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Analisi delle performance delle ASA in aziende operanti nel mercato dell'editoria

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÁ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea Magistrale

Analisi delle performance delle ASA in aziende

operanti nel mercato dell’editoria

Relatore Candidato

Prof.ssa Lucia Talarico Francesca Poggi

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2 INDICE

INTRODUZIONE ... 4

PARTE PRIMA ... 6

1.1 Il concetto di Area Strategica d’Affari ... 6

1.2 Studio del settore ... 16

1.2.1 L’Approccio Porteriano ... 16

1.2.1.1 Il modello delle cinque forze ... 17

1.2.1.2 I raggruppamenti strategici ... 21

1.2.1.3 La Catena del Valore ... 22

1.2.2 Il Modello di Abell ... 25

1.3 Definizione dei Business ... 27

1.3.1 La matrice di Asnoff ... 27

1.3.2 Rapporto tra business e risorse ... 29

1.3.3 La diversificazione ... 31

1.3.3.1 Perché le imprese diversificano? ... 32

1.3.3.2 Modalità di diversificazione ... 35

1.3.3.3 Gli effetti della diversificazione ... 37

1.4 Formula imprenditoriale a livello di ASA ... 38

PARTE SECONDA ... 47

2.1 I principi contabili internazionali e la “globalizzazione contabile” ... 47

2.2 Gli International Accounting Standards ... 50

2.3 La “storia” italiana ... 55

2.3.1 IFRS vs PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI ... 60

2.4 L’informativa settoriale ... 61

2.4.1 IAS 14 ... 62

2.4.2 IFRS 8: “Segment reporting” ... 63

2.4.2.1 Il segment reporting nella comunicazione di impresa ... 63

2.4.2.2 La segmentazione nella gestione aziendale ... 65

2.4.2.3 Il reporting per settori operativi e l’IFRS 8 ... 65

2.4.3 L’informativa settoriale ed il management Commentary ... 72

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3

Casi Studio nel Settore dell’Editoria ... 74

3.1 Andamento del mercato dell’editoria ... 74

3.2 Overview del Gruppo Mondadori ... 76

3.2.1 Le principali tappe ... 78

3.2.2 I business del Gruppo Mondadori ... 79

3.3 Il Gruppo Giunti ... 83

3.3.1 La storia in tappe ... 88

3.3.2 Il mercato ... 89

3.4 Il gruppo De Agostini oggi ... 91

3.4.1 Le principali tappe della storia del Gruppo ... 93

3.4.2 La diversificazione del Gruppo ... 94

3.4.3 I settori del Gruppo De Agostini ... 95

3.4.3.1 De Agostini Editore ... 96

3.4.3.2 De Agostini Communications ... 99

3.4.3.3 IGT ... 100

3.4.3.4 DeA Capital ... 101

3.5 Le tre società a confronto ... 103

CONCLUSIONI ... 117

BIBLIOGRAFIA ... 120

SITOGRAFIA ... 123

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4

INTRODUZIONE

Il presente lavoro è stato svolto come elaborato di Tesi Magistrale e tratta il tema delle

aree strategiche d’affari. La strategia complessiva può essere di due tipi: mono-business o multi-business. La

decisione di adottare una strategia multi-business risulta essere sempre più diffusa, portando le imprese ad operare in diverse aree d’affari con l’obiettivo di diversificare le opportunità di profitto, anche se, d’altra parte, ciò impone di definire strategie

competitive per ognuno dei business prescelti. Nelle grandi organizzazioni le strategie settoriali possono essere formulate da unità

strategiche autonome, chiamate strategic business units (SBU), le quali godono di piena

responsabilità gestionale1. Definite le ASA, utilizzando i diversi modelli proposti dalla dottrina, il presente lavoro

tratta l’argomento della scelta dei business in cui l’azienda è intenzionata ad operare, tenendo conto degli effetti che ciò comporta. Con la strategia di diversificazione l’azienda andrà a perseguire un obiettivo di sviluppo della sua presenza competitiva in una molteplicità di settori, non necessariamente correlati. Tre sono gli obiettivi

principali che portano un’azienda ad intraprendere la strada della diversificazione:

crescita, riduzione del rischio ed aumento della profittabilità. La seconda parte dell’elaborato tratta l’argomento in esame alla luce dei principi

contabili internazionali, concentrandosi in particolare sul principio riguardante

l’informativa settoriale, tendendo conto dell’avvenuta modifica dello IAS 14 con l’IFRS 8. L’analisi viene, poi, applicata a tre differenti casi aziendali facenti parti del mercato dell’editoria: Mondadori, Giunti Editore e il Gruppo De Agostini, aziende nate come

case editrici ma che trasformatesi nel tempo in imprese multi business. Si tratta di tre casi differenti accomunati dal settore dell’editoria, ma mentre Mondadori

e Giunti sono rimaste fedeli a tale settore, anche se nelle sue diverse sfaccettature, il caso De Agostini è un valido esempio di impresa che ha deciso di intraprendere la strada della diversificazione operando in business anche molto differenti, consentendo

1

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5

di definirla impresa “conglomerata”. Altro obiettivo del presente elaborato è quello di verificare i dati forniti da ciascuna di

queste imprese relativamente a quanto previsto dai principi contabili sull’informativa di settore: l’attenzione a questo tipo di informativa nasce proprio dalla sempre maggiore presenza di aziende multi-business, che producono diverse tipologie di prodotto od erogano differenti servizi, alle volte operando anche in aree geografiche distinte, soggette dunque ad indici di redditività, opportunità di sviluppo, prospettive future e

rischi differenti, che le portavano ad avere bilanci “disomogenei”. L’informativa di settore è risultata quindi fondamentale per soddisfare le esigenze di

(7)

6

PARTE PRIMA

1.1

Il concetto di Area Strategica d’Affari

Il concetto di strategia viene per la prima volta elaborato negli anni Sessanta e viene interpretato da un lato, come elemento in grado di unificare le politiche delle singole aree funzionali e, dall’altro lato, come elemento in grado di collegare le competenze distintive dell’impresa con le caratteristiche del suo ambiente di riferimento. La visione d’impresa non deve far dimenticare come talvolta le diversità interne degli ambiti di

competitività e applicazione richiedano modalità differenti di gestione. La strategia è caratterizzata due componenti principiali: l’orientamento strategico di

fondo e gli indirizzi strategici. Il primo, l’OSF, rappresenta l’insieme di “idee, valori ed atteggiamenti su cui si fonda, che riguardano sia il campo di attività in cui l’impresa è impegnata o cui vuole dedicarsi, sia le ragioni fondamentali di tale impegno, sia la filosofia organizzativa e comportamentale cui l’impresa si attiene o intende attenersi”2; gli indirizzi strategici concretizzano l’OSF, definendo in quale arene competitive

l’impresa intende operare e come intende affrontare la concorrenza. Con il termine Area Strategica d’Affari (ASA) si individua un sottosistema aziendale

strategicamente rilevante, in cui ogni ASA è contraddistinta da una determinata missione; coincide dunque con un business/area di mercato specifica in cui l’azienda intende operare. Ad ogni ASA corrisponde uno specifico sistema competitivo in cui

l’impresa opera in relazione alle variabili settoriali esterne. L’ASA diventa quindi un’unità operativa autonoma differenziata dal resto dell’azienda

cui il corporate management alloca delle risorse in correlazione agli obiettivi assegnati al fine di massimizzarne lo sfruttamento con la massima aderenza alle realtà

competitiva del settore di ingerenza. Considerando la strategia aziendale come elemento in grado, da un lato, di unificare le politiche delle singole aree funzionali e, dall’altro, di collegare le competenze distintive

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7

dell’impresa con le caratteristiche del suo ambiente di riferimento3

si ha che l’oggetto delle strategie può situarsi ad un triplice livello:

– la strategia a livello corporate;

– la strategia a livello di singola «Area Strategica d'Affari» (convenzionalmente ASA, traduzione del termine inglese S.B.A. – Strategic Business Area);

– la strategia a livello funzionale4

.

Le strategie a livello di area strategica d’affari rappresentano il fulcro dell’impianto strategico di un’impresa ed è a tale livello che si verifica la maggior parte

dell’interazione concorrenziale ed a cui le imprese acquisiscono o perdono vantaggi

competitivi. Nel definire le strategie a livello di ASA, l’attenzione si concentra sull’analisi

dell’ambiente esterno all’impresa ed, in particolare, sulle forze competitive che vi gravitano attorno giacché le aree strategiche d’affari possono essere definite come un “sottosistema aziendale strategicamente rilevante con una specifica missione, con un proprio specifico sistema competitivo in cui operare, tenendo conto delle modalità competitive e dei fattori critici di successo caratterizzanti il relativo sistema

competitivo”5. Ogni ASA ha una struttura economica autonoma e viene gestita in aree competitive ben individuate mediante una conduzione strategica differenziata . Ad ogni ASA corrisponde di solito un sistema competitivo riguardante solo la medesima.

L’insieme di ASA diverse costituisce il Portafoglio ASA. Il concetto di ASA si sovrappone dunque a quello di combinazione economica parziale

cui pertengono elementi del patrimonio, assetto tecnico, componenti dell’organismo

personale, assetto organizzativo parzialmente differenziati rispetto al resto dell’azienda. Alla luce di quanto detto, l’ASA, in quanto sottoinsieme dell’impresa, coincide con un

business specifico, costituendo, in sostanza, l’area del mercato nel quale l’impresa

3 Secondo alcuni Autori la strategia è il modo in cui l’impresa utilizza le sue risorse ed interagisce con

l’ambiente per conseguire i fini e gli obiettivi di fondo; per altri Autori i fini fondamentali perseguiti e le politiche atte a realizzarli sono entrambi inclusi nella strategia.

4

Si veda AIROLDI G., BRUNETTI G., CODA V., Economia aziendale, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 364

5

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8

decide di operare. Tale area deriva dalla combinazione di scelte operate dall’impresa, riguardanti:

- i bisogni che si desidera soddisfare;

- i clienti che si intende servire – che manifestano tali bisogni;

- la tecnologia da adottare per produrre il bene od erogare il servizio in grado di soddisfare quei determinati bisogni.

Grazie al concetto di ASA è possibile classificare le imprese in due categorie: imprese mono-business (mono-ASA) ed imprese multi-business. Con la definizione dei confini dell’impresa, territoriali e settoriali, parte tutto il processo di formazione e

realizzazione della strategia, identificando le problematiche riguardanti l’impresa a livello complessivo (corporate-level strategy) e quelle che si presentano al livello

inferiore (business-level strategy)6. “Nell’impresa multi-business oltre alla strategia complessiva si presenteranno tante

strategie competitive quanti sono i business in cui l’azienda opera . Dunque la strategia competitiva è il “disegno che definisce il sistema delle attività” svolte a livello di business, riferendosi ad uno specifico ambito competitivo, avendo come riferimento un particolare cliente finale di cui si intende soddisfare il bisogno” (Invernizzi 2014 le

strategie competitive, pag. 26 ). In queste imprese quindi è necessario andare ad individuare le ASA da cui sono

formate, la quale scaturisce da un processo di apprendimento, in cui emergono le caratteristiche evolutive del sistema competitivo in cui l’azienda opera: ad ogni ASA dovrebbe, dunque, corrispondere un definito sistema competitivo, un settore. Ciò

evidenzia la relazione biunivoca tra le diverse ASA e le differenti arene competitive. Quando un’azienda opera in aree strategiche d’affari differenti si rivolgerà anche a

clienti e mercati diversi per ognuna delle ASA, e queste ultime possono assumere autonomia organizzativa o giuridica all’interno dell’azienda. Per individuare le eventuali aree strategiche d’affari in cui opera l’impresa si utilizza un concetto base dell’analisi strategica: la combinazione prodotto/mercato. Tale combinazione è definita come un “un’insieme di attività aziendali definito in base all’unione fra prodotti offerti

6

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9

e i clienti serviti (gli “atomi strategici”)” (Invernizzi,2014 pag.42).7

Dunque ogni ASA è costituita da una o più combinazioni prodotto/mercato/tecnologia

configuratesi come un’unità di sintesi e responsabilità reddituale, con una struttura economica propria e con esigenze di conduzione strategica differenziata derivanti dalle

caratteristiche della sua arena competitiva8. Il concetto di combinazione prodotto/mercato permette quindi di segmentare ogni

singola ASA, in modo da individuare le così dette sub-ASA. L’utilizzo della

combinazione prodotto/mercato è un primo passo verso la gestione strategica dell’ASA, trattandosi dell’unità elementare strategicamente rilevante dell’impresa che combina i diversi clienti serviti ed i prodotti offerti. L’individuazione delle combinazioni prodotto/mercato in cui l’impresa è attiva parte dalla costruzione della matrice prodotti/mercati, costruita basandosi sull’applicazione dei criteri di classificazione dei prodotti e dei mercati/clienti più significativi. La costruzione della matrice segue queste quattro fasi:

1) determinazione di tutti criteri di classificazione dei prodotti e dei mercati possibili; per quanto riguarda i prodotti i criteri adottabili possono essere, ad esempio, la loro natura merceologica, la dimensione, il prezzo, il materiale utilizzato ed il grado di intervento dell’impresa sul prodotto. I possibili criteri di classificazione dei mercati e dei clienti possono essere, invece, la zona

geografica, il canale distributivo, il settore considerato o la dimensione dei clienti (e loro forza contrattuale);

2) classificazione dei criteri secondo il loro grado di importanza, evidenziandone i motivi; l’importanza dei criteri dipende da diverse variabili, infatti in base al settore di impiego dei prodotti, sul versante dei mercati, mutano le caratteristiche della domanda e dell’offerta, ossia i segmenti di mercato, oppure in base all’area geografica considerata mutano i problemi collegati alla vendita su mercato nazionale o estero9;

7 Invernizzi G. 2014, pag 42 8

V.Coda, L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1988, pag. 50

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3) selezione dei criteri più importanti e conseguente costruzione della matrice prodotti/mercati;

4) indicazione della distribuzione percentuale del fatturato tra le diverse combinazioni prodotto/mercato.

Ciascuna sub-ASA, a sua volta, sarà costituita da una o più combinazioni

prodotto/mercato che presenteranno una similitudine a livello strategico, individuata esaminando con un determinato grado di dettaglio le “diversità/somiglianze” delle differenti combinazioni prodotto/mercato. A questo scopo è necessario individuare le loro caratteristiche in termini di struttura dell’offerta, fattori critici di successo, struttura dei costi e composizione del flusso di cassa netto, caratteristiche quali-quantitative della domanda e dinamica concorrenziale (ad esempio la minaccia di nuovi entranti o prodotti sostitutivi)10. I risultati di questa analisi possono essere raccolti e sintetizzati nella Matrice di valutazione delle somiglianze e diversità delle varie combinazioni prodotto/mercato di cui è composta un’ASA al fine di

indentificarne le sub-ASA (Fig. 1).

Figura 1 Matrice di valutazione delle somiglianze/diversità proprie delle combinazioni prodotto/mercato (rielaborazione personale della Tabella B.1 pag 44, Invernizzi 2014)

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Lo step successivo riguarda la valutazione della necessità o convenienza di concepire e di gestire l’ASA considerandola come un insieme organizzato di sub-ASA (“le

molecole strategiche”), in modo da analizzarla in termini di un’unica “realtà” indifferenziata ed omogena al suo interno. Nel caso in cui tutte le combinazioni

prodotto/mercato apparissero simili saremmo di fronte ad un’azienda mono-business, in caso contrario l’azienda sarebbe multi-business11

. L’analisi prodotto-mercato non solo consente di combinare le analisi a livello di unità

elementare dandone una rappresentazione sintetica, ma permette di mettere in evidenza le interazioni esistenti tra questi due livelli di analisi. Superate le prime due fasi, quindi scelti i criteri, è possibile procedere alla costruzione della matrice e si può giungere a varie configurazioni, caratterizzate da articolazioni crescenti. Utilizzando i criteri

selezionati come rilevanti si costruisce una matrice delle combinazioni prodotto/mercato (Fig. 2) in cui l’azienda è presente.

Figura 2 Esempio di Matrice delle combinazioni prodotto-mercato

Successivamente sulla base dell’analisi effettuata si procede a definire le ASA

preoccupandosi che le combinazioni prodotto/mercato siano sufficientemente omogenee e rilevanti (Fig. 3).

11

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12

Figura 3 Esempio di Matrice delle combinazioni prodotto-mercato con individuazione delle ASA

Nella costruzione ci si chiede se alle combinazioni prodotto/mercato individuate corrispondono altrettante sub-ASA o se è possibile aggregarle secondo i criteri precedentemente esposti. Ciò in quanto se in assenza della definizione di ASA preliminare non è possibile determinare le strategie di portafoglio, in assenza di una preliminare individuazione delle sub-ASA e dei corrispondenti raggruppamenti

strategici non è possibile determinare la strategia competitiva di un’ASA. Alla luce di quanto esposto è utile ricordare le due caratteristiche di cui un’ASA deve

essere dotata: autonomia strategica e dimensione sufficiente. In particolare il primo criterio “impone di aggregare più combinazioni prodotto/mercato per formare un’unica ASA se queste combinazioni condividono i fattori critici di successo ed è quindi possibile affrontarle con un unitario disegno strategico. Il criterio della dimensione sufficiente stabilisce che un’ASA individuata come autonoma sul piano strategico, può essere gestita separatamente – con una propria strategia di business –solo se raggiunge una rilevanza economica adeguata (ad esempio in termini di fatturato), vale a dire idonea a giustificare ed a sostenere la costruzione di un centro organizzativo o di

investimenti distinto nell’ambito della struttura aziendale12”.

Altri fattori utili ad identificare delle sub-ASA, oltre all’applicazione degli strumenti di

12 Governo strategico dell’azienda: prefazione del Prof. Umberto Bertini, G.. Giappichelli Editore, 2013,

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13

analisi come la matrice prodotto/mercato, sono la profonda conoscenza dell’imprese e

del sistema competitivo in cui opera, oltre che una spiccata creatività. Tra i fattori che, invece, potrebbero impedire il riconoscimento delle specificità di

un’ASA o sub-ASA rientra la cultura dominante che potrebbe caratterizzare l‘impresa oggetto di analisi, che il più delle volte non permette l’individuazione di alcune combinazioni prodotto/mercato che andrebbero studiate secondo logiche gestionali

proprie. In quanto sottosistemi gestionali in grado di generare ricavi e costi, per le sub-ASA è

possibile esplicitare significativi risultati economico- finanziari; per ciascuna delle sub-ASA risulta allora necessario conoscere oltre al fatturato, anche la capacità produttiva utilizzata, i flussi degli ordini, i margini di contribuzione, i flussi di cassa netti, le quote di mercato dell’azienda e dei competitors, i fabbisogni del circolante e le prospettive evolutive della domanda e del sistema competitivo. Grazie a questi dati, il management è in grado di stabilire la convenienza dei diversi business, l’allocazione delle risorse e le strategie competitive adottabili. L’area strategica d’affari è una combinazione prodotto/mercato, dotata di una struttura

ed una logica economico- finanziaria propria, controllabile come una realtà omogenea ed unitaria dato che può essere considerata un’unità di sintesi e di responsabilità reddituale che opera in una determinata arena competitiva.

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14 Sub-ASA 1 Sub-ASA 2 Sub-ASA n Tot. ASA A. Ricavi netti B. Costi variabili C. MARGINE DI CONTRIBUZIONE LORDO (A-B) D. Costi fissi speciali E. MARGINE DI CONTRIBUZIONE SEMILORDO (C-D) F. Costi fissi comuni G. REDDITO OPERATIVO di ASA (E-F)

Tab. 1 Prospetto reddituale di un’ASA

Entra quindi in gioco il concetto di redditività operativi, ROI, dato dal rapporto tra reddito operativo e capitale investito netto, per sottolineare i risultati economico-finanziaria delle varie ASA ed analizzarne le relazioni con le decisioni ed azioni che l’alta direzione intende intraprendere13

. Essendo la redditività operativa espressione

della strategia competitiva, risulta importante analizzarla a livello di business. Grazie a quest’analisi la direzione ha la possibilità di fare una valutazione preliminare,

in modo da definire le azioni più opportune da intraprendere, ed anche a posteriori, per procedere alla verifica del raggiungimento dei risultati reddituali o degli eventuali

scostamenti dagli obiettivi.

13 Brunetti G., 1990, La valutazione delle prestazioni di area strategica d’affari, Rivista dei dottori

(16)

15

Al numeratore del rapporto si trova il reddito operativo ante-imposte ed al netto di sopravvenienze, insussistenze ed oneri finanziari; mentre per quanto riguarda il denominatore si presentano controversie che riguardano gli elementi patrimoniali da collocare nell’aggregato di valore denominato capitale investito netto ed il momento od i momenti temporali ai quali fare riferimento. In Italia il primo punto viene risolto andando a considerare l’attivo totale meno i fondi rettificativi di poste patrimoniali attive (i fondi ammortamento, il fondo svalutazione crediti, il fondo deprezzamento magazzini). Invece in altri paesi si considera come capitale investito netto il capitale sopra citato al netto dei debiti verso i fornitori e del fondo indennità di fine rapporto o dei debiti a breve. Ciò accade in quanto le aziende italiane solitamente tendono ad indebitarsi a breve, rinnovando sistematicamente il debito, per far fronte a capitale a lungo termine: questo rende impossibile considerare la differenza tra attivo netto e passivo corrente come capitale permanente da utilizzare nel calcolo del ‘grado di indebitamento’ e dell’effetto di leva finanziaria’. La seconda controversia riguarda il momento a cui riferirsi, quindi se considerare un capitale investito netto di inizio o fine esercizio, un dato medio fra i due (che, però, tenderebbe a livellare il risultato

aumentando la debolezza informativa) oppure una media basata su situazioni patrimoniali infra-annuali. Si opta per il capitale investito netto di inizio periodo in quanto laredditività operativa è strettamente correlata alla redditività dei mezzi propri e

cosi calcolata nella prospettiva di capacità di autofinanziamento. Il rapporto reddito operativo sul capitale investito netto a inizio periodo, andando a

definire la redditività operativa, risulta essere un indicatore di economicità non correlato alle modalità con le quali l’impresa si finanzia; tale indicatore è uno dei fattori

determinanti la redditività netta dei mezzi propri (ROE) e quindi la capacità

dell’impresa di autofinanziarsi, per questo tende ad esprimere l’efficacia e l’efficienza delle funzioni principali dell’azienda14

.

14

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16

1.2 Studio del settore

Nel presente paragrafo vengono illustrate le modalità mediante cui un’impresa può ottenere un’approfondita conoscenza del settore in cui opera, e della struttura interna ed

esterna dello stesso. La strategia competitiva elaborata a livello corporate deve essere declinata a livello di

singola ASA; infatti la strategia a livello corporate rappresenta quella, a livello aziendale, con cui l’impresa cerca di raggiungere il suo fine ultimo, la creazione di

valore, attraverso la configurazione ed il coordinamento delle sue attività multi-mercato. La redditività d’impresa dipende da due fattori: dalla redditività del settore in cui opera

(strategia corporate) e dalla capacità dell’impresa di stabilire un vantaggio competitivo

su i suoi rivali (strategia di business). La creazione di valore a livello corporate dipenderà, dunque, dal raggiungimento degli

obiettivi a livello di singola business unit: l’alta direzione dovrà adottare decisioni ed azioni volte all’attuazione di uno dei modelli a cui possono essere ricondotti

comportamenti concorrenziali di successo, ovvero il vantaggio competitivo, di Porter, grazie a cui l’impresa può ottenere un sistema di dominanza rispetto ai competitors15

.

1.2.1 L’Approccio Porteriano

Nei suoi studi M. Porter ammette la diversità tra le imprese nel settore attraverso l’implementazione delle strategie competitive. Per l’analisi dell’ambiente esterno lo studioso fornisce il modello delle cinque forze16, con cui viene analizzata l’attrattività di un settore; grazie all’analisi dei raggruppamenti strategici17

, invece, può essere studiata la concorrenza. Per quanto concerne l’analisi dell’ambiente esterno, Porter ha introdotto la Catena del valore, la quale fornisce una rappresentazione schematica delle attività

15 Invernizzi 2014 pag. 123-124 16

Porter M. 1997, pag. 11 e ss.

17 “I gruppi strategici sono insiemi omogenei di imprese dello stesso settore che perseguono opzioni

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17

svolte dall’impresa, evidenziandone il valore creato ed i costi sopportati per la creazione di tale valore.

1.2.1.1 Il modello delle cinque forze

Nella formulazione della strategia uno dei principali step che l’impresa deve affrontare è la definizione e l’analisi delle caratteristiche del settore in cui la stessa opera. Lo

schema di riferimento più utilizzato per questo tipo di analisi è il modello delle 5 forze competitive di Porter, che, sulla base di alcuni fattori strutturali, descrive il sistema

competitivo nel quale opera l’azienda. Secondo Porter l’attrattività di un settore dipende dall’interazione di cinque forze;

individuate da tale modello, le cinque forze condizionano la redditività strutturale del settore e sono: l’intensità della competizione tra imprese nello stesso settore; il potere contrattuale dei fornitori; il potere contrattuale dei clienti; le minacce derivanti

dall’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti (potenzialientranti); le minacce derivanti dall’introduzione sul mercato di prodotti/servizi sostitutivi18

. Nel suo lavoro Porter , per orientare l’analisi strategica, introduce anche il concetto di

qualità del posizionamento dell’azienda nel settore, andando a fornire la descrizione di una serie di strategie di base con cui l’impresa può tentare di affrontare o sfruttare a proprio vantaggio le forze di un settore industriale, ottenendo un vantaggio competitivo

sui propri rivali. Il vantaggio competitivo viene ricondotto alla “capacità dell’azienda di superare- a

livello di business- gli ”avversari” in termini di performance reddituali e, dunque, alla sovraredditività” (Bianchi Martini). Il vantaggio competitivo è perseguibile attraverso due strategie: la strategia di costo o di differenziazione.

Nella figura che segue viene illustrata la rappresentazione grafica del “Modello delle cinque forze competitive di Porter”:

18

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18

Figura 4 Il modello delle 5 forze di Porter (rielaborazione personale della Figura 1-1 pag. 12 Porter “La strategia competitiva”)

Come illustrato nella figura, il modello è costituito dalla co-presenza di una

competizione verticale (caratterizzata dal potere contrattuale di fornitori e clienti) e di una orizzontale, le cui fonti sono la concorrenza dei competitors, quella dei nuovi

entranti e quella costituita dai prodotti sostitutivi. Nell’analisi della competizione verticale si va a valutare il potere contrattuale di cliente

e fornitori; nel primo caso si fa riferimento ai principali clienti dell’azienda, quelli il cui peso contrattuale è in grado di indurre comportamenti tali da ridurre i margini di profitto (riduzione dei prezzi, miglioramenti della qualità o del servizio). Il potere contrattuale dei clienti è influenzato da diversi fattori, quali la dimensione degli acquisti, la

concentrazione della clientela e la possibilità dei clienti di integrarsi verticalmente. Analogamente l’analisi dei fornitori punta ad evidenziare quali sono i principali e come possono influire sulla capacità competitiva dell’azienda. I fornitori possono influenzare l’intero ciclo di approvvigionamento attraverso il livello dei prezzi di acquisto, le modalità di pagamento (dilazionate o no), la qualità e la continuità delle forniture, il livello dell’assistenza tecnica se necessaria, la puntualità nelle consegne. La percentuali di acquisti presso un unico fornitore, l’esistenza di prodotti sostitutivi, i costi di

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19

cambiamento e la possibilità dello stesso di integrarsi sono fattori che influenzano il

potere contrattuale del fornitore. La competizione orizzontale, invece, comprende l’analisi di tre tipi di concorrenza:

quella dei competitors dell’azienda, la concorrenza dei prodotti sostituivi ed infine

quella dei nuovi entranti. L’analisi del mercato non può prescindere da analizzare i concorrenti diretti, le altre

imprese che operano sullo stesso mercato nello stesso settore produttivo. La posizione competitiva di ciascun concorrente è determinata da cinque fattori:

I. la concentrazione dei venditori, ovvero il numero e la distribuzione per dimensione delle imprese concorrenti all’interno di un mercato; se ci fosse una sola impresa leader quest’ultima avrebbe un notevole potere

discrezionale nell’imporre i propri prezzi al mercato. Quando invece il settore è frammentato, costituito cioè da molte imprese, allora è più difficile controllare i prezzi ed è facile che questi si riducano, portando alla così detta guerra dei prezzi. Questo fattore è misurato dall’indice di concentrazione industriale, ovvero l’insieme delle quote di mercato dei produttori principali.

II. la diversità strutturale, ovvero la somiglianza tra le imprese in termini di origini, obiettivi, costi e strategie: più le imprese si assomigliano, più difficile sarà sottrarsi alla concorrenza basata unicamente sul prezzo.

III. la struttura di costo, in termini di rapporto tra costi fissi e costi variabili.

IV. la differenziazione dell’offerta, in termini di somiglianza tra i prodotti offerti; tanto più questi ultimi saranno simili, tanto più la clientela sarà propensa a fare una scelta di prodotto in termini di prezzo, e ciò spinge le imprese a ribassare ulteriormente i prezzi nella speranza di incrementare le vendite. La concorrenza sui prezzi sarà, invece, minore nei settori fortemente

differenziati.

V. la capacità produttiva, un eccesso della stessa è causato dai troppi

investimenti effettuati dall’azienda o dalla domanda stagnante o in declino, e ciò porta all’abbassamento dei prezzi in modo che l’impresa riceva più

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Quest’analisi ha l’obiettivo di avere un quadro completo di come si muovono gli attori nel mercato reale, con riferimento alle loro strategie attuali messe a confronto con la

strategia attuale della azienda analizzata. Un altro tipo di concorrenza è quella che riguarda l’entrata di nuove imprese nel

mercato, stimolata quando il rendimento del capitale in un determinato settore è maggiore al suo costo. Tale minaccia può portare le aziende già operanti nel mercato a ridurre i loro prezzi ad un livello competitivo. La minaccia di potenziali entranti dipende dalle cosiddette “barriere all’entrata”. Quanto più esse saranno alte tanto più difficile sarà entrare nel mercato e tanto più protette saranno le imprese che sono riuscite ad entrare. Le tradizionali barriere all’entrata sono:

- la dimensione degli investimenti, necessari ad entrare in un determinato business; alle volte il fabbisogno di capitale può essere talmente elevato da scoraggiare la maggior parte degli operatori, ad eccezione delle grandi imprese.

- l’identità del brand, tipica delle aziende affermata che possono godere di alcuni vantaggi, quali il riconoscimento del marchio e la lealtà del consumatore. Per i nuovi entranti ciò si traduce in investimenti in pubblicità e promozione.

- l’accesso ai canali distributivi, che dipende dalla capacità di assorbimento dei distributori o dalla loro avversione al rischio di inserire un nuovo prodotto.

- le economie di scala e di apprendimento, che si verificano quando, in seguito ad una produzione maggiore di beni e servizi, si verifica una diminuzione del costo medio della stessa.

- le politiche governative, ad esempio nuovi entranti, in un settore la cui regolamentazione comprende vari standard, possono desistere a causa degli elevati costi di adesione a tali norme.

L’altro tipo di minaccia esterna è la possibilità che ci siano prodotti sostitutivi. Questa minaccia impone spesso un tetto ai prezzi praticabili al consumatore/cliente, infatti se l’azienda lo superasse il cliente troverebbe conveniente passare da un prodotto all’altro. Questo tipo di minaccia esiste solo se c’è un elevato grado di similarità tra i prodotti offerti, ed inoltre solo se i costi di riconversione, ossia i costi che il consumatore dovrà sostenere nel passare da un prodotto all’altro, siano modesti. I costi di passaggio da un

(22)

21

prodotto ad un altro sono riconducibili, ad esempio, alla poca dimestichezza con il nuovo prodotto, alla necessità di adattamento, alla possibilità che non soddisfi pienamente i bisogni del cliente, ecc.

Il modello delle cinque forze di Porter, dunque, fornisce un’interpretazione “allargata” della competizione, in quanto “parte dal presupposto che la produzione economica di un bene coinvolge una pluralità di attori che tendono a “contendersi”, per effetto di un complesso “gioco competitivo”, i benefici economici derivanti dalla vendita finale del prodotto/servizio” (Bianchi Martini, pag. 54).

1.2.1.2 I raggruppamenti strategici

La teoria dei gruppi strategici è stata proposta da M.E. Porter e può aiutare a capire i meccanismi competitivi che si creano fra le imprese all'interno di un settore. Fornisce inoltre una interessante chiave di lettura della convivenza di grandi, piccole e medie

aziende nello stesso settore. All’interno dei settori, infatti, coesistono differenti gruppi di imprese che adottano

strategie simili o talvolta uguali; tali gruppi vengono definiti raggruppamenti strategici

e sono caratterizzati da diversi livelli di redditività strutturale19. Il gruppo strategico come concetto deriva dall'osservazione che la condotta strategica di

imprese di uno stesso settore dipende e varia in relazione alle seguenti variabili: grado di integrazione verticale; ampiezza della gamma di offerta; estensione dell'area

geografica di presenza; utilizzo di leve di marketing (come la leva pubblicitaria o quella del marchio); investimenti in ricerca; qualità dei prodotti; canali di distribuzione; servizi

offerti ai clienti; impiego di tecnologie per ridurre i costi. Le aziende appartenenti allo stesso raggruppamento strategico tendono di solito ad

essere analoghe in termini di:

 Struttura organizzativa

 Modello produttivo

19

(23)

22

 Assetto societario

L’impresa, dunque, quando va a definire la propria strategia ed i relativi comportamenti

operativi tiene conto degli altri soggetti che appartengono al suo stesso raggruppamento. I raggruppamenti di uno stesso settore possono essere mappati, dando lungo alla mappa

dei raggruppamenti strategici. Dato che il dispiegarsi delle forze competitive può essere sostanzialmente diverso tra

differenti gruppi strategici può essere utile declinare l’analisi delle 5 forze anche a

livello di raggruppamento. Sfortunatamente l’approccio dei raggruppamenti strategici presenta dei

limiti: innanzitutto i membri del gruppo strategico quando seguono strategie simili, non sono necessariamente in concorrenza l’uno con l’altro, in quanto potrebbero operare su mercati diversi. Inoltre il gruppo strategico è utilizzabile più per descrizione che per previsione; può contribuire alla comprensione della struttura, delle dinamiche

competitive, dell’evoluzione del settore e della gestione strategica che lo caratterizzano.

1.2.1.3 La Catena del Valore

Il principale strumento per comprendere veramente la natura del vantaggio competitivo è la catena del valore. Il vantaggio competitivo può risiedere infatti in ciascuna delle attività che l’impresa svolge, dalla progettazione alla produzione, alla vendita,

all’assistenza alla clientela. Questo vale quale che sia il tipo di vantaggio, sia di costo che di differenziazione o focalizzazione. La catena del valore disaggrega le attività strategicamente rilevanti per comprendere l’andamento dei costi e le fonti di

differenziazione possibili. Il vantaggio competitivo si ottiene quando un’impresa svolge le attività strategicamente rilevanti in maniera più economica o più efficiente della

concorrenza. La catena del valore ( Fig.5 ) si compone di nove categorie di attività tra loro collegate.

La parola “catena” indica, infatti, che le attività, seppure analizzate separatamente, sono tra loro correlate in un modo che dipende dal contesto, dalla storia, dalle persone e dalle strategie di un’impresa; il valore è dato dalla somma che clienti sono disposti a pagare per quello che l’azienda fornisce loro. L’unità di misura del valore è monetaria ed è

(24)

23

rappresentata dal ricavo totale, che varia al variare del prezzo e della quantità venduta. Si ha profitto se il valore che si riesce ad ottenere è maggiore dei costi determinanti

nella creazione di un prodotto. La catena del valore visualizza due elementi essenziali da cui qualsiasi azienda può

partire per creare un prodotto valido: le attività generatrici di valore, misurate in termini di costi necessari per realizzarle e distinguibili in attività primarieed attività di

supporto, ed il margine, dato dalla differenza tra il ricavo totale ed il costo complessivo.

Figura 5 La catena del valore generica (Porter. 1985)

La catena del valore della singola impresa fa parte di un sistema più ampio, definito il sistema del valore (vedi Figura 6), che si compone delle catene del valore di tutte le aziende coinvolte nella filiera produttiva (quella del produttore, dei fornitori e dei distributori) nonché di quelle dei clienti stessi.

Figura 6 Il sistema del valore (Porter 1985)

Catena del valore dei fornitori

Catena del valore dell’impresa

Catena del valore dei canali distr.

Catena del valore dei clienti

(25)

24

Per acquisire e mantenere il vantaggio competitivo l’impresa deve essere dotata della capacità di comprendere la propria catena del valore. Ogni impresa avrà una catena del valore diversa da quella delle altre aziende, in quanto ciascuna di esse ne riflette la storia, le scelte organizzative, le strategie, le persone, le mentalità, le abitudini. La scelta di servire solo un determinato ambito geografico, di servire solo un dato segmento di mercato, sono esempi di scelte che influiscono sulla catena del valore.

Lo schema sopra descritto si modifica in parte nel caso delle imprese che praticano la differenziazione. Questo tipo di imprese, infatti, sono di solito organizzate in Business Units o ASA (aree strategiche di affari), cioè unità organizzative più o meno autonome rispetto al vertice aziendale (al livello corporate), che si occupano di un particolare prodotto o linea di prodotti o servizi. Ci saranno in questi casi tante catene del valore quante sono le business units. Le varie business units potranno svolgere attività che si posizionano allo stesso punto (ad es. produzione) del sistema del valore, come

evidenziato dalla Figura 7:

Figura 7 Esempio di catena del valore in un’azienda diversificata (Porter 1985)

Catena del valore dei fornitori

Catena del valore ASA 1

Catena del valore dei canali distr.

Catena del valore dei clienti

Catena del valore ASA 2

Catena del valore ASA n

(26)

25

1.2.2

Il Modello di Abell

Il concetto di Strategic Business Area è relativamente recente, nasce negli Stati Uniti per opera dell’economista Derek F. Abell20

che fu in grado di superare, attraverso il concetto di business area, i criteri tradizionali di segmentazione del mercato a minor valenza strategica (come il concetto di settore o di prodotto/mercato) e di capire che la scelta del business nel quale competere, da effettuarsi al livello corporate, deve essere tra le prime scelte strategiche attuate dall'impresa. Come già evidenziato nel primo paragrafo di questo capitolo, secondo Abell è possibile definire l’area di business grazie allo studio di tre dimensioni:

1. la funzione d'uso, intendendo i bisogni del cliente che l'impresa vuole soddisfare;

2. i gruppi di clienti, ovvero i portatori dei bisogni cui l'impresa intende rivolgersi, quelli che potrebbero essere interessati ai prodotti o servizi dell’impresa;

3. le tecnologie, vale a dire le modalità tecniche attraverso cui l'impresa intende soddisfare i bisogni dei suoi clienti21.

Figura 8 Rielaborazione personale del Modello ASA di Abell

20

Abell-Hammond, Strategic Market Planning: Problems and Analytical Approaches, Prentice-Hall, 1980

21

(27)

26

Secondo questo modello le ASA risultano come una “combinazione tecnologia, prodotto, mercato caratterizzate da un sufficiente livello di autonomia strategica e da

una sufficiente dimensione in termini di cifra d’affari”. Come si evince dalla definizione appena citata le ASA, per essere considerate rilevanti,

devono rispettare due condizioni: innanzitutto, per essere considerate autonomi centri di profitto, devono raggiungere una dimensione economicamente sufficiente (sufficiente livello di autonomia strategica); la seconda condizione (cifra d’affari) è imprescindibile

affinché l’ASA possa costituire un centro di investimento. Ad una o più ASA corrisponde poi, a livello organizzativo, una Strategic Business Unit,

caratterizzata da un proprio livello manageriale appropriato, dotato di risorse e facoltà tale da riuscire a definire ed attuare le proprie strategie, in modo compatibile alle

esigenze di coordinamento fissate a livello centrale. Le ASA sono caratterizzate da uno specifico rapporto tra il loro sistema interno e

l’ambiente esterno in cui sono collocate, oltre che da proprie problematiche strategiche, da affrontare singolarmente. Le analisi e valutazioni effettuate a livello di ogni singola ASA devono pertanto essere opportunamente integrate a livello globale, riferendosi al

complessivo portafoglio. Il modello di Abell è, dunque, un valido strumento sia dal punto di vista concettuale che operativo, in grado di andare ad individuare in modo preciso lo spazio economico di riferimento; è in grado di fornire al management un’idonea descrizione delle aree strategiche verso cui indirizzarsi, per questo è utilizzato tutt’oggi come base di partenza per definire la strategia aziendale articolata per ASA. I fattori chiave su cui fa leva, riferibili sia alla domanda (clienti e funzioni d’uso) che all’offerta (modalità

tecnologiche), permettono l’individuazione dello spazio economico in cui l’impresa

vuole operare. Grazie all’intersezione nelle tre dimensioni è possibile circoscrivere l’area del mercato di riferimento22. Come si evince dalla figura appena riportata (Fig.8), individuate e posizionate tutte le potenziali combinazioni tra clienti, funzioni d’uso e tecnologie, in base alle opportunità strategiche dell’impresa, nel grafico il business analizzato apparirà

come un parallelepipedo, delimitante i contorni dell’area strategica d’affari selezionata. La complessità del processo di definizione dell’ASA dipenderà da quanti elementi sono

22

(28)

27

stati individuati; infatti maggiore sarà l’insieme degli elementi e maggiori saranno le combinazioni prodotto-mercato-funzione. Dunque maggiore è l’accuratezza

dell’individuazione degli elementi, maggiore sarà l’efficacia del modello; in quanto non tutti gli incroci identificano effettivamente dei business.

Grazie agli studi effettuati da Abell si giunge alla definizione di Area Strategica d’Affari, come la risultante di scelte soggettive compiute dai diversi concorrenti operanti contemporaneamente in un determinato periodo di riferimento. Le scelte effettuate dai diversi concorrenti potranno determinare dei mutamenti nei confini di una determinata ASA, alle volte al punto tale da arrivare ad una modifica delle “regole” competitive, andando, ad esempio, a servire gruppi di clienti diversi oppure

introducendo nuove tecnologie. Con la rappresentazione delle ASA individuata grazie a questo modello di analisi, è

possibile individuare le diverse spinte concorrenziali, con il superamento dei limiti dell’analisi settoriale. Dato che uno stesso prodotto può rispondere a differenti funzioni d’uso, soddisfabili a loro volta grazie a differenti tecnologie, è evidente che grazie a questo rapporto tridimensionale un’impresa può stabilire, in maniera più efficace, il proprio obiettivo di mercato23.

1.3 Definizione dei Business

1.3.1

La matrice di Asnoff

Igor Ansoff, nel 1965, propose una matrice (Figura 9) che determinò grossi

cambiamenti nel modo di impostare la strategia in molte aziende. Questa matrice parte dal presupposto che lo sviluppo di un’azienda può risiedere in due elementi: il prodotto (ciò che si vede) e il mercato (a chi si vende il prodotto). Detta anche matrice

prodotto/mercato o matrice delle direttrici strategiche, punta alla diversificazione ed all’espansione. La strategia, sottostante il modello, è basata sugli assiomi che

23

(29)

28

un’azienda può e deve crescere; può incrementare il proprio business seguendo quattro strade, attraverso i suoi prodotti già affermati o di nuova concezione, in mercati in cui già opera o in nuovi. Tale strumento indirizza le aziende nella classificazione delle strategie di crescita intensiva e di diversificazione, ed a valutare le conseguenze in termini di cambiamento delle competenze necessarie per percorrere in modo

profittevole i sentieri individuati. Le strategie individuate dalla matrice sono quattro:

- Penetrazione di mercato quando si propone i prodotti esistenti nello stesso mercato. E’ una strategia che punta ad incrementare, stabilizzare e consolidare la presenza nel mercato in cui si sta già operando, con gli stessi prodotti che già si stanno vendendo (senza quindi andare ad intaccare nuove risorse) per

addentrarsi in quote di mercato non battute. E’ utile quando l’azienda scopre di avere dei punti deboli rispetto ai concorrenti. La si può ottenere in diversi modi: sviluppando la domanda primaria, aumentando la propria quota di mercato (attirando nuovi clienti, attraverso promozioni e campagne pubblicitarie),

razionalizzando il mercato (tentando di riposizionarsi cercando di ridurre i costi) o acquisendo mercati (anche attraverso joint venture24).

- Sviluppo di mercato attuando questa strategia l’azienda cerca di conquistare nuovi segmenti di mercato (diverso targhe, altre tipologie di distribuzione od aree geografiche differenti) senza variare la fabbricazione dei prodotti. Quindi punta ad andare ad individuare nuovi mercati in cui i bisogni possono essere soddisfatti grazie ai prodotti già realizzati dall’azienda. E’ una strategia che non richiede grossi investimenti economici e di solito si risolve andando a cercare nuovi canali distributivi. Viene spesso adottata in quanto non comporta grossi cambiamenti nell’azienda.

- Sviluppo di prodotto con questa strategia l’azienda propone, ai suoi clienti (esistenti), una serie di prodotti nuovi o servizi integrativi. Spesso viene

perseguita in quanto ha un rischio relativamente basso. E’ attuabile rinnovando

24 Definizione: “Contratto con cui due o più imprese, anche appartenenti a stati diversi, si

impegnano a collaborare nella realizzazione di un determinato progetto per suddividere i rischi e sfruttare le reciproche competenze”

(30)

29

od estendendo una gamma di prodotti, migliorandone la qualità o modificando delle caratteristiche.

- Diversificazione con questa strategia l’azienda ricerca dei mercati e clienti non ancora sondati per trovare occasioni nuove e praticabili, e lo fa trovando e inserendovi un nuovo prodotto. E’ una strategia particolarmente azzardata, rischiosa e dispendiosa, in quanto richiede molti investimenti, ma in caso positivo garantisce ottimi risultati.

Figura 9 Rielaborazione personale della Matrice di Asnoff

1.3.2

Rapporto tra business e risorse

In ogni impresa particolare attenzione deve essere posta al rapporto esistente tra le risorse e le combinazioni prodotto/mercato in cui si opera: molte risorse infatti possono essere utilizzate per più prodotti, così come i diversi prodotti possono richiedere

l’utilizzo di risorse differenti. Partendo dalle risorse di cui dispone l’impresa è possibile individuare le attività ed i prodotti/mercati che si adattano meglio all’impresa, così

(31)

30

come analizzando le attività dell’impresa è possibile quantificare le risorse di cui

necessita. La matrice risorse/business aiuta ad analizzare tale relazione, descrivendo appunto il

rapporto esistente tra le risorse di un’azienda ed il suo portafoglio business. In

particolare, per la realizzazione di un’efficace strategia di diversificazione è necessario che risorse e business siano coerenti, in modo che le risorse possano contribuire

all’ottenimento del vantaggio competitivo nei diversi business. Varie ricerche sul campo hanno dimostrato che le imprese spesso tendano a compiere due errori di calcolo relativi alle risorse: innanzitutto tendono a sovrastimare la trasferibilità di risorse specifiche; le aziende tendono anche a sovrastimare il valore di risorse molto generali nella creazione di un vantaggio competitivo in nuovi mercati. Per essere idonee a sostenere un processo di diversificazione, le risorse devono possedere determinati requisiti, superare alcuni tesi: per prima cosa, le risorse devono essere competitivamente superiori nel nuovo business; secondariamente, tali risorse su cui far leva devono essere fattori critici di successo in quel business, devono essere quindi foriere di benefici sostanziali per i clienti. L’azienda entrante in un nuovo business, inoltre, deve competere su tutte le risorse richieste per produrre e distribuire il prodotto od il servizio: deve cioè attuare una strategia in grado di raggiungere una parità competitiva nelle risorse che non detiene, ma che sono rilevanti per quel business. Ultimo test da superare riguarda l’essere sicuri che le risorse, che potrebbero contribuire al vantaggio competitivo, siano

effettivamente utilizzabili nel nuovo business. Dunque l’azienda, per intraprendere un valido processo di diversificazione, deve essere

certa che le proprie risorse di valore siano effettivamente replicabili nel nuovo business25. Nonostante l’espansione diversificata sia condizionata dalle risorse possedute

dall’azienda, è possibile affermare che non sia né necessario, né prudente, considerare esclusivamente solo tali risorse. Se l’impresa, fin da subito, mette in pratica una

strategia orientata allo sviluppo delle risorse mancanti, non è condizione essenziale che le risorse siano totalmente compatibili con i nuovi business per attuare la

diversificazione26

. Così facendo è possibile che un’azienda, oltre a sfruttare le sue

25

Collins, terza edizione “corporate level strategy” pp. 143-145

26

(32)

31

risorse, riesca a svilupparne di nuove. Le risorse hanno un ruolo chiave nell’indirizzare il processo di diversificazione, e, di

conseguenza, la scelta dei business; infatti quando un’impresa decide di espandersi, tende a diversificare la propria attività in una serie di settori accomunati oltre che dai fattori critici di successo, anche dal tipo di risorse e la possibilità dell’espansione

dipende proprio dalla quantità e qualità di queste ultime. In linea generale l’allocazione delle risorse e la strategia di espansione all’interno di un

processo di diversificazione, può avvenire seguendo due linee principali: espansione interna ed esterna. La prima è possibile se l’impresa, al suo interno, possiede risorse ridondanti coerenti con l’ingresso in un nuovo settore. Invece la crescita per vie esterne avviene attraverso processi di fusione e acquisizione di imprese preesistenti.

1.3.3

La diversificazione

Per diversificazione produttiva si intende l’entrata di un’impresa o di una business unit in una nuova linea di attività, attraverso lo sviluppo interno oppure attraverso

acquisizioni o alleanze27. E’ una strategia di crescita dell’impresa che contribuisce a definire un sistema di obiettivi articolato su una pluralità di combinazioni

prodotto/mercato, in modo da acquisire un vantaggio competitivo correlato sia all’esistenza nell’impresa di un insieme di risorse eccedenti a quelle effettivamente utilizzate, sia alla possibilità di conseguire economie di scopo ed economie

tradizionali28. Con le strategie di diversificazione l’impresa si inserisce dunque in nuove combinazioni

tecnologiche di prodotto in nuovi segmenti di mercato. A seconda delle interrelazioni che queste nuove combinazioni hanno con quelle attuali si possono individuare quattro diverse configurazioni di espansione diversificata29:

27 Ramanujam, Varadarajan, 1989 28

Lazzaretti e Pasquetti, 1996

29

(33)

32

– Diversificazione orizzontale processo di crescita caratterizzato

dall’introduzione, sugli stessi segmenti di mercato in cui l’impresa è attualmente presente, di nuove funzioni – tecnologie di prodotto che interpretano sostanziali discontinuità tecnologiche con quelle attuali.

– Diversificazione concentrica o correlata si manifesta quando le nuove combinazioni funzione – tecnologia di prodotto presentano dei significativi legami di complementarietà, sul piano tecnologico o commerciale, con quelle attuali. L’obiettivo è quindi quello di allargare il mercato dell’impresa beneficiando di effetti sinergici derivanti dalla complementarietà tra le attività. (Lambin)

– Diversificazione conglomerale o non correlata, indica il processo di crescita dimensionale mediante il quale l’impresa sviluppa prodotti che non hanno nessun rapporto con le attività tradizionali, né sul piano tecnologico né su quello commerciale.

– Diversificazione verticale, è una particolare forma di diversificazione che consiste nell’estensione dell’attività dell’impresa in un’altra a monte o a valle della catena del valore. In tale strategia di espansione l’azienda è cliente di se stessa (Penrose, 1959).

1.3.3.1 Perché le imprese diversificano?

Le motivazioni che spingono un’impresa a diversificare sono tante e possono essere sia di natura offensiva, ovvero il desiderio dell’azienda di impiegare e sfruttare appieno le proprie risorse fondamentali, che di natura difensiva, quando le capacità dell’azienda non sono adatte alle necessità del mercato in cui questa opera, (nella maggior parte dei casi il movente sembra essere il primo). Inoltre E. Penrose nei suoi studi distingue tra incentivi alla crescita di tipo esterno e di tipo interno30: i primi comprendono condizioni od opportunità ideali per intraprendere una nuova attività, si trovano nell’ambiente esterno all’impresa e possono presentare carattere difensivo od offensivo. Gli incentivi alla crescita interni sono condizioni favorevoli all’espansione diversificata interne all’impresa, possono avere carattere

30

(34)

33

difensivo, ma più spesso lo hanno offensivo, potendo essere legati al desiderio dell’azienda di impiegare e sfruttare al massimo le proprie risorse; quest’ultimo rappresenta uno dei maggiori motivi per cui un’impresa decide di intraprendere un

percorso di diversificazione31. Inoltre un’azienda può essere motivata a diversificare quando persegue obiettivi di

crescita, riduzione del rischio ed aumento della redditività; dati empirici dimostrano che gli obiettivi di crescita e riduzione del rischio spesso sono in contrasto con l’ultimo

obiettivo perseguito dalle imprese, l’aumento della redditività. La diversificazione, infatti, tendenzialmente privilegia lo sviluppo, che è sinonimo di

successo e crescita. L’aumento delle dimensioni dell’impresa da un lato può consentire lo sfruttamento di economie di scale e di un maggiore potere nel mercato, dall’altro rende il tutto più complesso e di più difficile coordinazione, con maggiori costi e

possibili maggiori sprechi. La crescita costa perchè richiede maggiori quantità di risorse in attività destinate a promuoverla. Inoltre il privilegiare la crescita da parte dei manager va a discapito della redditività, in quanto vi è un “problema di agenzia”32, si tratta di una strategia scelta dei manager che non è necessariamente in sintonia con gli obiettivi degli azionisti. Le aziende, però, diversificano anche per ridurre il rischio: ovvero scelgono di

diversificare il proprio portafoglio di attività per ridurre il rischio totale di impresa. Però non è detto che l’azienda, operante in più settori, riesca ad operare in tutti i business con la stessa redditività di un’impresa mono-business focalizzata. Questo può accadere per due motivi: in primo luogo il fatto di concentrarsi su una solo attività può portare ad usufruire dei vantaggi di specializzazione, in secondo si può verificare un aumento della complessità organizzativa dovuto all’espansione del portafoglio attività. Quindi il manager vede la crescita dell’impresa come una motivazione di tipo offensivo a favore della diversificazione, mentre quando il business tende verso gli stadi maturi o verso il declino tende ad adottare, in chiave difensiva, strategie di diversificazione pe ridurre il rischio33. In quest’ultimo caso, infatti, le aziende tendono ad intraprendere

31

Collins, terza edizione

32

Vishny (1988) spiegava che:“[…] quando i manager hanno un po’ di utili e gli azionisti sono

abbastanza dispersi da non poter perseguire una politica di massimizzazione del valore, gli assets possono essere impiegati a beneficio dei manager piuttosto che degli azionisti […]”

(35)

34

decisioni riguardanti l’entrata in nuovi business per dare continuità all’impresa; e spesso lo fanno utilizzando uno strumento manageriale elaborato nei primi anni ’70, la matrice

di portafoglio Boston Consulting Group (società di consulenza da cui deriva il nome34). Tale matrice fa parte degli strumenti di rappresentazione sintetica di tutti i business

aziendali, necessari a valutare la corporate strategy ed a trarre elementi dai singoli business e ridefinirne la strategia. L’oggetto di riferimento della matrice BCG sono le Aree Strategiche d’Affari dell’azienda, che vengono classificate in quattro tipi, in base al binomio profilo competitivo di ogni SBU (che ne considera la quota di mercato relativa) ed il profilo del settore di appartenenza di ogni SBU (attraverso il tasso di sviluppo del mercato di riferimento). La successiva figura 10 è una rappresentazione della matrice, in cui vengono spiegate le varie ASA e le relative azioni da

intraprendere.

Figura 10 Rielaborazione personale della matrice BCG

34

(36)

35

Alla luce della matrice esposta l’azienda dovrebbe sfruttare i business maturi (le ASA denominate cash cows) per massimizzare la generazione di flussi di cassa da trasferire a beneficio del segmento stars, comprendente i business in sviluppo e degli eventuali nuovi business in cui entrare, individuati dal segmento question marks. In un

portafoglio ideale non dovrebbero esserci le ASA caratterizzate da una bassa quota di mercato in mercato con un tasso di crescita relativamente basso (chiamate dogs).

Per quanto riguarda l’ultimo obiettivo conseguito dalle imprese che diversificavo, ovvero l’“aumento della redditività”, Porter offre tre strumenti per capire se la diversificazione creerà effettivamente valore per gli azionisti: il primo è il test

dell’attrattività del settore, il secondo riguarda l’analisi delle barriere e quindi valutare il costo di entrata nel nuovo business e, l’ultimo, è il better-off test, con cui si valuta se la diversificazione abbia la capacità di portare vantaggio competitivo alla nuova attività, all’attività distintiva od ad entrambe35

.

1.3.3.2 Modalità di diversificazione

La diversificazione può essere implementata in diversi modi: tramite lo sviluppo esterno, quello interno o mediante alleanze. Nessun delle varie modalità permette di avere la garanzia del successo certo, ognuna di esse presenta sia vantaggi che svantaggi; è dunque necessaria una valutazione preliminare delle diverse alternative.

Lo sviluppo esterno (acquisizioni) permette di ottenere immediatamente l'insieme di risorse necessarie per il raggiungimento di un vantaggio competitivo in un nuovo settore di attività. Non sarà necessario impiegare tempo ed energie per ottenere una posizione all'interno del mercato ne per sviluppare le risorse necessarie. Quindi uno dei principali vantaggi riguarda proprio il fatto chel’azienda, con l’acquisizione, è in grado di posizionarsi all’interno del settore in maniera immediata. Inoltre tra i vantaggi

dell'acquisizione di un’azienda già esistente vi è l’elimina dal mercato di un potenziale concorrente. Però le acquisizioni presentano anche una serie di svantaggi: innanzitutto sono dispendiose, richiedono elevati investimenti che comportano la necessità di

35

(37)

36

valutare, preliminarmente, che lo sforzo economico impiegato per ottenere

l’acquisizione non vada a dissipare il valore creato dalla stessa. Inoltre, nella maggior parte dei casi l’azienda acquisita potrebbe presentare una serie di attività e capacità non di vero interesse per l’azienda acquirente. L’eventuale gestione di attività superflue e il loro mantenimento nel portafoglio aziendale è spesso fonte di costi, in termini sia di denaro che di tempo. Altra svantaggio, legato alla diversificazione tramite sviluppo esterno, riguarda la difficoltà organizzativa che si può avere nel processo di integrazione post-acquisizione.

Lo sviluppo interno è una modalità di espansione utilizzata da quelle aziende

intenzionate a sfruttare in modo incrementale le proprie risorse. Il vantaggio principale è il fatto che può essere il modo più semplice di trasferire alcune delle risorse immateriali ad un nuovo business. Inoltre tale modalità permette una forte compatibilità con la cultura aziendale, incoraggia l’iniziativa imprenditoriale e gli investimenti interni e rende attuabile un processo decisorio incrementale che concili quello di apprendimento

interno all’impresa con i continui cambiamenti delle condizioni ambientali. Tra gli svantaggi, innanzitutto, troviamo il lungo periodo di tempo necessario per

implementare tale processo, dato che l’azienda si ritrova a dover sviluppare risorse che in precedenza non possedeva. Inoltre nella fase iniziale del processo, è possibile che l’azienda non riesca ad ottenere l’efficienza minima; vi è anche il rischio di aumentare la competitività del settore, con l’introduzione di nuove capacità nel mercato.

Una strada alternativa che l’azienda potrebbe percorrere è quella dell’alleanza. Questa modalità di espansione punta a godere dei benefici sia dello sviluppo esterno che di quello interno, senza però doversi confrontare con i svantaggi che entrambe le tipologie presentano. Tra i vari scopi delle alleanze vi è quello di combinare tra loro risorse complementari per poter entrare in nuovo business.; in quanto potrebbe verificarsi che un’azienda sia in possesso di risorse che potrebbero avere grande valore se venissero utilizzate in un nuovo business, ma non è in grado di mettere in atto il progetto senza le attività di un’altra impresa. Allora l’azienda può essere portata ad intraprendere questo tipo di alleanza. La rapidità dell’operazione rappresenta uno dei vantaggi, ma vi sono

(38)

37

anche vari rischi tra cui annoverano il fatto che la struttura sia spesso troppo fragile, incapace di conciliare necessità ed obiettivi competitivi contrastanti36.

1.3.3.3 Gli effetti della diversificazione

Nonostante l’espansione diversificata sia stata più volte oggetto di analisi, le conclusioni a riguardo sono a causa delle diverse motivazioni che hanno condotto l’azienda ad intraprendere tale strategia. La complessità del fenomeno è ricollegabile ad una molteplicità di fattori: in primo luogo non è semplice comparare la portata della diversificazione di differenti aziende; secondariamente quando i risultati da confrontare coprono un ampio periodo temporale la difficoltà della valutazione tende ad aumentare; l’ultimo fattore riguarda la serie di variabili che inquinano il rapporto di causalità tra i risultati aziendali e la diversificazione. Alla luce di questi motivi, per valutare

l’efficacia di un processo di diversificazione, è doveroso considerare le risorse a

disposizione dell’azienda e le opportunità di inserimento nei nuovi business. Molti studiosi sono giunti alla conclusione, affrettata e in molti casi errata, che la

diversificazione dissipa il valore dell’azienda, senza contribuire alla massimizzazione dei profitti, ovvero per questi studiosi più un’azienda è diversificata, minore sarà la sua

redditività media37. Un opinione favorevole alla diversificazione considera un’impresa che abbia una serie

di opportunità per attuarla e valuti la sua attuazione in base al grado di redditività. L’azienda in questione dovrebbe scegliere di seguire un ordine di redditività

decrescente, mettendo in atto solo quei progetti che garantiscono un valore attuale netto positivo; la conseguenza, nel tempo, sarà un aumento del reddito totale, ma una

diminuzione dei redditi medi; ciò darà luogo, comunque, ad una massimizzazione del valore perché si è considerato solo le attività garanti di un valore attuale netto positivo. Inoltre è necessario considerare che il rapporto tra la diversificazione ed i risultati dell’azienda non necessariamente è lineare. Per esempio R. Rumelt ha usato una serie di criteri oggettivi e soggettivi per classificare le aziende, invece di misurare la

36

Il presente paragrafo si basa su collins terza ed, pag 157-171

37

(39)

38

diversificazione come se fosse una variabile continua; da questi studi è nata un

importante distinzione della diversificazione, la quale può essere vincola (constrained) o collegata (linked)38. Nella diversificazione definita vincolata la maggior parte dei business di un’azienda si basa su un insieme di risorse specializzate, come la ricerca, il marketing o le attività operative. Nel caso della diversificazione collegata i nuovi business si aggiungono ai precedenti, in modo che ciascuno dei nuovi business sia

legato ad uno dei preesistenti, pur senza formare un tutto monolitico. Studi hanno evidenziato che i settori in cui operavano aziende, adottanti la

diversificazione vincolata, fossero mediamente più redditizi di quelli in cui operavano altre aziende, mentre i settori caratterizzati da aziende che adottavan0o quella non collegata risultassero in media meno redditizi. Ciò dimostra che la correlazione già osservata tra i diversi tipi di diversificazione e le performance aziendali dipende in parte

anche dalla natura e dalla redditività dei settori nei quali si collocano le aziende. In conclusione, è fondamentale che un’azienda intenzionata ad adottare una strategia di

espansione diversificata cerchi di entrare in quei settori che, oltre ad essere altamente redditizi, le consentano di utilizzare le proprie risorse per il raggiungimento del vantaggio competitivo.

1.4 Formula imprenditoriale a livello di ASA

La formula imprenditoriale del Coda è uno schema di rappresentazione della strategia in termini di posizionamento nel contesto competitivo ed in quello sociale; ma è anche un utilissimo strumento diagnostico, che permette di individuare ed analizzare le variabili che compongono il disegno imprenditoriale e di leggerle secondo una prospettiva sistemica ed in relazione alla condizioni di successo dell’impresa. Viene definita come “risultante delle scelte di fondo riguardanti cinque variabili”:

- I mercati, più in generale il sistema competitivo in cui l’impresa è inserita, ed a cui indirizza la propria offerta;

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