiali di riferimento come calibratori (29,32,35).

Come abbiamo precedentemente chiarito tra tutte le glicoforme della transferrina solo la disialo-tf e la asialo-tf sono sicuramente associate al consumo di alcol. Le due glicoforme mostrano tuttavia diversa sensibilità e specificità; la asialo-tf è in effetti la più specifica per abuso alcolico ma con gli attuali metodi è misurabile soltanto quando

(34)

la disialo è gia elevata (>2%). La disialo-tf è quindi la forma con più sensibilità diagnostica. Per questi motivi il gruppo di lavoro ha identificato nella disialotransferrina il principale analita di riferimento per la standardizzazione della misura della CDT (29,32,35).

Per quanto riguarda la nomenclatura è stato deciso che le forme della transferrina, differenti per il contenuto di acido sialico, sono da definirsi "glicoforme" e non genericamente "isoforme" (29,32,35).

In materia di procedura di riferimento, il WG-CDT ha valutato che essa dovesse essere "pubblica ed indipendente" cioè non legata ad alcun brevetto o marchio. La metodica dovrebbe possibilmente consentire la misura dell'analita di interesse in tutti i campioni, anche quelli con la presenza di varianti genetiche della transferrina (29,32,35). La cromatogafia liquida accoppiata alla spettrometria di massa sarebbe, per l'attuale stato dell'arte, la tecnica ideale, ma il metodo ad ora effettivamente più impiegato è come detto l'HPLC-UV che, nonostante non soddisfi l'ultimo punto dell'elenco di cui sopra, ricordiamo avere alcuni punti forti come: lunghezza d'onda di misurazione di 460-470 nm specifica per il complesso ferro-transferrina che determina quindi basse interferenze analitiche, elevato potere risolutivo e indicazione del risultato in un cromatogramma facilmente interpretabile.

In riferimento all'espressione del risultato vi sono stati negli anni diversi approcci ma ad oggi il gruppo di lavoro raccomanda l'indicazione della CDT come percentuale della disialo-tf rispetto alla transferrina totale (29,32,35). Riferendoci a quanto detto relativamente al fatto che le forme CDT-correlate comprendano sia la disialo-tf che la asialo-tf viene naturale chiedersi perchè sia stato deciso di refertate solamente la glicoforma disialo. La motivazione è che la glicoforma asialo diviene misurabile soltanto quando la disialo è già abbondantemente patologica e di conseguenza il suo inserimento non implica nessun valore aggiunto. Precisiamo che, in caso il laboratorio comprenda nel risultato anche la asialo-tf, tale decisione deve essere chiaramente indicata sul referto per permettere agli utilizzatori di valutare nel tempo i risultati anche rispetto ad altri laboratori.

In ultimo il progetto di standardizzazione ha incluso anche lo studio di materiali di riferimento (standard) e calibratori preparati secondo regole ben definite e sopratutto in linea con la catena della tracciabilità (29,32,35).

(35)

Il processo di standardizzazione sta comunque proseguendo con lo studio della saturazione delle glicoforme da parte del ferro. Infatti il carico di ferro influenza il punto isoelettrico della proteina, la struttura tridimensionale e le proprietà chimico-fisiche e antigeniche. Questi studi hanno come obiettivo la sempre migliore conoscenza della struttura dell'analita che si va a misurare.

8.4.Fase post-analitica

I risultati, per una corretta valutazione e interpretazione, oltre al nome del paziente devono indicare chiaramente: il metodo utilizzato, il valore numerico, l'unità di misura, il calcolo (100xDST/transferrina totale) e il valore decisionale o cut-off (29,35). In presenza di varianti della transferrina o di qualsiasi altra interferenza, che abbia portato ad una impossibilità di misurazione e quindi di refertazione, dovrebbero essere chiaramente spiegate le motivazioni di tale mancanza di risultato.

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