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Ridere ai tempi della Rivoluzione La rivista "Novyj Satirikon" dal febbraio 1917 all'agosto 1918

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUE E

LETTERATURE MODERNE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Ridere ai tempi della Rivoluzione

La rivista “Novyj Satirikon” dal febbraio 1917 all’agosto 1918

CANDIDATO RELATORE

Lorenzo Gambassi Chiar.mo Prof. Guido Carpi CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Stefano Garzonio

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INDICE

Introduzione ... 3

Capitolo 1. Il “Novyj Satirikon” e i suoi collaboratori ... 6

1.1 Il boom dei settimanali satirici in Russia ... 6

1.2 Il “Satirikon” e il “Novyj Satirikon” ... 8

1.3 Arkadij Timofeevič Averčenko ... 10

1.4 Nadežda Aleksandrovna Lochvickaja ... 14

1.5 Gli altri collaboratori ... 16

Capitolo 2. Da febbraio a maggio 1917 ... 24

2.1 Gli eventi di febbraio: agitazioni e scioperi a Pietrogrado ... 24

2.2 La satira sulla famiglia imperiale ... 27

2.3 Criminalità e anarchia. ... 32

2.4 La giornata lavorativa di 8 ore ... 37

2.5 Crisi del primo governo provvisorio: cresce la tensione sociale ... 42

Capitolo 3. Da giugno ad agosto 1917 ... 49

3.1 Inefficienza del governo provvisorio: la situazione nelle campagne e in provincia... 49

3.2 Discorsi e riunioni: l’operato dei ministri ... 52

3.3 Immagini del nemico ... 57

3.4 Gli eventi di luglio ... 62

Capitolo 4. Da settembre a dicembre 1917 ... 67

4.1 La polizia ... 67

4.2 Crisi governo Kerenskij: i bolscevichi prendono il potere ... 72

Capitolo 5. Da gennaio a marzo 1918 ... 82

5.1 La Russia schiava dei tedeschi ... 82

Capitolo 6. Da aprile ad agosto 1918 ... 94

6.1 Il numero dedicato a Marx ... 94

6.2 La critica al proletkul’t ... 102

6.3 Gli ultimi numeri e la chiusura del settimanale ... 115

Conclusioni ... 118

Bibliografia ... 123

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Introduzione

Questo lavoro è mirato ad analizzare la produzione satirica del “Novyj Satirkon”, settimanale di estrazione borghese-liberale, nel 1917 e nel 1918, anni che videro in Russia l’ascesa al potere del bolscevismo. Nati dalla scissione del Partito Operaio Socialdemocratico Russo nel 1903, i bolscevichi, pur costituendo inizialmente una minoranza, furono capaci di guadagnarsi in breve tempo un grande consenso tra le masse, spronandole a dare vita alla Rivoluzione d’ottobre. Tuttavia, il partito di Lenin incontrò non pochi ostacoli: l’opposizione portata avanti dai rappresentanti del governo provvisorio e dai sostenitori della monarchia condusse a una estenuante guerra civile, che logorò il paese per tre anni. Anche in ambito letterario l’intelligencija liberale diede il proprio contributo alla lotta al bolscevismo, in particolare tramite la stampa satirica.

Per i motivi esposti, la prima parte di questo elaborato è dedicata alla popolarità riscontrata dai settimanali satirici in seguito alla prima Rivoluzione russa. L’Ochrana, ovvero la polizia segreta zarista incaricata di sopprimere ogni tentativo di eversione politica, subì infatti un duro colpo in seguito agli eventi del 1905, favorendo così l’esplosione dei giornali dedicati a tematiche di natura sociale. La notorietà che riuscirono a raggiungere il “Satirikon” e, successivamente, il “Novyj Satirikon”, fu sicuramente merito dei collaboratori che vi scrivevano. Infatti, sono stati dedicati alcuni paragrafi a coloro che hanno contribuito in maniera decisiva al successo del settimanale. Autori come Arkadij Averčenko, Arkadij Buchov e Teffi, stimatori e prosecutori dello stile dei grandi dell’umorismo russo come N. V. Gogol’ e A. P. Čechov, riuscirono a creare articoli e feuilletons dal carattere innovativo e coinvolgente.

La sezioni successive di questo lavoro sono invece focalizzate su articoli, feuilletons, vignette e caricature pubblicate sul “Novyj Satirikon”. Lo studio del settimanale è stato condotto suddividendo il materiale a disposizione in periodi di tre o quattro mesi, al fine di analizzare al meglio

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quali fossero le tematiche prominenti in concomitanza con i fatti storici. Dopo una breve presentazione dell’entità degli eventi che sconvolsero la Russia a febbraio, si cercherà di evidenziare quali fossero i principali obiettivi della satira prodotta dal settimanale. Toccando argomenti come la caduta dello zarismo, la dilagante anarchia nella capitale, le prime conquiste degli operai, l’operato del governo provvisorio e la crescente tensione sociale, i giornalisti furono capaci di unire al loro principale intento, cioè quello di far ridere il lettore, le loro posizioni politiche. Quest’ultimo aspetto emerse ancora più chiaramente a luglio, in quanto fu all’inizio di questo mese che, in seguito ai tumulti organizzati dai soldati a Pietrogrado, si ebbe la conferma dell’imminente presa del potere da parte dei bolscevichi. I commenti sulle fatidiche giornate di luglio e sull’organizzazione della “nuova polizia”, unite alle vignette a agli articoli relativi al periodo natalizio, andarono a confermare il ruolo del “Novyj Satirikon” come strumento di denuncia sociale e di opposizione al bolscevismo.

Prendendo in considerazione le pubblicazioni da gennaio a agosto 1918 si noterà che i collaboratori del settimanale non accolsero con entusiasmo l’arrivo del nuovo anno, in particolare per la recente apertura dei trattati di pace con la Germania a Brest-Litovsk. I temi che emergeranno in queste pagine saranno infatti la perdita di dignità e l’assenza di patriottismo nella nuova Russia Sovietica. Non mancheranno inoltre gli attacchi al nuovo sistema di organizzazione dell’arte e della cultura e le critiche al leninismo come ideologia politica.

Vista la grande importanza assunta dall’inquadramento politico-ideologico sotto il regime sovietico, il “Novyj Satirikon” fu costretto a chiudere ad agosto 1918. La situazione fu ulteriormente aggravata verso la fine del mese a causa dell’omicidio di M. S. Urickij per mano di un giovane cadetto. Tale evento segnò ufficialmente l’inizio della campagna bolscevica nota come Terrore rosso, le cui ripercussioni sulla stampa furono disastrose e si abbatterono su un vasto numero di riviste giudicate

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non aderenti alle linee dettate partito. Ciononostante, il “Novyj Satirikon” sostenne costantemente e tenacemente la causa della libertà d’espressione, affermandosi fino ai suoi ultimi giorni di vita come la rivista satirica maggiormente in vista di tutta la Russia.

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Capitolo 1. Il “Novyj Satirikon” e i suoi collaboratori

1.1 Il boom dei settimanali satirici in Russia

Il genere umoristico e satirico, nella sua variante incentrata sul patetico e il grottesco-fantastico, ha sicuramente in N. V. Gogol’ il suo padre naturale. Lo scrittore e drammaturgo si distinse infatti per la sua grande capacità di rappresentare situazioni satirico-grottesche scaturite dalla mediocrità dell’animo umano. Criticando la cosiddetta pošlost’, ovvero la volgarità e l’oscenità derivate dalla semplicità intellettuale del cittadino russo medio nel diciannovesimo secolo, Gogol’ riuscì ad unire il visionario al comico, dando vita nelle sue opere a situazioni paradossali ma, allo stesso tempo, cariche di un forte realismo. Tale genere, su toni maggiormente malinconici e cupi, venne portato avanti da scrittori come F. M. Dostoevskij, M. E. Saltykov-Ščedrin, N. S. Leskov e A. P. Čechov. Fu soltanto all’inizio del ventesimo secolo, visti gli sconvolgimenti portati dalla prima rivoluzione russa, che la satira si focalizzò su temi prettamente politici, divenendo appannaggio di giornalisti e feuilletonistes. (cf. Cazzola 1974, p. 5)

All’inizio del XX secolo si verificò in Russia un cambiamento di tendenza nel sistema giornalistico, poiché venne parzialmente abbandonato il sistema di pubblicazione a cadenza giornaliera e mensile, a favore di un altro tipo di stampa periodica, cioè quella settimanale. L’uscita settimanale risultò infatti la più confacente al difficile periodo rivoluzionario, in quanto permetteva di fornire un resoconto dettagliato sugli eventi e, contemporaneamente, concedeva ai giornalisti il tempo necessario per raccogliere e organizzare il materiale. Tuttavia, tale sistema non fu una novità assoluta per la stampa russa: infatti, i settimanali già esistevano nel XVIII secolo e videro la loro fioritura negli anni 50 e 60 dell’Ottocento, ma fu nel periodo tra il 1900 e il 1917 che divennero ampiamente diffusi, tantoché circa due terzi dei periodici

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venivano pubblicati sotto questa forma. Solitamente erano giornali relativamente brevi, di circa cinquanta o sessanta pagine, composti da una sezione dedicata alle illustrazioni, una riservata alla narrativa, e da varie recensioni e articoli su questioni di carattere sociale e politico. In sostanza ciò che fu mantenuto, in continuità con la classica tradizione giornalistica, fu la parte della narrativa, poiché il lettore russo non avrebbe mai acquistato un giornale che non contenesse un romanzo o un racconto. Anche le immagini si rivelarono una componente essenziale per il successo dei settimanali e non vennero percepite come subordinate al testo principale. Inoltre, i prezzi modici di questi periodici ne favorirono ulteriormente l’apprezzamento da parte dei lettori che, nel giorno prestabilito, attendevano avidamente l’uscita del nuovo numero.

Tra il 1905 ed il 1907, grazie all’indebolirsi del sistema di censura zarista, si verificò un considerevole aumento della quantità di uno specifico tipo di settimanali, cioè quelli satirici. Furono infatti centinaia i periodici che, corredati di buffe e maliziose caricature, riempirono le strade delle maggiori città della Russia. Tra i più importanti, che si ritrovarono oltretutto al centro di scandali di natura politica, vi furono “Pulemet” [“La mitragliatrice”] di N. G. Šebuev, “Signal” [“Il segnale”] di K. I. Čukovskij, “Župel” [“Lo spauracchio”] di Z. Gržebin e “Maski” [“Le maschere”] di S. Čechonin. Il primo numero di “Pulemet”, uscito il 13 novembre 1905, circolò per tutta la Russia e sull’ultima pagina riportava il disegno dell’impronta del palmo di una mano insanguinata posta sopra il testo del Manifesto del 17 ottobre. L’impronta era quella del governatore Trepov, noto per le sue dichiarate intenzioni di voler risolvere la crisi politica utilizzando qualunque mezzo di repressione fosse stato necessario. L’editore del giornale N. G. Šebuev collaborò con altre riviste umoristiche, come “Russkoe slovo” [“La parola russa”], “Budil’nik” [“La sveglia”] e “Rus’”, ma con “Pulemet” raggiunse l’apice del successo, occupandosi dei testi e dei temi da accompagnare ai disegni che venivano poi realizzati dall’illustratore I. M. Grabovskij. Il giornale ebbe però vita breve, infatti riuscì a pubblicare soltanto cinque numeri, prima che la censura zarista si

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abbattesse su di esso e ne ordinasse la chiusura forzata. Un destino simile investì anche “Župel”, che arrivò alla pubblicazione di soli tre numeri. Al giornale collaborarono diversi scrittori già famosi, come M. Gorkij, I. A. Bunin, A. I. Kuprin e K. D. Bal’mont, e alcuni artisti del gruppo

Mir iskusstva, come E. E. Lansere, V. G. Perov e I. J. Bilibin. La parte

grafica costituiva infatti un’importante componente per la produzione satirica di questi anni, anzi, talvolta era quella prevalente, mentre il testo svolgeva una semplice funzione di accompagnamento. Perciò, spesso, fu proprio la partecipazione di eccellenti disegnatori a favorire il successo di un determinato giornale. (cf. Machonina 2004, fonte internet. Qui e infra: vedi Sitografia)

Tra gli umoristi russi maggiormente dotati di talento, Arkadij Averčenko si distinse per il grande contributo dato al giornalismo satirico nel periodo rivoluzionario. Nel 1905, a Charkiv, egli fu il redattore del giornale “Štyk” [“La baionetta”], che divenne successivamente “Meč” [“La spada”]. Ma, al nome di Averčenko sono legati principalmente due giornali satirici, che riuscirono a pubblicare per un lungo periodo e riscontrarono un considerevole successo, il “Satirikon” e il “Novyj Satirikon”.

1.2 Il “Satirikon” e il “Novyj Satirikon”

L’idea per la formazione di un giornale interamente dedicato alla satira nacque un paio di anni dopo la forte repressione che caratterizzò il periodo immediatamente successivo agli eventi rivoluzionari del 1905. Nell’autunno del 1907 Arkadij Averčenko si recò alla sede del giornale umoristico pietroburghese “Strekoza” [“La libellula”] ed espresse la propria volontà di collaborare alla testata giornalistica, che al tempo non godeva di una grande popolarità. Sapendo delle esperienze passate di Averčenko a Charkiv, il redattore di “Strekoza” M. G. Kornfel’d lo invitò a partecipare alla riunione dei collaboratori, tra i quali figuravano i giovani artisti Re-Mi

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(N. V. Remizov-Vasil’ev), A. Radakov. A. Junger, A. Jakovlev, Miss (A. V. Remizova) e il poeta Krasnyj (K. M. Antipov). Ciò che emerse fu una generale insoddisfazione per la bassa tiratura del giornale ed una conseguente volontà unanime di riformarlo e rinnovarlo. Grazie anche alla presenza di Averčenko, Kornfel’d si convinse a convertire il suo settimanale umoristico in satirico, scegliendo quindi di trattare argomenti riguardanti la vita politica e sociale del paese. Il passo successivo fu quello di dare un nuovo titolo al giornale e fu Radakov a proporre di adottare il nome “Satirikon”. L’ispirazione derivava dal Satyricon di Petronio Arbitro, romanzo che fornisce una visione caleidoscopica dell’epoca di Nerone e che mescola bizzarri dettagli della vita quotidiana a immagini grottesche e dissolutezza. La proposta di Radakov fu accolta positivamente, in quanto rispecchiava a pieno la posizione in cui intendeva collocarsi il neonato giornale nei confronti della Russia del tempo. Infatti, la libera esposizione degli eventi fu un aspetto che distinse fin da subito i collaboratori del “Satirikon”, per la maggior parte in giovane età e, quindi, desiderosi di dar sfogo alla loro fantasia artistica. Nella confusionaria situazione in cui si trovava ad operare, il “Satirikon” si pose come un pacifico osservatore che, pur rimanendo fedele alla vena umoristica, si fece portatore di una pungente ironia, senza però mostrare dolore o sdegno per gli avvenimenti riportati. Dal giorno 3 aprile 1908, al posto della ormai obsoleta “Strekoza”, iniziò ad uscire il “Satirikon”, che si accollò l’oneroso compito della correzione morale della società attraverso la satira. Il nuovo settimanale riscontrò fin da subito un enorme successo specialmente negli ambienti intellettuali, tra gli studenti universitari e gli insegnanti, e fu molto apprezzato anche dalla classe politica che, talvolta, ne utilizzava delle citazioni durante i dibattiti. (cf. Evstigneeva 1968, fonte internet)

A giugno 1913 avvennero delle dispute interne alla redazione a causa di alcuni malintesi a livello economico. La lite, i cui schieramenti erano composti da Kornfel’d da una parte e da Averčenko, Radakov e Remizov dall’altra, comportò la fine della collaborazione di questi ultimi

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con il “Satirikon”. Inoltre, insieme a loro, abbandonarono la redazione anche la maggior parte dei principali collaboratori del giornale: P. P. Potemkin, N. A. Lochvickaja (Teffi), V. A. Aškinazi (Azov), I. L. Oršer (O. L. D’Or), M. A. Aldanov (Landau), A. K. Benua e M. V. Dobužinskij. Successivamente ad essi si aggiunse anche A. S. Buchov ed il nuovo gruppo creatosi andò a formare la redazione di un nuovo settimanale, il “Novyj Satirikon”. Il neonato giornale, sotto la guida di Averčenko, spostò la propria sede sulla prospettiva Nevskij al numero 88, in un appartamento composto da una stanza dedicata alla redazione, uno studio per il responsabile dell’edizione e due stanze riservate alla spedizione. Vi erano oltretutto altre tre stanze libere, nelle quali vivevano persone estranee al giornale. Pur mantenendosi in linea con la tradizione del “Satirikon”, che continuò comunque a pubblicare fino alla fine del 1913, il “Novyj Satirikon” si distinse per la sua maggiore attenzione ai temi di carattere politico. All’inizio della prima guerra mondiale, ad esempio, il settimanale mostrò un forte sentimento patriottico; si schierò a favore della Rivoluzione di febbraio, ma successivamente criticò i rappresentanti del governo provvisorio. Tuttavia, ciò per cui si contraddistinse, e che ne provocò la chiusura forzata nell’agosto 1918, fu l’adozione di un’aggressiva satira antibolscevica. Tale aspetto verrà però analizzato più avanti. Al fine di capire al meglio la scelta dei temi trattati e lo stile del “Novyj Satirikon” è opportuno adesso fornire alcune nozioni sui principali collaboratori del giornale.

1.3 Arkadij Timofeevič Averčenko

A. T. Averčenko nacque a Sebastopoli il 30 marzo 1881 in una famiglia modesta: il padre, Timofej Petrovič Averčenko era un commerciante, mentre la madre, Susanna Pavlovna Sofronova, era figlia di un soldato di Poltava in pensione. A causa di problemi alla vista, che gli impedivano di stare sui libri per periodi prolungati, Averčenko riuscì a

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terminare soltanto i primi due anni di ginnasio, ma, fortunatamente, come riporta lo scrittore N. N. Breško-Breškovskij, la mancata preparazione scolastica fu compensata dalla sua innata predisposizione intellettuale. Iniziò a lavorare presto, all’età di 15 anni, prima presso un’azienda di trasporti di Sebastopoli, poi, nel 1897, nelle miniere di ferro di Brjansk nella regione del Donbass. Fu in questo periodo che scrisse alcuni racconti sulla vita in miniera, come ad esempio Večerom [Di sera] e

Molnija [Il fulmine]. Nel 1903, all’età di 22 anni, si trasferì a Charkiv e il 31

dicembre comparve un suo racconto sul giornale “Južnyj Kraj” [“Il confine meridionale”]. Ciononostante, lo stesso Averčenko dichiarerà nella sua autobiografia di considerare come suo debutto letterario il racconto

Pravednik [Il giusto], pubblicato l’anno seguente. Tra il 1906 e il 1907 fu

editore dei due giornali satirici “Štyk” e “Meč”, nei quali pubblicò articoli utilizzando svariati pseudonimi, ma fu licenziato verso la fine del 1907, in quanto giudicato incapace di eseguire quel tipo di mansione. La rivincita di Averčenko avvenne nel 1908, anno in cui si trasferì a Pietrogrado e divenne prima collaboratore dei giornali “Strekoza” e “Satirikon” di M. G. Kornfel’d, poi editore del “Novyj Satirikon”. Tra il 1910 e il 1912 fece molti viaggi in Europa insieme ai suoi colleghi, raccogliendo del materiale che gli risultò utile per la sua futura produzione letteraria, come ad esempio per la pubblicazione del libro Ekspedicija satirikoncev v Zapadnuju Evropu [Spedizione dei collaboratori del “Satirikon” in Europa Occidentale] nel 1912. Averčenko si occupò anche di recensioni di spettacoli teatrali adottando svariati pseudonimi, che poi utilizzerà anche negli articoli e

feuilletons pubblicati nei settimanali, come ad esempio Ave, Volk [lupo], Foma Opiskin [Tommaso Opiskin], Meduza-Gorgona [Medusa-Gorgone] e Fal’staf. Vista la posizione di opposizione all’autorità sovietica presa dallo

scrittore, scelse di abbandonare Pietrogrado e cercò di tornare in Ucraina. Nel 1919 lavorò per il giornale “Jug” [“Il sud”], sostenendo i bianchi durante il periodo della guerra civile. Quando però il 15 novembre 1920 anche Sebastopoli fu assediata dai rossi, Averčenko fu costretto ad abbandonare la terra natia spostandosi ad Istanbul. Nel 1921 pubblicò a

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Parigi una raccolta di pamphlet dal titolo Djužina nožej v spinu revoljucii [Una dozzina di coltelli nella schiena della rivoluzione], in cui i vari protagonisti ricordano nostalgicamente la felice vita passata. Nel 1922 si spostò prima a Sofia e poi a Belgrado, per stabilirsi definitivamente a Praga a giugno di quello stesso anno. L’anno successivo una casa editrice di Berlino pubblicò una sua raccolta di storie di emigranti intitolata Zapiski

Prostodušnogo [Appunti di un uomo semplice]. Tuttavia per Averčenko

non fu affatto facile abbandonare la madrepatria, infatti molti dei suoi racconti affrontano proprio il tema dell’abbandono e dell’alienazione, come ad esempio Tragedija russkogo pisatelja [Tragedia dello scrittore russo], che fu tradotto anche il lingua ceca e divenne popolare nel paese. In Repubblica Ceca lavorò per il giornale “PragerPresse”, per il quale scrisse molte storie che si distinsero per la loro effervescenza e acutezza, ma non mancò mai di esprimere costantemente il desiderio di tornare nel suo paese di origine. Nel 1925, in seguito ad un intervento per correggere i problemi alla vista, Averčenko ebbe delle complicazioni e morì presso l’Ospedale Municipale di Praga il 12 marzo. La sua ultima opera Šutka

Mecenata [Lo scherzo del mecenate], scritta a Sopot nel 1923, fu

pubblicata nel 1925 dopo la sua morte.

Averčenko, le cui qualità furono dedicate principalmente all’attività giornalistica, portò nell’umorismo russo una nota tipicamente meridionale. Egli fu un grande scrutatore dei differenti tipi umani a lui contemporanei, infatti, come osserva Cazzola:

«Non c’è quasi debolezza nel cuore umano, difetto di carattere, situazione o incidente, per quanto insignificante, della vita d’ogni giorno, abitudine o tic professionale che non abbia fornito occasione o materia all’arguzia inesauribile, alla satira spesso paradossale, al buon umore comunicativo, irresistibile di Averčenko». (Cazzola 1974, p. 229)

Lo scrittore era capace di rendere la psicologia dei suoi personaggi riducendo al minimo i procedimenti stilistici: la descrizioni sono solitamente concise ed essenziali, l’aggettivazione viene quasi abolita. L’effetto che ne deriva è caricaturale, ottenuto grazie anche a effetti iperbolici e grotteschi,

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che ne avvicinano per certi versi lo stile a quello del conterraneo N. V. Gogol’. Tuttavia, nonostante prediliga uno stile umoristico semplice, talvolta Averčenko si eleva anche alla fine ironia, che cela una profonda serietà, del sarcasmo mirato ad affrontare problemi di natura psicologica, educativa e sociale.

Per quanto riguarda la produzione di Averčenko sul “Satirikon” e sul “Novyj Satirikon”, questa consisteva principalmente in feuilletons, definibili come appendici letterarie di giornali e riviste. Il feuilletonismo cominciò ad occupare una posizione rilevante nel giornalismo russo a partire dagli anni 80 dell’800, grazie al “Novoe Vremja” [“La nuova epoca”] di A. S. Suvorin e V. P. Burenin, ma fu all’inizio del XX secolo che assunse un’importanza tale da costituire il fondamento della stampa periodica. I feuilletons di Averčenko trattavano temi di attualità politico-sociale o mettevano in ridicolo vizi, abitudini e pošlost’. La ventata di novità dello scrittore portata nel campo della satira sta nel riuscire a trattare i semplici temi della quotidianità dandone una visione originale e critica. Non è più un umorismo divertente e spassoso, e quindi fine a se stesso, come avveniva nel “Budil’nik”, ma una comicità che utilizza nuovi processi creativi, portati avanti da uno scrittore che non può essere definito borghese ma, piuttosto, proveniente dalla strada. Egli aveva la capacità di comprendere lo spirito delle masse, soprattutto grazie all’influenza dell’humor anglo-americano di Mark Twain e alla letteratura poliziesca e d’avventura di Arthur Conan Doyle. Continuatore di quella linea interrotta con Čekov, con il quale aveva in comune l’attenzione per i particolari ma non la finezza di penetrazione, Averčenko anticipò la maniera di Zoščenko. (Colucci, Picchio 1997, p. 55).

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1.4 Nadežda Aleksandrovna Lochvickaja

N. A. Lochvickaja, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Teffi, con il quale firmò gran parte delle sue opere, nacque il 21 maggio 1872 a San Pietroburgo in una famiglia aristocratica. Il padre, Aleksandr Vladimirovič Lochvickij, era infatti un avvocato molto rinomato nella società del tempo, e la madre, amante della poesia e della letteratura russa ed europea, aveva origini francesi. Già in giovane età Teffi mostrò una forte passione per la letteratura, grazie alla lettura di opere come Detstvo [Infanzia] e “Otročestvo” [Adoloscenza] di L. N. Tol’stoj e della narrativa di A. S. Puškin. La sua carriera letteraria ebbe ufficialmente inizio nel 1900, in seguito alla separazione dal marito Vladislav Bučinskij con il quale ebbe due figli, Elena e Janek. Iniziò a pubblicare nel 1901 sul giornale “Sever” [“Il Nord”] firmandosi con il proprio nome, ma acquisì notorietà quando avviò la collaborazione nel 1908 con il “Satirikon”, per il quale scriveva principalmente racconti satirici e feuillettons utilizzando il proprio pseudonimo. Lo zar stesso, Nicola II, si rivelò essere un grande stimatore delle opere di Teffi. Nel 1910 la redazione dello “Šipovnik” [“La rosa canina”] pubblicò la sua prima raccolta di poesie, intitolata Sem’ ognej [Sette fuochi] e i racconti Jumorističeskie rasskazy [Racconti umoristici]. Dopo la chiusura dei giornali “Novyj Satirikon” e “Russkoe slovo”, per i quali lavorò, Teffi si spostò prima a Kiev, poi a Odessa e, successivamente, a Novosibirsk. Nell’estate del 1919 andò in Turchia e in autunno si stabilì a Parigi, dove lavorò per alcuni giornali della capitale francese e organizzò addirittura un salone letterario. Tra il 1922 ed i 1923 visse in Germania insieme al compagno Pavel Andreevič Tikston. Morì a Parigi il 6 ottobre 1952.

In merito alla scelta dello pseudonimo adottato dalla scrittrice vi sono diverse teorie. La prima versione fu fornita da lei stessa in un racconto intitolato Psevdonim [Pseudonimo] (1910), in cui dichiarò che le fu suggerito da un amico di nome Stefan, che le raccontò che i domestici

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amavano chiamarlo “Steffi”. Successivamente però, durante un’intervista, un giornalista le fece notare che il nome da lei scelto compariva nella nota canzone per bambini di Rudyard Kipling “Taffy was a Welshman” e la scrittrice, ricordandola ed essendovi molto affezionata, confermò di esservisi ispirata. Un’altra versione sulla scelta dello pseudonimo è stata data da due studiosi dell’opera della scrittrice, E. M. Trubilova e D. D. Nikolaev. Questi sostengono che, data la dedizione di Teffi alle parodie, all’umorismo e alla mistificazione, lo pseudonimo costituisce parte integrante del gioco letterario messo in scena (cf.. Smirnova 2004, p. 232). Esiste inoltre un’ultima versione, secondo la quale la scrittrice si rifiutò di firmare le sue opere con il proprio cognome poiché già utilizzato dalla sorella Mirra Lochvitckaja, poetessa già affermata e amata, tanto da essere definita la “Saffo russa”. In ogni caso, le va riconosciuto il merito ed il coraggio di aver preferito adottare un nome femminile, al contrario di molte scrittrici a lei contemporanee che invece scelsero nomi maschili, comportamento giudicato da Teffi scorretto e vile. (cf. Lochvickaja 1910, fonte internet)

Data l’elevata estrazione sociale della sua famiglia, Teffi fu molto presto introdotta ai classici della letteratura russa, come A. S. Puškin e L. N. Tol’stoj. Inoltre, nutrì un forte interesse per l’arte del suo tempo e fece amicizia con il pittore e scrittore A. Benua. Le personalità che influenzarono maggiormente la sua produzione artistica furono N. V. Gogol’, F. M. Dostoevskij, A. P. Čechov, F. Sologub e A. Averčenko. Teffi è stata definita la regina dell’umorismo russo dell’inizio del XX secolo, rappresentante di un modo di fare satira totalmente originale, caratterizzato dall’unione di toni tristi e spiritosi mirati ad esplorare l’ambiente sociale e culturale. Il suo è un umorismo colto ed elegante, che comunque mantiene tratti di umanità e semplicità; il riso al quale induce il lettore ignora il disprezzo e l’odio, al contrario produce un senso di empatia e amore verso i suoi personaggi:

«Il suo spirito di osservazione esatto e vivo, rivolto a tutto ciò che è futile, piccolo-borghese, pretenziosamente volgare e

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triviale senza scampo, si unisce ad un riso esteriormente buono e gentile, in sostanza femminile e femminilmente mordace». (Cazzola 1974, p. 234)

I temi preferiti da Teffi sono quelli delle quotidiane incomprensioni tra classe e classe, tra popolo e intelligencija, tra marito e moglie o tra amanti e colleghi. La scrittrice sembra sempre giustificare anche i comportamenti più infimi messi in atto da banditi e criminali, giustificandoli come derivanti dall’ignoranza e dall’incapacità di comprendere a fondo. Avendo compiuto molti viaggi ed essendo stata allevata, come Puškin, da una nutrice di origini contadine, Teffi ha maturato una sorta di spirito democratico che si è conseguentemente riversato nella sua produzione letteraria. La sua grande umanità e la notevole capacità di osservazione sono invece riconducibili alla scuola čechoviana. (ivi, p. 235)

1.5 Gli altri collaboratori

Arkadij Sergeevič Buchov nacque a Ufa il 7 febbraio 1889 in una famiglia di ferrovieri. Pur non avendo frequentato la scuola superiore, studiò presso le facoltà di giurisprudenza di Kazan e Pietroburgo. Nel 1907 fu arrestato per ben due volte, in quanto sospettato di appartenere al Partito social-democratico dei lavoratori russi e al Partito dei socialisti rivoluzionari, entrambi illegali nella Russia zarista. Buchov conobbe la popolarità grazie alla collaborazione con i giornali “Satirikon” e “Novyj Satirikon”, sui quali spesso pubblicò anche adottando lo pseudonimo di “L. Arkadskij”. In seguito alla Rivoluzione d’ottobre e alla chiusura del “Novyj Satirikon” nel 1918 si trasferì in Lituania, dove due anni più tardi divenne redattore del giornale “Echo” [“L’eco”], nel quale pubblicarono anche I. Bunin, A. Kuprin, S. Černyj, I. Severjanin, V. Nemirovič-Dančenko e altri. Nel 1927 fece ritorno in Unione Sovietica e lavorò per alcuni giornali satirici, come “Čudak” [“Lo strampalato”], “Begemot” [“L’ippopotamo”] e “Bezbožnik” [“L’ateo”]. Dal 1928 fu anche un collaboratore segreto

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dell’OGPU (Ufficio Politico di Stato di tutta l’Unione) e dell’ NKVD (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni). A partire dal 1932 scrisse anche per il giornale “Krokodil” [“Il coccodrillo”]. Il 29 giugno 1937 fu arrestato ed il 7 ottobre venne processato e accusato di spionaggio. Condannato alla pena capitale, venne fucilato quello stesso giorno. Nel 1956 la sua posizione venne però rivalutata per volere del Collegio Militare della Corte Suprema dell’Unione Sovietica e fu inserito post mortem nell’Unione degli scrittori. Nella sua produzione letteraria Buchov si distinse per il suo brio spettacolare, per l’umorismo spericolato e per la capacità di far ridere il lettore affrontando principalmente temi riguardanti problematiche sociali. (cf. Milenko 2012, fonte internet)

Iosif L’vovič Oršer nacque a Perejaslav-Chmel'nickij, in Ucraina, il 22 luglio 1878. Dopo aver scritto su alcune riviste dell’impero russo meridionale, si trasferì a Pietroburgo nel 1906, continuando la propria attività di giornalista. Scrisse su “Reč’” [Il discorso], “Tovarišč” [“Il compagno”], “Russkoe slovo”, “Utro Rossii” [“Il mattino della Russia”], “Den’” [“Il giorno”] e si dedicò alla satira pubblicando su “Signal”, “Seryj volk” [“Il lupo grigio”], “Satirikon” e “Novyj Satirikon”. I suoi scritti su quest’ultimo giornale venivano firmati con lo pseudonimo “O. L. D’Or”. Nel 1906 pubblicò la prima parte del romanzo Jakov Markovič Melamedov, ma guadagnò maggiore popolarità con racconti, feuilletons e parodie. Nel 1918 fu redattore di uno dei primi giornali satirici sovietici, intitolato “Gil’otina” [“La ghigliottina”] e nel periodo della guerra civile fu corrispondente per la filiale di Pietrogrado della ROSTA, cioè l’Agenzia Telegrafica Russa. Negli anni 20 scrisse su “Krasnyj perec” [“Pepe rosso”] e “Begemot”. Morì durante l’assedio di Leningrado nel 1942. (cf. Rujen.ru 2009, fonte internet)

Valentin Ivanovič Ivanov nacque a Luga il 5 aprile 1888 e fu principalmente un poeta e un drammaturgo. Frequentò l’Università a Pietroburgo, senza però concludere il percorso di studi e mantenendosi con lavoretti occasionali. Nel 1903 iniziò a scrivere poesie sulla rivista

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“Russkij palomnik” [“Il pellegrino russo”] perché spronato da I. L. Leont’ev-Ščeglov, autore di teatro e giornalista nonché lontano parente della madre. Successivamente collaborò con il giornale “Slovo” [“La parola”], occupandosi principalmente di tematiche riguardanti la rivoluzione. In questo periodo fu fortemente influenzato dalle idee populiste del suo mentore Ščeglov, che vennero espresse in giornali come “Vsemirnaja panorama” [“Il panorama mondiale”] (1910) e “Probuždenie” [“Il risveglio”] (1909). Fu invitato a lavorare per il “Satirikon” nel 1913, sul quale scrisse adottando lo pseudonimo di “Valentin Gorjanskij”, e ne divenne uno dei poeti di punta insieme a S. Černyj e P. P. Potemkin. Qui sperimentò un genere per lui nuovo, la satira lirica, mirata a schernire la pošlost’ della classe borghese tramite un largo uso di temi folkloristici e dialettismi. Nel 1914 Gorjanskij assunse una decisa posizione antibellicista e si recò anche al fronte in qualità di corrispondente. A giugno del 1918 si recò a Odessa, poi a Istanbul e, successivamente, si stabilì in Croazia dal 1922 al 1926. Dal 1926 si trasferì a Parigi dove collaborò attivamente per alcune riviste dell’emigrazione, come “Poslednie novosti” [“Le ultime notizie”] (1937-39) e “Vozroždenie” [“La resurrezione”], portando avanti una forte campagna antisovietica. Durante l’emigrazione in Francia si dedicò anche alla scrittura di commedie e racconti fantastici, pubblicando alcune raccolte negli anni 30 e 40. Morì a Parigi il 4 giugno 1949. (cf. Ipatova 2013, fonte internet)

Isidor Jakovlevič Gurevič nacque il 13 marzo 1882 e frequentò gli studi storico-filosofici e giuridici a Pietrogrado. Durante il periodo della seconda Duma di stato lavorò come reporter per “Golos Severa” [“La voce del nord”], ma guadagnò notorietà pubblicando sui giornali “Novosti” [“Il notiziario”], “Volšebnyj fonar’” [“La lanterna magica”], “Vsemirnyj panoram”, “Satirikon”, “Novyj Satirikon” e altri. Morì nel 1931. (cf. Evstigneeva 1968, fonte internet)

Jakov Viktorovič Oksner, meglio conosciuto con lo pseudonimo “Žak Nuar”, con il quale firmò gran parte delle sue poesie, nacque nel

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1888 a Florešty, paese situato nella regione dell’attuale Moldavia, ma passò gran parte della vita a Chișinău. Nel 1907, in seguito al matrimonio con l’ucraina Sofija Moiseevna Sigal, si trasferì a Odessa, dove iniziò a scrivere prima per il “Satirikon” (1916-1917), poi per “Ogonek” [“Il lumino”] e “Epocha” [“Epoca”]. Dopo la Rivoluzione d’ottobre fece ritorno a Chișinău lavorando per “Novoe slovo”, ma nel 1922 si trasferì a Berlino e scrisse versi sulla rivista dell’emigrazione “Golos emigranta” [“La voce dell’emigrato”]. Fece nuovamente ritorno nella sua madrepatria nel 1940, quando la Bessarabia fu definitivamente inglobata dall’Unione Sovietica. Morì nel 1941 durante il massacro di ebrei avvenuto nel ghetto di Chișinău. (cf. Ehrenburg, Grossman 2009, p. 102)

Grigorij Nokolaevič Petnikov nacque il 6 febbraio 1894 in una famiglia aristocratica: la madre era figlia di un medico polacco, il padre era un ufficiale militare ucraino. Petnikov studiò presso la facoltà di storia e filosofia a Mosca e poi concluse la propria formazione nelle facoltà di giurisprudenza e lettere all’università di Charkiv. A partire dal 1913 si occupò di poesia di stampo futurista e, con gli amici Božidar e N. Aseev, fondò la casa editrice “Liren’”. Nelle sue prime opere risulta evidente una certa influenza di Chlebnikov, in particolare per l’utilizzo di tematiche legate al folklore. Inoltre, essendo un amante di poeti tedeschi come Novalis e Rilke, si ritrovano nella sua produzione anche delle tinte romantiche. Morì in Crimea, dove si trasferì a partire dagli anni 50, il 10 maggio 1971. (cf. Necropol.ru 2011, fonte internet)

Boris Vladimirovič Žirkovič nacque nel 1888 a Smolensk in una famiglia nobile e frequentò gli studi a Varsavia. A partire dal 1909 divenne un costante collaboratore dei giornali “Satirikon” e “Novyj Satirikon”, per i quali scrisse racconti, parodie e epigrammi politici firmandosi con lo pseudonimo di “Ivan Prutkov”. Negli anni 20 e 30 lavorò per i giornali satirici sovietici “Gudok” [“Il fischietto”], “Krasnaja gazeta” [“La gazzetta rossa”], “Begemot” e “Krokodil”. Morì nel 1943. (cf. Brjuchoveckij 2015, fonte internet)

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Aleksandr Matveevič Flint nacque il 23 settembre 1891 a Kiev, dove concluse brillantemente gli studi di giurisprudenza, tant’è che fu premiato con un’opera in due volumi di Shakespeare elegantemente rilegata. Tuttavia, il suo talento trovò la massima espressione quando si trasferì a Pietrogrado insieme alla madre. Nell’allora capitale russa collaborò con il “Satirikon” e il “Novyj Satirikon”, occupandosi principalmente di epigrammi e caricature. Successivamente, tra il 1920 e il 1922, lavorò anche per “Krasnaja gazeta”, “Begemot”, “Smech” [“La risata”] e “Okno ROSTA” [“La finestra della ROSTA”] e dal 1932 entrò a far parte dell’Unione degli Scrittori Sovietici. Morì a Leningrado il 16 dicembre 1954. (cf. Uvarova 2013, fonte internet)

Aleksandr Sergeevič Brodskij, noto al pubblico con il nome di “Aleksandr Voznesenskij”, nacque l’11 marzo a Voznesensk in Ucraina. Formatosi come giurista, si dedicò principalmente alle attività di drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore, ma ciò per ciò per cui si distinse fu il suo contributo nell’ambito cinematografico. Può essere infatti considerato il primo sceneggiatore cinematografico russo e nel 1917 fondò a Pietrogrado uno studio interamente dedicato a questa attività. Si sposò con l’attrice Vera Jureneva, la quale interpretò diversi ruoli negli spettacoli teatrali e cinematografici del marito. Morì il 22 gennaio 1939 a Novaja Šul’ba in Kazakistan. (cf. Narod.ru 2012, fonte internet)

Efim Davidovič Zozulja nacque nel 1891 e trascorse l’infanzia a Łódź e a Odessa, dove dal 1911 lavorò come giornalista prima di trasferirsi a Pietrogrado nel 1914 e collaborare con il “Novyj Satirikon”. Nel 1919 si spostò a Mosca e nel 1923, insieme a M. Kol’cov, fondò il giornale “Ogonek”. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Zozulja si arruolò nell’esercitò, prestò servizio nell’artiglieria per un paio di mesi prima di assumere la direzione del giornale di trincea. Si ammalò gravemente al fronte e morì in ospedale. Lo scrittore è stato definito un maestro del racconto psicologico, molto vicino alla tradizione di Čechov per l’attenzione che pone sulla relazione tra gli individui e gli eventi della vita

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cittadina quotidiana. Zozulja sembra guardare con il microscopio le singole particelle che compongono gli eventi della vita ordinaria, ottenendo così un delicato effetto umoristico-satirico. Morì nel 1941. (cf. Charlamov 1987, fonte internet)

Aleksandr Stepanovič Grinevskij nacque il 23 agosto 1880 a Slobodskoj, città sulle rive del fiume Vjatka. In tutta la sua vita scrisse più di 400 opere tra poesie e romanzi, inserendovi sia elementi neoromantici che simbolisti e firmandosi con lo pseudonimo di “A. S. Grin”. Sul “Novyj Satirikon” pubblicò principalmente feuilletons, le cui tematiche trattavano specialmente la brutalità e gli eccessi della società contemporanea. In seguito alla chiusura del settimanale Grin rimase in Russia, fu arrestato per ben quattro volte senza mai essere fucilato. Morì l’8 luglio 1932 in Crimea, dove si era trasferito con la moglie Nina Nikolaevna Mironova. (cf. Nedorezova E., Nedorezova M. 2013, fonte internet)

Vladimir Aleksandrovič Aškinazi nacque il 19 giugno 1873 a Kerč’, ma frequentò il liceo a Pietrogrado e si spostò molto per gli studi universitari tra Parigi, Zurigo e Berna. Scrisse su diversi giornali, come “Novosti dnja” [“Le notizie del giorno”], “Russkoe slovo”, “Reč’”, “Rossija” [“La Russia”], “Satirikon” e “Novyj Satirikon” firmandosi con lo pseudonimmo di “Vlad. Azov”. Dopo la Rivoluzione d’ottobre visse a Pietrogrado lavorando nella redazione di “Vsemirnaja literatura” [“Letteratura mondiale”]. Emigrò in Francia nel 1926 e aderì alla massoneria parigina. Morì nella capitale francese nel 1941. (cf. Sokolovskij 2001, fonte internet)

Vladimir Vasilevič Lebedev, nato il 14 maggio 1891 a San Pietroburgo, fu un eccellente pittore, disegnatore e illustratore, la cui attività ricopre un periodo piuttosto lungo, che va dal 1910 fino ai primi anni ’60. Lebedev iniziò la sua carriera artistica quando aveva soltanto quattordici anni e divenne in poco tempo un prolifico illustratore di noti giornali per bambini, come “Galčonok” [“La taccola”], “Sinij žurnal” [“Il giornale blu”], “Žurnal dlja vsech” [“Il giornale per tutti”] e “Argus” [“Argo”]. I

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disegni da lui prodotti in questo periodo furono caratterizzati da uno stile che unisce varie tendenze avanguardiste, cubismo e futurismo, portate avanti anche da altri artisti della medesima generazione come B. Grigorev, A. Jakovleff e V. Šuchaev. Tali tecniche sperimentali vennero però parzialmente abbandonate da Lebedev nel periodo di collaborazione con il “Satirikon” e il “Novyj Satirikon”, per poi essere riproposte successivamente nei poster realizzati per “Okno ROSTA” a partire dal 1920. L’illustratore iniziò a lavorare per il “Satirikon” nel 1911 e la sua produzione in questo periodo fu largamente influenzata dalla corrente decadentista russa ed europea di fin de siècle. Ciò che però lo distinse da molti dei suoi colleghi fu la capacità di descrivere l’orrore generato dal conflitto mondiale, dalla rivoluzione e dalla guerra civile, con una marcata sobrietà, che lo portò a creare immagini dal carattere grottesco, ma non terrificante. A differenza dei plakaty [manifesti] creati per la ROSTA, pensati per il vasto pubblico prevalentemente illetterato della grande città, le opere satiriche comparse sulle riviste di Kornfel’d e di Averčenko mostravano un carattere maggiormente plastico e lineare, poiché indirizzate a un audience prettamente intellettuale. Inoltre, se i disegni realizzati per il “Novyj Satirikon” tra il 1917 ed il 1918 erano politicamente ambigui e anti-bolscevichi, i poster su “Okno ROSTA” divennero tra i più potenti mezzi di propaganda per il neonato stato sovietico a Pietrogrado. Nonostante l’avvicinamento di Lebedev alle ideologie bolsceviche, la Rivoluzione d’ottobre non giocò un ruolo determinante nell’evoluzione artistica dell’illustratore, il quale dimostrò un forte e costante interesse per le ultime innovazioni estetiche. I suoi forti legami di amicizia con l’architetto e pittore V. E. Tatlin e il critico N. N. Punin vanno a confermare il suo benvoluto inserimento all’interno dei circoli cubofuturisti sia occidentali che russi. Lebedev continuò per tutta la vita ad occuparsi di libri per bambini ma, contemporaneamente, collaborò anche con diverse testate giornalistiche, come ad esempio “Okno TASS” [“La finestra della TASS”] dal 1941 al 1950, periodo in cui si trasferì a Mosca. Tornato a Leningrado nel 1950 visse gli ultimi anni della sua vita proseguendo il suo lavoro di

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grafico, ma comparendo raramente in pubblico e circondato da pochi amici intimi. Morì nella sua città natale il 21 novembre 1967. (cf. Misler 1987, pp. 60-65)

Tra gli altri innumerevoli collaboratori, che lavorarono per il “Novyj Satirikon” tra il 1917 e il 1918, ricordiamo: Aleksandr Pavlovič Burd (Mohyliv-Podil's'kyj, 26 gennaio 1871 – Amsterdam, 8 ottobre 1957), Dmitrij Nikolaevič Tiger (1883 – 1944), Boris Sergeevič Mirkin-Gecevič (1892 – 1955), Aleksandr Stepanovič Roslavlev (1879 – Ekaterinodar, 1920), Vladimir Prussak (San Pietroburgo 1895 – Pietrogrado 1918), Jurij Nikolaevič Zubovskij (Tabol’sk 10 luglio 1890 - 1919), A. A. Radakov (Mosca 1879 – 1942), Emmanuil Jakovlevič German (Zin’kovzy, 26 dicembre 1892 – Mosca, 10 febbraio 1963), Michail Jakovlevič Rozenblat (Odessa, 2 dicembre 1884 – Mosca, gennaio 1966), Vladimir Vasilevič Voinov (1882 – 1938).

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Capitolo 2. Da febbraio a maggio 1917

2.1 Gli eventi di febbraio: agitazioni e scioperi a

Pietrogrado

Gli eventi che caratterizzarono la prima fase della Rivoluzione russa a Pietrogrado ebbero inizio il giorno 23 febbraio 19171. Come sostenuto da molti storici e studiosi, la Rivoluzione di febbraio ebbe, almeno nella sua fase iniziale, un carattere spontaneo, poiché fu provocata principalmente dalla disastrosa situazione in cui versava l’allora capitale dell’impero, coinvolta da ormai tre anni nel conflitto mondiale e afflitta da un’acuta penuria di generi alimentari. L’approvvigionamento di Pietrogrado fu gestito in modo caotico dalle autorità municipali le quali, data la limitata disponibilità di farina, il 16 febbraio annunciarono di aver stabilito il razionamento delle derrate creando delle tessere per il pane. Tale decisione contribuì a creare confusione e frenesia nella popolazione: furono letteralmente prese d’assalto le panetterie, che non erano però in gradi di soddisfare le richieste dei richiedenti, poiché, invece di utilizzare tutta la farina ricevuta, ne immagazzinavano grandi quantità o la rivendevano in provincia per ricavarne maggiori profitti.

In occasione della giornata internazionale della donna2, il 23 febbraio (8 marzo secondo il calendario gregoriano) si svolse una manifestazione pacifica promossa dalle operaie tessili del rione Vyborg, situato a nord-est del fiume Neva. La folla di donne si riversò nelle strade al grido di chleb! [pane] ed ebbe in poco tempo un vasto seguito, coinvolgendo nello sciopero decine di migliaia di lavoratori delle officine

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Il calendario giuliano, in ritardo di 13 giorni rispetto a quello gregoriano utilizzato in Occidente, rimase in vigore in Russia fino al 1° febbraio 1918. Tuttavia, alcune chiese appartenenti alla tradizione ortodossa tuttora usano il calendario giuliano come proprio calendario liturgico.

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La giornata internazionale della donna fu istituita per volontà del congresso internazionale delle donne socialiste svoltosi dal 26 al 27 agosto 1910 a Copenaghen.

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metalmeccaniche del quartiere. Nonostante le importanti dimensioni assunte dalla protesta, la polizia riuscì a contenerla e ad impedire che si propagasse verso il centro della città. Il rapporto di quella giornata, redatto dal capo della sezione per la protezione dell’ordine e della sicurezza pubblica, mostra come, in poche ore, i disordini si siano propagati a macchia d’olio:

«Stamane, gli operai del distretto Vyborg hanno cominciato a fermare a poco a poco il lavoro nelle fabbriche e a percorrere le strade in fitte schiere; fecero udire le loro proteste e il loro malcontento per la penuria di pane. […] La sera, ventitré imprese con un personale di 78443 operai si trovavano in sciopero […] Press’a poco nel medesimo momento una folla operaia di mille persone si spostava verso il ponte Liteiny, allo scopo di penetrare nel centro della città. […] Verso le 3, un assembramento di circa trecento operai si formò nella via Bol’shaja-Bolotnaja […] Verso le 6 di sera, un forte contingente d’operai scioperanti fecero irruzione nella manifattura d’armi dello Stato e nella manifattura di munizioni di Pietrogrado e indussero allo scipero gli operai che sino ad allora erano rimasti quieti. Verso le sette e mezzo di sera, gli operai della fabbrica meccanica di Pietrogrado e della fonderia «Vulcan» - circa 1500 persone – abbandonarono il lavoro e sfilarono nella via Bol’shaja-Koltovskaja. […] Verso le 3 di pomeriggio, avendo l’amministrazione della panetteria Filippov annunziato che non c’era più pane, circa trecento persone non servite cominciarono a bombardare le vetrine a colpi di palle di neve e pezzi di ghiaccio, poi penetrarono nella bottega dove demolirono tutto». (Walter 1973, pp. 183-184)

Il giorno seguente gli scioperi assunsero dimensioni sempre maggiori, coinvolgendo anche l’altro grande quartiere operaio, l’isola Vassilevskij. La massa di dimostranti riuscì inoltre a raggiungere il centro della città e sfilare sulla Prospettiva Nevskij, ma le forze dell’ordine furono comunque in grado di domare e disperdere le colonne degli insorti. Ciononostante, il 25 febbraio la folla di manifestanti si fece sempre più numerosa e provocò una vera e propria paralisi della vita nella capitale: «i tram e gli altri mezzi di trasporto non circolarono, le banche restarono chiuse, i giornali non uscirono» (Cinnella 2012, p. 37).

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L’insostenibilità della situazione portò lo zar Nicola II a mettere in atto delle misure estreme, convocando il generale Sergej S. Chabalov3, comandante del distretto militare di Pietrogrado, affinché «ponesse fine ai torbidi nella capitale» (Walter 1973, p. 185) utilizzando qualunque mezzo necessario. Il generale commise però un errore, in quanto pensò di coinvolgere nell’azione di repressione, oltre ai fidati gendarmi e poliziotti, anche altri reggimenti della guardia imperiale, che erano in sostanza dei battaglioni creati in sostituzione delle unità militari impegnate nel conflitto mondiale al fronte. Nella mattina del 26 febbraio le truppe di Chabalov fecero fuoco sui manifestanti, ripetendo, seppur con un numero di vittime decisamente più limitato, la carneficina avvenuta durante la tristemente famosa domenica di sangue del 1905. I nuovi battaglioni scelti dal generale, in particolare il Pavlovskij e il Volynskij, non condivisero affatto le barbarie esercitate sui dimostranti operai; di conseguenza, si ammutinarono e si allearono con questi ultimi, gettando di fatto le basi per la formazione a Pietrogrado del soviet rabočich i soldatskich deputatov [soviet dei deputati degli operai e dei soldati].

A questo punto il trionfo dell’insurrezione era certo, le forze popolari procedettero alla formazione di un consiglio operaio il quale, a differenza di quello costituitosi nell’ottobre 1905, perlopiù apartitico, poteva ora contare sul sostegno di alcuni esponenti socialisti. Inoltre, fin da subito il soviet rese chiari i propri impegni e i propri obiettivi: «la completa eliminazione del vecchio governo e la convocazione dell’assemblea costituente eletta a suffragio universale, eguale, diretto e segreto» (Cinnella 2012, p. 43). Dal canto loro i membri della Duma, per iniziativa del primo ministro Rodzjanko4, iniziarono ad organizzarsi e cercarono di

3 Sergej Semёnovič Chabalov (3 maggio 1858 – 1924): generale russo, il 24 febbraio (9

marzo) 1917 ottenne dallo zar Nicola II la carica di comandante del distretto militare e cercò, inutilmente, di reprimere le manifestazioni che segnarono l'inizio della Rivoluzione. Arrestato e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo, fu rilasciato dopo la Rivoluzione d'ottobre e mandato in pensione.

4 Michail Vladimirovič Rodzjanko (Popasnoe, 21 febbraio 1859 – Novo Miloševo, 24

gennaio 1924): fece parte della Terza e della Quarta Duma russa fino al 1917. Durante la rivoluzione di febbraio fu a capo del Comitato provvisorio della Duma. Nel 1920 emigrò in Iugoslavia.

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ristabilire l’ordine a Pietrogrado, avviando delle trattative con il soviet. La nuova situazione delineatasi e la conseguente discussione sul nuovo assetto politico della Russia sottendevano un’inesorabile conseguenza, sulla quale le due fazioni erano concordi: il tramonto del potere dei Romanov era ormai necessario ed imminente.

2.2 La satira sulla famiglia imperiale

Il giorno 3 marzo due membri del comitato provvisorio della Duma, A. I. Gučkov5 e V. V. Šul’gin6

, incontrarono lo zar per esortarlo a rinunciare al trono e indicare chi sarebbe dovuto essere il suo successore. Nicola II, invece di scegliere il figlio Alessio, minorenne e cagionevole di salute, abdicò in favore del fratello Michele. Nella stessa giornata, una delegazione di politici si recò da quest’ultimo con l’intento di suggerirgli, di fatto, di rinunciare al trono, visto il forte sentimento di ostilità verso i Romanov già da tempo nutrito dal popolo. Soprattutto grazie alle grandi capacità oratorie e persuasive del socialista A. F. Kerenskij, il granduca Michele rifiutò l’incarico, lasciando che il governo provvisorio, creato per la situazione di emergenza il giorno 2 marzo e presieduto dal principe G. E. L’vov, creasse e definisse il proprio programma politico.

La rinuncia al trono di Michele, anche se fortemente condizionata, segnò la fine del regime zarista in Russia, ma la famiglia imperiale già da anni non godeva più di una buona fama, in quanto accusata di corruzione morale e inadeguatezza nello svolgere i propri compiti. Anche nelle pagine

5 Aleksandr Ivanovič Gučkov (Mosca, 1862 – Parigi, 1936): fu tra i fondatori del Partito

ottobrista, costituitosi nel 1905, e membro della Duma. Durante la prima guerra mondiale fu provvisoriamente ministro russo della guerra fino alle sue dimissioni nell'aprile 1917. Fuggì a Parigi in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre.

6 Vasilij Vital’evič Šul’gin (Kiev, 13 gennaio 1878 – Vladimir, 15 febbraio 1976):

conservatore, divenne membro della Duma nel 1907. Si oppose alla Rivoluzione, ma credeva nella creazione di una monarchia costituzionale con a capo il granduca Michele. In alternativa, riteneva anche che la creazione di una repubblica potesse giovare alla Russia, perciò sostenne il governo provvisorio. Quando capì che non vi erano più speranze si spostò a Kiev e prese parte al movimento dei Bianchi.

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del “Novyj Satirikon” ritroviamo una pungente satira indirizzata allo zar Nicola II e alla zarina Alaksandra Fëdorovna. Il settimanale, rappresentando il portavoce dell’ intelligencija democratica liberale, aveva in realtà simpatizzato per le sembianze costituzionali assunte dal regno di Nicola II in seguito agli eventi di ottobre 1905. Ma, dato che l’assetto politico instauratosi divenne del tutto fittizio, le critiche ebbero come bersaglio anche i conservatori del regime zarista. Ovviamente, prima della caduta dei Romanov, la censura era molto limitante, poiché non era concesso nominare né la famiglia imperiale né alcun membro della corte. Le conseguenze degli eventi di febbraio, accompagnati dalle maldicenze sui regnanti, favorirono però l’abolizione delle restrizioni. Infatti, le illustrazioni che seguono, accompagnate da colorite e ironiche descrizioni, furono pubblicate nel dodicesimo numero del settimanale nel marzo 1917.

Figura 1: caricatura della zarina Aleksandra Fëdorovna Romanova.

«Alice d’Assia e di Renania (pseudo nome – Aleksandra Romanova, nomignolo di partito “Saša”). Tanto fece per la guerra e la vittoria della sua gente. Confessione gregoriana. Famosa per le sue mani di fata. Cuciva le camicie al s.*) Grigorij Rasputin. Vi basterà soltanto guardare il suo viso così buono, dolce, carino e autenticamente russo, perché il vostro cuore si riempia di simpatia per lei. Correntemente in russo sa

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dire soltanto una parola: “hoch!”. Attualmente conduce una vita appartata.

(*”s.“ non sta per santo, ma per una parola totalmente diversa.»7 (Novyj Satirikon 1917, n°12, marzo) (infra N.S.)

Figura 2: caricatura dello zar Nicola II Romanov.

«KLAUS II. HOLSTEIN-GOTTORP. Basta osservare l’espressione intelligente di questo nobile straniero, che un forte desiderio di ritorno alla monarchia riempie il cuore del nostro lettore. Le tappe più importanti del regno di questo monarca geniale: Chodynka, Port Arthur, Tsushima, il 9 gennaio e altre. Ha personalmente dichiarato di “amare i fiorellini”, sebbene, insieme ai fiorellini, amasse staccare le teste dei suoi “fedeli sudditi”. A differenza delle persone comuni, non fu picchiato dalla balia quando era piccolo, ma da un giapponese a Otsu, quando già era grande. Così dicevano. Taciturno, non senza una ragione. Attualmente conduce una vita appartata.»8 (N. S. 1917, n°12, marzo) 7«АЛИСА ГЕССЕНСКАЯ (псевдо имя - Алаксандра Романова, партийная кличка "Саша"). Много сделала для войны и для победы своего народа. Вероисповедания Грегорианского. Известна, как рукодельница. Вышивавшая рубашки св.*) Григорию Распутину. Стоит вам только взглянуть на это доброе, мягкое, милое чисто русское лицо как ваше сердце наполниться симпатией к ней. По-русски бегло говорить одно только слово: “hoch!”. Теперь ведет замкнутый образ жизни. (*"Св." - это не святой, а совсем другое слово.» 8 «КЛАУС II. ГОЛШТИН-ГОТОРПСКИЙ. Достаточно взглянуть на умное интеллигентное лицо этого знатного иностранца, чтобы волна стремления к

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Il regime autocratico, vigente in Russia agli inizi del novecento, era ancora strettamente legato alla concezione secondo la quale il potere dello zar derivava direttamente da Dio. Tale credenza popolare ha permesso per secoli il mantenimento e il consolidamento dell’autorità monarchica. Dal momento in cui, durante l’ultimo decennio di regno, la discendenza divina dello zar fu messa in dubbio, I Romanov videro il loro definitivo declino. La totale perdita di credibilità della famiglia regnante era legata sia ad un odio profondo che i sudditi nutrivano nei confronti dello zar, sia, come sostengono O. Figes e B. Kolonickij, ai pettegolezzi, dai quali Nicola II e Aleksandra Fëdorovna furono brutalmente investiti.

La data del 9 gennaio, che compare nell’estratto del “Novyj Satirikon” sotto la caricatura dello zar, si riferisce al massacro della domenica di sangue del 1905. Inoltre, sono elencati altri eventi bellici, come Chodynka9, Port Arthur10 e Tsushima11, ironicamente definiti “tappe importanti” del regno di Nicola II, ma in realtà giudicati dal popolo come imprese inutili e tragiche, poiché si rivelarono del tutto fallimentari e costarono la vita a migliaia di soldati russi. Oltre agli evidenti errori strategici, le voci sulla dipendenza dall’alcolismo, l’impotenza e la sottomissione al “monaco corrotto” Rasputin e alla “moglie tedesca” (cf. Figes, Kolonitskij 1999, p. 16) dilagarono in tutto il paese e trovarono un ampio seguito. возврату монархизма затопила сердце нашего читателя. Важнейшие этапы царствования этого гениального монарха: Ходынка, Порт-Артур, Цусима, 9 января и др. По собственному признанию "любит цветочки", хотя, вместо цветочков, любил срывать головы своих "верноподданных". В отличие от обыкновенных людей ушиблен не мамкой, когда был маленьким а японцем в Отсу, когда уже вырос. Это - сказалось. Молчалив, не без основания. Тепер - ведет замкнутный образ жизни.» 9

La tragedia di Chodynka fu il risultato di un episodio di isteria collettiva che si verificò il 30 maggio 1896 nei campi di Chodynka, a Mosca, durante i festeggiamenti successivi all'incoronazione dello zar Nicola II. Il popolo, al quale fu promessa la distribuzione di doni e cibo, si radunò a migliaia nel luogo del banchetto. Improvvisamente, però, iniziò a circolare la voce che non c'era abbastanza birra o regali per tutti. La folla iniziò ad agitarsi, si creò il panico e ben 1389 persone morirono calpestate dalla folla.

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Battaglia di Port Arthur (8-9 febbraio 1904): scontro iniziale della guerra russo-giapponese. Terminò in maniera non conclusiva, ma recò gravi danni alla flotta russa.

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Battaglia di Tsushima (27-28 maggio 1905): ultimo scontro della guerra russo-giapponese. Segna la sconfitta definitiva dell’impero Russo, che dovette cedere la Corea al controllo giapponese.

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La satira nei confronti dell’imperatrice Aleksandra Fëdorovna era invece maggiormente incentrata sulle sue origini tedesche e sull’ambiguo rapporto con il consigliere Grigorij Rasputin. Le insinuazioni complottistiche sul suo conto la dipingevano come una spia tedesca, che aveva rivelato al Kaiser Guglielmo II di Prussia e di Germania i piani militari dello zar. Persino ai soldati al fronte era giunta voce che la zarina «esultasse quando i nostri soldati muoiono e piangesse quando i nemici venivano uccisi» (ivi, p. 18). Inoltre:

«A giudicare dalle lettere che inviavano a casa, i soldati e gli ufficiali erano demoralizzati e propensi a credere che l’Imperatrice non parlasse neanche una parola di russo; che la Gran Duchessa Maria Pavlovna12 (la Maggiore) e la ballerina (e amante dello zar) Mathilde Kshesinskaya13 passassero i segreti militari ai tedeschi; che Stürmer14 fosse stato pagato dai tedeschi per affamare il popolo russo fino alla morte; […] e che Rasputin fosse un agente tedesco.» (ibidem)

Intorno alla questione del malsano rapporto tra l’imperatrice e il mistico Rasputin fu creato un consistente mercato, atto a mettere in evidenza l’immoralità e la licenziosità della vita a corte. Nel libro Svjatoj

čort: Zapiski o Rasputine [Il Diavolo Santo: scritti su Rasputin], ad

esempio, l’autore S. Trufanov15

raccontava di presunte avventure sessuali, dal carattere piuttosto piccante, tra la zarina e il monaco, e sosteneva che quest’ultimo fosse il vero padre dello zarevič Alessio. Le copie manoscritte del libro furono un vero e proprio successo a Pietroburgo tra il 1916 e il

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Maria di Meclemburgo-Schwerin, chiamata anche Maria Pavlovna la Maggiore (Schloss Ludwigslust, 14 maggio 1854 – Contrexéville, 6 settembre 1920). Figlia del granduca Federico Francesco II di Meclemburgo-Schwerin e della principessa Augusta di Reuss-Köstritz.

13 Matil'da Feliksovna Kšesinskaja (Ligovo, 1º settembre 1872 – Parigi, 6 dicembre 1971).

Ballerina russa di origine polacca, figlia di una famiglia di artisti del Teatro Mariinskij. Divenuta l'amante di Nicola II, si trovò spalancate le porte della carriera di prima ballerina e poi di “prima ballerina assoluta” dei teatri imperiali.

14 Boris Vladimirovič Štürmer (Bežeck, 27 luglio 1848 – San Pietroburgo, 9 settembre

1917). Politico russo che ricoprì numerose cariche politiche e governative, tra cui quella di Primo Ministro, Ministro degli Interni e Ministro degli Esteri, durante il regno dello Zar Nicola II.

15 Sergei Michailovič Trufanov (ottobre 1880 – febbraio 1952, New York). Meglio

conosciuto come lo ieromonaco Iliodoro, fu un carismatico uomo di chiesa e anche un politico, sostenitore del panslavismo. Maksim Gorkij fu un grande sostenitore del suo lavoro su Rasputin, in quanto lo reputò un ottimo contributo alla propaganda rivoluzionaria finalizzato a screditare la famiglia imperiale.

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1917 e vennero riprodotte a migliaia (ivi, p. 10). In particolare dopo la Rivoluzione di febbraio, molti giornali pubblicarono vari estratti del racconto, poesie satiriche e aneddoti. Circolavano inoltre cartoline pornografiche, raffiguranti l’imperatrice nuda in atteggiamenti equivoci con il monaco, ed erano molto in voga spettacoli di cabaret, rappresentazioni teatrali e farse, dai titoli molto espliciti e suggestivi, come ad esempio “Le orge notturne di Rasputin” (ivi, p. 11).

Una volta scalzati i Romanov dal potere, il governo provvisorio creò una Commissione straordinaria di inchiesta, finalizzata a giudicare l’operato del vecchio regime. Come già si è notato, anche il “Novyj Satirikon” non perse l’occasione per prendere parte al grande processo di demitizzazione della famiglia imperiale, mettendosi in un certo senso al servizio delle nuove autorità. Non va però dimenticato che la stessa idea di cospirazione, tradimenti e corruzione nelle “alte sfere”, sarà tra le armi più efficaci utilizzate dai bolscevichi per screditare e rovesciare il governo Kerenskij.

2.3 Criminalità e anarchia.

Nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione di febbraio, a Pietrogrado si verificò un forte incremento della criminalità, non soltanto in senso numerico ma anche in base al grado di violenza. Come sostiene Tsuyoshi Hasegawa, le motivazioni di un tale fenomeno possono essere ricondotte principalmente a tre fatti avvenuti in quelle giornate tumultuose. La prima causa fu la liberazione di un gran numero di detenuti dai carceri della capitale durante l’insurrezione. La seconda è legata all’enorme quantità di armi che furono date agli insorti, quindi è lecito supporre che molte di essere caddero anche nelle mani dei criminali. La terza e ultima motivazione fu il forte indebolimento che colpì la polizia zarista, la quale fu sostituita da una nuova milizia, del tutto inefficiente,

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organizzata in modo sommario. Tutto ciò, accompagnato dalla presenza di gruppi anarchici e da frequenti fenomeni di sciacallaggio, contribuì al repentino aumento di furti, rapine, incendi e omicidi.

Il “Novyj Satirikon”, nel periodo seguente la prima ondata rivoluzionaria, dedicò varie vignette satiriche e trafiletti al tema dell’anarchia e delle diffuse ruberie, le quali avevano come obiettivo principale le case dei borghesi. Nel diciottesimo numero di maggio 1917, troviamo la seguente illustrazione:

Figura 3: disegno di V. Lebedev.

«Passante: - E quindi questo è l’anarchismo? Un partito così vecchio e un programma così facile e semplice.»16 (N. S. 1917, n°18, maggio)

La scenetta costituisce chiaramente una critica al movimento anarchico e al suo “programma”, poiché concepito semplicemente come un insieme di atti illegali, volti a creare un caos ancora maggiore nella capitale. Per estensione, la critica potrebbe essere rivolta anche ai bolscevichi, strettamente legati alla corrente anarchica, in quanto:

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«Прохожий: - Так это и есть анархизм? Такая старая партия и такая легкая и несложная программа.»

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