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Studio di olografia digitale fuori asse

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Academic year: 2021

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(1)

Alma Mater Studiorum

· Universit`a di Bologna

SCUOLA DI SCIENZE Corso di Laurea in Fisica

Studio di Olografia Digitale Fuori Asse

Relatore:

Prof.

Marco Cuffiani

Presentata da:

Nicolas Biondini

Sessione II

Anno Accademico 2016/2017

(2)

Indice

Introduzione 3 1 Principi dell’Olografia 4 1.1 Onde Elettromagnetiche . . . 4 1.1.1 Interferenza e Diffrazione . . . 6 1.1.2 Coerenza . . . 7

1.2 Registrazione e Ricostruzione di Ologrammi . . . 9

1.3 Tipologie di Ologrammi . . . 10

2 Olografia Digitale ed Olografia Generata al Computer 16 2.1 Introduzione Teorica . . . 16

2.2 Ricostruzione Software e Realizzazione di Simulazioni Digitali di Ologrammi 18 2.2.1 Single-Fast Fourier Transform (S-FFT) . . . 19

2.2.2 Double-Fast Fourier Transform (D-FFT) . . . 20

2.2.3 I Programmi in MATLAB . . . 23

2.3 Applicazioni della DH . . . 24

2.3.1 Microscopia Digitale Olografica (DHM) . . . 24

2.3.2 Analisi di Particelle . . . 24

2.3.3 Interferometria ed Olografia Endoscopica . . . 27

3 Risultati Sperimentali 29 3.1 Apparato Sperimentale . . . 29 3.1.1 Banco Ottico . . . 30 3.1.2 Laser . . . 30 3.1.3 Filtri . . . 31 3.1.4 Camera CCD . . . 33 3.1.5 Disposizione dell’Apparato . . . 33

3.2 Registrazione di un Ologramma Off-Line . . . 35

A Programmi MATLAB utilizzati 40 A.1 HoloRec . . . 40

(3)

A.2 HoloGen . . . 42

(4)

Introduzione

La tecnica olografica fu inventata dal fisico ungherese Dennis Gabor nel 1947, tale in-venzione gli valse il premio Nobel, assegnatogli nel 1971. Questa tecnica permette di registrare non solo l’ampiezza dell’onda luminosa, come avviene con la fotografia, ma anche la fase, infatti il termine olografia `e stato coniato da Gabor stesso unendo i vo-caboli greci holos, che significa “completo”, e graphein, cio`e “scrivere”. Con il termine olografia si intende dunque la registrazione di un’informazione completa. Grazie al-l’informazione aggiuntiva contenuta nell’ologramma, rispetto alla fotografia, si ottiene un’immagine tridimensionale dell’oggetto. [1]

Nella presente tesi si intende esporre e spiegare le varie tecniche di olografia, descri-vendo innanzitutto i principi matematici che vi sono alla base e poi ripercorrendo i vari passaggi che storicamente hanno portato dall’olografia su supporto fisico all’olografia digitale (Digital Holography) ed alla Computer Generated Hologhraphy, concentrandosi in particolare su queste ultime due. Successivamente verranno esposti un metodo ed un programma riportato in appendice mediante il quale `e possibile ottenere ologrammi simulati e ne saranno mostrati alcuni risultati. Infine si descriver`a un apparato speri-mentale mediante il quale si `e riusciti a registrare un ologramma digitale e si mostrer`a la ricostruzione di quest’ultimo.

(5)

Capitolo 1

Principi dell’Olografia

L’olografia `e un fenomeno dovuto al comportamento ondulatorio della luce coerente. Un ologramma `e infatti la figura di interferenza che si crea su uno schermo tra un onda piana incidente e la medesima diffratta da un oggetto. Per registrare tale ologramma bisogna sostituire lo schermo con una lastra fotografica, adeguatamente trattata chimicamente, nel caso dell’olografia classica, oppure con un sensore CCD (Charged-Coupled Device) che permette di visualizzare tale immagine su un computer attraverso l’utilizzo di un software adeguato.

1.1

Onde Elettromagnetiche

Le onde elettromagnetiche sono composte da due componenti, una di natura elettrica ed una magnetica. Le ampiezze di tali onde oscillano perpendicolarmente sia tra loro che rispetto alla direzione di propagazione.

Essendo un fenomeno elettromagnetico, il punto di partenza per lo studio di tali onde risulta essere le equazioni di Maxwell:

∇ ·−→D = ρν ∇ ·−→B = 0 ∇ ×−→E =−∂ − → B ∂t ∇ ×−→H =−→Jc + ∂−→D ∂t (1.1)

dove con −→D (V /m) ed −→E (C/m2) si intendono rispettivamente il campo e la densit`a

di flusso elettrico, con −→H (A/m) e −→B (W b/m2) campo e densit`a di flusso magnetico, invece −J→C e ρν sono il flusso di corrente elettrica (A/m2) e la densit`a di carica

(6)

elettri-ca (C/m2). Per determinare i quattro campi completamente si necessita anche delle

definizioni costituenti delle grandezze: − → D = ε−→E (1.2) − → B = µ−→H (1.3)

in queste equazioni ε e µ sono rispettivamente la permittivit`a elettrica (F/m) e la permeabilit`a magnetica (H/m) del mezzo.

Grazie a queste equazioni ora possiamo scrivere l’equazione di propagazione di un’on-da elettromagnetica, prendendo in questo caso il campo −→E:

∇2−→E − µε∂ 2−→E ∂t2 = µ ∂−→Jc ∂t + 1 ε∇ρν, (1.4) dove2 = ( ∂2 ∂x2 + ∂ 2 ∂y2+ ∂ 2

∂z2) `e l’operatore laplaciano nello spazio cartesiano

tridimen-sionale. Tale equazione nel vuoto si riduce all’equazione omogenea di propagazione di un’onda:

∇2−→E 1

c2

∂2−→E

∂t2 = 0, (1.5)

dove si pu`o notare che c = 1/√µ0ε0, dove µ0e ε0 sono rispettivamente la permeabilit`a

magnetica e la costante dielettrica del vuoto ed invece c `e la velocit`a della luce nel vuoto. Poich´e la luce utilizzata solitamente per registrare ologrammi `e polarizzata linear-mente, ovvero i campi vibrano su un unico piano, `e possibile semplificare ulteriormente il calcolo scrivendo l’equazione di un’onda piana, supponendo che essa si propaghi lungo l’asse z: ∂2−→E ∂z2 − 1 c2 ∂2−→E ∂t2 = 0, (1.6)

la cui soluzione risulta essere

E(−→k , t) = a cos(−→k · −→r − ωt − ϕ0), (1.7)

nella quale a rappresenta l’ampiezza, −→k = 2πλ nˆ il vettore d’onda che descrive la dire-zione di propagadire-zione e ω = 2πν `e la pulsadire-zione. La lunghezza d’onda e la frequenza (rispettivamente λ e ν) sono inoltre legate dalla seguente relazione:

(7)

`

E inoltre utile definire la fase in tale modo:

ϕ=−→k · −→r − ϕ0, (1.9)

dove ϕ0 `e una costante.

Poich´e mediamente la frequenza della radiazione elettromagnetica nello spettro del visibile ha un ordine di grandezza approssimativo di 1015Hz e la maggior parte dei sensori

non `e in grado di rilevare tali frequenze, torna allora utile considerare la grandezza chiamata intensit`a:

I = ε0chE2i (1.10)

che pu`o essere misurata direttamente. Le parentesi angolari indicano una media tempo-rale su un numero elevato di periodi.

Nelle applicazioni legate all’olografia spesso risulta rilevante solo la distribuzione spa-ziale, perci`o si pu`o utilizzare la notazione esponenziale per separarla da quella temporale e poi trascurare quest’ultima poich´e verrebbe eliminata dalla media temporale, ottenendo cos`ı l’ampiezza complessa.

E(−→z , t) = aeiϕeiωt (1.11) A(−→z ) = aeiϕ (1.12) In questo caso l’intensit`a `e data da

I = 1 2ε0c|A|

2. (1.13)

Quest’ultima equazione pu`o essere inoltre ridotta a I = |A|2 poich´e il fattore costante 1

2ε0c pu`o essere ignorato.[2]

1.1.1

Interferenza e Diffrazione

Uno dei fenomeni fondamentali alla base dell’olografia `e l’interferenza. Questa avviene quando si sovrappongono pi`u onde coerenti tra loro, ovvero tra le cui fasi vi sia una relazione costante. Si considerino, per esempio, due onde con la medesima frequenza e la stessa direzione di polarizzazione, in tal modo `e possibile utilizzare il formalismo scalare. Siano le ampiezze complesse delle onde in oggetto:

A1 = a1eiϕ1

A2 = a2eiϕ2

(1.14)

L’ampiezza complessa dell’interferenza `e la somma delle due singole ampiezze:

(8)

Poich´e l’intesit`a `e data da |A|2:

|A1+ A2|2 = (A1+ A2)(A1+ A2)∗

= a21+ a22+ 2a1a2cos(ϕ2− ϕ1)

= I12+ I22+ 2pI1I2cos ∆ϕ

(1.16)

dove I1 e I2 sono le intensit`a delle due onde e ∆ϕ = ϕ2− ϕ1 `e la differenza di fase.

Dall’equazione (1.16) si nota che l’intensit`a risultante dalla sovrapposizione delle due onde `e data sia dalla somma delle due intensit`a, che da un termine d’interferenza che dipende dalla differenza di fase. Si pu`o inoltre osservare che l’intensit`a ha un valore massimo quando:

∆ϕ = 2nπ n = 0, 1, 2, ... (1.17) Ed analogamente un minimo in

∆ϕ = (2n + 1)π n = 0, 1, 2, ... (1.18)

Nel caso (1.17) si dice che vi `e interferenza costruttiva e corrisponde ad una frangia chiara nella figura di interferenza, mentre nel caso (1.18) si dice che vi `e interferenza distruttiva e si presenter`a come una frangia scura.

Il fenomeno della diffrazione invece si verifica quando il fronte d’onda incontra uno schermo opaco con una fenditura, oppure un ostacolo opaco in un mezzo trasparente, i quali abbiano una dimensione paragonabile alla lunghezza dell’onda incidente. Per spie-garla bisogna considerare innanzitutto il principio di Huygens, il quale asserisce che ogni punto di un fronte d’onda pu`o essere considerato come una sorgente puntiforme di onde sferiche secondarie. Il fronte d’onda stesso pu`o essere considerato come la sovrapposizio-ne coerente di tali onde. La forma della figura di diffraziosovrapposizio-ne dipende dalla forma della fenditura (o dell’ostacolo), ma, generalmente, si presenta anch’essa come un susseguirsi di regioni chiare e scure. [2]

1.1.2

Coerenza

Generalmente l’intensit`a luminosa di due sorgenti, come ad esempio due normali lampa-dine, `e additiva e non produce una figura di interferenza e quindi, invece di vedere una serie di frange chiare e scure, `e presente una zona con luminosit`a uniforme. Affinch´e av-venga il fenomeno dell’interferenza `e necessario, come gi`a detto, che vi sia un particolare rapporto tra le fasi delle due singole onde. Tale correlazione ha il nome di coerenza ed `e definita come la capacit`a di due onde di interferire tra loro. Si possono distinguere due aspetti della coerenza, una correlata alla grandezza temporale ed una a quella spaziale.

La coerenza temporale descrive la correlazione tra la fase dell’onda con s´e stessa in istanti diversi. Per analizzare tale caratteristica si consideri l’apparato sperimentale di Michelson (Figura 1.1). L’esperienza mostra che si ha interferenza solo se la differenza di

(9)

cammino ottico s1− s2 `e minore di una certa lunghezza L. Tale lunghezza `e denominata

lunghezza di coerenza. Da quest’ultima `e possibile definire anche il tempo di coerenza τ .

τ = L

c (1.19)

dove c `e la velocit`a della luce. La lunghezza di coerenza `e inoltre correlata tramite un

Figura 1.1: Interferometro di Michelson. M1 ed M2 sono specchi mentre BS `e un beam splitter ovvero uno specchio semiriflettente. [3]

rapporto di proporzionalit`a inversa anche con la larghezza dello spettro dell’onda, infatti L = c

∆ν. Dunque un’onda con un’elevata lunghezza di coerenza avr`a anche un’elevata

monocromaticit`a, ovvero uno spettro estremamente ridotto.

La coerenza spaziale descrive invece la mutua correlazione tra diversi punti del me-desimo fronte d’onda. Per studiare tale caratteristica torna utile l’utilizzo di un altro apparato sperimentale: l’interferometro di Young (Figura 1.2). Questo `e composto da un’unica fonte luminosa il cui fronte d’onda incide su uno schermo con due fenditure poste a distanza a tra esse. I fronti d’onda uscenti interferiscono tra essi su un secondo schermo creando una figura a frange. La figura non `e pi`u visibile se la distanza tra le due fenditure diventa maggiore della lunghezza limite ak denominata distanza di coerenza.

(10)

Figura 1.2: Interferometro di Young. [3]

1.2

Registrazione e Ricostruzione di Ologrammi

La registrazione di un ologramma richiede una sorgente luminosa con lunghezza di coeren-za abbastancoeren-za lunga, in grado di generare due onde che interferiscano nel piano sensibile (come una lastra fotografica o un sensore CCD).

Sul piano sensibile interferiscono due onde, la prima `e l’onda elettromagnetica pro-veniente direttamente dalla sorgente, chiamata onda di riferimento, la seconda `e l’onda proveniente dalla sorgente che, illuminando l’oggetto di cui si vuole registrare l’ologram-ma, viene da esso diffratta, la quale prende il nome di onda oggetto. Nel caso si tratti di olografia tradizionale, sul piano sensibile `e posizionata una lastra fotografica e la fi-gura di interfenza `e fissata da prodotti chimici utilizzati durante lo sviluppo della lastra stessa. Tale figura di interferenza `e l’ologramma. Nel caso invece si tratti di olografia digitale invece vi `e un sensore CCD che invia le informazioni direttamente ad un software presente sul computer a cui lo stesso `e collegato.

Il processo pu`o essere descritto matematicamente tramite quanto gi`a detto pre-cedentemente (pi`u precisamente considerando l’equazione (1.16)). Sia data l’onda di riferimento:

ER(x, y) = aR(x, y)eiϕR(x,y) (1.20)

e l’onda oggetto:

EO(x, y) = aO(x, y)eiϕO(x,y) (1.21)

(11)

dell’onda oggetto. L’intensit`a luminosa sul piano sensibile varr`a dunque: I(x, y) =|ER(x, y) + EO(x, y)|2

= (ER(x, y) + EO(x, y))(ER(x, y) + EO(x, y))∗

= ER(x, y)ER∗(x, y) + EO(x, y)EO∗(x, y) + EO(x, y)ER∗(x, y) + ER(x, y)EO∗(x, y).

(1.22)

Bisogna inoltre definire anche l’ampiezza di trasmissione h(x, y), la quale risulta proporzionale all’intensit`a appena calcolata secondo la formula

h(x, y) = h0+ βτ I(x, y) (1.23)

nella quale β `e la pendenza della trasmittanza, la quale `e un parametro negativo per una tipica emulsione fotografica; τ `e il tempo di esposizione e h0 `e l’ampiezza di trasmissione

della lastra non esposta e che nel caso dell’olografia digitale pu`o essere omesso. [4] Per visualizzare l’ologramma bisogna illuminare la lastra in cui `e stato registrato con l’onda di riferimento, dunque per la ricostruzione `e necessario moltiplicare l’ampiezza di trasmissione per l’ampiezza complessa dell’onda di riferimento:

ER(x, y)h(x, y) =

= [h0+ βτ (a2R+ a2O)]ER(x, y) + βτ a2REO(x, y) + βτ ER2(x, y)EO∗(x, y)

(1.24)

Analizzando questa equazione si pu`o osservare che il primo termine a destra dell’uguale `e l’onda di riferimento moltiplicata per un fattore riduttivo e rappresenta l’onda che passa attraverso l’ologramma senza essere diffratta ed `e chiamato zero order e si mani-festa con un alone chiaro che disturba l’immagine; il secondo termine `e l’onda oggetto ricostruita la quale genera l’immagine virtuale e che permette di visualizzare l’immagine olografica dell’oggetto, in questo termine il fattore βτ a2

R influenza solamente la

lumino-sit`a dell’oggetto; infine l’ultimo termine crea un’immagine reale ma distorta dell’oggetto. [4]

Poich´e la distorsione `e dovuta al fattore complesso E2

R che modula l’onda oggetta

coniugata (E∗

O) per avere un’immagine reale non distorta `e necessario utilizzare l’onda

di riferimento coniugata E∗

R per ricostruire l’ologramma, la quale dovr`a dunque essere

sostituita nell’equazione (1.24). [2]

Come si pu`o notare in tale modo nell’ologramma risulta registrata l’ampiezza com-plessa dell’onda oggetto, nella quale `e contenuta anche la fase. Ci`o permette di visualiz-zare un’immagine tridimensionale.

1.3

Tipologie di Ologrammi

Oltre alla suddivisione tra olografia tradizionale, che prevede un supporto ottico, olografia digitale (DH ), la quale sfrutta invece un sensore CCD collegato ad un computer ed

(12)

Figura 1.3: L’immagine riporta diverse fotografie di un ologramma ottico realizzato precedentemente da una mia collega. Si pu`o notare l’effetto di parallasse che permette di visualizzare dettagli diversi dell’oggetto originale variando il punto d’osservazione. [2]

all’olografia generata al computer (CGH ), le quali differenze sono gi`a state parzialmente trattate e saranno approfondite nel prossimo capitolo, vi sono altre possibili distinzioni tra i metodi di registrazione di un ologramma.

Una prima distinzione si pu`o fare tra gli ologrammi a trasmissione, i quali sono ottenuti quando sia l’onda oggetto che l’onda di riferimento investono il piano sensibile dalla medesima parte, e gli ologrammi a riflessione nei quali invece le due onde giungono da parti opposte del piano sensibile. Il primo caso `e l’unico attuabile se si vuole fare olografia digitale poich´e il sensore CCD permette di registrare le informazioni solo da un lato dello stesso. In questo caso, se si esegue olografia tradizionale, per ricostruire l’immagine bisogna illuminare la lastra con una radiazione che possieda le medesime caratteristiche (lunghezza d’onda, coerenza ed angolo di incidenza) di quella utilizzata come onda di riferimento (vedi Fig. 1.4). Nel secondo caso invece l’onda oggetto e l’onda di riferimento colpiscono la lastra da parti opposte e per ricostruire l’ologramma bisogna illuminare il supporto ottico con luce bianca (vedi Fig. 1.5). [2]

(13)

Figura 1.4: A sinistra `e rappresentato lo schema di registrazione di un Ologramma a Trasmissione; a destra invece `e raffigurato lo schema della ricostruzione dell’immagine reale distorta e virtuale del medesimo. [5]

Figura 1.5: A sinistra `e rappresentato lo schema di registrazione di un Ologramma a Riflessione; a destra invece `e raffigurato lo schema della ricostruzione dell’immagine virtuale del medesimo. [5]

la sorgente, l’oggetto ed il piano sensibile sono allineati sullo stesso asse ed `e dunque necessario che l’oggetto sia parzialmente trasparente in modo da poter lasciare passa-re parte della radiazione proveniente dalla sorgente, di modo che l’onda di riferimento possa giungere al piano, e che invece la parte della radiazione assorbita venga diffusa creando cos`ı l’onda oggetto. Questa tecnica ha per`o il difetto che, dopo la ricostruzione, l’immagine reale e quella virtuale risultano sovrapposte. L’alternativa a questa soluzione `e quella di far giungere sul piano sensibile l’onda oggetto e l’onda di riferimento con un angolo diverso da quello nullo tra loro. Per eseguire ologrammi in questo modo `e necessario “splittare” la radiazione che giunge dalla sorgente in due fasci e fare in modo che uno giunga direttamente al piano sensibile mentre l’altro illumini l’oggetto, che sar`a disposto quindi ad una certa distanza dall’asse ottico. In questo modo si possono otte-nere ologrammi di oggetti anche non semi-trasparenti ed inoltre in fase di ricostruzione l’immagine virtuale, quella reale e l’onda non diffratta risulteranno distinte e separate spazialmente. [4]

(14)

(a) Ologramma a riflessione

(b) Ologramma a trasmissione

Figura 1.6: Nella figura sono riportate e fotografie di due ologrammi dello stesso oggetto (un coniglietto di plastica), ottenuti con metodi diversi

di un ologramma in asse. Nel caso invece dell’ologramma fuori asse bisogna apportare una modifica alle formule. Si supponga innanzitutto che l’onda oggetto giunga per-pendicolarmente al piano sensibile mentre l’onda di riferimento vi arrivi con un certo angolo rispetto alla normale del piano e che il suo vettore d’onda si trovi sul piano x-z, l’ologramma fuori asse pu`o dunque essere cos`ı espresso:

H(x, y) = |EO(x, y) + ER(x, y)eik0sinθx|2

=|EO(x, y)|2+|ER(x, y)eik0sinθx|2+ EO(x, y)ER∗(x, y)eik0sinθx+ EO∗(x, y)ER(x, y)eik0sinθx

(1.25) dove EOe EReik0sinθxsono rispettivamente le ampiezze complesse dell’onda di riferimento

e dell’onda oggetto, θ `e l’angolo tra le due onde e k0 il vettore d’onda. L’onda di

(15)

in tal modo il seguente risultato:

H(x, y)Eric(x, y) =

=|EO(x, y)|2Eric(x, y) +|ER(x, y)eik0sinθx|2Eric(x, y)+

+Eric(x, y)EO(x, y)ER∗(x, y)eik0sinθx+ Eric(x, y)EO∗(x, y)ER(x, y)eik0sinθx =

=|EO(x, y)|2Eric(x, y) + ER(x, y)2Eric(x, y)+

+Eric(x, y)EO(x, y)ER∗(x, y)eik0sinθx+ Eric(x, y)EO∗(x, y)ER(x, y)eik0sinθx.

(1.26)

In questa equazione i primi due termini costituiscono lo zero order e continuano a pro-pagarsi perpendicolarmente alla lastra, il terzo termine costituisce l’immagine virtuale e subir`a una deviazione di −sinθ mentre l’ultimo termine costituisce l’immagine reale, la quale viene deviata di sinθ. [6] [1]

Figura 1.1: Apparato per l’olografia fuori asse in cui l’oggetto `e in asse con il dispositivo di registrazione mentre l’onda di riferimento `e inclinata.

Considerando un’onda di ricostruzione Rc(x, y) che si propaga lungo l’asse z,

perpendicolar-mente al piano di registrazione, avr`o che Rc(x, y) = R0c l’ampiezza dell’onda.

Cos`ı facendo otter`o i seguenti termini:

(1)

f inale= Roct1= Roc|O(x, y)|2, (1.5a) (2)

f inale= Roct2= Roc R0eik0sen✓(x+y) 2

= R0cR02, (1.5b) (3)

f inale= Roct3= RocO(x, y)⇤R0eik0sen✓(x+y), (1.5c) (4) f inale= Roct4= RocO(x, y) ⇣ R0eik0sen✓(x+y) ⌘⇤ . (1.5d)

Figura 1.7: Apparato per l’olografia fuori asse in cui l’oggetto `e in asse con il dispositivo di registrazione mentre l’onda di riferimento risulta inclinata. [6]

(16)

Figura 1.8: Ricostruzione delle immagini reale e virtuale nell’apparato fuori asse il-luminando l’ologramma precedentemente registrato con un onda piana perpendicolare all’ologramma stesso. [6]

(17)

Capitolo 2

Olografia Digitale ed Olografia

Generata al Computer

Nonostante con l’olografia tradizionale si siano raggiunti risultati notevoli, alcune limita-zioni di essa, come il tempo di esposizione necessario a registrare la figura d’interferenza sulla lastra o la necessit`a di sviluppare chimicamente quest’ultima prima di poter ri-costruire l’ologramma, hanno portato a spostarsi verso altre tecniche di registrazione. L’idea fu quindi quella di registrare ologrammi in formato digitale e poi ricostruirli nu-mericamente con un computer. I sensori pi`u comuni per la registrazione di ologrammi digitali sono i CMOS o i CCD. In particolare durante gli anni novanta del novecento ci fu perfezionamento di questi ultimi che permise di avere sensori con un ragionevole numero di pixel, contemporaneamente ci fu anche un miglioramento delle capacit`a com-putazionale dei calcolatori. Ci`o port`o alla possibilit`a di registrare e ricostruire ologrami in pochi secondi. Attualmente lo studio si `e spostato sui modulatori di luce spaziale (SLM) da utilizzare come ologrammi per la ricostruzione ottica dei campi di onde 3D. [7] Gli ologrammi digitali inoltre consentirono una pi`u facile riproducibilit`a della regi-strazione ed inoltre godono di tutte le comodit`a tipiche dei file digitali, come ad esempio la semplicit`a di trasporto, la possibilit`a di essere duplicati ed inviati a distanza medianti i normali mezzi di telecomunicazione, e la possibilit`a di essere modificati con relativa semplicit`a mediante software informatici, senza tra l’altro perdere l’immagine originale. D’altro canto per`o i sensori CCD hanno una quantit`a di pixel estremamente inferiore rispetto a quelli di una comune lastra fotografica, conseguentemente la risoluzione di un ologramma digitale risulta minore di quella dell’olografia digitale.

2.1

Introduzione Teorica

Come nel caso dell’olografia tradizionale, anche durante la ricostruzione di un ologramma digitale vi deve essere la formazione di un’immagine virtuale e di una reale distorta. Il

(18)

metodo che permette di ricostruire tali immagini nel modo corretto sfrutta l’integrale di Fresnel-Kirchoff: Γ(ξ0, η0) = 1 λ Z +∞ −∞ Z +∞ −∞ h(x, y)ER(x, y) e−i2πλρ 0 ρ0 dxdx (2.1)

Nella quale h(x, y) `e la funzione ologramma, gi`a incontrata precedentemente, e ρ0 `e

definita come la distanza tra un punto del piano dell’ologramma ed un punto del piano di ricostruzione:

ρ0 =p(x− ξ0)2+ (y− η0)2+ d2 (2.2)

dove d `e la distanza tra il piano dell’ologramma ed il piano dell’immagine. ER(x, y) =

aR+ i0 = aR`e invece l’ampiezza di riferimento dell’onda piana di riferimento ed `e data.

Figura 2.1: Sistema delle coordinate e grandeze coinvolte nella ricostruzione di un ologramma digitale [2]

La figura di diffrazione `e calcolata ad una distanza d oltre il CCD, conseguentemente ci`o che si ottiene `e la ricostruzione dell’ampiezza complessa nel piano dell’immagine reale; tale risotruzione numerica avviene attraverso l’equazione (2.1). `E inoltre possibile ricavare la fase e l’intensit`a dell’onda attraverso le seguenti formule:

I(ξ, η) =|Γ(ξ, η)|2 (2.3) ϕ(ξ, ν) = arctan=(|Γ(ξ, η)|)

<(|Γ(ξ, η)|) (2.4) le quali si possono ottenere tramite l’approssimazione numerica di Fresnel. L’immagine reale, che risulterebbe distorta, la si pu`o ricostruire senza questa distorsione mediante la sostituzione nell’equazione (2.1) dell’ampiezza complessa dell’onda di riferimento (ER)

(19)

con la sua complessa coniugata (ER∗), ottenendo dunque: Γ(ξ, η) = 1 λ Z +∞ −∞ Z +∞ −∞ h(x, y)ER∗(x, y)e −i2π λρ ρ dxdx (2.5) con ρ =p(x− ξ)2+ (y− η)2+ d2.

Con quest’ultima formula riusciamo dunque a ricostruire l’imagine reale nella po-sizione dell’oggetto registrato inizialmente, ci`o detto le due equazioni sono del tutto equivalenti.

(a) Ologramma (b) Ricostruzione

Figura 2.2: Esempio di un ologramma digitale registrato mediante CCD e successivamente ricostruito. [8]

2.2

Ricostruzione Software e Realizzazione di

Simu-lazioni Digitali di Ologrammi

`

E possibile sostituire le tradizionali formule della diffrazione con una trasformata di Fourier, la quale risulta sufficiente per ottenere una trattazione teorica della diffrazione. In particolare, per quanto riguarda l’olografia digitale, risulta necessario utilizzare la sua forma discreta. Al fine di calcolare la trasformata di Fourier attraverso un calcolatore fu sviluppato verso met`a degli anni ’60 un algoritmo denominato Fast Fourier Transform (FFT). Per calcolare l’integrale di diffrazione di Fresnel `e possibile dunque utilizzare questo algoritmo, oppure la cosiddetta “convoluzione veloce”, ovvero una combinazione di FFT diretta seguita da una FFT inversa (IFFT). Per distinguere i due casi li si sono

(20)

denominati Single-Fast Fourier Transform (S-FFT) per quanto riguarda il primo caso e Double-Fast Fourier Transform (D-FFT) per il secondo.

Attraverso l’utilizzo di tali algoritmi `e poi possibile sia ricostruire ologrammi regi-strati attraverso l’utilizzo di un CCD, sia generare ologrammi simulati direttamente al computer (CGH ) che possono poi essere ricostruiti come dei DH, fornendo dunque un’al-ternativa alla realizzazione di apparati sperimentali reali, permettendo quindi di generare direttamente simulazioni attendibili di ologrammi, impiegando in tal modo un tempo an-cora minore rispetto alla registrazione di un olograma digitale e permettendo di avere un minor dispendio di materiali.

2.2.1

Single-Fast Fourier Transform (S-FFT)

L’integrale di diffrazione di Fresnel nella forma di trasformata di Fourier `e espresso da:

U(x, y) = e ikd iλde ik 2d(x2+y2)× Z Z ∞ −∞{U 0(x0, y0)e ik

2d(x20+y02)}e−i2πλd(x0·x+y0·y)dx

0dy0 [9] (2.6)

dove U0(x0, y0) `e l’ampiezza complessa nel piano dell’oggetto mentre U (x, y) nel piano

osservato e d `e la distanza tra i due piani, i `e l’unit`a immaginaria, λ la lunghezza d’onda e k = 2πλ il modulo del vettore d’onda. Per valutarne il risultato bisogna applicare la FFT al fattore U0(x0, y0)e

ik 2d(x2

0+ y02) e poi moltiplicare il risultato per il fattore di fase eikd

iλde

ik

2d(x2+y2).

Sia ora L0 il lato di un quadrato, costituito da N×N punti, situato nel piano dell’oggetto.

L’intervallo di campionamento, ovvero il processo che permette di rendere discreta una funzione continua in un intervallo limitato, `e dato da ∆x0 = ∆y0 = LN0. `E dunque ora

possibile riscrivere la formula precedente nel seguente modo:

U(p∆x, q∆y) = e ikd iλde ik 2d((p∆x)2+(q∆y)2) ×F F T {U0(m∆x0, n∆y0)e ik 2d((m∆x0)2+(n∆yo)2)}p∆x λd , q∆y λd (2.7)

con{p, q, m, n} ∈ {−N/2, −N/2+1, ..., N/2−1} e dove ∆x = ∆y rappresenta l’intervallo di campionamento dopo la FFT. Per determinare tale intervallo bisogna ricordare che

L λd = 1 ∆x0 = N L0 da cui L= λdN L0 (2.8)

che permette di ricavare:

∆x = ∆y = L N =

λd

(21)

Si possono determinare ora le condizioni che devono essere soddisfatte affinch´e l’e-quazione 2.7 sia campionata correttamente, cio´e soddisfi il Teorema del Campionamento di Shannon, il quale afferma che i campionamenti devono essere almeno due per ogni periodo della funzione analogica. Il risultato `e dato dalle seguenti equazioni:

∆x0 = ∆x = r λd N L0 = L =√λdN (2.10)

Da questa equazione `e possibile dedurre una importante considerazione: analizzando infatti l’equazione 2.8 che ci esprime la dimensione del campo diffratto, si pu`o osservare che se la distanza d si avvicina molto a 0 allora L tender`a a zero anch’esso, dunque se il piano dell’oggetto e il piano di osservazione sono molto vicini, sar`a necessario utiliz-zare un numero di punti di campionamento ragguardevole per ricavare una regione di dimensioni utilizzabili. In sostanza risulta estremamente sconveniente utilizzare l’SFFT nel caso la distanza d sia molto piccola.

Vi sono inoltre altre due importanti conseguenze del risultato del teorema del cam-pionamento: la prima ci permette di affermare che, se il teorema soddisfa l’equazione L0 <√λdN, allora il risultato del calcolo di campionamento risulta corretto; la seconda invece mette in luce che `e possibile ottenere un campo discreto che soddisfi il teorema solo se le lunghezze dei piani oggetto e d’osservazione sono uguali a L0 = L =

√ λdN. Come si pu`o notare dalla Figura 2.3 il calcolo della diffrazione di Fresnel con il metodo S-FFT su un piano molto vicino al piano oggetto implica un numero molto elevato di punti di campionamento, risulta quindi pi`u utile a grandi distanze.

2.2.2

Double-Fast Fourier Transform (D-FFT)

Per il secondo caso, riguardante il metodo della doppia trasformata di Fourier, si consi-derano sempre le stesse grandezze U0(x0, y0) per l’ampiezza complessa sul piano

dell’og-getto, U (x, y) la medesima ampiezza sul piano di osservazione e d la distanza tra i due piani. L’integrale di Fresnel nella forma di convoluzione `e dunque espresso da:

U(x, y) = e ikd iλd Z Z ∞ −∞{U 0(x0, y0)e ik 2d((x−x0)2+(y−y0)2)}dx 0dy0 (2.11)

la cui trasformata di Fourier `e:

F{U(x, y)} = F {U(x0.y0)}F {

eikd iλde

ik

2d(x2+y2)} (2.12)

Indicando con (νx, νy) le coordinate della frequenza, `e possibile determinare la Funzione

di Trasferimento di Fresnel come

HF(νx, νy) = F{

eikd iλde

ik

(22)

Figura 2.3: Comparazione di modelli di diffrazione di una fenditura circolare ottenuti a diverse distanze tramite il metodo di calcolo S-FFT con i risultati delle misurazioni di un apparato sperimentale reale [9]

la quale `e solitamente espressa nella seguente forma, poich´e risulta pi`u semplice in fase di campionamento:

HF(νx, νy) = eikd[1−

λ2

2 (νx2,ν2y)] (2.14)

Applicando ora la trasformata di Fourier all’equazione 2.12 si arriva alla formula per calcolare la diffrazione attraverso la convoluzione:

U(x, y) = F−1{F {U0(x0, y0)}HF(νx, νy)} (2.15)

Questa equzione mostra che lo spettro nel piano di osservazione risulta essere il prodotto dello spettro dell’oggetto F{U0(x0, y0)} per la funzione di traferimento (2.13). Si

consi-deri nuovamente L0 come la larghezza del campo diffratto da calcolare e N il numero di

campionamenti, l’intervallo di campionamento risulter`a ancora essere ∆x0 = LN0, mentre

l’intervallo di campionamento della funzione di trasferimento `e ∆νx = ∆νy = L1. Oltre a

(23)

risultare la stessa del piano oggetto (L = L0 = ∆ν1x), dunque l’intervento della D-FFT

non modifica la scala spaziale del campo calcolato, quindi, se le grandezze rispettano il teorema del campionamento, anche il risultato lo soddisfer`a, poich´e le grandezze riman-gono immutate. Affinch´e la funzione di trasferimento sia campionata correttamente deve essere rispettata la condizione N > λd

∆x2

0. Da ci`o possiamo vedere che in questo caso

av-viene l’opposto di quello che accade per quanto riguarda l’S-FFT, ovvero all’aumentare della distanza d deve aumentare il numero di campionamenti N , quindi tale algoritmo risulta utile quando la distanza di diffrazione `e piccola. Come si pu`o notare

dall’osserva-(a) Immagine Ottenuta Sperimental-mente

(b) Immagine Simulata con N=128 campionamenti

(c) Immagine Simulata con N=256 campionamenti

(d) Immagine Simulata con N=512 campionamenti

Figura 2.4: Confronto tra immagine ottenuta tramite una misura reale e tre simulazio-ni attraverso la D-FFT, con numero di campionamenti diversi. La distanza `e sempre costante (d = 184mm) e L0 = 10mm [9]

(24)

con l’acquisizione tramite il CCD. Un’analisi pi`u approfondita porta ad osservare che la risoluzione che si ha per N=128 `e meno definita rispetto alle altre due in quanto le frange di diffrazione sono meno nitide.

2.2.3

I Programmi in MATLAB

Nell’esperienza che viene descritta in questa tesi sono stati utilizzati due programmi scritti in MATLAB, un software di propriet`a della Microsoft & Co., al fine di generare ologrammi digitali simulati il primo e per ricostruire questi ultimi, ed anche i normali ologrammi digitali registrati con una camera CCD, il secondo. Entrambi i programmi sono stati ricavati dal [9] ed hanno successivamente subito diverse piccole modifiche per comodit`a. Sono ambedue riportati in appendice.

Il programma che consente di ricostruire gli ologrammi registrati `e denominato Ho-loRec (riportato nell’Appendice A.1) e sfrutta l’algoritmo S-FFT, in modo tale da poter essere utilizzato nella ricostruzione degli ologrammi acquisiti in laboratorio, i quali hanno una distanza di ricostruzzione piuttosto ampia. Per prima cosa acquisisce un’immagine in input e la rende quadrata, restringendo la dimensione maggiore. Successivamente chiede in input i parametri utili alla ricostruzione, ovvero la dimensione dei pixel del sensore, la lunghezza d’onda con cui l’ologramma `e stato registrato e la distanza tra piano oggetto e piano di registrazione dell’ologramma, per quest’ultima, a seconda del segno con cui viene inserita tale distanza, consente di mettere a fuoco l’immagine virtuale piuttosto che quella reale. Il software sfrutta poi alcune funzioni implementate in MATLAB per applicare l’S-FFT e ricostruire numericamente l’ologramma, infine visualizza la matrice ottenuta sotto forma di immagine e permette di variarne la luminosit`a con un parametro in input.

Il programma che invece permette di simulare la registrazione di un ologramma `e denominato HoloGen (riportato nell’Appendice A.2). Esso inizialmente chiede un’im-magine in input e la rende quadrata, aggiungendo bordi neri all’imun’im-magine, tali bordi risultano numericamente degli zeri che vengono aggiunti alla matrice immagine. Il re-sto dell’immagine invece avr`a una scala di numeri diversi per ogni colore e intensit`a in modo da ricostruirla in scala di grigi ed ad ogni pixel viene attribuita una fase random, ovvero generata casualmente. Vengono poi richiesti in input, in ordine, la lunghezza d’onda di registrazione, la dimensione del piano oggetto e, dopo aver avvisato quale sia la minima distanza affinch´e il teorema del campionamento sia soddisfatto, la distanza di registrazione. Successivamente, attraverso l’algoritmo S-FFT, viene calcolata l’am-piezza complessa dell’oggetto nel piano di registrazione. Dopo aver calcolato l’aml’am-piezza complessa dell’onda di riferimento il programma genera l’ologramma come |EO+ ER|2,

simulando poi una digitalizzazione a 8 bit, di modo da avere valori interi per ciascun pixel contenuti nel range 0-255, come se fosse stato effettivamente registrato con un sen-sore CCD. Infine il software restituisce in output un’immagine in formato .tiff in cui `e

(25)

contenuto l’ologramma registrato ed il valore della dimensione dei pixel, da inserire nel programma di ricostruzione.

Nella Figura 2.5 sono mostrati i risultati del processo di generazione e creazione di un ologramma digitale mediante tali programmi. A tal fine si `e proceduto scegliendo un’immagine qualsiasi di partenza, in questo caso specifico il prisma di Newton come `e stato rappresentato sulla copertina di un noto album musicale [10], e caricandola in input al software HoloGen. Unitamente all’immagine si sono forniti i dati necessari alla generazione dell’immagine olografica simulata. Al termine dell’esecuzione di tale programma `e stato restituito in output un file immagine nel quale era contenuto un ologramma (Figura 2.5(b)) ed anche il ”pixel pitch”, ovvero la dimensione dei pixel del sensore simulato. `E stato successivamente avviato il software HoloRec al quale `e stato fornito in input il file immagine precedentemente ottenuto, oltre alle informazioni necessarie alla ricostruzione. Quest’ultimo stoftware `e stato eseguito due volte, inserendo valori riguardanti la distanza di ricostruzione opposti, di modo da mettere a fuoco prima l’immagine virtuale 2.5(c) e poi l’immagine reale 2.5(d).

2.3

Applicazioni della DH

Le caratteristiche che portarono a preferire l’olografia digitale a quella ottica tradizionale condussero la prima ad essere impiegata in molti campi. Saranno ora esposti, a titolo esemplificativo, i pi`u noti.

2.3.1

Microscopia Digitale Olografica (DHM)

Inizialmente Gabor studi`o l’olografia proprio col fine di migliorare la risoluzione della microscopia dell’epoca. L’olografia infatti permette di conservare l’informazione sulla profondit`a del’immagine nonostante un ingradimento notevole, ci`o non avviene inve-ce quando l’ingrandimento avviene attraverso l’utilizzo di lenti, ed in particolare que-sto problema `e tanto pi`u evidente quanto maggiore `e l’ingrandimento. Ci`o `e possibile poich´e attraverso l’olografia digitale `e possibile mettere a fuoco diversi piani dell’oggetto attraverso l’utilizzo dei metodi numerici esposti sopra.

2.3.2

Analisi di Particelle

L’apparato sperimentale di in-line di Gabor risulta adatto, ed estremamente utile, per studiare le particelle sospese in una soluzione. Utilizzando infatti impulsi laser corti `e possibile misurarne la dimensione, la posizione, la distribuzione spaziale, la velocit`a e le quantit`a fisiche relative a queste.[7] La configurazione in-line permette di avere angoli quasi nulli tra l’onda di riferimento, che passa indisturbata attraverso la soluzione, e l’onda oggetto, che `e la medesima onda diffratta dalla particella, perci`o il teorema del

(26)

(a) Immagine di partenza utilizzata per calcolare l’ologramma [10]

(b) Ologramma generato dal programma HoloGen

(c) Ologramma ricostruito col software HoloRec in cui `e stata messa a fuoco l’immagine virtuale

(d) Ologramma ricostruito col software HoloRec in cui `e stata messa a fuoco l’immagine reale

Figura 2.5: Nella figura sono rappresentati i passaggi fondamentali per la generazione e la ricostruzione di un ologramma digitale. La lunghezza d’onda utilizzata `e λ = 630nm, la dimensione del piano L = 7mm, e la distanza di registrazione d = 2.000m. Come si pu`o notare, nelle due ricostruzioni si sono inserite dimensioni di ricostruzione opposte in modo da ottenere l’immagine virtuale nella prima (dric = 2000mm) e quella reale nella

(27)

campionamente `e pienamente soddisfatto. Per determinare la posizione e la dimensione laterale delle particelle bisogna trovare la corretta distanza di ricostruzione dal computer, solitamente si procede testandone varie fino ad ottenere quella in cui la particella `e messa meglio a fuoco. Per ottenere una maggione profondit`a si utilizza la tomografia, tale metodo consiste nel registrare in un solo ologramma la proiezione dell’oggetto su diversi piani con angolazioni diverse, ci`o `e possibile utilizzando un sistema di specchi in modo da fare attraversare la soluzione pi`u volte dall’impulso luminoso. Dopo aver registrato tale ologramma si ricostruiscono le varie immagini utilizzando distanze di ricostruzione diverse, in modo da ottenere la ricostruzione delle proiezioni dell’immagine sui diversi piani, ed infine si utilizza un algoritmo tomografico in grado di restituire un’immagine tridimensionale delle particelle. Nella figura 2.6 `e riportato un esempio di analisi di particelle e nella figura 2.7 uno schema esemplificativo del metodo tomografico.

(a) Ologramma digitale di alcune particelle

(b) Ricostruzioni

(28)

Figura 2.7: Esempio di schema del metodo tomografico.[7]

2.3.3

Interferometria ed Olografia Endoscopica

Inizialmente, nell’interferomentria olografica ottica, i modelli di interferenza erano gene-rati mediante una doppia esposizione della lastra olografica, o in tempo reale o tramite un metodo stroboscopico. Da tali modelli era possibile determinare la distribuzione di fase attraverso diversi metodi, tra i quali si possono citare il conteggio delle frange, il tracciamento delle stesse, la valutazione della trasformata di Fourier, oppure altri. Con l’olografia digitale invece tale informazione pu`o essere estrapolata direttamente senza dover considerare l’intensit`a. Si considerino, ad esempio, i due campi d’onda numerica-mente ricostruiti b1(n, m) e b2(n, m) di una superficie prima e dopo la deformazione, la

differenza di fase la si pu`o calcolare mediante la seguente formula:

∆ϕ(n, m) = arctan=[b2(n, m)b

1(n, m)]

<[b2(n, m)b∗1(n, m)]

(2.16)

la quale restituisce un risultato compreso tra−π e π, e, poich´e generalmente `e noto quale campo appartiene all’oggetto prima e quale a dopo la deformazione, non vi `e ambiguit`a di segno, come invece avverrebbe se si utilizzasse l’intensit`a. L’interferometria olografica digitale ha diverse applicazioni, oltre ad essere utilizzata per determinare la deformazione di un oggetto durante uno stress-test o test non distruttivi, viene anche impiegata per

(29)

l’analisi e la determinazione di vibrazioni e per la misura dell’indice di rifrazione. `E inoltre frequentemente utilizzata in meteorologia. [7]

Figura 2.8: Distribuzione di fase dell’interferenza di una piastra di alluminio dopo di-verse sollecitazioni: subisce una pressione dal lato posteriore (sinistra), viene traslata lateralmente (centro), viene contemporaneamente premuta e traslata (destra.) [7]

Grazie all’olografia digitale `e inoltre possibile combinare la misurazione di deforma-zione con la determinadeforma-zione del contorno della superficie. Per misurare la prima bisogna, come gi`a detto, registrare due ologrammi dell’oggetto in due stati diversi, mentre per la seconda `e necessario registrare due ologrammi dell’oggetto nello stesso stato e variare invece la lunghezza d’onda del fascio incidente, oppure la posizione della sua sorgente. [2] Queste tecniche possono essere utilizzate per realizzare l’olografia digitale endoscopi-ca, ovvero un esame medico che permette di esplorare e visualizzare l’interno del corpo attraverso l’utilizzo dell’olografia digitale. Il sensore applicabile a tali misure necessita di essere adattato all’ambito in cui `e richiesto, ovvero deve avere propriet`a che permettano la flessibilit`a e l’adattamento ad applicazioni in ambienti sfavorevoli. Deve inoltre essere di dimensioni ridotte e possedere un’elevata rapidit`a di calcolo. Un sistema endoscopico pu`o essere considerato come formato da quattro parti: il computer di controllo, il la-ser con le corrispettive unit`a di fibre ottiche, l’endoscopio e il sensore, quest’ultimo in particolare `e composto da un CCD di piccole dimensioni. Attualmente si utilizza un solo fascio per illuminare l’oggetto e questo permette di determinare la forma ed una componente dello spostamento. L’obiettivo che si vuole raggiungere `e quello di utilizzare tre fasci al fine di avere una rappresentazione tridimensionale della deformazione. L’al-ta sensibilit`a degli ologrammi al movimento, in questo tipo di applicazioni, risulL’al-ta uno svantaggio poich´e le condizioni di stabilit`a non sono assicurate. Al fine di minimizzare tale problema il tempo di acquisizione deve essere il pi`u breve possibile e ci`o spiega la necessit`a di un computer con un’elevata rapidit`a di calcolo. [2]

(30)

Capitolo 3

Risultati Sperimentali

3.1

Apparato Sperimentale

Questo capitolo `e dedicato alla presentazione dei risultati ottenuti in laboratorio me-diante un apparato sperimentale costituito da un banco ottico, un laser He-Ne, una camera CCD, un computer sul quale `e installato il software LabView nel quale `e scritto il programma di acquisizione, un porta oggetti, diverse guide metalliche, alcuni filtri at-tenuatori e diversi specchi e beam splitter (specchi semi-riflettenti in grado di dividere un fascio luminoso). Nei paragrafi successivi saranno descritti con maggior dettaglio i singoli elementi dell’apparato.

(a) Specchio (b) Beam Splitter

Figura 3.1: Elementi ottici utilizzati durante l’esperimento. Lo specchio consente di riflettere il fronte d’onda luminoso, il beam splitter consente invece di dividerlo, ri-flettendone una parte e lasciando passare l’altra, quello utilizzato in particolare divide l’intensit`a luminosa al 50%.

(31)

3.1.1

Banco Ottico

Il primo elemento che si vuole analizzare `e il banco ottico che sorregge tutta la stru-mentazione. Questo deve essere il pi`u stabile possibile, ovvero essere poco sensibile a perturbazioni vibrazionali che potrebbero perturbare l’ologramma. Alcune cause di tali vibrazioni si posso trovare nel traffico esterno, nel passaggio di pi`u persone nei pressi del banco, ma anche nei flussi d’aria provenienti dai condizionatori. Dunque il banco ottico deve essere composto da un piano d’appoggio rigido e pesante al fine di poter con-trobilanciare le vibrazioni e deve appoggiare su piedistalli isolanti, questi ultimi devono essere poco suscettibili alle deformazioni termiche, quindi anche il materiale di cui sono costutiti risulta molto importante. Nello specifico il banco utilizzato `e composto da un piano di lavoro di cemento, ricoperto di granito e sorretto da piedi regolabili in altezza in metallo. Sopra al banco sono appoggiate diverse guide metalliche sulle quali si possono montare i supporti per gli specchi o il porta oggetti. Queste risultano piuttosto pesanti e consentono di avere un buon allineamento tra i vari oggetti montatici sopra.

Figura 3.2: Banco ottico del laboratorio sorretto da piedistalli regolabili in metallo [11]

3.1.2

Laser

Il laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation) `e un dispositivo capace di emettere, attraverso l’emissione stimolata, fronti d’onda luminosi dall’elevata coerenza, quest’ultima `e legata alle peculiarit`a intrinseche dello strumento utilizzato. Alla coerenza temporale, ovvero il fatto che le onde conservino la propria fase nel tempo, `e correlata

(32)

la capacit`a laser di emettere radiazioni luminose in un ristretto intervallo di frequenze d’onda, perci`o si pu`o considerare il fascio come monocromatico. Nel caso del dispositivo utilizzato il fascio ha una lunghezza d’onda λ = 630nm. La coerenza spaziale, cio`e la propriet`a del fascio di conservare una differenza di fase costante fra punti distinti in una sezione trasversa del fascio, consente di avere fasci unidirezionali e collimati, ovvero paralleli anche su lunghi percorsi. Lo strumento utilizzato `e un laser a gas He-Ne (elio-neon) con una potenza nominale di 30mW e, come gi`a detto, una lunghezza d’onda di 630nm.

Figura 3.3: Laser He-Ne presente in laboratorio con frequenza d’onda nominale di 630nm e potenza di 30mW. [11]

Questo genere di dispositivi funziona mediante l’eccitazione degli atomi di He, pre-senti all’interno di una cavit`a risonante, tramite una scarica elettrica. Questi, decadendo allo stato fondamentale, producono un fotone in grado di eccitare un elettrone del Ne. L’elio si comporta dunque da atomo di pompaggio, fornisce ovvero l’energia necessaria che permette all’azoto di eccitarsi e di emettere decadendo un fotone alla lunghezza d’on-da desiderata. `E possibile che vi siano diverse lunghezze d’onda della radiazione emessa, per ovviare a tal problema ci si serve della cavit`a risonante avente dunque la frequenza propria adatta. Sperimentalmente quest’ultima `e costuita da uno specchio ad un ca-po e da una superficie semitrasparente all’altro, dal quale `e prelevato il fascio luminoso uscente.

3.1.3

Filtri

I filtri vengono impiegati in diversi esperimenti ottici, essi permettono di selezionare solo alcune componenti della radiazione al fine di facilitare il conseguimento dell’esperimento.

(33)

Nell’esperimento realizzato in laboratorio sono stati impiegati diversi filtri neutri, ovvero che attenuano in maniera costante su tutte le lunghezze d’onda del visibile, i quali sono quindi utili per diminuire l’intensit`a della sorgente luminosa impiegata, poich´e il laser `e risultato possedere un’eccessiva potenza e dunque il sensore CCD ne veniva saturato, comportando dunque una scorretta registrazione degli ologrammi. Sono riportate di seguito le specifiche dei filtri utilizzati:

• diametro: 12.5 mm; • trasmissione: 0.3%;

• assorbanza (A10): 1.5mm, 2.0mm, 3.0mm

• indice di rifrazione ηd: 1.51;

• spettro di assorbimento: 400-700 nm.

L’assorbanza `e definita come il logaritmo negativo della trasmittanza (T), la quale `e il rapporto tra l’intensit`a che attraversa il filtro (I1) e quella incidente (I0):

A=−logT = −log(I1

I0) = log(I0)− log(I1) (3.1) Nel caso la si voglia esprimere con un logaritmo in una base diversa rispetto al logaritmo naturale bisogna indicarlo al pedice, ad esempio:

A10=−log10T = log10(I0)− log10(I1) (3.2)

L’assorbanza dei singoli filtri si somma ed `e dunque, nel caso si utilizzi il logaritmo in base 10, come nei filtri utilizzati durante l’esperimento, come diminuire l’intensit`a luminosa di un fattore 10A.

(34)

3.1.4

Camera CCD

La camera CCD `e formata da una matrice di pixel i quali registrano l’informazione sulla radiazione luminosa che vi incide. Tale rivelatore possiede un’entrata AC per l’alimentazione ed un output LAN/Ethernet per poter essere collegato ad un personal computer. Il sensore converte poi l’informazione ottica registrata in un segnale digitale che invia al computer sul quale `e installato il software che la traduce. Le specifiche del sensore sono elencate di seguito:

• casa produttrice: Basler;

• modello camera: scA1390 17gc; • sensore: Sony ICX267

• dimensioni pixel: 4, 65µm × 4, 65µm; • risoluzione: 1.4 MP;

• risoluzione (H × V ): 1390px × 1038px; • frame rate massimo: 17 fps;

• profondit`a pixel: 12 bit; • interfaccia: GigE.

Inoltre si tiene a specificare che il sensore utilizzato `e a colori, consente quindi di registrare anche l’informazione relativa alla lunghezza d’onda che vi incide.

3.1.5

Disposizione dell’Apparato

Inizialmente si `e iniziata l’attivit`a sperimentale tentando di utilizzare la configurazione proposta dalla letteratura (Figura 3.6), la quale prevede che l’onda emessa dal laser, dopo essere stata ampliata da un beam expander (BE) il quale rappresenta l’ottica montata sul laser utilizzato, venga divisa da un beam splitter (BS) in due fronti d’onda, uno che rappresenta l’onda di riferimento e colpisce uno specchio che la riflette su un secondo beam splitter, il secondo fronte d’onda viene anch’esso riflesso da uno specchio verso il medesimo beam splitter ma tra quest’ultimo e lo specchio `e posizionato l’oggetto di cui si vuole registrare l’ologramma e sul BS giunge dunque il fronte d’onda diffratto dall’oggetto (onda oggetto). Il BS infine permette di direzionare entrambe le onde sul CCD.

Dopo svariati tentativi falliti, si `e proceduto ad una verifica della coerenza spaziale del laser attraverso un apparato simile all’interferometro di Michelson (Figura 1.1) che ha

(35)

Figura 3.5: Supporto su cui poggia la camera CCD, ‘e ben visibile, il binario su cui poggia, l’obiettivo al cui interno risiede il sensore, l’ingresso per l’alimentazione e il cavo per l’uscita dell’immagine sul retro della camera. [11]

Figura 3.6: Apparato sperimentale proposto dalla letteratura per la registrazione di ologrammi digitali off-line. [1]

permesso di constatare che la lunghezza di coerenza era piuttosto ridotta, probabilmente dovuta ad una mancanza di manutenzione periodica dello strumento [12], infatti se il cammino ottico dei due raggi differiva anche solo di pochi centimetri, oppure se l’angolo di incidenza differiva di pochi gradi, si perdeva coerenza e non era possibile vedere una figura di interferenza. Si `e dunque proceduto a posizionare gli specchi in modo da

(36)

(a) Fotografia dello schermo bianco (b) Rilevazione attraverso il CCD

Figura 3.7: Figura di interferenza ottenuta sperimentalmente. Questa `e stata sia registra-ta mediante una fotografia dello schermo bianco su cui veniva proietregistra-taregistra-ta, sia posizionando il CCD al posto dello schermo ed utilizzando il software di acquisizione.

ottenere una figura di interferenza apprezzabile, la quale era per`o instabile nel tempo (Figura 3.7).

Affinch´e la figura di interferenza sia apprezzabile l’angolo tra le onde incidenti sullo schermo deve essere piuttosto ridotto poich´e l’equazione che governa il fenomeno `e la seguente:

d= λ

sinθ2 (3.3)

dove θ rappresenta l’angolo tra i vettori di propagazione delle due onde, λ la lunghezza d’onda delle radiazioni e d la distanza tra le frange d’interferenza. [3] Ottenuta questa figura si `e deciso di utilizzare tale apparato per registrare l’ologramma digitale. A tal fine si `e posizionato l’oggetto in prossimit`a di uno degli specchi ed il sensore CCD al posto dello schermo e si `e inoltre posizionato il filtro di d = 1.5mm davanti al sensore, di modo da da attenuare il segnale luminoso poich´e altrimenti saturava il sensore stesso. Tale disposizione dell’apparato `e mostrata nella Figura 3.8.

3.2

Registrazione di un Ologramma Off-Line

La prova sperimentale consiste nel registrare un ologramma digitale off-line di un piccolo oggetto utilizando l’apparato sperimentale descritto sopra. L’oggetto utilizzato consiste in un piccolo quadrato di carta nera con un foro quadrangolare al centro su cui sono stati incrociati due fili (Figura 3.9). Per fare ci`o si `e disposto l’apparato come descritto precedentemente, collegando la camera CCD ad un pc sul quale era installato il soft-ware LabView, sviluppato da National Instruments, e mediante il quale era stato gi`a

(37)

Figura 3.8: Apparato sperimentale utilizzato per la registrazione di ologrammi. A sinistra si pu`o notare il laser con la relativa ottica, al centro si vede il beam splitter, nella parte superiore dell’immagine lo vi `e lo specchio che riflette l’onda di riferimento ed a destra lo specchio su cui `e posizionato l’oggetto di cui si vuole registrare l’ologramma. In basso si vede il sensore CCD.

precedentemente scritto un programma in grado di acquisire le immagini provenienti dal sensore. L’acquisizione `e durata pochi secondi, il tempo necessario affinch´e il computer registrasse un’immagine, e ci`o prova nuovamente uno dei vantaggi dell’olografia digitale, ovvero l’elevata velocit`a di svolgimento dell’esperienza, al contrario le prove svolte pre-cendentemente dai miei colleghi con l’olografia tradizionale avevano una durata media di circa 15 minuti. [2] Al termine di tale processo si `e avviato il programma HoloRec (2.2.3) e vi si sono inseriti i parametri necessari alla ricostruzione, ovvero:

• ”Pixel pitch (mm)”: 0.00465; • ”Wavelength (mm)”: 0.00063;

il parametro relativo alla distanza `e stato invece variato fino ad ottenere la migliore ricostruzione possibile, partendo dalla misura ottenuta approssimativamente mediante l’utilizzo di un metro, la quale `e risultata essere di 560mm.

Come si pu`o osservare dalla Figura 3.10 l’immagine ricostruia risulta pi`u definita dell’ologramma registrato e permette di identificarne con precisione la forma. Si osserva

(38)

Figura 3.9: Oggetto di cui si `e registrato l’ologramma.

inoltre che in figura vi sono due coppie di immagini (reali e virtuali), ci`o `e probabilmente dovuto alla presenza dello specchio posto posteriormente all’oggetto che ha riflesso l’im-magine originale, ottenendo cos`ı due ologrammi del medesimo oggetto. Tale asserzione per`o non `e potuta essere verificata poich´e, nonostante siano state fatte diverse ricostru-zioni variando pi`u volte la distanza, non si `e riusciti a riscontrare un’apprezzabile messa a fuoco maggiore per una delle due immagini. Se infatti l’affermazione fosse valida la distanza tra le due immagini dovrebbe essere pari almeno alla distanza tra l’oggetto e lo specchio che risultava essere di circa (6± 2)mm.

Per tale motivo la prova eseguito consente di affermare che come prima esperienza di olografia digitale off-line l’esito non `e del tutto soddisfacente, ma le diverse prove effettuate hanno permesso di escludere alcune configurazioni dell’apparato sperimentale che risultano non funzionare ed hanno evidenziato alcuni limiti della strumentazione utilizzata. Inoltre l’essere riusciti a registrare e ricostruire correttamente un ologramma permette di poter affermare che la direzione intrapresa risulta essere probabilmente quella corretta.

(39)

(a) Ologramma registrato

(b) Ricostruzione

Figura 3.10: Risultati sperimentali ottenuti. In alto `e possibile vedere l’ologramma registrato dal CCD mentre in basso vi `e la ricostruzione del medesimo.

(40)

Conclusioni

In questa tesi si `e proceduto allo studio dell’olografia digitale, evidenziandone i pregi ed i difetti, mettendola a confronto con l’olografia ottica tradizionale.

L’esperienza svolta `e consistita nella registrazione di un ologramma digitale off-line, ovvero con un apparato tale da permettere una registrazione fuori asse, e rappresenta la prima nel suo genere svolta all’interno del laboratorio del DIFA. I primi test eseguiti hanno messo in luce la necessit`a di utilizzare un apparato sperimentale nel quale la dif-ferenza di cammino ottico tra i due fasci fosse la minore possibile, poich´e la lunghezza di coerenza del fascio luminoso proveniente dal laser `e risultata assai ridotta. Il risultato preliminare ottenuto dall’esperienza `e risultato essere incoraggiante poich´e ha messo in luce la concreta possibilit`a di riuscire a registrare e ricostruire ologrammi digitali, per`o non lo si pu`o considerare del tutto soddisfacente perch´e la definizione dell’immagine non `e risultata sufficiente ad indagare al meglio la natura dell’oggetto di cui si `e voluta re-gistrare l’immagine. Ci`o `e probabilmente riconducibile ad una parziale inadeguatezza della strumentazione utilizzata. Analizzando i singoli elementi dell’apparato si pu`o in-fatti constatare che il banco ottico risulta molto sensibile alle sollecitazioni anche pi`u piccole, ci`o `e riscontrabile, ad esempio, analizzando una normale figura di interferenza ed applicando una leggera pressione al banco, si nota in tal modo una variazione nella figura dovuta alle vibrazione del banco stesso. Successivamente si pu`o considerare la ri-dotta lunghezza di coerenza del laser He-Ne, dovuta probabilmente ad una manutenzione insufficiente dello strumento. Infatti la vita media di tali strumenti `e stimata essere tra le 20000 e le 50000 ore di lavoro. [12] Bisogna inoltra considerare che, in parte a causa dell’ottica presente sul laser, costituita da un pinhole e da una lente convergente, l’onda utilizzata potrebbe non essere un’onda piana, ma, in fase di ricostruzione, utilizzando il programma HoloRec, si ipotizza che l’onda sia invece perfettamente piana. Infine, un’ul-tima fonte di disturbo, `e riscontrabile nella camera CCD stessa, la quale ha un sottile vetro a protezione del sensore. Questo infatti, se illuminato con luce coerente, genera una figura di interferenza la quale `e visibile se si illumina semplicemente il CCD senza analizzare alcuna particella. [3]

Per il futuro viene dunque evidenziata la necessit`a di migliorare la strumentazione a disposizione del laboratorio di modo da poter sviluppare ologrammi off-line che risentano meno dei disturbi legati agli strumenti utilizzati.

(41)

Appendice A

Programmi MATLAB utilizzati

Sono qui riportati i programmi scritti in linguaggio MATLAB utilizzati durante l’espe-rienza. Questi sono stati presi dal [9] e sono poi stati leggermente adattati per potersi meglio adattare agli strumenti utilizzati.

A.1

HoloRec

c l e a r; c l o s e a l l ; chemin= ’ ’ ;

[ nom , chemin ]= u i g e t f i l e ( [ chemin , ’∗ . ∗ ’ ] , [ ’ Choose a hologram ’ ] , 1 0 0 , 1 0 0 ) ; I 1=imread ( [ chemin , nom ] ) ;

f i g u r e; imagesc( I 1 ) ; colormap( gray ) ; a x i s e q u a l ; a x i s t i g h t ; t i t l e( ’ D i g i t a l hologram ’ ) ;

Ih1=double ( I 1 )−mean2 ( double ( I1 ) ) ; [ N1 , N2]= s i z e ( Ih1 ) ;

N=min(N1 , N2 ) ; % R e s t r i c t i o n t o NxN Ih=Ih1 ( 1 : N, 1 : N ) ;

p i x=input ( ’ P i x e l p i t c h (mm) : ’ ) ; h=input ( ’ Wavelength (mm) : ’ ) ;

z0=input ( ’ R e c o n s t r u c t i o n d i s t a n c e z0 (+ f o r a r e a l image , − f o r a v i r t u a l image ) (mm) : ’ ) ; L=p i x∗N;

%−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−R e c o n s t r u c t i o n by S−FFT n=−N/ 2 :N/2 −1;

(42)

x=n∗ pix ; y=x ; [ xx , yy]=meshgrid ( x , y ) ; k=2∗pi /h ; F r e s n e l=exp ( i∗k/2/ z0 ∗( xx.ˆ2+yy . ˆ 2 ) ) ; f 2=Ih .∗ F r e s n e l ; Uf=f f t 2 ( f2 , N,N ) ; Uf=f f t s h i f t ( Uf ) ; i p i x=h∗abs ( z0 )/N/ pix ; x=n∗ i p i x ; y=x ; [ xx , yy]=meshgrid ( x , y ) ;

phase=exp ( i∗k∗ z0 ) / ( i ∗h∗ z0 )∗exp( i ∗k/2/ z0 ∗( xx.ˆ2+yy . ˆ 2 ) ) ; U0=Uf .∗ phase ; %−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−End o f S−FFT I f=abs (U0 ) . ˆ 0 . 7 5 ; Gmax=max(max( I f ) ) ; Gmin=min(min( I f ) ) ; L0=abs ( h∗ z0 ∗N/L ) ;

disp( [ ’ Width o f t he r e c o n s t r u c t i o n p l a n e = ’ , num2str ( L0 ) , ’ mm’ ] ) ; f i g u r e;

imagesc( I f , [ Gmin , Gmax ] ) , colormap ( gray ) ; a x i s e q u a l ; a x i s t i g h t ; y la b e l( ’ p i x e l s ’ ) ; x la b e l( [ ’ Width o f t he r e c o n s t r u c t i o n p l a n e = ’ , num2str (L ) , ’ mm’ ] ) ; t i t l e( ’ Image r e c o n s t r u c t e d by S−FFT ’ ) ; p=input ( ’ D i s p l a y parameter ( >1) : ’ ) ; while isempty( p ) == 0

imagesc( I f , [ Gmin Gmax/p ] ) , colormap ( gray ) ; a x i s e q u a l ;

a x i s t i g h t ;

y l ab e l( ’ p i x e l s ’ ) ;

x l ab e l( [ ’ Width o f t he r e c o n s t r u c t i o n p l a n e = ’ , num2str (L ) , ’ mm’ ] ) ; t i t l e( ’ Image r e c o n s t r u c t e d by S−FFT ’ ) ;

p=input ( ’ D i s p l a y parameter ( >1) (0=end ) : ’ ) ; i f p==0,

break end end

(43)

A.2

HoloGen

c l e a r; c l o s e a l l ; chemin= ’ ’ ;

[ nom , chemin ]= u i g e t f i l e ( [ chemin , ’∗ . jpg ∗ ’ ] , [ ’ Choose an image f i l e ’ ] , 1 0 0 , 1 0 0 ) ; [XRGB,MAP]= imread ( [ chemin , nom ] ) ;

X=double (XRGB( : , : , 1 ) ) ;% We r e c o v e r t h e image o f t h e red RGB % band ( c h a n n e l 1 )

[M,N]= s i z e (X ) ;

% E x t e n d e d s i z e t o two t i m e s K=2∗max(N,M) ;

% Zeros−padding to g e t N N image

Z1=zeros (K, ( K−N) / 2 ) ; Z2=zeros ( (K−M) / 2 ,N) ; Obj=[Z1 , [ Z2 ;X; Z2 ] , Z1 ] ;

% Parameters

h=input ( ’ Wavelength (mm) : ’ ) ; k=2∗pi /h ;

L=input ( ’Maximum width o f t he o b j e c t (mm) : ’ ) ; zmin=Lˆ2/K/h ;

disp( [ ’Minimum d i s t a n c e t o f u l l f i l l sampling theorem : ’ , num2str ( zmin ) , ’ mm’ ] ) ; z0=input ( [ ’ Recording d i s t a n c e z0 (mm) : ’ ] ) ;

p i x=abs ( z0 )∗ h/L ; Lx=K∗ pix ;

Ly=K∗ pix ;

disp( [ ’ P i x e l p i t c h t o f u l l f i l l sampling c o n d i t i o n s : ’ , num2str ( p i x ) , ’mm’ ] ) ; disp( [ ’ Width o f t he o b j e c t f i e l d = ’ , num2str ( Lx ) , ’mm x ’ , num2str ( Ly ) , ’mm’ ] ) ; % O b j e c t f i e l d

p s i =2∗pi ∗(rand (K,K) −0.5);% Random phase Ao=Obj .∗ exp( i . ∗ p s i ) ; % Complex f i e l d i n t h e o b j e c t p l a n e f i g u r e ; imagesc( Obj ) ; colormap( gray ) ; colormap( gray ) ; y la b e l( ’ p i x e l s ’ ) ; a x i s e q u a l ; a x i s t i g h t ;

x la b e l( [ ’ Width o f t he o b j e c t f i e l d = ’ , num2str ( Lx ) , ’mm x ’ , num2str ( Ly ) , ’mm’ ] ) ; t i t l e( ’ I n i t i a l Object ’ ) ;

%−−−−−−−−−−−−−−−C a l c u l a t i o n u s i n g S−FFT % Complex f a c t o r i n t h e i n t e g r a l

(44)

n=−K/ 2 :K/2 −1; m=−K/ 2 :K/2 −1; x=n∗ pix ; y=m∗ pix ; [ xx , yy]=meshgrid ( x , y ) ; F r e s n e l=exp ( i∗k/2/ z0 ∗( xx.ˆ2+yy . ˆ 2 ) ) ; f 2=Ao .∗ F r e s n e l ; Uf=f f t 2 ( f2 ,K,K) ;% Zero p a d d i n g a t KxK Uf=f f t s h i f t ( Uf ) ; % Complex f a c t o r i n f r o n t o f t h e i n t e g r a l % P i t c h i n s e n s o r p l a n e i p i x=h∗abs ( z0 )/K/ pix ; x i=n∗ i p i x ; y i=m∗ i p i x ; L0x=K∗ i p i x ; L0y=K∗ i p i x ; [ xxi , y y i ]=meshgrid ( xi , y i ) ;

phase=exp ( i∗k∗ z0 ) / ( i ∗h∗ z0 )∗exp( i ∗k/2/ z0 ∗( xxi .ˆ2+ yyi . ˆ 2 ) ) ; Uf=Uf .∗ phase ;

%−−−−−−−−−−−−−−End o f S−FFT c a l c u l a t i o n

disp( [ ’ Width o f t he d i f f r a c t e d f i e l d = ’ , num2str ( L0x ) , ’mm x ’ , num2str ( L0y ) , ’mm’ ] ) ; f ig ur e , imagesc ( abs ( Uf ) ) , colormap ( gray ) ;

y la b e l( ’ p i x e l s ’ ) ;

a x i s e q u a l ; axis t i g h t ;

x la b e l( [ ’ Width o f t he d i f f r a c t e d f i e l d = ’ , num2str ( L0x ) , ’mm x ’ , num2str ( L0y ) , ’mm’ ] ) ; t i t l e( ’ D i f f r a c t e d f i e l d i n t he d e t e c t o r p l a n e ( modulus ) ’ ) ;

% R e f e r e n c e wave

ur=Lx/8/h/ z0 ; % S p a t i a l f r e q u e n c i e s vr=ur ;

Ar=max(max( abs ( Uf ) ) ) ;% Amplitude o f t h e r e f e r e n c e wave Ur=Ar∗exp(2∗ i ∗ pi ∗( ur ∗xx+vr ∗yy ) ) ;

% R e f e r e n c e wave %−−−−−−−−−−−−−−−C a l c u l a t i o n o f t h e hologram H=abs ( Ur+Uf ) . ˆ 2 ; % 8− b i t d i g i t i z a t i o n Imax=max(max(H ) ) ; Ih=u i n t 8 (255∗H/Imax ) ; nom= ’ Ih . t i f ’ ;

i m w r i t e ( Ih , nom ) ;% Recording t h e hologram

disp( [ ’ P i x e l p i t c h = ’ , num2str ( i p i x ) , ’ mm avec ’ , num2str (K) , ’X ’ , num2str (K) , ’ p i x e l s ’ ] ) ; f ig ur e , imagesc ( Ih ) , colormap ( gray ) ;

(45)

y la b e l( ’ p i x e l s ’ ) ;

x la b e l( [ ’ P i x e l p i t c h = ’ , num2str ( i p i x ) , ’ mm avec ’ , num2str (K) , ’X ’ , num2str (K) , ’ p i x e l s ’ ] ) ; t i t l e ( [ ’ D i g i t a l hologram with t he name : ’ ,nom ] ) ;

(46)

Bibliografia

[1] Liu J.P Poon T.C. Introduction to modern digital holography. Cambridge, 1994. [2] De Dominicis L. Studio preliminare per olografia digitale. Tesi di laurea triennale,

Alma Mater Studiorum, Dipartimento di Fisica, 2014/2015. [3] Juptner W. Schnars U. Digital Holography. Springer, 2005.

[4] Juptner W. Schnars U. Digital recording and numerical reconstruction of holograms. Measurement Science and Technology, 2002.

[5] Santini G. Tecniche olografiche e relative applicazioni. Tesi di laurea triennale, Alma Mater Studiorum, Dipartimento di Fisica, 2014/2015.

[6] Fuschi A. Calcolo di ologrammi con octave e matlab. Tesi di laurea triennale, Alma Mater Studiorum, Dipartimento di Fisica, 2016/2017.

[7] Kreis T. Applications of digital holography: From microscopy to 3d-television. Journal of th European Optical Society-Rapid Pubblication, 2012.

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[9] Li C. Picart P. Digital Holography. John Wiley and Sons, 2013.

[10] Storm Thorgerson. The dark side of the moon, 1973. Opera realizzata come copertina dell’album The Dark Side Of The Moon del gruppo musicale Pink Floyd. [11] Santucci A. Olografia digitale per analisi in line. Tesi di laurea triennale, Alma

Mater Studiorum, Dipartimento di Fisica, 2015/2016.

[12] Samuel M. Goldwasser. Sam’s laser faq, 2017. https://www.repairfaq.org/sam/laserhtr.htm.

Figura

Figura 1.1: Interferometro di Michelson. M1 ed M2 sono specchi mentre BS `e un beam splitter ovvero uno specchio semiriflettente
Figura 1.2: Interferometro di Young. [3]
Figura 1.3: L’immagine riporta diverse fotografie di un ologramma ottico realizzato precedentemente da una mia collega
Figura 1.5: A sinistra `e rappresentato lo schema di registrazione di un Ologramma a Riflessione; a destra invece `e raffigurato lo schema della ricostruzione dell’immagine virtuale del medesimo
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