U
NIVERSITÀ DI
P
ISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
La disciplina dei prelievi coattivi tra
esigenze probatorie e tensioni costituzionali
Candidata:
Relatrice:
Cristiana Giorgi
Prof.ssa Valentina Bonini
Ai miei nonni,
radici di un amore che non avrà mai fine
INDICE:
INTRODUZIONE ……… 1
CAPITOLO I
PRELIEVO DI MATERIALE BIOLOGICO E PRINCIPI
COSTITUZIONALI
1.1 Premessa ………. 9 1.2 Contemperamento tra esigenze di investigazione e di indagine e
diritti fondamentali ……….……….. 11 1.3 Il prelievo biologico coattivo a confronto con istituti “limitrofi” : la
raccolta di reperti organici ……….. 15 1.4 Il prelievo biologico: definizione e qualificazione
giuridica………. 20 1.5 Tipologie di prelievo e criteri di invasività …………... 25 1.6 Prelievo biologico coattivo e libertà personale ………... 29 1.7 Prelievo biologico ed altre garanzie individuali: la dignità, la
riservatezza ed il pudore …... 41 1.8 Prelievi coattivi e principio “Nemo tenetur se detergere” ………. 46
CAPITOLO II
IL PRELIEVO DI CAMPIONI BIOLOGICI IN UNA
PROSPETTIVA STORICO – EVOLUTIVA
2.1 Il ruolo della giurisprudenza costituzionale ………. 51 2.1.1 La sentenza n. 30/1962 : il rapporto tra rilievi segnaletici
consentiti e tutela della libertà corporale ……….….. 52 2.1.2 La sentenza n. 54/1986 : sottoposta al vaglio di legittimità
la procedura di prelievo coattivo delineata dal c.p.p. del
1930 …... 57 2.1.3 La sentenza n. 238/1996 : fissazione dei criteri che
rendono legittimo l’espletamento della perizia ematologica 60 2.2 L’orientamento della Corte di Cassazione: un tentativo di
risposta al vuoto normativo creato dal
legislatore…………..………... 67 2.3 Norme contro la violenza sessuale: un’ipotesi di prelievo senza
2.4 La Legge n. 155 del 2005: il primo intervento del legislatore
nazionale tra difficoltà esegetiche e lacune operative ………….. 82
2.5 Verso la Legge n. 85 del 2009: il Trattato di Prüm ed il quadro europeo ……… 95
CAPITOLO III
LA LEGGE N.85/2009: COLMATO IL VUOTO NORMATIVO
IN TEMA DI ACQUISIZIONE COATTIVA DI MATERIALE
BIOLOGICO
3.1 Considerazioni sistematiche ed ambito applicativo ……….. 1033.2 Le ipotesi di prelievo coattivo attualmente previste ……….. 108
3.2.1 L’art. 224-bis c.p.p.: una nuova tipologia di perizia ………. 109
3.2.1.1 I presupposti ………. 110
3.2.1.2 I possibili destinatari ………..………….. 114
3.2.1.3 Forma e contenuto del provvedimento ………. 117
3.2.1.4 Esecuzione del provvedimento ………. 119
3.2.2 L’art. 359-bis c.p.p.: gli accertamenti tecnici coattivi nella disponibilità del pubblico ministero ……… 122
3.2.2.1 Ambito oggettivo di applicazione ……….. 125
3.2.2.2 I destinatari degli accertamenti coattivi. La minaccia del massive screening ……….. 129
3.2.2.3 I presupposti ………. 131
3.2.2.4 Procedura ordinaria ………. 134
3.2.2.5 Procedura d’urgenza ………... 137
3.2.3 La modifica dell’art. 392 c.p.p.: uno tra i casi di incidente probatorio ………... 141
3.2.4 “Identificazione” ed “individuazione” dell’autore: quale sorte per l’art. 349, comma 2-bis c.p.p.?... 143
3.3 Patologie dell’atto e sanzioni processuali ………... 145
3.4 La sorte dei campioni biologici e dei profili genetici acquisiti nel corso del procedimento penale……… 149
CAPITOLO IV
LA LEGGE N.41/2016: IL PRELIEVO DI CAMPIONI
BIOLOGICI NELL’AMBITO DEI NUOVI REATI DI
OMICIDIO STRADALE E DI LESIONI PERSONALI
STRADALI
4.1 Quadro introduttivo ………. 157 4.2 Uno sguardo all’excursus normativo in materia di circolazione
stradale: dal D.lgs. n. 285/1992 alla L. n. 120/2010 ………. 159 4.3 Il retroterra della riforma ……… 164 4.4 La nuova disciplina in materia di circolazione stradale: i reati di
omicidio e lesioni personali stradali ……… 166 4.4.1 Le modifiche di diritto sostanziale: qualificazione
dogmatica delle nuove fattispecie di reato ……… 171 4.4.1.1 L’omicidio stradale: opzioni legislative e struttura
normativa ……….……… 173 4.4.1.2 L’addebito di colpa generica ……….. 177 4.4.1.3 Le ipotesi di guida in stato di ebbrezza o di
intossicazione da stupefacenti ………. 179 4.4.1.4 (segue) L’imputazione colposa dell’evento lesivo .. 183 4.4.2 Le altre modifiche: l’adeguamento del regime
processuale………. 186 4.4.2.1 Uno sguardo alla disciplina previgente in tema di
accertamenti sulla persona e di prelievi di materiale biologico nell’ambito della circolazione
stradale ………. 188 4.4.2.2 Analisi delle modifiche ex artt. 224-bis e 359-bis
c.p.p.: la delicata questione del prelievo
ematico……….. 192 4.4.2.3 (segue) I profili procedurali attinenti alla fase di
prelievo e di accertamento ……… 201 4.4.2.4 L’arresto in flagranza, la logica di accelerazione
del procedimento e le residue modifiche di rito …. 209 4.4.3 Le innovazioni al codice della strada ………... 212
CONCLUSIONI
La scienza genetica e il processo penale: può dirsi raggiunto
un equilibrio tra il perseguimento delle ragioni di giustizia e la
salvaguardia dei diritti della persona? ………..
215
1
INTRODUZIONE
Nonostante l’apertura verso il sapere scientifico rappresenti attualmente il più ambito titolo di legittimazione per ogni sistema giuridico che intenda inscriversi nella cultura moderna, a lungo i microcosmi della scienza genetica e del diritto si sono mossi in modo asincrono, spesso con comunicazioni che si sono rivelate scarse e poco agevoli. La prima si mostrava come uno strumento fecondo, capace di evolvere in quantità ed in complessità a ritmi sempre più incalzanti; il secondo arrancava sia nel coniare categorie concettuali “scientificamente aggiornate”, in grado di soddisfare le esigenze di regolamentazione manifestate da innovazioni tecnico-scientifiche sempre più penetranti, sia nell’elaborare gli strumenti normativi indispensabili affinché l’esperienza giuridica potesse giovarsi delle risorse conoscitive e delle opportunità rese disponibili in maniera sempre più forte dal progredire scientifico. In questa gamma di risorse ed opportunità, va senz’altro inserita la rivoluzionaria scoperta che l’impronta genetica presente nei polimorfismi dell’acido desossiribonucleico (DNA) permette di distinguere un soggetto da tutti gli altri con stringente probabilità. Grazie a sofisticate prassi di laboratorio e ad una rigorosa sequenza tecnico-procedimentale, tuttora in rapido sviluppo, è divenuto possibile comparare quel codice personale esclusivo con il profilo genetico estratto dai reperti biologici “anonimi” rinvenuti in un luogo, su una cosa, addosso ad una persona (tracce di sangue o di liquido seminale, residui epiteliali, piliferi, ossei, salivari e, in genere, frammenti di tessuto umano), stabilendo così, pressoché irrefutabilmente, se quel soggetto si sia recato in quel luogo, sia entrato in relazione con quella persona, sia stato a contatto con quella cosa. Si tratta di una “testimonianza silenziosa” ad elevatissimo coefficiente di affidabilità, capace, se non di rispondere al quesito più importante, ovvero quello che concerne l’attribuzione di un determinato reato ad un certo soggetto, di agevolare comunque
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notevolmente, e spesso in modo risolutivo, l’accertamento delle responsabilità penali.
All’interno di questo quadro introduttivo inerente ai rapporti tra scienza e diritto, si inserisce a pieno titolo il tema relativo ai prelievi biologici, ovvero quell’insieme di tecniche ed operazioni grazie alle quali le forze inquirenti hanno la concreta possibilità di estrarre tracce di materiale organico da persone viventi – nello specifico, dall’indagato, dall’imputato o da soggetti terzi comunque coinvolti nell’accertamento penale – con lo scopo di assolvere a finalità probatorie ed investigative, sia per quanto concerne l’identità personale, sia per realizzare un collegamento, attraverso una serie di comparazioni, tra le tracce correlate ad un reato ed il materiale biologico prelevato da un determinato individuo. Appare innanzitutto evidente come tale strumento rientri tra quelli tipicamente idonei ad incidere (in maniera più o meno invasiva) sulla sfera personale dei soggetti coinvolti, con lo scopo dell’espletamento di perizie implicanti prelievo di materiale biologico di vario genere (sangue, capelli, saliva) diretto a consentire di eseguire, su disposizione dell’autorità giudiziaria, ricerche ed analisi utili a fini investigativi.
Trattandosi di tecniche che vanno ad agire e ad esplicare i propri effetti entro la sfera personale dei soggetti interessati, occorre muovere le nostre considerazioni generali partendo dal tema dei diritti, in modo da valutare se sia possibile raggiungere un equilibrio tra tali istanze contrapposte. L’art. 13 della Costituzione - norma ispiratrice di tutte le altre disposizioni concernenti le libertà ed i diritti fondamentali dell’uomo ivi contenute - sancisce l’inviolabilità della libertà personale, sottolineando che non è ammessa forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altro tipo di restrizione, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Fino ad una manciata di anni fa, la normativa di legge ordinaria si manifestava incompatibile con il preciso intento perseguito dalla Carta costituzionale, in quanto il legislatore non aveva contemplato e disciplinato espressamente
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un aspetto procedimentale così delicato e rilevante come quello relativo ai prelievi di campioni biologici.
La disciplina generale di riferimento era contenuta nell’art. 224 c.p.p. – rubricato “Provvedimenti del giudice” -, il quale, al secondo comma, consentiva a tale soggetto di adottare tutti gli altri provvedimenti che si rendessero necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali, sancendo così l’esistenza di un vero e proprio potere arbitrario e discrezionale quanto a casi e modi di esplicazione che, certamente, si dimostrava incompatibile con la riserva assoluta di legge prevista ex art. 13, comma 2 Cost. Per risolvere tale situazione di contrasto, fu senz’altro decisivo l’intervento della Corte costituzionale, la quale, dopo aver ritenuto legittima tale prassi in svariate occasioni, in seguito, il 9 luglio 1996, si pronunciò con la sentenza n. 238, censurando la stessa disposizione proprio nella parte in cui consentiva al giudice, nel contesto dell’espletamento delle operazioni peritali, di disporre misure incidenti sulla libertà personale dell’indagato, dell’imputato o di terzi, senza che fossero espressamente previsti dalle legge i casi ed i modi, quasi legittimandolo ad utilizzare la coazione e la coercizione nonostante la volontà contraria dell’interessato. In tema di accertamenti personali coattivi, tale pronuncia non fu la prima in ordine cronologico, bensì la terza: innanzitutto va ricordata la sentenza n. 30 del 27 marzo 1962, la quale concerneva la legittimità costituzionale di una disposizione relativa all’effettuazione di rilievi segnaletici; in seguito vi fu la seconda, la sentenza n. 54 del 24 marzo 1986, la quale affrontava, invece, in modo analogo alla terza, la questione dei prelievi ematici coattivi, disposti attraverso un provvedimento di esecuzione di un esame peritale. Nonostante il fatto che gli esiti a cui è pervenuta la Consulta nei tre casi appena enunciati non siano del tutto univoci e si registrino una serie di difformità ed incongruenze tra una pronuncia e l’altra, il filo conduttore di tali decisioni è sempre lo stesso: valutare la legittimità di simili operazioni di accertamento in relazione all’art. 13 Cost., in modo da definire quali prelievi ed accertamenti integrano una restrizione della
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libertà personale e, soprattutto, se i presupposti costituzionali per procedere a tale restrizione siano di volta in volta soddisfatti dalla legge. È stata senz’altro la sentenza n. 238 del 1996 a segnare pesantemente la disciplina della materia dei prelievi biologici coattivi, prendendo in considerazione in modo preciso e puntuale questa particolare tematica. Tuttavia, urge sottolineare che a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale della seconda parte dell’art. 224 c.p.p. ed a seguito dell’invito della Consulta al legislatore di provvedere al più presto a regolamentare la materia, in realtà, per quanto concerne gli accertamenti personali coattivi si creò una grave lacuna nel nostro ordinamento processual-penalistico, poiché il legislatore rimase totalmente inerte, creando un drammatico e preoccupante silenzio per tredici anni.
Per un lunghissimo periodo l’Italia ha rappresentato un caso critico in ambito europeo vista la totale assenza di norme che disciplinassero in maniera specifica i casi ed i modi in cui si potesse procedere ad un prelievo coattivo di campioni biologici, precludendo, inoltre, alle forze inquirenti l’utilizzo di uno degli strumenti più efficaci a loro disposizione per lo svolgimento delle indagini e delle investigazioni penali.
Un primo tentativo di riempire il vuoto normativo era stato messo in atto dal legislatore attraverso la legge 31 luglio 2005, n. 155 – che aveva convertito con modificazioni il decreto-legge 27 luglio 2005 n. 144, recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale” –, tentativo che, tuttavia, non era andato particolarmente a buon fine, finendo col dettare una disciplina poco organica in merito ai poteri coercitivi e decisori dell’autorità inquirente, valevole per qualsiasi ipotesi in cui fosse necessario un prelievo di materiale biologico o un accertamento medico su persona vivente e vi fosse l’assenza del consenso di quest’ultima. Dopo numerosi anni di attesa, il legislatore è finalmente intervenuto sulla questione in modo compiuto e globale con la legge 30 giugno 2009, n. 85, la quale ha decisamente colmato il vuoto normativo lasciato dall’ormai nota sentenza costituzionale n. 238 del 1996. Tale novella, in merito ai prelievi coattivi di materiale biologico ed agli accertamenti medici effettuati
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in assenza di consenso del soggetto interessato, ha introdotto gli artt.
224-bis e 359-224-bis c.p.p., prevedendo una regolamentazione tutta nuova di tali
operazioni in due specifici contesti, quello della perizia e quello della consulenza tecnica.
Inoltre, la legge n. 85 del 2009, nell’adempiere ad un obbligo internazionale in materia di cooperazione giudiziaria – sancito con l’adesione dell’Italia al Trattato di Prüm nel 2005 -, ha previsto l’istituzione della Banca dati nazionale del DNA, dando così la possibilità alle forze inquirenti di servirsi di uno strumento investigativo prezioso, utile sia per l’accertamento dei reati che per la sicurezza dei cittadini, anche se, tuttavia, non sempre si è rivelato in grado di garantire uno stabile contemperamento tra i diritti inviolabili della persona e la necessità di tutelare la collettività.
L’elaborato affronterà la materia dei prelievi biologici coattivi, mettendo in luce la loro disciplina all’interno del nostro ordinamento e ponendoli costantemente a confronto con le tensioni costituzionali emergenti in materia in relazione alla vasta gamma di diritti e libertà riconosciute, come un guscio duro ed inopprimibile, ad ogni individuo in quanto persona. Nel primo capitolo verrà, appunto, affrontato il tema della compatibilità con i contrapposti valori costituzionali in gioco, analizzando il rapporto tra esigenze probatorie ed efficienza del processo penale e garanzie individuali attinenti ai diritti di libertà. Verrà così spesso in evidenza la necessità di rendere conciliabili gli atti di indagine con la garanzia della libertà personale, nonché del diritto del soggetto coinvolto a mantenere un comportamento non collaborativo.
Si affronterà la questione del prelievo biologico soffermando l’attenzione sulla sua qualificazione, sia da un punto di vista giuridico che legale, ponendolo a confronto con istituti e strumenti limitrofi, in modo da aver chiaro in quali casi effettivamente ci si riferisca a tale operazione e quali siano i suoi tratti distintivi.
Emergerà spesso l’indeterminatezza dei confini della libertà personale, soprattutto analizzando le pronunce costituzionali in tema di prelievo
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ematico coattivo che verranno messe in luce nel secondo capitolo, in cui si ripercorrerà, in chiave evolutivo-sistematica, l’iter e lo sviluppo del pensiero della Consulta sulla legittimità dello stesso. Si considereranno, inoltre, altre tipologie di prelievo biologico, al fine di valutare in che misura possano ritagliarsi per esse le conclusioni raggiunte per il prelievo ematico. Volgeremo poi lo sguardo alla posizione assunta in merito dalla Corte di Cassazione, la quale ha svolto senz’altro un ruolo cardine visto che in più occasioni ha tentato di pronunciarsi su questa materia così delicata, cercando di colmare le lacune lasciate aperte dalla Consulta. Ci soffermeremo sul primo getto di inchiostro del legislatore sulla tematica in questione, ovvero sulla legge n. 155 del 2005, la quale, come più volte verrà sottolineato nella trattazione, fu oggetto di critiche e moniti su più fronti poiché non riuscì, purtroppo, a far chiarezza ed a dettare una disciplina precisa ed univoca come tutti si aspettavano.
Il terzo capitolo sarà dedicato alla legge n. 85 del 2009, la quale delinea la disciplina tuttora vigente in merito ai prelievi biologici coattivi, verificando le sue implicazioni con i dettami costituzionali ed affrontando le ulteriori questioni aperte, le quali hanno creato svariate tensioni ed incertezze interpretative.
L’ultimo capitolo sarà, infine, dedicato ad una prospettiva fortemente attuale che ci permetterà di vedere concretamente in azione lo strumento dei prelievi biologici coattivi in un ambito nuovo e diverso rispetto a quello descritto nel corso dell’elaborato. Il tema degli accertamenti sulla persona, specie di quelli da effettuarsi senza che venga prestato il consenso da parte del soggetto interessato, verrà analizzato nel contesto dei reati in materia di circolazione stradale. Si tratta di una vicenda fortemente attuale, molto sentita a livello di opinione pubblica, la quale, negli anni, ha più volte manifestato un forte malcontento ed una sconcertante preoccupazione in merito al numero sempre crescente di incidenti stradali e delle c.d. “vittime della strada”, sinistri sempre più spesso provocati o aggravati dall’utilizzo, da parte dei conducenti, di sostanze alcoliche, stupefacenti o psicotrope, in grado di alterare e menomare fortemente le
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normali capacità di attenzione e di concentrazione che sempre dovrebbero ispirare i soggetti che si mettono alla guida. Sarà, quindi, oggetto di analisi la recente legge 23 marzo 2016, n. 41, la quale si dimostra particolarmente rilevante ai fini della nostra trattazione, poiché, oltre ad aver inciso sulla disciplina sostanziale, istituendo due nuove fattispecie di reato – l’omicidio colposo stradale (art. 589-bis c.p.) e le lesioni personali stradali (art. 590-bis c.p.) – ed occupandosi , altresì, della risposta sanzionatoria, ha introdotto novità importanti anche sul piano strettamente processuale. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, è stata prevista una nuova ipotesi di prelievi biologici imposti coattivamente, vincendo la resistenza del soggetto interessato: è stata, cioè, sancita ex comma 3-bis dell’art. 359bis c.p.p., la possibilità per le forze di polizia stradale, in caso di rifiuto del conducente di sottoporsi ai prelievi ed agli accertamenti sullo stato di ebbrezza o sull’alterazione derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di imporre tali operazioni coattivamente, conducendo il soggetto interessato presso il più vicino presidio ospedaliero e sfruttando il personale sanitario ivi presente come ausilio per la messa in atto di tali pratiche e, soprattutto, per l’ottenimento dei risultati.
Prima di addentrarci nel cuore della trattazione dell’argomento, preme ancora una volta sottolineare come il filo conduttore di tutto l’elaborato sia l’opera di contemperamento e bilanciamento tra le esigenze tipiche della vicenda processuale penale, ovvero quelle di accertamento del reato e delle relative responsabilità, e la sfera dei diritti e delle garanzie riconosciute in capo agli individui, equilibrio che, come vedremo durante tutto il corso dell’elaborato, non si dimostra certamente di facile realizzazione, visto che la delicata questione del rapporto tra esigenze probatorie e tensioni costituzionali è sempre dietro l’angolo, specie quando si tratta di mettere in atto pratiche di indagine che, nel concreto, finiscono per incidere e sconfinare entro la sfera individuale della persona.
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CAPITOLO I
PRELIEVO DI MATERIALE BIOLOGICO E PRINCIPI
COSTITUZIONALI
1.1 Premessa
Durante gli ultimi anni l’uso della scienza forense nel processo penale ha subito un ingente sviluppo, causando innumerevoli cambiamenti nello svolgimento delle indagini1. Il sapere specialistico di tipo scientifico costituisce oggi indispensabile supporto di ogni ipotesi ricostruttiva di fatti. La spiegazione “scientifica” di un fatto ne costituisce il primo disvelamento e la cognizione successiva di esso, sempre più spesso, è condizionata, nel suo esplicarsi, dai dati interpretabili attraverso accertamenti estranei alla normale cognizione dell’inquirente e frutto, invece, di apporti cognitivi esterni, derivanti da operazioni tecniche di particolare specificità.
A tali elementari regole di epistemologia non si sottrae, evidentemente, l’indagine del pubblico ministero, specie rispetto alla selezione di rilevanza, acquisizione e/o interpretazione di dati di particolare complessità. Si può affermare che, rispetto ad essa, l’epistemologia contemporanea abbia ammesso due verdetti fondamentali: il primo consiste nell’affermazione della caduta del primato della prova dichiarativa nel novero del catalogo dei mezzi probatori; il secondo si concretizza nel venir meno dell’illusione dell’onniscienza dell’inquirente (ed anche del
1 F. CAPRIOLI, La scienza «cattiva maestra»: le insidie della prova scientifica nel
processo penale, in Cass. pen., 2008, p. 3521; O. DOMINIONI., La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, Milano, 2005, p. 25; S. LORUSSO, La prova scientifica, in La prova penale, a cura di A.GAITO, I, Torino, 2008, p. 299.
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giudice), risultando ormai reperto teorico l’assolutezza del principio della “scienza privata” dell’inquirente, dello iudex peritus peritorum2.
In particolar modo, è soprattutto la prova del DNA quella che sta assumendo sempre maggior rilevanza, grazie anche all’affermazione di nuove tecniche che consentono l’estrazione del profilo genetico da ridottissime quantità di materiale biologico. Attraverso il relativo test è possibile confrontare le caratteristiche del DNA ricavate dalle tracce biologiche rilevate sul luogo ove è stato commesso un fatto criminoso con quelle dell’indagato e, quindi, ricostruire la dinamica dell’evento. Risulta perciò indispensabile esaminare ogni singola fase dell’indagine genetica, in particolare: l’attività di ricerca e di acquisizione della prova del DNA e le modalità per la comparazione tra il campione biologico rinvenuto nell’ambito del locus commissi delicti e quello proveniente dal corpo dell’indagato3.
Questi aspetti sono di particolare importanza, poiché in nessun altro settore come in questo, il modo in cui l’attività di ricerca e di assicurazione dei dati è eseguita garantisce il successo dell’accertamento, ma anche in quanto l’uso delle tecniche scientifiche de quibus viene ad incidere fortemente sui diritti individuali costituzionalmente garantiti.
Dunque il ricorso a tali “tecniche”, così delicate e rilevanti all’interno del sistema penale, dovrebbe implicare, necessariamente, il ricorso a precise scelte legislative, basate su considerazioni e valutazioni di ordine etico e politico, le quali non sempre riescono a trovare specifica concretizzazione, vista la complessità e la rilevanza degli interessi in gioco.
2 Sul punto, C. CONTI, Iudex peritur peritorum e ruolo degli esperti nel processo penale,
in La prova scientifica nel processo penale, a cura di P. TONINI, suppl. al n. 6/2008 in
Dir. pen. e proc., 2008, pp. 29 ss.
3 R. ORLANDI, Il problema delle indagini genetiche nel processo penale, in Medicina
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1.2 Contemperamento tra esigenze di investigazione e di indagine e diritti fondamentali
Discorrendo del «prelievo coattivo di materiale biologico» e del principale problema posto sullo sfondo – cioè la schedatura genetica di una persona quale strumento per una indagine attuale ed al tempo stesso quale premessa per il coinvolgimento indiscriminato in innumerevoli indagini successive – è necessario senza dubbio prendere le mosse dal tema dei diritti.
Si tratta di diritti che nel nostro ordinamento sono numerosi e fondamentali poiché segnano un limite invalicabile per la disciplina delle investigazioni mediche e biologiche.
La premessa dai cui occorre partire nel caso di specie è quella in base alla quale i diritti inviolabili della persona costituiscono un limite all’attività investigativa del potere pubblico.
La Carta costituzionale delinea, per grandi tratti, il «modello di base del processo penale»4, fissando i confini insuperabili entro cui il legislatore
ordinario deve muoversi nel definire la fisionomia del sistema processuale ed i suoi meccanismi di funzionamento. É nella griglia di libertà fondamentali, di garanzie individuali, di poteri e doveri degli organi giudiziari stabilita in sede costituzionale che vanno rintracciate anche le coordinate entro le quali deve inscriversi l’assetto normativo del prelievo biologico coattivo.
Il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona rappresenta innegabilmente un’assoluta conquista di civiltà e fonda uno dei pilastri su cui si basa il nostro ordinamento; la tutela dei diritti dell’uomo risulta garantita dall’intero testo della Carta costituzionale, in particolar modo
4 V. GREVI, Garanzie individuali ed esigenze di difesa sociale nel processo penale, in L.
LANFRANCHI (a cura di), Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Istituto della Enciclopedia italiana, 1997, p. 255. Coglie un «filo rosso che, legando sistematicamente molte disposizioni costituzionali, consente di individuare la struttura processuale penale scelta dalla legge fondamentale» A. DE CARO, voce Libertà personale (profili
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dall’art. 25, norma cardine che mira a garantire in senso generale i diritti
inviolabili dell’individuo.
Alla base di tale scelta vi è senz’altro la volontà dei Padri costituenti di veder sancita la «precedenza sostanziale della persona umana rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella»6.
L’individuo viene così ad essere assunto come il più alto valore giuridico-positivo7. Da qui discende il principio della inviolabilità della libertà personale8, la quale è la prima ad essere individuata nel testo della Costituzione. Tali libertà, così come altri diritti fondamentali attinenti alla sfera dell’individuo, possono trovarsi a subire limitazioni o restrizioni più o meno invasive a causa delle due principali finalità tipiche del processo penale: l’esigenza di ricostruire i fatti e di accertare le responsabilità. Per ricostruire il fatto storico, negli ultimi anni, ci si affida sempre di più ai risultati della prova scientifica, mettendo in atto tutta una serie di tecniche e di attività che, nel concreto, possono interessare l’individuo, come entità fisica, facendolo divenire vero e proprio oggetto di ricerca probatoria. Altro preminente valore che viene in evidenza, oltre alla libertà personale, è senza alcun dubbio la riservatezza dell’individuo: affinché tale principio
5 In base all’art. 2 Cost: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo...». Sulla portata dell’art. 2 Cost in dottrina si riscontrano posizioni diverse che possono essere così sintetizzate. Da una parte si ritiene che l’articolo in esame debba essere inteso come “clausola” aperta al riconoscimento di altre libertà e valori che possono emergere dalla coscienza sociale, v. C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, vol II, Padova, 1975-76, pp. 1038 ss. Dall’altra, invece, si sottolinea come la portata dell’art. 2 Cost non dovrebbe essere “forzata” dagli interpreti e dai giudici: L. PALADIN,
Diritto costituzionale, Padova, 1991, p. 572, P. BARILE, Istituzioni di diritto pubblico,
Padova, 1991, pp. 584-585.
6 Parole dell’On. Dossetti durante la seduta dell’Assemblea Costituente del 10 settembre
1946. I punti su cui devono poggiare le basi, anche giuridiche, del patto costituzionale sono individuati nell’anteriorità logica della persona rispetto allo stato e nell’integrazione della persona dentro il pluralismo sociale, (G.DOSSETTI, Atti dell’Assemblea costituente, I Sc., 10 settembre 1946, VI, in F. PIZZOLATO, Finalismo dello stato e sistema dei diritti
nella Costituzione italiana, 1999, Milano, p. 102).
7 F. MODUGNO, I «nuovi diritti» nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, 1995, p. 11. 8 L’inviolabilità è attributo riconosciuto anche in merito ad ulteriori libertà costituzionali ex
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non venga leso è necessario mettere il luce il diritto di contenere la rivelazione e l’uso pubblico di informazioni, dati, notizie attinenti alla propria persona9.
Spiccano anche ulteriori beni costituzionalmente protetti come la salvaguardia dell’integrità fisica e del bene salute ed, infine, il diritto di difesa, nella sua componente del diritto a non auto-incriminarsi.
Dunque la libertà personale e altri fondamentali diritti della persona trovano un peculiare raggio d’azione nel rapporto, caratterizzante il processo penale, che intercorre tra autorità e individuo.
Spesso le attività di indagine e di investigazione compiute dalla polizia giudiziaria, seppur nell’ambito delle direttive e dei limiti d’azione fissati dal pubblico ministero e dal giudice, finiscono per invadere la sfera personale dell’individuo fino, in molti casi, a vincere la sua eventuale resistenza, comprimendo così le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione (per avere degli esempi basta pensare alle ispezioni, alle intercettazioni, alle perquisizioni ed ovviamente ai prelievi coattivi di campioni biologici).
Questi diritti di libertà non hanno quindi un valore totalmente assoluto di fronte alla giustizia penale: le stesse norme costituzionali che ne sanciscono a chiare lettere l’inviolabilità, allo stesso tempo prevedono la possibilità di eccezionali restrizioni, le quali devono muoversi nel rispetto delle garanzie costituzionali della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione. Tali limitazioni sono destinate a concretizzarsi nella previsione delle relative fattispecie restrittive disciplinate dal legislatore ordinario10.
9 P.FELICIONI., Accertamenti sulla persona e processo penale, Il prelievo di materiale
biologico, Milano, 2007, p.3. Si ricorda il caso di due genitori adottivi di una bambina nata
da una violenza sessuale, che, di fronte alla richiesta di sottoporre la figlia a prelievo ematico per accertare quale fosse, tra gli imputati, il padre naturale, decisero di negare il loro consenso, invocando il diritto alla riservatezza. La Cassazione ( Cass., Sez III, 4 marzo 1991, Petrucci, in Cass. pen., 1993, pp. 1783 e 1784) preferì non riconoscere al giudice il potere di disporre coattivamente il prelievo ematico sulla bambina, ritenendo opportuno non violare il diritto alla riservatezza specificamente tutelato anche dalla legge sulle adozioni ( L. 4 maggio 1983, n. 184).
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Visto che la Costituzione pone dei forti limiti al potere pubblico di comprimere i diritti fondamentali della persona, quando si tratta di reprimere reati, la tensione diviene massima, specie se si fa riferimento alle indagini ed alle investigazioni che vanno ad incidere concretamente sul corpo della persona umana. Si tratta di attività volte alla ricerca di materiale probatorio e quindi ci troviamo di fronte a poteri coercitivi strumentali alle esigenze tipiche del processo penale; allo stesso tempo però appare ovvio che la necessità di tutela dei soggetti sui quali tali accertamenti vengono ad essere svolti si è fatta sempre più pressante e l’intero sistema deve assolutamente essere bilanciato con i diritti e le libertà fondamentali costituzionalmente garantiti.
Tale importante operazione viene etichettata come bilanciamento di valori o di interessi aventi tutti rilevanza costituzionale: un contemperamento che, tuttavia, non sempre è di facile traduzione a livello pratico.
Nell’ambito dei prelievi coattivi, il legislatore è stato quindi chiamato a mettere in relazione tra di loro una serie di valori costituzionali fondamentali e non sacrificabili nella loro totalità.
Essendo tale prelievo finalizzato al reperimento di elementi probatori, da un lato rileva l’interesse pubblico alla repressione ed all’accertamento dei reati e quindi alla non dispersione del materiale probatorio relativo alla commissione del fatto11; dall’altro la necessità di non ledere le libertà
fondamentali dell’uomo, in particolar modo la libertà personale ( art. 13 Cost.), la quale, più di tutte le altre, rischia compressioni indebite, visto che il prelievo viene concretamente effettuato sul corpo della persona12.
11 Appaiono chiare le parole della sentenza costituzionale n. 238 del 1996, secondo cui
l’esigenza di acquisizione della prova del reato costituisce un valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento che si ispiri al principio di legalità (Corte cost., sent. 9 luglio 1996, n. 238, in Giur. cost., 1996, p. 2142).
12 Il diritto alla libertà personale dell’imputato è quello che rischia di subire restrizioni
maggiori durante lo svolgimento di un processo penale: così V. GREVI, Libertà personale
15
1.3 Il prelievo biologico coattivo a confronto con istituti “limitrofi”: la raccolta di reperti organici
Cercando di effettuare una ricognizione che ne individui i profili qualificanti, il prelievo coattivo di campioni biologici va anzitutto posto a confronto con istituti “limitrofi”, in particolare con la raccolta di reperti geneticamente significativi.
Tra le due categorie è possibile scorgere affinità funzionali, dal momento che entrambe consentono di approvvigionarsi del materiale biologico riconducibile ad un determinato soggetto, dal quale estrarre il profilo genetico destinato alla comparazione. Anzi, la raccolta di reperti geneticamente significativi ha spesso rappresentato un efficace succedaneo al quale affidarsi nei casi di impossibilità di prelievo coattivo di campioni biologici, per evitare l’impasse dell’accertamento penale. Se la finalità perseguita può dirsi comune – come pure la necessaria preparazione tecnica da parte degli operatori, «essenziale a garantire l’attendibilità del successivo accertamento»13 - tra i due istituti si
riscontrano diversità sostanziali per quanto concerne le modalità esecutive.
Si realizza una raccolta ogni qual volta vengono acquisiti residui organici «che non fanno più fisicamente parte della persona»14 : ad esempio
capelli caduti o impigliati in una spazzola, frammenti salivari su un mozzicone di sigaretta, cellule dell’epidermide su un indumento oppure tracce biologiche rilasciate nel corso di rilievi ed accertamenti di polizia
13 R. ORLANDI, Il problema delle indagini genetiche nel processo penale, in Med. Leg.
Quad. Camerti, 1992, p. 420. Sull’esigenza che la prova genetica sia «accuratamente
protetta» v. Anche A. MONTI, Catena di custodia e “doppio binario” per campioni e
reperti, in L. MARAFIOTI-L. LUPARIA ( a cura di) Banca dati del DNA e accertamento penale, cit., p. 108. Per un’analisi dei diversi fattori «di errore e di confondimento» che
possono compromettere l’attendibilità degli esiti delle operazioni di tipizzazione del profilo genetico da tracce biologiche, «con conseguenze giudiziarie di notevole gravità nell’esclusione, o nell’attribuzione della traccia ad una determinata persona», v. A.FIORI,
Mito, realtà e fallacie del DNA (nella pratica) forense, in Riv. it. Medicina legale, 2011, pp.
1333 ss.
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giudiziaria legittimamente eseguiti ( come le particelle di sudore rimaste su impronte dattiloscopiche15). Difettando l’appartenenza del materiale
organico alla sfera corporea del soggetto, l’operazione prescinde da qualsiasi intervento ablativo su di essa16.
Soltanto il prelievo coattivo impegna il legislatore processuale in un attento bilanciamento di interessi confliggenti, costringendolo a scendere su un «terreno dove la presenza di valori come quelli di libertà personale, integrità e dignità impediscono di agire come se il bisogno di sicurezza o il fine dell’efficienza [possano] prevalere su ogni altra considerazione»17. Quanto alla raccolta, che si svolge in relazione a residui organici privi di legami con la realtà fisica dell’interessato, essa sembra poter prescindere, invece, dall’esigenza della rigorosa determinazione dei «casi» e dei «modi» imposta dall’art. 13, comma 2 Cost. – e riaffermata nel 1996 dalla Corte costituzionale – rispetto alle misure che incidono sulla libertà personale18.
Risulta opposto il punto di vista di chi, nella raccolta di frammenti che
naturaliter abbandonano il corpo – non a caso definita come «prelievo
indiretto» - ravvisa invece una «categoria nuova e ed autonoma di attività incidenti sulla libertà personale», anch’essa destinata a cadere «sotto
15 Non sempre però la distinzione affiora nelle affermazioni giurisprudenziali con il giusto
rigore: v., ad esempio, Cass., Sez. I, 2 febbraio 2005, Candela e altro, in C.e.d. Cass., n. 233448, che parlando di «prelievo del DNA della persona indagata attraverso il sequestro
di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili» sovrappone impropriamente
la nozione a quella della raccolta. Analoga sovrapposizione pare cogliersi nella definizione dei reperti organici come «campioni biologici reali» formulata da U. RICCI,
Limiti e aspettative della genetica forense, in C. CONTI (a cura di), Scienza e processo penale, Giuffrè, 2011, p. 252.
16 Per questa ragione si configura sempre come “raccolta” l’acquisizione di tracce
biologiche rimaste sugli oggetti (spazzolino da denti, indumenti) abitualmente utilizzati da chi si trovi in status detentionis. Il prelievo di materiale biologico nei confronti di un soggetto in vinculis è invece attualmente disciplinato dall’art. 9 l. 85 del 2009.
17 S. RODOTÁ, Trasformazione del corpo, in Pol. dir., 2006, p. 7.
18 In questo senso, v., fra le altre, Cass., Sez. I, 2 febbraio 2005, Candela e altro, cit.;
Ass. Torino, ord. 21 aprile 2004, P.D., in Dir. pen. proc., p. 350; Cass., Sez. II, 10 gennaio 2012, Gjetan e altri, inedita.
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l’egida dell’art. 13 Cost.», quindi ad essere regolamentata nei «casi e modi» dal legislatore, auspicabilmente circoscrivendone l’esperibilità ai «procedimenti penali per reati di una certa gravità» rispetto ai quali la «determinazione del profilo del DNA risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti»19. Questa lettura “estensiva” si fonda sull’ identità del bene oggetto di aggressione, individuato – tanto nell’ipotesi del prelievo, quanto in quella della raccolta - nell’ «intimità dell’individuo, intesa come possesso di sé, come esclusività di prerogative sulle informazioni ricavabili dal proprio corpo, quand’anche esso risulti “distribuito nello spazio”»20: un’identità che impedirebbe di cogliere differenze realmente apprezzabili tra le due fattispecie.
Assicurare che restino riservati i dati genetici ricavati dal materiale biologico appartenente ad un soggetto è certamente un’istanza di cui il legislatore deve farsi carico. La soluzione di circoscrivere le ipotesi di praticabilità della raccolta, chiamando in causa le prescrizioni dell’ art. 13 Cost., non sembra persuasiva: nella pratica, il problema resterebbe inalterato in tutti i casi in cui la raccolta continuasse ad essere consentita; là dove venissero attivati adeguati meccanismi di salvaguardia della riservatezza del profilo genetico, che senso avrebbe interdire la raccolta anche quando la stessa possa dirsi soltanto utile o quando il reato perseguito non oltrepassi una certa soglia di gravità? Inoltre, “inflazionando” la nozione di libertà personale, l’art. 13 Cost, verrebbe forzatamente “caricato” di valenze che esulano dai suoi confini21.
Il rapporto con le prescrizioni dell’art. 13 Cost., non è, peraltro, l’unico profilo della raccolta di residui biologici ad aver suscitato perplessità.
19 B. GALGANI, Libertà personale e “raccolta” di campioni biologici: eccesso di zelo
difensivo o formalismi della Suprema Corte?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, p. 1830.
20 Ancora B. GALGANI, Libertà personale e “raccolta” di campioni biologici, cit. p. 1829. 21 Cfr. A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Cedam, 1985, p. 159: «depurata
la fattispecie della libertà personale dalle contaminazioni (..), può ritenersi che l’art. 13 garantisca, in accordo con le intenzioni del Costituente, la persona fisica contro le situazioni temporanee o durature di “assoggettamento” all’altrui volere, conseguenti ad una situazione di coazione fisica».
18
Accade spesso, nella prassi, che il rilascio delle tracce organiche venga propiziato da espedienti messi in atto dagli inquirenti: tra i più frequenti, offrire al soggetto del quale si voglia tipizzare il profilo genetico una bevanda o una sigaretta, allo scopo di recuperare i frammenti salivari depositati sul bordo del bicchiere o sul mozzicone. Emergono divergenze significative tra le valutazioni formulate dalla giurisprudenza e dalla dottrina – sia pure con varietà di accenti 22 - in merito alla legittimità di simili escamotage.
Ponendosi in armonia argomentativa con le indicazioni contenute nella sentenza costituzionale n. 238 del 199623, la Corte di Cassazione ha ribadito più volte la legittimità di quelle tecniche acquisitive24, considerando come parametro esecutivo l’assenza di qualsiasi incidenza sulla sfera della libertà personale dell’interessato. Tale valutazione è tutta incentrata sulla verifica di una menomazione di tale diritto, ed il ricorso a veri e propri stratagemmi diretti a superare l’indisponibilità di un soggetto a
22 R.E. KOSTORIS, Prelievi biologici coattivi, in R.E. KOSTORIS-R. ORLANDI (a cura di)
Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Giappichelli, 2006, p. 330, le definisce
«piccole “astuzie” investigative elaborate dalla prassi»; più perentorio A. GAITO, Aspetti
problematici in tema di prove, in ID. (a cura di), Procedura penale e garanzie europee,
Utet, 2006, p. 113, per il quale «la prassi investigativa della raccolta di nascosto, ovverosia facendo ricorso ad artifizi ed espedienti, del materiale biologico (...) ponendo nel nulla i divieti di utilizzazione probatoria derivanti dall’invasione della sfera corporale del soggetto» rischia di trasformare il processo penale in «una caccia errabonda ai delinquenti».
23 Apprezzabile – secondo G. CAMPANELLI, Linee giurisprudenziali della Corte
Costituzionale e della Corte di Cassazione in tema di atti di disposizione del corpo, in A.
D’ALOIA (a cura di), Biotecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia
costituzionale, Giappichelli, 2006, p. 223 – l’«intesa stabilita tra il Giudice delle leggi e
quello di legittimità» in un «settore che, perla delicatezza delle questioni prese in esame, richiede, ove possibile, un’interpretazione condivisa e accettata sia sul piano della legalità ordinaria che su quello della legalità costituzionale».
24 In questo senso si esprime la giurisprudenza pressoché unanime: Cass., Sez. I, 2
novembre 2005, Esposito, in Riv. pen., 2006, p. 1363; Cass., Sez I, 11 marzo 2003, Esposito, in C.e.d. Cass., n. 225265; Cass., Sez. I, 14 febbraio 2002, Jolibert, in Giur. it., 2003, p. 534; ancora, più recentemente, Cass., Sez. IV, 12 febbraio 2009, Di Paola e altri, in C.e.d. Cass., n. 244224. Egualmente legittima è stata ritenuta l’estrazione del profilo genetico da un campione di sangue che era stato prelevato in precedenza per fini diagnostici: cfr., Cass., Sez I, 22 giugno 1999, Fata Livia, cit.
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sottoporsi ad un accertamento genetico costituisce un aspetto irrilevante, in quanto «nessuna disposizione di legge subordina lo svolgimento delle indagini al consenso dell’indagato, quando queste non si risolvano in violazioni della libertà personale o di altri diritti costituzionalmente garantiti»25.
La dottrina invece esprime un giudizio critico in merito a simili pratiche di raccolta, la quale viene definita «surrettizia o insidiosa»26.
Secondo l’opinione prevalente, simili operazioni andrebbero ad incidere fortemente «sulla libertà di autodeterminazione dell’indagato e sulla sua libertà morale»27 e quindi dovrebbero risultare «fuori legge»28, vietate ai sensi dell’ art. 188 c.p.p. (poiché tali da compromettere la capacità del soggetto di determinarsi liberamente rispetto agli stimoli), che, inteso nel senso più ampio, presupporrebbe un interessato «informato della natura e della finalità dell’atto che subisce»29.
Intorno a queste preoccupazioni, tuttavia, è legittimo sollevare qualche riserva.
Ad assicurare il successo di tali strategie inquirenti è pur sempre un comportamento liberamente tenuto: quando il soggetto interessato decide
25 Cass., Sez. I, 11 marzo 2003, Esposito, cit. In base ad un analogo principio sono stati
ritenuti ammissibili anche l’acquisizione e l’utilizzo delle informazioni contenute nel certificato medico relativo all’accertato tasso etilico nel sangue, qualora l’analisi fosse stata effettuata dal personale ospedaliero o clinico. In questo senso, Cass., Sez. IV, 15 febbraio 2006, G.L.T., in Dir. pen. proc., 2006,p. 983; Cass.,Sez. IV, 25 gennaio 2006, V., in Guida al diritto, 2006 (31), p. 78.
26 La definisce così P. FELICIONI, Accertamenti sulla persona e processo penale, cit., p.
21. Del medesimo contenuto sono le considerazioni svolte da F. GIUNCHEDI, La tutela
dei diritti umani nel processo penale, Cedam, 2007, pp. 180 ss.
27 M. MONTAGNA, Accertamenti tecnici, cit., p. 88. Nonostante si faccia riferimento al
solo indagato, è opportuno chiedersi se le stesse preoccupazioni valgano anche per il soggetto terzo; trattandosi della presunta lesione della libertà morale e della libertà di autodeterminarsi, sembrerebbe doversi concludere in modo affermativo.
28 A. SCALFATI, Potenziamento della polizia giudiziaria tra ruoli investigativi e intrusioni
de libertate, in E. ROSI-S. SCOPELITTI (a cura di), Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione, Giuffrè, 2006, p. 99.
20
di accettare la sigaretta o la bevanda offertagli dagli organi di polizia giudiziaria forma la propria volontà senza intromissioni né coercizioni, agisce cioè al riparo da una pressione fisica o da un «espediente psico-compulsivo»30 al quale lo stato di soggezione all’autorità gli impedisce di sottrarsi. Per neutralizzare l’iniziativa degli inquirenti, gli sarebbe bastato tenere un atteggiamento più riflessivo, più cauto, decidendo di agire con maggiore accortezza. Ove, invece, abbia assecondato le offerte in modo imprudente, imputet sibi: il rilascio delle tracce organiche a beneficio degli inquirenti non può essere valutato come la conseguenza di quegli interventi distorsivi della libertà morale che l’art. 188 c.p.p. intende vietare. Quindi, il tentativo di sfruttare simili ingenuità per raccogliere una traccia biologica utile alle indagini sembra rappresentare tutt’oggi una opzione del tutto praticabile, in alternativa alle procedure di prelievo forzoso disciplinate ex lege, senza sconfinare nel processualmente vietato.31
1.4 Il prelievo biologico: definizione e qualificazione giuridica
Se l’intervento sull’entità corporea di un soggetto vale a distinguere l’operazione del prelievo da quella della raccolta, affinché si possa parlare di “prelievo biologico coattivo”, quell’intervento costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente.
Là dove l’interessato accetti di cedere un proprio campione biologico, l’asportazione assume natura consensuale32. Consenso all’ablazione e
30 F. CORDERO, Procedura penale, IX ed., Giuffrè, 2012, p. 616.
31 Diverso sarebbe se, ad esempio, gli inquirenti si accordassero con il medico che ha in
cura un soggetto, affinché lo persuada ad ingerire una bevanda medicinale, adducendone l’assoluta necessità allo scopo di curare una patologia in realtà inesistente, al solo scopo di consentire l’acquisizione dei suoi residui salivari: in tal caso, infatti, la mendace prospettazione di una grave conseguenza per la salute dell’interessato eserciterebbe una efficacia compulsiva effettivamente lesiva della libertà di autodeterminazione.
32 Sembra più opportuno parlare di prelievo “volontario” quando, anziché aderire ad una
21
restrizione forzosa dello status libertatis diretta a superarne la resistenza appaiono categorie speculari: come affermato dalla Corte Costituzionale in merito ad attività di ispezione personale33, una esplicita e libera manifestazione del consenso da parte del soggetto passivo vale ad escludere violazioni della libertà personale, e dunque la necessità di osservare le guarentigie apprestate dall’art. 13 Cost.
Quando l’ordinamento sceglie di sanzionare penalmente chi rifiuti di sottoporvisi, l’ablazione è solo in apparenza consensuale. Nel prelievo c.d. obbligatorio, categoria collocabile approssimativamente in posizione mediana tra il prelievo coattivo e quello consensuale, non si registrano limitazioni strumentali della libertà personale; tuttavia si ravvisa comunque una forma indiretta di coazione di natura “psicologica”34, che – sollevando in dottrina dubbi di compatibilità con l’art. 24, comma 2 Cost.35 – si
l’iniziativa di sottoporsi al prelievo biologico in vista del conseguimento di un certo risultato: ad esempio, ai sensi dell’attuale art. 29comma 1 bis t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – come modificato dal d. lgs. 3 ottobre 2008, n. 160 - «l’esame del DNA (acido desossiribonucleico) effettuato a spese degli interessati» si configura come onere a carico dello straniero ai fini di ottenere il ricongiungimento famigliare quando il suo status di coniuge, di figlio, di genitore dell’immigrato residente in Italia non possa essere documentato in modo certo mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, o comunque, quando sussistano fondati dubbi sull’autenticità della documentazione.
33 Corte cost., 19 luglio 1996, n. 257. In quell’occasione la Corte Costituzionale faceva
riferimento ad un «accertamento sul proprio corpo (..) volontariamente richiesto dalla persona»; nondimeno l’affermazione relativa all’assenza di «una lesione della libertà personale, la cui inviolabilità è garantita dall’art. 13 della Costituzione» sembra potersi estendere a qualsiasi ipotesi di prelievo che si realizzi col consenso dell’interessato.
34 «Lo svantaggio, che ne deriva eventualmente per il potenziale trasgressore, vale, ex
ante, come mezzo di dissuasione da violazioni dell’ordine (o del divieto)»: F.
MASTROPAOLO, Prelievi del sangue a scopo probatorio, in Riv. it. Medicina legale, 1987, p. 1083.
35 In questo senso, v. G. NICOLUCCI, Guida in stato di alterazione psico-fisica derivante
dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope: i profili di incostituzionalità della cogenza del prelievo di liquidi biologici, in Giur. Merito, 2006, p. 1494, secondo cui si
intende conseguire «con la minaccia della grave sanzione penale, una condotta collaborativa da parte del prevenuto». Per una diversa lettura, v. P. FELICIONI,
Accertamenti sulla persona e processo penale, cit., p. 132 che rinviene la «giustificazione
dell’incriminazione del rifiuto di collaborare (...) in un’esigenza di solidarietà sociale in base alla quale il comportamento pericoloso dell’individuo non deve nuocere agli altri»
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esprime nel prospettare l’applicazione di una sanzione penale a carico di chi si rifiuti di farsi prelevare un campione biologico36.
Non mancano, comunque, tipologie di accertamento che, pur presupponendo un’ intrusione penetrante nella sfera corporale dell’individuo, realizzata forzosamente e propedeutica ad un’attività, in senso lato, ablativa, non sono qualificabili come prelievo biologico coattivo.
Esistono strumenti di di percezione visiva tecnologicamente avanzati che superano le normali capacità sensoriali e non trovano nell’ “involucro” corporeo una barriera invalicabile: ad esempio, grazie all’impiego di moderne tecniche di imaging (TAC, ecografia, risonanza magnetica) e di indagine endoscopica, previa immobilizzazione temporanea del soggetto renitente, lo sguardo degli inquirenti è in grado di proiettarsi all’interno del corpo umano e di raggiungere così ambiti inaccessibili all’ inspicere tradizionalmente inteso. In realtà, tali accertamenti hanno, al massimo, un’attitudine modificativa dei tessuti37 e non ablativa di porzioni organiche da sottoporre ad analisi genetica.
É frequente che tali accertamenti consentano, in sedi prima del tutto inesplorabili, il «rinvenimento di cose (...) che debbono essere apprese in
Favorevole a sanzionare penalmente il rifiuto di sottoporsi a prelievo di campioni biologici M. PANZAVOLTA, Accertamenti coattivi e tutela della libertà corporale nel processo
penale, in Studi urbinati, 2007, p. 479, il quale de iure condendo prefigura l’opportunità
nei confronti dell’imputato che non intenda subire il prelievo di una «duplice conseguenza»: oltre che alla sanzione penale, la possibilità che «il diniego possa nuocergli anche nel procedimento in corso».
36 Un esempio di prelievo “obbligatorio” è contemplato dall’ art. 187 del Codice della
strada: il suo comma 8 punisce il rifiuto del conducente di sottoporsi al «prelievo di campioni di liquidi biologici ai fini dell’effettuazione degli esami necessari ad accertare la presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope» ai sensi del comma 2 ter con le sanzioni penali stabilite dall’art. 186 comma 2, lett. c): le medesime comminate per il reato di guida in stato di alterazione psico-fisica per l’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
37 «A differenza del prelievo di sangue, che di per sé non lascia conseguenze “indelebili”,
la sottoposizione ad esame radiografico lascia effetti biologici, dal momento che le quantità di raggi ricevuti si accumulano» (F. CASASOLE, L’esame radiografico coattivo:
23
quanto servono al processo»38: tuttavia, nemmeno un eventuale intervento
endoscopico “acquisitivo” di tali res integrerebbe un prelievo biologico coattivo, poiché la sfera corporea ne sarebbe coinvolta soltanto come “contenitore” nel quale le stesse sono nascoste, e non vedrebbe alterata, neanche in minima parte, la propria consistenza organica39.
Sono, infine, collocati al di fuori della nozione processual-penalistica di prelievo biologico coattivo i trattamenti sanitari coattivi, una species della più estesa “famiglia” dei trattamenti sanitari obbligatori evocati dall’art. 32, comma 2 Cost. Essi si caratterizzano per la possibilità di essere imposti anche contro la volontà del soggetto passivo e, incidendo direttamente sulla libertà personale, soggiacciono altresì alle garanzie dell’art. 13 Cost40. Simili operazioni presuppongono la messa a disposizione del corpo del soggetto e potrebbero consistere anche nella asportazione forzosa dei suoi campioni biologici41; tuttavia, per definizione, possono essere eseguite esclusivamente ai fini di scongiurare una situazione di pericolo per «la salute pubblica intesa come interesse della collettività»42.
38 F. CORDERO, Il procedimento probatorio, Tre studi sulle prove penali, Giuffrè, 1963,
p. 104.
39 Differenze ancora più intense distinguono il prelievo coattivo di campioni biologici da
ispezioni e perquisizioni personali: pur costituendo anch’esse «ipotesi espresse di coazione (legittima) sul corpo» dell’interessato, non solo non ne «compromettono in alcun modo l’integrità fisica», ma neppure «superano il limite della fisicità dell’individuo» (P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., p. 154).
40 Al riguardo, v. D. VALENTINI, I trattamenti e gli accertamenti sanitari in Italia, Piccin,
1996, p. 5. Sulla distinzione tra trattamenti sanitari obbligatori e coattivi, v. M. CARTABIA,
La giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 32, secondo comma, della Costituzione italiana, in Quaderni cost., 2012, pp. 456 ss.
41 Sulla «piena identità del prelievo ematico con i caratteri del trattamento sanitario» sotto
il profilo «materiale», v. G. NORELLI-E. MAZZEO, Sulla progressiva svalutazione del
consenso all’atto medico nella recente giurisprudenza costituzionale, in Giust. pen.,1989,
I, c. 319.
42 M. RUOTOLO, Il prelievo ematico tra esigenza probatoria di accertamento del reato e
garanzia costituzionale della libertà personale. Note a margine di un mancato bilanciamento tra valori, in Giur. cost., 1996, p. 2155.
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Perciò tali interventi non risultano mai esperibili «per scopi diversi da quelli sanitari, come ad esempio per scopi di sicurezza o di giustizia»43.
Dunque, nell’ accezione processual-penalistica, il prelievo biologico coattivo, alla luce di questa analisi iniziale che sarà oggetto di approfondimento nel proseguo, si delinea come una «manovra»44 che trae origine dall’intersezione di quattro linee direttrici, riconducibili sostanzialmente: all’ambito di intervento, alle modalità, all’oggetto ed alle finalità perseguite.
Si tratta di un’operazione che, anzitutto, interviene sulla sfera corporale dell’individuo; che vi interviene senza il suo consenso, contemplando il ricorso alla coercizione fisica per vincerne l’eventuale resistenza; che vi interviene sottraendo al soggetto passivo una «quantità di sostanza biologica»45 tendenzialmente modesta, destinata alla comparazione genetica; che vi interviene, infine, con l’obiettivo di contribuire alle finalità, tipiche del procedimento penale, di accertamento del fatto storico e delle relative responsabilità.
Se è vero che è ben possibile che una o più di queste prerogative appartengano anche ad altri istituti “limitrofi”, sembra potersi affermare che solo nella nozione processuale penale di prelievo biologico coattivo le stesse ricorrono congiuntamente.
43 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, 1984, p. 386.
44 V. BARBATO-G. LAGO-V. MANZARI, Come ovviare al vuoto sui prelievi coattivi creato
dalla sentenza n. 238 del 1996, in Dir. pen. proc., 1997, p. 363.
45 L’espressione ricorre nell’art. 6 comma 1, lett. c), l. n. 85 del 2009. Per rinvenire una
nozione normativa di «materiale biologico» occorre richiamarsi all’art. 2 l. 22 febbraio 2006, n. 78 di «attuazione della direttiva 98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche», che lo definisce come «materiale contenente informazioni genetiche, auto-riproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico».
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1.5 Tipologie di prelievo e criteri di invasività
Un criterio distintivo proposto per sceverare tra accertamenti invasivi e non (e, conseguentemente, tra libertà corporale e semplice libertà personale) è quello che identifica i prelievi invasivi in operazioni che comportano «il superamento del limite fisico dell’individuo», ossia che incidono «sull’integrità fisica del soggetto per asportare materiale biologico»46. Questa nozione, a prima vista complessivamente accettabile, pone il problema di definire la soglia dell’integrità fisica e quindi non fornisce una risposta sufficientemente precisa e direttamente fruibile.
Un filone consistente della dottrina suggerisce, invece, di far correre il discrimine tra rilievi invasivi e non lungo la linea di una distinzione tracciata dalla Corte costituzionale con la sent. n. 30 del 1962 – che sarà oggetto di analisi più dettagliata nel proseguo - : quella tra «rilievi esteriori» - «che riguardano l’aspetto esteriore della persona», cioè «quelli che (...) possono talvolta richiedere una momentanea immobilizzazione della persona per descriverne o fotografarne o misurarne gli aspetti nelle parti normalmente esposte all’altrui vista o richiedere una momentanea costrizione tendente alla fissazione delle impronte digitali» - e le ispezioni personali/corporali – che, invece, incidono sulla libertà fisica e morale della persona.
In altri termini, la dicotomia era istituita tra «misure extracorporali e intracorporali»47.
La distinzione servì nel 1962 a ripartire le attività concesse alla polizia giudiziaria da quelle attribuite alla signoria esclusiva dell’autorità giudiziaria. Chi la rispolvera oggi se ne serve, invece, per tracciare una linea di demarcazione all’interno delle prerogative dell’autorità giudiziaria:
46 V. BARBATO-G. LAGO-V. MANZANARI, Come ovviare al vuoto sui prelievi coattivi
creato dalla sentenza n. 238 del 1996, cit., p. 363.
47 L’efficace sintesi è di R. E. KOSTORIS, Alt ai prelievi, cit.,p. 1094. In questo senso v.
Anche, P. FELICIONI, Considerazioni sugli accertamenti coattivi nel processo penale:
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ciò che il pubblico ministero (e, a fortiori, il giudice) può fare sulla base dei regolari poteri di ispezione/perquisizione personale (cioè gli interventi extracorporali); ciò che potrà fare solo dietro espressa e precisa indicazione legislativa dei casi e dei modi (accertamenti intracorporali)48. Recuperare il criterio del 1962, dunque, non vuol dire tornare al passato, quanto piuttosto spostare il baricentro della tutela della libertà corporale della persona molto più avanti di quanto sia mai accaduto: le misure intracorporali richiedono non solo un intervento dell’autorità giudiziaria, ma altresì un’indicazione a monte dei «casi» e dei «modi» attuata con estrema specificità. Soprattutto, la distinzione tra inferenza esterna ed interna pare mettere bene in luce le due componenti della libertà corporale: la sola coercizione fisica da un lato; l’intrusione nella sfera più intima della persona, con una intensa lesione anche della sua libertà morale, dall’altro.
Tuttavia, il problema non è solo quello di enucleare un concetto di invasività/non invasività, ma anche quello di ascrivere in concreto le singole pratiche di accertamento e di prelievo all’una o all’altra categoria. Certo vi sono pratiche ed operazioni sulla cui invasività tutti convengono. Una laparotomia è senz’altro invasiva; così pure, gli accertamenti che comportino l’introduzione di sonde, come la laparoscopia, la gastroscopia o la colonscopia: siamo, infatti, di fronte ad interventi che attentano addirittura alla salute dell’individuo.
Tra i prelievi biologici spicca per importanza il prelievo ematico, il quale, grazie anche agli interventi della Consulta, viene generalmente
48 Come conseguenza di un tale avanzamento della tutela sembra giunto il tempo di
rimediare la sorte degli accertamenti dattiloscopici e fotografici compiuti autonomamente dalla polizia giudiziaria: se è vero che sono misure “extracorporali”, pare ormai anacronistico escludere che essi non chiamino in gioco la libertà personale di chi vi è sottoposto, così da non richiedere l’autorizzazione del magistrato. C’è altrimenti il pericolo di legittimare un’irragionevole frattura: l’intrusione dentro al corpo, tutelata al massimo grado, tanto con l’assenso del magistrato quanto con un’indicazione assai meticolosa dei «casi» e dei «modi»; di contro, l’intervento sulle parti esteriori del corpo, possibile addirittura senza controllo dell’autorità giudiziaria e senza predeterminazione legislativa dei «casi» e «modi» di restrizione.