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Impiego del poliisobutilene anidride succinica (PIBSA) per la preparazione di materiali nanocompositi e otticamente responsivi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA′ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica Industriale

Impiego del poliisobutilene anidride succinica (PIBSA) per

la preparazione di materiali nanocompositi e otticamente

responsivi

Autore: Relatori:

Daniele Chinello Prof. Dott. Andrea Pucci

Prof. Dott. Francesco Picchioni

Controrelatore:

Dott. Lipparini Filippo

(2)
(3)

Non conta quello che hai, conta quello che sei, contano le idee che hai dentro, contano le idee che sai trasmettere agli altri

(4)

i

INDICE

1. INTRODUZIONE………1

1.1. I nanomateriali………..1

1.1.1. I nanotubi di carbonio………2

1.1.1.1. Struttura elettronica e proprietà di trasporto………..6

1.1.1.2. Trasporto di carica nei CNTs……….9

1.1.1.3. Proprietà meccaniche………10

1.1.1.4. Proprietà termiche………..10

1.1.1.5. Proprietà ottiche………..11

1.1.2. Metodi di sintesi di nanotubi di carbonio……….12

1.1.2.1. Deposizione chimica da vapore………..13

1.1.2.2. Tecniche di purificazione dei nanotubi di carbonio………15

1.1.3. Reattività e funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio………15

1.1.4. Preparazione di nanocompositi a matrice polimerica contenenti nanotubi di carbonio………19

1.1.5. Proprietà elettriche dei nanocompositi a base di nanotubi di carbonio………20

1.1.6. Applicazioni dei nanocompositi a matrice polimerica contenenti nanotubi di carbonio………21

1.1.6.1. Sensori chimici………23

1.1.6.2. Sensori di temperatura e di deformazione meccanica………23

1.2. Gli smart materials………..24

1.3. Polimeri meccanocromici………27

1.4. Fenomeno di fluorescenza……….27

1.4.1. Diagramma di Jablonski……….28

1.4.2. Spostamento di Stokes………..29

1.4.2.1. Resa quantica di fluorescenza e quenching della fluorescenza……….29

1.5. Eccimeri………..30

1.5.1. Formazione degli eccimeri del pirene in soluzione……….31

2. SCOPO DELLA TESI………..36

3. PARTE SPERIMENTALE……….38

3.1. Solventi e reagenti………38

(5)

ii

3.2.1. Spettroscopia IR in trasformata di Fourier………39

3.2.2. Analisi termogravimetrica………40

3.2.3. Calorimetria a scansione differenziale DSC………..40

3.2.4. Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare………41

3.2.5. Microscopio elettronico a scansione (SEM)……….41

3.2.6. Ultrasonicatore a punta………41

3.2.7. Spettroscopia di fluorescenza………..41

3.2.8. Spettroscopia UV-visibile……….42

3.2.9. Pressa idraulica………..42

3.2.10. Stufa di essiccazione a vuoto……….43

3.3. Realizzazione di nanocompositi a matrice polimerica contenenti MWCNTs………43

3.3.1. Estrazione dell’1-amminometilpirene……….43

3.3.2. Funzionalizzazione della PIBSA con AMP, API e FA……….45

3.3.2.1. Funzionalizzazione della PIBSA con AMP e formazione della PIBSA-AMP……..45

3.3.2.2. Funzionalizzazione della PIBSA con API e formazione della PIBSA-API………….46

3.3.2.3. Funzionalizzazione della PIBSA con FA e formazione della PIBSA-FA……….47

3.3.3. Preparazione dei nanocompositi di MWCNTs con PIBSA modificata con AMP, API e FA………..48

3.3.4. Analisi della conducibilità elettrica dei nanocompositi………49

3.3.4.1. Determinazione della soglia di percolazione……….50

3.3.4.2. Misure di conducibilità elettrica in funzione della temperatura…………..………50

3.3.5. Dispersione dei nanocompositi ottenuti in SBS……….50

3.4. Sintesi di nuovi polimeri con caratteristiche meccanocromiche………..51

3.4.1. Funzionalizzazione della PIBSA con AMP e AP………51

3.4.1.1. Reazione tra PIBSA ed AMP, formazione di PIBSA-AMP……….51

3.4.1.2. Reazione tra PIBSA ed AP, formazione di PIBSA-AP………53

3.4.2. Dispersione della PIBSA-AMP e PIBSA-AP in SBS e formazione dei provini……….54

3.4.3. Misure di spettroscopia di fluorescenza in funzione della deformazione meccanica………55

3.4.4. Analisi di microscopia a scansione in campo prossimo (SNOM)……….55

4. RISULTATI E DISCUSSIONE……….57

(6)

iii

4.2. Nanocompositi a matrice polimerica contenenti MWCNTs……….58

4.2.1. Funzionalizzazione della PIBSA con AMP………..59

4.2.2. Funzionalizzazione della PIBSA con API………..62

4.2.3. Funzionalizzazione della PIBSA con FA………64

4.2.4. Preparazione dei nanocompositi MWCNTs/PIBSI………66

4.3. Studio della conducibilità elettrica dei nanocompositi MWCNTs/PIBSI………..71

4.4. Dispersione dei nanocompositi MWCNTs/PIBSI in SBS………..80

4.4.1. Analisi SEM dei nanocompositi in SBS……….81

4.5. Preparazione di materiali polimerici con caratteristiche meccanocromiche………83

4.5.1. Funzionalizzazione della PIBSA con AMP………..84

4.5.2. Funzionalizzazione della PIBSA con AP………87

4.5.3. Dispersione della PIBSA-AMP e PIBSA-AP in SBS e analisi di spettroscopia di fluorescenza………..91

4.5.4. Spettroscopia di fluorescenza in trazione del campione PIBSA-AMP al 10% w/w in SBS………96

4.5.5. Analisi di microscopia a scansione in campo vicino (SNOM) del campione SBS + 10% PIBSA-AMP……….99

5. CONCLUSIONI……….101

6. BIBLIOGRAFIA……….…………104

INDICE FIGURE………111

(7)

1

1. INTRODUZIONE

1.1.

I nanomateriali

In questo primo capitolo si intende dare una breve descrizione di cosa sono i nanomateriali, delle loro caratteristiche, delle loro possibili applicazioni e dei principali metodi di produzione; per fare questo si rende prima necessario introdurre brevemente i concetti di nanoscienza e nanotecnologie. Questi due termini nanoscienza e nanotecnologia sono strettamente associati e per questo vengono molte volte confusi. Il concetto di nanoscienza si riferisce allo studio mirato a conoscere, comprendere e a caratterizzare la materia con dimensioni dell’ordine del nanometro, e quindi lo studio dell’atomo, delle sue caratteristiche, delle sue proprietà e di come queste proprietà condizionino le strutture nanometriche, strutture dove il numero di atomi sulla superficie sia paragonabile al numero di atomi presenti nel resto della struttura stessa. Le nanotecnologie invece, si riferiscono a tutti quei processi necessari alla produzione, alla caratterizzazione e infine all’applicazione di strutture, apparecchi e sistemi di cui si controlla la dimensione e la forma a livello nanometrico [1]. Il primo riferimento alle nanotecnologie risale al 1959 quando Richard Feynman nella famosa conferenza “There's plenty of space at the bottom” svolse considerazioni teoriche sulla possibilità di costruire macchine a livello molecolare e di creare sistemi per l'immagazzinamento di enormi quantità di informazioni in spazi molto limitati [2].

Il termine “nanotecnologia” fu usato per la prima volta da Norio Taniguchi [3] dell'Università di Tokyo nel 1974. Con questa parola oggi si intende un ramo della scienza che si occupa della progettazione, caratterizzazione produzione e applicazione di strutture dispositivi e sistemi che prevedano il controllo della forma e della misura su scala nanometrica. E' significativo pensare che sempre nel 1974 fu descritto teoricamente (e brevettato) il primo dispositivo molecolare [4] e che di li a pochi anni vennero inventati i microscopi STM (Scanning Tunneling Microscope), nel 1981 e il microscopio AFM (Atomic Force Microscope) che permisero di iniziare ad operare su scala nanometrica.

Ad oggi le nanotecnologie hanno portato a notevoli progressi nei più differenti settori come in biologia [5], chimica [6], ottica [7], sensoristica [8] etc. dimostrando la multidisciplinarietà di questa materia. Ed è grazie alla ricerca sullo sviluppo e la sintesi dei nanomateriali che le nanotecnologie hanno ricevuto una consistente spinta negli ultimi anni.

(8)

2

Sono definiti nanomateriali quei materiali nei quali almeno una delle tre dimensioni di estensione è minore di 100 nm. Da questa definizione è possibile suddividerli in ulteriori sottocategorie:

• (0 D) = nanoparticelle: tutte e tre le dimensioni sotto la scala nanometrica • (1 D) = nanotubi e nanofili: due dimensioni in scala nanometrica

• (2 D) = grafene e fillosilicati a strati: una dimensione in scala nanometrica

• (3 D) = materiali mesoporosi con all’interno nanoparticelle o materiali nanostrutturati: nessuna dimensione in scala nanometrica

Tra tutte le classi di materiali nanostrutturati specificate, oggigiorno sempre maggiore interesse viene dedicato allo studio dei materiali 1 D a base di carbonio.

Sebbene la prima osservazione di strutture tubolari a base di carbonio possa essere ricondotta al 1952, da parte degli scienziati sovietici Radushkevich e Lukyanovich [9], la vera [6] e propria scoperta dei nanotubi di carbonio (CNT) è attribuita a Sumio Iijima [10], un ricercatore giapponese, che nel 1991 osservò un particolare deposito tra due elettrodi di carbonio in un arco elettrico usato per formare fullerene, una forma allotropica sferoidale cava del carbonio. Uno dei metodi più impiegati per la produzione di fullereni consiste nel generare un arco voltaico con corrente a bassa tensione ed alta temperatura, usando elettrodi di grafite in ambiente inerte di Argon. Dalla fuliggine prodotta durante la scarica elettrica è possibile recuperare fullerene, ma anche carbone e nanotubi di carbonio.

Tale deposito venne analizzato con un microscopio a trasmissione mostrando delle nanostrutture carboniose tubolari costituite da piani di grafite avvolti su loro stessi a formare dei cilindri coassiali perfettamente chiusi.

Un anno più tardi Ebbesen e Ajayan [11], pubblicarono un metodo per l’ottenimento di tali nanotubi di carbonio a parete multipla in grandi quantità. Nel 1993 i lavori di Donald Bethune [12] e di Ijima [13], portano alla scoperta dei nanotubi di carbonio a parete singola.

1.1.1. I nanotubi di carbonio

I nanotubi di carbonio possiedono una struttura cava, formata da uno o più fogli di grafene sovrapposti, arrotolati su loro stessi. Le proprietà dei nanotubi di carbonio dipendono dalla disposizione atomica, dal diametro e dalla lunghezza di questi. In Figura 1 sono mostrati nanotubi di carbonio a parete singola (Single Walled Carbon NanoTubes - SWCNTs) e multipla (Multi Walled Carbon NaoTubes - MWCNTs).

(9)

3

Figura 1: Struttura di SWCNTs e MWCNTs

I nanotubi di carbonio a parete singola possono essere teoricamente descritti come un singolo foglio di grafene arrotolato su sé stesso a dare una struttura cilindrica costituita, se priva di difetti, da soli esagoni, le cui estremità sono chiuse da calotte di fullerene, in cui si alternano esagoni e pentagoni (Figura 2).

Figura 2: Nanotubo a parete singola

Ci sono vari modi di poter arrotolare il foglio di grafene; alcuni casi danno origine a tubi con due piani di simmetria ortogonali tra loro che giacciono parallelamente e trasversalmente all’asse del nanotubo. In accordo con la chimica tradizionale, vengono così definiti nanotubi chirali [14].

Le tre tipologie di nanotubi, ovvero zig-zag, armchair e chirale possono essere descritte partendo dal foglio di grafene (Figura 3) e definendo parametri geometrici come il vettore di elicità (o chiralità)

(10)

4

Ch e dell’angolo di elicità (o chiralità) θ che definiscono analiticamente i modi di arrotolamento e

chiusura della superficie:

𝑂𝐴 = 𝐶 = 𝑛𝑎1+ 𝑚𝑎2 𝑐𝑜𝑛 (0 ≤ |𝑚| ≤ 𝑛)

𝑐𝑜𝑠𝜃 = 2𝑛 + 𝑚

2√𝑛2+ 𝑚2+ 𝑛𝑚

dove n e m sono numeri interi e a1 e a2 sono i vettori dell’unità di cella del grafene.

Figura 3: a) schema del foglio di grafite in cui sono tracciati i vettori dell’unità di cella (a1 e a2), il

vettore di chiralità Ch (corrispondente ad OA) e l’angolo di chiralità θ. b) possibili vettori chirali

identificati con i corrispettivi indici (n,m). i punti cerchiati denotano i nanotubi metallici mentre i punti semplici i semiconduttori [15].

Il vettore di chiralità è perpendicolare all’asse del nanotubo, mentre l’angolo di chiralitá è preso con l’asse chiamato dei ‘’zig-zag’’. È possibile da queste considerazioni geometriche estrarre il diametro del nanotubo con la formula:

𝑑 = |𝐶ℎ|

𝜋 =

𝑎𝑐−𝑐√𝑛2 + 𝑚2 + 𝑛𝑚 𝜋

(11)

5

Al fine di identificare un particolare nanotubo sono sufficienti i due indici n ed m, riportati tra parentesi (n,m). S’individuano così i tre tipi di nanotubi schematizzati nella Figura 4. Quando gli indici sono diversi tra loro siamo in presenza di nanotubi chirali; quando invece n = 0 otteniamo gli zig-zag (che hanno angolo di elicità di 0°); quando n = m gli armchair (angolo di elicità di 30°). Inoltre, il diverso overlapping delle bande delle densità elettroniche dovuto all’“arrotolamento” e chiusura del foglio di grafene, porta a caratteristiche elettroniche del tutto particolari. Dalle relazioni geometriche esposte sopra, unitamente alla struttura elettronica del foglio di grafite, considerando le nuove condizioni al contorno che si vengono a creare per il calcolo delle funzioni d’onda, è possibile estrarre il carattere metallico del nanotubo corrispondente ad una data coppia di indici. Si ottiene che quando n = m oppure |n – m| è un multiplo di 3 il nanotubo corrispondente a temperatura ambiente ha comportamento metallico, negli altri casi semiconduttore. Perciò considerando tutti gli indici possibili si determina che in natura il rapporto tra metallici e semiconduttori è di 1:2.

Figura 4: Tre versioni dei nanotubi di carbonio a parete singola: (a) armchair, (b) zig-zag e (c) chirale [15]

I MWCNTs, sono costituiti da più fogli di grafene (da due a cento), arrotolati su loro stessi, con diametri crescenti, a seconda del numero di pareti, che variano dai 2 a 100 nm e distanziati tra loro di circa 2,5–3,6 Å, collegati l’uno all’altro tramite ponti carboniosi, che si suppone abbiano lo scopo di favorire l’accrescimento durante la preparazione, specialmente in presenza di un campo elettrico. Tali interazioni sono definite lip-lip [11], e se presenti danno luogo a CNT con diametri più stretti, prevenendo la formazione di difetti strutturali, già limitati dal meccanismo di azione delle particelle di catalizzatore metallico impiegate durante il processo sintetico [16].

(12)

6

I MWCNTs presentano spesso un grande numero di imperfezioni lungo la loro struttura e mostrano diverse varietà di forme nella loro zona terminale. Tali imperfezioni oltre a provocare piccole deformazioni locali possono generare variazioni della chiralità del CNT con un discostamento più o meno accentuato dalle proprietà tipiche dello stesso, principalmente quelle elettriche. Come si può vedere in Figura 5 un apparente difetto nella struttura del nanotubo può portare ad un diverso comportamento nei due tratti: il primo, di tipo zig zag, si comporta infatti da conduttore, mentre il secondo, chirale, da semiconduttore. Tale comportamento è ben esposto nel grafico in Figura 5, che rappresenta l’andamento della densità degli stati occupabili dagli elettroni. In tale grafico è possibile notare la linea nera, riferita al tratto zig-zag, che presenta un valore nullo al centro dell’asse delle ascisse, in corrispondenza del livello di Fermi, mentre la linea rossa, riferita al tratto chirale, mostra una buca, di valore non nullo in corrispondenza dello stesso livello. Un ulteriore trattamento della teoria della densità degli stati è riportata nel paragrafo seguente.

Figura 5: Struttura di una giunzione intramolecolare tra due CNT (a sinistra) e relativi grafici della densità

degli stati elettronici (a destra). Si possono osservare la formazione di anelli a 5 e a 7 atomi di carbonio nella giunzione intramolecolare [17]

1.1.1.1. Struttura elettronica e proprietà di trasporto

Da calcoli teorici fu previsto che le proprietà elettroniche dei nanotubi dovevano essere molto sensibili alla loro struttura geometrica [18] [19] [20]. Essendo il grafene un semiconduttore a

zero-gap venne teoricamente predetto che i CNTs potevano comportarsi sia da metalli sia da

semiconduttori con gap diversi a seconda delle loro caratteristiche geometriche, quindi di n ed m. Per comprendere meglio bisogna considerare la struttura elettronica del foglio di grafene, che ha stati che incrociano il livello di Fermi in due soli punti non equivalenti. Il confinamento in uno spazio

(13)

7

monodimensionale 1D, porta alla quantizzazione del vettore d’onda sulla circonferenza del tubo [21] [22].

Un foglio isolato di grafene è un semiconduttore a zero band-gap la cui struttura elettronica prossima al livello di Fermi è caratterizzata dalle bande π occupate e π* vuote. Gli orbitali σ e πx e πy del carbonio sono impegnati a dare i legami nel piano della grafite. L’incontro delle bande π e π* avviene nei punti K al livello di Fermi della zona di Brillouin, nel caso ideale la superficie di Fermi è costituita da 6 punti K.

Quando “arrotoliamo” il foglio di grafene il vettore d’onda lungo la direzione circonferenziale diventa quantizzato a causa delle condizioni periodiche al contorno; quindi un numero discreto di stati k del piano della grafite diventano permessi. La dipendenza dello stato elettronico del nanotubo dal suo diametro compare nella definizione degli stati tangenziali del nanotubo in cui k⊥= l K1, dove l è un intero e K1 = 2/dt con dt diametro del tubo. Per completezza è da dire che kǁ = a K2 con a reale e |a|<1/2. K1 e K2 sono i vettori base del nanotubo di carbonio nella Brillouin zone, come illustrato in Figura 6.

Figura 6: Rappresentazione schematica della Brillouin zone del foglio di grafene (esagono) e le rispettive

linee di taglio ottenute per un nanotubo armchair (5,5) ed uno chirale (4,2)

I vettori permessi sono rappresentati come linee di taglio della Brillouin zone del grafene; la loro orientazione dipende invece dalla rispettiva linea di chiusura del foglio, quindi dall’angolo di chiralità

θ.

Quando i vettori passano per uno dei punti K del grafene si hanno nanotubi metallici; ciò avviene esclusivamente per quelli con indici (n,n). Quando K non è compreso si ottengono semiconduttori, che presentano comunque stati molto vicini ai punti K e dai quali dipenderanno le proprietà elettriche e di trasporto. In questo secondo caso si possono differenziare due situazioni:

• quelle in cui n-m = 3j, con j intero e maggiore di zero e rappresenta un piccolissimo

band-gap;

(14)

8

Siamo così in presenza di tre tipi di tubi: metallici, semiconduttori con piccolo band-gap (che varia con 1/R2) e semiconduttori con largo band-gap (1/R) [23]. Dato che i semiconduttori con n-m = 3j hanno un band-gap molto piccolo possono essere considerati metallici a temperatura ambiente. Un modo per riconoscere se un nanotubo è conduttore o semiconduttore riguarda l’analisi della densità degli stati energetici occupabili dagli elettroni (DOS), Figura 7.

Figura 7: Proprietà elettroniche di due differenti nanotubi di carbonio. a) Il nanotubo “armchair” (5,5)

esibisce un comportamento metallico (nel DOS si osserva valore finito di portatori di carica a livello di Fermi, localizzato nello zero di energia). b) il nanotubo “zigzag” (7,0) esibisce invece un comportamento semiconduttore con un piccolo gap energetico (nel DOS il valore di portatori di carica è nullo al livello di

Fermi). Si osservano inoltre i picchi che sono associati alle singolarità di Van Hove [24]

Il DOS di un sistema monodimensionale descrive il numero di stati disponibili ad essere occupati dagli elettroni alle varie energie. Un valore di DOS più alto, ad una certa energia, delinea la disponibilità di più stati ad essere occupati [25].

I grafici presentano dei DOS con delle singolarità simmetriche rispetto al livello energetico di Fermi (0 eV). Queste singolarità sono chiamate di Van Hove e corrispondono ai punti critici permessi della zona di Brillouin [24]. In un sistema con comportamento metallico il DOS assume dei valori discreti con un gap energetico nullo al livello di Fermi, mentre in un tipico semiconduttore la densità di stati energetici occupabili al livello di Fermi è nulla ed è invece presente un gap energetico generalmente di 0,7 eV.

Il trasporto di carica nei nanotubi di carbonio ha attirato una considerevole attenzione grazie alle potenziali molteplici applicazioni nella miniaturizzazione dei circuiti.

(15)

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1.1.1.2. Trasporto di carica nei CNTs

I CNTs sono materiali interessanti per la capacità di condurre gli elettroni. È noto in letteratura che, quando la lunghezza del conduttore è più piccola del cammino libero medio dell’elettrone, il trasporto diventa balistico [26]. La conducibilità elettrica è trattata in modo differente nella fisica classica e nella fisica quantistica. Mentre la prima considera la conducibilità come un trasferimento di energia attraverso gli urti fra gli elettroni, visti come particelle, nel modello quantistico il fenomeno è spiegato attraverso l’introduzione dei fononi. Essi sono delle quasiparticelle (o eccitazioni collettive) che rappresentano i modi normali di vibrazione del reticolo cristallino. Come si può intuire la principale conseguenza di questo modello è che la conduzione, di tipo balistico, non comporta cessione di energia.

La presenza di impurezze e/o di difetti all’interno della struttura provoca fenomeni di diffusione che alterano il moto dell’elettrone deviando il comportamento del materiale. In queste condizioni la conduttanza del CNT, ovvero l’attitudine della corrente a passare attraverso il materiale (definita come l’inverso della resistenza elettrica), può essere quantizzata. In letteratura è stato osservato che per un SWCNT metallico esistono due canali quantici di conduzione al livello di Fermi e quindi la conduttanza fornita da un singolo nanotubo sarà pari a:

2𝐺0 =2 ∙ 2𝑒 2 ℎ ≅ 2 13𝑘Ω −1

Dove G0 è la conduttanza elettrica quantica, 𝑒 è la carica di un elettrone e h è la costante di Planck. Il valore di 2𝐺0 è stato riscontrato solo in SWCNT con carattere metallico mentre per gli altri tipi di CNT sono stati misurati valori inferiori a causa di effetti dissipativi che limitano la conduttanza [27]. Attraverso il formalismo di Buttiker-Landauer è possibile esprimere la resistenza elettrica del nanotubo come:

𝑅 = ℎ

4𝑒2+ 𝑅𝑖 + 𝑅𝑐1+ 𝑅𝑐2

Dove R è la resistenza totale, il primo termine corrisponde alla resistenza quantizzata del nanotubo, 𝑅i è la resistenza generata da processi diffusivi, 𝑅𝑐1 e 𝑅𝑐2 sono le resistenze dovute alle barriere di trasporto elettronico nei punti di giunzione del CNT. La resistenza del nanotubo è dipendente quindi dalla sua morfologia e in particolare dal suo vettore chirale e dalla sua lunghezza [28]. È stato osservato che la conduzione balistica si verifica in SWCNT di lunghezza inferiore ai 200 nm, mentre abbassando notevolmente la temperatura fino quasi a 0 K si può osservare nei SWCNT il fenomeno della superconduttività [28]. Generalmente la resistenza elettrica nei semiconduttori aumenta al

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10

diminuire della temperatura ma nei superconduttori, composti chimici come la perovskite o ossidi di litio e titanio, esiste una temperatura critica al di sotto della quale la resistenza diventa (quasi) nulla.

1.1.1.3. Proprietà meccaniche

I nanotubi sono le fibre più resistenti mai prodotte, molto più resistenti dell'acciaio, leggere (l'interno dei nanotubi è vuoto), molto flessibili ed elastiche. Tutte queste sono ottime qualità che li rendono interessanti per la realizzazione di fibre molto resistenti e materiali composti.

La forza e la rigidità dei CNT sono il risultato dei legami carbonio-carbonio presenti nella grafite. Questo tipo di legame è già il più resistente in natura, e nel ripiegamento dei fogli di grafite a formare la struttura cilindrica dei tubi, la componente assiale del legame si rafforza notevolmente. La presenza di difetti in particolare gioca un ruolo fondamentale nei processi di rottura per trazione[29], perché in assenza di difetti è necessario vincere nello stesso istante le forze di coesione di tutta la superficie perpendicolare alla direzione di trazione.

Sia gli esperimenti che i calcoli teorici dimostrano che il modulo di Young dei SWNT diepnde dal diametro dei tubi, mentre è indipendente dalla loro chiralità. Il valore più alto, di circa 1 TPa, è relativo a tubi con diametro tra 1 e 2 nm [20]. Per un MWCNT, in particolare, occorre tener conto anche dell’interazione intertubo, che si aggiunge al più alto dei valori tra i SWCNT che compongono il tubo, per cui il modulo elastico di un MWCNT è superiore a qualsiasi SWCNT. I valori tipici secondo i calcoli teorici e le misure sperimentali sono compresi tra 1.1 e 1.3 TPa [20].

Per dare un’idea, tali valori del modulo di Young sono approssimativamente 5 volte superiori a quello dell’acciaio [21].

1.1.1.4. Proprietà termiche

Il carbonio in forma cristallina risulta avere la più alta conducibilità termica tra tutti i materiali conosciuti, per il diamante ad esempio la conducibilità termica vale k =2000 - 2500W m-1K-1, mentre per la grafite k ≈ 2000W m-1K-1. Per quanto riguarda i nanotubi di carbonio sono stati previsti valori ben più alti, massimi teorici di 6600W m-1K-1, tali valori non sono stati misurati sperimentalmente, tuttavia sono state dimostrate le ottime proprietà termiche con valori di conducibilità pari o superiori a quelli del diamante [21].

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Come la conducibilità elettrica, anche la conduzione del calore è quantizzata per via della natura monodimensionale del nanotubo (si parla in questo caso di trasporto di fononi), inoltre la temperatura stessa influenza la conducibilità termica: a tal proposito è stata evidenziata una relazione lineare tra la conducibilità termica e la temperatura.

Un interessante esempio che mostra come le proprietà termiche dei nanotubi potrebbero essere sfruttate anche in ambito elettronico è quello del ‘’diodo termico’’: attraverso i nanotubi è stato possibile fabbricare un dispositivo per direzionare il flusso di calore, ovvero il sistema presenta una conduttanza termica asimmetrica.

Questo è stato possibile caricando una delle estremità del nanotubo con un materiale ad alta densità (es C9H16Pt, Trimethyl(methylcyclopentadienyl)platinum(IV)): il flusso di calore risulta maggiore nella direzione in cui la densità decresce, Figura 8. Questi ‘’diodi termici’’ potrebbero essere utili per prevenire il surriscaldamento nei dispositivi microelettronici, migliorando la dissipazione del calore [21] [30].

Figura 8: Diodo termico: nanotubo prima e dopo la deposizione del materiale ad alta densità [21]

1.1.1.5. Proprietà ottiche

Le proprietà ottiche dei composti a base di carbonio possono variare dalla trasparenza brillante dei diamanti al nero scuro della fuliggine (particolato carbonioso, composto principalmente da carbonio amorfo). Il motivo per cui il diamante è trasparente è dovuto al fatto che tutti gli elettroni sono associati ai legami sp3 tra gli atomi di carbonio: il diamante assorbe solo la radiazione infrarossa, mentre quella visibile gli passa attraverso.

La sua brillantezza invece è dovuta all'elevato indice di rifrazione. Di contro invece la fuliggine è estremamente scura (non per caso è chiamata anche nerofumo): gli atomi di carbonio si trovano prevalentemente legati sp2 e l'abbondanza di elettroni degli orbitali π permette di assorbire un ampio intervallo di lunghezze d'onda. La grafite infine risulta di un colore nero opaco, tendente al grigio e non scuro come il nerofumo: il motivo di questo è la maggior lucentezza dovuta alle sue caratteristiche metalliche (tutti i metalli hanno proprietà di lucentezza e riflettono la luce a causa della ‘’nuvola di elettroni”). Per quanto riguarda i nanotubi, in genere appaiono neri (anch'essi sono

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formati da legami sp2), anche se strati molto sottili di nanotubi possono essere trasparenti; proprio per questo motivo possono costituire una alternativa all'ITO: dall'inglese indium tin oxide, ossido di indio-stagno, un ossido trasparente conduttivo impiegato per la fabbricazione di pellicole conduttive trasparenti (PCT), per applicazioni fotovoltaiche.

Infatti, uno strato sottile di nanotubi presenta una conducibilità paragonabile all'ITO, una trasparenza simile, può essere deposto facilmente su supporti plastici flessibili ed ha un costo inferiore a quello dell'ITO. Il motivo per cui film sottili a base di nanotubi sono trasparenti va ricercato nello spessore di penetrazione della radiazione elettromagnetica: per la luce visibile lo spessore di penetrazione varia in modo inversamente proporzionale alla densità di portatori liberi del materiale. I nanotubi hanno basse densità di portatori liberi, quindi alti spessori di penetrazione: è sufficiente fare un film sottile affinché la maggior parte della luce passi (trasmittanza tra il 60% ed il 90%). Per caratterizzare i nanotubi dal punto di vista ottico si utilizzano essenzialmente tre tipi di spettroscopia:

• Spettroscopia ottica di assorbimento • Spettroscopia di fluorescenza

• Spettroscopia Raman

Attraverso le spettroscopie è possibile anche determinare la struttura dei nanotubi in modo più o meno preciso, ad esempio è possibile stimarne il diametro, l'energy-gap e gli indici chirali n ed m.

1.1.2. Metodi di sintesi di nanotubi di carbonio

Esistono diverse tecniche di sintesi dei nanotubi di carbonio ma le più diffuse sono: l’arco elettrico, la vaporizzazione laser, e la deposizione termica di vapori (CVD). Le tecniche prevedono tutte la necessità di una fonte di carbonio e spesso richiedono l’utilizzo di un catalizzatore metallico, successivamente allontanato tramite tecniche di purificazione. Arco elettrico e vaporizzazione prevedono entrambe la vaporizzazione di un blocco di grafite ad altissime temperature producendo nanotubi, spesso a parete singola, con rese circa del 70% a bassi costi ma con una distribuzione disomogenea delle dimensioni. La tecnica CVD prevede la decomposizione di un precursore gassoso, generalmente metano, e la sua deposizione su un supporto con una resa che può raggiungere il 100% ma con produzione selettiva di MWCNT in condizioni più blande e con costi maggiori delle precedenti. Nonostante sia la meno economica, la tecnica CVD risulta essere la più utilizzata poiché

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fornisce la maggiore resa con una sufficiente omogeneità e purezza dei tubi prodotti ed è inoltre l’unica tecnica utilizzabile in un processo continuo o semi-continuo.

1.1.2.1. Deposizione chimica da vapore

Poiché il volume dei campioni prodotto sia dalla tecnica della scarica ad arco che dalla vaporizzazione laser è limitato dalle dimensioni della sorgente di carbonio, la produzione in larga scala dei nanotubi di carbonio è spesso più conveniente mediante la tecnica di deposizione chimica da vapore (Chemical Vapor Deposition). Oltre alla produzione in larga scala, le tecniche di CVD sono ideali per la sintesi di nanotubi singoli da utilizzare come sonde nei microscopi a forza atomica [31], poiché le punte dei CNT che crescono su substrati di silicio, sono tre volte più piccole rispetto alle punte dei nanotubi assemblati meccanicamente.

I CNT si formano dalla decomposizione di un idrocarburo allo stato di vapore in presenza di un catalizzatore, mediante una sorgente di energia che tipicamente è un fascio di elettroni, un plasma o un avvolgimento resistivo riscaldato per effetto Joule. Si tratta di un processo continuo in cui la sorgente di carbonio viene continuamente rimpiazzata dal gas fluente. La sorgente di energia frantuma le molecole in specie radicali reattive, a temperature comprese tra 500 e 1200 °C. Le specie reattive diffondono verso un substrato riscaldato e rivestito da particelle di catalizzatore, al quale rimangono legate formando i nanotubi di carbonio.

La tecnica era stata utilizzata nel 1959 per la produzione di fibre e filamenti di carbonio, e dopo la scoperta dei nanotubi di carbonio da parte di Iijima, è stata utilizzata per la sintesi di SWCNT e MWCNT utilizzando benzene, acetilene, etilene, e metano come idrocarburi, e nanoparticelle di Fe, Co e Mo come catalizzatori. Per quanto riguarda i SWCNTs, la reazione avviene tra i 500 e gli 800 °C mentre per i MWCNTs a temperature comprese tra gli 800 e 1200 °C [32].Al crescere della temperatura, inoltre, aumentano la densità e la velocità di crescita dei CNT che, dunque, risultano allineati verticalmente. Le particelle catalitiche sono generalmente di Fe, Ni o Co o di organometallici solidi come ferrocene, cobaltocene e nichelocene; le loro dimensioni risultano incidere sul diametro dei nanotubi.

I meccanismi di crescita dei CNTs sono due. Il primo, definito “base-growth’’[33] [34], prevede la crescita dei nanotubi sopra le particelle di catalizzatore, mentre nel secondo, “tip-growth”[35], il tubo viene a formarsi tra la particella e il supporto. Quale dei due meccanismi possa essere favorito dipende dalla natura delle nanoparticelle e del supporto, dalla loro interazione chimica dalle

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dimensioni delle particelle di catalizzatore. Una migliore interazione tra il supporto e le particelle di catalizzatore, data per esempio da una maggiore dimensione di queste ultime, favorisce una crescita di tipo “base”, mentre l’utilizzo di particelle di catalizzatore più piccole, con meno interazioni superficiali con il substrato, porta ad una crescita di tipo “tip”, Figura 9.

Figura 9: Meccanismo di crescita di CNT, (a) tip-growth e (b) base-growth[36]

Notevole attenzione in letteratura è riservata all’ottenimento di nanotubi a parete singola ad alta purezza. I due processi oggi utilizzati a livello industriale sono denominati HiPco [37] e CoMoCAT [38].

Entrambe le tecniche di preparazione si basano sulla reazione di disproporzione catalitica di CO. I processi sono effettuati iniettando un catalizzatore in controcorrente al flusso di CO ad una temperatura di 750-950 °C e pressione fino a 10 atm. In particolare, un precursore del catalizzatore metallico si decompone ad alte temperature generando cluster metallici in fase vapore che catalizzano la reazione di disproporzionamento del CO e la produzione di SWCNT. La differenza tra i processi è proprio nel catalizzatore che nel processo HiPco è Fe(CO)5 mentre nel CoMoCAT è a base di Co-Mo. Mediante queste tecniche è possibile ottenere SWCNT con purezze maggiori del 90% con diametri di circa 1 nm [37].

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1.1.2.2. Tecniche di purificazione dei nanotubi di carbonio

Per ottenere un materiale che sia utilizzabile nelle varie applicazioni bisogna eliminare i coprodotti ed i sottoprodotti che provengono dalla sintesi dei nanotubi. Queste impurezze compromettono le caratteristiche e le proprietà del SWCNTs e devono quindi essere rimosse in un processo di purificazione [39]. Le tecniche di sintesi dei nanotubi di carbonio producono un materiale contenente oltre ai nanotubi anche carbonio amorfo, carbonio grafitico e particelle di metallo (usato come catalizzatore) incapsulate in gusci di materiale carbonioso [40] [41].

Per meglio comprendere le tecniche di purificazione adottate bisogna considerare le caratteristiche del materiale grezzo derivante dalla sintesi. Solitamente si ottengono agglomerati pulverulenti con percentuali di nanotubi variabili dal 30 al 80% w/w, catalizzatore dal 15 al 35% w/w, ceneri, carbonio amorfo e grafitico. L’elevato intervallo di valori mostrati dipende dal tipo di sintesi con cui il materiale è stato ottenuto.

In linea di massima ciò che accomuna tutti i metodi sviluppati in letteratura è un trattamento di ossidazione che può avvenire con una fase gassosa (aria [42], ossigeno [43], gas umidi [44]) o liquida (con acidi ossidanti [45] o miscele di acidi [46]), con il quale si vuole eliminare, o quantomeno ridurre, la componente carboniosa amorfa nel materiale di partenza. È fatto seguire uno step di lavaggio in ambiente acido per eliminare il catalizzatore che nei processi di ossidazione in liquido fa parte dello stesso passaggio [42] [44].

In coda alla procedura di purificazione viene talvolta fatta seguire una sospensione dei nanotubi con tensioattivi, in ambiente acquoso, seguita da centrifugazione per eliminare la componente pesante non sospesa [42] [47] [48]. A seconda del grado di purezza desiderato sono spesso utilizzati processi

multi-step [49].

1.1.3. Reattività e funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio

Uno dei maggiori impieghi dei nanotubi di carbonio è nella preparazione di nanocompositi a matrice polimerica, ovvero materiali composti da due o più componenti, di cui almeno uno è un nanomateriale. I nanotubi in questo ambito sono utilizzati per la realizzazione di materiali che possano sfruttare le proprietà, elettriche e/o meccaniche, di questa forma allotropica del carbonio. Il principale problema riscontrato nella produzione di questi compositi risiede però nella scarsa “compatibilità” che i nanotubi dimostrano di avere con la maggior parte delle matrici, dovuta alle

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interazioni π-π che essi instaurano tra loro, portando alla formazione di gomitoli (o bundles) Figura

10, ed all’incapacità delle componenti polimeriche, dette matrici, di realizzare interazioni stabili con

i nanotubi, di modo da disperderli al meglio ed acquisirne le proprietà desiderate. Tutto questo rende necessaria, prima dell’utilizzo dei CNTs, la realizzazione di un passaggio di esfoliazione, ovvero un processo di allontanamento dei nanotubi e interruzioni delle forze di stacking.

Figura 10:Iimmagine SEM di gomitoli di CNTs [50]

Per poter aggirare le difficoltà dovute alla dispersione ed alla interazione con la matrice, sono state studiate diverse tecniche di funzionalizzazione, covalente e non, che possano modificare la natura chimica del nanotubo, rendendolo “solubile” all’interno di un mezzo, o in grado di interagire con altre molecole, o ancora stabilizzarne l’esfoliazione.

Un nanotubo di carbonio può essere descritto come il prodotto di un arrotolamento di un foglio di grafene su sé stesso, chiuso alle estremità da due calotte fullereniche. Da questo deriva una struttura tubolare, ad altissima coniugazione, in cui ogni carbonio possiede solo orbitali ibridi sp2. La particolare forma costringe i legami tra i carboni del cilindro a deviare dalla normale planarità e ad assumere una forma a piramide. Questo porta inevitabilmente ad una destabilizzazione energetica degli orbitali, che risulta in una maggiore reattività dei nanotubi di carbonio rispetto al grafene. L’angolo di piramidalizzazione [51] tra l’orbitale pz e gli altri orbitali p dà un’ottima indicazione della potenziale reattività di queste strutture, ed è definito come:

𝜃𝑝 = (𝑎𝑛𝑔𝑜𝑙𝑜 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑒 − 90°)

Altra naturale conseguenza della particolare forma dei CNTs è il disallineamento degli orbitali 𝜋, che non fanno più parte della stessa circonferenza, come ci si aspetterebbe in un normale anello benzenico, ed il cui angolo di sfasamento è indicato come φ, pari a 21,3° (Figura 11).

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Figura 11: Preso un comune a) SWCNT sono riportati b) gli angoli di piramidalizzazione, ovvero le differenze

del valore θp tra una struttura trigonale ed una tetraedrica, e c) il disallineamento degli orbitali π del CNT

[51]

La particolare natura orbitalica e conseguentemente elettronica dei CNT fa sì che questi possano molto facilmente instaurare delle interazioni di tipo π-π o tramite forze di van der Waals, formando così dei veri e propri gomitoli di nanotubi aggrovigliati e rendendo difficile l’interazione di questi con altri composti quali reagenti o eventuali mezzi disperdenti. In generale perciò i nanotubi di carbonio prima di essere utilizzati vengono sottoposti a trattamenti volti a favorire il processo di esfoliazione di tali aggregati, mediante agenti disperdenti che ne abbassino l’energia superficiale, favorendo la dispersione, o tramite tecniche di tipo fisico, come: agitazione meccanica [38] o ultrasonicazione [52].

L’ultrasonicazione sfrutta delle onde d’urto propagate nel solvente, capaci di vincere le forze attrattive tra i CNTs ed è la tecnica più utilizzata per la dispersione di questi.

Un eccessivo tempo di sonicazione ad alta frequenza può portare alla formazione di imperfezioni sulla parete o alla rottura dei nanotubi ed al loro accorciamento [53]. È quindi fondamentale cercare di trovare le giuste condizioni sperimentali tra volumi da trattare e tempo di sonicazione, così da non alterare la struttura del nanomateriale. Da sola, la sonicazione non è sufficiente a tenere stabilizzati nel tempo i nanotubi in dispersione che tendono a riaggregare, tornando al loro stato di partenza, ed è perciò necessario associare a questa tecnica l’uso di mezzi disperdenti, come agenti surfattanti, che possano aumentare l’interazione tra i nanotubi e il mezzo.

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La tecnica della sonicazione può essere condotta usando due apparecchiature: un sonicatore con sonda o un bagno a ultrasuoni. Il primo strumento è dotato di una punta che fornisce energia in un volume ristretto mentre il secondo è usato per volumi maggiori ma fornisce meno densità energetica, è quindi più consigliato per prevenire potenziali degradazioni della struttura dei CNTs [54].

I metodi chimici di dispersione prevedono invece l’introduzione di molecole organiche di piccole dimensioni sulla superficie del nanotubo attraverso una reazione chimica che coinvolge la specie reattiva e gli atomi di carbonio dei tubi [55], oppure mediante interazioni non covalenti [56]. La presenza di molecole sulla superficie del nanotubo rende la dispersione maggiormente stabile nel tempo e fa sì che le interazioni tubo-mezzo disperdente siano favorite rispetto a quelle fra più CNTs. Esistono due principali metodi per la funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio [57]:

• la funzionalizzazione non covalente: nella quale si sfruttano interazioni secondarie, come π-π (come riportato in questo lavoro), di van der Waals o mediante l’uso di un surfattante [58]. In accordo con la letteratura, il pirene realizza interazioni π-π con gli anelli aromatici dei CNTs [59] [60] [61]. Ad esempio, basandosi su questo meccanismo è quindi possibile funzionalizzare la matrice polimerica con idrocarburi aromatici policiclici come il pirene in modo da incrementare la dispersione dei nanotubi.

• la funzionalizzazione covalente: attraverso reazioni di formazione di nuovi legami covalenti mediante la reattività del nanotubo indotta sia dall’angolo di piramidalizzazione che dal disallineamento degli orbitali𝜋 (Figura 12). Non essendo argomento specifico di questa tesi, lo studio approfondito dei meccanismi di funzionalizzazione si rimanda a approfondimenti bibliografici [55].

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Figura 12: Schema di diversi tipi di funzionalizzazione covalente dei nanotubi [62]

1.1.4. Preparazione di nanocompositi a matrice polimerica contenenti

nanotubi di carbonio

Le principali caratteristiche dei nanotubi di carbonio quali dimensioni in scala nanometrica con alto rapporto di aspetto, li rendono ottimi candidati per la formazione di materiali compositi con caratteristiche particolari ed avanzate in termini di proprietà meccaniche, termiche ed elettriche. Il successo nello sviluppo di questi nanocompositi dipende fortemente dalla dispersione omogenea dei nanotubi all’interno della matrice polimerica, riflessa poi nella buona interfaccia tra i due componenti. Più è elevata l’adesione all’interfaccia tra due componenti, maggiore risulta il trasferimento delle proprietà da un materiale all’altro.

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In particolare, esistono diversi modi per produrre nanocompositi[63], tra cui: • miscelazione in soluzione, tecnica impiegata in questo lavoro di tesi • miscelazione nel fuso;

• polimerizzazione in situ; • reazioni di innesto;

Il metodo più utilizzato tra questi è la miscelazione in soluzione, operazione che avviene generalmente in tre fasi principali: dispersione dei CNT in un mezzo che sia solvente per il polimero, miscelazione dei due componenti (nanotubi e polimero) e il recupero del nanocomposito. L’operazione di miscelazione può essere condotta a differenti temperature in base a parametri quali la solubilità del polimero o la viscosità della miscela, mentre in alcuni casi è possibile prevedere un’iniziale funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio così da renderli maggiormente compatibili con la matrice polimerica, se non addirittura miscibili in essa.

1.1.5. Proprietà elettriche dei nanocompositi a base di nanotubi di carbonio

Una delle proprietà che possono essere richieste ad un nanocomposito a base di nanotubi di carbonio è la conducibilità elettrica. I polimeri più comuni e di largo consumo sono generalmente ottimi isolanti elettrici. Un nanocomposito opportunamente realizzato che contenga come componente nanostrutturato un materiale come i CNT, può acquisire particolari proprietà di conducibilità elettrica data la loro elevata conduttività intrinseca. Affinché queste possano emergere è però necessario che i CNT siano presenti in una determinata percentuale e che risultino omogeneamente dispersi. I CNT si dispongono all’interno del materiale polimerico formando una rete tridimensionale che abbatte la resistenza del polimero fornendo un percorso per i portatori di carica in movimento, chiamato cammino percolativo [64]. Tale cammino risulta completamente ed uniformemente distribuito all’interno del materiale al di sopra di una certa percentuale di nanotubi in poi (Figura 13a).

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Figura 13: a) Schematizzazione della formazione del cammino percolativo [65]. b) andamento della

conducibilità elettrica in funzione della concentrazione di nanotubi all’interno del nanocomposito

La percentuale di CNTs alla quale si ha il passaggio da comportamento isolante del materiale a conduttore è detta soglia di percolazione e, una volta superata, la conducibilità del materiale risulta pressoché costante. Immediatamente a ridosso di tale soglia la conducibilità del materiale aumenta di diversi ordini di grandezza (Figura 13b).

I fattori da cui dipende la soglia di percolazione sono molti, il più importante è l’omogeneità di dispersione dei nanotubi all’interno della matrice polimerica.

Per determinare sperimentalmente la soglia di percolazione si può ricorrere a misure di conducibilità elettrica in corrente continua (DC) o in corrente alternata (AC). Ricorrendo a misure in DC si può osservare la variazione del valore di conducibilità elettrica in funzione della concentrazione dei CNTs. La soglia di percolazione viene individuata in corrispondenza della massima variazione di conducibilità misurata (punto di flesso in Figura 13b).

1.1.6. Applicazioni dei nanocompositi a matrice polimerica contenenti

nanotubi di carbonio

I materiali polimerici sono diventati una parte essenziale della nostra vita giornaliera e molta parte della ricerca è dedicata al miglioramento delle loro proprietà. Grazie alle loro buone proprietà

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meccaniche, fisiche e chimiche, i polimeri trovano molte applicazioni in diversi tipi di industrie: tessile, imballaggi, automotive, elettronica, aerospaziale e molti altri.

Uno degli aspetti più importanti, che ha contribuito in maniera sostanziale alla diffusione di questi materiali, è il loro basso costo di produzione, se comparato con i materiali che sono andati a sostituire.

Un altro aspetto molto importante è che le proprietà di questi materiali possono essere modificate e ciò può avvenire all’origine della sintesi del polimero oppure attraverso l’aggiunta di additivi o riempitivi. In quest’ultima categoria rientrano i nanotubi di carbonio, i quali vanno a impartire delle caratteristiche molto interessanti al materiale, incrementandone ad esempio le caratteristiche meccaniche e conferendo la capacità di condurre la corrente elettrica.

Queste proprietà hanno stimolato la ricerca e aperto le porte per l’impiego di questi materiali nanocompositi a diverse applicazioni come ad esempio nel campo della microelettronica [66], della sensoristica [67], automobilistico [68], aerospaziale [69]. Nella figura sottostante sono riportati alcuni esempi di applicazioni di tali nanocompositi [70].

Tabella 1: Alcune applicazioni dei nanocompositi a matrice polimerica contenenti nanotubi di carbonio [70]

Un ambito particolarmente interessante risulta essere quello dei sensori. In questa categoria rientrano i sensori chimici [71], di temperatura [72] e di deformazione meccanica [73]. L’applicazione dei nanocompositi in sensoristica si propone di studiare, e sfruttare, la variazione del segnale elettrico generato dal composito in base a determinate variazioni nella struttura del materiale.

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1.1.6.1. Sensori chimici

Dato che la conducibilità elettrica dei nanotubi dipende fortemente dalla struttura atomica, drogaggio chimico e condizioni ambientali, è possibile utilizzare i CNT come sensori chimici[74]. Infatti, essi sono in grado di individuare piccole concentrazioni di molecole di gas come diossido di azoto (NO2) e ammoniaca (NH3) a temperatura ambiente.

Si è rilevato che per un SWCNT semiconduttore esposto a 200 ppm di NO2 la conduttanza elettrica può aumentare di tre ordini di grandezza in pochi secondi. Al contrario l’esposizione al 1 % di NH3 provoca una diminuzione della conduttanza di circa due ordini di grandezza (Figura 14)

Figura 14: Variazioni della conduttanza del nanotubo quando esposta a NO2 e NH3 [74]

La differente risposta del SWCNT alle due molecole è legata a differenti interazioni superficiali che portano ad una modifica della mobilità degli elettroni del nanotubo. Nello specifico, NO2 richiama carica dagli atomi di C del nanotubo portando così ad un drogaggio di tipo p, mentre NH3 trasferisce carica agli atomi di C portando ad un drogaggio di tipo n del nanotubo [74].

1.1.6.2. Sensori di temperatura e di deformazione meccanica

Nel primo caso viene sfruttata la variazione della conducibilità elettrica del nanocomposito al variare della temperatura, essendo i nanotubi nella maggior parte dei materiali semiconduttori. Nel secondo tipo di applicazione, viene sfruttata la variazione dei cammini percolativi dei nanotubi all’interno della matrice polimerica in funzione dell’allungamento o della compressione del materiale quando sottoposto a stress meccanico.

Gli stimoli descritti portano ad una variazione del segnale elettrico che può essere monitorato in funzione del tipo di sollecitazione.

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In sensori di deformazione, in particolare, quando il materiale conduttore viene sottoposto ad un allungamento, i cammini percolativi subiscono un deterioramento nella loro struttura e questo porta ad una diminuzione della conducibilità elettrica[75]. Come matrici, generalmente, vengono preferiti polimeri elastomerici, perché richiedono meno sforzo per allungamento, risultano più sensibili alle minime sollecitazioni e necessitano di un maggiore allungamento per arrivare a rottura. Inoltre, possiedono una intrinseca capacità di tornare alla forma originale una volta terminata la sollecitazione. Esempi classici di materiali polimerici nanocompositi utilizzati come sensori di deformazione sono: il poliuretano, il poliisopropene, l’etilene-propilene diene monomero, il poli(metacrilato di metile) e le poliammidi[70].

Un problema fondamentale riscontrato nell’utilizzo di questi compositi come sensori è nella riproducibilità delle misure. È necessario che ad un determinato allungamento corrisponda una variazione del segnale elettrico costante per lo stesso tipo di nanocomposito e della stessa intensità per cicli successivi di deformazione, se il materiale di partenza risulta essere di natura elastomerica. Ad oggi, molta ricerca è dedicata a risolvere questi due problemi che limitano la diffusione dei nanocompositi come sensori di sollecitazioni esterne.

1.2.

Gli smart materials

Gli smart materials sono una nuova classe di materiali sviluppati nell’arco degli ultimi anni grazie ad un approccio combinato della chimica-fisica e organica, della scienza dei materiali, della biochimica e dell’ingegneria elettrica e meccanica[76]. Questi materiali sono in grado di modificare una loro proprietà specifica, in modo controllato, in seguito a uno stimolo esterno. Stimoli esterni possono modificare forma, rigidezza meccanica, flessibilità, opacità, porosità, colore di un dato materiale. Cambiamenti nelle proprietà e nella struttura, in risposta a cambiamenti imposti dall’ambiente, sono in molti casi reversibili (Figura 15). Gli smart materials possono essere utilizzati non solo come materiali funzionali avanzati, ma anche come parte integrante di strutture interamente smart, composte da diversi elementi come sensori, attuatori e algoritmi di controllo.

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25

Figura 15: Schema del funzionamento di uno smart material [77].

La natura dei materiali che rientrano in questa classificazione è molto ampia e documentata [76]. Con l’aiuto della chimica sono stati sviluppati materiali in grado di assumere differenti forme, aspetti, proprietà: materiali progettabili, creati su misura per assolvere a precise funzioni.

Alcuni esempi di tecnologie sviluppate, o in fase di valutazione, sono le leghe metalliche e i polimeri a memoria di forma, i materiali elettrocromici, i sensori a fibra ottica, i materiali piezoelettrici e i fluidi elettro-reologici e magneto-reologici [78] (Figura 16).

Figura 16: Materiali aventi caratteristiche smart [77]

Nella progettazione e realizzazione di uno smart material, la Natura costituisce una fonte di ispirazione continua. Esaminandone i modelli, i sistemi, i processi e gli elementi, l’uomo cerca di emulare o prendere ispirazione da essa per cercare di risolvere i propri problemi. I sistemi naturali si sono evoluti attraverso processi lenti ma estremamente efficaci: una procedura di successive approssimazioni, nell’evoluzione biologica, ha permesso di ottimizzare la microstruttura di ogni tessuto sulla base della sua funzione fisiologica; in tal modo è stato possibile ottenere materiali con prestazioni, oltre che straordinarie, mirate a un preciso scopo.

Biomimetica (dal greco “βιός μίμησις”) significa imitazione della vita ovvero imitazione della natura. La biomimetica è una scienza che, ispirandosi alla natura, cerca di riprodurre artificialmente

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strutture, forme e materiali. Molte sono le discipline che traggono giovamento dalla biomimetica a partire dall’ingegneria, la chimica, la fisica, la biologia, la scienza dei materiali.

Un esempio può essere un materiale autopulente per azione degli agenti atmosferici (pioggia, vento), con la capacità di mantenersi pulito autonomamente così come avviene nel mondo vegetale nelle foglie di loto, nelle quali la presenza di asperità nanometriche impedisce alle impurità di raggiungere la superficie sottostante.

Gli smart materials possono essere classificati in base al tipo di risposta fornita a uno stimolo esterno. Vi sono materiali a risposta cromatica, con funzionalità intrinseca nel materiale o aggiunta tramite additivi, e quelli a risposta non cromatica. Per i materiali a risposta cromatica ci può essere un cambiamento visibile del colore, una fluorescenza o una fosforescenza, come risposta a una serie di stimoli. È possibile distinguere sistemi polimerici di tipo smart, in base allo stimolo esterno, al meccanismo di rilevazione e all’applicazione, come mostrato in Tabella 2.

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1.3.

Polimeri meccanocromici

L’incorporazione di coloranti organici in matrici solide polimeriche risulta essere un argomento molto attuale e sul quale si sta concentrando una buona parte della ricerca. Ciò è legato alle possibili applicazioni dei materiali risultanti come guide d’onda ottiche, laser, sensori e materiali ottici non lineari [79].

Questo lavoro di tesi si inserisce nell’ambito dei cosiddetti materiali, o polimeri, intelligenti, i quali sono caratterizzati dalla capacità di fornire una rapida risposta se sottoposti ad uno stimolo esterno di varia natura come, ad esempio, luce, stress meccanici, calore, variazioni di pH, stress chimici, tramite variazione di una proprietà chimico-fisica facilmente misurabile [80].

Nello specifico, saranno sviluppati i cosiddetti ‘’polimeri meccanocromici’’, i quali sono materiali che cambiano il loro assorbimento o la loro emissione in risposta ad un’azione meccanica. Il termine ‘’polimeri piezoelettrici’’ è spesso usato come sinonimo, ma nello specifico si riferisce a quella parte dei materiali meccanocromici che risponde a stimoli di pressione.

Si capisce bene come la visualizzazione di stress meccanici in materiali polimerici mediante cambiamenti nella risposta di assorbimento o in emissione, oggetto del presente lavoro, sia veramente molto utile, costituendo uno strumento semplice per la rilevazione di problematiche che potrebbero andare a compromettere le caratteristiche del materiale stesso.

1.4.

Fenomeno di fluorescenza

Luminescenza è il termine generale con cui si indica l’emissione di luce da una qualsiasi sostanza elettronicamente eccitata [81]. In base alla natura degli stati eccitati che entrano in gioco se ne distinguono due tipologie: la fluorescenza e la fosforescenza.

Per quanto riguarda la fluorescenza, tale nome deriva dal minerale di calcio e fluoro detto fluorite dal quale questo fenomeno è stato scoperto. Gli stati eccitati in questo caso sono di singoletto e l’elettrone nell’orbitale eccitato ha spin opposto rispetto a quello nell’orbitale dello stato fondamentale. Per questo la diseccitazione è permessa secondo le regole di selezione dello spin ed avviene rapidamente con la generazione di un fotone. L’intervallo di emissione è tipicamente dell’ordine dei 10−8 sec−1 mentre il tempo di vita di 10 ns (si definisce tempo di vita di un fluoroforo

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Il fenomeno dell’assorbimento avviene molte velocemente (nell’ordine dei femtosecondi) ed in quantità di energia discrete dette quanti; quindi, L’assorbimento di un fotone da parte di un fluoroforo può solamente avvenire quanto il fotone incidente si trova a specifiche lunghezza d’onda chiamate bande di assorbimento.

1.4.1. Diagramma di Jablonski

I processi che avvengono tra l’assorbimento e l’emissione di luce, con il conseguente ritorno all’equilibrio, sono illustrati dal diagramma di Jablonski raffigurato in Figura 17.

Figura 17: Diagramma di Jablonski. Con la lettera S sono indicati gli stati di singoletto mentre con T quello di

tripletto. Inoltre, con il pedice numerico si indicano i vari livelli energetici da quello fondamentale S0 a quelli

con energie superiori S1 e S2. Ognuno di essi, sia per il singoletto che per il tripletto, è composto da un certo

numero di sottolivelli vibrazionali enumerati in ordine crescente[82].

L’assorbimento di luce avviene nelle molecole che si trovano nella configurazione di minima energia vibrazionale e vengono eccitate su un altro sottolivello vibrazionale di un livello energetico superiore a quello fondamentale. Dopo ciò avvengono diversi processi di diseccitazione: infatti gli elettroni eccitati rilassano rapidamente sul più basso sottolivello vibrazionale di S1 (che avvengono in circa 10-12 sec o meno) prima di tornare allo stato di equilibrio tramite il processo di emissione (si ricordi che l’emissione avviene in circa 10-8 s). La fluorescenza è il risultato della transizione dal più basso livello vibrazionale di S1 verso quello più basso di S0.

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1.4.2. Spostamento di Stokes

Si definisce spostamento di Stokes il fenomeno per il quale il picco di emissione di fluorescenza è spostato verso lunghezze d’onda più elevate rispetto a quello di assorbimento e fu osservato per la prima volta da G. G. Stokes nel 1852. Esso si verifica perché la transizione di emissione spontanea avviene tra livelli energetici più vicini rispetto a quelli del processo di assorbimento. Infatti, una volta eccitati, gli elettroni rilassano rapidamente verso il più basso sottolivello vibrazionale di S1 (per maggior chiarezza si veda la Figura 17) e poi da quest’ultimo sugli alti livelli vibrazionali di S0 con successive perdite di energia per via termica per raggiungere poi il sottolivello più basso. L’evidenza sperimentale di questo fenomeno è osservabile in Figura 18 dove sono sovrapposti lo spettro di assorbimento e quello di emissione di fluorescenza della chinina.

Figura 18: Spettro di assorbimento UV-vis ed emissione della chinina[83]

Come si osserva, il picco di assorbimento non coincide con quello di emissione, con quest’ultimo spostato verso una lunghezza d’onda maggiore.

Un’altra caratteristica tipica degli spettri di fluorescenza è l’indipendenza del picco di emissione dalla lunghezza d’onda (λ) di eccitazione. Ciò implica che, qualsiasi sia la λ del fascio incidente, l’andamento dell’intensità di emissione in funzione della lunghezza d’onda rimanga invariato.

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Uno dei parametri più importanti relativi ad un fluoroforo è la resa quantica di fluorescenza Q, definita come il rapporto tra numero di fotoni emessi in fluorescenza (ng) rispetto al numero di fotoni assorbiti (ne):

𝑄 =𝑛𝑔 𝑛𝑒

Q può assumere valori compresi tra 0 ed 1, avvicinandosi sempre più ad 1 quanto più i processi di decadimento sono di tipo radiativo. Importante è sottolineare che i valori di resa quantica possono venire modificati dall’ambiente circostante.

L’intensità di fluorescenza può essere ridotta da un gran numero di cause tramite diversi meccanismi. In generale questo fenomeno è chiamato “quenching”. Si parla di “quenching” collisionale quando un fluoroforo eccitato viene deattivato dal contatto con un’altra molecola, chiamata “quencher”. Oltre a quello collisionale vi sono altri numerosi processi di “quenching” che portano alla riduzione dell’intensità di fluorescenza tra i quali la formazione di complessi non-fluorescenti tra fluorofori o meccanismi non molecolari come l’attenuazione della luce incidente da parte del fluoroforo stesso o di altre specie assorbenti.

1.5.

Eccimeri

Molti tipi di coloranti organici le cui caratteristiche di assorbimento e/o emissione ottica cambiano in seguito all'aggregazione sono noti [84]. Questo effetto è il risultato di interazioni elettroniche tra i cromofori nello stato aggregato così come di cambiamenti conformazionali delle molecole di colorante che si verificano al momento dell’aggregazione. Nel caso di coloranti fluorescenti, l'aggregazione spesso porta alla formazione di eccimeri, cioè complessi in cui una molecola in uno stato elettronicamente eccitato condivide l'energia assorbita con una molecola nello stato di energia fondamentale [85]. Tali specie quindi, possono essere rilevati soltanto mediante spettri in emissione, in particolare con quelli di fluorescenza. Nonostante il loro breve tempo di vita, sono responsabili di molti effetti fotofisici e fotochimici.

La diminuzione dell’intensità della fluorescenza a seguito della formazione di aggregati tra le molecole fluorescenti è un fenomeno conosciuto da tempo. Contrariamente, la formazione di eccimeri a seguito ad esempio di un aumento di concentrazione dei fluorofori produce una netta variazione dello spettro di fluorescenza e, in particolare, la comparsa di una nuova banda di

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fluorescenza, non strutturata vibrazionalmente, e a lunghezze d’onda maggiori rispetto alla banda di emissione del fluoroforo isolato. [86] [87].

Gli eccimeri sono stati inoltre individuati come intermedi in molte reazione fotochimiche e può anche essere ipotizzato che rivestano un ruolo analogo in processi radiochimici [88].

1.5.1. Formazione degli eccimeri del pirene in soluzione

Il ruolo della formazione di aggregati di molecole eccitate come causa del cambiamento nello spettro di fluorescenza al variare della concentrazione è stato studiato per la prima volta nel 1955, prendendo in esame la molecola del pirene [89]. Lo spettro di soluzioni di pirene in n-eptano a varie concentrazioni è riportato in Figura 19.

Figura 19: Spettri di fluorescenza del pirene in n-eptano; T=20°C, a) 5·10-5 M, b) 1,8·10-4 M, c) 3,1·10-4 M, d)

7·10-4 M, [90]

Lo spettro osservato per la concentrazione di 5·10-5 M è associato alla forma cosiddetta monomerica del pirene, che si estende dalla regione UV fino a quella viola dello spettro visibile. Come si osserva, all’aumentare della concentrazione compare una banda a lunghezza d’onda maggiore, la quale alla fine predomina per concentrazioni elevate. Se, come nel caso precedente, gli spettri sono registrati impiegando la stessa lunghezza d’onda di eccitazione, tutte le curve si intersecano per un punto

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comune, detto punto isosbestico. Tale punto "isoemissivo" o "isosbestico" di uno spettro di emissione si verifica solo se lo spettro è costituito da contributi derivanti da soli due componenti. Per questo, il componente di fluorescenza a 500 nm è attribuito ad una forma associata che esiste solo nello stato elettronico eccitato, cioè un eccimero.

Il meccanismo di formazione degli eccimeri può essere dedotto dal decorso quantitativo del cambiamento dello spettro fluorescenza. La dipendenza dalla concentrazione delle intensità dei due componenti di fluorescenza per un uguale assorbimento è mostrata nella Figura 20 per il pirene in benzene.

Figura 20: Intensità relativa di fluorescenza del monomero (a) ed eccimero(b )del pirene in benzene a

T=20°C [90].

Le pendenze dei tratti lineari delle curve corrispondono a un meccanismo bimolecolare per la formazione dell'eccimero mediante la combinazione di una molecola nello stato eccitato A* (nello stato di singoletto eccitato più basso) con una molecola A non eccitata (nello stato fondamentale del singoletto). Andando a considerare i processi che prendono parte al processo, quali l’emissione della fluorescenza, la disattivazione non radiativa del monomero eccitato, dell’eccimero e la dissociazione dell’eccimero si ottiene lo schema riportato in Figura 21.

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Figura 21: Schema comprensivo di tutti i processi che possono prendere parte durate l’eccitazione della

molecola [89] [91]

In accordo con quanto riportato nello schema precedente, la dipendenza della resa quantica di fluorescenza dalla concentrazione della molecola (equazione di Stern-Volmer) rispettivamente per il monomero η e l’eccimero η’ vale:

𝜂 = 𝜂𝑚𝑎𝑥(1 + 𝑐 𝑐ℎ ) −1 (1) 𝜂′= 𝜂′𝑚𝑎𝑥(1 + 𝑐 𝑐ℎ ) −1 (1′)

dove ηmax e η’max sono i valori massimi di resa quantica del monomero e dell’eccimero per

concentrazioni molto basse e molto alte, rispettivamente, e ch è il valore intermedio di

concentrazione tra i due.

I valori relativi di resa quantica sono analoghi a quelli riportati in Figura 20 per le intensità, risultando quindi in accordo con le equazioni (1) e (1’), dove il valore intermedio di concentrazione è ch=1,2x10

-3 M. Il rapporto tra le rese quantiche diventa quindi:

𝜂′ 𝜂′𝑚𝑎𝑥

= 𝜂′𝑚𝑎𝑥

𝜂𝑚𝑎𝑥𝑐ℎ𝑐 (2)

Il quale aumenta in modo direttamente proporzione con la concentrazione c. Assumendo che la dissociazione degli eccimeri possa essere trascurata (kd=0) i valori di ηmax, η’max e ch risultano essere:

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