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Morte cerebrale e donazione multiorgano: analisi dei dati della AOUP e della 2^ U.O. di Anestesia e Rianimazione.

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1.

LA MORTE ENCEFALICA

Definizione e cenni storici

L’attuale definizione medico–giuridica di morte è data dalla Legge 29/12/93 n°578 all’art.1: “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.

Alla fine degli anni ’50 i neurologi europei hanno posto l’attenzione su uno stato di coma nel quale l’encefalo era irreversibilmente danneggiato e aveva cessato di funzionare mentre le funzioni polmonari e cardiache potevano essere mantenute con mezzi artificiali. Mollaret e Goulon definirono questa condizione come “coma depassè” 1 (uno stato oltre il coma). Un comitato della Harvad Medical School, nel 1968 diede a questa condizione il nome di morte cerebrale e stabilì un elenco di criteri clinici mediante i quali essa potesse essere riconosciuta (Beecher et al.)2, R.D.Adams, membro del comitato, definì questo stato come un’incompleta capacità di risposta a tutte le modalità di risposta, con arresto respiratorio e assenza di tutte le attività EEG per 24 ore. Il concetto che una persona sia morta se l’encefalo è morto e che la morte encefalica possa precedere la cessazione della funzione cardiaca ha posto una serie di importanti problemi etici, legali e sociali, così come di ordine medico. I vari aspetti della morte cerebrale sono stati oggetto di studio approfonditi da parte di alcune commissioni di specialisti che hanno confermato per la maggior parte le linee guida del 1968 nella determinazione della morte encefalica. In Italia l’introduzione dei criteri neurologici per accertare la morte cerebrale avvenne nel 1969 e nel 1970 mediante due deceti del Ministro della Sanità, pensati sulla scorta dei parametri di Harvard. All’inizio degli anni novanta in Italia si creò un comitato appositamente creato per affrontare le questioni etiche generate dagli sviluppi della scienza e della medicina, in seguito nel 1993 fu introdotta l’attuale legge n° 578 che per la prima volta fornisce una definizione legale di morte ‘ calibrata’ sulla perdita totale ed irreversibile delle funzioni encefaliche.

Differenza tra coma e morte encefalica

L’attuale definizione di morte, accettata e condivisa da tutto il mondo scientifico, lascia qualche perplessità all’opinione pubblica. Ciò è dovuto alla confusione che si genera tra coma e morte cerebrale.

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Il coma è l’espressione clinica di un danno cerebrale che si può superare ed è quindi una condizione dinamica e reversibile; il danno cerebrale può essere circoscritto, procurando una lieve alterazione funzionale, o esteso, coinvolgendo così un maggior numero di funzioni cerebrali; è caratterizzato dall’assenza di vigilanza, consapevolezza, azioni volontarie ed orientamento spazio-temporale. E’ uno stato clinico dinamico che può regredire o evolvere verso la morte cerebrale. La morte

cerebrale è l’espressione clinica di un danno encefalico irreparabile e definitivo,

associato alla completa perdita di tutte la funzioni cerebrali e del tronco encefalico. In relazione allo stato di vigilanza e consapevolezza si possono inoltre manifestare altri stati differenti:

• Il delirium e la demenza, condizioni in cui la vigilanza è associata a vari gradi di consapevolezza.

• Lo stato vegetativo, caratterizzato da vigilanza (occhi aperti) in assenza di consapevolezza, in cui si possono verificare movimenti spontanei finalistici. • La sindrome locked-in che può simulare uno stato vegetativo ma con

consapevolezza intatta, in cui le funzioni corticali e del sistema reticolare di attivazione non sono compromesse.

Anatomia e fisiopatologia

Il cranio è un recipiente rigido contenente all’interno un organo piuttosto fragile, l’encefalo ( cervello, tronco, cervelletto) che è connesso direttamente con il contenuto del canale vertebrale, il midollo. Il liquor cefalorachidiano nel quale è sospeso quest’organo ha il compito di proteggere l’integrità del cervello da eventi traumatici esterni, oltre ad altre funzioni. Nell’encefalo si riconoscono tre parti fondamentali : il prosencefalo, il mesencefalo ed il rombencefalo (tronco cerebrale). Il prosencefalo è formato dai due emisferi del cervello propriamente detto, dal talamo,dai gagli della base e dal sistema limbico, il mesencefalo è formato da due parti principali, il tetto e il tegmento. Il tronco cerebrale costituisce la parte inferiore dell’encefalo, che collega la parte superiore del cervello con il midollo spinale, esso controlla funzioni quali la respirazione, la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca ed è formato da tre parti principali: cervelletto, ponte di Varolio e midollo allungato.

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Fig.1

Fig.2

Nella morte encefalica si produce la necrosi del tronco encefalico, sede dei riflessi e del controllo di molti visceri e di centri che regolano il respiro e la temperatura corporea. Da qui partono i segnali che garantiscono gli automatismi respiratori e che mantengono costante la temperatura in modo da permettere tutti i processi biologici e chimici indispensabili per la vita. Nella morte encefalica vi è la compromissione di questi centri, tale situazione si produce in seguito a una lesione cerebrale acuta che può essere di natura traumatica o vascolare. La necrosi del tronco è causata da edema cerebrale diffuso, incremento della pressione intracranica e cessazione irreversibile del flusso ematico al’encefalo ed al tronco encefalico.

Le cause di morte cerebrale sono sostanzialmente da ricondursi a: • Eventi esterni (trauma cranico)

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• Eventi interni (eventi cerebrovascolari: ictus ischemici, emorragici e arresti cardiaci temporanei ma prolungati nel tempo).

2.Diagnosi

La diagnosi di morte cerebrale 3è basata fondamentalmente su : • Valutazione clinica

• Valutazione strumentale

La valutazione clinica prevede la contemporanea assenza di: • Reazioni agli stimoli dolorifici (coma areattivo GCS= 3) • Riflessi tronco-encefalici

• Respiro spontaneo

• Presenza di uno stato di incoscienza

La valutazione strumentale prevede la dimostrazione di:

• Assenza di attività elettrica cerebrale dimostrata mediante

elettroencefalogramma (EEG)

• Assenza di flusso ematico cerebrale mediante metodi flussimetrici(

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Riflesso allo stimolo doloroso

Lo stimolo doloroso viene applicato su territorio di innervazione del trigemino e ci permette di esplorare la funzione del tronco cerebrale e di escludere l’interferenza di una mancata risposta a causa di una lesione midollare alta. Lo stimolo doloroso deve essere applicato bilateralmente ed in maniera ripetuta; possiamo stimolare il territorio di innervazione del trigemino, responsabile della sensibilità dolorosa di quasi l’intera faccia e della testa, facendo una forte pressione sulle fossette sovra-orbitarie, sopra il labbro superiore e sopra il mento. In caso di ME non devono comparire segni di risposta motoria o vegetativa nel territorio innervato dai nervi cranici ( smorfie della faccia, tachicardia, aumento della pressione arteriosa. Anche la risposta allo stimolo doloroso periferico, che studia la risposta mediata dalle vie efferenti motorie spinali, può essere valutata e in caso di ME non si deve avere alcuna risposta, si possono però evocare i riflessi spinali. Il riflesso allo stimolo doloroso può essere alterato dalla presenza di risposte motorie attribuibili ai riflessi spinali e dall’interferenza di farmaci bloccanti neuromuscolari.

Riflesssi tronco-encefalici

• Riflesso fotomotore

E’ determinato dalla contrazione pupillare in risposta alla stimolazione luminosa, la stimolazione deve essere prodotta con un fascio di luce intensa e diretta; nella morte encefalica le pupille sono areattive.

via afferente : nervo ottico; via efferente: nervo oculomotore

• Riflesso corneale

E’ determinato dalla presenza di risposte di difesa come la contrazione palpebrale,la lacrimazione e/o retrazione del capo in risposta a stimolazione corneale. La stimolazione si realizza con una garza o un batuffolo di cotone sul margine esterno delle cornee. (Via afferente: nervo trigemino; Via efferente: nervo faciale

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Via afferente: stato-acustico; via efferente: nervi oculomotore, trocleare, abducente

• Riflesso oculo-vestibolare

E’ determinato dalla comparsa di nistagmo in risposta a stimolazione calorica dei canali semicircolari. La testa del paziente deve essere elevata di 30° e si iniettano attraverso una siringa senza ago 50 ml di soluzione fredda a 4°C, mantenendo aperti gli occhi ( via afferente: nervo vestibolare; via efferente: nervi oculomotore, abducente).

• Riflesso glosso-faringeo

E’ determinato dalla comparsa di conato di vomito in risposta a stimolazione orofaringea , del palato molle e dell’ugola ( via afferente: nervo glosso-faringeo; via efferente: nervo vago).

• Riflesso carenale

E’ determinato dalla comparsa di tosse in risposta alla stimolazione tracheale effettuata introducendo un sondino nel tubo endotracheale fino ad arrivare alla carena.

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RIFLESSI TRONCO-ENCEFALICI

Test dell’atropina

Valuta l’attività del X paio di nervi cranici (nervo vago) ed i suoi nuclei bulbari. Vengono somministrati 0,04 mg/kg di solfato di atropina e.v., misurando la frequenza cardiaca prima e dopo l’iniezione. In situazione di morte encefalica, la frequenza cardiaca non deve superare il 10% della frequenza cardiaca basale. L’atropina non deve essere somministrata insieme a farmaci vasoattivi perché potrebbero portare a tachicardia e quindi falsare i risultati del test. L’atropina causa dilatazione pupillare ed aumento della PIC, pertanto tale test deve essere effettuato

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per ultimo tra tutti i riflessi e quando c’è la presumibile certezza di ME. Tale test non è comunque obbligatorio per la legge italiana.

Assenza del respiro spontaneo (Test di apnea)

Il test dell’apnea è realizzato per ultimo ed ha la finalità di dimostrare la perdita di funzione del centro respiratorio situato nel bulbo e quindi l’assenza di respirazione spontanea:

1. Eseguire una emogasanalisi per rilevare la PaCO2 di partenza e fare il calcolo del tempo necessario a far salire la PaCO2 ai valori di legge.

2. Disconnettere il paziente dal ventilatore e somministrare O2 a 6 L/min attraverso il tubo endotracheale. L’apnea deve durare il tempo sufficiente per far salire la PaC02 fino a 60 mmHg (in condizioni di normotermia si ha un aumento di 2-3 mmHg a ogni minuto di disconnessione). Durante l’apnea dovremo osservare la FC, PA e PaO2.

3. Accertamento di assenza di movimenti respiratori spontanei durante il periodo di tempo necessario a raggiungere valori di PaCO2 > 60 mmHg e Ph ematico < 7,40

4. Riconnessione del paziente al ventilatore

Valutazione strumentale

Attraverso gli esami strumentali si dimostra l’assenza di attività elettrica cerebrale ed in situazioni particolari ( previste dalla legge) l’ assenza di flusso ematico cerebrale:

• EEG : questo esame evidenzia la presenza di silenzio elettrico cerebrale ovvero assenza di attività elettrica spontanea o provocata di ampiezza superiore a 2 mVolt su tutte le regioni del capo per una durata continuativa di 30 minuti.

La condizione di silenzio elettrico cerebrale deve essere accertata con la seguente metodologia:

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• Utilizzazione di almeno 8 elettrodi posti simmetricamente sullo scalpo, secondo il Sistema 10-20 Internazionale, in modo da esplorare tutte le aree cerebrali.

• Le derivazioni possono essere bipolari con distanza interelettrodica non inferiore a 10 cm e/o monopolari ( con elettrodi di riferimento biauricolari) • Le impedenze elettriche devono essere comprese tra 0,1 e 10 KOhms

• L’amplificazione deve essere di 2 microVolts/mm e la calibrazione con deflessione positiva o negativa di 5 mm per un segnale di 10 microVolts

• Nel corso della registrazione vanno utilizzate almeno 2 costanti di tempo (di 0,1 e di 0,3 sec.)

• Durante l’esame va ripetutamente valutata la reattività nel tracciato EEG a vari tipi di stimolazione sensoriale (acustiche, nocicettive)

• La durata di ciascuna seduta di registrazione EEG deve essere di almeno 30 minuti

• Le registrazioni EEG vanno effettuate su carta, al momento della determinazione della condizione di cessazione irreversibile di tutte la funzioni encefaliche e ripetute a metà ed alla fine del percorso di osservazione.

Ci sono delle situazioni particolari nelle quali è necessario verificare l’assenza di flusso ematico encefalico attraverso gli esami strumentali (Decreto Ministeriale 11 aprile 2008):

• Bambini di età inferiore ad 1 anno

• Presenza di fattori che interferiscono sul quadro clinico e sull’EEG come farmaci depressori del SNC, alterazioni endocrino-metaboliche, ipotermia; • Assenza di diagnosi eziopatogenica certa;

• Situazioni cliniche che impediscono l’esecuzione dell’esame dei riflessi TE e dell’EEG come vasti traumatismi cranio-facciali , alterazioni anatomiche.

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Fattori concomitanti che possono interferire con la valutazione clinica e

l’ EEG.

1) Terapia con farmaci depressori del sistema nervoso centrale

La somministrazione di farmaci depressori del SNC ( benzodiazepine, oppioidi, propofol, barbiturici, curari) può avere effetti importanti sull’esame clinico neurologico e in particolare sull’EEG, tali da non rendere sicura la diagnosi di ME. L’Art. 2 del DM 11/04/08 indica che l’azione del farmaco “ non deve essere di grado tale da interferire sul quadro clinico-strumentale complessivo”; pertanto prima di iniziare la diagnosi di ME, si devono consultare i dati della cartella clinica del paziente per sapere quali farmaci sono stati somministrati, la dose, la modalità di somministrazione,la durata dell’infusione ed il tempo di sospensione; è possibile inoltre attendere la diminuzione dei livelli dosabili del farmaco al di sotto del range terapeutico in modo tale da poter escludere un interferenza significativa sul quadro clinico- strumentale complessivo.

2) Ipotermia

E’ noto che lo stato di ipotermia può alterare il quadro elettroencefalografico e neurologico, come pure dalla letteratura sono riferiti dati che indicano come necessari per la diagnosi di morte valori della temperatura corporea centrale al di sopra dei 32 °C. Per ulteriore garanzia della procedura diagnostica di morte nei soggetti affetti da lesione encefalica è necessario protrarre ogni trattamento rianimatorio sino a quando la temperatura corporea centrale non abbia raggiunto e mantenuto i 35 °C:

ipotermia lieve (35-32ºC):

– depressione metabolismo cerebrale – amnesia, disartria

– confusione, stupor – ipertonia

ipotermia moderata (32-28ºC)

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– dilatazione pupillare – iporeflessia tendinea – anormalità EEG • ipotermia severa (28-20ºC) – coma

- assenza del riflesso fotomotore – areflessia tendinea

– riduzione attività EEG fino al S.E.C.

3) Alterazioni endocrino-metaboliche

Allo stato attuale non esistono dati significativi riguardanti l’influenza delle alterazioni endocrino-metaboliche sulla diagnosi di morte encefalica, è comunque possibile ricordare alcuni punti:

• Gli squilibri elettrolitici non sono in grado di determinare da soli il silenzio elettrico cerebrale

• L’ipoglicemia grave può indurre la cessazione dell’attività elettrica cerebrale dovuta a necrosi neuronale

• Non sono noti altri casi di deficit endocrini in grado di produrre silenzio elettrico cerebrale

• Alcune forme di encefalopatia tireotossica progressiva possono portare ,anche se raramente, a quadri di EEG gravemente rallentato e spesso periodico (ma mai isoelettrico)

• L’encefalopatia uremica e/o epatica può comportare una gravissima compromissione dell’attività elettrica cerebrale e del quadro clinico neurologico

In considerazione di quanto precedentemente espresso è raccomandata la correzione delle alterazioni endocrino-metaboliche rilevate, onde permettere la diagnosi certa di morte encefalica. Qualora ciò non si dimostri possibile, si rende necessario il ricorso alle indagini flussimetriche.

4) Ipotensione sistemica

L’ipotensione sistemica determina riduzione del flusso ematico cerebrale con conseguente perdita di tutte le funzioni cerebrali e silenzio elettrico

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all’EEG. Pertanto nei casi di ipotensione sistemica pregressa è importante che questa sia stata corretta al momento di effettuare la diagnosi di morte encefalica, mantenendo livelli tali da garantire la perfusione cerebrale ( PA M di 70 mmHg); in caso contrario si rende necessario il ricorso alle indagini flussimetriche.

Metodi flussimetrici

Angiografia cerebrale

Rappresenta4 un esame con una affidabilità elevata richiede una precisa standardizzazione e registrazione delle condizioni e delle tecniche utilizzate durante la sua esecuzione. Attualmente è utilizzata la tecnica che prevede l’angiografia dei tronchi sovraortici mediante iniezione di mezzo di contrasto sotto pressione nell’arco aortico a livello dell’aorta ascendente. L’esame deve essere eseguito in assenza di ipotensione e deve essere in grado di documentare l’assenza di riempimento delle arterie intracraniche.

Scintigrafia cerebrale

La scintigrafia cerebrale richiede l’impiego di un radio farmaco capace di attraversare la BEE. Il farmaco comunemente utilizzato è il Tecnezio che viene trattenuto dalle cellule cerebrali della sostanza grigia indicando sia la presenza di attività di flusso, sia l’attività cerebrale documentata dalla captazione e dal successivo accumulo di radio farmaco. Tale esame ci permette inoltre di valutare la pervietà del circolo, la sua distribuzione e la vitalità della cellula cerebrale. Altro vantaggio offerto da questa metodica è che l’esame, nella sua semplicità di esecuzione, potendo avvalersi di una semplice acquisizione planare, può essere eseguito in ogni ospedale dotato di Medicina Nucleare. Ove disponibile è preferibile espletare tale indagine in acquisizione Tomografica Brain SPECT (Single Photon Emission Computer Tomography). Per la dimostrazione di arresto del flusso ematico cerebrale, la scintigrafia deve documentare l’assenza dell’ “uptake” intracerebrale del tracciante ( segno della “testa vuota”).

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Doppler transcranico

E’ una metodica non invasiva che ci permette di dimostrare l’assenza di flusso ematico cerebrale con una sensibilità di circa il 90% e una specificità del 100%. Viene impiegato un sistema Doppler pulsato con una frequenza di emissione di 2 MHz, grazie al quale viene registrato il segnale riflesso da un volume campione il cui diametro è uguale o lievemente maggiore di quello delle arterie cerebrali. Con questa tecnica viene visualizzato il circolo cerebrale anteriore e posteriore, bilateralmente. Durante l’esame è necessario monitorizzare la pressione arteriosa sistemica, il cui valore sistolico non deve essere inferiore a 70 mmHg, per poter escludere arresti di circolo cerebrale determinati da ipotensione sistemica.

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Risonanza magnetica ed Angio-RM

La Risonanza magnetica può rilevare l’assenza di flusso utilizzando sequenze in densità protonica e T2, dimostrando l’assenza di differenziazione tra sostanza bianca e sostanza grigia. L’angio-RM può fornire rilievi di flusso simili a quelli dell’angiografia per catetere; l’espletamento però di questa indagine, non sempre facile in pazienti in ventilazione assistita, unito alla possibilità di falsi negativi (rilievo di opacizzazione di rami endo-cranici con sangue stagnante per l’elevato segnale associato alla metaemoglobina in assenza di flusso ematico reale) fanno si che questo esame possa essere validato e raccomandato solo dopo ulteriori studi comparativi aventi per “gold standard” l’angiografia cerebrale per catetere o la scintigrafia cerebrale.

3.

Segnalazione di decesso

La segnalazione del decesso consiste nella comunicazione da parte del medico rianimatore alla direzione sanitaria della presenza di un potenziale donatore. E’ l’inizio del processo di accertamento di morte encefalica, nel momento in cui il rianimatore ritiene che ci siano le condizioni definite dal decreto del Ministero della Sanità per fare diagnosi di presunta morte encefalica. Il medico dovrà comunicare i dati anagrafici, l’ora e la causa del decesso, ed eventualmente la sierologia se presente in cartella clinica.

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4.

Accertamento di morte

La legge n. 91/99 prevede che gli organi e i tessuti possano essere prelevati da soggetti di cui sia stata accertata la morte ai sensi della legge n. 378/93 e del Decr. Min. San. n. 582/94.

Accertamento di morte nella donazione di tessuti.

Nel caso di donazione di tessuti, la morte è accertata con criterio cardiologico; in questo caso, "la morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo" (art. 2 l. n. 378/93). In base al Decr. Min. San. n. 582/94, "l'accertamento della morte per arresto cardiaco può essere effettuato da un medico con il rilievo grafico continuo dell'elettrocardiogramma protratto per non meno di 20 minuti primi"(art.1).

Il Regolamento di polizia mortuaria, D.P.R. n. 285/90, prevede che l'accertamento di morte per arresto cardiaco sia seguito dalla certificazione di morte da parte del medico necroscopo. "Le funzioni di medico necroscopo sono esercitate da un medico nominato dall'unità sanitaria locale competente. Negli ospedali la funzione di medico necroscopo è svolta dal direttore sanitario o da un medico da lui delegato" (art.4).

Accertamento di morte nella donazione di organi.

Nel caso di donazione di organi, nei soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti a misure rianimatorie, la morte è accertata con criteri neAurologici da un collegio medico (l. n. 378/93, art.2; decr.Min.San. n.582/94, artt. 2-4). La cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo è accertata quando sia riscontrata la contemporanea presenza delle seguenti condizioni:

• stato di incoscienza;

• assenza di riflesso corneale, riflesso fotomotore, riflesso e oculo-vestibolare,

reazioni a stimoli dolorifici portati nel territorio d'innervazione del trigemino, riflesso carenale e respirazione spontanea dopo sospensione della ventilazione artificiale fino al raggiungimento di ipercapnia;

• silenzio elettrico cerebrale documentato da EEG; • assenza di flusso cerebrale.

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L’accertamento della morte cerebrale si basa quindi essenzialmente su due cardini:

• La dimostrazione dell’assenza di tutte le funzioni cerebrali (corteccia e tronco) • La dimostrazione, mediante la ripetizione degli accertamenti, della

irreversibilità della perdita delle funzioni cerebrali.

La simultaneità delle condizioni indicate deve sussistere per un periodo di osservazione non inferiore a:

• 6 ore per gli adulti e i bambini di età superiore a cinque anni; • 12 ore per i bambini di età compresa tra uno e cinque anni; • 24 ore nei bambini di età inferiore a un anno.

Nel neonato l’accertamento di morte può avvenire:

• Dopo la trentottesima settimana di vita intrauterina • Dopo una settimana di vita extrauterina

In tutti i casi di danno cerebrale anossico il periodo di osservazione non può iniziare prima di 24 ore dal momento dell’insulto anossico, ad eccezione del caso in cui sia stata evidenziata l’assenza di flusso ematico encefalico, in tale condizione il periodo di osservazione può iniziare anche prima di 24 ore dal momento dell’insulto anossico. La sussistenza delle condizioni viene verificata almeno due volte: all'inizio e alla fine del periodo di osservazione dal collegio medico che esegue l'accertamento di morte. Il momento della morte coincide con l'inizio dell'esistenza simultanea delle condizioni indicate ed è stabilito dal collegio con giudizio unanime. Qualora, durante il periodo di osservazione, si verifichi la cessazione del battito cardiaco, l'accertamento della morte può essere effettuato con criterio cardiologico. Il collegio medico, nominato dalla direzione sanitaria, è composto da:

• un medico legale o, in mancanza, un medico di direzione sanitaria o un

anatomo-patologo;

• un medico specialista in anestesia e rianimazione;

• un medico neurofisiopatologo o, in mancanza, un neurologo o un

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I componenti del collegio sono dipendenti di strutture sanitarie pubbliche, la

partecipazione al collegio è obbligatoria e rientra nei doveri di ufficio del nominato.

Riferimenti normativi:

• Decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285,

Regolamento di polizia mortuaria.

• Legge 12 agosto 1993 n. 301, Norme in materia di prelievi ed innesti di

cornea.

• Legge 29 dicembre 1993, n. 578, Norme per l'accertamento e la certificazione

di morte.

• Decreto del Ministero della Sanità 22 agosto 1994, n. 582, Regolamento

recante le modalità per l'accertamento e la certificazione di morte.

• Legge 1 aprile 1999, n. 99, Disposizioni in materia di trapianti di organi e

tessuti.

5. Selezione del potenziale donatore

La valutazione di idoneità del potenziale donatore è un processo multidisciplinare e multifasico. L’esito di un trapianto dipende dalle condizioni del ricevente e dalle caratteristiche del donatore, pertanto è importante una corretta valutazione del donatore. Il Centro Nazionale Trapianti ha emanato delle linee guida per facilitare ai professionisti la gestione del processo. Successivamente ogni centro interregionale, ed ogni ospedale, hanno creato delle procedure e dei protocolli come strumento per la valutazione dell’idoneità del donatore. In prima istanza dobbiamo definire quali sono i livelli di rischio per l’utilizzo degli organi:

Rischio inaccettabile (in questo caso nessun organo può essere trapiantato) - Sierpositività da HIV 1 o 2

- Sieropositività contemporanea per HBsAg ed HDV

- Neoplasia maligna in atto ad alto potenziale metastatico

- Infezioni sistemiche sostenute da microrganismi per i quali non esistono opzioni terapeutiche praticabili

- Malattie da prioni accertate

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Quando sebbene il processo di valutazione evidenzia la presenza di agenti patogeni o patologie trasmissibili, l’utilizzo degli organi è giustificato per la particolare condizione del ricevente o dall’urgenza clinica di quest’ultimo.

Rischio calcolato

Quando l’agente patogeno o stato sierologico del donatore è compatibile con il trapianto in riceventi che presentino lo stesso agente o stato sierologico indipendentemente dalle condizioni.

Rischio non valutabile

Si verifica nel caso in cui attraverso il processo non possiamo fare una adeguata classificazione del rischio per mancanza di dati o perché il donatore nelle due settimane precedenti ha avuto comportamenti ad elevato rischio ( droghe, rapporti sessuali a rischio, detenzione in carcere). In questo caso gli organi potranno essere utilizzati solo in caso di condizioni salvavita o condizioni elettive (ad esempio in paziente HIV positivo), è inoltre necessario il consenso informato.

La valutazione di idoneità del donatore viene effettuata dal rianimatore, dal coordinatore e dall’infermiere che fanno parte della commissione. Vengono prese come riferimento le linee guida del centro trapianti, anche se ogni azienda può personalizzare i propri protocolli. La valutazione di idoneità si basa sui seguenti punti:

- Anamnesi

- Esame obiettivo

- Esami strumentali e di laboratorio

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6.Consenso dei familiari

Il consenso per l’espianto degli organi e tessuti da parte dei familiari rappresenta una parte fondamentale di tutto il processo di donazione. Secondo la legge dell’ 1° Aprile 1999 n° 91 “ Disposizioni in materia di prelievi e trapianti di organi e tessuti” gli aventi diritto a dichiarare una volontà in nome del defunto sono:

- Il coniuge non separato o il convivente

- I figli di maggiore età

- I genitori o il rappresentante legale

La proposta di donazione viene effettuata dai membri della Commissione per l’accertamento di morte attraverso un colloquio che deve essere effettuato in un ambiente adeguato, con un linguaggio chiaro e con tempi elastici. La negazione dei familiari blocca tutto il processo di donazione, anche se l’accertamento si realizza comunque. Una delle maggiori cause di perdita di donatori è proprio dovuta al rifiuto dei familiari, i principali motivi di rifiuto sono:

- Rispetto dell’integrità della salma

- Sospetto di interessi particolari dei sanitari

- Sospetto di commercio d’organi

- Principi religiosi

- Mancata comprensione o accettazione della morte cerebrale

7.Trattamento del potenziale donatore

Per trattamento, o mantenimento, del donatore d’organi, si intende l’insieme delle attività diagnostico-terapeutiche, di monitoraggio e nursing praticate nei reparti di Rianimazione sul donatore, dal momento in cui è stata effettuata la diagnosi di morte fino al termine del periodo dell’osservazione finalizzato all’accertamento della stessa. Il trattamento del donatore comprende inoltre l’assistenza durante il trasporto dalla Rianimazione alla sala operatoria e nel corso dell’intervento chirurgico di prelievo, si suddivide pertanto in 2 fasi principali:

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2) Il trattamento durante il prelievo

Presupposti necessari perché il trattamento del donatore rivesta le indispensabili caratteristiche di eticità e sia consono alle normative vigenti sono:

• Certezza dell’eziologia del danno encefalico

• Diagnosi di morte effettuata previa preventiva esclusione di ogni fattore che possa renderla dubbia o addirittura impossibile: se ciò non è realizzabile si impone l’esecuzione della prova accertante l’assenza di flusso cerebrale

• Accertamento della morte condotto rigorosamente secondo le disposizioni di legge

• Manifestazione della volontà al prelievo positivamente espressa secondo le modalità previste dalla normativa vigente

• Idoneità del donatore, e soddisfacente funzionalità degli organi da prelevare, in relazione alle caratteristiche del soggetto ricevente.

Il trattamento del donatore fa parte di una situazione organizzativa estremamente complessa che vede quali attori principali l’Anestesista rianimatore, la Direzione Sanitaria e il Coordinatore Locale dei Prelievi d’organo dell’ospedale sede di prelievo, i referenti dei Centri di Riferimento interregionali (o Regionali) e i Chirurghi prelevatori dei Centri del trapianto. Per essere efficiente tale organizzazione deve permettere, oltre a quella strettamente clinico-assistenziale del donatore, la gestione ottimale di compiti assai diversi e sempre impegnativi quali rapporto con i parenti del donatore, comunicazione con i Centri di riferimento interregionali, Regionali, di trapianto e con tutti gli Operatori locali coinvolti; adempimenti burocratici, normativi e legali. Ciò spiega come molti reparti di Rianimazione l’aspetto più difficoltoso dell’attività di prelievo è sovente quello organizzativo, anche in considerazione delle attuali difficili condizioni operative di molte Rianimazioni (scarsità di organici medici e infermieristici, molteplicità e gravosità degli altri impegni istituzionali ecc).

Il trattamento durante l’osservazione

Le principali alterazioni provocate dalla cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, condizionanti la possibile sofferenza ipossico-ischemica degli organi e tessuti sono:

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• Alterazioni cardiocircolatorie

• Perdita della respirazione spontanea • Squilibri idro-elettrolitici

• Alterazioni ormonali e metaboliche • Alterazioni della coagulazione • Perdita della termoregolazione

Gli obiettivi del trattamento saranno di conseguenza la prevenzione e/o terapia delle alterazioni descritte. Si dovrà assicurare:

a) Controllo emodinamico

b) Mantenimento degli scambi respiratori

c) Mantenimento dell’equilibrio idro-elettrolitico d) Mantenimento dell’equilibrio endocrino-metabolico e) Mantenimento della funzione emostatica

f) Mantenimento della temperatura corporea

Si dovrà inoltre praticare costantemente una adeguata monitorizzazione del potenziale donatore, e da assicurare la protezione oltre che degli organi, dei tessuti, e la prevenzione delle infezioni.

Tecnicamente il trattamento del donatore presuppone l’instaurazione dei seguenti presidi, di comune impiego in ogni Rianimazione:

• Ventilazione artificiale (mediante intubazione tracheale o tracheotomia) • Accessi venosi periferici ( almeno 2)

• Cateterismo venoso centrale • Cateterismo arterioso

• Posizionamento sondino naso gastrico • Cateterismo vescicale con diuresi oraria • Monitoraggio temperatura corporea centrale

a. Controllo emodinamico

La cessione irreversibile di tutte le funzioni encefaliche comporta rapide alterazioni cardiocircolatorie che, condizionando la sofferenza ischemico ipossica degli organi da prelevare, possono esitare in una conseguente diminuzione della loro

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funzionalità. Un mancato, errato o non precoce controllo emodinamico può portare alla perdita del donatore per arresto cardiaco nel corso dell’osservazione.

Le principali alterazioni emodinamiche osservabili sono:

• Ipotensione arteriosa • Ipertensione arteriosa

• Alterazioni del ritmo cardiaco • Arresto cardiaco

IPOTENSIONE ARTERIOSA

La perdita del controllo encefalico (essenzialmente i centri vaso motori del tronco) sui centri midollari e l’interruzione delle vie adrenergiche causa rapidamente uno stato di ipovolemia relativa, dovuto a vasodilatazione periferica massiva e sequestro venoso della massa ematica: è il quadro dello “Shock spinale o midollare”. Tale quadro , molto frequente, può portare se non prevenuto o tempestivamente trattato alla riduzione anche di 2/3 della massa circolante, ed è la causa principale della sofferenza ipossico-ischemica degli organi del donatore: il trattamento ( o la prevenzione) dell’ipotensione arteriosa è quindi il provvedimento terapeutico più importante e prioritario del mantenimento del donatore. L’ipotensione arteriosa grave e prolungata impedisce di porre diagnosi di morte. Condizioni in grado di peggiorare tale ipotensione arteriosa o autonomamente causare stato di shock, rendendo ancora più difficile il trattamento del donatore, possono essere presenti già prima della diagnosi di morte o essere ad essa conseguenti. Si ricordano fra le principali:

• Shock emorragico (es. politrauma)

• Ipovolemia da precedente restrizione idrica • Poliuria conseguente a diabete insipido • Poliuria conseguente a glicosuria

• Poliuria da causa iatrogena: diuretici, agenti iperosmolari ecc. • Ipotermia

• Alterazioni dell’attività cardiaca • Infarto miocardico

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• Alterazioni metaboliche del miocardio (> metabolismo anaerobio, < ATP

ecc.)

• Alterazioni elettrolitiche: ipo-iperpotassiemia- ipernatriemia ecc.

Il trattamento dell’ipotensione arteriosa comprende:

Terapia infusionale

Terapia con farmaci cardiovaso attivi

Si dovranno mantenere efficienti condizioni di perfusione ed ossigenazione:

• Hb > 9-10 g/dl • Ht > 30% • PVC 8-12 cm H2O • PAS > 100 mmHg • PAM >60-70 mmHg (ottimale: 70-90 mmHg) • PCWP 12-15 mmHg (catetere Swan-Ganz) • Diuresi 1-1,5 ml/kg/min IPERTENSIONE ARTERIOSA

Può essere precedente alla morte del paziente e di varia origine. È caratterizzata dalla PAM > 90 mmHg

E un fenomeno raro nel corso dell’osservazione, solitamente dovuto a:

• Uso incongruo di catecolamine • Sovraccarico di liquidi infusi

• Riflessi neurovegetativi durante l’osservazione e/o la fase di prelievo

(es. globo vescicale da ostruzione del catetere, incisione cutanea chirurgica, trazione sui mesi, ecc.)

La terapia, che deve essere condotta con particolare cautela dato il rischio di causare con essa ipotensione arteriosa, comprende farmaci betabloccanti a rapida azione in infusione continua (es. esmololo) e/o farmaci vasodilatatori (nitroprussiato). Il rischio ricordato è il motivo per cui l’ipertensione arteriosa nel

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donatore non è da tutti trattata, anche se tale terapia ha lo scopo di prevenire un’eventuale insufficienza di pompa cardiaca e/o l’insorgenza di aritmie con esito in ipossi-ischemia degli organi, ed evitare episodi emorragici sia nel corso dell’osservazione che durante l’intervento chirurgico per il prelievo.

ALTERAZIONI DEL RITMO CARDIACO

Durante il periodo di osservazione possono verificarsi aritmie di vario tipo. Le cause principali sono: ipotermia,ipovolemia,ipossiemia,acidosi alterazioni idro-elettrolitiche, ischemia cardiaca,ipotensione o ipertensione arteriosa,uso di farmacia cardio-vaso attivi. Il trattamento prevede la correzione della causa dell’aritmia e , se non sufficiente, il ricorso alla usuale terapia antiaritmica (amiodarone,lidocaina ecc.).

ARRESTO CARDIACO

In questo caso devono essere praticate le usuali manovre di rianimazione cardiopolmonare, va evitata l’iniezione intracardiaca di farmaci.Qualora l’arresto cardiaco venga risolto positivamente, ristabilendo quindi una PAM > di 60-70 mmHg, la funzionalità degli organi deve essere rivalutata accuratamente e l’evento deve essere sempre segnalato al Centro di Riferimento Interregionale.

b. Mantenimento degli scambi respiratori

Durante la ventilazione artificiale5 controllata gli obiettivi da ottenere e mantenere sono:

• PaO2 > 100 mmHg • Ph 7,35-7,45 • SaO2 > 95%

• PaCO2 35-45 mmHg

Per raggiungere tali obiettivi si consiglia di adottare:

• TV 8-10 ml/kg • PEEP < 5 cm H2O

• FiO2 < 0,4-0,5 (importante per il donatore di polmone)

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Valori maggiori di PEEP e/o di FiO2 sono consigliabili solo in caso di impossibilità a

mantenere una PaO2 > 100 mmHg.

La necessità di utilizzare alti valori di PEEP in genere è espressione di grave alterazione della funzione respiratoria (edema polmonare,ARDS ecc.). Alti valori di PEEP per trattare un atelettasia (polmoni con cmpliance normale) possono comportare una diminuzione del ritorno venoso al cuore con ipotensione arteriosa e conseguente danno ipossico degli organi. L’assenza di attività encefalica comporta, dato il ridotto metabolismo del donatore, una minore produzione di CO2, per cui,

per non incorrere in uno stato di ipocapnia, deve essere diminuita la ventilazione alveolare abbassando la frequenza e mantenendo il volume corrente ad almeno 8-10 ml/kg. L’ipocapnia infatti rende più lunga e difficoltosa l’esecuzione della prova dell’apnea (eseguibile come noto solo se viene raggiunta una PaCO2 > di 60 mmHg

con Ph ematico < 7,40).

Nel potenziale donatore lo stato di flaccidità muscolare, l’assenza del riflesso della tosse e l’esistenza di eventuali patologie concomitanti o preesistenti alla morte, possono comportare un’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione causando zone di atelettasia ed iperinflazione polmonare con conseguente ipossia. I rimedi per prevenire tale condizione ed il conseguente elevato rischio di infezioni polmonari sono:

- Periodiche espansioni manuali/meccaniche dei polmoni - Variazioni periodiche di postura

- Bronco aspirazioni ripetute - Broncofibroscopia

- Aspirazione sottoglottica

Le infezioni in atto a carico dell’apparato respiratorio devono essere segnalate e trattate come usualmente. Nel donatore d’organi anche la colonizzazione batterica della vie respiratorie o di altre sedi può essere causa di trasmissione di infezione al ricevente e deve essere limitata per quanto possibile. Esami colturali e un trattamento profilattico ad ampio spettro sono sicuramente consigliabili nel periodo dell’osservazione.

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EQULIBRIO IDRICO

Il volume di liquidi da introdurre e la relativa velocità di infusione dipendono dalla determinazione accurata e continua del bilancio entrate-uscite dei liquidi. Tale fattore è importante onde evitare stati di imbibizione degli organi da prelevare, (estremamente dannosi ad esempio per i polmoni) o di scarso riempimento (pericoloso per il cuore).

Le principali alterazioni dell’equilibrio idrico nel donatore sono:

Oliguria

Diuresi < 0,5 ml/kg/h

Cause: bilancio idrico negativo, insufficienza renale, insufficienza cardiaca,ipotensione arteriosa.

Terapia: Diuretici (furosemide, mannitolo), correzione dell’eventuale ipovolemia.

Poliuria

Diuresi > 3-4 ml/kg/h

Cause: diabete insipido, iperglicemia con glicosuria, sovraccarico di liquidi, uso di farmaci diuretici ecc.

Terapia: eziologica e compensazione delle perdite idroelettrolitiche

Il monitoraggio delle alterazioni dell’equilibrio idrico esige il cateterismo vescicale con la valutazione della diuresi oraria.

EQUILIBRIO ELETTROLITICO

Durante6 il mantenimento del donatore si possono verificare numerose alterazioni dell’equilibrio elettrolitico, pericolose soprattutto per le conseguenze sul ritmo cardiaco (iper-ipopotassiemia) e sulla funzionalità di alcuni organi (ipernatriemia). Il monitoraggio delle alterazioni elettrolitiche comprende la determinazione degli elettroliti ematici ed urinari nonché l’accurato bilancio entrate-uscite degli stessi. Si ricorda che le gravi alterazioni idroelettrolitiche persistenti (ipernatriemia, ipo e iprosmolarità plasmatica) rientrano tra i fattori concomitanti che obbligano, onde permettere la diagnosi di morte cerebrale, ad evidenziare l’assenza di flusso ematico cerebrale.

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I principali quadri sono:

Ipopotassiemia

Cause: apporto inadeguato, perdite eccessive (aspirazioni del tubo digerente),stati di alcalosi, trattamento con insulina.

Terapia: eziologica e somministrazione di potassio

Iperpotassiemia

Cause: eccessivo apporto (emotrasfusioni massive), distruzione tissutale (politraumi),emolisi,acidosi,insufficienza renale

Terapia: eziologica e somministrazione Ca++, bicarbonato, glucosate con insulina

Iponatremia

Cause: apporto inadeguato,eccesso di apporto idrico,perdite di sodio (aspirazione del tubo digerente),insufficienza renale

Terapia: eziologica e infusioni di soluzioni ipertoniche ricche di Na+

Ipernatremia

Cause: precedente uso di soluzioni ipertoniche saline,diabete insipido(ipernatremia con poliuria),scarso apporto idrico (ipernatremia con oliguria)

Terapia: eziologica e infusione di soluzioni ipotoniche e glucosate

Le alterazioni degli altri elettroliti (Cl, Mg,Ca,P) possono a loro volta condizionare con vari meccanismi una diminuzione della funzionalità degli organi, richiedendo quindi una adeguata correzione.

d. Mantenimento dell’equilibrio endocrino-metabolico

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La parte anteriore dell’ipofisi può, almeno inizialmente, denotare nel donatore solo scarse alterazioni della funzionalità, (forse in relazione al mantenimento di un residuo di circolo a livello dell’arteria ipofisaria inferiore).

Le alterazioni più comuni sono: • Diminuzione di T3 e T4

• Sindrome del malato eutiroideo (ESS) • (< T3, T4 ≤ o >, TSH normale)

• Diminuzione del cortisolo (incostante)

Altrettanto incostante è nella morte cerebrale la diminuzione dell’insulina.

Come già sottolineato in precedenza, le terapie sostitutive con ormoni (T3, cortisolo, ecc.) non si sono dimostrate utili per ottenere una maggiore stabilità cardiocircolatoria nel corso del trattamento del donatore: probabilmente la ESS non è un fattore rilevante nell’eziologia delle alterazioni miocardiche che avvengono nel corso della morte.

I dati della letteratura in merito sono comunque contrastanti e controversi.

Alterazioni dell’asse ipotalamo – neuroipofisi

La condizione più frequente che si viene ad osservare è il diabete insipido, conseguente all’ipoproduzione (o minor funzionalità) dell’ormone antidiuretico (ADH) da parte dei nuclei ipotalamici sopra ottici e paraventricolari (releasing factor) e della post ipofisi.

Il quadro clinico comprende:

• Poliuria: > 4 ml/Kg/h • Osmolarità plasmatica > 300 mOsm/Kg • Osmolarità urinaria < 300 mOsm/Kg • Peso specifico urine < 1005

Si tratta di una poliuria ipotonica dovuta ad una prevalente perdita di acqua, alla quale consegue, se non compensata, tendenza all’ipovolemia e possibili alterazioni aritmiche o della contrattilità cardiaca derivanti dallo squilibrio idroelettrolitico. L’ADH (ormone antidiuretico naturale = arginina-vasopressina) ha molteplici effetti su due tipi di recettori:

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 Recettori V1

• Effetto ipertensivo arterioso • Effetto proaggregante • Effetto glicogenolitico

• Effetto contratturante (muscolatura liscia)

 Recettori V2

• Effetto antidiuretico (riassorbimento dell’H2O nei tubuli collettori e distali dei

nefroni). La mancanza di questa ultima azione è la causa del diabete insipido.

Terapia:

• Infusione di soluzioni idroelettrolitiche (in quantità e composizione dipendenti

dal bilancio entrate-uscite e dai valori degli elettroliti).

• Desmopressina (DDAVP: 1-desamino-8-D arginina vasopressina).

È consigliato l’uso iniziando con dosi minime (1/16 – 1/8 di fiala) oppure l’infusione continua per via endovenosa fino ad effetto ottenuto. La Desmopressina ha sostituito nell’uso la vasopressina oleosa e la vasopressina acquosa (Pitressina), in quanto dotata di effetto antidiuretico più immediato e duraturo, minor vasocostrizione periferica, minor effetto ipertensivo arterioso (è un agonista altamente selettivo dei recettori V2).

 Monitoraggio del diabete insipido:

• Es. Emocromocitometrico • Elettroliti plasmatici ed urinari • Osmolarità plasmatica ed urinaria • Peso specifico urine

• Bilancio entrate – uscite di liquidi - elettroliti

Alterazioni del metabolismo del glucosio

Si possono riscontrare: Iperglicemia

Cause principali:

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• Infusione di catecolamine, glucosate, cortisonici • Ipotermia

Conseguenze:

Glicosuria con poliuria osmotica (disidratazione e tendenza all’ipovolemia), chetoacidosi (sofferenza cellulare)

Terapia:

infusione di insulina rapida e.v. secondo effetto, onde mantenere uno stato di normoglicemia e assenza di glicosuria.

Ipoglicemia

Conseguente di solito a iperdosaggio di insulina in infusione. Terapia:

Diminuire il dosaggio di insulina, Infusione di soluzioni glucosate (da 10% fino a 20% - 50%). Si ricorda che le gravi alterazioni dell’equilibrio endocrino-metabolico possono rientrare fra i fattori concomitanti, che consentono la diagnosi di morte solo mediante l’evidenziazione dell’assenza del flusso ematico cerebrale.

e. Mantenimento della funzione emostatica

Diversi quadri di alterazioni della coagulazione possono essere osservati nel donatore, alcuni dipendenti da cause precedenti alla morte, altri conseguenti alla stessa. Le cause principali di tali anomalie della coagulazione sono solitamente:

• Stati di fibrinolisi (es. traumi cranici)

• Coagulazione intravascolare disseminata (DIC) • Ipotermia

• Emotrasfusioni massive (sangue citratato)

Le conseguenze più gravi sono:

• Ripresa di emorragia incontrollabile (su lesioni precedenti)

• Emorragie in sede di incannulamento dei cateteri arteriosi o venosi, o

intraparenchimali

• Formazione di microtrombi nei parenchimi con sofferenza ipossico ischemica

degli organi.

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• Predisposizione all’emorragia nel corso del prelievo chirurgico.

Terapia:

Normalizzazione dei parametri della coagulazione mediante trasfusioni di sangue, plasma fresco, concentrati sintetici di fattori della coagulazione, piastrine e Ca++. Si ricorda che l’effettuazione della trasfusione di sangue ed emoderivati deve essere segnalata al Centro di Riferimento Interregionale.

Monitoraggio:

PT – PTT - AT III, fibrinogeno, FDP, (XDP), piastrine Es. emocromocitometrico

f. Mantenimento della temperatura corporea

Durante il mantenimento il donatore va incontro a progressiva ipotermia dovuta alla scomparsa dei meccanismi centrali ipotalamici della termoregolazione (assenza di termogenesi e di riflessi impedenti la termodispersione, con conseguente stato di poichilotermia). L’ipotermia impedisce di effettuare la diagnosi di morte se non mediante l’esecuzione della prova di assenza del flusso cerebrale.

Conseguenze:

• Depressione miocardica

• Aritmie (QT lungo, inversione dell’onda T, FA, FV se < 30° C) • Acidosi

• Alterazioni della coagulazione

• Formazione di microtrombi nel circolo vascolare degli organi • Squilibri elettrolitici

• Ridotta liberazione di O2 nei tessuti (deviazione verso sinistra della curva di

dissociazione dell’Hb)

• Iperglicemia

• Alterazione della funzione renale

• Ridotta metabolizzazione dei farmaci (es. catecolamine)

Terapia:

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- Riscaldamento delle vie di infusione, gas inspiratori, ambiente (uso di coperte elettriche, a flusso di aria riscaldata, lampade irradianti e materassini riscaldanti ad acqua)

- Riduzione della termodispersione

- Uso di teli termoisolanti e riduzione dei tempi tecnici di scopertura del paziente Monitoraggio:

Oltre al valore di temperatura periferica è necessario il monitoraggio della Temperatura Centrale, mediante:

• Catetere esofageo (preferibile) • Catetere rettale

• Catetere vescicale

• Catetere ematico (Swan-Ganz)

La temperatura centrale deve essere mantenuta a valori: > 35 ° C

Monitoraggio del donatore

Comprende:

• Determinazione dell’idoneità del donatore

L’argomento è illustrato nel capitolo relativo e comprende l’esecuzione degli esami sierologici, biochimici ecc.

• Monitoraggio della funzionalità degli organi nel corso del trattamento

Tale riscontro deve essere effettuato all’inizio dell’osservazione e almeno un’altra volta nel corso della stessa, nonché al termine del periodo legale. In caso di variazione della situazione clinica, alcuni o più esami (a parere del rianimatore che pratica il trattamento) potranno e dovranno essere ripetuti: non è comunque logico ripetere troppe volte senza motivo tutti gli esami di seguito riportati.Si ricorda che alcuni monitoraggi delle funzioni dei vari apparati sono già stati descritti. Non vengono descritti i monitoraggi da eseguire per l’accertamento della morte.

Il monitoraggio della funzionalità degli organi nel corso del trattamento comprende:

Esami ematici:

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Emogasanalisi arteriosa, azotemia, creatinina, elettroliti, glicemia, amilasi, ALT, AST, CPK, CPK MB, troponina, γGT, LDH, colinesterasi, fosfatasi alcalina, bilirubina (tot – dir), albumina, proteine totali, osmolarità,

Ovviamente, oltre ai presenti, alla già sopra ricordata sierologia e agli altri esami che confermano l’idoneità del donatore, dovrà essere determinato il gruppo sanguigno (AB0 – Rh)

Esami urinari:

Esame completo urine (in particolare sedimento, proteinuria, peso specifico) Elettroliti, osmolarità, glicosuria, azoturia

Elettrocardiogramma Esami ecografici:

Ecocardiografia (possibilmente transesofagea: è importante la valutazione di ipertrofia ventricolare sinistra e di malattie valvolari congenite o acquisite). La frazione di eiezione del ventricolo sinistro si considera accettabile se >= di 45%. Ecografia fegato – reni – pancreas

Esami radiologici

RX torace, TAC polmonare e TAC addome (se possibile)

Coronarografia (donatori > 50 – 55 anni di età, o secondo indicazione del chirurgo prelevatore)

Colture

Emocoltura (almeno 2-3), urinocoltura, coltura del broncoaspirato, con eventuale es. citologico (v. donatore di polmoni), tampone faringeo.

Altri esami

Broncoscopia (eventualmente ripetuta),Biopsia (fegato, rene: solitamente intraoperatoria su richiesta del chirurgo prelevatore)

L’autopsia e le biopsie possono essere indispensabili per accertare l’idoneità del donatore e confermare la certezza dell’eziologia della morte. Il prelievo del

linfonodo è oggi meno frequente e viene praticamente effettuato solo se il

donatore è stato politrasfuso.Si ricorda infine la necessità di consulenze

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esplorazione rettale nel maschio; senologica: palpazione della mammella nella femmina).

Protezione - prevenzione delle infezioni degli organi e tessuti

Molti presidi farmacologici sono stati impiegati per impedire o limitare i fenomeni degenerativi7 (compromissione del microcircolo con danni ipossici delle cellule) conseguenti a liberazione di radicali liberi dell’O2, alla riperfusione dei tessuti

ischemici, alla vasocostrizione periferica nei parenchimi durante l’osservazione o il prelievo chirurgico. A tale scopo sono stati impiegati: dopamina, mannitolo, allopurinolo, catalasi, inibitori dei canali del Ca++ , alfabloccanti (fentolamina, fenossibenzamina), lidocaina, eparina, prostaglandine, prostacicline, cortisonici, ecc. con effetti vari di vasodilatazione, diminuzione della viscosità ematica e citoprotezione. Alcune di queste sostanze vengono usate nella composizione dei liquidi di perfusione/conservazione degli organi prelevati. Non c’è accordo sull’effettivo beneficio dei trattamenti descritti, a parte l’uso dell’eparina (prima del clampaggio arterioso nel corso del prelievo chirurgico). La prevenzione della trasmissione di complicanze infettive con gli organi prelevati comprende oltre all’aspetto ben protocollato della trasmissione di virus dell’epatite e dell’AIDS anche il rischio di infezioni batteriche e/o micotiche. La valutazione di questo rischio è sempre molto difficile e, anche se potenziali donatori con evidente infezione generalizzata vengono esclusi, il rischio permane anche solo in caso di infezione “sub-clinica” o di colonizzazione. Microrganismi trasmessi con l’organo trapiantato al ricevente trovano infatti, complici la depressione immunologica e le alterate difese locali (trasporto mucociliare, IgA, sistema reticoloistiocitario ecc..), un terreno molto favorevole per la crescita. Donatori d’organo sottoposti al prelievo entro 24 – 48 ore dall’evento mortale, possono più facilmente essere trattati con antibiotici standard contro le più comuni infezioni da gram positivi / negativi (S.aureus meticillino sensibile, Pneumococchi, Streptococchi, Haemophilus, E.coli.. ecc). Una permanenza più lunga in Rianimazione espone il paziente al rischio di una colonizzazione / infezione con germi ospedalieri molto più difficili da trattare (pseudomonas, S.aureus meticillino resistente, acinetobacter, S.maltophilia, candida ecc.).Una volta diagnosticata la morte cerebrale (o, quando possibile nell’imminenza di tale evento), in analogia col trattamento idrico ed emodinamico, dovrebbe forse anche cambiare l’impostazione della terapia antibiotica. L’obiettivo diventa quello di prelevare organi con la più bassa carica microbica possibile e questo obiettivo, qualora la nostra prevenzione avesse fallito, può essere raggiunto solo con una

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intensa terapia antimicrobica. In questa fase (a 12 o meno ore dal prelievo di organi) infatti, la temuta selezione di patogeni resistenti e l’atossicità dei farmaci non costituiscono più un problema. Dato il breve lasso di tempo disponibile sono chiaramente preferibili farmaci battericidi ad alti dosaggi. Le colture inviate durante il periodo di osservazione ovviamente non sono utili al trattamento in questa fase, ma sono indispensabili per la condotta terapeutica sui pazienti riceventi. In conclusione le complicanze infettive a carico degli organi da prelevare sono temibili, oltre che per la funzionalità degli stessi anche per le conseguenze sui soggetti riceventi, farmacologicamente immunodepressi.

Le cause principali possono essere:

• Durata del ricovero in Rianimazione (a causa della ventilazione artificiale

meccanica e sue conseguenze sul polmone)

• Esistenza di traumatismi estesi

• Molteplicità dei cateterismi necessari prima alla terapia del paziente e poi al

trattamento del donatore; manovre cruente; nursing non accurato; ulcere da decubito ecc.

Anche se non c’è accordo sulla efficacia di una profilassi antibiotica generalizzata, qualora praticata è consigliabile l’uso di antibiotici ad ampio spettro (cefalosporine di III - IV generazione /carbapenemico/tazobactam + glicopeptide) a dosaggi terapeutici. Ovviamente in caso di infezioni in atto sarà necessaria l’antibioticoterapia mirata, previa esecuzione dell’antibiogramma, da proseguirsi in seguito nel ricevente. Nel corso del trattamento infine devono essere valutati i principali valori antropometrici, data la necessaria corrispondenza degli organi da prelevare con le misure somatiche del ricevente:

• Peso (Kg) • Altezza (cm)

• Distanza acromion-margine costale inferiore (cm) • Distanza acromion-giugulo (cm)

• Distanza giugulo-processo xifoideo dello sterno (cm) • Circonferenza toracica in sede mammillare (cm) • Circonferenza toracica in sede margino costale (cm) • Circonferenza addominale all’ombelicale traversa (cm)

ll trattamento del donatore comporta infine un adeguato monitoraggio, la protezione degli organi e tessuti e la prevenzione delle infezioni. Il trattamento del donatore, terminata la fase dell’osservazione nel reparto di Rianimazione, continua

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presso la Sala operatoria ove verrà effettuato l’intervento chirurgico di prelievo degli organi. Tale fase è preceduta dal trasporto del donatore tra i due ambienti.

Il trattamento del donatore durante il trasporto

Tale fase8 è delicata in quanto il donatore di organi esce da un ambiente protetto per un periodo di tempo più o meno lungo, in relazione all’ubicazione della Sala operatoria in cui si svolgerà il prelievo: di conseguenza è più facile l’insorgenza di episodi di instabilità emodinamica, ovviamente di più difficile gestione. Deve essere continuato il trattamento ventilatorio, infusionale e farmacologico, nonché il monitoraggio praticato nel reparto di Rianimazione. L’Anestesista Rianimatore incaricato della gestione ha come compiti principali la presa in carico del donatore e la continuità assistenziale durante il trasporto. L’Anestesista Rianimatore deve essere al corrente, avendo a disposizione la relativa documentazione, di tutta la gestione del trattamento condotta nel reparto di Rianimazione durante il periodo di osservazione. Prima di effettuare il trasporto del donatore deve controllare la presenza e la funzionalità di:

• Intubazione tracheale (o tracheotomia)

• Incannulamenti delle vie venose periferiche e della via arteriosa • Cateterismo venoso centrale

• SNG, sondino per la misurazione della temperatura corporea • Cateterismo vescicale (con diuresi oraria)

• Monitoraggio ECG, SpO2, ETCO2, frequenza respiratoria, frequenza cardiaca,

Monitoraggio PAS, PAD, PVC, temperatura corporea, diuresi oraria

• Sistemi di mantenimento della stabilità termica • Ventilatore artificiale portatile – bombola O2

• Pompe siringa e volumetriche per infusione di liquidi – farmaci • Defibrillatore – stimolatore cardiaco

Durante il trasporto devono essere a disposizione l’adrenalina e l’isopropilnoradrenalina. Il trasporto va effettuato aumentando la FiO2 rispetto a

quella in esercizio del 20 – 30% per garantire l’ossigenazione in questa delicata fase, iniziando 20 – 30 minuti prima del trasferimento del donatore in Sala Operatoria.

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Trattamento del donatore durante l'intervento chirurgico di prelievo

Presso la Sala operatoria, in cui avviene il prelievo chirurgico degli organi, deve essere possibile continuare le terapie e il monitoraggio praticati nel reparto di Rianimazione e durante il trasporto fra i due ambienti.

Gli obiettivi da mantenere in tale fase sono:

• La buona perfusione ed ossigenazione degli organi da prelevare • L’agevolazione delle manovre chirurgiche nelle loro varie fasi

Per ottenere ciò sono necessari:

• preventiva riunione collegiale fra il Coordinatore Locale Prelievo Organi, gli

Anestesisti Rianimatori incaricati della gestione del prelievo in sala operatoria e i Chirurghi delle varie équipes di prelievo, onde essere a conoscenza del loro tecniche e quindi concordare i tempi e le procedure terapeutiche da adottare;

• controllo della sterilità del campo operatorio;

• disponibilità di tutti i farmaci e liquidi di infusione comunemente impiegati negli

interventi di chirurgia toracoaddominale di durata medio-lunga (3-6 ore): in particolare è necessaria la disponibilità immediata di 6 – 8 Unità di globuli rossi (o sangue intero) e di plasma compatibili;

• possibilità di eseguire con rapidità controlli ematochimici (es.

emocromocitometrico, EGA, elettroliti ecc.);

• disponibilità di defibrillatore-stimolatore dotato di placche sterili.

L’Anestesista Rianimatore, per assicurare la necessaria ottimale perfusione ed ossigenazione degli organi, deve porsi come scopo il mantenimento dei principali parametri funzionali nei limiti fisiologici in precedenza descritti, che vengono riassunti nella cosiddetta “regola del 100”:

• PAS > 100 mm/Hg • PaO2 > 100 mm/Hg

• Hb > 100 g/l

• Diuresi > 100 ml/h (1,5 ml/Kg/h)

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• blocco riflessi spinali (solitamente movimenti muscolari a livello degli arti e

contratture della muscolatura addominale, che possono disturbare l’attività del chirurgo);

• vecuronio 0,5 ml/Kg in bolo preincisione e/o infusione continua (o altro

miorilassante non depolarizzante: pancuronio, cisatracurio, atracurio ecc.);

• bisogna porre attenzione all’effetto ipotensivo dei miorilassanti;

• eparinizzazione prima dell’incannulamento dei grossi vasi (eparina 20.000 –

30.000 UI e.v.)

• trattamento sintomatico delle conseguenze delle manipolazioni chirurgiche di

grossi vasi, mesi, peduncoli vascolari ecc.;

• aritmie, emorragie, alterazioni del ritorno venoso con variazioni della PVC,

posizionamenti temporanei di clamps.

La ventilazione deve essere effettuata con una miscela O2/aria.

E’ importante la valutazione delle perdite intra operatorie onde procedere all’immediato compenso, sotto guida della PVC e dell’esito dei controlli ematici (es. emocromo citometrico, elettroliti ecc.). Deve essere assicurato il controllo della temperatura corporea mediante: materassino termico posto sotto il donatore, riscaldamento dei liquidi infusi e dei gas inspirati, riscaldamento ambientale della Sala operatoria (22 – 24 °C). Si ricorda che la diminuzione di calore, durante l’intervento, è notevole in conseguenza delle perdite di liquidi e dell’ampia esposizione degli organi viscerali. Le cornee devono essere preservate fino al prelievo mediante chiusura delle palpebre e umidificazione con fisiologica sterile a 4 °C. L’asepsi assume in sala operatoria la massima importanza: per quanto riguarda l’Anestesista Rianimatore si dovrà porre attenzione alla gestione delle vie di infusione e delle linee di monitoraggio, all’uso di filtri sul circuito respiratorio, alla corretta esecuzione delle manovre di nursing (aspirazioni bronchiali, gastriche, ecc.). Si ricorda infine che l’Anestesista Rianimatore, la Direzione Sanitaria e il Coordinatore Locale del Prelievo sono responsabili degli adempimenti medico – legali previsti dalla normativa vigente (presenza, e corretta compilazione, di documenti, verbali, referti ecc.).

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8.

Modello organizzativo della donazione d’organi

In Italia la prima9 struttura organizzativa dedicata alla donazione ed al coordinamento delle procedure risale al 1976 con il NITp “ Nord Italia Transplant programm”. Dopo questa esperienza si sono formati altri centri organizzativi fino al 1999, anno in cui è stato creato il Centro Nazionale Trapianti. L’obiettivo di queste strutture organizzative è quello di dare delle prestazioni di qualità e quantità. Attualmente la rete italiana che coordina le attività di prelievo e trapianto è suddivisa in quattro livelli di coordinamento:

Locale: si avvale di un equipe esperta istituita per legge in ogni ospedale sede di prelievo, incaricata del management del potenziale donatore, di tenere i rapporti con le famiglie dei donatori, di organizzare campagne di informazione e di trasmettere tutte le informazioni al centro regionale.

Regionale: costituito da 19 centri regionali, uno per ogni regione. Gestisce le liste d’attesa ed i rapporti con i centri periferici, le donazioni d’organo ed i rapporti con le rianimazioni del territorio, i prelievi, i trapianti, i rapporti con i centri di trapianto, le allocazioni degli organi e i rapporti con il centro interregionale.

Interregionale: si avvale di tre organizzazioni, l’ AIRT (Associazione interregionale trapianti), l’ NITp (Nord Italia Trasplant programm) e l’ OCST (Organizzazione Centro Sud Trapianti). Gestisce i rapporti con i centri regionali per la segnalazione dei donatori, l’allocazione di tutti gli organi ed i rapporti con il centro nazionale.

Nazionale: ha la funzione di monitorizzare attraverso il sistema informativo trapianti (SIT), i prelievi ed i trapianti eseguiti sul territorio nazionale, le liste d’attesa dei pazienti, la manifestazione di volontà dei cittadini. Il centro nazionale è addetto inoltre al controllo di qualità ed alla creazione di linee guida.

Il modello organizzativo dell’AOUP

La gestione di tutto il processo della donazione e prelievo di organi e tessuti all’interno dell’ AOUP (Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana) è affidata alla sezione di medicina della donazione di organi e tessuti ed al coordinamento locale. Questa struttura è formata da un coordinatore medico ed un coordinatore infermieristico che svolgono la loro attività a tempo pieno.

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Professore a contratto presso la scuola di specializzazione di Anestesia e Rianimazione dell’Università degli studi di Firenze. Specialista in anestesia e rianimazione specialista