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L'ileostomia escludente temporanea nella resezione anteriore del retto: analisi retrospettiva su 106 pazienti

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia _______________________________________________________________

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

L’ileostomia escludente temporanea nella resezione

anteriore del retto: analisi retrospettiva su 106 pazienti

CANDIDATO

RELATORE

Barbara Bilotta Zaccari

Chiar.mo Dott. Piero Buccianti

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Ai miei Genitori e a mia Sorella, per il sostegno, la comprensione, la pazienza, la sopportazione e l’amore in questi anni.

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare innanzitutto il Direttore dell’U.O. Chirurgia Generale S.S.N. della A.O.U.P. Dott. Piero Buccianti, Relatore di questa Tesi di Laurea, oltreché per avermi dato fiducia, per l’aiuto e la disponibilità dimostratemi durante tutto il periodo di stesura.

Inoltre, ringrazio sentitamente il Dott. Carlo Maria Neri per le numerose ore dedicatemi in questi mesi, dimostrandosi sempre più che disponibile e paziente a dirimere i miei dubbi, fornendomi tutto il suo aiuto, il suo supporto (e la sua sopportazione) e prendendo a cuore la mia Tesi di Laurea come se fosse la sua. A lui va tutta la mia riconoscenza.

Desidero inoltre ringraziare la Dott.ssa Gabriella Licitra, la Dott.ssa Elisabetta Rossi, il Dottor Francesco Sidoti e il Dottor Riccardo Balestri per i loro suggerimenti, le loro critiche e le loro osservazioni, preziosi per la realizzazione di questo lavore.

Ringrazio infine di cuore l’intero Reparto di Chirurgia Generale S.S.N. della A.O.U.P. per avermi accolta in questi mesi e per avermi trasmesso l’entusiasmo e la passione verso la Chirurgia.

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INDICE

CAPITOLO 1 – Il CARCINOMA DEL COLON-RETTO ... 5

1.1 Cenni di anatomia chirurgica ...5

1.2 Epidemiologia ...14

1.3 Fattori di rischio e cancerogenesi ...20

1.4 Segni e sintomi ...27

1.5 Diagnosi e screening ...29

1.6 Anatomia patologica ...33

1.7 Stadiazione...36

1.8 Terapia ...41

CAPITOLO

2 –

ANALISI CRITICA DELLA LETTERATURA

SCIENTIFICA... 47

2.1 Il ruolo dell’ileostomia escludente temporanea ...47

2.2 Le indagini clinico-strumentali per la valutazione dell’anastomosi colo-rettale o colo-anale...60

CAPITOLO 3 – STUDIO SPERIMENTALE... 69

3.1 Scopo della tesi...69

3.2 Management perioperatorio dell’intervento chirurgico di resezione anteriore del retto con TME...70

3.3 Tecnica chirurgica ...72

3.3.1. Laparoscopia ...72

3.3.2. Robot ...79

3.4 Management dell’ileostomia escludente temporanea ...81

3.5 Materiali e metodi ...85

3.6 Risultati ...87

3.7 Discussione ...94

3.8 Conclusioni ... 111

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CAPITOLO 1 – Il CARCINOMA DEL COLON-RETTO

1.1 Cenni di anatomia chirurgica

Il retto è il segmento terminale del tubo digerente, fa seguito al sigma a livello della terza vertebra sacrale e termina alla linea ano-cutanea o margine anale.

Dalla sua origine il retto discende sulla faccia anteriore del sacro e del coccige (di cui segue la concavità anteriore), descrivendo una curvatura sagittale a concavità anteriore (curva sacrale) e poggiando lateralmente sulle pareti laterali della pelvi; all’altezza dell’apice della prostata nel maschio e del terzo medio della vagina nella femmina la curvatura sagittale cambia, presentando la convessità volta in avanti (curva perineale); l’ultimo tratto del retto si dirige pertanto in basso e in dietro.

Queste due curvature delimitano due porzioni funzionalmente distinte del retto: il retto pelvico o ampolla rettale (serbatoio contrattile posto nella concavità sacro-coccigea, all’interno della piccola pelvi) e il retto perineale o canale anale (zona sfinteriale circondata da due muscoli, lo sfintere anale interno e lo sfintere anale esterno). Il limite anatomico tra le due parti è dato dall’inserzione sulla parete rettale del muscolo elevatore dell’ano: pertanto la parte pelvica del retto si trova al di sopra del muscolo elevatore dell’ano, la parte peritoneale si trova al di sotto.

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Nel discendere il retto presenta anche due curvature sul piano frontale, di cui la prima è convessa a destra, la seconda è convessa a sinistra; queste flessuosità, meno accentuate delle curve sagittali, scompaiono quando il viscere è disteso.

Il limite inferiore del retto è la giunzione anorettale; il limite superiore è molto variabile, corrispondendo alla giunzione o cerniera retto-sigmoidea.

Secondo gli anatomisti il limite superiore del retto si situa in corrispondenza della terza vertebra sacrale (questo repere vale su un retto “in sede”, cioè non liberato, e senza che si eserciti alcuna trazione chirurgica verso l’alto).

Endoscopicamente la giunzione retto-sigmoidea corrisponde alla terza valvola mucosa. La distanza dal margine anale varia considerevolmente a seconda che si impieghi un rettoscopio rigido o un colonscopio flessibile, che la misura sia effettuata durante la progressione dello strumento o della sua rimozione, che l’operatore realizzi un “raddrizzamento” o meno del colonscopio, a seconda del volume delle natiche e della posizione del malato… Come mostrato in figura, la distanza a partire dal margine anale è molto variabile a seconda che si misuri la faccia anteriore (molto breve, con uno sfondato del Douglas talvolta a meno di 5 cm dal margine anale nella donna) o la faccia posteriore (aderente al sacro, con una giunzione retto-sigmoidea che può arrivare talvolta a distare, in colonscopia, 18-19 cm dal margine anale).

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In anatomia chirurgica la giunzione retto-sigmoidea si trova dove il sigma si unisce alla linea mediana, a livello del promontorio: chirurgicamente i criteri che permettono di situare la giunzione retto-sigmoidea sono la scomparsa delle tenie coliche, la vascolarizzazione di tipo longitudinale con la terminazione dell’arteria rettale superiore nei due rami destro e sinistro, la differenza di calibro dell’ampolla rettale e infine l’ispessimento del meso che passa da mesocolon a mesoretto a livello della biforcazione dell’arteria rettale superiore. Questi parametri sono comunque vaghi e spesso soggetti a interpretazioni diverse; in effetti nessuna struttura definisce chiaramente questo limite.

Chirurgicamente il retto può essere suddiviso in tre parti:

 il retto alto, metà superiore dell’ampolla rettale, grossolanamente situato al di sopra dello sfondato del Douglas, della lunghezza classica tra i 6-12 cm e i 15-18 cm dal margine anale a seconda dei metodi di misura

 il retto basso, metà inferiore dell’ampolla rettale, che scende fino al margine superiore dei muscoli elevatori dell’ano, corrisponde al retto extraperitoneale ed è valutabile con l’esplorazione rettale digitale

 il retto perineale o canale anale, tra 0 e 3-4 cm dal margine anale

Il peritoneo riveste solo una parte del retto; in particolare, tappezza la faccia anteriore e superiore del retto pelvico prima di riflettersi sugli organi genitali, costituendo il fondo cieco peritoneale inferiore dello sfondato del Douglas. Il peritoneo si riflette in avanti nella donna sulla parete posteriore dell’utero costituendo il fondo cieco del cavo retto-uterino di Douglas, nell’uomo sulle vescichette seminali, i dotti deferenti e la vescica formando il fondo cieco del cavo retto-vescicale di Douglas.

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I rapporti della parte di retto avvolta dal peritoneo sono pertanto la base della vescica nell’uomo e la faccia posteriore dell’utero nella donna.

Il peritoneo risale quindi sulle pareti laterali del retto abbandonandole secondo una linea di riflessione obliqua in alto e in fuori per continuare come peritoneo parietale della pelvi. Sono dunque sprovviste di rivestimento sieroso la parte della faccia anteriore al di sotto del cavo di Douglas, una parte maggiore delle facce laterali e completamente la faccia posteriore del retto.

In definitiva, il retto è suddiviso dal peritoneo in due porzioni: una parte superiore, parzialmente intraperitoneale, e una parte inferiore, extraperitoneale, di più difficile accesso chirurgico.

Al di sotto della riflessione peritoneale, il retto è contenuto nella fossa ischio-rettale, delimitata dalla riflessione peritoneale stessa in alto, dal perineo in basso e dalle ossa ischiatiche destra e sinistra lateralmente. Questo spazio è separato dal muscolo elevatore dell’ano in spazi infraelevatori e sovraelevatori. Anteriormente il retto extraperitoneale entra in rapporto nell’uomo con la faccia posteriore delle vescichette seminali e della prostata, nella donna con la faccia posteriore dell’utero, della cervice uterina e della vagina.

Il retto è separato dalla zona genitale dalla fascia retto-genitale di Denonvilliers, una struttura fibrosa muscolo-elastica che avvolge gli elementi

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neuro-vascolari destinati alla zona genitale e rettale (specialmente i nervi cavernosi e spongiosi) e che separa il retto dagli organi genitali (in particolare, separa il retto nell’uomo dalla vescica, dalle vescichette seminali e dalla prostata, mentre nella donna dalla vagina).

Posteriormente il retto corrisponde alle ultime vertebre sacrali e al coccige, si trova tra la fascia recti e il sacro, l’arteria sacrale media e i rami anteriori dei tronchi sacrali S2, S3, S4, o nervi simpatici ipogastrici.

Lateralmente il retto corrisponde ai vasi rettali intermedi (incostanti), ai vasi linfatici rettali, all’uretere pelvico, nonché ai plessi ipogastrici inferiori.

Il retto extraperitoneale è circondato dalla fascia pelvica, costituita da due foglietti: il foglietto viscerale della fascia pelvica o fascia recti, che circonda il retto propriamente detto, e il foglietto parietale della fascia pelvica.

I due foglietti si fondono davanti e dietro al di sotto del cavo del Douglas, formando l’aponeurosi di Denonvillers nell’uomo e il setto (septum) retto-vaginale nella donna. Posteriormente, in corrispondenza della quarta vertebra sacrale, a 3-4 cm dalla giunzione anorettale, formano il legamento sacro-rettale che va sezionato per accedere ai muscoli elevatori dell’ano1-3

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Il mesoretto, struttura non descritta nei trattati di anatomia classici, è un’acquisizione apparsa in letteratura chirurgica nel 1982 con Heald, il quale ha diffuso l’importanza della sua asportazione completa nella chirurgia del tumore del retto4.

Il mesoretto è il tessuto cellulo-adiposo contenente strutture nervose e linfo-vascolari, compreso tra la tonaca muscolare del retto e il foglietto viscerale della fascia pelvica o fascia recti. È presente sui ¾ della circonferenza del retto extraperitoneale a livello postero-laterale. La faccia anteriore del retto sottoperitoneale è di solito (ma non sempre e in particolare negli obesi) sprovvista di tessuto adiposo, al pari degli ultimi 2-3 cm del retto pelvico.

Nel mesoretto avviene l’essenziale dell’interessamento linfatico dei tumori del retto: in altre parole, il mesoretto è la via di drenaggio linfatico principale dei tumori rettali. L’estensione avviene in tre direzioni. Principalmente il drenaggio linfatico avviene in seno al mesoretto verso l’alto: ciò giustifica la resezione in blocco del mesoretto contenente il peduncolo rettale superiore. Tuttavia possono esservi anche degli emboli neoplastici linfatici o dei linfonodi infiltrati verso il basso nel mesoretto sino a 4 cm a valle del margine distale del tumore; pertanto, poiché nella pratica clinica è stato dimostrato che un’infiltrazione a carico dei vasi linfatici della parete pelvica o nel mesoretto verso il basso per più di 4 cm indica sempre una diffusione metastatica o linfonodale tale che un intervento chirurgico non potrebbe più essere considerato curativo, in tutti i cancri del retto si ritiene necessaria e sufficiente la resezione del retto (e soprattutto l’exeresi extrafasciale del mesoretto) 5 cm al di sotto del margine distale del tumore per evitare qualunque inutile rischio di infiltrazione della sezione. Per neoplasie rettali molto basse è ugualmente necessaria l’exeresi extrafasciale del mesoretto, ma l’assenza di quest’ultimo a livello dell’ultima porzione del retto stesso permette di accorciare a 2 cm la distanza di sicurezza al di sotto del margine distale del tumore1,2. Per i carcinomi del terzo inferiore del retto trattati con terapia neoadiuvante, in relazione al grado di risposta ottenuto dopo il trattamento preoperatorio, è

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accettabile un margine distale di 1 cm (o comunque inferiore a 2 cm), sempre eseguendo una resezione completa del mesoretto (in questo caso può essere utile eseguire un esame istologico intraoperatorio per escludere l’infiltrazione distale)5.

I tumori rettali che oltrepassano la parete si sviluppano nel mesoretto potendo raggiungere, se non oltrepassare, la fascia recti verso la fascia parietale: in questo caso il tumore è “fisso”. Questa estensione laterale perirettale, definita anche radiale, e il conseguente interessamento linfatico laterale nel mesoretto verso la fascia recti sono noti da tempo, ma il valore prognostico di un’invasione laterale della fascia recti e dei margini circonferenziali è stato a lungo sottovalutato1.

Per margine di resezione circonferenziale si intende il margine di tessuto sano compreso fra qualsiasi struttura neoplastica presente nel mesoretto e il margine di resezione mesorettale. Oggi si considera che il margine di resezione circonferenziale abbia altrettanta importanza del margine di resezione distale: infatti, la presenza di neoplasia entro 1 mm dal margine di resezione circonferenziale è correlata non solo a un’elevata probabilità di recidiva locale,

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ma anche a una minor sopravvivenza globale e libera da malattia e la resezione è da ritenersi subottimale se la fascia propria del mesoretto non è integra5.

Ciò giustifica l’exeresi extrafasciale del mesoretto sino al suo piano di sezione e non obliquamente, onde evitare “l’effetto cono” descritto quando il chirurgo che disseca il mesoretto ha la tendenza ad avvicinarsi sempre più al retto e al tumore man mano che la dissezione diviene più profonda e più disagevole nella pelvi; in tal modo in effetti si ha un’apertura del mesoretto potenzialmente infiltrato a livello delle pareti della pelvi potendo trascurare linfonodi metastatici.

In conclusione, per tutti i tumori del retto l’exeresi del mesoretto deve essere extrafasciale, deve cioè rispettare la fascia recti evitando così di creare un’invasione laterale1

.

In clinica Heald, che ha messo a punto la tecnica di exeresi completa del mesoretto (TME, Total Mesorectal Excision), ha descritto con questo metodo un tasso di recidive loco-regionali del 4% a 5 anni in pazienti non sottoposti ad alcuna radioterapia né preoperatoria né postoperatoria4,6. Sebbene questi dati, confermati successivamente da vari Autori, debbano essere interpretati con prudenza (poiché si tratta di studi monocentrici, retrospettivi o prospettici, ma non randomizzati e provenienti da centri specialistici)1, la resezione del retto con l’escissione totale del mesoretto (TME) in blocco fino al piano dei muscoli

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elevatori dell’ano, mantenendo l’integrità della fascia mesorettale, è il gold standard del trattamento chirurgico del cancro del retto extraperitoneale.

Numerosi studi hanno dimostrato che tale tecnica riduce il rischio di recidive locali (aumentando la sopravvivenza) e preserva la funzione sessuale e urinaria, riducendo il rischio di lesioni ai nervi autonomici4,6-9.

Alla luce delle attuali acquisizioni, l’escissione totale del mesoretto (TME) fino al piano dei muscoli elevatori dell’ano è raccomandata per i tumori del retto medio-inferiore (extraperitoneale), a prescindere dal ripristino o meno della continuità intestinale.

Non è invece giustificata per i tumori del terzo superiore del retto, per i quali è sufficiente una resezione 5 cm a valle del tumore a condizione di asportare il mesoretto corrispondente (per almeno 5 cm distalmente rispetto al tumore) e seguendo la tecnica dell’exeresi completa del mesoretto (cioè rispettando la fascia recti corrispondente al livello della sezione)1,5.

Devono essere sempre conservati i nervi e i plessi autonomici, la cui lesione comporta gravi sequele di tipo urinario (vescica neurogena) e sessuale (eiaculazione retrograda, impotenza).

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1.2 Epidemiologia

Il tumore del retto dal punto di vista epidemiologico viene quasi sempre considerato in associazione con il tumore del colon per le loro caratteristiche simili, quali i fattori di rischio e la patogenesi.

Il carcinoma del colon-retto è uno dei tumori maligni più frequenti nella popolazione su scala mondiale (1,36 milioni di casi nel 2012)10.

Negli Stati Uniti, escludendo i tumori maligni della cute, il cancro del colon-retto è la terza neoplasia più frequente sia negli uomini (71.420 nuovi casi nel 2017, 9% di tutti i tumori) sia nelle donne (64.010 nuovi casi nel 2017, 8% di tutti i tumori), essendo preceduta nei primi dal tumore della prostata e dal tumore del polmone, nelle seconde dal tumore della mammella e dal tumore del polmone11,12.

Circa il 55% dei casi di tumore del colon-retto si verifica nei paesi più sviluppati10, ma stanno aumentando rapidamente le diagnosi anche nei paesi in via di sviluppo che adottano uno stile di vita occidentale.

Studi su migranti da regioni a basso rischio (ad esempio Giappone) in regioni ad alto rischio (ad esempio USA) mostrano che l’incidenza di malattia nei migranti di seconda generazione è simile a quella del nuovo paese di residenza e nettamente superiore a quella del paese d’origine13,14. Questi dati evidenziano l’importanza delle influenze ambientali sulla cancerogenesi colon-rettale13.

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Su scala mondiale l’incidenza del carcinoma del colon-retto ha una variabilità di circa 10 volte (con valori molto simili negli uomini e nelle donne), con i tassi più alti in Australia/Nuova Zelanda (44,4/100.000 negli uomini e 32,2/100.000 nelle donne) e quelli più bassi in Africa occidentale (4,5/100.000 negli uomini e 3,8/100.000 nelle donne)10. La sorprendente variabilità geografica e socio-economica nell’incidenza della patologia riflette a livello globale il forte impatto delle differenze demografiche della popolazione, dello stile di vita, della prevalenza dei fattori di rischio (quali obesità, scorrette abitudini alimentari e fumo) e dell’accessibilità ai programmi di screening sul verificarsi di tale neoplasia.

Il picco di incidenza del tumore del colon-retto (58%) avviene in età compresa tra i 60 e i 70 anni, meno del 20% dei casi si verifica prima dei 50 anni di età. Gli uomini risultano leggermente più colpiti delle donne11.

La mortalità per cancro del colon-retto è notevolmente inferiore rispetto all’incidenza (694.000 morti in entrambi i sessi, 8,5% del totale), con più decessi (52%) nei paesi meno sviluppati del mondo a testimonianza di una prognosi peggiore in queste regioni.

Inoltre su scala mondiale la mortalità ha una minore variabilità (6 volte negli uomini, 4 volte nelle donne), con i tassi più alti nell’Europa centrale e orientale (20,3/100.000 negli uomini e 11,7/100.000 nelle donne) e quelli più bassi in Africa occidentale (3,5/100.000 negli uomini e 3/100.000 nelle donne)10. La disparità nella mortalità riflette principalmente le disuguaglianze nelle comorbilità, nell’accesso alle cure e nel trattamento e forse l’inadeguato follow-up delle lesioni precancerose individuate durante gli esami di screening11.

Secondo le stime dell’American Cancer Society, nel 2017 negli Stati Uniti sono stati 135.430 i nuovi casi di carcinoma del colon-retto11 (di cui 95.520 nuovi casi di carcinoma del colon e 39.910 nuovi casi di carcinoma del retto)11,15 e 50.260 i decessi per questo tumore11.

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Il carcinoma del colon-retto è la seconda causa di morte per neoplasia nell’uomo (27.150 decessi nel 2017, 9% di tutte le morti per tumore) e la terza causa di morte per neoplasia nella donna (23.110 decessi nel 2017, 8% di tutte le morti per tumore), essendo preceduto nei primi dal tumore del polmone e nelle seconde dal tumore della mammella; è la seconda causa di morte per tumore quando si considerano insieme entrambi i sessi12,15.

Sfortunatamente non sono disponibili statistiche accurate sui decessi per tumore del colon e per tumore del retto separatamente, perché un gran numero di morti per cancro del retto è classificato erroneamente come morti per cancro del colon. Si ritiene che questa errata classificazione sia causata dall’uso diffuso della dizione “cancro del colon” per riferirsi sia al cancro del colon sia al cancro del retto11,15.

Negli ultimi anni l’incidenza e la mortalità per carcinoma del colon-retto sono in netta diminuzione grazie alla riduzione dell’esposizione ai fattori di rischio (quali la riduzione dell’abitudine al fumo e del consumo di carni rosse e l’aumento dell’assunzione di aspirina), l’introduzione e la diffusione dei test di screening e il miglioramento delle terapie11. Dal 2004 al 2013 l’incidenza è diminuita di circa il 3% all’anno nelle persone di età uguale o superiore a 50 anni, ma è aumentata di circa il 2% all’anno in quelle di età inferiore ai 50 anni, in gran parte sostenuta dall’aumento dell’incidenza del cancro del retto15. Sebbene la maggioranza di nuovi casi di tumore del colon-retto (58%) si

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verifichi in persone di età pari o superiore ai 65 anni, il 45% degli uomini e il 39% delle donne hanno un’età inferiore ai 65 anni al momento della diagnosi.

Negli ultimi decenni la mortalità per carcinoma del colon-retto è diminuita in entrambi i sessi grazie alla riduzione dell’esposizione ai fattori di rischio (35%), ai progressi nello screening e nella diagnosi precoce (53%) e al miglioramento delle terapie (12%).

Negli Stati Uniti la mortalità per carcinoma del colon-retto nel 2014 (14/100.000 individui) è dimezzata rispetto al 1975 (28/100.000 persone)11,12,15.

L’adesione ai programmi di screening è sicuramente uno dei motivi principali della riduzione della mortalità: permette infatti di individuare e asportare precocemente i polipi del colon-retto (lesioni precancerose) prima che si trasformino in tumori maligni, nonché di individuare una neoplasia quando è ancora allo stadio iniziale e quindi più facile da trattare. Un altro motivo è il miglioramento della terapia del carcinoma del colon-retto che c’è stato nelle ultime decadi16.

I tassi di sopravvivenza per carcinoma del colon-retto sono molto aumentati nel corso del tempo e non variano sostanzialmente nei due sessi: dalla metà degli anni 70 al periodo di cui sono disponibili i dati più recenti (2006-2012) il tasso di sopravvivenza a 5 anni, a prescindere dallo stadio di malattia, è aumentato dal 51% al 66% per il cancro del colon e dal 48% al 68% per il cancro del retto. Questi numeri riflettono il miglioramento nella diagnosi precoce e nel trattamento.

Il cancro del colon-retto viene oggi diagnosticato allo stadio iniziale nel 39% dei pazienti: in questo caso la sopravvivenza a 5 anni è del 90%. Complessivamente la sopravvivenza a 5 anni è leggermente superiore per i pazienti con carcinoma del retto (67%) che per i pazienti con carcinoma del colon (64%). La sopravvivenza a 5 anni si riduce invece rispettivamente al 71% e al 41% quando alla diagnosi il tumore ha già una diffusione regionale e

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La sopravvivenza a 5 anni varia anche in funzione dell’età del paziente, essendo superiore nei soggetti di età inferiore ai 65 anni che in quelli di età superiore o uguale a 65 anni (69% vs 62%). Peraltro questo vantaggio di età è maggiore per chi ha un tumore del retto (72% vs 60%) rispetto a chi ha un tumore del colon (68% vs 62%)11.

Questo netto aumento della sopravvivenza riflette gli importanti miglioramenti nel trattamento, inclusa la terapia adiuvante per i carcinomi del colon resecabili in stadio III, la radio(chemio)terapia neoadiuvante per i tumori del retto localmente avanzati e la chirurgia mirata per il carcinoma del colon-retto in stadio avanzato.

Inoltre i progressi nella diagnosi e nel trattamento delle metastasi epatiche da tumore del colon-retto hanno notevolmente influenzato la sopravvivenza a 2 anni dei pazienti con malattia metastatica facendola aumentare nettamente11.

Per quanto riguarda l’Italia, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), sulla base dei dati forniti dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), stima che nel 2017 siano stati diagnosticati 53.000 nuovi casi di carcinoma del colon-retto, il tumore più frequente nella popolazione italiana (seguito dalle neoplasie di mammella, polmone e prostata).

Il carcinoma del colon-retto è il secondo tumore più frequente nella popolazione sia maschile (16% di tutti i nuovi tumori, preceduto dal tumore della prostata) sia femminile (13% di tutti i nuovi tumori, preceduto dal tumore della mammella).

In Italia la probabilità di ammalarsi di tumore del colon-retto è di 1 uomo su 11 e di 1 donna su 18.

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La diffusione dei fattori di rischio, l’anticipazione diagnostica e l’aumento dell’età media della popolazione sono stati alla base del progressivo aumento dell’incidenza del carcinoma del colon-retto negli anni passati. Tuttavia nell’ultimo decennio si sta verificando una lieve ma progressiva riduzione dell’incidenza di tale neoplasia grazie al forte impatto che hanno avuto nella popolazione generale i programmi di screening organizzati sul territorio nazionale: infatti l’incidenza del tumore del colon è in calo tra gli uomini (-3,2% per anno), mentre quella del tumore del retto è in calo in entrambi i sessi (-3,9% e -3,2% per anno rispettivamente in uomini e donne).

I confronti geografici nazionali mostrano valori omogenei nel centro-nord e inferiori al sud/isole sia negli uomini sia nelle donne, anch’essi coerenti con la diversa presenza dei fattori precedentemente indicati.

Nel 2014 (ultimo dato ISTAT disponibile) sono stati 18.671 i decessi per carcinoma del colon-retto, il 54% dei quali negli uomini. I dati riguardanti le aree coperte dai registri tumori indicano il carcinoma del colon-retto come la seconda causa di morte oncologica sia negli uomini (17%) sia nelle donne (12%), preceduto nei primi dal tumore del polmone e nelle seconde dal tumore della mammella. La mortalità per questa patologia è comunque in diminuzione sia negli uomini (-1,8%/anno) sia nelle donne (-1,0%/anno).

Il carcinoma del colon-retto ha una prognosi sostanzialmente favorevole. La sopravvivenza a 5 anni in Italia è del 66% per il tumore del colon e del 62% per il tumore del retto, senza alcuna differenza di genere; ha inoltre valori elevati tra i pazienti giovani, passando dal 69% tra i 15 e i 44 anni di età al 54% tra gli anziani (età superiore a 75 anni). La sopravvivenza dopo 10 anni dalla diagnosi risulta leggermente inferiore rispetto a quella a 5 anni, con valori del 64% per il tumore del colon e del 58% per il tumore del retto, omogenea tra uomini e donne.

Sono più di 464.000 i pazienti con pregressa diagnosi di carcinoma del colon-retto in Italia (53% maschi), il 17% dei quali si trova in verità a ormai

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1.3 Fattori di rischio e cancerogenesi

La maggior parte dei tumori del colon-retto (80%) è sporadica5. Oltre all’età e al sesso maschile18, sono da tempo chiamati in causa quali fattori di rischio di questa neoplasia la familiarità, gli stili di vita e le abitudini alimentari13.

In particolare, tra le abitudini alimentari spicca una dieta ricca di carni rosse, insaccati, farine, carboidrati raffinati e povera di fibre non assorbibili (soprattutto frutta e verdura); tra gli stili di vita sono compresi il sovrappeso, l’obesità e la ridotta attività fisica, il fumo e l’abuso di alcol13,15,19

.

Riducono invece il rischio di carcinoma del colon-retto, oltre il controllo dei citati fattori di rischio, l’elevato consumo di fibre (soprattutto frutta e verdure)13,15,19, carboidrati non raffinati, vitamina D e calcio, vitamina B6 e folati13,19 e la somministrazione a dosi appropriate per lungo tempo di antiinfiammatori non steroidei (quali l’aspirina)13-15,19.

Ulteriori condizioni di rischio sono una storia personale di malattie infiammatorie croniche intestinali14,20 e di diabete mellito15.

Per quanto riguarda le malattie infiammatorie croniche intestinali (malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa), il rischio è direttamente proporzionale alla durata di malattia (2% a 10 anni, 18% a 30 anni), nonché alla gravità e all’estensione dell’infiammazione18

.

Il 20% dei carcinomi del colon-retto è considerato di tipo familiare o legato a sindromi genetiche5. Solo il 2-5% dei tumori del colon-retto con caratteristiche di familiarità ascrivibili a suscettibilità ereditaria20 è riconducibile a sindromi in cui sono state identificate mutazioni genetiche specifiche21. Fra queste ci sono le sindromi caratterizzate dall’insorgenza di polipi (quali la Poliposi Adenomatosa Familiare, FAP) e le sindromi non poliposiche (come la sindrome di Lynch, nota anche come Sindrome Non-Poliposica del Carcinoma Colon-rettale Ereditario, Hereditary Non-Polyposis Colorectal Cancer, HNPCC)14,20.

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Per gli individui appartenenti a gruppi familiari a rischio non ancora inquadrati in sindromi definite, il rischio di ammalarsi di carcinoma del colon-retto è circa doppio rispetto alla popolazione generale nel caso in cui sia presente un consanguineo di primo grado e più che triplo qualora quest’ultimo abbia contratto il tumore prima dei 50 anni di età17,20.

Lo studio delle mutazioni genetiche responsabili delle sindromi familiari ha fornito importanti informazioni sulla patogenesi molecolare dei tumori del colon-retto sporadici.

Nelle sindromi familiari sono ereditati un allele mutato e un allele normale di un gene oncosoppressore o di un gene riparatore del DNA, con conseguente spiccata suscettibilità a sviluppare un tumore del colon-retto. Quando anche la copia normale viene persa (per mutazione o silenziamento epigenetico), l’accumulo di successive mutazioni determina la formazione del tumore20

. La combinazione di eventi molecolari che portano al carcinoma del colon-retto è molto varia e comprende anomalie genetiche ed epigenetiche. Sono state descritte almeno due vie genetiche distinte: la via APC/β-catenina (associata a WNT e alla classica sequenza adenoma-carcinoma) e la via dell’instabilità dei microsatelliti (associata a difetti nel sistema di riparazione dei mismatch del DNA). Entrambe le vie implicano il graduale accumulo di mutazioni multiple, ma i geni coinvolti e i meccanismi di accumulo differiscono. Eventi epigenetici, il più comune dei quali è il silenziamento genico indotto da metilazione, possono accentuare la progressione lungo entrambe le vie.

Le due più comuni sindromi familiari seguono la patogenesi molecolare tipica del carcinoma del colon-retto: in particolare, la poliposi adenomatosa familiare è provocata da mutazioni del gene oncosoppressore APC e segue la classica sequenza adenoma-carcinoma, la sindrome di Lynch è causata da mutazioni ereditarie nei geni riparatori degli errori di mismatch del DNA20.

La via APC/β-catenina è caratterizzata da un’instabilità cromosomica che determina il graduale accumulo di mutazioni in oncogeni e in geni

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rettale si verifica attraversando una serie di fasi morfologicamente identificabili: inizialmente vi è una proliferazione localizzata dell’epitelio del colon-retto, seguita dalla formazione di piccoli adenomi che si ingrandiscono progressivamente (con displasia sempre più marcata) e che infine si trasformano in carcinomi invasivi. Si parla pertanto di sequenza adenoma -carcinoma: questa via cancerogenica è implicata fino nell’80% dei tumori sporadici del colon-retto22 (in altre parole, fino all’80% dei carcinomi del colon-retto insorge a partire da lesioni precancerose, ovvero adenomi con componente displastica via via crescente13,15,19) e rappresenta la principale alterazione genetica nella poliposi adenomatosa familiare22.

Questo modello di cancerogenesi è documentato dalle seguenti osservazioni: le popolazioni con un’alta prevalenza di adenomi colon-rettali hanno un’alta prevalenza di carcinomi colon-rettali e viceversa; la distribuzione degli adenomi colon-rettali ricalca all’incirca quella dei carcinomi colon-rettali; il picco di incidenza dei polipi adenomatosi precede di alcuni anni quello del carcinoma colon-rettale; quando si identifica un carcinoma invasivo in uno stadio precoce, spesso è presente del tessuto adenomatoso circostante; il rischio di carcinoma colon-rettale è direttamente proporzionale al numero di adenomi colon-rettali presenti (e la sostanziale certezza dei pazienti con poliposi adenomatosa familiare di sviluppare un carcinoma colon-rettale altro non è che l’applicazione di tale regola in casi estremi); i programmi di screening per l’identificazione degli adenomi colon-rettali, con escissione delle lesioni sospette, riducono l’incidenza del carcinoma colon-rettale.

La sequenza adenoma-carcinoma ha delle basi genetiche ben definite. Si ipotizza che la perdita di una copia normale del gene oncosoppressore APC si verifichi all’inizio del processo neoplastico. Entrambe le copie del gene APC devono essere disattivate dal punto di vista funzionale (tramite mutazione o eventi epigenetici) perché si sviluppino gli adenomi colon-rettali. APC è un gene regolatore negativo essenziale della β-catenina, un componente della via

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di segnalazione di WNT). Normalmente il gene APC favorisce l’adesione cellulare e regola la proliferazione cellulare; l’assenza del gene APC porta a un’adesione cellulare deficitaria e a un’eccessiva attività proliferativa. Questa fase è seguita da ulteriori mutazioni tardive, comprese le mutazioni attivanti l’oncogene KRAS, che promuovono la crescita e prevengono l’apoptosi cellulare. La progressione neoplastica è anche associata a mutazioni in altri geni oncosoppressori, quali perdite in corrispondenza di 18q21 che coinvolgono i geni SMAD2 e SMAD4, attuatori della segnalazione di TGF-β. Poiché la segnalazione di TGF-β inibisce il ciclo cellulare, la perdita di questi geni consente la crescita cellulare incontrollata. In fase avanzata della progressione tumorale avviene anche la perdita di funzione di geni oncosoppressori, quali p53 e altri; l’espressione della telomerasi aumenta man mano che le lesioni avanzano.

La Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP) è una sindrome a trasmissione autosomica dominante (come detto, provocata da mutazioni ereditarie del gene oncosoppressore APC) nella quale i soggetti sviluppano numerosi adenomi colon-rettali in età adolescenziale (per la diagnosi di FAP classica sono necessari almeno 100 polipi, i quali possono arrivare fino ad alcune migliaia). Eccetto che per questo numero così rilevante, tali formazioni sono morfologicamente indistinguibili dagli adenomi colon-rettali sporadici. Il carcinoma colon-rettale si sviluppa nel 100% dei pazienti affetti da FAP non

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trattata, spesso prima dei 30 anni di età. Di conseguenza, la colectomia profilattica rappresenta la terapia standard per gli individui portatori di mutazioni del gene APC: questo intervento previene il tumore colon-rettale, ma i pazienti rimangono a rischio di neoplasia in altre sedi (ad esempio, possono svilupparsi adenomi altrove nel tratto gastrointestinale, in particolare in posizione adiacente all’ampolla di Vater e nello stomaco). La FAP è associata a un gran numero di manifestazioni extraintestinali, la più frequente delle quali è l’ipertrofia congenita dell’epitelio del pigmento retinico. Alcuni pazienti affetti da FAP senza perdita del gene APC hanno mutazioni del gene di riparazione di escissione di basi MUTYH. Inoltre, alcune mutazioni dei geni APC e MUTYH sono associate a forme di FAP attenuate caratterizzate dallo sviluppo ritardato dei polipi, dalla presenza di meno di 100 adenomi colon-rettali e dalla comparsa ritardata del tumore del colon-retto (intorno a 50 anni o oltre).

La comparsa di carcinomi colon-rettali senza apparente evidenza di un precursore adenomatoso suggerisce tuttavia che alcune lesioni possono andare incontro a trasformazione maligna senza attraversare una fase polipoide.

La via dell’instabilità dei microsatelliti è caratterizzata da lesioni genetiche nei geni riparatori degli errori di disallineamento (mismatch) del DNA. Questa via è implicata nel 15% circa dei carcinomi colon-rettali sporadici e rappresenta la principale alterazione genetica nella sindrome di Lynch.

I microsatelliti sono sequenze di DNA ripetitivo presenti nel genoma umano in numero di circa 50.000-100.000. Queste sequenze durante la replicazione del DNA vanno facilmente incontro a disallineamento, che tuttavia viene corretto dai geni riparatori degli errori di mismatch del DNA. Nei pazienti con perdita dei geni per la riparazione dei mismatch del DNA si verifica un deficit nella riparazione dei disallineamenti del DNA, con conseguente accumulo di ripetizioni dei microsatelliti, condizione nota come instabilità dei microsatelliti.

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La mancata riparazione del genoma causata dall’inattivazione dei geni riparatori del mismatch del DNA è l’evento di inizio dello sviluppo dei carcinomi colon-rettali che seguono questa via patogenetica.

Poiché la maggior parte delle sequenze di microsatelliti è localizzata in regioni non codificanti del genoma, mutazioni in questi geni sono generalmente silenti; tuttavia alcune sequenze di microsatelliti sono situate nella regione codificante o promotrice dei geni coinvolti nella regolazione della crescita cellulare, quali il gene del recettore TGF-β di tipo II e il gene BAX. Poiché TGF-β inibisce la proliferazione delle cellule epiteliali del colon-retto, i mutanti del recettore TGF-β di tipo II contribuiscono a una crescita cellulare incontrollata, mentre la perdita del gene proapoptotico BAX aumenta la sopravvivenza dei cloni geneticamente anomali. Le mutazioni nell’oncogene BRAF e il silenziamento di gruppi distinti di geni dovuto all’ipermetilazione dell’isola CpG sono anch’essi comuni nei tumori che si sviluppano a causa di difetti del sistema di riparazione dei mismatch del DNA.

La sindrome non poliposica del carcinoma colon-rettale ereditario (Hereditary Non-Polyposis Colorectal Cancer, HNPCC), anche conosciuta come sindrome di Lynch, fu descritta per la prima volta sulla base della concentrazione familiare di tumori in diverse sedi, tra cui colon-retto, endometrio, stomaco, ovaie, ureteri, cervello, intestino tenue, vie epatobiliari e cute. In questi pazienti i tumori del colon-retto tendono a comparire in età più

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La HNPCC è causata da mutazioni ereditarie nei geni che codificano per le proteine responsabili di identificazione, escissione e riparazione degli errori che avvengono durante la replicazione del DNA, con conseguente instabilità dei microsatelliti. Ci sono almeno 5 geni riparatori dei mismatch, ma la maggior parte dei casi (90%) di HNPCC riguarda MSH2 e MLH122.

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1.4 Segni e sintomi

I sintomi iniziali del carcinoma del colon-retto sono spesso vaghi e aspecifici: irregolarità dell’alvo, perdita di peso, anemizzazione, astenia (riconducibile all’anemizzazione), perdite ematiche intestinali, presenza di sangue nelle feci, dolore addominale, anoressia e dimagrimento (nei casi avanzati)5.

Tuttavia il quadro clinico è influenzato molto dalla specifica localizzazione della neoplasia: ciò è da attribuire, da un lato, alle caratteristiche anatomiche e funzionali del tratto intestinale interessato e, dall’altro, alla consistenza del contenuto del lume intestinale.

Il colon destro ha un lume piuttosto ampio e un contenuto essenzialmente liquido; i tumori che si sviluppano a questo livello hanno quindi la possibilità di accrescersi molto prima di rendersi clinicamente manifesti, potendo diventare così grandi da sviluppare necrosi superficiale responsabile di ischemia e sanguinamento cronico e costante (con conseguente comparsa di anemizzazione e astenia).

Il colon sinistro ha un lume di calibro ridotto e un contenuto prevalentemente solido; pertanto i tumori localizzati a tale livello determinano sintomi di tipo occlusivo: modificazioni dell’alvo (spesso minime e progressive, caratterizzate da stipsi o diarrea, ma in genere dall’alternanza tra l’una e l’altra) fino alla chiusura dell’alvo a feci e gas, nausea e vomito, dolore addominale e distensione addominale23.

Il sintomo più comune di presentazione del cancro del retto è l’ematochezia (cioè l’emissione di feci accompagnate da sanguinamento di lieve entità di colore rosso vivo, acceso o scarlatto) che in alcuni casi può arrivare alla rettorragia (cioè l’emissione di sangue rosso vivo, anche in grande quantità, durante e dopo la defecazione o indipendentemente da essa)24. Poiché spesso il sanguinamento rettale viene erroneamente attribuito alla presenza di emorroidi,

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recente insorgenza in pazienti di età uguale o superiore a 50 anni non deve mai essere attribuito a patologia benigna senza aver prima escluso carcinomi

o polipi adenomatosi o serrati del colon-retto5”.

Altri sintomi di presentazione clinica del tumore del retto sono l’evacuazione di feci nastriformi, la mucorrea (cioè la perdita di elevate quantità di muco insieme alle feci), il dolore perianale e perineale (che si accentua durante la defecazione), il tenesmo e l’urgenza evacuativa23,24.

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1.5 Diagnosi e screening

Tutti i pazienti di età superiore o uguale 50 anni che si presentino dal medico di medicina generale con nuovi, significativi o persistenti sintomi riferibili a patologia colon-rettale (dolore addominale, alterazioni dell’alvo, mucorrea, ematochezia, rettorragia, dimagrimento, anemia sideropenica) devono ricevere un’accurata anamnesi (inclusa quella familiare) ed essere sottoposti a esame obiettivo comprensivo di esplorazione rettale digitale.

L’esplorazione rettale digitale è fondamentale in caso di tumori del retto, poiché consente di valutare clinicamente neoplasie fino a 6-7 cm dal margine anale5, definendone la forma (polipoide sessile o peduncolata, ulcerata), la consistenza (da molle a duro-lignea), la mobilità rispetto alla tonaca muscolare della parete rettale, l’estensione prossimale e distale25

.

I successivi accertamenti diagnostico-strumentali devono essere effettuati preferenzialmente entro 4 settimane.

Secondo le Linee guida AIOM, la pancolonscopia è la tecnica gold standard per la diagnosi di tumore rettale. Nel sospetto di neoplasia del colon-retto i pazienti devono sottoporsi ambulatorialmente a una colonscopia totale (eventualmente in sedazione) che visualizzi tutto il colon fino al cieco5, così da individuare possibili tumori sincroni (presenti in circa il 2-4% dei casi)20.

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La colonscopia totale permette inoltre di effettuare biopsie della lesione, in modo da poter effettuare una diagnosi istologica pretrattamento.

La pancolonscopia ha una sensibilità del 96-97% e una specificità del 98%.

In alternativa, qualora non sia possibile eseguire una colonscopia totale (ad esempio in caso di stenosi serrata), si può impiegare la rettosigmoidoscopia5 (che permette di esaminare il sigma e il retto, dove si localizzano il 60% degli adenomi e dei carcinomi colon-rettali)18 associata all’Rx clisma opaco con doppio contrasto. Il 30% circa di questi pazienti deve poi comunque sottoporsi a pancolonscopia.

La sensibilità dell’Rx clisma opaco è del 55-95%. Sensibilità e specificità della rettosigmoidoscopia sono, limitatamente ai primi 60 cm, simili a quelli della colonscopia con minor rischio di perforazione.

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La colonscopia virtuale non può ancora essere proposta come metodica di screening, mentre può essere utile per lo studio del colon in alternativa all’Rx clisma opaco nei soggetti che non hanno effettuato una colonscopia completa.

Per quanto riguarda i marcatori tumorali, vi è indicazione a determinare i valori del CEA (antigene carcino-embrionario) al momento della diagnosi: questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening del tumore del colon-retto, riveste invece un ruolo importante nella stadiazione

preoperatoria, nel monitoraggio dei pazienti in trattamento

radio(chemio)terapico e nel follow-up dei pazienti operati e sottoposti a terapie adiuvanti. Tuttavia il CEA ha un basso valore predittivo per la diagnosi in pazienti asintomatici, legato alle relativamente basse specificità e sensibilità.

Il dosaggio di un altro marcatore tumorale, il CA 19.9 (meno specifico), sebbene diffusamente impiegato, non è sostenuto da evidenze scientifiche.

L’analisi genetica viene talvolta utilizzata alla ricerca di mutazioni geniche indicative di una prognosi peggiore della neoplasia5.

Lo screening del tumore del colon-retto consente il riscontro e la rimozione di lesioni precancerose (adenomi) prima della trasformazione in carcinoma, nonché la diagnosi di neoplasie in stadio iniziale, con conseguente diminuzione della mortalità sia per la riduzione d’incidenza che per il riscontro di carcinomi in stadi più iniziali e quindi suscettibili di guarigione dopo terapia14,15,17,18.

Lo screening è un programma di intervento di salute pubblica sulla popolazione asintomatica, senza storia personale e/o familiare di neoplasia colon-rettale, a rischio medio per età. Poiché il tumore del colon-retto colpisce tipicamente persone di età pari o superiore ai 65 anni e il picco di incidenza dei polipi adenomatosi si verifica una decina d’anni prima, lo screening è indirizzato a uomini e donne asintomatici di età compresa tra 50 e 69 anni5,17.

Qualora il soggetto sia considerato ad alto rischio di tumore colon-rettale, lo screening andrebbe avviato prima dei 50 anni di età ed eseguito più frequentemente.

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Le condizioni che definiscono un paziente a rischio elevato sono: una storia personale di polipo adenomatoso del colon-retto, una storia personale di carcinoma del retto, una rilevante storia familiare di carcinoma colon-rettale o di polipi adenomatosi (in particolare nell’ambito dell’HNPCC e della FAP), una storia personale di malattia infiammatoria cronica intestinale (rettocolite ulcerosa o malattia di Crohn).

La pancolonscopia è la tecnica gold standard per lo screening del colon-retto: la visualizzazione di tutto il colon fino al cieco consente infatti di individuare ed eventualmente rimuovere lesioni precancerose (polipi adenomatosi) prima che si trasformino in carcinomi, diagnosticare tumori in stadio iniziale, individuare eventuali tumori sincroni14,15,17,18.

Tuttavia la scelta dell’indagine da impiegare nel contesto di uno screening è sempre frutto della valutazione del rapporto costi-benefici e la colonscopia, se da una parte ha molti benefici (ha un’elevata sensibilità diagnostica), dall’altra ha anche costi elevati sia per il paziente (è un esame poco accettato perché invasivo, comporta disagi legati alla preparazione e alle modalità di esecuzione, non è esente da seppur minimi rischi) sia per il servizio sanitario (non è un esame economico).

Per tutte queste ragioni oggi nei programmi organizzati di screening del tumore del colon-retto si impiega non la colonscopia, ma il test di ricerca del sangue occulto nelle feci. Il test di ricerca del sangue occulto nelle feci è una metodica più accettabile da parte del paziente e meno costosa, ha una provata efficacia di circa il 10-20% nel ridurre la mortalità per carcinoma del colon-retto5, ma ha una bassa sensibilità (non identifica il 30-40% delle lesioni); pertanto deve essere ripetuto almeno ogni 2 anni affinché lo screening risulti efficace e, se positivo, deve essere eseguita una colonscopia totale.

Per lo screening i marcatori fecali e la colonscopia virtuale vanno ancora considerati metodiche sperimentali5,17.

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1.6 Anatomia patologica

L’esame anatomopatologico del pezzo operatorio è fondamentale. L’anatomopatologo ha l’obbligo di riportare nel referto alcuni criteri diagnostici minimi: istotipo, grado di differenziazione, budding tumorale, profondità di invasione tumorale, invasione linfo-vascolare intramurale, invasione venosa extramurale, invasione perineurale, margini di resezione (distale, prossimale, circonferenziale e mesocolico), numero di linfonodi esaminati (almeno 12, tranne nei pazienti trattati con radio(chemio)terapia neoadiuvante) e numero di linfonodi metastatici. È inoltre necessario indicare l’integrità o meno della fascia mesorettale e la distanza del margine di resezione circonferenziale.

Per quanto riguarda il grado istologico della lesione, si parla di

 G1 se il tumore è ben differenziato

 G2 se il tumore è moderatamente differenziato

 G3 se il tumore è scarsamente differenziato

Per quanto riguarda la valutazione dei margini chirurgici, si parla di

 R0 quando i margini chirurgici sono liberi da cellule tumorali, indicando quindi una rimozione dell’intera massa tumorale

 R1 quando i margini chirurgici sono infiltrati microscopicamente

 R2 quando non è stato possibile asportare l’intero tumore e ne è rimasta una parte in sede, visibile anche a occhio nudo (o ad esempio quando non sono stati rimossi tutti i linfonodi visibilmente metastatici)

Infine il referto istologico deve indicare il grado di Quirke, che valuta da un punto di vista macroscopico sul pezzo operatorio a fresco la qualità dell’escissione mesorettale:

 Grado 3: escissione mesorettale completa: mesoretto intatto con minime irregolarità (inferiori a 5 mm) della superficie (per lo più liscia) del mesoretto

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 Grado 2: escissione mesorettale moderata: irregolarità della superficie mesorettale (superiore a 5 mm), senza esposizione della tonaca muscolare propria (se non all’inserzione dei muscoli elevatori dell’ano)

 Grado 1: escissione mesorettale incompleta: poco mesoretto con esposizione della tonaca muscolare propria e/o margine di resezione circonferenziale molto irregolare

Nei pazienti con carcinoma del retto trattati con radio(chemio)terapia neoadiuvante deve essere riportato anche il Grado di Regressione Tumorale (TRG), una classificazione utilizzata per monitorare e valutare gli effetti ottenuti dalla terapia preoperatoria sul preparato istologico. Esistono diverse

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classificazioni, alcune delle quali tra loro speculari (occorre pertanto definire a quale ci si riferisce).

Grado (sec. Dworack):

 TRG 0: assenza di regressione

 TRG 1: regressione minore: massa tumorale con fibrosi inferiore al 25% della massa

 TRG 2: regressione moderata: fibrosi nel 26-50% della massa tumorale residua

 TRG 3: buona regressione: fibrosi superiore al 50% della massa tumorale

 TRG 4: regressione completa Grado (sec. Mandard)

 Non cellule tumorali residue

 Occasionali cellule tumorali residue con marcata fibrosi

 Marcata fibrosi con cellule tumorali sparse o in gruppi

 Abbondanti cellule tumorali con scarsa fibrosi

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1.7 Stadiazione

Nei tumori del colon raramente la conoscenza preoperatoria del tumore primitivo (T) e dei linfonodi loco-regionali (N) modifica l’approccio terapeutico. Pertanto per la stadiazione sono sufficienti un’ecografia (o, meglio, una TC addome con mezzo di contrasto) e un’Rx o una TC torace.

Al contrario, per i tumori del retto una corretta stadiazione al momento della diagnosi è fondamentale. Infatti, poiché il carcinoma del retto extraperitoneale presenta delle peculiarità diagnostiche e terapeutiche che lo distinguono nettamente dal carcinoma del colon (l’approccio al carcinoma del retto intraperitoneale non si differenzia sostanzialmente da quello dei tumori del resto del colon), è fondamentale identificare la posizione del tumore rispetto alla riflessione peritoneale prima di impostare il percorso diagnostico e terapeutico più corretto.

Mentre la conferma istologica nelle neoformazioni del colon, sebbene debba essere sempre disponibile prima dell’intervento chirurgico, può essere (in rari e ben selezionati casi) omessa se si tratta di lesioni coliche non facilmente raggiungibili con l’endoscopia e con iconografia inequivocabile, per le neoformazioni rettali la diagnosi istologica pretrattamento (su reperto bioptico o su neoformazione asportata) è obbligatoria.

Delle neoformazioni del retto, per una corretta scelta terapeutica, devono essere valutati preoperatoriamente le caratteristiche del tumore primitivo (T), la distanza dal margine anale o dall’apparato sfinteriale, l’estensione longitudinale e circonferenziale, il coinvolgimento endoluminale (grado di stenosi), lo stato dei linfonodi loco-regionali (N), la presenza di metastasi a distanza.

La rettoscopia con rettoscopio rigido consente di valutare con maggiore precisione di un endoscopio flessibile la distanza del polo inferiore del tumore dal margine anale o dalla linea pettinata, cosa essenziale per stabilire in quale parte del retto è situata la neoplasia. Permette inoltre di stabilire l’estensione

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longitudinale e circonferenziale della neoplasia, nonché il coinvolgimento endoluminale (grado di stenosi).

La RM preoperatoria permette di definire le caratteristiche del tumore primitivo (T), la posizione del polo inferiore rispetto alla riflessione peritoneale, l’estensione radiale, la penetrazione parietale, il coinvolgimento della fascia mesorettale, l’invasione delle strutture limitrofe e lo stato dei linfonodi loco-regionali (N).

L’ecografia transanale è considerata il gold standard per la stadiazione dell’estensione del tumore primitivo (T) e si presta bene anche alla valutazione dei linfonodi loco-regionali (N); ha tuttavia i limiti di non studiare la fascia mesorettale (al contrario della RM) e di non essere precisa nella misurazione della distanza del polo inferiore della neoplasia dal margine anale.

Ai fini della valutazione dei linfonodi loco-regionali (parametro N) tutte le indagini radiologiche oggi disponibili hanno limitazioni, essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali e morfologici. Al momento il criterio morfologico (forma rotondeggiante, eterogeneità interna, irregolarità della superficie per infiltrazione della capsula) è il più affidabile nell’identificazione dei linfonodi metastatici. Tuttavia l’accuratezza diagnostica diventa bassa quando i linfonodi hanno dimensioni inferiori a 8 mm.

Per una corretta stadiazione preoperatoria è infine opportuno eseguire una TC torace-addome con mezzo di contrasto alla ricerca di eventuali metastasi a distanza (M) da tumore del colon-retto, tipicamente a fegato e polmone.

L’impiego di metodiche diverse (quali RM, scintigrafia ossea e PET) va riservato a casi particolari: in particolare la PET può essere considerata nei pazienti candidabili a resezione chirurgica di secondarismi epatici o polmonari5.

Per la stadiazione del carcinoma del colon-retto si usa la Classificazione TNM-UICC 20095.

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T - Tumore primitivo

TX Tumore primitivo non definibile

T0 Tumore primitivo non evidenziabile

Tis Carcinoma in situ: intraepiteliale o invasione della lamina propria [comprende cellule tumorali confinate all’interno della membrana basale ghiandolare (intraepiteliale) o della lamina propria (intramucosa) che non raggiungono la sottomucosa]

T1 Tumore che invade la sottomucosa

T2 Tumore che invade la muscolare propria

T3 Tumore con invasione attraverso la muscolare propria nella sottosierosa o nei tessuti pericolici e perirettali non ricoperti da peritoneo

T4 Tumore che invade direttamente altri organi o strutture e/o perfora il peritoneo viscerale

T4a Tumore che perfora il peritoneo viscerale

T4b Tumore che invade direttamente altri organi o strutture

N - Linfonodi regionali

NX Linfonodi regionali non valutabili

N0 Non metastasi nei linfonodi regionali

N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali

N1a Metastasi in 1 linfonodo N1b Metastasi in 2-3 linfonodi

N1c Depositi tumorali satelliti nella sottosierosa o nei tessuti non

peritonealizzati pericolici e perirettali senza evidenza di metastasi linfonodali regionali

N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali

N2a Metastasi in 4-6 linfonodi N2b Metastasi in 7 o più linfonodi

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M - Metastasi a distanza

MX Metastasi a distanza non accertabili

M0 Assenza di metastasi a distanza

M1 Metastasi a distanza

M1a Metastasi confinate a un organo (fegato, polmone, ovaio, linfonodi

extraregionali)

M1b Metastasi in più di un organo o nel peritoneo

Suddivisione in stadi Stadio Descrizione Stadio 0 TisN0M0 Stadio I T1N0M0 T2N0M0 Stadio IIa T3N0M0

Stadio IIb T4aN0M0

Stadio IIc T4bN0M0

Stadio IIIa T1-2, N1a-c, M0 T1, N2a, M0 T3, T4a, N1a-c,M0

Stadio IIIb T2-3, N2a, M0

T1-2, N2b, M0 T4a, N2a-b, M0

Stadio IIIc T3, N2b, M0

T4b, N1-2, M0

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Va precisato che si parla di cTNM riferendosi alla classificazione clinica (pretrattamento) e di pTNM riferendosi alla classificazione patologica (istologia post-chirurgia); inoltre si utilizzano il prefisso “y” per i tumori colon-rettali classificati dopo trattamento neoadiuvante e il prefisso “r” per i tumori colon-rettali recidivati dopo un intervallo libero da malattia.

Sulla base delle informazioni raccolte in fase preoperatoria, l’iter terapeutico da adottare nel singolo paziente con tumore del colon-retto viene pianificato da un Gruppo Oncologico Multidisciplinare (GOM, costituito da un chirurgo, un oncologo, un radioterapista, un anatomopatologo). Le decisioni diagnostico-terapeutiche devono essere coerenti con le linee guida e, qualora si verifichi uno scostamento, è opportuno esplicitarne i motivi5.

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1.8 Terapia

La chirurgia è la principale opzione terapeutica con intento curativo delle neoplasie del colon-retto e dovrebbe essere effettuata in tempi ragionevolmente brevi (secondo le linee guida il tempo di attesa tra diagnosi e ricovero non dovrebbe superare le 4 settimane)5.

La terapia chirurgica della patologia oncologica colica segue le comuni regole della moderna chirurgia radicale: exeresi R0 (rimozione del tumore integro in blocco con il segmento intestinale interessato e il relativo mesentere con le stazioni di drenaggio linfatico distrettuale, margini di resezione prossimale e distale liberi da neoplasia), legatura dei vasi all’origine e linfoadenectomia.

Nella pratica clinica si eseguono interventi chirurgici standardizzati con limiti di exeresi ben definiti dettati dalla necessità di legature vascolari all’origine secondo tecnica codificata.

Nei tumori del cieco, del colon ascendente, della flessura epatica e del trasverso prossimale si realizza un’emicolectomia destra che prevede la resezione del colon destro con l’ultima ansa ileale e di parte del trasverso; la continuità intestinale viene ristabilita mediante anastomosi ileo-colica.

Nelle neoplasie del trasverso distale, della flessura splenica, del colon discendente e del sigma l’intervento chirurgico di scelta è l’emicolectomia sinistra, che consiste nell’asportazione della metà distale del trasverso e del colon sinistro fino alla giunzione retto-sigmoidea; la continuità intestinale viene ristabilita mediante anastomosi colo-rettale23.

Quando si parla di chirurgia del tumore del retto bisogna distinguere i tumori del retto intraperitoneale dai tumori del retto extraperitoneale: infatti, mentre l’approccio chirurgico al carcinoma del retto intraperitoneale non si differenzia da quello al carcinoma della giunzione retto-sigmoidea e del sigma, la chirurgia del carcinoma del retto medio-basso (extraperitoneale) presenta

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La sola chirurgia è la terapia di scelta in caso di carcinoma del retto in stadio I (T1-T2, N0)26. Nel 60% dei casi il carcinoma del retto extraperitoneale si presenta in forma localmente avanzata (interessamento di parete a tutto spessore e/o coinvolgimento linfonodale: T3-T4, N0 e/o qualunque T, N1-N2): in questi pazienti, poiché il solo trattamento chirurgico è associato a un alto rischio di ripresa di malattia a livello pelvico, è raccomandata la radioterapia preoperatoria associata a chemioterapia concomitante.

La radioterapia viene eseguita con frazionamento convenzionale con 25-28 frazioni da 1,8-2,0 Gy in associazione a chemioterapia concomitante (5-fluorouracile e.v. o per os) con un intervallo di 6-8 settimane (comunque non superiore a 10 settimane) prima della chirurgia. Essa trova la migliore indicazione nei tumori con marcata infiltrazione del grasso perirettale (T3) e nei tumori prossimi all’apparato sfinteriale, avendo dimostrato una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza di recidive locali con tassi di risposte patologiche complete del 10-15% e un impatto positivo sulla possibilità di interventi chirurgici conservativi degli sfinteri.

In alternativa la radioterapia può essere eseguita con ipofrazionamento della dose (short course) con 5 frazioni da 5,0 Gy ciascuna, seguite a breve distanza di tempo dalla chirurgia. La radioterapia ipofrazionata (short course), che non prevede l’associazione con la chemioterapia, può essere impiegata in alternativa alla radioterapia con frazionamento convenzionale e chemioterapia concomitante in presenza di comorbilità che controindichino un trattamento preoperatorio radio(chemio)terapico convenzionale o qualora sussistano motivi clinici per accorciare la durata della terapia neoadiuvante limitatamente ai tumori del retto medio e con minima infiltrazione del grasso perirettale (fascia mesorettale e preservazione sfinteriale) e nel trattamento delle neoplasie con metastasi sincrone.

L’uso della terapia adiuvante (chemioradioterapia, chemioterapia sistemica, radioterapia) non è indicato per i tumori del retto in stadio I, essendo limitato il rischio di recidive dopo chirurgia.

(43)

I pazienti con tumore del retto in stadio II-III che non abbiano effettuato trattamento preoperatorio, anche se operati radicalmente, sono candidati a chemioterapia adiuvante con regimi di 5-fluorouracile concomitante e sequenziale al trattamento radiante per un totale di circa 6 mesi; tale regime ha infatti dimostrato un vantaggio significativo in termini di riduzione delle recidive locali e/o della sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia o alla sola radioterapia o chemioterapia postoperatoria.

I cardini attuali della chirurgia del tumore del retto extraperitoneale sono:

 exeresi R0 (rimozione del tumore integro in blocco con il segmento intestinale interessato)

 escissione totale del mesoretto (TME)

 margini di resezione distale e circonferenziale liberi da neoplasia

 legatura dei vasi all’origine e linfoadenectomia

 conservazione dell’innervazione autonomica (nerve-sparing technique)

 uso di terapie neoadiuvanti nelle forme localmente avanzate (T3-T4 e/o metastasi ai linfonodi loco-regionali)

Gli interventi chirurgici resettivi per il carcinoma del retto medio-basso (extraperitoneale) sono:

 resezione anteriore del retto con escissione totale del mesoretto (TME): il retto viene asportato fino al di sotto del polo caudale della neoplasia con tutto il mesoretto; la continuità digestiva viene ripristinata mediante anastomosi colo-rettale meccanica o anastomosi colo-anale manuale

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 amputazione del retto per via addomino-perineale (secondo Miles): vengono asportati in blocco per via combinata addominale e perineale il retto con il mesoretto, il canale anale e l’ano con rimozione degli sfinteri e confezionamento di una colostomia definitiva

L’indicazione ai diversi tipi di interventi chirurgici è data dalla sede del tumore nel retto (cioè dalla distanza del tumore dalla linea dentata), dall’estensione loco-regionale del tumore, dalle condizioni funzionali dello sfintere anale, dalla morfologia del paziente e dall’esperienza del chirurgo.

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La resezione del retto per via addomino-perineale secondo Miles, che nella prima metà del XX secolo è stata il trattamento di scelta per la maggior parte dei pazienti con carcinoma rettale, è indicata oggi soltanto in caso di neoplasie che infiltrano il canale anale e l’apparato sfinterico. Un’ulteriore indicazione riguarda quei pazienti in cui ci si aspettano una pessima funzione intestinale e un grado di incontinenza fecale severa (es. pazienti anziani, radio(chemio)trattati, con ipotonia sfinteriale)5.

Attualmente, grazie al miglioramento delle cure perioperatorie e dell’anestesia, ai progressi della tecnica chirurgica, all’introduzione di suturatrici meccaniche affidabili e a una miglior conoscenza della diffusione del tumore rettale, l’intervento di scelta per il tumore del retto medio-basso (extraperitoneale) è la resezione anteriore del retto con tecnica chirurgica mini-invasiva (laparoscopica o robotica) associata all’escissione completa del mesoretto (TME) con anastomosi colo-rettale o colo-anale (permettendo così il salvataggio dello sfintere)27 e talvolta confezionamento di un’ileostomia escludente temporanea a protezione dell’anastomosi1

.

Essendo una chirurgia complessa, il volume operatorio del singolo chirurgo e dell’equipe in cui lavora è un fattore collegato alla mortalità chirurgica, alle complicanze peri-operatorie e alla prognosi dei pazienti5.

Un tumore avanzato è definito come un tumore che, alla diagnosi o in occasione della recidiva, si presenta metastatico o talmente esteso localmente da rendere impossibile la realizzazione di un intervento chirurgico con intento curativo.

Circa il 20% dei pazienti con carcinoma colon-rettale presenta una malattia avanzata alla diagnosi e circa il 35% dei pazienti trattati con intento curativo svilupperà una malattia avanzata.

In questi pazienti gli obiettivi terapeutici sono la cura (possibile in realtà solo in un numero limitato di casi), il prolungamento della sopravvivenza, la palliazione dei sintomi, il miglioramento della qualità della vita, il ritardo della

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