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Determinazione di composti fenolici in mieli uniflorali mediante tecniche cromatografiche e chemometriche

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Tesi di Laurea Magistrale in Chimica Analitica

Determinazione di composti fenolici in mieli uniflorali

mediante tecniche cromatografiche e chemometriche

Relatore

Dott.ssa Erika Ribechini

Corelatore

Dott-ssa Ilaria Degano

Controrelatore

Prof.ssa Maria Rosaria Tinè

Candidato

Marco Mattonai

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(5)

~ 5 ~

Indice

Capitolo 1 – Introduzione e scopo della tesi

7

Capitolo 2 – Stato dell’arte

11

2.1 – Composizione e proprietà fisiche del miele 2.1.1 – Componenti maggioritari

2.1.2 – Componenti minoritari

11 11 12

2.2 – Caratterizzazione chimica del miele 14

2.3 – Analisi di flavonoidi ed acidi fenolici

2.3.1 – Campionamento rappresentativo e pretrattamento 2.3.2 – Estrazione 2.3.3 – Purificazione e derivatizzazione 2.3.4 – Separazione 2.3.5 – Identificazione e quantificazione 17 18 18 20 20 23

Capitolo 3 – Materiali e metodi

25

3.1 – Materiali 3.1.1 – Solventi

3.1.2 – Fase stazionaria per SPE

3.1.3 – Colonna cromatografica RP-Amide 3.1.4 – Standard 3.1.5 – Campioni di miele 25 25 25 26 26 29 3.2 – Strumentazione 3.2.1 – Strumentazione HPLC-DAD 3.2.2 – Strumentazione HPLC-MS-MS 29 29 31 3.3 – Soluzioni standard

3.3.1 – Eluizione degli standard

3.3.2 – Costruzione delle rette di calibrazione

31 31 31 3.4 – Studio dei fattori che influenzano la risposta della colonna

3.4.1 – Disegno sperimentale di Plackett-Burman 3.4.2 – Procedura sperimentale

3.4.3 – Interpretazione dei risultati

32 32 34 34 3.5 – Procedura analitica per lo studio dei campioni

3.5.1 – Estrazione in fase solida ed analisi HPLC-DAD 3.5.2 – Analisi HPLC-MS-MS

3.5.3 – Idrolisi

3.5.4 – Valutazione del recupero di estrazione

3.5.5 – Eluizione di un campione in bianco e valutazione di LOD e LOQ

3.5.6 – Identificazione degli analiti e calcolo delle concentrazioni nei campioni

35 35 36 36 36 36 37

3.6 – Analisi delle componenti principali 38

Capitolo 4 – Eluizione delle soluzioni standard in HPLC-DAD

41

4.1 – Disegno sperimentale di Plackett-Burman 4.1.1 – Tempi di ritenzione

4.1.2 – Larghezze di picco

41 41 43

4.2 – Eluizione della soluzione standard 44

4.3 – Rette di calibrazione 46

4.4 – Calcolo della resa di estrazione 47

(6)

~ 6 ~

Capitolo 5 – Studio dei campioni di miele mediante HPLC-DAD

51

5.1 – Miele di acacia 51 5.2 – Miele di castagno 51 5.3 – Miele di erica 53 5.4 – Miele di girasole 53 5.5 – Miele di marruca 54 5.6 – Miele di sulla 55 5.7 – Miele di trifoglio 55

5.8 – Concentrazioni deigli analiti 56

5.9 – Analisi delle componenti principali 60

Capitolo 6 – Studio dei campioni di miele mediante HPLC-MS-MS

65

6.1 – Segnali e frammentazioni degli standard 65

6.2 – Caratterizzazione dei composti incogniti 6.2.1 – Miele di castagno 6.2.2 – Miele di marruca 6.2.3 – Miele di sulla 66 67 68 69

Capitolo 7 – Conclusioni

71

Appendice A – Norme legislative sul miele

75

Appendice B – Spettri UV-Vis degli analiti

77

Appendice C – Cromatogrammi HPLC-DAD dei campioni di miele

81

(7)

~ 7 ~

Capitolo 1 – Introduzione e scopo della tesi

Il miele è uno dei prodotti naturali noti all’uomo da più tempo. Pitture rupestri risalenti al Neolitico già raffiguravano uomini intenti a raccogliere i favi, e testimonianze riguardanti questo alimento si trovano in tutte le culture antiche (Figura 1.1). Gli antichi Egizi erano soliti porre grandi vasi ricolmi di miele di fianco ai sarcofagi, per aiutare il viaggio del defunto nell’aldilà. Recentemente, è stato rinvenuto in una tomba egizia un barattolo di miele vecchio di più di 3000 anni, perfettamente conservato ed ancora commestibile [1]. Gli arabi utilizzavano ampiamente il miele, sia come ali-mento che per la preparazione di medicinali.

Figura 1.1 – A sinistra, pittura rupestre di un uomo che recupera i favi da un alveare (ca. 6000 a.C.) [2];

a destra, manoscritto arabo sulla preparazione di medicinali a base di miele (1224) [3].

Dal punto di vista strettamente alimentare, il miele è stato il principale dolcificante usato dall’uomo fino al XVII secolo, presentando anche il vantaggio di non richiedere nessun trattamento nel pas-saggio dall’alveare alla tavola. A partire dal XVII secolo, con lo sviluppo dei processi industriali di raffinazione della canna e della barbabietola, il miele è stato quasi interamente sostituito dallo zuc-chero in polvere [5]. Negli ultimi anni, tuttavia, il miele è stato rivalutato come alimento dotato di diverse proprietà benefiche, ed il suo impiego come edulcorante è aumentato di nuovo negli ultimi anni (Figura 2.1).

(8)

~ 8 ~

Il miele è un noto antibatterico, va difficilmente incontro a degradazione, e spalmato su una ferita superficiale o su un livido ne facilita la guarigione. Uno studio condotto nel 2007 dal centro di ricerca del Collegio Statale di Medicina della Pennsylvania ha dimostrato che il miele è un ottimo rimedio per la tosse, soprattutto in ambito pediatrico [6]. La sua azione antiinfiammatoria è stata dimostrata da studi condotti a Mosca [7, 8], in cui il miele è stato impiegato per il trattamento dell’ulcera e della gastrite. Recentemente, è stata rivalutata anche la sua attività antiossidante.

Il miele ha in sé una natura doppia, poiché origina dalla collaborazione della pianta che produce il nettare, o dell’insetto che ne ricava la melata, con l’ape che lo raccoglie e lo trasforma. Le api ad-dette alla raccolta del nettare sono ad-dette “bottinatrici”. Esse raccolgono il prodotto delle piante all’interno del loro apparato digerente, all’interno del quale la trasformazione della sostanza ha già inizio, e lo trasportano all’alveare. In questa fase, il miele è ancora molto liquido. Nell’alveare, al-cune api generano correnti di aria calda sbattendo vigorosamente le ali, e questo causa l’evapora-zione della maggior parte dell’acqua contenuta nel miele. Le api operaie, invece, usano i loro succhi gastrici per scindere gli zuccheri più complessi, e munire il miele di una piccola percentuale di acidi organici che ne garantiscono la conservazione per tempi molto lunghi. Una volta completata la tra-sformazione, il miele viene riposto nei favi e protetto da un tappo di cera (opercolo), dove termina la sua maturazione in 30-40 giorni, e può essere consumato dalle api. Subito dopo la maturazione, si verifica l’intervento dell’apicoltore. Le operazioni di lavorazione che permettono di ottenere il miele commerciale sono diverse [9]:

Estrazione dei melari – Le api vengono allontanate dai favi e stordite con dei soffiatori, che fun-zionano come dei ventilatori e diffondono fumo nell’alveare. A questo punto, i melari liberi dalle api vengono prelevati e portati al laboratorio.

Smielatura – Lo stadio successivo è la rimozione degli opercoli (disopercolatura); questa proce-dura, che era eseguita manualmente fino a pochi anni fa, è adesso automatizzata. Una volta rimossi i coperchi di cera dai favi, il miele viene fatto uscire tramite una macchina che centrifuga i melari.

Purificazione – Il miele viene filtrato in modo da rimuovere cera ed altri componenti estranei residui della lavorazione. Durante questo primo step di purificazione il miele si riempie di bolle d’aria, che vengono rimosse nello step successivo, ovvero la decantazione.

Trattamenti termici – Il riscaldamento non è sempre previsto nella lavorazione del miele, poiché risulta sempre dannoso per la qualità del prodotto. Tuttavia, esso può essere usato per fluidificare il miele e favorirne la filtrazione o il confezionamento.

Confezionamento – Il miele viene raccolto in vasetti ed è pronto alla vendita. Molti produttori di miele seguono i cicli di fioritura delle piante che producono il nettare, in modo da ottenere un miele più “naturale”. Questo implica che la produzione deve avvenire durante una singola stagione, e dunque che è necessario impostare un sistema di stoccaggio per il miele destinato alla vendita successiva.

Una larga percentuale delle pubblicazioni più recenti che riguardano il miele è rivolta allo studio dei componenti responsabili della sua azione antiossidante; i principali candidati in questo ambito sono i polifenoli e gli acidi fenolici [19, 20, 63-66], i quali originano dal metabolismo della pianta da cui le api recuperano il nettare. La comprensione del meccanismo di azione di queste molecole [54] è interessante per il grande numero di potenziali applicazioni in campo alimentare e farmaceutico [7, 54]. Molti studi condotti sul miele sono inoltre rivolti alla determinazione della sua origine botanica tramite l’identificazione di marker [9, 15, 17, 23, 67]. Infine, alcuni studi di carattere forense sono

(9)

~ 9 ~

rivolti alla ricerca ed allo sviluppo di metodi che permettano di stabilire se un miele ha subito adul-terazione o contraffazione [25, 46, 48].

Nel presente lavoro di tesi l’attenzione è stata rivolta allo studio dei composti polifenolici nel miele. In particolare, sono state condotte analisi su mieli uniflorali di origine toscana. Le differenti condi-zioni climatiche e geografiche che si possono incontrare in Toscana rendono questa regione un luogo adatto alla produzione di mieli di diversa origine botanica. La produzione di miele in Toscana è una tradizione che risale all’età etrusca e si è protratta fino ai giorni nostri, non solo grazie alle favorevoli condizioni ambientali, ma anche al retaggio culturale che caratterizza questa regione [10]. Oltre ai mieli millefiori, le principali varietà di miele uniflorale oggi prodotte sono acacia

(Ro-binia pseudoacacia), castagno (Castanea sativa), corbezzolo (Arbutus unedo), erica (Erica arborea),

eucalipto (Eucalyptus camaldulensis), girasole (Helianthus annus), marruca (Paliurus spina-christi), sulla (Hedysarum coronarium), tiglio (Tilia spp.) e trifoglio (Trifolium pratense). La Figura 1.3 mostra i principali luoghi di produzione per alcune di queste varietà.

Figura 1.3 – Aree di produzione di alcune varietà di miele toscano [11].

Per lo studio quali-quantitativo della composizione in polifenoli dei vari mieli presi in considerazione sono state impiegate tecniche di estrazione in fase solida e di cromatografia liquida ad alta presta-zione con rivelatore a serie di diodi (DAD). Per questo studio è stata impiegata una colonna croma-tografica di nuova generazione, la cui fase stazionaria esibisce una capacità di interazione variabile in funzione della polarità del solvente (paragrafo 2.3.4). Inoltre, per chiarire la struttura chimica di alcuni composti incogniti e non riconosciuti tramite il rivelatore DAD, ulteriori studi sono stati con-dotti utilizzando un sistema di rivelazione a spettrometria di massa. Sono state prese in considera-zione sette varietà di miele uniflorale, con l’obiettivo di individuare per ciascuna varietà dei profili cromatografici caratteristici, ed uno o più marker tra i composti considerati. In particolare, sono stati selezionati mieli di acacia, castagno, erica, girasole, marruca, sulla e trifoglio, provenienti da diverse zone della Toscana. Per visualizzare, trattare ed interpretare in modo efficiente la grande quantità di dati raccolti, sono stati impiegati anche metodi chemometrici e statistici.

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~ 11 ~

Capitolo 2 – Stato dell’arte

2.1 – Composizione e proprietà fisiche del miele

Il miele può essere considerato a livello macroscopico come una soluzione sovrasatura di zuccheri. I suoi costituenti principali risultano pertanto essere facilmente riconoscibili. La sua composizione a livello di specie minoritarie ed in tracce, al contrario, è molto ricca e complessa, e richiede una più attenta caratterizzazione.

2.1.1 – Componenti maggioritari

Carboidrati: Gli zuccheri sono di gran lunga i principali componenti del miele, e possono

costi-tuire più dell’80% del suo peso totale (Figura 2.1). I principali zuccheri presenti nel miele sono glu-cosio e fruttosio, ma oltre a questi sono state individuate più di 20 specie diverse di mono-, di- e polisaccaridi. Nella Tabella 2.1 sono riportati a titolo di esempio i risultati di un lavoro di ricerca svolto su una grande quantità di campioni di miele e mirato ad ottenere informazioni sugli zuccheri superiori e su alcune importanti proprietà chimico-fisiche [12]. Essendo i componenti maggioritari, gli zuccheri sono responsabili di molte delle proprietà fisiche che si osservano nel miele, ad esempio la densità e la viscosità. Il quantitativo così elevato di zuccheri è alla base della naturale tendenza del miele a non degradarsi nel tempo. I carboidrati nel miele sono anche i responsabili della sua tendenza a cristallizzare. La cristallizzazione di un miele è indice di un processo di pastorizzazione minimo o assente; infatti, quando un miele viene prodotto, la sua tendenza a cristallizzare può es-sere ridotta riscaldando a 40-50 °C. Tuttavia, tale processo è sconsigliato, in quanto risulta dannoso per l’integrità del prodotto.

Acqua: Il miele ha un contenuto di umidità variabile tra il 13 ed il 20%. I valori ottimali si trovano

al centro di questo intervallo, e la percentuale più comune è il 17%. I mieli che contengono troppa acqua, infatti, sono maggiormente soggetti a degradazione, mentre i mieli che ne contengono poca sono più difficili da trattare.

Acidi organici: Il sapore del miele è in parte dovuto anche alla presenza di acidi organici. Questi

possono costituire dallo 0.5 all’1% del peso totale del miele, e tipicamente conferiscono un pH di 4-5. Gli acidi organici del miele sono i principali responsabili della sua azione antibatterica. Gli acidi principali individuati nel miele sono il gluconico, che si ottiene dall’ossidazione del glucosio, ed il citrico, che si è inoltre rivelato un buon indicatore per distinguere il miele di nettare da quello di melata [13]. Altri acidi presenti sono ossalico, malico, lattico, acetico, tartarico, butirrico e sorbico [14]. Il quantitativo di acidi organici in un miele tende ad aumentare con il suo invecchiamento.

Sali minerali: Il contenuto in sali minerali di un miele è proporzionale alla sua colorazione [15]. I

mieli più chiari sono mediamente poveri di sali minerali, con contenuti tipici inferiori allo 0.1%. Al contrario, i mieli più scuri possono arrivare a più dell’1%. I mieli di melata hanno un contenuto di sali minerali molto alto, e si pensa che questo sia la causa principale per cui questa varietà di miele è meno adatta alla conservazione. Gli elementi principali che costituiscono questa porzione del miele sono potassio, sodio, magnesio, calcio, cloro, zolfo e fosforo.

Amminoacidi liberi, proteine, enzimi: Come si può notare dalla Tabella 2.1, il contenuto di azoto

del miele è in generale basso, e raramente supera lo 0.1%. Tale percentuale risulta equamente di-stribuita tra proteine ed amminoacidi liberi. La presenza di questi composti è dovuta più all’azione dell’ape che della pianta. L’amminoacido predominante è la prolina [16], ma sono importanti anche acido glutammico, alanina, fenilalanina, tirosina, leucina ed isoleucina. Una delle caratteristiche che

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~ 12 ~

rendono unico il miele come alimento è la presenza degli enzimi. Questi provengono principal-mente dal metabolismo dell’ape, ma si trovano anche enzimi provenienti dalla pianta o da micror-ganismi. I tre enzimi più importanti presenti nel miele sono l’invertasi (che scinde il saccarosio nei due monosaccaridi costituenti), la diastasi (che appartiene alla famiglia delle amilasi) e la glucosio ossidasi.

Tabella 2.1 – Alcuni parametri di mieli floreali [12].

Parametro

Valore medio

Range di valori

pH 3.91 3.42 – 6.10

Acidità totale (meq/kg) 29.12 8.68 – 59.49

Composizione (%) Acqua Levulosio Destrosio Saccarosio Maltosio Zuccheri superiori Minerali Azoto organico 17.2 38.19 31.28 1.31 7.31 1.50 0.169 0.041 13.4 – 22.9 27.25 – 44.26 22.03 – 40.75 0.25 – 7.57 2.74 – 15.98 0.13 – 8.49 0.020 – 1.028 ND – 0.133

Figura 2.1 – Composizione tipica di un miele.

2.1.2 – Componenti minoritari

Polifenoli: I polifenoli sono composti organici che originano dai metabolismi vegetali. Si tratta di

una classe molto ampia di molecole, che conta attualmente più di 5000 specie note [17]. In lettera-tura, si trovano concentrazioni di polifenoli nel miele che vanno dalle unità alle decine di g/g [19, 20]. Questi composti sono in parte responsabili dell’attività antiossidante del miele. I polifenoli pos-sono essere classificati in due categorie principali: i flavonoidi ed i non-flavonoidi. La categoria dei flavonoidi è composta a sua volta da diversi gruppi, dei quali è riportata la struttura generale in Figura 2.2. Come si può notare, tutti questi composti sono caratterizzati da un elevato numero di gruppi ossidrilici, e la differenza tra un sottogruppo e l’altro è principalmente dovuta al diverso grado di ossidazione dell’anello piranico centrale (i flavanoni sono i meno ossidati, seguono flavoni ed isoflavoni, ed i flavonoli sono i più ossidati). Indipendentemente dalla loro struttura, i flavonoidi

Monosaccaridi 69% Altri zuccheri 11% Acqua 17% Acidi organici 1% Altro 2%

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~ 13 ~

possono legare unità o dimeri glicosidici per condensazione su alcune delle loro funzionalità ossi-driliche. I flavonoidi che legano almeno un residuo glicosidico sono detti “glicosilati”, mentre quelli che non legano carboidrati sono detti “agliconi”. I composti non-flavonoidi di maggiore interesse per quanto riguarda la composizione del miele sono invece gli acidi benzoici ed idrossicinnamici, la cui struttura generale è riportata in Figura 2.3. Il meccanismo alla base dell’azione antiossidante di questi composti non è ancora ben noto, ma è probabilmente dovuto alla presenza dei gruppi feno-lici. Tra i meccanismi proposti vi sono il sequestro di radicali liberi, la donazione di idrogeno, la chelazione di metalli e l’interruzione di reazioni a catena [18].

Figura 2.2 – Classificazione dei flavonoidi.

Figura 2.3 – Strutture base di acidi benzoici ed idrossicinnamici.

Vitamine: Il miele è un alimento a basso contenuto di vitamine. Le vitamine che sono state

tro-vate in questa matrice sono quelle idrosolubili, soprattutto appartenenti alla famiglia B [21]. Il con-tenuto di vitamine nel miele è nell’ordine delle centinaia-migliaia di ng/g. La presenza di vitamine nel miele è principalmente dovuta al contenuto in sospensione dei granuli pollinici; al contrario del miele, infatti, il polline è molto ricco di vitamine.

Pigmenti: Le sostanze responsabili del colore del miele non sono ancora note con precisione. È

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~ 14 ~

scuri risultano avere il più alto contenuto di polifenoli [19]. Altre possibili specie potrebbero essere i carotenoidi, le xantofille, le antocianine e le clorofille [22].

Sostanze che conferiscono l’aroma: Questa categoria comprende un numero di molecole che

può variare considerevolmente da miele a miele. Si tratta principalmente di specie organiche vola-tili, tra cui si trovano alcuni composti carbonilici che originano dall’ossidazione degli acidi fenolici [23], ma anche alcoli, fenoli, idrocarburi, eteri, esteri e furani [24]. Uno dei componenti più impor-tanti della frazione volatile di un miele è l’idrossimetifurfurale (HMF, Figura 2.4); questa molecola, inizialmente assente nel miele appena confezionato, è prodotta dalla catena di reazioni di degrada-zione degli zuccheri che prende il nome di “ciclo di Maillard” o “imbrunimento enzimatico” [22]. È stata trovata una buona correlazione tra la concentrazione di questa molecola nello spazio di testa del miele sia con il tempo di conservazione che con i trattamenti termici subiti [25, 26]. L’HMF può pertanto essere impiegato come marker per determinare una buona conservazione del miele [27].

OH

O

O

Figura 2.4 – Formula di struttura dell’idrossimetilfurfurale.

Polline: Il polline è il principale componente solido presente in sospensione nel miele. La sua

composizione è totalmente dipendente dai tipi di piante da cui è stato raccolto il nettare, e per questo l’analisi del polline risulta un metodo semplice per la classificazione botanica di un miele. L’applicazione rigorosa delle tecniche melissopalinologiche risale agli anni ’70. Un miele in generale può essere definito uniflorale se contiene una percentuale effettiva di polline proveniente da una singola pianta maggiore del 45% [17], ed mieli che non possono essere definiti uniflorali sono detti millefiori. Il termine “percentuale effettiva” si riferisce al fatto che il semplice conteggio dei pollini non è un risultato significativo, poiché non tiene conto del fatto che piante diverse producono di-verse quantità di polline, a parità di massa di nettare. La percentuale effettiva è quindi calcolata dividendo la percentuale “grezza” per la produzione di polline della specifica pianta. Anche tenendo conto di questo aspetto, tuttavia, l’analisi melissopalinologica è soggetta a molte questioni. Ad esempio, la produzione di polline da parte delle piante varia di anno in anno, e polline appartenente a piante diverse può essere aggiunto artificialmente. Inoltre, durante il trasporto del nettare, le api trattengono pollini diversi in modo diverso. Per questo motivo, la ricerca di metodi alternativi per la caratterizzazione geobotanica del miele, che verrà presa in considerazione nei paragrafi 2.3 e 2.4, è molto attiva.

2.2 – Caratterizzazione chimica del miele

Lo sviluppo, negli ultimi 40 anni, delle tecniche analitiche per la separazione, caratterizzazione e quantificazione di componenti minoritari ed in tracce ha dato nuova importanza allo studio di ma-trici complesse come quelle alimentari, con l’intento di comprendere più a fondo i meccanismi di azione di un numero maggiore di sostanze. Lo studio del miele è in particolare molto interessante, ed il numero di pubblicazioni scientifiche riguardanti l’analisi del miele è in costante aumento (Fi-gura 2.2). La caratterizzazione del miele da un punto di vista chimico-fisico è importante anche in ambito legale, poiché il miele, per essere commercializzabile, deve rispettare un certo numero di parametri che sono stabiliti per legge (si veda l’Appendice A) [28].

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~ 15 ~

In questo paragrafo sono riportati i metodi analitici pubblicati in letteratura per la caratterizzazione del miele, suddivisi in base alla classe di composti che viene studiata. Particolare attenzione è stata prestata alle strategie utilizzate per determinare l’origine geografica e botanica dei mieli. Le tecni-che riguardanti in particolare l’analisi dei composti polifenolici, i quali sono stati oggetto di studio della tesi, sono descritte dettagliatamente nel paragrafo 2.3. Ciascun parametro che può essere valutato in un miele può fornire specifiche informazioni. La descrizione completa di un campione può quindi essere ottenuta misurando quanti più di questi parametri possibile. Il confronto tra dati così numerosi ed eterogenei può risultare complesso, e per questo è molto comune l’applicazione di metodi statistici ai dati analitici. I metodi impiegati più frequentemente sono l’analisi delle com-ponenti principali (PCA), l’analisi di cluster (CA) e l’analisi discriminante lineare (LDA) [29]. Dato che anche nel presente lavoro di tesi è stata impiegata l’analisi delle componenti principali, un para-grafo del Capitolo 3 è dedicato alla descrizione di questo metodo chemometrico.

Figura 2.2 – Numero di pubblicazioni riguardanti l’analisi del miele

(ricerca eseguita con Scifinder, Novembre 2014).

Amminoacidi e proteine: La caratterizzazione di un miele sulla base del suo contenuto di azoto

deve tenere di conto di tutti i composti presenti, poiché nessuno dei singoli amminoacidi risulta discriminante. La determinazione dell’origine botanica di un miele basata sull’analisi dei suoi com-posti azotati è difficile, poiché tali comcom-posti non derivano solo dalla pianta da cui è raccolto il net-tare, ma anche dall’ape che lo raccoglie. Le tecniche di analisi tipicamente impiegate in questo am-bito sono la cromatografia liquida ad alta prestazione e la gascromatografia [30, 31]. Queste tecni-che forniscono informazioni sulla componente amminoacidica, e possono essere impiegate per de-terminare il contenuto di amminoacidi liberi, oppure il contenuto totale, idrolizzando le proteine prima dell’analisi. Utilizzando queste tecniche, è stata notata una certa variabilità nella composi-zione, che permette di raggruppare i paesi da cui provengono i mieli in specifici gruppi, ma non consente di discriminare i mieli che appartengono ad uno stesso gruppo [17]. Per determinare il contenuto proteico, sono più diffuse le tecniche elettroforetiche, ed in particolare l’SDS-PAGE e l’elettroforesi bidimensionale [32]. L’analisi delle proteine risulta però meno adatta di quella degli amminoacidi alla classificazione botanica del miele.

Attività enzimatica: La misura dell’attività degli enzimi nel miele potrebbe costituire un buon

metodo alternativo all’analisi dell’HMF per rivelare trattamenti termici subiti dalla matrice. L’en-zima di cui tipicamente si misura l’attività è la diastasi, incubando una soluzione di amido a concen-trazione nota con il miele di interesse, in condizioni controllate [33, 34]. Alla fine del processo, si

0 1000 2000 3000 4000 5000 1981-85 1986-90 1991-95 1996-00 2001-05 2006-10 N u m ero d i pu b b licaz io n i Quinquennio Pubblicazioni totali Pubblicazioni annue

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determina per via spettrofotometrica il quantitativo di amido residuo, e da questo è possibile rica-vare la concentrazione di enzima, anche denominata “indice diastasico”. Questo metodo è attual-mente routinario nei processi di controllo qualità del miele, ed infatti è possibile osservare nell’Ap-pendice A (pagina 75) che questo parametro è regolato da norme legislative.

Composti volatili: L’analisi dei composti volatili, che sono responsabili dell’aroma del miele, è

molto difficile, poiché l’odore di questa sostanza varia in base al suo tempo di conservazione. L’ap-proccio a questa problematica non può prevedere fasi di riscaldamento del miele, poiché il tratta-mento termico facilita la degradazione di molti dei composti responsabili dell’aroma [17]. Una delle tecniche più promettenti è quella dell’estrazione-distillazione simultanea [35, 36], seguita dall’ana-lisi gascromatografica. Il numero di composti rivelati può variare considerevolmente sulla base della tecnica di estrazione che si impiega, arrivando in alcuni casi sopra al centinaio [37]. Per quanto concerne, in particolare, l’analisi dell’idrossimetilfurfurale, le tecniche più comuni sono la cromato-grafia liquida e la spettroscopia UV-Visibile [38].

Carboidrati: Le analisi della componente zuccherina di un miele sono importanti, perché

per-mettono di stabilire se questo è stato adulterato. Infatti, la contraffazione di solito è ottenuta ag-giungendo sciroppo. Gli sciroppi sono soluzioni di zuccheri, ed i più importanti di cui si deve tenere conto riguardo all’adulterazione del miele sono lo sciroppo invertito (che contiene glucosio e frut-tosio) e gli sciroppi di amido di mais [17]. Il test dell’HMF (idrossimetilfurfurale) è attualmente il più utilizzato per individuare adulterazioni, ma i suoi risultati sono sempre discutibili, poiché questo composto non si genera solo da trattamenti illegali del miele. I metodi di analisi dei carboidrati nel miele sono molti, e ricadono in quattro categorie principali. È possibile sfruttare il potere riducente dei gruppi carbonilici degli zuccheri in forma aperta impiegando diversi reattivi, tipicamente a base di rame(II) [39, 40], oppure con metodi elettrochimici [41]. In alternativa, è possibile ricorrere a metodi biologici, operando in modo “inverso” rispetto alle tecniche di misura dell’attività enzima-tica. Sono poi molto diffuse le tecniche cromatografiche. La cromatografia su strato sottile, che presenta il vantaggio della semplicità, può essere utilizzata sia per analisi qualitative [42] che quan-titative [43]. La gascromatografia può essere usata per analisi quanquan-titative, ma poiché i carboidrati sono composti molto polari, permette di analizzare solo mono-, di- e trisaccaridi, ed anche in questi casi è necessario uno step di derivatizzazione (tipicamente sililazione) [44, 45]. La tecnica cromato-grafica in fase liquida più diffusa è quella ionica, che si è rivelata promettente per la rivelazione di mieli adulterati con sciroppi. Essa permette infatti di analizzare catene oligosaccaridiche più lunghe di quelle permesse dalla gascromatografia, e quindi di ottenere dei profili caratteristici che saranno diversi per i mieli autentici e per quelli modificati [46, 47]. Per queste tecniche, il rivelatore più comunemente utilizzato è quello amperometrico. Infine, la natura chirale dei carboidrati fa sì che il miele sia dotato di un potere ottico rotatorio, dato dalla somma dei contributi dei singoli zuccheri. La determinazione di questo parametro permette di distinguere i mieli di nettare, che non hanno valori specifici, da quelli di melata, che invece sono caratterizzati da valori sempre positivi. Anche la determinazione del rapporto tra isotopi stabili si è rivelata utile per l’individuazione di matrici adulterate [48]. Il parametro osservato più di frequente è il 13C, definito secondo l’equazione 2.1, in cui Rm indica il rapporto 13C/12C determinato dall’analisi, e R0 è il valore di tale rapporto per una sostanza che viene scelta come riferimento.

𝛿13𝐶 =𝑅𝑚− 𝑅0

𝑅0

∙ 103 (2.1)

Questo metodo non è dunque limitato all’analisi dei carboidrati, ma estende la misura analitica a tutto il carbonio contenuto nel campione di miele. Ogni sostanza naturale ha il suo valore di 13C,

(17)

~ 17 ~

che deriva dai vari processi di frazionamento isotopico cui vanno incontro i composti organici du-rante i cicli metabolici. Se dunque un miele viene adulterato con un’altra sostanza, il suo valore di

13C risulterà diverso da quello del miele non adulterato. Il metodo più usato per determinare 13C in campioni di miele è la spettrometria di massa [48], accoppiata ad una separazione cromatogra-fica preliminare, in modo da ottenere il valore del rapporto isotopico per ciascun monosaccaride.

Acqua: Il contenuto di acqua di un miele viene tipicamente determinato con metodi fisici, ad

esempio misurando la conduttività elettrica [49]. I parametri che dipendono maggiormente dall’umidità sono la viscosità, la densità e l’indice di rifrazione. Tutti questi parametri risultano in-versamente proporzionali alla quantità di acqua. In particolare, l’indice di rifrazione è il parametro più frequentemente misurato nelle analisi routinarie del miele e durante la sua maturazione, ed è disponibile in commercio un rifrattometro dedicato che prende il nome di “mielometro” [50].

Sali minerali: La quantificazione degli elementi inorganici e delle specie presenti in tracce

po-trebbe costituire un metodo promettente per identificare la provenienza geografica di un miele. Infatti, è stato notato che i mieli provenienti da regioni vicine a zone industriali possiedono un con-tenuto maggiore di elementi inorganici [51]. Le tecniche analitiche più usate per l’analisi di queste specie sono quelle di spettroscopia ottica, sia con atomizzazione al plasma [51] che con il fornetto di grafite [52]. Molto comune è anche la misura della conduttività elettrica, impiegata come analisi di routine nella produzione industriale. Un metodo molto meno diffuso è invece l’analisi ad attiva-zione neutronica [53]. Questa consiste nell’irraggiare il campione con un fascio di neutroni, che vengono catturati dagli elementi inorganici con formazione di isotopi radioattivi. Tali isotopi vanno quindi incontro a decadimento, emettendo radiazione  che viene misurata da un apposito rivela-tore. Il vantaggio di questa particolare tecnica analitica, oltre all’elevata sensibilità e flessibilità, è la possibilità di misurare contemporaneamente un numero molto elevato di elementi.

2.3 – Analisi di flavonoidi ed acidi fenolici

L’interesse analitico nei confronti dei polifenoli in generale nasce dall’osservazione delle loro pro-prietà antibatteriche, antiinfiammatorie ed antiossidanti, ed ha inizio già a metà del secolo scorso [54]. Con il passare del tempo, la presenza di questi composti è stata determinata in un numero sempre maggiore di specie vegetali. Lo studio del contenuto di polifenoli nel miele ha avuto inizio approssimativamente negli anni ’90 [55], ed ha conosciuto un notevole sviluppo dal 2000 in poi [56]. Dallo studio delle pubblicazioni che si possono trovare in letteratura, è possibile identificare una strategia generale per l’analisi dei polifenoli nel miele, che può essere riassunta nello schema riportato nella Figura 2.3. Nelle sezioni seguenti verranno considerati più in dettaglio i singoli pas-saggi.

Figura 2.3 – Schema generale di una procedura per l’analisi dei polifenoli nel miele.

Identificazione e quantificazione

Separazione

Purificazione e/o derivatizzazione

Estrazione degli analiti

Pretrattamento del campione

Campionamento rappresentativo

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~ 18 ~

2.3.1 – Campionamento rappresentativo e pretrattamento

Raccogliere un campione rappresentativo del miele analizzato è fondamentale, soprattutto quando il metodo analitico scelto prevede l’utilizzo di quantità piccole di sostanza. Il miele può andare in-fatti incontro a separazioni di fase, deposizione del particolato in sospensione, cristallizzazione ed altre trasformazioni fisiche che possono compromettere in modo significativo la riproducibilità dell’analisi. Per ottenere un campione omogeneo, è raccomandato mescolare il miele energetica-mente, in modo manuale o meccanico, oppure sottoporre il miele ad una blanda sonicazione [57]. Qualora il miele sia cristallizzato, si può renderlo più fluido con un blando riscaldamento, facendo attenzione a non superare i 40-50 °C [58].

2.3.2 – Estrazione

Una volta prelevato un campione rappresentativo, questo viene solitamente sciolto in acqua acidi-ficata, rendendolo adatto allo step successivo, ovvero l’estrazione. L’obiettivo di questo step è na-turalmente quello di isolare dalla matrice gli analiti, che come visto sono componenti minoritari. In letteratura si trovano varie tecniche proposte.

Estrazione con solvente: Con questa tecnica, gli analiti vengono estratti utilizzando un solvente

organico abbastanza polare, tipicamente acetato di etile o etanolo. L’estrazione con solvente non permette però di recuperare i flavonoidi glicosilati, poiché la polarità dei frammenti glicosidici li rende poco solubili nella fase organica [59, 60].

Le tecniche di estrazione assistita da microonde o da ultrasuoni sono state applicate recente-mente all’analisi dei polifenoli nel miele, in sostituzione dell’estrazione in fase liquida. Queste tec-niche riducono notevolmente il tempo richiesto al processo, e forniscono rese comparabili o supe-riori a quelle ottenibili con l’estrazione con solvente organico [60]. Lo svantaggio principale di que-ste tecniche è che il tempo di irraggiamento deve essere accuratamente ottimizzato, poiché tempi troppo brevi comportano una minore resa di estrazione, mentre tempi troppo lunghi possono com-portare degradazione degli analiti. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda l’estrazione con mi-croonde, queste tecniche sono caratterizzate da una bassa selettività, e gli estratti sono spesso in-quinati da specie indesiderate.

Estrazione con fluido supercritico: Alcune fonti in letteratura sfruttano l’estrazione con CO2 su-percritica, che presenta i vantaggi di basso consumo di solvente e facilità di allontanamento dello stesso dagli analiti e quindi loro preconcentrazione [61]. Dato però che l’anidride carbonica è un composto apolare, questa metodica di estrazione presenta nel caso del miele gli stessi problemi dell’impiego di un solvente organico.

Estrazione in fase solida: Di tutti i metodi di estrazione considerati, l’estrazione in fase solida è

quello che trova più applicazioni in letteratura. Vengono usati a tale scopo diversi tipi di fase sta-zionaria [62]. Le cartucce C18 presentano una polarità troppo bassa, e sono quelle che in generale forniscono le rese minori. L’eluizione con questo tipo di colonne viene fatta usando solventi sia forti, come acqua o metanolo [63], che deboli, come acetonitrile e tetraidrofurano [64], a seconda della polarità del solvente in cui gli analiti sono inizialmente disciolti. Altre fasi stazionarie che sono state valutate sono quelle polifunzionali come le Strata-X e le Oasis HLB, che sono costituite da polimeri reticolati dotati di gruppi sia polari che apolari. Tuttavia, dai dati di letteratura la fase sta-zionaria che presenta le migliori rese di estrazione risulta essere la Amberlite XAD-2. Questa fase stazionaria merita una menzione particolare, dato che è stata scelta anche per il presente lavoro di tesi. Si tratta di un polimero reticolato di stirene e divinilbenzene, la cui capacità di adsorbimento si basa sull’instaurazione di interazioni  [65]. L’eluizione degli analiti adsorbiti su questa colonna è solitamente condotta con metanolo [66, 67]. Nella Tabella 2.3 sono riportate le caratteristiche

(19)

~ 19 ~

delle quattro fasi stazionarie citate, mentre nella Figura 2.4 sono confrontate le rese di estrazione riportate in letteratura per alcuni analiti.

Tabella 2.3 – Struttura e interazioni delle fasi stazionarie per SPE dei polifenoli nel miele.

Isolute C18 Silice funzionalizzata

Interazioni idrofobiche (catena alchilica)

Strata-X

Reticolo funzionalizzato

Interazioni  (anello benzenico) Legami a idrogeno (anello pirrolidonico)

Interazione idrofobica (catena alchilica)

Oasis HLB

Divinilbenzene e vinilpirrolidone

Interazione polare (anello pirrolidonico) Interazione apolare (anello benzenico)

Amberlite XAD-2 Stirene e divinilbenzene

Interazioni  (anello benzenico)

Figura 2.4 – Recuperi percentuali di estrazione di alcuni polifenoli

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~ 20 ~

2.3.3 – Purificazione e derivatizzazione

Una volta isolati gli analiti dalla matrice, la soluzione viene solitamente portata a secco con un flusso di gas inerte in modo da ridurne il volume e concentrare i polifenoli. In alcuni casi, l’analisi può prevedere la misura della concentrazione dei flavonoidi nella sola forma di agliconi, ed è quindi necessario idrolizzare i legami glicosidici, usando HCl o acido formico. Il trattamento è in genere condotto a temperature elevate (80-100 °C) per 1-2 ore [68, 69]. Il tempo di idrolisi deve essere ottimizzato, dato che presenta problematiche analoghe ai processi di estrazione per irraggiamento: tempi troppo corti riducono la resa di reazione, e tempi troppo lunghi comportano la degradazione degli analiti. I polifenoli, ed in particolar modo i flavonoidi, sono composti altobollenti, e dunque, se l’analisi prevede l’eluizione in un sistema gascromatografico, è necessario aumentarne preven-tivamente la volatilità tramite reazioni di derivatizzazione. La derivatizzazione più comune è la tri-metilsililazione [70, 71].

2.3.4 – Separazione

Elettroforesi capillare: Le tecniche elettroforetiche sono applicate all’analisi dei polifenoli in due

modalità. L’elettroforesi capillare a zone (ZCE) sfrutta la diversa mobilità degli analiti all’interno della fase mobile, la quale fluisce grazie alla presenza di elettroliti [66]. Questa tecnica richiede che gli analiti si trovino in forma ionica, e per i polifenoli questo può essere ottenuto sfruttando le fun-zionalità carbossiliche, che possono essere deprotonate quantitativamente impiegando fasi mobili tamponate a pH fortemente basici. La cromatografia elettrocinetica micellare (MEKC) invece sfrutta l’equilibrio di ripartizione degli analiti tra la fase mobile ed una fase micellare, anch’essa in movi-mento ma con velocità molto inferiore [72]. La separazione in questo caso si basa sull’instaurazione di interazioni idrofobiche tra gli analiti e le micelle. Il confronto tra le due tecniche [73] rivela che la MEKC fornisce in generale risultati migliori per l’analisi dei polifenoli, poiché la mobilità elettrofo-retica, che è il fattore discriminante nella ZCE, è un parametro che dipende da molti fattori, e dun-que caratterizzato da una bassa robustezza.

Gascromatografia: I polifenoli possono essere analizzati per via gascromatografica [70, 71],

sfruttando sia eluizioni isoterme che con gradienti di temperatura. Tuttavia, questa è la tecnica meno diffusa e con meno riscontri in letteratura. Ciò è dovuto, come visto precedentemente, al fatto che questi analiti sono poco volatili, ed è quindi necessaria una derivatizzazione. Le derivatiz-zazioni sono operazioni spesso complesse, per le quali è difficile assicurare una buona riproducibi-lità, soprattutto quando si ha a che fare con matrici complesse come quelle alimentari, e ciò limita l’applicabilità della GC in questo campo.

Cromatografia liquida: L’eluizione in HPLC risulta essere di gran lunga la tecnica strumentale di

elezione per l’analisi dei polifenoli, ed in letteratura si trova un’ampia documentazione a riguardo [20, 60, 62, 64, 67-69, 74-80]. In particolare, è molto diffusa la cromatografia in fase inversa, con l’impiego di fasi stazionarie C18. L’eluizione è solitamente condotta in gradiente, sfruttando acqua come solvente più polare ed acetonitrile o metanolo come solvente meno polare. Il pH del solvente è mantenuto acido, in modo da assicurare che gli analiti siano nella loro forma indissociata durante tutta la corsa. Nella Tabella 2.4 sono riportati alcuni esempi di analisi dei polifenoli nel miele trovati in letteratura. Per ciascuna analisi è riportato anche il numero di analiti che sono stati identificati. L’ordine di eluizione dei polifenoli in queste condizioni è riproducibile: i composti meno ritenuti sono gli acidi fenolici, seguiti dagli idrossicinnamici. Seguono poi le varie categorie di flavonoidi, nell’ordine: flavanoni, flavonoli e flavoni/isoflavoni. All’interno di ciascuna categoria, i composti gli-cosilati sono in genere eluiti prima dei corrispondenti agliconi, grazie alla loro maggiore polarità, mentre la metilazione dei gruppi ossidrilici causa solitamente un aumento del tempo di ritenzione.

(21)

~ 21 ~

Tabella 2.4 – Dati relativi ad alcune analisi HPLC di polifenoli nel miele. Nella penultima colonna è

riportato il numero di acidi fenolici (A) e di flavonoidi (F) determinati in ciascuno studio.

Campione Fase stazionaria Fase mobile Rivelazione Analiti Rif.

Miele di eucalipto Lichrocart RP-18 (5m)

H2O-HCOOH

CH3OH DAD 11F [20]

Miele di fragola Spherisorb

ODS-2 (5m) CH3OH-H2SO4 DAD; NMR; MS 1A [60] Mieli di tiglio ed erica Ascentis C18 (5m) H2O-HCOOH CH3OH DAD; MS 5A 3F [62]

Mieli di acacia, eu-calipto, erica, lime,

castagno, lavanda, arancia, girasole, colza, rosmarino Spherisorb ODS-2 (5m) H2O-fosfato CH3OH DAD 10A [64] Polline Nucleosil C18 (5m) H2O-fosfato CH3OH DAD 4A 5F [66]

Miele di girasole Lichrosorb RP-18 (7m) H2O-fosfato CH3CN DAD 5A [74] Mieli eustraliani di eucalipto Lichrocart RP-18 (5m) H2O-HCOOH CH3OH DAD 6A [75] Mieli neozelandesi ed australiani di Leptospermum Lichrocart RP-18 (5m) H2O-HCOOH CH3OH DAD 15F [76]

Mieli tunisini mille-fiori e di arancia, colza, eucalipto,

gi-rasole, rosmarino, timo Lichrocart RP-18 (5m) H2O-HCOOH CH3OH DAD; NMR; EI-MS 1A 12F [77] Mieli australiani di arbusto, Crow-Ash, Erica, Girasole, Tè Lichrocart RP-18 (5m) H2O-HCOOH CH3OH DAD 11F [78] Mieli di Acacia, Manuka, Veccia, Grano Saraceno Discovery RP-Amide C16 (5m) H2O-HCOOH CH3OH-HCOOH Elettrochimica; MS 1A [79]

Di particolare interesse nell’ambito della separazione tramite HPLC è l’impiego delle colonne Ascen-tis RP-Amide [79, 91, 102]. Queste colonne fanno parte della famiglia di fasi stazionarie denominate Embedded Polar Group (EPG), ovvero dotate di un gruppo polare, in questo caso ammidico, posto vicino alla superficie di silice. Lo sviluppo di questo tipo di colonne nasce dalla necessità di risolvere alcuni problemi legati alla ritenzione su fasi inverse di analiti dotati di carattere basico. Normal-mente, infatti, questi analiti interagiscono poco con la fase stazionaria, e presentano quindi tempi di ritenzione bassi. Alcuni di questi composti tuttavia risultano interagire fortemente non con le catene alchiliche, ma con i gruppi silanolici presenti sulla superficie della fase stazionaria, determi-nando una ritenzione molto forte e dei tempi di eluizione elevati [92]. La presenza del gruppo polare nelle EPG riduce la tendenza dei silanoli ad interagire con questi analiti, probabilmente a causa dell’instaurazione di interazioni dipolari o legami a idrogeno. Un altro vantaggio che queste colonne presentano è una maggiore resistenza a fasi mobili totalmente acquose. Al contrario delle colonne C18 convenzionali, infatti, la presenza del gruppo polare permette di condurre separazioni

(22)

croma-~ 22 croma-~

tografiche usando fasi mobili anche con elevato contenuto di acqua. L’RP-Amide è un caso esem-plare di questa caratteristica, poiché è in grado di tollerare anche una fase mobile totalmente ac-quosa [91]. Inoltre, le catene alchiliche presentano un comportamento che varia in funzione della polarità netta del solvente. Quando la fase mobile è molto polare, le catene si ripiegano sulla su-perficie di silice, esponendo in questo modo il gruppo ammidico più polare; quando invece la fase mobile è a bassa polarità, esse si distendono verso l’esterno. Questo fa sì che la fase stazionaria sia in grado di instaurare con gli analiti interazioni che differiscono sempre in maniera sottile da quelle instaurate dalla fase mobile, permettendo la separazione di molecole dotate di polarità molto simili e che verrebbero coeluite da una colonna C18 convenzionale. La capacità delle catene di ripiegarsi è anche ciò che permette a questa fase stazionaria di resistere ad una fase mobile acquosa, poiché il ripiegamento stesso protegge la silice da reazioni di idrolisi cui andrebbe incontro se fosse esposta ad un solvente protico. Questa capacità delle catene alchiliche di cambiare conformazione è però un’arma a doppio taglio, poiché rende la fase stazionaria molto più sensibile all’ambiente ed alle condizioni esterne rispetto alle classiche colonne analitiche. Piccole variazioni di pH, flusso o tem-peratura possono infatti comportare variazioni significative dei tempi di ritenzione degli analiti [93]. A causa di questo, negli articoli in cui è riportato l’utilizzo di una fase stazionaria RP-Amide è pratica comune termostatare la colonna, tipicamente a 40 °C [79, 92]. Inoltre, la colonna necessita di tempi più lunghi di condizionamento quando il gradiente parte da una soluzione acquosa al 100%.

O Si(CH3)2 O OH OH O OH R O Si O Si O Si O Si O Si O R OR OR OR OR OR NH (CH2)14CH3 O Si(CH3)2 NH (CH2)14CH3

Figura 2.5 – Struttura della fase stazionaria RP-Amide.

Il meccanismo di ritenzione con cui opera questa fase stazionaria non è ancora stato completa-mente caratterizzato. Uno dei pochi lavori pubblicati a riguardo è quello di Mc Gachy e Zhou [92], i quali hanno utilizzato il modello della relazione lineare di energia di solvatazione (LSER) [92, 94] per descrivere le grandezze coinvolte in una separazione cromatografica che impiega RP-Amide come colonna. In questo modello, si ipotizza che il logaritmo della costante di ripartizione k di un certo analita X, definita dall’equazione (2.2), dipenda linearmente da una serie di parametri, secondo quanto riportato nell’equazione (2.3).

𝑘 =[𝑋(𝑓𝑎𝑠𝑒 𝑠𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑖𝑎)]

[𝑋(𝑓𝑎𝑠𝑒 𝑚𝑜𝑏𝑖𝑙𝑒)] (2.2)

𝑙𝑜𝑔𝑘 = 𝛼𝐴 + 𝛽𝐵 + 𝜀𝐸 + 𝜎𝑆 + 𝜈𝑉 + 𝑐 (2.3)

I termini A, B, E, S e V indicano proprietà dell’analita che si considera (sono valori tabulati reperibili in letteratura), mentre i coefficienti e misurano le varie interazioni che la fase staziona-ria può instaurare con l’analita. In particolare,  e  si riferiscono alla capacità della fase stazionaria di formare legami a idrogeno, rispettivamente come accettore e donatore di protoni;  misura la

(23)

~ 23 ~

forza delle interazioni in cui sono coinvolti gli elettroni  e quelli di non legame;  misura l’impor-tanza delle interazioni dipolari; infine,  misura le interazioni dispersive ed idrofobiche. Nel lavoro di Mc Gachy e Zhou questi coefficienti sono stati calcolati per l’RP-Amide utilizzando analiti i cui parametri erano noti, e miscele di acqua ed acetonitrile come fase mobile. È stato inoltre valutato l’andamento dei parametri al variare della composizione della miscela. I risultati ottenuti sono mo-strati nella Figura 2.6.

Figura 2.6 – Andamento dei coefficienti cromatografici di RP-Amide

con la percentuale di acetonitrile nella fase mobile [92].

Come si può notare, il contributo maggiore alle interazioni che caratterizzano la colonna è quello delle interazioni idrofobiche (), che sono dovute alle catene alchiliche. Il contributo minore è in-vece dato dalle interazioni dipolari e dei legami a idrogeno (), che sono maggiori nella fase mobile, in cui infatti è presente l’acqua. All’aumentare della percentuale di acetonitrile, la diminu-zione della polarità del solvente rende più facile l’instaurarsi di interazioni dispersive nella fase mo-bile rispetto alla fase stazionaria ( diminuisce) e più facile la formazione di interazioni polari nella fase stazionaria rispetto alla fase mobile ( e  aumentano) [94].

2.3.5 – Identificazione e quantificazione

Risonanza magnetica nucleare: Gli strumenti per NMR trovano raramente impiego come

rive-latori per le tecniche cromatografiche, e dunque l’identificazione dei polifenoli con questa tecnica viene generalmente eseguita con altre due modalità operative. Si possono analizzare gli estratti direttamente dopo aver isolato i composti di interesse [60], ma questo metodo è applicabile solo se il numero di composti in questione è piccolo, altrimenti la complessità dello spettro non per-mette di identificare i componenti. In alternativa, è possibile raccogliere frazioni dal flusso in uscita di un sistema cromatografico, che conterranno i vari analiti isolati, e poi analizzare le frazioni tra-mite NMR [77].

Metodi elettrochimici: La rivelazione per via elettrochimica è solitamente accoppiata alla

sepa-razione tramite HPLC o elettroforesi capillare [79]. I rivelatori amperometrici e voltammetrici sono preferiti per via della loro selettività e sensibilità. In questo tipo di analisi, è molto comune l’impiego di elettrodi di carbonio [69], e recentemente sono stati anche sviluppati rivelatori che usano elet-trodi con nanotubi, che presentano il vantaggio di una superficie di adsorbimento molto elevata [80]. L’applicabilità dei rivelatori elettrochimici deriva dal carattere riducente che i composti di in-teresse presentano, il quale è anche alla base del ruolo biologico dei polifenoli come antiossidanti. Dunque questi rivelatori, che forniscono informazioni sulle reazioni di ossidazione degli analiti, per-mettono di comprendere in parte il meccanismo di azione di questi composti [81, 82].

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 10 20 30 40 50 60 70 Val o re d el co efficien te % Acetonitrile











(24)

~ 24 ~

Spettroscopia UV-Vis: Data la loro estesa coniugazione, le transizioni che caratterizzano i

poli-fenoli sono principalmente di tipo * ed n* [83]. Queste transizioni hanno energie che rica-dono nel visibile e nel vicino UV, e per questo una delle tecniche più usate per la rivelazione dei polifenoli è la misura di assorbanza. Come si può notare anche dalla Tabella 2.4, gli strumenti usati più di frequente sono quelli ad array di diodi (DAD), che permettono di valutare l’assorbimento di radiazione in un certo range di lunghezze d’onda. Questo permette di ottenere spettri di assorbi-mento in tempo reale durante l’eluizione cromatografica. In generale, la combinazione dello spet-tro di assorbimento e del tempo di ritenzione permette l’identificazione univoca della gran parte dei polifenoli [74-79]. Inoltre, come si osserverà nei capitoli successivi, le caratteristiche spettrali dei flavonoidi permettono di determinare con una certa sicurezza la classe di appartenenza di un analita. Infatti, composti appartenenti alla stessa categoria risultano solitamente avere lo stesso profilo di assorbimento, a meno di piccoli shift dei punti di massimo [11].

Fluorescenza: La rivelazione per fluorescenza costituisce una valida alternativa a quella per

as-sorbimento, dato che in generale le misure di emissione sono caratterizzate da una maggiore sen-sibilità [84]. Il punto debole principale di questa tecnica è che non tutti gli analiti di interesse sono fluorescenti. Per risolvere questo problema, è stata proposta la formazione di complessi chelati tramite derivatizzazione post-colonna, in cui i flavonoidi agiscono da leganti per ioni metallici come Al3+ [85]. La reazione tra legante e metallo è eseguita dopo l’eluizione su colonna e prima del pas-saggio nel rivelatore a fluorescenza, all’interno di un reattore montato on-line.

Spettrometria di massa: La spettrometria di massa è largamente impiegata per l’identificazione

dei polifenoli, anche considerando che, a differenza dell’NMR, questa tecnica è comunemente ac-coppiata alla separazione cromatografica [62, 79]. Dato che tipicamente gli analiti sono separati mediante cromatografia liquida, gli strumenti più comuni sono quelli dotati di sorgenti di ionizza-zione che lavorano a pressione atmosferica, ovvero ESI ed APCI. Inoltre, la formaionizza-zione di ioni nega-tivi è in generale preferita a quella di ioni posinega-tivi, dato che i polifenoli sono ricchi di atomi elettro-negativi (ossigeno) [86]. Molto comune è anche l’impiego di rivelatori a spettrometria di massa tandem (MS2), in cui, dopo una prima separazione degli ioni molecolari, si ottiene la loro frammen-tazione per collisione (Collision-Induced Dissociation, CID), e si analizzano gli ioni prodotti in questo modo. Questa tecnica, oltre a permettere la quantificazione dei composti, fornisce una quantità di informazioni difficilmente ottenibile con altre strumentazioni, in particolare sulla struttura degli analiti, sia per quanto riguarda la struttura base che per i residui glicosidici eventualmente legati ad essa. In letteratura sono reperibili diversi studi sulla frammentazione dei flavonoidi glicosilati ed agliconi [87, 88, 89].

Nella Tabella 2.5 sono riportati i limiti di rivelabilità strumentali (LOD), espressi in parti per miliardo, reperiti in letteratura per l’analisi dei flavonoidi con vari accoppiamenti strumentali. È interessante notare la differenza di sensibilità del rivelatore a fluorescenza rispetto a quello ad assorbimento, che è di circa tre ordini di grandezza.

Tabella 2.5 – Limiti di rivelabilità dei flavonoidi per alcuni rivelatori.

HPLC/Elet-trochimico HPLC/DAD HPLC/Fluo CE/ MS

HPLC/MS2 (APCI-Q-Q) HPLC/MS2 (ESI-Q-Trap) Rif. [69] [62] [85] [66] [86] [86] LOD (ppb) 130 – 1840 10 – 120 0.05 – 0.45 1 – 25 0.2 – 30 0.1 – 4

(25)

~ 25 ~

Capitolo 3 – Materiali e metodi

3.1 – Materiali

3.1.1 – Solventi

Per preparare le soluzioni degli standard è stato usato metanolo di grado HPLC (Sigma-Aldrich, ≥99.9%). Le diluizioni per la preparazione delle soluzioni figlie sono state eseguite con acqua bidi-stillata (Carlo Erba).

Gli eluenti per l’analisi HPLC-DAD ed HPLC-MS/MS sono due: una soluzione di acido formico allo 0.14% in acqua, ed una di pari concentrazione in acetonitrile. Per l’analisi HPLC-DAD, sono stati usati acqua bidistillata (Carlo Erba) ed acetonitrile di grado HPLC (≥99%, Sigma-Aldrich). Per l’analisi HPLC-MS/MS, sono stati usati acqua ed acetonitrile di grado LC-MS (CHROMASOLV®, Fluka Analyti-cal). In tutti i casi, è stato usato acido formico al 98% (J.T. Baker).

Per lo studio delle caratteristiche della colonna secondo il disegno sperimentale di Plackett-Bur-man, sono state preparate altre due soluzioni di acido formico in acqua ed in acetonitrile, ma a concentrazione 0.3%.

Gli eluenti impiegati per l’estrazione in fase solida sono due. Il primo è una soluzione 2 M di acido cloridrico in acqua, ottenuta per diluizione con acqua bidistillata (Carlo Erba) a partire da acido clo-ridrico al 37% (Sigma-Aldrich). Il secondo è metanolo di grado HPLC (Sigma-Aldrich, ≥99.9%).

3.1.2 – Fase stazionaria per SPE

Per l’estrazione in fase solida, è stata impiegata la fase stazionaria Amberlite XAD-2 (Sigma-Aldrich) [65]. Nella forma commerciale, il polimero si presenta in sferette rigide, di colore bianco. Tali sfe-rette presentano elevata porosità, ed il loro volume solido effettivo è costituito da microsfere di fase stazionaria impaccate. Nella Tabella 3.1 sono riportate alcune caratteristiche del materiale, mentre in Figura 3.1 è riportata una rappresentazione della struttura delle sferette.

Tabella 3.1 – Caratteristiche della fase stazionaria Amberlite XAD-2 [65]. Amberlite XAD-2 (Supelco)

Percentuale di solido (%) 55

Porosità (ml di pori per ml di sferette) 0.41

Area efficace (m2 per grammo) 300

Diametro medio dei pori (Å) 90

Densità a secco (g/mL) 1.08

Densità a umido (g/mL) 1.02

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~ 26 ~

3.1.3 – Colonna cromatografica RP-Amide

Le eluizioni cromatografiche sono state eseguite utilizzando due colonne Ascentis Express RP-Amide 100 mm x 2.1 mm x 2.7 m (Supelco), connesse ad una precolonna Ascentis Express RP-Amide 5 mm x 2.1 mm x 2.7 m (Supelco). La prima colonna impiegata è stata successivamente sostituita da una seconda uguale.

3.1.4 – Standard

Sulla base di precedenti lavori di tesi svolti nello stesso laboratorio [11, 90] e dei risultati trovati in letteratura, sono stati scelti come analiti 26 composti, di cui 14 sono acidi fenolici (acidi 3-idrossi-benzoico, 3,4-diidrossi3-idrossi-benzoico, 4-idrossi3-idrossi-benzoico, 3-idrossi-benzoico, caffeico, ferulico, gallico, orto-cuma-rico, para-cumaorto-cuma-rico, salicilico, sinapico, siringico, trans-cinnamico e vanillico), 3 sono acidi non fe-nolici (acidi abscissico, clorogenico ed ellagico), e 9 sono flavonoidi (esperidina, genisteina, luteo-lina, miricetina, naringenina, naringina, quercetina, quercitrina e rutina). Tutti questi composti sono solidi in condizioni ambiente. Nella Tabella 3.2 sono riportate le formule di struttura, le indicazioni sui fornitori ed i valori di purezza, con l’eccezione dell’acido abscissico. Quest’ultimo era infatti di-sponibile in laboratorio già come soluzione da 500 ppm in metanolo. Le notazioni –G e –GG si rife-riscono alla presenza di residui glicosidici (singoli o doppi, rispettivamente) sulla molecola. Il residuo glicosidico singolo, nella forma legata ad un flavonoide, ha formua bruta C6H11O5 ed un peso di 163 u.m.a., mentre quello doppio ha formula C12H21O10 ed un peso di 325 u.m.a.

Per tutti gli analiti sono state preparate soluzioni madre in metanolo da circa 100 ppm, ottenute sciogliendo 1 mg di composto in 10 g di solvente. Per preparare la soluzione madre di acido abscis-sico, invece, sono stati prelevati 400 L della soluzione disponibile, ed è stato aggiunto metanolo fino ad un volume totale di 2mL. Una volta preparate, le soluzioni sono state conservate in freezer a -4 °C. A partire da queste soluzioni madre, sono state preparate soluzioni contenenti più analiti, che sono state usate come standard per l’eluizione cromatografica e per la costruzione delle rette di calibrazione.

Tabella 3.2 – Nomi, formule di struttura, fornitori e purezze degli analiti standard, suddivisi per classi. ACIDI BENZOICI

R

4

R

3

R

2

R

1

O

OH

Nome R1 R2 R3 R4 Fornitore Purezza

Ac. Benzoico -H -H -H -H Sigma-Aldrich ≥99.9%

Ac. Salicilico -OH -H -H -H Sigma-Aldirch >99.9%

Ac. 3-idrossibenzoico -H -OH -H -H Aldrich 99%

Ac. 4-idrossibenzoico -H -H -OH -H Aldrich 99%

Ac. 3,4-diidrossibenzoico -H -OH -OH -H Fluka ≥97%

Ac. Gallico -H -OH -OH -OH Fluka 98%

Ac. Vanillico -H -OCH3 -H -H Aldrich 97%

(27)

~ 27 ~ ACIDI CINNAMICI R4 R3 R2 R1 O OH

Nome R1 R2 R3 R4 Fornitore Purezza

Ac. trans-cinnamico -H -H -H -H Aldrich 97%

Ac. Caffeico -H -OH -OH -H Aldrich 97%

Ac. orto-cumarico -OH -H -H -H Aldrich 97%

Ac. para-cumarico -H -H -OH -H Sigma ≥98%

Ac. Ferulico -H -OCH3 -OH -H Aldrich 99%

Ac. Sinapico -H -OCH3 -OH -OCH3 Fluka ≥99%

FLAVONOLI OH R2 R4 OH R1 R3 O O

Nome R1 R2 R3 R4 Fornitore Purezza

Rutina -H -GG -OH -OH Fluka ≥95%

Quercitrina -H -G -OH -OH Sigma >99%

Quercetina -H -OH -OH -OH Sigma ≥98%

Miricetina -OH -OH -OH -OH Biochemika >95%

FLAVONI R2 O H R1 O H O O

Nome R1 R2 Fornitore Purezza

(28)

~ 28 ~ FLAVANONI R3 R2 R1 O H O O

Nome R1 R2 R3 Fornitore Purezza

Esperidina -OH -OCH3 -GG Fluka ≥97%

Naringina -H -OH -GG Sigma ≥95%

Naringenina -H -OH -OH Fluka ≥95%

ALTRI COMPOSTI OH O O OH Ac. Abscissico Soluzione stock da 1000ppm OH O H OH O H O H O O O OH Ac. Clorogenico Aldrich, ≥95% OH OH O H OH O O O O Ac. Ellagico Lancaster, 97% OH O H OH O O Genisteina Alfa Aesar, 97%

(29)

~ 29 ~

3.1.5 – Campioni di miele

Sono stati selezionati ed analizzati 36 mieli uniflorali provenienti da diverse zone della Toscana. Di questi, 6 sono di acacia, 5 di castagno, 4 di erica, 7 di girasole, 3 di marruca, 7 di sulla e 4 di trifoglio. Per semplicità, a ciascun miele è stata assegnata una sigla costituita da due lettere, di cui la prima indica la varietà uniflorale, e la seconda indica l’ordine con cui i campioni sono stati analizzati. Nella Tabella 3.3 sono riportati tutti i mieli considerati, le loro sigle, i fornitori da cui sono stati reperiti e gli anni di produzione e scadenza riportati sulle confezioni. Tutti i mieli sono stati conservati a tem-peratura ambiente fino al momento dell’analisi.

3.2 – Strumentazione

3.2.1 – Strumentazione HPLC-DAD

Il sistema HPLC-DAD è dotato di una pompa quaternaria PU-2089 (Jasco International Co.), munita di un sistema di degasamento e di una camera di premiscelazione, e da un autocampionatore AS-950 (Jasco International Co.) dotato di 50 alloggi. È stato impiegato un rivelatore spettrofotometrico ad array di diodi MD-2010 (Jasco International Co.). Il rivelatore acquisisce uno spettro nel range 200-650 nm ogni 0.8 secondi, con risoluzione di 1 nm. Il volume di iniezione è stato 10 L per ogni campione. I cromatogrammi sono stati elaborati usando il software ChromNAV. Sulla base dei risul-tati ottenuti precedentemente nello stesso laboratorio [11, 90], la separazione dei composti di in-teresse è stata ottenuta con una corsa della durata di 64 minuti, utilizzando inizialmente il gradiente riportato nella Tabella 3.4. Quando la colonna è stata cambiata, è stato invece impiegato un gra-diente semplificato, riportato nella Tabella 3.5. Tutte le corse cromatografiche sono state condotte regolando la temperatura della colonna con un termostato GECKO 2000 (Amchro GmbH), che la-vora nel range 30-80 °C. Per l’analisi delle soluzioni standard e dei campioni di miele la temperatura è stata fissata a 40 °C. Il flusso di fase mobile è stato mantenuto a 0.4 mL/min per tutte le analisi.

Tabella 3.4 – Gradiente di eluizione per le analisi HPLC con la prima colonna. t (min) % H2O (0.14% HCOOH) % CH3CN (0.14% HCOOH)

3.75 100 0 19.50 89 11 27.75 79 21 44.25 60 40 50.25 37 63 51.00 0 100 52.50 0 100 54.00 100 0 64.00 100 0

Tabella 3.5 – Gradiente di eluizione per le analisi HPLC con la seconda colonna. t (min) % H2O (0.14% HCOOH) % CH3CN (0.14% HCOOH)

4.00 100 0 44.00 70 30 50.00 40 60 51.00 0 100 52.20 0 100 54.00 100 0 64.00 100 0

(30)

~ 30 ~

Tabella 3.3 – Catalogo dei campioni di miele analizzati (ND = non dichiarato).

Tipologia Sigla Produttore Produzione-Scadenza

Acacia A Azienda agricola Miele Camerini 2012-2014

Acacia AA Convento S. Vivaldo 2013-2015

Acacia AB Pietro Rocchi ND

Acacia AC Apicoltura Bertocchini 2011-2013

Acacia AD Il Signore delle Api 2012-2014

Acacia AE La Mieleria Erboristeria 2012-2014

Castagno C Azienda agricola Miele Camerini 2012-2014

Castagno CA Apicoltura Andreini 2013-2015

Castagno CB Bertocchini 2011-2013

Castagno CC Azienda agricola Sapori Mediterranei 2014-2015

Castagno CD Apicoltura Tomei 2013-2015

Erica E Apicoltura Bertocchini 2012-2014

Erica EA Abbazia Monte Oliveto 2013-2015

Erica EB Azienda agricola Valle di Pinino 2012-2014

Erica EC Azienda agricola Apicoltura Pasquinelli ND

Girasole G Azienda agricola Miele Camerini 2012-2014

Girasole GA Apicoltura Andreini ND

Girasole GB Apicoltura Bertocchini 2012-2014

Girasole GC Il Signore delle Api 2012-2014

Girasole GD Apicoltura Tomei 2013-2015

Girasole GE Azienda agricola Apicoltura Pasquinelli ND

Girasole GF Abbazia Monte Oliveto Maggiore 2013-2015

Marruca M Azienda agricola Miele Camerini 2012-2014

Marruca MA Il Signore delle Api 2012-2014

Marruca MB La Mieleria Rossi 2014-2015

Sulla S Azienda agricola Miele Camerini 2012-2014

Sulla SA Il Signore delle Api ND

Sulla SB Apicoltura Gualdani 2013-2014

Sulla SC Apicoltura Bertocchini 2011-2013

Sulla SD Coop. Apitoscana 2013-2015

Sulla SE Apicoltura Dr. Pescia ND

Sulla SF Abbazia Monte Oliveto Maggiore 2013-2015

Trifoglio T Azienda agricola Miele Camerini 2012-2014

Trifoglio TA Il Signore delle Api 2012-2014

Trifoglio TB Azienda agricola Valle di Pinino 2012-2014

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