Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Economia e gestione delle aziende
Tesi di Laurea
Politiche di prodotto e
dinamiche di innovazione nel
settore automobilistico
Relatore
Ch. Prof. Francesco Zirpoli
Laureando
Chiara Albiero Matricola 821857
Anno Accademico 2012 / 2013
Ai miei genitori
che mi hanno dato la possibilità di arrivare fino a qui.
Ai miei compagni
che hanno reso questo percorso indimenticabile.
Indice
Pag.
INTRODUZIONE 4
1. CONTESTO DI RIFERIMENTO: SETTORE AUTOMOTIVE 7 1.1. Settore di riferimento 7 1.2. Storia del settore 8 1.2.1. Andamento delle vendite nel periodo considerato 14 1.3. Principali protagonisti 16 1.4. Ruolo dell’innovazione nel settore auto 21 1.4.1. Diversi tipi di innovazione 22 1.4.2. Integrità di prodotto nel settore auto 26 1.4.3. Qualità del prodotto e lead time 29 1.4.4. Esternalizzazione e standardizzazione 32
2. IL PRODOTTO AUTO 35
2.1. Differenziazione del prodotto 38 2.2. Varietà del prodotto 40 2.3. Paradosso della scelta 43 2.4. Ciclo di vita del prodotto auto 46 2.4.1. Evoluzione del ciclo di vita nel settore auto 48
3. METODO DI ANALISI 50
4. ANALISI DEI DATI 53 4.1. Portafoglio prodotti 53 4.1.1. Confronti 67 4.1.2. Conclusioni 69
4.2. Analisi sui singoli prodotti 70 4.2.1. Ciclo di vita dell’auto 71 4.2.1.1. Confronti 86 4.2.2. Politica di gestione delle versioni proposte 87 4.2.2.1. Confronti 99 CONCLUSIONI 100 BIBLIOGRAFIA 103
Introduzione
Questo lavoro si propone di esaminare, attraverso l’analisi di una serie di dati raccolti, le politiche di gestione del portafoglio prodotti da parte delle principali case automobilistiche. Attraverso il data set raccolto si cerca di identificare la politica di differenziazione e segmentazione del mercato da parte dei principali attori operanti in Europa, con particolare attenzione ad analizzare come la rapida innovazione tecnologica abbia notevolmente ridotto la durata del ciclo di vita delle automobili.
Si tratta di un tema interessante sia come quesito di ricerca, perché va a toccare argomenti molto importanti nel dibattito scientifico, che dal punto di vista più operativo ovvero in chiave di strategie settoriali.
Sul piano teorico di ricerca, temi quali la differenziazione e segmentazione del mercato sono alla base del marketing. Il concetto di differenziazione nasce con l’obiettivo di offrire di un prodotto che risulti unico per il cliente finale. Questa unicità deve essere anche apprezzata dall’acquirente. Il vantaggio di differenziazione consente all’impresa di ottenere un premium price dai suoi acquirenti e vantaggi equivalenti come, ad esempio, un maggior grado di fedeltà da parte del cliente. Nel settore dell’automobile la differenziazione del prodotto è un tema che ha rivestito una notevole importanza con l’aumentare della concorrenza tra gli operatori e con l’avvento della crisi economica. Questi due fattori hanno portato le aziende automobilistiche ad operare una considerevole differenziazione dei prodotti offerti per cercare di distinguersi dai concorrenti e, al contempo, di cogliere il maggior numero di esigenze riferite a diversi segmenti di consumatori. Nel corso dell’analisi viene toccato anche un tema strettamente collegato alla differenziazione ovvero la segmentazione di mercato. Il processo di segmentazione di mercato consiste nel suddividere i consumatori secondo una serie di variabili (ad esempio localizzazione geografica, atteggiamenti, abitudini di acquisto, ecc.). Nel settore automobilistico, nel corso degli anni, è stata attuata una politica di segmentazione sempre più spinta passando da segmentazione concentrata su un singolo segmento, proponendo pochi modelli, a una
segmentazione differenziata cercando di proporre automobili che riuscissero a rispondere ad esigenze dei clienti più sofisticate ed articolate.
Come precedentemente evidenziato, gli argomenti trattati in questo elaborato sono interessanti anche sul piano operativo ovvero per la messa in pratica di strategie settoriali da parte dei manager delle aziende automobilistiche. Si cerca di capire se l’aumento del numero di modelli offerti all’interno del mercato, con la conseguente riduzione del ciclo di vita dei prodotti, abbia un effettivo riscontro sul numero di immatricolazioni effettuate ovvero su un aumento delle unità vendute. Infatti, con la crisi economica, si è assistito a un crescente tasso di innovazione tecnologica che ha portato al lancio di un numero crescente di modelli e a un maggiore tasso di rinnovo delle automobili. Questo punto riguarda un tema che ha radici lontane nel dibattito scientifico quale il ciclo di vita del prodotto che può essere fatto risalire al 1922 con uno studio di Raymond B. Prescott.
Questi argomenti saranno presi in esame nel corso del lavoro e delineati con un maggiore approfondimento anche con l’ausilio di grafici che consentono di rendere più semplice e immediata la comprensione di tutti i dati precedentemente raccolti.
Questo lavoro si articola nel seguente modo.
Nel primo capitolo si esamina il settore dell’automotive con un’analisi dello sviluppo storico per capire le basi della sua evoluzione. Si procede evidenziando i principali protagonisti, e il ruolo del loro brand all’interno del settore, per poi identificare la funzione sempre più importante svolta dall’innovazione tecnologica nello sviluppo di nuovi modelli.
Il secondo capitolo va ad analizzare il prodotto auto analizzando gli aspetti della differenziazione e segmentazione del mercato, varietà del prodotto e del ciclo di vita declinandoli nello specifico settore di riferimento. Si cerca di discutere come una eccessiva varietà di scelta possa in realtà creare confusione nella mente del consumatore.
Nel terzo capitolo si delinea il metodo utilizzato per raccogliere ed elaborare i dati in parte raccolti direttamente, in parte provenienti da fonti specializzate nel settore dell’automotive.
Il quarto capitolo si propone di svolgere una serie di considerazioni, attraverso l’analisi dei dati, sui temi delineati in precedenza. Si analizza il portafoglio prodotti nel complesso delle aziende automobilistiche divise tra generaliste, specialiste e asiatiche; distinzione utile ai fini della nostra ricerca. Queste stesse verranno successivamente collegate alle performance di mercato. Si vanno poi a studiare dei singoli prodotti, presi ad esame in quanto di maggiore rilevanza nel portafoglio prodotti delle aziende prese come oggetto di analisi, per capire lo sviluppo del ciclo di vita del prodotto e l’evoluzione nel tempo del numero di versioni proposte.
1. Contesto di riferimento: settore Automotive
1.1.
Settore di riferimento
Il settore dell’auto riveste sicuramente un grande ruolo. Ha una portata economica rilevante nel mondo con una produzione di auto registrate nel 2012 pari a 84.141.209, di cui 63.069.541 light vehicle e 21.071.668 veicoli commerciali1, con un
annesso tasso di occupazione molto alto. Non dobbiamo sottovalutare la rilevanza sociale che ricopre l’auto essendo, nei paesi industrializzati, la seconda voce di spesa nel paniere delle famiglie dopo la casa. È diventata il simbolo della moderna società della produzione e del consumo di massa portando la popolazione a un cambiamento irreversibile nella concezione di mobilità. Il settore dell’automobile è stato un settore di riferimento anche per innovazioni tecnologiche e organizzative rivoluzionarie partendo dal fordismo e taylorismo per arrivare alla lean production. Le imprese della filiera automobilistica sono, infatti, tra i maggiori investitori al mondo in ricerca e sviluppo.
La definizione del settore automotive non è univoca e, nella sua accezione più allargata, può comprendere (Volpato e Zirpoli, 2011):
• I produttori finali degli autoveicoli che vengono a loro volta suddivisi in produttori di autovetture e di veicoli commerciali (che possono essere ulteriormente suddivisi in veicoli commerciali leggeri, peso inferiore a 3,5 tonnellate, e pesanti). Questi soggetti vengono tradizionalmente indicati con la sigla inglese Oem che sta per Original Equipment Manufacturers.
• I produttori di componenti di autoveicoli che sono indicati con la sigla inglese Cs che sta per Component Supplier. Questi vengono ulteriormente suddivisi in base all’importanza economica del componente fornito. Si distinguono quindi in fornitori di primo livello (first tier supplier) che offrono componenti che si collocano al vertice della catena di fornitura, e fornitori di secondo livello (second tier supplier) specializzati in alcune parti che confluiscono
1 Oica, l’Organisation Internationale des Constructeurs d’Automobiles.
successivamente nei componenti complessi. Solitamente il numero dei livelli di fornitura può arrivare a quattro o cinque.
• Si devono considerare anche tutte le attività a monte, quindi imprese che producono beni e servizi per i produttori finali e componentisti (ad esempio i produttori di acciaio o di altri materiali generici), e le attività a valle, che riguardano la commercializzazione dei veicoli nuovi e usati e le attività di manutenzione e riparazione.
Tutto questo insieme di attività va a formare quella che è la catena del valore (Porter, 1985) dell’industria automobilistica, indicata anche come “filiera dell’automobile”, vista come l’insieme di attività che vengono svolte per progettare, produrre, vendere, consegnare e assistere i prodotti da parte delle aziende del settore (Volpato, 2008).
In questo studio andremo a considerare l’industria automobilistica nella sua accezione più ristretta che coincide con i produttori finali (Oem) solo nel comparto delle autovetture tralasciando la produzione di veicoli commerciali medi e pesanti.
1.2.
Storia del settore
Lo sviluppo del settore è stato fortemente influenzato dalle differenze geografiche e dalle vicende politico-‐economiche delle nazioni di appartenenza. In questo elaborato adotteremo una distinzione che va a considerare questa riflessione differenziando tra specialisti di fascia alta, generalisti o produttori di grande serie e asiatici.
La tradizione degli specialisti risale in Europa alla nascita della stessa automobile con auto che si distinguevano per la progettazione delle parti meccaniche, della carrozzeria e per le prestazioni. L’auto rappresentava quindi un prodotto di consumo elitario (Clark e Fujimoto,1992).
Negli Stati Uniti il processo di motorizzazione è decollato nel 1908, con qualche anno di ritardo rispetto all’Europa, grazie a un’offerta di vetture a costo contenuto con una logica di produzione di serie e un ritmo di motorizzazione molto elevato.
Si parla di “approccio fordista” dal lancio della Ford T da parte di Henry Ford. Una vettura semplice, ma affidabile, con un prezzo alla portata anche degli stessi operai della Ford. Questo tipo di produzione era indirizzato al mercato di massa senza operare nessun tipo di variazione nel modello, ma presentando un modello fortemente standardizzato, guidato da un’ottica rivolta solo al costo e al prezzo finale del prodotto.
Solo dopo il secondo conflitto mondiale l’industria automobilistica europea ha avuto un grande e rapido sviluppo ispirandosi alla filosofia americana. Si è passati alla produzione di automobili che assolvevano la funzione di trasportare una famiglia a basso costo con la nascita di nuovi produttori generalisti. La produzione di veicoli, in Europa Occidentale, è passata da 1,6 milioni nel 1950 a 6,1 milioni nel 1960, livello non molto lontano a quello americano che ne contava 8,3 milioni nel 1960.2
Negli Stati Uniti come nei paesi asiatici le grandi automobili di lusso vennero trattate come parte integrante della gamma e vennero quindi costruite dagli stessi produttori delle auto generaliste.
Lo sviluppo della motorizzazione nei diversi paesi forma una curva a “s” passando da una situazione di scarsa motorizzazione a una di alta motorizzazione. All’inizio, in Europa, la combinazione reddito disponibile basso da parte della maggioranza delle famiglie e la produzione di auto di alto livello porta a un livello di motorizzazione che non riesce a decollare; si assiste a un aumento delle immatricolazioni man mano che i redditi si alzano e iniziano a prodursi auto a basso costo. In questa fase le soluzioni tecniche di tipo innovativo venivano introdotte nei nuovi modelli solo dopo che le innovazioni realizzate nella fase precedente avevano avuto modo di essere ammortizzate attraverso la produzione prolungata della stessa autovettura (Volpato, 2008).
2 Kim B. Clark Takahiro Fujimoto, Product development performance, Il Sole 24 Ore
Libri, Milano, 1992
Negli anni ’70 si è assistito a un altro importante cambiamento tra i consumatori che aveva portato a rivedere l’usuale distinzione che vedeva una divisione tra auto di lusso di grandi dimensioni acquistate da appartenenti a una fascia di reddito elevata e auto piccole e povere di particolari acquistate dalle fasce meno abbienti. Il cambiamento nella domanda parte da quando l’idea dei “ricchi con macchine grandi e poveri con macchine piccole” iniziò a barcollare. Individui più abbienti avevano iniziato a desiderare auto con equipaggiamenti di lusso, ma più piccole per una maggiore mobilità e soggetti appartenenti a una fascia di reddito più bassa con famiglia iniziavano a desiderare auto più grandi.
Con gli anni si passa a un mercato dove la maggioranza degli acquirenti possiede già un’autovettura e va a sostituire la vecchia con una di nuova immatricolazione. Quest’ultimo passaggio è molto importante perché:
• Segna una svolta notevole nelle esigenze degli automobilisti che cercano vetture sempre più con un occhio rivolto all’estetica, alla dotazioni di bordo e prestazioni. L’auto diventa un prodotto socialmente significativo perché, quando è utilizzata, sia l’auto che il proprietario sono in vista e l’apparenza inizia ad avere una grande importanza.
• Riduce il tasso complessivo di crescita delle vendite annue.
Le case automobilistiche hanno risposto a questo notevole cambiamento con due mosse principali che hanno portato a una rivoluzione manifestatasi a metà degli anni ’80. Le case hanno proceduto ampliando notevolmente la gamma di prodotti offerti cercando di cogliere le esigenze di ogni nicchia di mercato. Si è passati da un’ottica
product oriented, data dal forte prevalere della cultura ingegneristica rispetto alle altre
funzioni aziendali, a un’ottica customer oriented che va ad ascoltare la voce e le esigenze del mercato. I diversi produttori hanno poi accelerato il ritmo di sostituzione dei modelli passando da cadenze di 10-‐12 anni a operazioni più leggere di face-‐lifting ogni 2-‐3 anni (riguardano cambiamenti sulla carrozzeria e sull’arredo interno che possono essere percepite dall’automobilista, ma comportano modesti costi di sviluppo
e attrezzaggio) e ogni 4-‐5 anni un rinnovo più accentuato (che tocca il motore, dotazioni elettroniche e così via) (Volpato e Zirpoli, 2011).
Queste variabili, insieme con il cambiamento della domanda descritto in precedenza, hanno portato le case automobilistiche a offrire più varianti e opzioni possibili. Alfred Sloan, CEO della General Motors negli anni del secondo dopo guerra, prese la formula di base della Ford e l’arricchì con un maggior numero di modelli, colori e prestazioni. Sloan, cogliendo l’evoluzione del mercato, creò un sistema di progettazione basato su poche piattaforme, ma grande varietà di carrozzerie di diversa forma e colore. Faceva quindi leva sull’ampiezza di gamma e il valore del prodotto portando il concetto di auto da un veicolo utilitario a un mezzo con un look sempre nuovo che attirasse i clienti. Questa impostazione espressa dallo slogan coniato dallo stesso Sloan “A car for every purpose and purse” (“una macchina per ogni scopo e portafoglio”) costituì negli anni Venti una nuova tendenza che in seguito tutti i costruttori furono obbligati a seguire, inclusa la Ford.
I produttori hanno tentato di rispondere alla diminuzione della domanda, e al conseguente problema della crescita nel mercato, con un maggior valore unitario delle vetture vendute. Per fare un esempio la Ford in Europa nei primi anni ’80 aveva quattro modelli base e vent’anni dopo ne aveva dieci con un enorme numero di combinazioni possibili.
A tutto questo si accompagnò un netto innalzamento dei livelli di competitività fra le case automobilistiche. In un mercato stagnante il continuo lancio di nuovi prodotti porta a un abbassamento delle economie di scala delle aziende. La proliferazione ha portato ogni produttore d’auto a investire pesantemente per avere piccoli ritorni indirizzandosi su segmenti di mercato sempre più piccoli (Maxton e Wormald, 2004).
In una situazione di frammentazione dell’offerta, e il conseguente innalzamento delle sfide competitive all’interno del settore, il settore dell’auto è stato travolto dalla grande crisi.
La crisi finanziaria scoppiata nel quarto trimestre del 2008 non ha mancato di produrre effetti negativi nei bilanci di tutte le case automobilistiche con una flessione delle immatricolazioni mondiali di light vehicle da 69,5 milioni nel 2007 a 56,6 milioni del 2009. Questo è dovuto alla natura stessa del settore denominato come ciclico perché è strettamente correlato ai fattori congiunturali.
Figura 1: “Variazioni percentuali della vendita di autovetture” (fonte: Datamonitor).
La crisi ha avuto come effetto:
• Riconfigurazione della struttura dell’industria attraverso operazioni di fusione e assorbimento permettendo una riduzione notevole dei costi mettendo in condivisione, a una pluralità di modelli, la componentistica che non contribuisce ad attribuire la caratterizzazione stilistica di un modello. Sul fronte commerciale ciò può permettere un allargamento di gamma offerta e una concentrazione delle reti di distribuzione automobilistica ampliando anche i mercati serviti. Le reti di distribuzione possono essere concentrate parzialmente, privilegiando i concessionari prima specializzati in un singolo marchio nella gestione dei due marchi, oppure far scomparire
una rete distributiva a favore dell’altra. Un esempio di utilizzo di piattaforme condivise, per cercare di ridurre i costi di realizzazione di un modello dell’ordine del 10% (Volpato, 2008), può essere rappresentato dalla piattaforma della Golf utilizzata anche per la Skoda Octavia, l’Audi A3 e la Seat Ibiza.
• Rafforzamento delle tecnologie di prodotto e di processo per costruire un vantaggio competitivo con il quale scalzare la concorrenza accrescendo la quota di mercato e lo sviluppo di tecnologie powertrain per ridurre la dipendenza dal petrolio.
• Processo di ampliamento dei mercati serviti sia con fenomeni di delocalizzazione nei mercati Bric da parte dei marchi più affermati sia da marchi meno conosciuti, nati in questi paesi, che si propongono di sfruttare i bassi costi che li caratterizzano per realizzare una crescita nei mercati più sviluppati. La crisi può essere vista come una forza che ha spostato in modo massiccio il baricentro geografico. Un esempio è il gruppo coreano Hyundai-‐ Kia che si contraddistingue per una politica basata su un rapporto competitivo qualità/prezzo a parità di prestazioni con i marchi più affermati. Una strategia che, come si può vedere nella figura 2, ha portato una notevole crescita delle immatricolazioni in Europa a dispetto della crisi per il marchio Hyundai.
Figura 2: “Immatricolazioni Europa di Hyundai” (fonte: nostra elaborazione).
Questi trend sono ancora in atto e i possibili sviluppi sono molti. Possiamo dire, dopo l’analisi dello sviluppo storico del settore, che la crisi non ha fatto altro che accelerare l’arrivo di un processo di cambiamento che era del tutto inevitabile.
1.2.1. Andamento delle vendite nel periodo considerato
Con i dati delle immatricolazioni a disposizione da ACEA (European Automobile Manufacturers’ Association) abbiamo potuto delineare nel grafico (figura 3) l’andamento delle vendite dei veicoli in Europa nel nostro periodo di riferimento (1990-‐2010) che è stato scelto per sviluppare l’analisi quantitativa che seguirà nell’elaborato. -‐ 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 300.000 350.000 400.000 450.000 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Im m atr ic olaz ioni
Figura 3: “Andamento immatricolazioni 1990-‐2010” (fonte: nostra elaborazione da dati ACEA).
Come si può notare l’andamento delle vendite ha subito una caduta notevole nel 1993 per poi risalire anno dopo anno arrivando al picco nel 1999 con 15.066.357 unità. In corrispondenza della crisi finanziaria, iniziata nel 2008, si vede come il numero di immatricolazioni sia iniziato a scendere arrivando, nel 2010, appena al disotto delle 13.000.000 unità.
Questo va a dimostrare come il settore dell’auto risenta molto dei fattori congiunturali e del ciclo economico, per la caratteristica di essere un bene durevole che non è di prima necessità. Va anche considerato che i continui progressi qualitativi hanno determinato un allungamento della sua vita utile, tale da rendere meno pressante l’esigenza di sostituzione per motivi di affidabilità tecnica e/o sicurezza. 10.000.000 11.000.000 12.000.000 13.000.000 14.000.000 15.000.000 16.000.000 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
1.3.
Principali protagonisti
Riferendoci all’industria automobilistica nella sua accezione più ristretta, quindi ai soli Oem produttori di veicoli leggeri, ci troviamo di fronte a una concorrenza tra diversi gruppi titolari, nella maggior parte dei casi, di più marchi per riuscire a coprire più segmenti di mercato con la propria offerta.
Abbiamo svolto un’analisi sulle principali fusioni e acquisizioni avvenute dal 2000 al 2010 per i principali gruppi che sono stati presi in considerazione. Esse sono sintetizzate nella tabella 1 qui di seguito.
Case 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
TOYOTA Daihatsu = = = = = = = = = GENERAL
MOTORS Daewoo, Cadillac, Opel Chev, = = = = = = = = =
VOLKS WAGEN
Audi, Seat, Skoda, Bentley, Bugatti,
Lamb = = = = = = = + Por = HYUNDAI Kia = = = = = = = = =
FORD Jaguar, Vo, LR, AM = = = = = J, Vo,
LR Vo = / NISSAN HONDA PEUGEOT e CITROEN SUZUKI RENAULT
FIAT Maserati, Ferrari = = = = = = = + Chr = DAIMLER Chr, MB = = = = = MB = = = BMW Mini, Rolls Royce = = = = = = = = = MAZDA MITSUBISHI CHANG'AN AUTOMOBIL GROUP TATA J, LR = = FAW Vo
Tabella 1: “Fusioni e acquisizioni” (fonte: nostra elaborazione).
Legenda: -‐ “=” i marchi sono invariati
-‐ “+..” quando agli altri marchi ne viene aggiunto un altro
-‐ Sigle: LR = Land Rover, AM = Aston Martin, Lamb = Lamborghini, Chev = Chevrolet, Chr = Chrysler, Vo = Volvo, J = Jaguar, Por = Porsche, MB = Mercedes.
Nel settore dell’automobile, come negli altri settori, una considerevole importanza è ricoperta dalla marca. Il brand può aggiungere valore al prodotto e, in un mercato come quello dell’auto dove la maggior parte dei marchi ha una grande storia alle spalle, si può parlare di “capitale di immagine” che si traduce in un elevato grado di fedeltà e fiducia da parte del cliente. Il brand deve essere visto come una sintesi di tutte le caratteristiche materiali e immateriali che rendono un articolo unico e inimitabile; caratteristiche che rendono il cliente disponibile a pagare il cosiddetto premium price, cioè un differenziale di prezzo, in seguito a ciò che ha appreso e percepito del brand (Montrucchio, 1999). Secondo alcuni osservatori il panorama competitivo sarà basato sempre di più sulle marche e quindi sarà necessario possedere dei brand che riescano a dominare il mercato.
Il valore economico di una marca è il corrispettivo del valore che essa genera per il consumatore (Kerin, Hartley, Berkowitz e Rudelius, 2007). Kapferer e Thoening hanno fatto derivare il valore della marca da alcune funzioni che essa svolge:
• Funzione di identificazione, perché permette al prodotto di essere riconosciuto.
• Funzione di orientamento, perché riduce i costi di ricerca permettendo al consumatore di orientarsi nel momento dell’acquisto.
• Funzione di garanzia, in quanto identifica e responsabilizza il produttore, impegnandolo a offrire un livello specifico e costante di qualità riducendo il rischio del consumatore.
• Funzione di personalizzazione, grazie alle valenze simboliche legate alla marca che permettono al consumatore di esprimere esteriormente la propria immagine.
Nel caso dell’auto le funzioni di garanzia e personalizzazione hanno un ruolo molto rilevante visto l’elevato grado di complessità del prodotto di riferimento. La funzione di garanzia è importante perché il rischio percepito dal consumatore è elevato, derivante dall’alto costo dell’automobile di cui non è in grado di valutare con precisione il livello di qualità. La funzione di personalizzazione è sempre più presente nell’acquisto di
un’automobile perché è considerata come un bene da esibire che esprime la personalità di ogni individuo.
Interbrand, una società che si occupa di analisi sul Brand Value, pubblica ogni anno una classifica dei cento brand al mondo in base al loro valore. Come possiamo vedere dalla figura 4 il valore che viene attribuito ad ogni marchio equivale ai guadagni attribuibili alle vendite aggiuntive dovuta alla sola forza del brand. Interbrand considera il valore del brand come un qualsiasi altro asset aziendale quindi sulla base dei flussi economici che esso potrà generare in futuro e sul grado di rischio. Questa società combina proiezioni di analisti, report finanziari e proprie analisi qualitative e quantitative per arrivare a un valore attuale netto di tali flussi. Sostanzialmente il valore del brand è dato dalla differenza di prezzo che il consumatore è disposto a pagare per avere dei prodotti con quella determinata marca rispetto a quanto li pagherebbe senza marca (Cappellari, 2008).
Si può vedere come all’inizio del decennio scorso solo sei marchi del settore automotive comparivano nella classifica dei cento brand con più valore, ma, nel corso degli anni, il numero sia aumentato a dieci. Questo può dimostrare quando la potenza dei singoli brand sia una forza propulsiva da sfruttare soprattutto in una fase di crisi come quella che caratterizza questi ultimi anni.
Figura 4: “Valore dei Brand” (fonte: nostra elaborazione sui dati Interbrand).
Si deve tener presente che, in presenza di un mercato automobilistico saturo con una domanda debole, causata dalla crisi economica, il brand ricopre un ruolo sempre più importante perché la motivazione alla base dell’acquisto è quella di concedersi una gratificazione piuttosto che di semplice possesso di un mezzo di trasporto. L’esperienza di consumo diventa sempre più “un’esperienza cognitiva che ha valore per il significato che le viene dato” (Rullani, 2004). Il valore della marca nel settore auto ha lo stesso peso che ha nel settore della moda e del lusso quindi legato soprattutto alla capacità di attribuire un cuore e un’anima agli oggetti, trasformando così un’auto da un mezzo di trasporto a un’espressione di se stessi e del proprio modo di essere. Il consumatore va sempre più alla ricerca di brand che siano coerenti con i propri valori e stili di vita.
Sotto l’influenza di questa nuova motivazione all’acquisto che caratterizza il mercato odierno possiamo leggere diversi fenomeni di brand extension intesa come l’entrata in nuovi settori cercando di utilizzare il nome di una marca di successo per
-‐ 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000 35.000 Mi lio ni d i d ol la ri 2001 2002 2009 2010
lanciare dei prodotti (Kotler, 2004). Nel settore auto essa si è manifestata con accordi formalizzati di licensing che consiste nella concessione da parte del proprietario (licenziante) a un altro soggetto (licenziatario) di diritti d’uso sulla marca soggetta a tutela giuridica. Un esempio è la 500 della Fiat che ha utilizzato come licenziataria il marchio Gucci e Diesel. Per la 500 ha rappresentato un notevole vantaggio per la crescita del giro di affari derivante dalla notorietà del marchio utilizzato.
1.4.
Ruolo dell’innovazione nel settore auto
Come si è potuto evidenziare il settore ha subito notevoli cambiamenti a livello competitivo che si sono tradotti in importanti innovazioni, anche sul piano tecnologico. In questo contesto, l’innovazione tecnologica diventa uno degli strumenti principali a disposizione dell’impresa per riuscire a rispondere con successo alla ricerca di varietà dei consumatori, contrastando la crescente concorrenza globale, differenziando la propria offerta.
L’innovazione tecnologica è diventata il fattore determinante del successo competitivo in quanto, per la maggior parte delle imprese, innovare è un imperativo strategico fondamentale per mantenere e acquisire posizioni di leadership nel mercato così come per recuperare condizioni di svantaggio competitivo (Schilling, 2009). Schumpeter identifica l’innovazione come una “creative destruction”, la maggiore forza che va ad influenzare il cambiamento industriale e lo sviluppo economico.
Quando parliamo d’innovazioni tecnologiche intendiamo tutti i prodotti e processi dell’impresa che possono essere considerati nuovi o migliorati rispetto a quelli precedenti dal lato delle caratteristiche tecniche, funzionalità, prestazioni e così via.
In un settore come quello dell’auto caratterizzato per essere di tipo capital intensive, quindi con notevole necessità di capitale e una grande quantità di costi fissi, molti attori si sono trovati di fronte alla necessità di incrementare la produttività cercando di ridurre i costi fissi agendo sullo sviluppo delle economie di scala. Per fare questo, a livello di mercato, abbiamo assistito a sempre più fusioni e acquisizioni che
permettono di coprire con il posizionamento dei singoli brand diversi segmenti di mercato e, a livello tecnologico, l’utilizzo di piattaforme condivise.
1.4.1. Diversi tipi di innovazione
Una delle distinzioni principali che si possono evidenziare riguarda la natura dell’innovazione distinguendo tra innovazione di prodotto o processo (Schilling, 2009). Le innovazioni di prodotto sono incorporate nei beni e nei servizi realizzati dall’impresa. Producono più facilmente un vantaggio competitivo esterno poiché apportano un miglioramento del servizio reso al cliente o una migliore risposta ai suoi bisogni introducendo sul mercato un prodotto tecnologicamente nuovo o migliorato in termini di performance, facilità d’uso, caratteristiche tecniche e così via. Non può essere considerata un’innovazione la sola variazione di caratteristiche estetiche o nel design che non determinano una modifica nelle sue caratteristiche tecniche e funzionali.
Le innovazioni di processo riguardano dei cambiamenti nelle modalità in cui l’impresa svolge la sua attività e sono spesso orientate a un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi di produzione. Sono, in genere, più adatte alla creazione di un vantaggio competitivo interno, per via di una maggiore efficienza, della riduzione dei costi e così via.
Spesso le innovazioni di prodotto e di processo sono tra loro simultanee e correlate in quanto:
• Un nuovo prodotto può determinare lo sviluppo di nuovi processi • Un nuovo processo può consentire la realizzazione di nuovi prodotti
• Un’innovazione di prodotto introdotta da un’impresa può essere un’innovazione di processo per un’altra.
Le innovazioni di prodotto e processo possono essere ulteriormente suddivise: • In base alla profondità del miglioramento introdotto possiamo distinguere tra
innovazione radicale o incrementale secondo una classificazione fatta da Dewar e Dutton nel 1986 che riguarda la distanza tra l’innovazione e il prodotto o
processo preesistente. Le innovazioni radicali dovrebbero essere di completa rottura con il passato, risultare differenti dai prodotti o processi produttivi precedenti. Le innovazioni radicali presentano un elevato tasso di rischio perché, incorporando nuove conoscenze, ogni produttore o cliente potrà esprimere un giudizio differente sulla sua utilità o affidabilità. Le innovazioni incrementali non presentano caratteristiche particolarmente nuove o originali, possono essere già note all’interno del settore o dell’impresa e consistono in cambiamenti marginali; riguardano miglioramenti continui delle prestazioni con il raffinamento di soluzioni esistenti e implicano, in pratica, la costante ricerca di miglioramento da parte dell’impresa.
Questa distinzione presenta una componente di relatività in quanto la novità di un prodotto o processo può cambiare a seconda del tempo o della prospettiva di analisi. Per quanto riguarda l’aspetto temporale, un’innovazione considerata da qualche tempo radicale potrebbe assumere un carattere incrementale man mano che le conoscenze che hanno contribuito a generarla si diffondono. Per quanto riguarda la prospettiva di analisi il grado di novità dal punto di vista dell’impresa può essere diverso rispetto a quello del cliente.
Per quanto riguarda l’impresa (tabella 3) più essa si avventura su terreni nuovi più il rischio strategico diventa rilevante. Nel caso di prodotto e mercato noti ci troviamo di fronte a prodotti riformulati, migliorati e nuove generazioni di prodotti. Si tratta di penetrazione del mercato dove il rischio per l’impresa è limitato. Se il mercato è nuovo, ma il prodotto è noto si tratta di uno sviluppo attraverso i mercati e quindi non possiamo parlare di innovazione per l’impresa stessa. Se il mercato è noto e il prodotto è nuovo siamo in presenza di aggiornamenti di caratteristiche, estensioni di gamma, nuove linee di prodotti. In questo caso il rischio è alto e chiama in causa competenze di tipo tecnico. Se il mercato e i prodotti sono nuovi si tratta di rischi ancora più elevati.
Grado di novità del mercato per l’impresa
Grado di novità del prodotto per l’impresa
Basso Elevato
Basso (clientela attuale) Prodotti riformulati o migliorati Nuova generazione
Aggiunta alle linee di prodotti esistenti Nuova linea di prodotti Alto (clientela nuova) Estensione di prodotti
esistenti
Prodotti radicalmente nuovi
Diversificazione Tabella 3: “Grado di novità per l’impresa” (fonte: Abernathy e Clark, 1985).
Per quanto riguarda il cliente, l’innovazione può richiedere un cambiamento comportamentale anche senza una reale modifica tecnologica del prodotto stesso (tabella 4). Nel caso di semplici miglioramenti, che implicano un perfezionamento del prodotto, essi non hanno alcun impatto sul comportamento dell’utilizzatore (per esempio, nel settore degli smartphone, il passaggio dall’iphone 4 al 5 o, nel settore auto, il restyling da parte della Mercedes della classe A avvenuto nel 2008 dopo l’uscita della seconda serie avvenuta nel 2004). Si può parlare di conversioni tecnologiche quando si assiste a cambiamenti tecnologici rilevanti che non hanno conseguenze nel comportamento dei consumatori (ad esempio con l’introduzione dell’airbag o dell’ABS nel settore auto). Le innovazioni comportamentali significano che siamo di fronte a innovazioni a debole cambiamento tecnologico che portano però un cambiamento notevole nel comportamento dei consumatori (per esempio il riciclaggio obbligatorio dei prodotti). Siamo di fronte a mutamenti radicali quando si è davanti a nuovi prodotti che si fondano su cambiamenti tecnologicamente rilevanti e che modificano il comportamento di consumo o utilizzo del cliente (ad esempio, nel settore auto, l’invenzione dell’auto elettrica
porta notevoli ripercussioni per il cliente sull’utilizzo e alimentazione del mezzo).
Generalmente si può dire che la ricettività del cliente varia in base all’intensità del cambiamento comportamentale che gli viene richiesto. Il cliente accetterà molto più difficilmente un’innovazione che implica un cambiamento comportamentale rispetto a una che comporta solo un cambiamento tecnologico. In questo caso si deve tener conto di quelli che sono gli switching cost (costi di cambiamento) che il consumatore deve sostenere nel momento in cui adotta un prodotto che va a cambiare quelle che sono le sue abitudini comportamentali.
Cambiamento
tecnologico per il cliente
Cambiamento comportamentale per il cliente
Basso Elevato
Basso Miglioramento Metamorfosi
comportamentale Elevato Conversione tecnologica Mutamento radicale Tabella 4: “Grado di novità per il cliente” (fonte: Abernathy e Clark, 1985).
• In base all’effetto che esercita sulle competenze possedute dall’impresa si può distinguere in innovazione competence enhancing e competence destroying. Un’innovazione competence enhancing consiste in un’evoluzione della base di conoscenze preesistenti in cui ogni generazione fa leva sul patrimonio di conoscenze acquisendo così un valore sempre crescente (per esempio ogni generazione dei diversi modelli di auto parte da quella precedente migliorandola). Si parla di innovazione competence destroying se la nuova tecnologia non scaturisce da competenze già possedute o se le rende addirittura inadeguate e obsolete (ad esempio l’effetto che ha avuto l’introduzione del computer sulla macchina da scrivere).
• In base al suo ambito di destinazione possiamo distinguere l’innovazione architetturale e modulare. Questa distinzione parte dalla considerazione che la maggior parte dei prodotti e dei processi sono un sistema nidificato, ordinato in modo gerarchico, composto da tante componenti e, ogni singolo componente, è formato anch’esso da tante piccole parti. Henderson e Clark nel 1990 propongono questa classificazione osservando la difficoltà che dei potenziali entranti in un segmento di mercato incontrano anche solo ricorrendo a innovazioni incrementali, sottolineando l’importanza di possedere quelle che loro chiamano competenze “architetturali”, relative alla capacità di riconfigurare l’architettura del prodotto in maniera originale, anche a parità di tecnologie delle parti utilizzate (Baglieri, 2003). Per innovazione modulare si intende un’innovazione che prevede cambiamenti di uno o più componenti senza modifiche sostanziali alla configurazione generale del sistema (ad esempio l’introduzione dell’airbag nell’auto può essere vista come l’introduzione di un nuovo “modulo”, per una maggiore sicurezza in auto, a parità di architettura del prodotto). L’innovazione architetturale consiste in un cambiamento della struttura generale del sistema o del modo in cui i componenti interagiscono tra loro. Spesso questo tipo di innovazioni comportano dei cambiamenti nel sistema che si ripercuotono sul progetto nel suo complesso.
1.4.2. Integrità di prodotto nel settore auto
In un settore come quello dell’auto non bastano buone prestazioni e bassi costi per potersi assicurare un vantaggio significativo, ma sono un punto focale per la competitività è l’integrità del prodotto. Le aziende che operano in questo settore non possono competere puntando semplicemente sulla superiorità di una tecnologia proprio perché la tecnologia del prodotto è complessa e in costante evoluzione.
Come abbiamo detto in precedenza le innovazioni di tipo incrementale, tanto nei prodotti quanto nei processi, in questo settore sono sempre più frequenti spostando
costantemente verso l’alto lo standard di eccellenza del prodotto. All’interno del settore si può riscontrare un notevole balzo in avanti che porta le imprese ad accorciare il ciclo di vita del prodotto e a introdurre, con sempre maggiore velocità, nuovi prodotti. Si è giunti così a una maggiore segmentazione del mercato e a una più rapida obsolescenza del prodotto. L’innovazione è realmente un elemento cruciale perché un’impresa che non è in grado di sostenere i rapidi ritmi di innovazione vedrà i margini di profitto ridursi, non appena i suoi prodotti inizieranno a diventare obsoleti, e la sua inevitabile uscita dal mercato.
L’eccellenza del prodotto offerto è qualcosa di molto più ampio rispetto alle sole prestazioni tecniche e funzionalità. I consumatori, che hanno già sperimentato il prodotto, pretendono sempre di più un equilibrio complessivo tra le diverse caratteristiche quali le funzioni di base, l’estetica, l’affidabilità e il costo d’acquisto ed uso. Per capire se un prodotto ha raggiunto la sopra citata integrità deve riuscire a fare coincidere questo equilibrio e, di conseguenza riesce ad attirare e soddisfare clienti.
L’integrità di prodotto è sia interna che esterna:
• Interna si riferisce alla coerenza fra funzione e struttura del prodotto ad esempio se le parti si adattano bene l’una all’altra. Viene realizzata dal processo di sviluppo soprattutto grazie al coordinamento interfunzionale che coinvolge anche i fornitori di componenti.
• Esterna nella misura con cui le funzioni e la struttura del prodotto soddisfano gli obiettivi, i valori, lo stile di vita e il senso d’identità dei clienti. Questo tipo di integrità è correlata al rapporto tra produttore e cliente in quanto il concetto di prodotto è il ponte di collegamento tra quelli che sono i bisogni del cliente e la parte di progettazione del prodotto; per questo diventa fondamentale, ai fini dell’integrità esterna, il processo che l’azienda utilizza per creare il concetto di prodotto e realizzarlo in un progetto.
L’integrità deve quindi essere vista come una forma di coerenza tra queste due dimensioni.