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Operazioni straordinarie in crisi d'impresa Il conferimento d'azienda nel caso Baglietto

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE………...… 2

CAPITOLO 1. LA CRISI AZIENDALE 1. DEFINIZIONE DI CRISI AZIENDALE………. 4

2. CAUSE E TIPOLOGIE DELLA CRISI AZIENDALE………...…… 9

3. METODI VALUTATIVI DELLA CRISI………...…… 13

4. REVERSIBILITÀ DELLA CRISI E STADI EVOLUTIVI……….…… 23

5. LA NOZIONE D’INSOLVENZA………... 29

6. LA RIFORMA DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA………...……… 33

CAPITOLO 2. CRISI E OPERAZIONI STRAORDINARIE 1. GESTIONE DELLA CRISI……….…… 40

1.1 SOLUZIONI PRIVATISTICHE PER LA GESTIONE DELLA CRISI……… 43

1.2 SOLUZIONI PUBBLICISTICHE PER LA GESTIONE DELLA CRISI………..… 45

2. PANORAMICA SULLE OPERAZIONI STRAORDINARIE……… 53

3. OPERAZIONI STRAORDINARIE ALL’INTERNO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI……… 58

4. OPERAZIONI STRAORDINARIE COME ANTIDOTO ALLA CRISI……… 66

4.1 LA TRASFORMAZIONE………...……… 66 4.2 LA FUSIONE………...………… 71 4.3 LA SCISSIONE……… 77 4.4 LA RICAPITALIZZAZIONE……… 85 4.5 IL CONFERIMENTO D’AZIENDA……….……… 93 4.6 L’AFFITTO D’AZIENDA………...………… 97

CAPITOLO 3. IL CASO DEL GRUPPO BAGLIETTO S.P.A. 1. PRESENTAZIONE DEL CASO………..……… 101

2. DESCRIZIONE DELLE OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA……….…… 109

3. CONCLUSIONI………...… 112

BIBLIOGRAFIA……… 114

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato ha lo scopo di rappresentare i complessi aspetti connessi alle operazioni straordinarie ed al loro impiego nella risoluzione della crisi d’impresa.

Il presente lavoro si articola in tre capitoli. Intento principale è più semplicemente quello di evidenziare come l’utilizzo delle operazioni di finanza straordinaria possano rappresentare un valido strumento, in un contesto di crisi d’impresa, per la continuità nonché per la salvaguardia dei valori aziendali.

Nel primo capitolo andremo a presentare un quadro teorico del concetto di crisi, soffermandoci sulle varie definizioni formulate nel corso del tempo dalla dottrina, con particolare focus sulle cause nonché sugli stadi evolutivi e sui metodi valutativi di quest’ultima. Successivamente ci soffermeremo sulla nuova riforma della crisi e dell’insolvenza, andando ad esporre, senza nessun intento esaustivo, le principali novità.

Nel secondo capitolo, invece, l’attenzione sarà rivolta sulle soluzioni privatistiche e pubblicistiche, rispettivamente previste dalla dottrina economico-aziendale e dal legislatore, per la gestione della crisi. A questo punto ci soffermeremo sul tema principale dell’intero elaborato, ovvero le operazioni di finanza straordinaria. Andremo, così, ad effettuare una panoramica delle stesse, nonché ad analizzare nel dettaglio gli aspetti economico-aziendali più rilevanti di ciascuna operazione presa in esame, soffermandoci, infine, sul ruolo che tali operazioni possono avere all’interno delle procedure concorsuali per la risoluzione della crisi.

Infine, nel terzo e ultimo capitolo, si prenderà in esame il caso del Gruppo Baglietto, caso che risulta interessante in quanto mette in luce le diverse problematiche legate alla gestione della crisi, e nel caso specifico riguardante la

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gestione della crisi di un gruppo d’imprese, consentendoci, allo stesso tempo, di esaminare l’impiego delle operazioni straordinarie in ambito concorsuale.

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1 Capitolo

La crisi aziendale.

1.1 Definizione di crisi d’impresa

La crisi d’impresa identifica uno stato di difficoltà economica, finanziaria e patrimoniale. In tutte le economie moderne, la vita dell’impresa si svolge senza soluzione di continuità, in una alternanza di cicli positivi e negativi. Negli ultimi decenni, però, le crisi d‘impresa sono divenute fenomeni sempre più ricorrenti divenendo così, per il loro carattere ciclico e frequente, una componente permanente del sistema aziendale1.

Nella prassi professionale ed anche nel linguaggio comune, al termine crisi viene generalmente ricondotta una condizione negativa, come una manifestazione di uno stato patologico dell’impresa, cui notoriamente si associa una perdita di valore economico ed una inadeguatezza dell’organismo aziendale alla reazione e, nei casi più estremi, alla sopravvivenza dell’istituto sociale2.

La letteratura non ha, fino a tempi recenti, offerto una compiuta definizione del concetto di “crisi”, preoccupandosi soprattutto di esaminarne le componenti, le cause, le conseguenze ed i possibili rimedi.

Non esiste, attualmente, una definizione unitaria di “crisi”, essendo la combinazione di diversi fattori, economici e finanziari, che influenzano l’impresa e la sua capacità di reagire alle situazioni di difficoltà. La dottrina, però, ha già avuto modo di rilevare che la crisi d’impresa non è uno stato statico e pertanto univocamente identificabile, bensì “Una perturbazione o improvvisa

1 Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Milano 1986.

2 G.Zanda e M.Facchi, Le prime avvisaglie della crisi d’impresa, Strumenti di accertamento, Relazione

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modificazione di una attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo, ora esterne ma comunque capaci di minarne l’esistenza e la continuità3”.

L’articolo 9 della comunicazione del 2004 della Commissione Europea4 fornisce

una definizione generica di impresa in crisi:

“Non esiste una definizione comunitaria di impresa in difficoltà. Tuttavia, ai fini dei presenti orientamenti la Commissione ritiene che un’impresa sia in difficoltà quando essa non sia in grado, con le proprie risorse o con quelle ottenibili dagli azionisti o dai creditori, di contenere perdite che, in assenza di un intervento esterno delle autorità pubbliche, la condurrebbero quasi certamente al collasso economico nel breve o medio periodo […].”

Diverse sono le prospettive a seconda che il fenomeno della crisi sia analizzato dal punto di vista aziendalistico e giuridico.

Dal punto di vista aziendalistico, gli studi che focalizzano l’attenzione sull’impresa intendono essenzialmente la crisi come un venir meno delle circostanze che determinano, in senso dinamico, l’equilibrio economico e finanziario dell‘azienda. Nella sostanza, la crisi identifica, in questa ottica, la negazione delle condizioni necessarie per garantire una prospettiva di continuità economica a valere nel tempo, generando “disordine” nella dinamica della realtà aziendale. Alcuni autorevoli autori hanno cercato di fornire una propria definizione di crisi d’impresa, tra questi Guatri secondo il quale la crisi è:

“Quel processo degenerativo che rende la gestione aziendale non più in grado di seguire condizioni di economicità a causa di fenomeni di squilibrio e di inefficienze, di origine interne o esterne, che determinano appunto la produzione

3 S.Pacchi, Crisi d’impresa e procedure concorsuali e alternative, Rivista diritto fallimentare 2008.

4 Orientamenti comunitari sugli aiuti di stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà,

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di perdite di varia entità che, a loro volta, possono determinare l’insolvenza, che costituisce più che la causa, l’effetto, la manifestazione ultima del dissesto5”;

Quagli, invece, sostiene che: “[la crisi è la] Fase di disequilibrio che rende non possibile in modo sistematico adempiere, in una ottica prospettica, tramite l’attività ordinaria le obbligazioni assunte6“

La crisi, a parere di Amaduzzi, è: “[un] Fenomeno patologico di decadenza graduale delle condizioni di gestione che trova fondamento nell’ esistenza di equilibri economici, finanziari e patrimoniali7”.

Infine, G. Brugger sostiene:” Un’impresa è in stato di crisi quando mostra la stabile presenza di meccanismi capaci, se non contrastati, di condurre in tempi più o meno brevi a crescenti tensioni finanziarie e quindi all’insolvenza 8”.

Dal punto di vista giuridico, non esiste attualmente nel nostro ordinamento una sua definizione, anche se ,come vedremo nel prosieguo del lavoro, il Legislatore con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza9, ha previsto una

specificazione definizione della “crisi” ,essendo attualmente disciplinato esclusivamente, il concetto d’insolvenza, indicante lo stato soggettivo d’incapacità di chi, sovraindebitato, non è in più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni10.

In tale contesto, la crisi d’impresa acquisisce rilievo giuridico qualora sia connesso all’ insolvenza del debitore. Pertanto, fino a quando la crisi dell’attività

5 Guatri 1986, crisi e risanamento d’impresa, Giuffrè, Milano, 1986

6 Quagli, La definizione del concetto di crisi d’impresa e la sua rilevanza giuridica, Amministrazione e

finanza, 2014.

7 A. Amaduzzi, il sistema dell’impresa nelle condizioni prospettiche del suo equilibrio, Roma ,1956. 8 A. Jorio, M. Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Zanichelli, Bologna,2006.

9 Durante l’elaborazione di tale lavoro è stata approvata in via definitiva, in attuazione della legge n.155

del 2017 “Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza” ,di nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, volto a riformare in modo organico, la disciplina delle procedure concorsuali, al cui interno è previsto una specifica definizione di crisi quale: “lo stato di difficoltà economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

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non compromette in apprezzabile misura la solvenza del soggetto, essa rimane irrilevante per il diritto.

F. di Marzio sostiene infatti che: “I problematici rapporti tra i concetti di insolvenza e temporanea difficoltà di adempiere e il dubbio sulla ammissibilità o meno di una insolvenza reversibile hanno indotto l’uso, nel linguaggio giuridico, del termine ‘crisi’, sfornito di tradizione e perciò meno impegnativo e più sfumato del precedente11”.

La crisi è in genere preceduta da una fase prodromica di declino, in cui le patologie degli eventi negativi cominciano, seppur in maniera molto lenta a manifestarsi12.

Su tale base è possibile distinguere, nella più generale categoria della patologia aziendale, momenti di diversa gravità, quali il declino e la vera e propria crisi. Con il concetto di “declino” è comunemente inteso l’ottenimento di una performance negativa in termini di variazione di valore misurata in uno specifico arco temporale. Tale concezione considera in declino una azienda che pur presentando un equilibrio economico, ovvero quando la gestione è in grado di produrre ricavi di vendita tali da remunerare la totalità dei fattori produttivi, incorre costantemente in una perdita di valore nel tempo in termini di capacità reddituale13. Concetto in perfetta coincidenza con la Teoria di creazione del

valore14, la quale com’è noto, individua nell‘ accrescimento del valore del capitale

economico il fondamentale obbiettivo aziendale.

La crisi, invece, rappresenta una ulteriore degenerazione rispetto alle condizioni di declino, anche se una sua distinzione rispetto a quest’ultimo, nella pratica, rappresenta un confine molto sottile: “Non è sempre agevole separare il declino

11 F. di Marzio, il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011. 12 Guatri, Turnaround, Declino, Crisi e ritorno al valore, 1995, Egea.

13 F. Tatò, Essere competitivi, le esperienze di due professionisti, Baldini e Castaldi, Milano ,1995. 14 Guatri, Turnaround, Crisi e ritorno al valore, Milano, Egea 1995: ”impresa, in economia di mercato,

perdura e si sviluppa solo generando nuovo valore: perciò la creazione di valore è la ragione essenziale della sua sopravvivenza a lungo termine“.

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dalla crisi. Nelle fasi iniziali, vere situazioni di crisi appaiono come semplici forme di reversibile declino15”.

Tecnicamente si tratta di uno stato d’instabilità, originato da una serie di sintomi, quali, perdite economiche (e di valore del capitale) che impattano negativamente sui flussi finanziari generando situazioni di illiquidità (carenza di cassa), perdita di fiducia da parte degli stakeholders, e in assenza di interventi mirati, l‘insolvenza nonché il dissesto, rappresentativo di una situazione di squilibrio patrimoniale definitivo. La crisi, pertanto, rappresenta la fase conclamata ed esternamente apparente del declino, in cui l’aggravamento degli squilibri economici e finanziari è pienamente percepito all’esterno.

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1.2 Cause e tipologie della crisi.

Il fenomeno della crisi si presenta polimorfo e denso di sfaccettature, dovute alla molteplicità dei fattori che lo influenzano e ne rendono difficoltosa la comprensione e l’analisi all’interno di una realtà composita. Vista l’eterogeneità degli scenari che nella teoria si possono prospettare, diviene fondamentale per il superamento della crisi, l’individuazione e la comprensione dei fattori nonché delle cause determinati le specifiche situazioni.

La dottrina si è a lungo interrogata sui fattori alla base della crisi e del declino delle imprese e sono stati individuati in tal senso due filoni16:

Un primo filone soggettivo-comportamentalista, che attribuisce, come principale causa del declino, al fattore umano e quindi alla mala gestio, agli errori manageriali dovuti ad inadeguatezza ed incompetenza direzionali. Sulla stessa linea si esprime A. Farinet secondo cui: “La crisi non deriva da un cambiamento in quanto tale, ma da una inadeguatezza dei soggetti che di fronte alla variazione di contesto rilevano la loro disfunzionalità, optando per una riproduzione conservativa della realtà esistente. In altri termini, i fattori eccedenti, invece che essere sperimentati nella ricerca dell‘ innovazione, e del vantaggio concorrenziale, vengono depotenziati nel riprodurre staticamente la stessa offerta17”. Un secondo filone, qualificato come obiettivo, riconosce l’esistenza di

alcune condizioni di oggettività che rendono l’impresa vulnerabile e quindi predisposta alla crisi, specie per il verificarsi di fattori esterni non direttamente controllabili, come: il rialzo del costo dei fattori, le cadute della domanda, l’ingresso improvviso di nuovi rivali, il manifestarsi di negative e non controllabili dinamiche dei mercati finanziari ecc.

16 Guatri, turnaround, declino crisi e ritorno di valore, Milano Egea 1995.

17 A. Farinet, Lo sviluppo come fattore di crisi dell‘impresa industriale, in Finanza e marketing e

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Alcuni autori, infatti, riconoscono esplicitamente che “Mettere sotto accusa solamente il management per il cattivo andamento dell’azienda è un approccio non adatto a descrivere la complessa realtà della crisi, in quanto essa può dipendere da forze che sfuggono al dominio degli uomini dell’azienda18”.

È infatti ormai consolidato19 il pensiero per cui né la variabile manageriale, né le

variabili ambientali, da sole possono dar ragione compiuta di una crisi:” L innesco e soprattutto l’irrefrenabilità del processo sono dovuti ad inadeguatezza delle competenze imprenditoriali e manageriali rispetto alla complessità dei problemi da gestire o alle difficoltà della situazione in rapporto al livello qualitativo del management20”.

La crisi, pertanto, è considerata come conseguenza dell’accumularsi di risultati sfavorevoli di gestione, dovuti sia all’ incapacità del gruppo manageriale di governare i complessi rapporti fra dinamiche esterne e quelle interne all’impresa, sia del manifestarsi di situazioni imprevedibili e comunque non governabili facendo leva sulle risorse e competenze disponibili.

In base a questa logica, che riconduce il fenomeno della crisi ad una sovrapposizione di elementi cosiddetti “soggettivi “ed “oggettivi” è possibile distinguere cinque tipi fondamentali di crisi in funzione delle cause che le provocano21:

- crisi da inefficienza: dovuta da rendimenti dei settori aziendali non allineati a

quelli dei concorrenti e possono interessare tutte le aree e attività dell’organizzazione: organizzativa, produttiva, commerciale, amministrativa, finanziaria. Dapprima si riflette solo su alcuni indicatori economici, quali peggioramento del ROS, ROI, diminuzione del valore aggiunto rispetto al fatturato, ma successivamente può venire a riflettersi anche in campo finanziario

18 Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Milano, Giuffrè 1986. 19 L’interpretazione è sposata sia da V. Coda 1987 e Sciarelli 1998.

20 Amigoni, Il controllo di gestione e la crisi d’impresa, Etas libri, Milano, 1977. 21 Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, pag. 14 1986.

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attraverso l‘aumento degli investimenti più che proporzionale all’aumento del fatturato. L’impresa opera, in questo caso, a costi maggiori rispetto ai concorrenti.

- crisi da sovrapproduzione: dovuta ad eccessi di potenzialità organizzative e di

capacità produttiva, fenomeno che può avvenire a seguito di cali della domanda o per errori di previsione, che hanno portato a dotarsi di una eccessiva capacità produttiva generando elevati costi fissi. L’azienda produce in misura superiore rispetto alla domanda proveniente dal mercato.

- crisi da decadimento dei prodotti: generata dalla caduta del posizionamento competitivo dell’impresa dovuta ad errori nella scelta dei mercati da servire, caduta immagine brand, carenze nel settore distributivo, scarsa capacità innovativa ecc. Anche in questo caso, si assiste ad una forte contrazione del fatturato ed al collaterale aumento del magazzino. Questa situazione, tuttavia, appare più grave, se la produzione non incontra più i favori del mercato, attratto da prodotti sostitutivi o da prodotti della concorrenza, generando effetti simili a quelli di una crisi da sovrapproduzione, ma con un peggioramento della situazione in modo più rapido, con la necessita di interventi più incisivi come quelli di riconversione produttiva.

- Crisi da carenza di programmazione innovazione: derivante dall’incapacità di

programmare, cioè adattare la gestione aziendale ai mutamenti ambientali. La mancata predisposizione di misure per rendere flessibile la struttura può comportare un progressivo peggioramento della capacità di reddito e l’incapacità di far fronte alle fasi di difficoltà.

- Crisi da squilibrio finanziario e patrimoniale: per squilibrio finanziario possiamo intendere situazioni caratterizzate dai seguenti eventi: un eccessivo leverage, mancanza della correlazione temporale tra fonti e impieghi, insufficienza della riserva di liquidità, ritardi nelle scadenze di pagamento. Tali squilibri, che sono strettamente connessi ad una crisi di natura economica, ovvero ad un

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peggioramento della redditività dell’impresa, a loro volta, trovando fondamento nell’eccessivo utilizzo del capitale di terzi, generano maggiori oneri finanziari che concorrono all‘incremento delle perdite economiche, deteriorando ulteriormente le condizioni finanziarie della azienda. Per squilibrio patrimoniale intendiamo i casi in cui l ‘impresa è scarsamente patrimonializzata, e quindi vi è uno squilibrio tra il capitale proprio e le altre forme di finanziamento. Questa scarsità di mezzi propri accentua il rischio di crisi, provocando scarsità di risorse da opporre alle perdite: una azienda dotata di capitale e riserve può assorbire le perdite senza l’equilibrio fra attività e passività.

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1.3 Metodi valutativi della crisi.

Nell’ambito aziendale, la crisi è uno stato patologico a più stadi, che può qualificarsi quale situazione di grave deterioramento della vitalità d’impresa a cui si perviene in forma progressiva, secondo un percorso ed una sintomatologia di crescente peggioramento, oppure in modo improvviso a causa di repentini accadimenti esterni (si pensi a crisi 2008) oppure interni (scomparsa imprenditore carismatico)22. I segnali di una crisi imminente possono essere sia visibili e

riconoscibili -si pensi alla crescente difficoltà a mantenere la regolarità nei pagamenti-, in altri casi latenti, non manifestandosi in modo palese, potendo invero rimanere ad uno stato di latenza tale da compromettere la possibilità di risposta dell’impresa in modo rapido e risolutivo.

L’importanza di una diagnosi tempestiva diviene, pertanto, prerogativa indispensabile per l’intervento e il risanamento della situazione in modo efficace, nonché, secondo alcuni autori, purché diagnosticata per tempo e ben gestita, una “opportunità” per il miglioramento e lo sviluppo dell’impresa stessa. Rappresenta un evento da cui può derivare un rafforzamento dell’impresa con prospettive evolutive che non si sarebbero configurate senza il manifestarsi dello stato stesso di difficoltà.

Secondo A. Arcari:” Una crisi tempestivamente diagnosticata e gestita nello sviluppo porterà con sé non solo un miglioramento delle competenze dei membri dell’organizzazione e l’introduzione di innovazioni gestionali, bensì anche l’accrescimento del livello di coesione del gruppo imprenditoriale e l’accumulo di un effetto esperienza molto utile per la prevenzione di crisi future. In ogni caso se pur con i predetti caratteri positivi, la crisi resta comunque un evento traumatico per l’azienda, è auspicabile pertanto che l’imprese, anche quelle di

22 Coda, crisi d’impresa e comportamento direzionale, Crisi d’impresa e sistemi di direzione, Etas, Milano

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piccole dimensioni, si dotino di meccanismi finalizzati a prevenire, piuttosto che curare, lo stato degenerativo23”.

Dal punto di vista aziendalistico, sono stati sviluppati dei modelli di previsione per l’individuazione tempestiva della crisi al fine di risollevare, per tempo, le sorti dell’azienda.

I modelli c.d. “predittivi” possono essere suddivisi in tre livelli di accertamento:

- metodi basati sull’intuizione:

“Si basano sulla riconoscibilità esterna dei fattori di crisi24”. Mediante tale metodo

si cerca di monitorare l’andamento dell’azienda attraverso l’individuazione, con largo anticipo, degli eventuali segnali di una crisi prima che essa si possa manifestare.

Tali segnali sono riconducibili ad elementi esterni che palesano un effettivo stato di crisi di un’azienda, quali: inefficienze produttive o commerciali, perdita quote di mercato, scarso rinnovo dei prodotti, appartenenza a settori ormai decaduti, o comunque che hanno subito una notevole flessione della domanda. Da questo punto vista, l’elemento che in maniera più evidente denota la decadenza dell’impresa è la presenza di bilanci in perdita, attraverso cui si palesa lo stato di difficoltà anche nei confronti dei creditori.

- metodi basati su indici:

consistono nel giudicare la rischiosità di un’impresa confrontando una serie di indici di bilancio fra loro connessi “a cascata” con la media di un gruppo di aziende del medesimo settore ovvero rispetto alla generalità delle aziende stesse. L’esame si attua, di norma, attraverso un procedimento di analisi progressiva, che si articola, a partire dal calcolo di un indice di redditività netta globale, lungo diverse direzioni, mirando ad individuare, attraverso approssimazioni

23 A. Arcari, Prevenire la crisi e gestire il turnaraund nella pmi attraverso le analisi economiche, 2004. 24 Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, 1986.

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successive, le cause che hanno determinato il valore e che ne hanno, quindi, provocato la variazione rispetto al valore rilevato per il periodo precedente. Quando uno o più indici palesano sensibili scostamenti peggiorativi rispetto alla media del gruppo di riferimento se ne deduce che l’azienda è soggetta a squilibri interpretabili come fattori potenziali di declino e di crisi. In effetti un’ampia esperienza dimostra che gli indicatori di bilancio hanno una loro validità, poiché riflettono aspetti rilevanti e talora essenziali degli squilibri d’impresa.

È mediante tali strumenti che il management può fornire un monitoraggio costante sulla performance dell’impresa nonché individuare l‘insorgere di “sintomi” presuntivi di una situazione di difficoltà potenzialmente interpretabili come fenomeni di declino (riduzione del ROS o aumento dell’incidenza dei costi operativi). Si pensi alla relazione sulla gestione, considerato che questa, a partire dai bilanci del 2008 delle società chiuse è tenuta a presentare a cura degli amministratori “nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell’andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziario, e se del caso, quelli non finanziari pertinenti all’attività specifica della società […]25”.

- metodi basati sui modelli:

rappresentano l’impostazione più sofisticata e articolata di previsione della crisi, attraverso cui è possibile costruire correlazioni matematiche statistiche tra variabili aziendali, in grado di prevedere situazioni di crisi.

Il primo e più noto esempio, sul piano storico, è lo Zeta-score di E. I. Altman, che può considerarsi il capostipite dei modelli per la previsione dell’insolvenza. Tale modello è stato ritenuto, anche in situazioni contraddistinte da anomalie contabili (cioè società prossime al dissesto che inquinano i risultati di bilancio con dati non veritieri per dissimulare il proprio status), lo strumento cardine in

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materia di previsione e prevenzione della crisi d’impresa, riscuotendo un elevato tasso di affidabilità26, con una percentuale di errore compresa tra il 15% ed il 25%.

Il modello si fonda su una relazione lineare, in cui cinque variabili vengono misurate, sommate e ponderate al fine di determinare un risultato finale per ciascuna azienda.

La relazione, su cui si basa tale modello è la seguente:

Z = 1,2X1 + 1,4X2 +3,3X3+0,6X4 +0,99X5

Dove:

Z è l’indice generale dello stato di salute dell’azienda;

X1 è il capitale circolante netto diviso per l totale delle attività;

X2 è l’utile non distribuito diviso per il totale delle attività;

X3 è l’utile prima degli oneri finanziari e delle imposte;

X4 è il valore di mercato del capitale diviso per il valore totale delle passività;

X5 sono le vendite per il totale dell’attività.

Per l’applicazione di tale strumento è sufficiente risolvere l’equazione sostituendo ai parametri indipendenti i valori corrispondenti per l’azienda esaminata. Una volta ottenuto il punteggio, tale valore deve essere confrontato con il parametro soglia, noto come punto critico. Solo da questo raffronto le aziende esaminate possono essere qualificate come sane o problematiche.

La prima applicazione di tale metodologia venne effettuata con riferimento ad un campione di 33 aziende in difficoltà e 33 aziende in salute, e mise in risalto la circostanza che le imprese con un punteggio inferiore a 1, 8 erano da considerare ad alto rischio insolvenza, quello con punteggio superiore a 3 non presentavano alcuna criticità, mentre le aziende con un punteggio compreso tra 1,8 e 3 avrebbero potuto presentare problemi.

26 La gestione dell’impresa in crisi, L’analisi di Dottori Commercialisti, Managers ed Imprenditrici, ODEC

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Il presente modello ha subito successive integrazioni e modifiche ed è stato, altresì, rivisitato in occasione degli accordi di Basilea 2 e dei fenomeni di bancarotta avvenuti negli Stati Uniti nei primi anni 2000(in tale contesto occorreva indiscutibilmente rivisitare ed aggiornare il modello al fine di poter intervenire con estremo anticipo alla luce sia delle evoluzioni normative, sia dei fenomeni di bancarotta che avevano coinvolto il sistema economico-aziendale americano, vedasi caso Enron).

In seguito a tali modifiche, il modello Z-Score classifica le aziende in funzione del punteggio ottenuto in:

- sane, con score superiori a 2, 90;

- di dubbia sorte, con score compresi tra 1, 23 e 2, 90; - insolventi, con score inferiori a 1, 23.

I principali pregi dello Z-Scorer, pur in presenza di alcuni limiti che ancora oggi non sono stati superati (come il non tener conto degli intagibles o di situazioni che potrebbero pesare sulla congiuntura economica) sono la semplicità d’utilizzo e l’elevata capacità di comparazione nel tempo (variazione anno su anno della stessa società) e nello spazio (raffronto tra società diverse).

Da citare, per importanza, ulteriori modelli di previsione quali i modelli elaborati da V. Coda, La Monte Carlo Simulation infine La Sensitive Analysis.

È intuitivo osservare che: se l’insorgere della crisi è accertabile facilmente ex post all’esterno dell’ente societario per via dell’inadempimento continuo delle obbligazioni assunte dalla società, essa non è generalmente apprezzabile facilmente all’esterno del perimetro della direzione aziendale ex ante e la valutazione di questa, quando non sia ancora cronicizzata e quindi ancora reversibile, presuppone una visione non solo storica e statica ma anche prospettica e dinamica.

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Tale valutazione richiede la presenza, all’interno dell’ente societario, di adeguati sistemi informativi e assetti organizzativi orientati alla pianificazione e controllo. In tale ottica diviene doveroso soffermarsi sul ruolo svolto dal bilancio d’esercizio, in quanto rappresenta la base di partenza di qualsivoglia analisi inerente alla sfera aziendale.

Il bilancio è un documento aziendale redatto dagli amministratori al termine di ogni esercizio amministrativo nel rispetto dei principi contabili, delle disposizioni di legge e della prassi amministrativa. La funzione svolta dal bilancio è prettamente informativa, in quanto rappresenta il principale strumento di conoscenza e controllo, di verifica e valutazione periodica circa l’andamento dei vari aspetti della gestione aziendale, a livello economico, finanziario e patrimoniale, nonché il principale mezzo di comunicazione attraverso cui si veicolano all’ esterno un complesso di informazioni a favore dei vari stakeholders dell’azienda. Esso costituisce, pertanto, un valido supporto informativo, nonché il fondamentale, da utilizzare come strumento di partenza su cui basare analisi aziendali, volte ad approfondire la conoscenza della solidità patrimoniale, della redditività e della situazione finanziaria dell’organismo economico esaminato, nonché per l’analisi e la valutazione di segnali premonitori della crisi.

È noto, infatti, come la presenza di sintomi della crisi e la sussistenza della crisi stessa possa e abbia riflessi significativi sul bilancio d’esercizio.

Sebbene i modelli d’analisi della crisi maggiormente utilizzati nel mondo professionale facciano ampio utilizzo dei valori iscritti in bilancio, l’uso esclusivo di tali dati deve essere adeguatamente valutato, tenendo conto dei vari limiti che quest’ultimi inglobano, in quanto i risultati che emergono dall‘applicazione delle norme civilistiche e delle convenzioni contabili non offrono un supporto informativo limpido e completo.

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Diverse sono le occasioni di “inquinamento” nella formazione del bilancio di esercizio capaci di creare forti anomalie fra la situazione contabile e quella reale: - l’applicazione del criterio di competenza economica imprescindibile per l’impostazione e la corretta formazione dei documenti di bilancio;

- l’applicazione delle norme fiscali, relative alla capitalizzazione di costi di manutenzione, all’ammortamento dei beni immateriale ecc.;

- l’iscrizione dell’attività con il criterio del costo storico che, in mancanza di esplicite disposizioni di legge non consente l’adeguamento dei costi originari di acquisizione al mutato potere d’acquisto della moneta.

Tali limiti vengono ulteriormente rafforzati e opportunamente taciuti, qualora l’azienda si trovi in situazione di difficoltà. Il management o l’imprenditore tenteranno di occultare o attenuare i segni di deterioramento delle condizioni di salute dell’azienda al fine di mantenere la credibilità e fiducia degli attori esterni, ottenendo possibilmente nuove risorse per finanziarie le necessarie azioni di risanamento.

I bilanci cosi composti segnaleranno con notevole e fatale ritardo gli elementi e gli stadi di criticità aziendale, non presentando ad una prima lettura approssimativa, apparenti sintomatologie negative, nascoste ed abilmente confuse o manipolate ad arte dai redattori.

Nonostante ciò, non si vuole sostenere l’inutilità di un’analisi desunta da dati storico-contabili, indici finanziari, analisi di bilancio, che pur avendo un’importante funzione segnaletica di squilibri patrimoniali ed economici, patisce inevitabilmente circostanze connaturate a questo tipo di analisi.

Pur rappresentando una fondamentale base di partenza, tutte le analisi diagnostiche condotte con strumenti derivati direttamente dai dati di bilancio, per l’incertezza che contraddistingue l’individuazione di un effettivo “stato di crisi” aziendale, non solo devono tener conto di queste palesi difficoltà e

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limitazioni interpretative, ma al fine di una corretta valutazione nonché previsione, devono essere condensati con considerazioni e documenti prospettici. Tali analisi richiederanno, pertanto, un approfondito esame dei piani di azione futuri della direzione e dei relativi flussi finanziari ed economici previsionali, che tengano conto delle aspettative future per l’evoluzione futura della azienda stessa, attraverso l’implementazione di giudizi riguardanti anche aspetti qualitativi dell’impresa (perdita di amministratori o dei dirigenti chiave, perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione e di concessioni ecc.). Piani che permettano di tener conto di aspetti tipici della realtà aziendale e che non possono, in nessun modo, essere espressi con semplici numeri in bilancio, andando così a valutare l’andamento della gestione nel suo complesso e dei suoi riflessi sulla razionalità dell’azienda intesa come combinazione di beni funzionanti ed organizzati27.

È bene ricordare che nell’attuale contesto per intercettare i segnali della crisi non difettano regole emanate ad uso dei professionisti, anche se, specificamente indirizzate per l’analisi della presenza della “continuità aziendale”, principio fondamentale per la redazione del bilancio ai sensi dell’art. 2423 e seguenti del codice civile. In tal senso si richiamano:

- Il Principio di revisione (ISA Italia) 570, indicante la responsabilità del revisore relativamente all’utilizzo da parte della direzione dell’azienda revisionata del presupposto della continuità aziendale per la redazione del bilancio ovvero nel valutare la capacità dell’impresa ad operare come entità in funzionamento, principio fondamentale per la sua redazione.

Tale principio, prevede una serie di eventi e circostanze che, considerati individualmente o nel loro complesso, possono far sorgere dubbi significativi sul

27 Fondazione nazionale dei commercialisti, La continuità aziendale nella crisi d’impresa, Documento del

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presupposto della continuità aziendale, nel nostro caso, sulla presenza o meno di segnali premonitori di una eventuale crisi;

- il Principio 11 norme di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate del CNDCEC, attraverso cui vengono definite le linee guida che il Collegio deve seguire nell’esercitare la funzione di vigilanza e controllo, attribuitagli ai sensi del art. 2403 c.c., sull‘adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili per rilevare segnali di crisi;

- l’OIC 6, ristrutturazione del debito e informativa di bilancio, che al suo interno prevede, nel definire cosa si intenda per ristrutturazione del debito, degli elementi indicativi del fatto che il debitore versi in una situazione di difficoltà finanziaria, nel nostro caso di una potenziale situazione di crisi.

Infine è bene fare un breve accenno, in quanto sarà oggetto di discussione con maggiore attenzione nei paragrafi successivi, al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza approvato in via definitiva, in attuazione della legge 19 Ottobre 2017 n.155.

Nello specifico il legislatore nella nuova riforma, al fine di intercettare tempestivamente gli indizi della crisi e adottare le misure più idonee alla sua composizione, ha individuato gli “indicatori della crisi” negli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, che diano evidenza dell’incapacità dell’impresa ad assicurare:

- la sostenibilità dei debiti per almeno sei mesi successivi;

- le prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata dell’esercizio al momento valutazione sia inferiore ai sei mesi, per i sei mesi successivi.

Gli indicatori che il legislatore ha individuato come significativi, in quanto potenzialmente idonei a perseguire le finalità di monitoraggio sulla sostenibilità

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dell’indebitamento e sulla continuità aziendale, sono: “quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”28.

Il legislatore, inoltre, individua nel Consiglio dei dottori commercialisti ed esperti contabili (CNDCEC) l’organo pubblico considerato tecnicamente qualificato ad elaborare con cadenza triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica, appositi indici economici che consentano di rilevare in modo agevole e obiettivo segnali che consentano ragionevolmente di presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa. È, inoltre, previsto che il CNDCEC elabori specifici indici con riferimento:

- alle start-up innovative; - alle PMI innovative;

- alle società di liquidazione;

- alle imprese costituite da meno di due anni.

28 Art. 13 del Decreto legislativo recante codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della

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1.4 Reversibilità della crisi e stadi evolutivi.

Rilevato lo stato di declino o di crisi ed analizzate le cause, al fine di una corretta valutazione sulle possibili soluzioni da intraprendere per il superamento dello stato di difficoltà aziendale, bisognerà valutare: “Se la crisi è irrecuperabile e debba quindi sfociare nel disinvestimento e nella liquidazione aziendale per effetto di procedure volontarie o concorsuali oppure si tratti di crisi reversibile ed esistano le condizioni per avviare processi di risanamento29”.

Diviene fondamentale, pertanto, una disamina sulla reversibilità o meno della crisi.

La reversibilità di una crisi è equivalente alla possibilità di rigenerare un’equilibrata composizione dell’impresa unitariamente considerata, accompagnata dall’ eliminazione delle disfunzioni operative, dell’eventuale debolezza e passività del capitale di comando, delle eventuali carenze imprenditoriali.

Possiamo individuare due livelli di reversibilità30:

- oggettiva, se riferita all’organismo impresa nel suo insieme;

- soggettiva, se riferita all’organo imprenditoriale e all’assetto proprietario. Per quanto riguarda la reversibilità oggettiva possiamo individuare cause: - rimuovibili, e in questo caso l’eliminazione della causa determina la cessazione degli effetti della crisi e il possibile ripristino degli equilibri preesistenti;

- non rimuovibili, ma con effetti compensabili, agendo in senso opposto su altre cause rimuovibili già operanti e in precedenza tollerate, oppure potenziando i punti di forza dell’impresa;

- Non rimuovibili, con effetti non compensabili. In questo caso il sistema deve agire sia incrementando le proprie capacità di resistenza per assicurarsi tempi

29 Guatri, Turnaround, Declino crisi e ritorno al valore, Egea, 1995.

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più ampi di risposta, sia riformulando la propria strategia alla nuova ricerca di spazi vitali.

Mentre in merito alla irreversibilità della crisi, un contributo apprezzabile è quello dato dall’autorevole Sciarelli, il quale fornisce una propria definizione di crisi irreversibile: “Situazione di dissesto tale da portare, inevitabilmente, al fallimento o alla liquidazione volontaria dell’azienda, giacché l’impresa ha esaurito il suo ciclo vitale e la sua vitalità è compromessa da una crisi ormai irreversibile31”.

Al riguardo la dottrina individua ben quattro differenti momenti nell’evoluzione di una crisi, ponendo solo nell’ultima fase di un percorso affatto scontato e per nulla deterministico, l’eventuale insorgenza di una situazione di dissesto permanente ed irreversibile32.

Secondo l’autorevole Guatri il percorso della crisi si manifesta, secondo una possibile interpretazione di numerosi dati sperimentali, in quattro stadi per ognuno dei quali si può individuare33:

- una fase del percorso del declino e della crisi - le manifestazioni salienti con le quali essa si rileva.

I primi due stadi corrispondono al declino dell’impresa. Più precisamente: - il primo stadio è quello della incubazione caratterizzato da ridotta produttività o riduzione del fatturato, eccedenza di scorte, inadeguata copertura del fabbisogno finanziario. È evidente che una crisi a questo livello è più risanabile, in quanto non sono ancora stati prodotti effetti irreversibili. Tuttavia, la difficoltà che si riscontra in questo stadio è spesso l’individuazione dei sintomi, in particolare squilibri ed inefficienze che lo caratterizzano, in quanto questi ultimi non hanno una manifestazione evidente;

31 Sciarelli, crisi d’impresa, Cedam, Padova 1995.

32 Guatri, Turnaround, Declino crisi e ritorno al valore, Egea, 1995. 33 Guatri, Turnaround, Declino crisi e ritorno al valore, Egea, 1995.

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- il secondo stadio è quello della maturazione, caratterizzato inizialmente da una contrazione degli utili e successivamente dalla presenza di perdite economiche con conseguente graduale depauperamento delle risorse aziendali. Si tratta di un processo di erosione, le cui tipiche manifestazioni sono la carenza di liquidità, la riduzione delle risorse destinate alle funzioni aziendali, l’assorbimento delle riserve e del capitale proprio per coprire le perdite che si manifestano durante il corso della vita aziendale.

L’arresto del declino, in questo secondo stadio è sicuramente più difficile, ma le difficoltà sono in funzione del quadro di deterioramento cui il sistema è pervenuto, in sostanza dell’intensità e della durata delle perdite subite. In questa fase, l’aspetto essenziale degli interventi consiste in una rapida azione di contenimento e riduzione delle perdite, che riesca a bloccare l’emorragia in corso prima che essa produca i suoi esiti letali, quali insolvenza o il dissesto.

In queste due fasi, gli interventi volti al risanamento dell‘azienda vengono svolti con costi e rischi a carico dei portatori del capitale. Le fasi finali, invece, sono quasi sempre caratterizzate da interventi, come vedremo in seguito, i cui costi ed il cui rischio ricadono, parzialmente o totalmente, su soggetti diversi, tra questi sono in prima linea i creditori, che più o meno consapevolmente sono chiamati a sopportare l’onere dell’eventuale insuccesso di tali interventi.

Gli ulteriori due stadi definiscono la crisi vera e propria. Nello specifico:

- il terzo stadio è quello dell'insolvenza, intesa come incapacità di affrontare regolarmente le obbligazioni e quindi i pagamenti in scadenza. In questa fase, iniziano delle tensioni con gli istituti di credito, con i fornitori e con i dipendenti. Tutto l’organismo aziendale ne viene profondamente sconvolto, a tal punto che qualsiasi intervento riparatore appare problematico, spesso tardivo e con probabilità di successo ridotte. Pertanto, per il salvataggio, sono necessari interventi profondi che investono innanzitutto il capitale ed il management.

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L’insolvenza può essere temporanea o definitiva: nel primo caso lo squilibrio finanziario è attenuato da un residuo equilibrio patrimoniale dell‘impresa, cioè da un capitale netto positivo, e da prospettive economiche favorevoli, anche a seguito di interventi di ristrutturazione e rilancio. Quando l’insolvenza non è rimediabile, essa diventa definitiva. In questo caso l’impresa si trova in una situazione di dissesto, passando così nell’ultimo stadio.

- Quarto stadio della crisi: dissesto. La crisi cessa di essere un elemento solamente interno, ma genera una serie di effetti esterni quali, perdita di immagine e credibilità, sfaldamento della struttura finanziaria, perdita della clientela, ritiro degli affidamenti bancari. In questa fase, l’impresa, di fatto, non esiste più, il processo produttivo è già stato interrotto e probabilmente è già stata avviata la fase di liquidazione condotta dai creditori. Nonostante ciò, anche in situazione di dissesto sono concepibili interventi intesi al salvataggio e al risanamento d’aziende, ma tali operazioni sono attuabili solamente con l’ampia disponibilità da parte dei vari creditori, a <<cancellare>> parte dei loro crediti oppure senza il ricorso a procedure concorsuali.

La storia dei dissesti aziendali è spesso contrassegnata da tardivi riconoscimenti dei sintomi di declino e di crisi, dall’illusione che spinge ad occultare lo stato di difficoltà o a minimizzarne la portata, dal timore di adottare misure forti perché inevitabilmente dolorose. L’effetto finale di tali comportamenti è che il processo di depauperamento e di disfacimento diventa via via più grave, fino al limite dell’irreversibilità. Interventi tardivi sono, non di rado, all’origine di dissesti aziendali che altrimenti avrebbero potuto essere scongiurati.

Una ulteriore specificazione è apprezzabile dal contributo fornito da Kiyonari il quale descrive il processo evolutivo della crisi suddividendolo in quattro fasi34:

Fase preliminare; Fase acuta; fase cronica; fase risolutiva.

34 Cfr.Kiyonari T., La gestione della crisi connesse alla crescita delle medie imprese in Giappone, in Corno

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Secondo l’autore, il momento decisivo è rappresentato dalla fase acuta, dove viene a segnarsi quel confine labile tra semplice declino e crisi vera e propria. Durante tale fase, la crisi ha assunto caratteri gravi e gli equilibri aziendali sono altamente compromessi, ma non ha ancora raggiunto lo stadio dell’irreversibilità, del punto di non ritorno, dove è inevitabile il fallimento o la liquidazione dell’azienda.

È solo nella fase acuta reversibile che è possibile evitare lo spettro della crisi risolutiva, naturalmente dopo una attenta valutazione delle cause, delle possibilità di rimuoverle e della convenienza economica della loro rimozione. Se la crisi si presenta in uno stadio iniziale, possono essere auspicabili interventi volti al fronteggiamento in modo tale da evitare che un ulteriore peggioramento conduca ad un livello di gravità maggiore.

In una fase di crisi più avanzata, in cui la possibilità di recupero appare potenzialmente limitata dovuta alla presenza di forti squilibri finanziari e patrimoniali sarà necessario, invece, considerare di affrontare il salvataggio dell’azienda attraverso l’impiego di nuove risorse, con operazioni finanziarie che hanno per oggetto la struttura del capitale dell’impresa, agendo sull’equity e/o sull’indebitamento per poter alleviare gli impegni connessi al rimborso dei finanziamenti e al pagamento dei relativi interessi, ad esempio ,attraverso una ricapitalizzazione sottoscritta essenzialmente da nuovo capitale di rischio oppure attraverso un rifinanziamento e/o un consolidamento del debito concesso dai finanziatori a titolo di debito. Tale valutazione necessiterà di importanti e delicate considerazioni dato il forte rischio che vi sia uno spreco di risorse per una situazione non più recuperabile, con il risultato unico di un aggravamento della situazione di crisi e di insolvenza in essere35. Quando la crisi appare irreversibile,

ecco che diviene ragionevole l’ipotesi di porre in essere soluzioni volte alla

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cessione o alla liquidazione del complesso sociale al fine di evitare il protrarsi di un’insolvenza che autoalimentandosi diventerebbe sistematica e accompagnerebbe l’azienda verso la necessaria ricerca di accordi con i creditori o, nei casi estremi, aprirebbe le porte alle procedure concorsuali ovvero a strumenti per la regolazione della crisi d’impresa. A questi è necessario ricorrere unicamente in presenza di una crisi così estesa da configurarsi non solo una perdita di capacità reddituale, bensì anche una carenza dei mezzi necessari a far fronte alle proprie obbligazioni e quindi uno stato d’insolvenza36.

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1.5 Nozione d’insolvenza.

”Lo stato d’insolvenza è quella situazione irreversibile in cui l’impresa è nell’ impossibilità di adempiere le proprie obbligazioni, per la mancanza dei mezzi necessari ai pagamenti e l’incapacità di procurarli a causa delle perdite di fiducia del mercato e le conseguenti difficoltà di accesso al credito 37“.L’insolvenza si

distingue dalla crisi, in quanto quest’ultima pur ponendo a rischio la prospettiva della continuità aziendale, presentando squilibri economici e finanziari, presenta comunque, elementi in grado di prevedere un eventuale risanamento aziendale. Alla luce di quanto precedentemente detto, per una migliore comprensione del fenomeno della crisi, è necessario soffermarsi, sulla nozione di insolvenza, sia dal punto di vista giuridico sia da quello prettamente aziendalistico nonché sulla sua relazione con il concetto di crisi.

Dal punto di vista giuridico, la prima definizione si ritrova nell’ articolo 5 della legge fallimentare: “Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimento ed altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

In tale breve definizione nozionale, ci sono diversi aspetti che meriterebbero un concreto approfondimento a fare concreta chiarezza. Tra i differenti elementi di potenziale focalizzazione, uno dei più importanti è certamente improntato alla specificazione dell’avverbio regolarmente, indicante non solo l’incapacità del debitore di far fronte alle obbligazioni, alle debite scadenze, bensì anche alla sua incapacità di far fronte alle obbligazioni con mezzi normali, in relazione all’ordinario esercizio d’impresa.

37 Piseddu, Crisi della società e strumenti di risanamento nell’evoluzione normativa, Luiss business school

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La relazione alla legge fallimentare, infatti, si è occupata di specificare questo articolo, intendendo che “soddisfare regolarmente “le obbligazioni riguarda le modalità e i tempi dell’adempimento38.

Dal punto di vista delle modalità del pagamento, la dottrina ha esteso le possibili fattispecie di insolvenza ad ulteriori situazioni riguardanti anche la provenienza dei mezzi di pagamento ovvero in fattispecie nelle quali l ‘imprenditore estingue i suoi debiti con mezzi normali di pagamento procurandoseli in modo anomalo39.

Sotto il profilo della tempestività dell’adempimento, invece, è necessario effettuare una distinzione fra il concetto d’insolvenza, previsto dalla legge fallimentare, e i concetti quali la temporanea illiquidità e il rischio d’insolvenza, in quanto questi ultimi rappresentano possibili fattispecie di crisi ben diverse da quelle configurabili in uno stato d’insolvenza.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte40 la temporanea

illiquidità, presupponendo la capacità dell’imprenditore commerciale di acquisire ,in un ragionevole lasso di tempo, quei mezzi normali di pagamento, idonei ad estinguere le passività non più dilazionabili, consistente , al contrario dell’insolvenza, in una crisi economica momentanea e reversibile rappresentando così una tipologia di crisi economica sanabile, che non comporta necessariamente la cessazione dell’attività e la conseguente eliminazione dell’imprenditore dal mercato, differente dall’insolvenza, quale stato di illiquidità assoluto e definitivo, costituente di fatto l’aggravamento irreversibile dello stato di illiquidità ( e dunque , attualizzato, dello stato di crisi).

La Cassazione a Sezioni Unite si è occupata di chiarire il concetto sottolineando che41: “l’Unico elemento che diversifica la temporanea difficoltà di adempiere le

38 Relazione Guardasigilli alla legge fallimentare del 1942.

39 Di tale opinione Guglielmucci, Diritto Fallimentare, Giappichelli editore,2011.

40 Cass.civ,24 marzo 1983, n.2055. Orientamento ribadito da Cass.civ.27 maggio 2015 n. 10952 secondo la

quale deve intendersi per insolvenza una situazione irreversibile e non già una mera temporanea impossibilità di regolare l’adempimento delle obbligazioni assunte.

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obbligazioni dallo stato d insolvenza, è la reversibilità della crisi che caratterizza la prima situazione, nel senso che pur trovandosi nell’impossibilità di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, sussistono tuttavia sintomi di una inversione di tendenza, tali da giustificare la formulazione delle prognosi dell’evoluzione delle condizioni economiche dell’ imprenditore verso la rimozione dello stato d insolvenza “

Il nostro diritto comune, invece, evoca più volte il termine “insolvenza” attribuendo ad esso un significato non univoco, ovvero solo talvolta coincidente con quello dell’art. 5 della legge fallimentare. Tale circostanza mostra con una certa evidenza come l’insolvenza giuridica, almeno nell’attuale quadro normativo, sia non chiaramente identificabile e quindi, ancora più distante dal concetto di crisi d’impresa.

Il riferimento all’insolvenza e all’insolvente è comune, infatti, in molte disposizioni che pur essendo utilizzati nell’ambito di istituti o vicende negoziali differenti gli uni dagli altri, si riferiscono a situazioni di incapacità di adempimento di un soggetto debitore. Si pensi alle ipotesi di accollo ex art.1274 del codice civile, all’insolvenza del debitore in solido ai sensi dell’art. 1299 del c.c. o all’insolvenza di un condebitore in caso di rinunzia alla solidarietà ex art. 1313 del c.c.

Lo stato d’insolvenza richiede, non di meno, un inquadramento anche in relazione al concetto di crisi dal punto di vista aziendalistico.

Mentre l’insolvenza rappresenta uno stato di crisi, non è detto che una qualsiasi crisi comporti l’insolvenza e conduca ad essa.

È, infatti, come già osservato, connaturato nello stesso concetto dinamico di continuità che nella vita di una azienda si verifichino momenti fisiologici di difficoltà. L’ azienda può affrontare momenti di difficoltà anche profondi, ma

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non necessariamente strutturali o definitivi, né tanto meno necessari ad intaccare la solvibilità.

Pertanto, la crisi e l’insolvenza più che fasi e stadi temporalmente differenti, ma funzionalmente collegati, rappresentano concetti autonomi e separati: la crisi anticipa l’insolvenza che ne costituisce un possibile sviluppo o manifestazione42.

La crisi dunque, non necessariamente conduce all’insolvenza, mentre quest’ultima è un effetto della crisi che rileva sulla complessiva capacità di adempiere le obbligazioni aziendali43.

Come sarà esposto nel successivo paragrafo con maggior dettaglio, è stato approvato in via definitiva un nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, al cui interno è prevista da parte del legislatore una specifica distinzione tra il concetto di insolvenza da quello di crisi, in particolare il nuovo testo prevede:

- al termine “crisi” lo stato di difficoltà economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate;

- al termine “insolvenza” lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti ed altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

42 A. Quagli, A.Davoli, Crisi aziendali e processi di risanamento, Prevenzione e diagnosi, Terapie e casi

aziendali, Ipsoa, Milano 2012.

43 Fondazione nazionale dei commercialisti, Informativa e valutazione nella crisi d’impresa, Documento

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1.6 La riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

In merito alla crisi d’impresa , dal punto di vista giuridico, è doveroso, all’interno di questo elaborato , soffermarsi, con nessun intento esaustivo, sul nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che al momento dell’elaborazione di tale lavoro risulta approvata in via definitiva , in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n.155 recante “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 254 in data 30 ottobre 2017.

Il legislatore ha ritenuto opportuno dopo settantaquattro anni rispetto alla normativa precedente, R.D 16 marzo 1942 n.267, una analisi organica delle stesse, in materia di procedure concorsuali e crisi d’impresa ovvero da sovraindebitamento, per porre rimedio alla disomogenea stratificazione normativa succedutasi dal 1942, alle rilevanti difficoltà applicative e alla mancanza di indirizzi giurisprudenziali consolidati.

Da tempo la Commissione Europea invita gli stati membri a procedere ad una significativa revisione delle procedure concorsuali, anche in relazione alla mutata realtà cui deve essere applicata. La Commissione, infatti, raccomanda da tempo un nuovo approccio per il salvataggio delle imprese nonché per fornire una seconda opportunità agli imprenditori onesti, con l’obbiettivo di privilegiare, anziché la liquidazione, la ristrutturazione precoce delle imprese sane in modo da impedirne l’insolvenza, dando così la possibilità di strutturarsi e restare operative.

Ricordiamo tra i più recenti interventi della Commissione Europea:

- La risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011 sulle raccomandazioni alla Commissione sulle procedure d’insolvenza nel contesto del diritto societario dell’UE;

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- La comunicazione “L‘Atto per il mercato unico “del 3 ottobre 2012, intitolata “Un nuovo approccio Europeo al fallimento delle imprese ed all’insolvenza “ - Raccomandazioni del 12 marzo 2014, con l’invito ad istituire meccanismi e strumenti che “garantiscano ad imprese sane in difficoltà finanziaria l’accesso ad un quadro nazionale in materia d’insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza”.

Il legislatore ha, così, deciso di istituire con decreto del 28 gennaio 2015 la Commissione Ministeriale, c.d.” Commissione Rordorf”, composta da magistrati, docenti universitari e professionisti, e presieduta da Dott. Renato Rordorf, presidente della I^ Sezione civile della Corte di Cassazione, per la predisposizione di un disegno di legge delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Nel disegno di legge viene espressamente proposto di introdurre: “Una specificazione definizione della crisi, quale presupposto, cosi come l ‘insolvenza reversibile, del concordato preventivo, coordinandola con la nozione di insolvenza di cui al vigente art 5 Regio Decreto 1942 n 267, quale presupposto delle procedure liquidatorie”

In base alla bozza di relazione del d.d.l. viene chiarito come fosse intenzione della Commissione Rordorf di proporre: “Una prima fondamentale scelta: quella di disegnare un quadro normativo nel quale siano ben delineati i principi giuridici comuni al fenomeno dell‘ insolvenza, come tali idonei a fungere da chiari punti di riferimento per l’intera gamma delle procedure di cui si discute, sia pure con le differenziazioni di disciplina di volta in volta rese necessarie dalla specificità delle diverse situazioni in cui l’insolvenza può manifestarsi. […] In questa ottica si renderà necessario che vengano definite in modo non univoco alcune nozioni fondamentali nella materia in esame, a cominciare da quella di ‘crisi’ (che non equivale all’insolvenza in atto ma implica un pericolo di futura

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insolvenza) e di ‘insolvenza’ (che è peraltro nozione già sufficientemente collaudata da molti decenni di esperienza giurisdizionale, onde non parrebbe necessario modificarla rispetto all’attuale formulazione normativa)”.

Ed ancora nella bozza di relazione al d.d.l. si legge che: “La profonda e generalizzata crisi economica degli ultimi tempi giustifica il ricorso ad una nozione omnicomprensiva d’insolvenza, come evento che può presentarsi ad ogni livello di svolgimento dell’attività economica, sia essa in forma organizzata, professionale o personale: cambiano infatti le dimensioni del fenomeno e la natura degli strumenti per affrontarlo, ma l’essenza resta la stessa, in ogni sua manifestazione.”

In data 11 ottobre 2017, il Senato ha approvato definitivamente il d.d.l. n. 2681 recante “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”. nonché la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è avvenuta in data 30 ottobre 2017.

Infine, è stato definitivamente approvato in data 10 gennaio 2019 il decreto legislativo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 febbraio 2019, in attuazione della L. 155/2017 rubricato “Codice della crisi e dell’insolvenza” mettendo fine all’iter parlamentare di uno degli interventi normativi più importanti dell’ultima legislatura44.

Si tratta di un corposo Testo Unico sulla disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza composto da 391 articoli, suddivisi in quattro parti, che andrà a sostituire tutte le disposizioni contenute nel R.D. 267/1942 in materia di fallimento, concordato preventivo e liquidazione coatta amministrativa e nella L. 3/2012 in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento45.

44 https://www.tuttocamere.it/modules.php?name=Conte.

45 L’ entrata in vigore del decreto è prevista decorsi diciotto mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta

Ufficiale ad eccezione di quanto previsto agli art. 27, comma 1, 350 ,363, 364, 366, 373, 374, 377 e 378 che entreranno in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto. Sempre trenta giorni successivi alla pubblicazione in Gazzetta è prevista l’entrata in vigore delle

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Il nuovo codice presenta, pertanto, tale schema: - Parte prima: “Codice della crisi e dell’insolvenza”; - Parte seconda:” Modifiche al codice civile”;

- Parte terza: “Garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire”; - Parte quarta: “Disposizioni finali e transitorie”.

Il Codice ha l’obbiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con due principali finalità46:

- consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese;

- salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro a un fallimento d’impresa dovuto a particolari contingenze.

Tra i punti salienti che verranno introdotti da questa imponente riforma risultano:

- superamento del concetto di “Fallimento”, attraverso la sostituzione il termine “fallimento” e i suoi derivati con l’espressione “liquidazione giudiziale”, al fine di evitare il discredito sociale derivante a cui è notoriamente sottoposto l’imprenditore fallito;

- distinzione tra il concetto di insolvenza e di crisi. Come precedentemente esposto, il legislatore ha voluto distinguere questi due concetti prevedendo un metodo processuale di accertamento unico per tutti i tipi di debitori (sulla falsa riga di quello di dichiarazione di fallimento);

- fase preventiva di allerta. Introduzione di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi finalizzate ad anticipare l’emersione della crisi di impresa, costituire uno sostegno diretto ad analizzare le cause della sofferenza economica e finanziaria dell’impresa e fornire un servizio di composizione della crisi funzionale alle trattative per il raggiungimento dell’accordo con i creditori.

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Tutte queste procedure saranno governate da un organismo ad hoc, OCRI, istituito presso ogni camera di commercio con lo scopo di assistere il debitore nella ricerca di una soluzione concordata con i creditori. Sono previste misure premiali, di natura patrimoniale e per la responsabilità personale, a favore dell’imprenditore che tempestivamente propone istanza di composizione assistita della crisi o chiede l’omologazione di un accordo di ristrutturazione o propone un concordato preventivo o un ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, al fine di fare emergere per tempo lo stato di difficoltà aziendale e poterne favorire la sua risoluzione;

- introduzione di norme specifiche alla crisi dei gruppi d’imprese. In particolare, si consente a più imprese appartenenti allo stesso gruppo, in stato di crisi e con un proprio centro di interessi in Italia di proporre la domanda di accesso al concordato preventivo con un unico piano o con più piani collegati, e all’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentando un unico ricorso. Resta ferma l’autonomia delle diverse masse attive e passive; - esdebitazione di diritto. Per le insolvenze di ridotta portata sarà introdotto l’istituto dell’esdebitazione di diritto che consente al debitore “meritevole” di accedere a tale istituto senza richiedere l’approvazione da parte del giudice, resta salva la possibilità dei creditori di opporvisi;

- istituzione di un unico albo nazionale presso il Ministero della giustizia dei curatori, commissari giudiziali o liquidatori, figure fondamentali previste dal Codice della crisi e dell’insolvenza;

- si dà priorità di trattazione alle proposte che mirano a superare la crisi e a garantire la continuità dell’impresa;

- si riforma e si semplifica la disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale.

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A buon diritto si può affermare che con questa riforma della crisi, il legislatore ha così concepito, finalmente, le procedure concorsuali non più in termini meramente liquidatori-sanzionatori, in ossequio a quanto disposto all’interno della legge n.155/2017, ma, piuttosto come procedure destinate al risanamento e al trasferimento a terzi dell’impresa, salvaguardando così anche i lavoratori e i creditori. Obiettivo che si è inteso perseguire, cercando di adottare un sistema normativo più agile, privilegiando non solo le procedure di composizione concordata della crisi ad iniziativa del debitore, dei creditori e della autorità giudiziaria ma, altresì, prevedendo un nuovo istituto: le procedure di allerta e composizione assistita della crisi ad iniziativa del debitore di natura non giudiziale e confidenziale tese a realizzare una risoluzione anticipata della crisi. Tutte procedure che si avvalgono di accordi privatistici conclusi tra debitore e creditore per favorire la conservazione e la prosecuzione delle attività d’impresa. Il legislatore, pone così, maggiore attenzione all’emersione tempestiva della crisi d’impresa con l’intento di limitare le perdite dell’intero tessuto economico oltre che consentire, laddove possibile, il risanamento aziendale a beneficio della preservazione dei valori aziendali, cercando così di contemperare l’interesse dei creditori con l’esclusione dell’impresa dal mercato e la conseguente dispersione del know-how e dei livelli occupazionali. E in base a quest’ottica assume anche rilevanza la distinzione tra crisi d’impresa ed insolvenza: la prima come rischio d’insolvenza, ossia rischio di una futura ma non certa insolvenza da poter superare attraverso accordi con i creditori e la seconda, invece, secondo l’attuale definizione caratterizzata dall’illiquidità.

Con il nuovo sistema si ha anche una diversa concezione del fallimento innanzitutto lessicale, sostituendo il termine “fallimento” con l’espressione “liquidazione giudiziale”, con l’intenzione di eliminare ogni valenza stigmatizzante nei confronti del debitore che storicamente a quella parola si

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accompagna, “riqualificando” la crisi come una situazione oggettiva di difficoltà in cui l’imprenditore si è venuto a trovare e, non più intesa solamente come un fatto colposo da sanzionare. Pertanto, un diverso approccio lessicale può meglio esprimere una nuova cultura del superamento dell’insolvenza, facendo ricadere tale fattispecie in una possibile fase “fisiologica “della vita di un’impresa, da prevenire ed eventualmente regolare nel modo migliore.

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2 Capitolo

Crisi e operazioni straordinarie.

2.1 Gestione della crisi.

Il tema delle crisi aziendali e della loro soluzione ha assunto nel tempo una importanza sempre più rilevante.

La crescente diffusione della crisi all’interno dell’attuale contesto economico ha stimolato gli studiosi, nonché il legislatore, alla ricerca di soluzioni per la gestione del fenomeno con finalità rivolte perlopiù alla prosecuzione dell’attività aziendale in un’ottica di risanamento, piuttosto che a soluzioni volte alla liquidazione nonché estinzione del complesso sociale, tutto ciò al fine di garantire la continuità e la salvaguardia del valore di quelle imprese versanti in situazioni di patologia aziendale diverse da uno stato d’insolvenza.

L’intento primario, in tali ipotesi, diviene il recupero dell’impresa e la salvaguardia del valore sociale e, di riflesso, la tutela di tutti gli interessi nella stessa coinvolti. L’estinzione dell’impresa diviene pertanto l’extrema ratio o attraverso la liquidazione o, in presenza di uno stato d’insolvenza, attraverso le procedure concorsuali, anche se, secondo l’approccio classico dell’economia di mercato, nel lungo periodo l’uscita dal mercato di un’impresa che ha perso la capacità di competere può avere anche risvolti positivi47:” La crisi aziendale e la

scomparsa di singole aziende sono il prezzo da pagare per il riequilibrio di settore. Si tratta di un processo naturale di selezione”

È risaputo che le crisi aziendali non rappresentano solamente eventi di conflitto meramente privati tra debitore e creditore, bensì situazioni di rilevanza più

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