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L'analisi tecnica tramite MATLAB: il Chande Momentum Oscillator e il Percentage Price Oscillator

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea magistrale in banca, finanza aziendale e mercati

finanziari

Tesi di laurea magistrale

L’analisi tecnica tramite MATLAB: il Chande Momentum

Oscillator e il Percentage Price Oscillator

Relatore

Professor Riccardo CAMBINI

Anno accademico 2017/2018

Candidato

Andrea STAGI

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“Fare una tesi significa quindi imparare a mettere ordine

nelle proprie idee e ordinare dei dati: è un’esperienza di

lavoro metodico; vuol dire costruire un “oggetto” che in

linea di principio serva anche agli altri. E quindi non

importa tanto l’argomento della tesi quanto

l’esperienza di lavoro che essa comporta.”

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INDICE

INTRODUZIONE……….…5

CAPITOLO 1: Cos’è l’analisi tecnica………..6

1.1

Introduzione all’analisi tecnica……….6

1.2

Analisi tecnica vs analisi fondamentale………..9

1.3 Il ciclo teorico di Dow………10

1.4 Debolezze e critiche: la teoria di Granville……….19

CAPITOLO 2: Gli strumenti dell’analisi tecnica………..24

2.1 Gli indicatori tecnici……….25

2.1.1 Indicatori di volume………25

2.1.2 Indicatori di velocità………..29

2.1.3 Indicatori di profondità………40

2.2 L’analisi grafica..……….………...41

2.2.1 Tipologie di grafici………42

2.2.2 La trend-line……….46

2.2.3 Supporti e resistenze……….47

2.2.4 Il canale………52

2.2.5 I ritracciamenti………..54

2.2.6 Le configurazioni grafiche………57

(4)

2.2.7 Le strategie operative………68

CAPITOLO 3: Il Chande Momentum Oscillator………71

3.1 Descrizione………..72

3.2 Codice MATLAB………..……….77

3.3 Considerazioni e confronti………84

CAPITOLO 4: Il Percentage Price Oscillator………..90

4.1 Descrizione ……….90

4.2 Codice MATLAB………93

4.3 Considerazioni e confronti………99

CONCLUSIONI FINALI………106

BIBLIOGRAFIA……….……….108

RIFERIMENTI WEB………..………..109

REALIZZAZIONE GRAFICI………110

(5)

INTRODUZIONE

Con lo sviluppo di internet e della tecnologia di ultima generazione, è diventato molto facile interagire coi mercati finanziari attraverso piattaforme di trading online ed effettuare quindi operazioni di compravendita di strumenti finanziari in completa autonomia. Se da una parte questo fenomeno ha reso le contrattazioni estremamente veloci poiché non vi è più la necessità di affidarsi ad un broker specializzato o ad una banca, dall’altra ha anche permesso a chi non possiede le adeguate competenze di poter entrare in un mondo assai complicato e pieno di rischi.

Lo scopo di questa tesi è quello di spiegare cos’è l’analisi tecnica, creando nel pubblico la consapevolezza che il click effettuato per inviare un qualsiasi ordine sulla piattaforma attraverso il proprio computer può essere un atto consapevole, frutto dello studio di una disciplina che interpreta i segnali che i mercati costantemente offrono e non un semplice gioco spinto dalla volontà di voler effettuare trading a tutti i costi.

Dopo l’analisi dei concetti base della materia in questione, il presente lavoro continuerà con la presentazione di due indicatori ai più sconosciuti ma non per questo meno utili nello studio dell’andamento dei mercati: il Chande Momentum Oscillator e il Percentage Price Oscillator. L’analisi passerà attraverso la loro presentazione, l’interpretazione, l’elaborazione del codice utile per la loro visualizzazione grafica attraverso il programma MATLAB e il confronto con altri indicatori comuni per evidenziare i vantaggi e gli svantaggi degli uni rispetto agli altri, con l’obiettivo finale di aggiungere questi due indicatori al bagaglio di conoscenze a disposizione di ognuno di noi per lo studio degli andamenti borsistici.

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CAPITOLO 1 – COS’È L’ANALISI TECNICA

1.1 Introduzione all’analisi tecnica

L’analisi tecnica è un’analisi di tipo probabilistico, che studia l’andamento dei prezzi dei mercati finanziari nel tempo allo scopo di prevederne le tendenze future (in totale contrapposizione con quanto afferma la “random walk theory”1) mediante metodi

statistici e grafici che vengono applicati sui dati precedentemente osservati, in particolare sulle quotazioni e sui volumi di scambio delle contrattazioni; una volta individuato il trend in corso in un determinato momento storico, il trader potrà mettere in atto la strategia di investimento ritenuta più adatta in relazione a quanto analizzato. Questo tipo di analisi non fornisce però risposte certe ed affidabili in assoluto, ma può invece fornire valide motivazioni per affermare che vi sia una maggiore probabilità che il trend si muova in una determinata direzione piuttosto che in un’altra. La maggior parte degli esperti della materia sono concordi nel ritenere padre fondatore di tale branca economica Charles Henry Dow (Sterling 6 novembre 1851-Brooklyn 4 dicembre 1902), studioso americano che tramite l’elaborazione di quella che poi sarà individuata come “Dow Theory”, pone le basi di quella che oggi viene definita analisi tecnica.

Originariamente, l’analisi tecnica fu applicata soltanto al mercato azionario, ma la sua attendibilità ha fatto sì che piano piano si sia estesa anche al mercato delle materie prime (commodities), a quello obbligazionario e agli altri mercati internazionali.

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I presupposti che stanno alla base di questa disciplina sono sostanzialmente tre. Il primo è quello per cui si assume che l’andamento borsistico sia ciclico: questo risultato fu raggiunto proprio da Dow. Egli infatti si dedicò allo studio del mercato finanziario di Wall

Street alla ricerca di un indice generale dei prezzi (che successivamente fu chiamato

Dow-Jones proprio per omaggiare anche il lavoro da lui svolto) pur avendo un quadro giornaliero che presentava simultaneamente titoli in salita e titoli in discesa. Dow riuscì in modo deduttivo a individuare alcune uniformità dei mercati e una di queste fu appunto la ciclicità degli andamenti.

Il secondo è quello che afferma che il prezzo2 sconta tutti i fattori in grado di influire

sulla domanda e sull’offerta del bene quotato: tramite questo assunto si riesce a capire perché gli analisti diano un peso particolarmente rilevante a questa variabile, tanto da considerare il prezzo un elemento basilare in tutte le loro analisi. Come in tutti i mercati, il prezzo si forma dall’incontro tra domanda e offerta: in un dato momento un insieme di soggetti decide di porsi sul mercato in posizione di domanda ed un altro insieme di soggetti in posizione di offerta. Quelle che non è dato conoscere sono le motivazioni che spingono ogni singolo soggetto a porsi sul mercato in una posizione piuttosto che in un’altra: si assume perciò che il prezzo sconti tutte queste motivazioni sconosciute (oltre ovviamente a tutte le informazioni pubblicamente disponibili).

Il terzo infine afferma che a fronte di situazioni analoghe, i soggetti tendono a comportarsi in maniera analoga e di conseguenza analogo sarà anche l’effetto dei loro comportamenti e quindi l’impatto sui prezzi: quest’ultimo è il presupposto che

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garantisce all’analisi tecnica una valenza predittiva poiché in sostanza afferma che la storia tende a ripetersi nel tempo3.

Tali conclusioni, che sembrano al giorno d’oggi scontate, sollevarono non poche perplessità al tempo della loro pubblicazione data la loro innovatività e le critiche nei confronti di Dow fioccarono numerose: proprio per questo si deve considerare il lavoro svolto dallo studioso americano doppiamente apprezzabile.

La finalità che assolve l’analisi tecnica è principalmente quella di timing, ovvero vuole porsi come obiettivo quello di individuare quale punto del movimento ciclico introdotto da Dow si sta attraversando e quindi risulta un valido supporto a disposizione degli operatori nell’individuazione del momento più opportuno per entrare e/o di uscire dal mercato. I dati che vengono utilizzati per tale analisi sono sostanzialmente il prezzo del titolo sul mercato e i volumi con cui si stanno esprimendo domanda e offerta4;

all’interno di una seduta borsistica è poi possibile individuare diversi livelli di prezzo, che estendono le informazioni a disposizione del trader: prezzo di apertura, di chiusura, prezzo massimo e minimo. Infine, gli strumenti di analisi di cui si servono gli analisti sono le configurazioni grafiche e gli indicatori tecnici, che verranno entrambi descritti nel corso della trattazione.

3 Dow credeva infatti che la legge dell’azione e della reazione fosse applicabile anche ai mercati e non solo

all’universo fisico.

4 Vi è una terza fonte di informazione a disposizione dell’analisi ovvero l’open interest, che rappresenta il

numero di contratti derivati (ad esempio futures o opzioni) non ancora chiusi in uno determinato momento. Nel corso della trattazione verrà leggermente trascurato tale fattore, a favore dell’analisi

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1.2 Analisi tecnica vs analisi fondamentale

Una volta presentata a grandi linee l’analisi tecnica, risulta opportuno introdurre anche alcune nozioni base di analisi fondamentale. L’analisi fondamentale, a differenza dell’analisi tecnica, intende studiare lo stato di salute delle società emittenti titoli quotati in modo da determinare il valore economico intrinseco (fair value) del titolo stesso, ovvero il valore reale basato sui parametri fondamentali, che riflettono l’andamento economico-finanziario dell’azienda e la sua gestione. L’oggetto di studio non è più il trend di borsa ma il bilancio sociale e tutti i dati da esso ricavabili come ad esempio gli indicatori di bilancio.

L’analisi tecnica cerca quindi di fare delle previsioni sull’andamento della quotazione di mercato; l’analisi fondamentale vuole invece individuare il valore reale dell’azione del titolo quotato studiando tutti gli eventi micro e macroeconomici che possono avere un qualsiasi impatto sull’azienda presa in esame. Quello che lega quotazione di mercato e valore economico di un titolo è il fatto che nel breve periodo queste due entità possono discostarsi, poiché la quotazione viene spesso condizionata da spinte di carattere speculativo oppure influenzata dall’andamento generale del mercato, ma nel medio-lungo periodo la quotazione tende al valore economico ovvero il mercato tende ad attribuire a tale titolo un valore che rispecchia sostanzialmente il reale valore dell’azienda stessa.

L’analisi fondamentale svolge perciò una funzione di selection ovvero aiuta l’investitore a selezionare quale titolo risulta conveniente mettere in portafoglio in base alle prospettive di crescita future: un titolo che presenta una quotazione inferiore rispetto

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al suo valore economico viene etichettato come sottovalutato e quindi risulta una buona occasione di investimento per ricavarne un guadagno nel medio-lungo periodo; viceversa un titolo con quotazione superiore al proprio valore economico risulta sopravvalutato e quindi è lecito aspettarsi che il suo prezzo sia destinato a scendere per uniformarsi al valore economico proprio in virtù dell’assunto che è stato appena citato. È importante sottolineare come le due analisi siano fra loro complementari e non esclusive: entrambe devono essere utili strumenti a disposizione degli operatori che intendano avere un quadro completo per l’analisi del valore di un titolo quotato e della sua società emittente. Le due analisi dunque cercano di risolvere gli stessi problemi, ossia determinare la direzione dei prezzi, approcciandosi però a tale studio da due angolazioni diverse: gli analisti fondamentali studiano le cause dei movimenti dei prezzi di mercato, mentre gli analisti tecnici studiano gli effetti.

1.3 Il ciclo teorico di Dow

Come è già stato introdotto, la teoria di Dow nasce nei primi anni del XX secolo dagli studi pubblicati da Charles Dow sul Wall Street Journal, comprendenti una serie di considerazioni effettuate mediante l’utilizzo di grafici circa l’andamento dei mercati finanziari newyorkesi. Sebbene Dow non intendesse affatto fornire strumenti per prevedere il futuro comportamento dei prezzi bensì commentare la dinamica dei mercati attraverso la creazione di indici generali di borsa intesi come sintesi virtuali

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dell’andamento palesato dalle quotazioni di singoli titoli, tali studi segnano la nascita dell’analisi tecnica e l’inizio della sua divulgazione.

Dow era convinto del fatto che i movimenti degli andamenti borsistici non fossero casuali, ma che questi seguissero dei cicli ben definiti; quello che secondo lo studioso era impossibile prevedere è la durata temporale esatta di tali cicli, per cui è noto che il ciclo ha una ben precisa dinamica ma non è dato sapere in quanto tempo tale dinamica verrà portata a termine. Tuttavia, è possibile classificare i cicli secondo una diversa ampiezza temporale: esistono infatti cicli di lungo termine ai quali Dow associa il nome di movimento primario, cicli di medio termine rappresentati dal movimento secondario e cicli di breve/brevissimo termine associati al movimento terziario5. Lo strumento per

individuare i cicli sono le medie mobili semplici: al movimento primario fa corrispondere una media mobile a 200 giorni, a quello secondario una media mobile a 20/25 giorni e a quello terziario una media mobile a 5/10 giorni.

Tanto più la media è di breve periodo, tanto più essa sarà vicina all’andamento dei prezzi e quindi manifesterà fluttuazioni ed inversione; nel caso invece di una media mobile a lungo termine viene evidenziato il trend in atto senza fluttuazioni sporadiche, ma con il difetto di manifestare i segnali in ritardo rispetto a quella di breve periodo. Una media mobile crescente è segno di un mercato forte mentre una media mobile decrescente denota debolezza.

Le medie mobili sono dunque gli strumenti più diffusi per l’analisi di serie storiche, poiché identificano e segnalano l’inizio di un trend e ne controllano gli sviluppi. In analisi tecnica vengono classificati come indicatori di tendenza e sono utilizzate per attenuare

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la volatilità dei prezzi, poiché riducono l’incidenza dei valori massimi e minimi che possono indurre in errori di valutazione della tendenza. Per media mobile si intende una media definita su un numero 𝑁 di quotazioni di chiusura, che periodicamente viene aggiornata sostituendo al dato più lontano quello via via più recente: tanto più numerose saranno le rilevazioni prese in considerazione, tanto più smussato sarà l’andamento della media mobile stessa. Per il calcolo della media mobile semplice quindi vengono sommati i dati di chiusura di un determinato periodo e divisi per il numero totale di rilevazioni; questo tipo di media però viene spesso criticata in quanto assegna la stessa importanza ad ogni singolo dato6. Per ovviare a tale problema sono state ideate

delle medie mobili più articolate, la media mobile ponderata e la media mobile esponenziale, che riescono ad assegnare un peso diverso ai dati in esame a seconda della loro epoca temporale: a dati recenti corrisponde un peso maggiore per renderli più importanti, a dati remoti un peso minore per farli incidere sempre di meno sulla media mobile stessa.

La scelta del numero di sedute da considerare per il calcolo della media mobile è assai importante e non essendoci modo di conoscere a priori il dominio temporale ideale da applicare ad una serie storica in un determinato arco temporale, è necessario ricorrere all’esperienza personale dell’analista. Per questo, i valori assegnati da Dow durante i suoi studi (5/10, 20/25, 200 giorni), vengono spesso utilizzati come un buon riferimento di partenza per le analisi del mercato.

Essendo uno studioso con impostazione prettamente matematica, Dow era solito rappresentare tutto quello che studiava sul grafico cartesiano ed è per questo che il

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passo successivo fu quello di disegnare le medie mobili e soprattutto il loro posizionamento reciproco.

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Dalle figure proposte sopra, si nota come in un up-trend la media mobile di breve periodo si posizioni più in alto (linea viola), seguita più in basso da quella di medio periodo (linea rossa) e poi da quella di lungo periodo (linea nera) che rappresenta il cosiddetto trend di fondo poiché considera un numero di rilevazioni assai consistente; in un down-trend il posizionamento è esattamente opposto. Per di più, a supporto dell’analisi svolta in precedenza, si può notare come la media mobile di breve periodo risulti più “frenetica” evidenziando ogni singola fluttuazione dell’andamento dei prezzi, laddove invece la media mobile di lungo periodo segnala l’andamento di fondo del titolo senza presentare particolari sbalzi o inversioni di tendenza.

Tutte queste considerazioni vennero in seguito racchiuse in quella che è stata battezzata teoria della confirmation7, tramite la quale si afferma che un trend di mercato (rialzista

o ribassista che sia) si può definire tale quando la media mobile a 200 giorni conferma l’andamento di quella a 20/25 giorni; viene volontariamente trascurata la media mobile a 5/10 giorni poiché si ritiene che muovendosi nel breve/brevissimo termine sia troppo influenzata da spinte di carattere speculativo piuttosto che da spinte di carattere economico e comportamentale. Inoltre, gli operatori a cui Dow intende rivolgersi non sono operatori speculatori ovvero interessati esclusivamente al guadagno nel breve periodo8, bensì operatori cosiddetti cassettisti ovvero interessati a realizzare profitti nel

medio-lungo periodo mantenendo aperte le loro posizioni per mesi, disinteressandosi

7 Si ricorda che Dow non svolse una ricerca omogenea sull’argomento ma piuttosto si limitò alla

pubblicazione di innumerevoli articoli sul Wall Street Journal che diedero vita ad un lavoro alquanto frammentato. Le sue idee furono raccolte e riordinate dagli studiosi di questo settore solo in seguito alla sua morte.

8 Gli speculatori vengono al giorno d’oggi definiti scalper, ovvero operatori che intendono realizzare

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dei singoli movimenti giornalieri dei titoli ma piuttosto focalizzando la loro attenzione sullo studio e sull’andamento del trend di fondo.

Un altro concetto fondamentale introdotto da Dow è quello della divisione degli operatori di mercato in due categorie: le “mani forti” e le “mani deboli”. Le prime operano sulla base di approfondite conoscenze economiche e finanziare che permettono ad esempio il confronto tra quotazione e valore economico e nella maggior parte dei casi detengono anche ingenti disponibilità finanziarie (in questa categoria troviamo sicuramente gli investitori istituzionali quali fondi pensione, società di investimento, ecc. ma non solo); le seconde invece non detengono conoscenze specifiche della materia in questione e il loro trading viene guidato da motivazioni di carattere emozionale e psicologico, come ad esempio i sentimenti di paura o euforia. Va da sé che operando entrambe sul solito mercato risultano una la controparte dell’altra durante le contrattazioni: quando le mani forti acquistano, le mani deboli vendono e viceversa.

Fatta questa precisazione, è possibile adesso analizzare un ciclo completo così come se lo era immaginato Dow.

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Figura 1.3: rappresentazione grafica del ciclo di Dow.

Nella figura riportata sopra, la linea più spessa di colore rosso rappresenta il movimento primario di lungo periodo ovvero il trend di fondo del titolo; tale movimento a sua volta è formato da vari cicli di medio periodo, individuati dalla linea nera continua, che a loro volta incorporano molteplici cicli di breve periodo rappresentati dalla linea tratteggiata. Il trend della quotazione forma una curva sinusoidale che oscilla intorno ad una immaginaria linea parallela all’asse delle ascisse, che individua sull’asse 𝑦 il valore economico del titolo esaminato ovvero il valore intrinseco derivante dallo stato di salute della società emittente.

Il ciclo si compone di fasi di rialzo e fasi di ribasso. La prima parte discendente del grafico rappresenta la fase di accumulazione. In questa fase i prezzi scendono ma la discesa risulta rallentata: infatti, se da una parte si trovano le mani deboli che per paura di perdere sempre di più vendono i titoli generando appunto una discesa dei prezzi, dall’altra si hanno le mani forti che vedendo abbassare la quotazione al di sotto del

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valore economico acquistano tali titoli cercando di sfruttare l’occasione di profitto generata dalla sottostima del titolo.

Il punto più basso del ciclo rappresenta il minimo ovvero il momento in cui la domanda eguaglia l’offerta e dove quindi si presuppone che possa avvenire l’inversione di tendenza. Le mani forti non hanno la necessità di aspettare esattamente il punto di minimo per effettuare i propri acquisti al prezzo più basso possibile, ma iniziano ad acquistare il titolo gradualmente (per non influenzare in maniera significativa il mercato) sin dal momento in cui la sua quotazione si abbassa al di sotto del valore economico. D’altronde, è cosa molto complicata piazzare ordini di acquisto esattamente nel momento del minimo, poiché è vero che possono avere le avvertenze di un’inversione del trend ma non si saprà mai quando realmente si concretizzerà tale inversione, che per di più nella maggior parte dei casi è repentina; risulta più prudente da parte delle mani forti acquistare un poco per volta con prezzi discendenti.

Una volta oltrepassato il minimo inizia la risalita dei prezzi e si entra in quella che viene definita seconda fase di accumulazione: i prezzi sono sospinti verso l’alto dall’eccesso di domanda provocata dalle mani forti e quindi da volumi di scambio crescenti (anche se bassi in valore assoluto)9. Le mani forti completano l’acquisizione del titolo sottostimato

sottraendolo alle mani deboli, anche se il grosso di questo lavoro è già stato svolto nella prima fase di accumulazione, che presentava prezzi discendenti e quindi più convenienti.

Superato il punto in cui la linea orizzontale del valore economico del titolo intercetta l’andamento dei prezzi (ci troviamo nella fase intermedia) inizia quella che viene definita

9 Per volumi di scambio si intende il loro controvalore ovvero il prodotto tra prezzo di negoziazione e

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fase di distribuzione: le mani forti capiscono che la quotazione ha superato il reale valore economico del titolo e volendo monetizzare il profitto (ancora solamente potenziale) che hanno generato grazie all’acquisto in fase di accumulazione, iniziano a vendere i propri assets sempre in maniera graduale, perché intravedono ancora margini di salita dei prezzi; chi compra sono invece le mani deboli, che prese dall’euforia al rialzo sospingono sempre più in alto i prezzi del titolo creando un eccesso di domanda. Quando si giunge in prossimità del punto di massimo del ciclo si nota però che la velocità di crescita dei prezzi decresce e i volumi di scambio diventano a mano a mano sempre più bassi e rarefatti: questo è il chiaro segnale che le mani forti hanno completato le operazioni di vendita. Nel punto di massimo del ciclo, domanda e offerta sono sostanzialmente coincidenti come era accaduto nel punto di minimo.

Quando invece l’offerta supera la domanda entriamo nella prima fase di ribasso; la quotazione del titolo inizia a scendere e le mani deboli, in preda al panico, cercano in ogni modo di liberarsi dei titoli che detengono. Non trovando acquirenti, i prezzi decrescono vertiginosamente e tale caduta verrà arrestata solo nel momento in cui la quotazione risulterà minore al valore economico; da allora le mani forti inizieranno nuovamente ad acquistare il titolo che adesso risulterà sottostimato e il ciclo riprenderà il suo sviluppo come è stato appena descritto.

Le operazioni di acquisto e vendita da parte degli operatori di mercato e più in generale il ciclo nella sua interezza richiedono un lasso di tempo consistente per essere portati a termine e la figura in basso lo testimonia: nel caso specifico si nota che il titolo Fiat ha impiegato circa 7 anni per completare un intero ciclo così come Dow se lo era immaginato. Dalla fase di accumulazione a quella di distribuzione invece passano circa 3/4 anni.

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Figura 1.4: le fasi del ciclo di mercato descritte da Dow, quotazione del titolo Fiat.

1.4 Debolezze e critiche: la teoria di Granville

Gli studi di Dow sollevarono innumerevoli critiche data la loro innovatività nel settore. Alcuni accusarono Dow di aver elaborato una teoria troppo banale da poter governare un sistema così complesso come quello dei mercati finanziari, anche se è onesto affermare che tale critica risulta abbastanza scriteriata e priva di fondamenta; altri invece affermavano che con gli strumenti di studio forniti da Dow si rispondesse soltanto alla funzione di timing (che tuttavia risulta il vero obiettivo della materia), trascurando totalmente quella di selection, non essendoci perciò alcun elemento per poter selezionare “buoni” titoli da inserire nel proprio portafoglio a discapito dei titoli meno

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buoni10; altri ancora lamentarono una mancanza di tempestività della teoria della

confirmation poiché il dover aspettare che la media mobile a 200 giorni confermasse il

trend in corso richiedeva un inevitabile allungarsi dei tempi nella scelta delle azioni da effettuare. Uno studio dimostra infatti che se viene seguita tale teoria, circa il 20-25% dei movimenti del mercato viene perso prima che sia dato il segnale.

Bisogna però ricordarsi che la teoria di Dow non ha mai voluto anticipare il trend; il suo proposito era piuttosto quello di segnalare l’emergenza dei maggiori mercati al rialzo e al ribasso e catturare un’ampia fetta degli importanti movimenti del mercato. Per questo, esistono testimonianze ben documentate che sottolineano la sua buona funzionalità: tra il 1920 e il 1975 i segnali della teoria di Dow hanno catturato il 68% dei movimenti dell’indice industriale e dei trasporti e il 67% di quelli dello Standars&Poor’s. Chi critica la teoria di Dow giudicandola inadeguata a catturare il massimo o il minimo del momento dimostra quindi una scarsa comprensione della teoria stessa11.

Dow morì relativamente giovane (all’età di 51 anni) e questo gli impedì di continuare e soprattutto riordinare i propri studi; il passo successivo fu allora portato a termine da un suo seguace, J. E. Granville che sviluppò la teoria dell’incrocio delle medie mobili. Tale teoria risulta un valido chiarimento del valore segnaletico delle medie mobili così come illustrate da Dow e soprattutto fornisce indicazioni e segnali più tempestivi che, anche se non era a monte l’obiettivo primario di Dow, vanno di fatto a migliorare l’utilizzo di tale metodologia di studio, superando così le critiche sopra descritte e convincendo l’opinione pubblica nel suo complesso.

10 Tale critica fu messa a tacere introducendo il coefficiente beta, che risponde alla finalità di selection

mettendo in relazione la variazione del prezzo del singolo titolo/indice con la variazione totale del mercato.

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La teoria di Granville prevede due tipologie di segnali di acquisto e due di vendita: possono esserci infatti segnali per inversione di tendenza oppure segnali per conferma di trend in corso, ognuno valutato nel caso di trend rialzista e ribassista; quindi si acquisterà quando si avrà sentore di un’inversione del trend da ribasso a rialzo oppure quando si prevedrà una conferma di trend rialzista in corso mentre si venderà quando si avrà la percezione di un’inversione da rialzo a ribasso o quando si prevedrà una conferma di trend ribassista in corso.

Figura 1.5: teoria dell’incrocio delle medie mobili di Granville, titolo banca Monte dei Paschi di Siena.

Nella figura si trovano la media mobile di breve periodo a 10 giorni in viola, quella di medio termine a 25 giorni in nero e infine quella di lungo termine a 200 giorni in verde. Un esempio di segnale di vendita per inversione di tendenza è rintracciabile nel punto A, dove la media mobile di breve periodo (5/10 giorni) essendo la più reattiva inverte la sua direzione per prima andando a perforare dall’alto verso il basso la media mobile che sta subito al di sotto ovvero quella di medio periodo (20/25 giorni). Successivamente al

A B C 𝑡$ 𝑡% 𝑡& 𝑡'

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presentarsi del segnale principale (segnale A), si trova un secondo gruppo di segnali rappresentati dai punti B e C che vengono definiti conferme12: la B è la prima conferma

e si può ricavare quando la media mobile di breve perfora anche la media mobile di lungo periodo (200 giorni), mentre la C rappresenta la seconda conferma e si ottiene quando anche la media mobile di medio periodo perfora (sempre dall’alto verso il basso) la media mobile di lungo periodo.

Se viene analizzato il susseguirsi nel tempo di tali eventi sull’asse delle ascisse, notiamo che la teoria della confirmation si manifesta nell’istante 𝑡$ ovvero quando la media

mobile di lungo periodo accenna ad invertire la sua tendenza e di conseguenza va a confermare il trend dei prezzi; con la teoria di Granville invece il segnale di inversione del trend arriva con notevole anticipo ovvero nell’istante 𝑡', incrementando

notevolmente la tempestività con la quale il trader può operare. Inoltre, anche per gli analisti più prudenti, che desiderano quindi aspettare i segnali di conferma che arrivano negli istanti 𝑡& e 𝑡% , la rapidità con cui si ricevono le indicazioni risulta comunque essere

maggiore rispetto alla metodologia proposta da Dow.

Se la momentanea inversione della media mobile di breve periodo avesse però fatto sì che tale linea non avesse perforato la media mobile di medio periodo ma si fosse soltanto avvicinata per poi riprendere nuovamente la sua direzione originaria, ci saremmo trovati davanti ad un segnale di acquisto per conferma di trend rialzista in corso, testimoniato appunto dal fatto che il trend ha ancora la forza per spingere verso l’alto la media mobile di breve periodo13.

12 Le conferme hanno la funzione di scongiurare falsi segnali; spesso gli operatori si trovano quindi davanti

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I ragionamenti appena illustrati valgono anche al contrario, cioè nel caso in cui ci si trovi in un trend inizialmente ribassista e la media mobile di breve periodo inverta la propria direzione al rialzo: se vi sarà la perforazione della media mobile di medio periodo saremo in presenza di un segnale di acquisto per inversione del trend e potremmo aspettarci i successivi segnali di conferma, mentre qualora non vi fosse tale incrocio potremmo parlare di trend ribassista ancora in forza.

Essendo un seguace di Dow, anche Granville intendeva rivolgere la sua analisi ad un pubblico di operatori cassettisti e non di speculatori, a cui nulla sarebbero serviti i segnali di conferma poiché interessati a guadagni immediati. È chiaro quindi che i ragionamenti proposti non sono applicabili ad un’operatività intraday, ma si adattano meglio invece a valutazioni di medio e lungo termine.

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CAPITOLO 2 – GLI STRUMENTI DELL’ANALIS TECNICA

Il compito dell’analisi tecnica è dunque quello di individuare il trend in corso sul mercato e di procurare indicazioni per gli operatori su eventuali inversioni o consolidamenti della tendenza individuata. Dal momento in cui non esiste un unico strumento che fornisce tutte queste informazioni contemporaneamente, l’analista si serve di una moltitudine di strumenti che utilizza in sinergia: infatti fermarsi ad analizzare un solo elemento o un campo ristretto di elementi potrebbe portare ad indicazioni errate e fuorvianti.

È allora possibile individuare due grandi famiglie di strumenti: gli indicatori tecnici e le configurazioni grafiche. Gli indicatori tecnici vengono costruiti usando un approccio di tipo quantitativo e statistico, che consente di elaborare i dati del grafico con l’obiettivo di trarre conclusioni accurate. I secondi invece non si limitano ad analizzare l’aspetto prettamente grafico dell’andamento di mercato ma cercano di individuare delle particolari forme ricorrenti denominate figure tecniche o pattern: queste sono appunto dei particolari posizionamenti del trend a cui è possibile associare un certo significato e da cui quindi si può ricavare segnali di acquisto o di vendita basandosi sul terzo presupposto logico dell’analisi tecnica14. L’importanza di una configurazione grafica, che

solitamente (ma non sempre) si trova in corrispondenza di valori di massimo o di minimo del ciclo in corso, è data dalla sua completezza e quindi un pattern che non si compie per intero perde tutta la sua valenza predittiva.

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2.1 Gli indicatori tecnici

Gli indicatori tecnici possono essere di varia natura, in relazione al dato di mercato che intendono analizzare: tra i più noti abbiamo sicuramente gli indicatori di volume, gli indicatori di velocità e gli indicatori di profondità. La prassi ormai consolidata è quella di posizionare l’andamento dell’indicatore analizzato in un piccolo grafico sottostante il grafico principale dei prezzi, denominato grafico di supporto, in modo che vi sia corrispondenza temporale tra le due trend lines.

È bene tenere a mente che esistono una moltitudine di indicatori per ognuna delle categorie appena citate e per questo è possibile che due diversi soggetti possano utilizzare indicatori diversi per valutare una situazione analoga sia perché la stanno analizzando sotto due aspetti diversi, sia perché diversa può essere l’attitudine e l’abitudine di un trader nell’utilizzo di un indicatore piuttosto che di un altro. Di seguito verranno presentati quindi solo alcuni tra gli indicatori più famosi, selezionandoli anche in prospettiva all’utilità degli stessi per la seconda parte di questo trattato.

2.1.1 Indicatori di volume

Come è stato già accennato, uno degli aspetti fondamentali che supportano le considerazioni grafiche sul trend dei prezzi è sicuramente lo studio dell’andamento dei volumi; questi vengono solitamente messi in evidenza tramite degli istogrammi

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posizionati in basso nel grafico principale, dove appunto si mostra la mole di volumi di scambio di ogni giornata borsistica. Lo studio dei volumi ha un ruolo centrale in tutta l’analisi tecnica perché è possibile ricavarne informazioni di vitale importanza: se il trend dei volumi è concorde con quello dei prezzi, il trend in corso è ritenuto forte15 e di

conseguenza se questi due trend divergono si deve dedurre che la tendenza in atto dei prezzi sia debole; inoltre la significatività di prezzi che si formano da scarsi livelli di domanda e offerta (e quindi da scarsi livelli di volumi) risulta inevitabilmente minore rispetto a prezzi che sono il risultato di alti livelli di domanda e offerta.

Il primo indicatore di volume che viene analizzato è l’On Balance Volume (di seguito OBV). Tale indicatore è il risultato della somma algebrica dei volumi del riferimento temporale scelto, solitamente la giornata borsistica: se il prezzo di chiusura della giornata corrente risulta maggiore di quello della giornata precedente si andrà a sommare il valore dei volumi all’entità dell’OBV, viceversa nel caso risulti inferiore si andrà a sottrarre. Da notare è il fatto che il confronto tra le due sedute viene effettuato in termini di prezzo, mentre la somma algebrica utile per il calcolo dell’indicatore interessa i volumi. Nel caso (abbastanza sporadico) in cui i prezzi di chiusura di due giornate borsistiche diverse risultino uguali, l’OBV rimane invariato.

Lo scopo dell’operatore che analizza l’OBV è quello di scovare eventuali convergenze e/o divergenze del trend dell’indicatore di volume appena ottenuto con il trend dei prezzi, per avere indicazioni circa la forza della tendenza in atto.

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Figura 2.1: divergenza tra l’andamento dei prezzi nella sezione principale e l’OBV nel grafico di supporto, titolo Mediaset.

Nella figura portata sopra come esempio è stata messa in risalto una evidente divergenza tra il trend dei prezzi (in aumento) e quello dei volumi (in calo): in relazione a quello che è stato spiegato, l’analista dovrà quindi aspettarsi un’inversione di tendenza al ribasso che in effetti si verifica nelle successive tre settimane (circa) e il segnale che ne ricava sarà quello di chiudere le posizioni aperte vendendo gli assets in possesso. L’OBV presenta però anche alcuni svantaggi che ne limitano l’utilizzo. Primo fra tutti è il fatto che anche a fronte di differenze davvero minime fra i prezzi di chiusura delle giornate analizzate, venga sommato o sottratto per intero il valore del volume nel calcolo dell’indicatore; una soluzione proposta dalla dottrina è stata quella di applicare un filtro di significatività per rendere nulle tutte le variazioni comprese entro una certa percentuale e quindi se il filtro fosse ad esempio del 2% tutte le variazioni inferiori verrebbero considerate nulle e lascerebbero invariato l’OBV, mentre andrebbero a modificare l’OBV soltanto variazioni dei prezzi di chiusura maggiori del filtro. Un'altra

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debolezza dell’indicatore OBV è quella per cui viene preso come riferimento per il confronto soltanto il prezzo di chiusura mentre vengono completamente trascurati tutti gli altri prezzi della seduta (prezzo massimo, prezzo minimo, prezzo di apertura) che invece spesso forniscono informazioni aggiuntive essenziali per l’analisi.

Per ovviare a tali incompletezze dell’OBV è stato sviluppato un indicatore simile, il

Volume Accumulation (di seguito VA), che è però il risultato della somma algebrica di

una quota parte dei volumi giornalieri. Il criterio di base risulta il medesimo dell’OBV ovvero si somma se il prezzo della seduta odierna è maggiore di quello della seduta precedente e viceversa si sottrae se è minore; ma invece di sommare algebricamente tutto il valore del volume, verrà sommata o sottratta solo una porzione del volume. Infatti, si andrà a sommare o sottrarre al VA in essere una quota di volume pari alla distanza tra il mid range e il prezzo di chiusura della giornata in proporzione alla distanza totale di riferimento che è rappresentata invece dalla distanza tra mid range e punto di massimo o minimo (definita price range). Per comprendere meglio, si ipotizzi che il prezzo di chiusura si trovi esattamente a metà strada tra mid range e prezzo massimo toccato nella seduta: se il volume giornaliero fosse pari a 1000, in questo caso andremo ad aggiungere al VA in essere il 50% del volume ovvero 500. La somma o la sottrazione della totalità del volume si verificherà solo nel caso in cui il prezzo di chiusura sia anche il prezzo massimo o minimo raggiunto nella giornata presa in considerazione.

Graficamente l’indicatore VA funziona esattamente come l’OBV ovvero viene messo a confronto col grafico principale dei prezzi, andando in cerca di eventuali divergenze e/o convergenze che possano far presagire inversioni di tendenza (nel primo caso) oppure confermare la forza del trend in corso (nel secondo caso).

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In conclusione, possiamo affermare che nonostante il calcolo risulti leggermente più complicato, il Volume Accumulation si fa apprezzare per essere un indicatore più sofisticato rispetto all’On Balance Volume, in quanto riesce meglio a graduare i dati analizzati evitando di essere troppo deciso nel calcolo.

2.1.2 Indicatori di velocità

La seconda famiglia di indicatori che viene analizzata è quella che si pone l’obiettivo di studiare la velocità del movimento dei prezzi, ovvero i cosiddetti oscillatori. Tali indicatori possono oscillare intorno ad un valore (solitamente lo zero) oppure all’interno di una banda di oscillazione e si rivelano particolarmente utili in fasi di lateralizzazione del trend di mercato, anche se il loro utilizzo può essere esteso anche a fasi di mercato definito per valutare la forza della tendenza in atto.

L’oscillatore più semplice e intuitivo è sicuramente il Momentum, che misura proprio la velocità con cui si sta muovendo il trend; tale indicatore oscilla intorno ad un valore unico quale lo zero. Per calcolare il Momentum di una giornata borsistica è sufficiente sottrarre il prezzo di chiusura di 𝑛 giornate precedenti al prezzo di chiusura della giornata odierna in questo modo:

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Solitamente i time frames più utilizzati sono 5 e 10 sedute, con la differenza che utilizzando un numero minore di sedute l’andamento dell’indicatore risulta più movimentato e quindi soggetto a evidenziare falsi segnali; ovviamente la scelta del time frame dipende sia dallo strumento oggetto di analisi e dalla sua volatilità, sia dall’attitudine dell’operatore e dal tipo di analisi che egli intende sviluppare.

Figura 2.2: grafico del Momentum a 10 giorni, titolo di banca Mediolanum.

Il Momentum presenta anche alcune caratteristiche grafiche ben precise: se i prezzi sono in fase di crescita il Momentum risiederà al di sopra della linea dello zero mentre viceversa con prezzi in calo si troverà al di sotto; quando invece l’indicatore taglia lo zero ci troviamo tendenzialmente in un punto di minimo o di massimo relativi ed è per questo che se la perforazione avviene dal basso verso l’alto il segnale ricavato sarà quello di acquisto (punto di minimo), al contrario una perforazione dall’alto verso il basso segnala una vendita (punto di massimo). Un’altra fondamentale indicazione viene fornita

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dall’andamento del Momentum all’interno di una singola sezione: se il trend dell’indicatore è crescente nella parte al di sopra dello zero, questo denota che i prezzi stanno aumentando con velocità crescente; se invece tale trend si trova sempre al di sopra dello zero ma è in fase discendente significherà che i prezzi stanno sì crescendo ma con velocità decrescente. Appare in questo caso evidente il richiamo alla teoria del ciclo teorico di Dow infatti i prezzi crescenti con velocità crescente sono tipici della seconda fase di accumulazione, al contrario prezzi crescenti con velocità decrescente sono una caratteristica peculiare della fase di distribuzione.

Di contro, se ci si dovesse trovare al di sotto della linea dello zero e il trend dell’indicatore è decrescente questo significa che i prezzi stanno decrescendo con velocità crescente e questo caratterizza la fase del tracollo, mentre se il trend è crescente indica che i prezzi stanno decrescendo ma con velocità sempre minore e questo è invece tipico della prima fase di accumulazione nella quale si ricorda che le mani forti frenano la discesa dei prezzi con i loro acquisti graduali.

Il Momentum quindi seppur semplice nel calcolo appare un indicatore essenziale per l’individuazione del momento del ciclo nel quale si trova il trend; risulta inoltre utile per l’individuazione di eventuali ritracciamenti poiché se ad esempio nel trend dei prezzi notiamo l’inizio di un’inversione di tendenza ma nel grafico del Momentum questo indicatore si sta allontanando dell’asse dello zero, risulta assai difficile ipotizzare che si stia invertendo il trend di medio lungo periodo ed è quindi più corretto pensare che si tratti di una comune oscillazione dei prezzi ovvero proprio di un ritracciamento.

Leggermente più evoluto risulta l’indicatore chiamato Rate Of Change (di seguito ROC) che in effetti altro non è che l’espressione in termini percentuali del Momentum:

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𝑅𝑂𝐶 = 100 ∗ 𝑃𝑃0

034

Tale indicatore, a differenza del Momentum, oscilla intorno a 100 ma le considerazioni grafiche e operative sono del tutte analoghe a quelle appena esposte a riguardo del Momentum.

Altro oscillatore molto utilizzato in analisi tecnica è il Moving Average Convergence

Divergence (di seguito abbreviato con MACD) creato dallo studioso Gerald Appel16 negli

anni ‘70, poiché riesce a evidenziare molto accuratamente se il trend si trova in una fase definita di mercato, rialzista o ribassista che sia.

Figura 2.3: grafico a candele nella sezione principale e MACD nella sezione di supporto in basso, titolo Fineco.

Come è possibile riscontrare dall’immagine riportata sopra, l’indicatore MACD è composto da tre differenti elementi:

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• Una MACD line (detta anche fast line) che viene tracciata calcolando la differenza tra una media mobile esponenziale a 12 periodi e una media mobile esponenziale a 26 periodi, rappresentata dalla linea di colore blu;

𝑀𝐴𝐶𝐷 = 𝐸𝑀𝐴12 − 𝐸𝑀𝐴26

• Una signal line ovvero una media mobile esponenziale a 9 periodi della MACD line, rappresentata dalla linea rossa;

• Un istogramma rappresentato dalle barrette di colore verde che indica la distanza tra le due linee appena elencate e che ci fornisce a primo impatto un’idea della forza del trend poiché più sono alte tali barrette (e quindi le linee sono distanti) più il trend ha forza e viceversa;

Tutti i tre gli elementi che compongono l’indicatore oscillano costantemente intorno alla linea dello zero, che per questo viene definita central line, e vale il principio secondo cui se ci troviamo al di sopra di tale linea il trend in corso sarà rialzista mentre se l’indicatore risiede al di sotto sarà ribassista.

È bene specificare che l’indicatore MACD può essere usato in differenti modi e molto spesso viene usato in sinergia con altri indicatori dell’analisi tecnica per migliorarne l’affidabilità e limitare i danni nel caso in cui fornisca falsi segnali. Dal punto di vista operativo possiamo ricavare dei segnali di trading quando si verifica un incrocio tra le due linee oscillatrici, poiché spesso questo preannuncia un’inversione del trend: abbiamo infatti un segnale di acquisto quando la fast line (o MACD line) perfora dal basso verso l’alto la signal line mentre ci troviamo in una fase ribassista (ovvero al di sotto della central line). Al contrario il segnale da captare sarà di vendita quando la fast

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line perfora dall’alto verso il basso la signal line in fase rialzista (quindi sopra la central line). Una seconda modalità per utilizzare l’indicatore è quella di cercare eventuali divergenze con il trend dei prezzi nella sezione principale; queste, come oramai è stato più volte sottolineato, testimoniano che il trend in corso sta esaurendo la sua forza preparandosi anche in questo caso ad una probabile inversione di tendenza. Vi è poi un ulteriore utilizzo del MACD, ovvero quello di ricercare i punti in cui la fast line taglia la central line (linea dello zero); anche a queste circostanze viene solitamente associato un cambiamento della tendenza e quindi l’inizio di un ribasso se la perforazione avviene dall’alto verso il basso e l’inizio di un rialzo nel caso contrario.

Se fino ad ora si è analizzato indicatori che hanno la caratteristica di oscillare intorno ad un unico valore di riferimento, l’analisi si sposta adesso ad illustrare gli indicatori che oscillano in una banda di oscillazione; il primo fra questi è il Relative Strength Index (abbreviato di seguito con RSI). L’RSI è un indicatore di momentum17 tra i più famosi ed

utilizzati tra i traders di tutto il mondo, che misura la forza relativa fra i movimenti di salita e quelli di discesa. Presenta una banda di oscillazione costante che spazia da 0 a 100 che permette una comparazione dei valori ottenuti con alcuni livelli costanti prestabiliti nella quale l’oscillatore si trova in situazioni di estremo: il titolo si troverà in una fase di ipercomprato quando l’indicatore segnerà valori superiori a 70, mentre sarà in ipervenduto qualora segnasse valori inferiori a 30; la zona compresa tra 70 e 30 viene invece definita fascia di normalità. Questi sono i valori che furono consigliati dal suo ideatore18, ma nella pratica l’analista può operare delle variazioni (ad esempio

riducendo le zone estreme e portando i valori a 80 e 20) per adattare tali fasce alle

17 Ovvero misura la velocità di movimento dei prezzi.

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proprie esigenze operative e anche alla volatilità del titolo che sta analizzando: infatti, appare corretto ridurre le zone estreme se vengono analizzati titoli con volatilità maggiore per evitare che l’indicatore fornisca dei falsi segnali.

Figura 2.4: esempio di oscillazione dell’indicatore RSI, titolo Moncler.

Per calcolare l’RSI è necessario stabilire il numero di periodi da considerare che solitamente corrisponde a 14 giorni e che anche in questo caso viene consigliato dal suo ideatore. La formula è la seguente:

𝑅𝑆𝐼 = 100 ∗ 𝑀𝐼 𝑀𝐷 + 𝑀𝐼

dove:

𝑀𝐼 = media delle chiusure al rialzo nel periodo considerato; 𝑀𝐷 = media delle chiusure al ribasso nel periodo considerato.

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Per individuare la media del valore rialzista (𝑀𝐼) bisogna sommare il totale delle differenze alla chiusura dei giorni al rialzo e dividere poi per i periodi considerati, mentre per quella ribassista (𝑀𝐷) è necessario sommare il totale dei valori assoluti delle differenze di chiusura durante i giorni di ribasso e dividere sempre per il numero di periodi di analisi. Si può intuire logicamente che l’oscillatore in questione ha valore massimo (100) quando 𝑀𝐷 è uguale a zero ovvero quando non ci sono stati decrementi nel periodo considerato, mentre assume valore minimo (0) quando 𝑀𝐼 è uguale a zero ovvero non ci sono stati incrementi.

L’RSI è un indicatore molto apprezzato dagli analisti poiché a differenza di altri indicatori tecnici ha il grande vantaggio di fornire segnali operativi anche in fasi di congestione del trend. Quando si manifesta una lateralizzazione della tendenza i segnali si ricavano dalla perforazione dell’RSI con le linee che delimitano le fasce estreme e quindi quando l’indicatore taglia dall’alto verso il basso la linea che demarca la zona di ipercomprato a quota 70 entrando così nella fascia di normalità, il segnale è quello di vendita poiché la forza relativa dei rialzi si sta esaurendo19; al contrario se l’RSI oltrepassa dal basso verso

l’alto la linea dell’ipervenduto a quota 30 il segnale è quello di acquisto poiché la forza relativa dei rialzi risulta in continuo aumento20.

Le informazioni appena descritte però non sono le uniche che vengono fornite dall’RSI poiché tale indicatore può essere sfruttato anche quando ci troviamo in fasi di trend ben definito, rialzo o ribasso, per anticipare quella che potrebbe essere la fine di tale trend e quindi un’inversione di tendenza. Per fare ciò, viene sfruttato ancora una volta un elemento già citato ovvero la divergenza col trend principale dei prezzi.

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Come chiarisce la figura proposta sotto come esempio, se è possibile scovare una divergenza tra andamento dei prezzi e RSI e tale divergenza si verifica nelle fasce critiche, il segnale può essere ritenuto significativo e il messaggio da cogliere è inevitabilmente quello di un indebolimento del trend in corso: ribassista se si sono verificati massimi decrescenti dell’RSI in zona di ipercomprato e rialzista se invece vi sono minimi crescenti in quella di ipervenduto.

Figura 2.5: esempio di divergenza ribassista tra l’RSI e il trend principale dei prezzi, titolo Tenaris.

L’ultimo oscillatore presentato in questa sezione è lo Stocastico: anch’esso come l’RSI oscilla in una fascia costante compresa tra 0 e 100 e presenta fasce di ipercomprato e ipervenduto oltre i valori di 80 e 20, perciò tutte le considerazioni fatte in precedenza possono essere ritenute valide anche per l’analisi di questo indice. Il processo dello stocastico fu diffuso da George Lane21 ed è basato sull’osservazione che nel corso di una

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fase di incremento dei prezzi, le chiusure tendono ad avvicinarsi al massimo dell’escursione dei prezzi stessi, viceversa per quanto riguarda le fasi di decremento le chiusure si attestano in prossimità dei minimi. Per la costruzione dello stocastico vengono calcolate e successivamente disegnate due linee. La prima è la linea più veloce (𝐾 line) e misura in termini percentuali la relazione tra l’ultima chiusura e il range dei prezzi degli ultimi 𝑛 periodi considerati, che nella versione originale di Lane sono 14 giorni, e che presenta seguente formula:

%𝐾 100 ∗ 𝐶 − 𝐿14 𝐻14 − 𝐿14

dove:

𝐶 = ultima chiusura;

𝐿14 = minimo più basso degli ultimi 14 giorni; 𝐻14 = massimo più alto degli ultimi 14 giorni.

Un valore oltre i 80 testimonia quindi un prezzo di chiusura molto vicino al massimo del price range mentre un livello al di sotto dei 20 va interpretato come un avvicinamento al minimo del price range.

La seconda linea (𝐷 line) è una media mobile a 3 periodi della prima linea e perciò risulta la sua versione rallentata, che ne smussa l’andamento22.

I segnali operativi vanno, come al solito, ricercati nelle fasce estreme.

22 Nel corso del tempo l’indicatore è stato molto utilizzato e per questo anche molto “personalizzato”:

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Figura 2.6: esempio di segnale di acquisto evidenziato dall’andamento dell’indicatore, titolo Assicurazioni Generali.

Una divergenza ribassista si verifica quando la linea 𝐷 (in figura di colore rosso) si trova sopra al valore di 80 e forma due massimi decrescenti quando i prezzi invece continuano a salire, mentre una divergenza rialzista si presenta nel caso in cui la linea 𝐷 si trova sotto il valore di 20 e forma due minimi crescenti quando i prezzi continuano a scendere; queste evenienze devono suscitare un segnale di allerta per chi sta analizzando tale indicatore; l’effettivo segnale di acquisto o di vendita invece viene generato nel momento in cui la linea 𝐾 (in figura di colore verde) incrocia la più lenta linea 𝐷, poiché dobbiamo associare a questa circostanza un indebolimento della forza del trend in atto e di conseguenza un’imminente inversione di tendenza23.

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2.1.3 Indicatori di profondità

Gli indicatori di profondità sono indicatori di carattere esclusivamente quantitativo, poiché forniscono una misura di quanti titoli del mercato sono concordi con lo stesso e di quanti invece sono in controtendenza; tanto più è ampia la profondità del mercato, tanto più tale tendenza si può considerare forte.

È pur vero che una visione prettamente quantitativa in alcune situazioni può condurre a ricavare indicazioni fallaci; per questo è buona norma abbinare all’analisi della profondità del mercato, anche un’analisi qualitativa. Se i titoli in controtendenza infatti hanno uno scarso peso borsistico, l’indicazione può essere ritenuta valida; se invece i titoli in controtendenza (seppur in minoranza) sono titoli dal peso borsistico elevato la valutazione può cambiare proprio in relazione a tale evenienza. In questi casi è ritenuto opportuno effettuare un’analisi congiunta di tutti gli indicatori a disposizione per verificare l’effettiva valenza di un qualsiasi avvertimento.

Il primo indicatore proposto è l’indice chiamato Advance-Decline (di seguito AD), che calcola la differenza in valore assoluto tra il numero dei titoli con chiusura al rialzo e il numero di quelli con chiusura al ribasso. Contando come zero i titoli che chiudono in pari però tale indicatore perde di riferimento il numero totale dei titoli analizzati ed è per questo che in alcuni casi l’AD viene rapportato al numero totale dei titoli analizzati, per colmare tale lacuna. Il secondo indicatore è il Rialzi-Ribassi (di seguito RR) che è invece il rapporto tra il numero di titoli con chiusura al rialzo e quelli con chiusura al ribasso; in questo caso l’analisi viene posta in termini percentuali e non differenziali

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come era stato fatto in precedenza. Le indicazioni che fornisce l’indicatore RR sono sostanzialmente equivalenti a quelle dell’indicatore AD.

L’analisi della profondità del mercato è sicuramente uno degli strumenti a disposizione di qualsiasi analista, anche se è doveroso ammettere come non sia una delle sfaccettature più importanti della materia proprio a causa dei suoi limiti strutturali evidenti24. Per questi motivi non sempre viene citata e presa in considerazione durante

le analisi da parte degli esperti del settore e di conseguenza sarà adottato lo stesso metodo anche nel presente trattato.

Per concludere la sezione dedicata agli indicatori tecnici, è doveroso sottolineare la ricorrenza dei numeri 5, 10, 14, 20, 28 nel calcolo di medie mobili e oscillatori; questo è dovuto al fatto che 28 giorni di calendario, corrispondenti a 20 giorni di contrattazioni, rappresentano un importante ciclo dominante mensile e che gli altri numeri hanno una relazione armoniosa con tale ciclo (ad esempio la metà, un terzo, ecc..).

2.2 L’analisi grafica

In questa sezione la trattazione illustra le varie tipologie di grafici, i principi fondamentali di analisi grafica e i pattern più diffusi e utilizzati. Al termine, verranno illustrati i passaggi necessari per l’impostazione e la costruzione una strategia di investimento.

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2.1.1 Tipologie di grafici

La tipologia di grafico più semplice è il grafico lineare, formato appunto da una linea continua che unisce i prezzi di chiusura di giornate borsistiche successive e risulta particolarmente adatto alla rappresentazione di serie storiche anche molto lunghe; tale grafico si dimostra di immediata comprensione, ma la sua semplicità fa anche sì che vengano omesse informazioni importanti che solitamente un operatore è interessato a conoscere ed analizzare.

Tale grafico, come del resto tutte le altre tipologie, viene rappresentato all’interno di un piano cartesiano che misura sull’asse delle ascisse lo scorrere del tempo, mentre su quello delle ordinate il valore della quotazione.

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Il passo successivo viene compiuto dal grafico cosiddetto a barre. Questo si compone di tante linee verticali successive che rappresentano l’oscillazione del prezzo nel periodo di riferimento stabilito: possiamo avere barre con time span di un minuto, barre settimanali e barre mensili, anche se come è intuitivo pensare le più diffuse sono le barre giornaliere. La portata informativa di questo grafico risulta maggiore rispetto a quella del grafico lineare, infatti le estremità della barra rappresentano il prezzo massimo e il prezzo minimo raggiunti nell’arco temporale considerato, mentre le piccole linee orizzontali ai lati indicano il prezzo di apertura (linea piccola di sinistra) e di chiusura (linea piccola di destra). Da questo grafico è possibile appunto ricavare informazioni aggiuntive: se la chiusura si trova in prossimità dei massimi si ricava un segnale di forza della tendenza in corso, al contrario chiusure in prossimità dei minimi indicano debolezza, come era stato accennato in occasione dell’analisi dell’indicatore stocastico25.

Figura 2.8: la struttura di una barra nelle due versioni rialzista e ribassista.

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Figura 2.9: esempio di grafico a barre, titolo Microsoft.

La più evoluta metodologia di rappresentazione sono le oramai famosissime candele giapponesi, già ampiamente utilizzate anche in precedenza nella presente trattazione. I grafici a candele (candlestick charts) furono utilizzati per la prima volta da un samurai giapponese per studiare l’andamento del mercato del riso già nel XVIII secolo, ma il loro avvento in Europa viene datato 1989 grazie al lavoro di studio e traduzione dei manuali giapponesi di Steve Nison. Le candele incorporano le stesse informazione del grafico a barre (prezzo di apertura, chiusura, prezzo massimo e minimo) ma il grande seguito che hanno riscosso nel tempo deriva da una maggiore comprensione e intuitività visiva che viene data loro dalla diversa colorazione: esistono infatti candele nere che presentano un prezzo di chiusura inferiore al prezzo di apertura (candele ribassiste) e candele bianche che al contrario sono caratterizzate da un prezzo di chiusura maggiore rispetto a quello di apertura (candele rialziste)26.

26 Le colorazioni tradizionali derivanti dal manuale del samurai giapponese sono il bianco e il nero, ma è

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Figura 2.10: le candele giapponesi.

La candela presenta due ombre (shadows), quella superiore e quella inferiore, che si spingono fino ai punti di massimo e di minimo e un corpo centrale (real body) che indica i prezzi di apertura e chiusura e che risulta l’elemento oggetto della colorazione.

Figura 2.11: esempio di quotazione espressa con il grafico a candele, titolo Fiat.

Il grafico a candele è oramai il più diffuso ed utilizzato vista la sua semplicità ed efficacia, per questo motivo nel corso della trattazione verrà spesso utilizzato come grafico di

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riferimento. I recenti studi che si sono sviluppati intorno a tale metodologia hanno inoltre portato alla trasposizione di tutte le considerazioni inerenti all’analisi grafica sul piano dell’analisi a candele, comprese molte configurazioni grafiche che verranno analizzate ma che non verranno riportate nella versione candlestick nel presente lavoro.

2.1.2 La trend line

Il trend di mercato può sostanzialmente prendere tre direzioni: al rialzo (up-trend), al ribasso (down-trend) o laterale (sideways trend) ovvero quando il trend risulta non definito e quindi si muove pressoché parallelamente rispetto all’asse delle ascisse. Le

trend lines sono gli strumenti più semplici per individuare in quale direzione si sta

sviluppando il trend in corso e per ottenerle è necessario unire almeno due punti: nel caso in cui si riescano ad unire due punti di massimo consecutivi discendenti avremo costruito una trend line in fase di ribasso, mentre nel caso sia possibile unire due minimi consecutivi ascendenti la trend line indicherà un momento di rialzo27. La trend line è una

linea provvisoria, poiché è valida per un arco di tempo limitato; infatti nel caso in cui da un certo momento in poi non sia più rispettata, non significa che tale linea sia sbagliata ma soltanto che ha perso la sua validità dato l’evolversi della tendenza nel tempo. L’analista dovrà quindi tracciare una nuova trend line che risulti adeguata ai nuovi valori assunti dalla tendenza. Inoltre, una trend line risulta tanto più significativa quante più

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volte è stata toccata dai prezzi e quanto più tempo si è dimostrata valida ed inviolata dalle quotazioni.

Figura 2.12: individuazione della trend line nei casi di rialzo, ribasso e trend laterale, titolo Poste Italiane.

2.1.3 Supporti e resistenze

Anche supporti e resistenze sono linee ideali, tracciate dall’analista nell’ambito dei suoi studi e delle sue supposizioni, che individuano livelli di prezzo cosiddetti significativi. Un supporto è infatti una linea che indica un livello di prezzo rispetto al quale il trend tende ad appoggiarsi senza andare al di sotto; al contrario una resistenza indica un prezzo rispetto al quale il trend tende a non andare oltre ma a rimbalzare al di sotto. Per fare un esempio pratico, in un up-trend la trend line viene trovata unendo almeno due punti

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di minimo successivi crescenti: questa funge da supporto poiché appunto la tendenza di mercato (per un arco temporale finito) tende ad avere quel valore di prezzo come suo riferimento minimo. È importante quindi tracciare le trend line in un grafico poiché queste fungono da riferimento per l’analisi, svolgendo quindi i ruoli di supporti e resistenze.

Figura 2.13: esempio di supporto e resistenza, titolo Unipol Assicurazioni.

Non inganni la figura portata sopra come esempio, i supporti e le resistenze possono risultare anche inclinati rispetto all’asse delle ascisse e non necessariamente paralleli. Tali livelli tecnici vengono definiti dinamici, poiché sono destinati a perdere la loro validità dopo un determinato periodo di tempo a causa del cambiamento dell’interesse degli operatori di mercato nei confronti delle posizioni di acquisto e vendita. Se una di queste linee viene perforata, è necessario valutare se la perforazione è significativa: potremmo infatti trovarci davanti ad una inversione di tendenza oppure ad un falso segnale. Per valutare ciò utilizziamo dei filtri di significatività: un filtro temporale e un

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filtro percentuale; il primo comporta il fatto che la perforazione deve permanere per almeno un determinato numero di seduto per risultare attendibile, mentre per rispettare il filtro percentuale la perforazione deve spingersi oltre un predeterminata percentuale. I due filtri di significatività devono essere verificati entrambi per poter parlare di una perforazione significativa e i valori dei filtri vengono assegnati arbitrariamente dall’analista sulla base del tipo di informazioni che intende ricavare. È altresì vero che ci sono delle intuizioni da tenere presente per stabilire tali valori: se stiamo analizzando un titolo molto volatile sarà più opportuno applicare filtri più ampi per dare maggior importanza alle informazioni che ne derivano, mentre un titolo con volatilità contenuta necessiterà automaticamente di filtri più ridotti.

La definitiva conferma che si sta attuando un’inversione del trend in corso la possiamo trovare quando si arriva all’interruzione della serie di massimi successivi crescenti o minimi successivi decrescenti; graficamente questo viene evidenziato dai failure swing. Questi ultimi si verificano in caso di mancato raggiungimento di un massimo successivo crescente (top failure swing) o di un minimo successivo decrescente (bottom failure

swing) e sono segnali di esaurimento della forza della tendenza in atto. L’inversione del

trend può considerarsi completata quando si oltrepassa i livelli tecnici individuati, supporto nel caso del top failure swing (linea rossa nella figura di sinistra in basso) e resistenza nel caso di bottom failure swing (linea blu nella figura di destra in basso).

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Figura 2.14: esempi teorici di top failure swing e bottom failure swing.

Ci sono dei casi in cui l’inversione è più improvvisa e repentina rispetto a quanto appena descritto: stiamo parlando dei casi di non-failure swing. Tale evenienza si verifica nella versione top non-failure swing quando il prezzo forma un nuovo massimo crescente, ma nei giorni successivi il prezzo crolla rompendo il precedente supporto; al contrario, viene definito un bottom non-failure swing il caso in cui si formano una serie di minimi decrescenti che vengono interrotti da una risalita dei prezzi che rompe la precedente resistenza. I casi appena descritti sono rappresentati nella figura che segue.

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Figura 2.15: esempi di non-failure swing nelle versioni top e bottom.

Se fino ad ora sono stati analizzati supporti e resistenze dinamici, si passi da ultimo ad illustrare i concetti di supporti e resistenze statici. L’idea di base è la solita che caratterizza quelli dinamici, ovvero sono linee ideali tracciate dall’analista rispetto al quale il prezzo tende ad appoggiarsi e non ad oltrepassare; in questo caso però le rette risultano parallele all’asse delle ascisse poiché rappresentano i minimi e i massimi storicamente raggiunti dal quel titolo o indice28. Questo conferisce inevitabilmente a tali

livelli tecnici una connotazione a medio-lungo termine. Vien da sé che questi supporti e queste resistenze non siano validi in assoluto per sempre e quindi possono essere anch’essi perforati dal trend di mercato, ma proprio per la loro essenza tale perforazione risulta assai meno frequente e una volta avvenuta assume una significatività notevolmente maggiore rispetto alla perforazione di un supporto o di una resistenza dinamici. I casi che portano alla perforazione dei livelli significativi statici vengono ritenuti in qualche modo eccezionali.

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