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Outsourcing e rischio infettivo associato all'ambiente sanitario: proposta di un sistema integrato di gestione del servizio di sanificazione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE

TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

Outsourcing e rischio infettivo associato all'ambiente sanitario:

proposta di un sistema integrato di gestione del servizio di

sanificazione

Relatore: Chiar.mo Prof. Gaetano Privitera

1° Correlatore: Dott.ssa Michela Maielli

2° Correlatore: Dott. Spartaco Mencaroni

Candidato: Dott. Filippo Giardi

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CAPITOLO I: INFEZIONI CORRELATE ALL'ASSISTENZA ... 4

1.1. Fattori di rischio e localizzazione degli eventi infettivi ... 5

1.2. Eziologia e modalità di trasmissione ... 6

1.3. Tipologia dei microrganismi responsabili di ICA ... 7

1.4. Ruolo dell’ambiente ... 7

1.5. Sanificazione ambientale: il suo ruolo nella riduzione del rischio clinico ... 10

CAPITOLO II: IL CONTESTO DEL PROJECT FINANCING ... 13

2.1. Vantaggi e svantaggi del PF ... 14

2.1.1. Sblocco di risorse economiche ... 14

2.1.2. Flessibilità di utilizzo del personale ... 15

2.1.3. La qualità dei servizi erogati dal partner privato ... 15

2.2. Il capitolato tecnico prestazionale ... 17

CAPITOLO III: PROPOSTA DI UN SISTEMA INTEGRATO DI GESTIONE DEL SERVIZIO DI SANIFICAZIONE ... 19

3.1 Classificazione multiparametrica e dinamica delle aree/attività ... 19

3.1.1 Anagrafica delle aree di rischio ... 19

3.1.2. Rischio del paziente che viene assistito nell'area: rischio infettivo e vulnerabilità biologica del paziente ... 21

3.1.3. Assegnazione di un parametro di rischio (Kcr) a specifiche combinazioni di locali / pazienti ... 22

3.2 Prodotti, tecniche, materiali ... 25

3.2 Tecniche e materiali ... 34

3.2.1. Prodotti chimici ... 26

3.3 Procedure: pianificazione delle attività sulla base del Kcr ... 37

3.3.1. anagrafica delle procedure (per Kcr e per le diverse precauzioni assistenziali) ... 38

3.3.2. Procedure generiche per tutti i setting assistenziali ... 39

3.3.3. Procedura pulizia standard stanza di degenza (escluso pazienti in isolamento) ... 41

3.3.4. Procedura pulizia terminale stanza di degenza ... 42

3.3.5 Situazioni di outbreak ... 44

3.4 Spunti per la gestione del servizio basati sulla valutazione dinamica del rischio ... 45

3.5 Assistenza allo svolgimento delle attività ... 46

3.5.1. Pianificazione delle attività ... 47

3.5.2 Assistenza alla preparazione del carrello ... 47

3.5.3 Check-list di controllo per ogni locale ... 50

3.5.4 Gestione prodotti e scorte di magazzino ... 50

3.5.5 gestione rotazione disinfettanti ... 50

3.6 Sistema di controllo della qualità ... 50

3.6.1 Controlli di processo ... 52

3.6.2 Controlli di risultato ... 54

3.6.3 Item di controllo basati sul rischio ambientale e sugli indicatori di contaminazione ... 61

3.6.4 Definizione LQA (Livello Qualitativo Accettabile) ... 62

3.6.5 Estrazione dei lotti di controllo ... 64

3.6.6 Valutazione dell’unità controllata ... 65

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3.7 Modulo gestione formazione ... 69 3.7.1 Pacchetto formativo di base ... 70 3.7.2 Pacchetti formativi aggiuntivi per punteggi di rischio ... 71 CAPITOLO IV: VALUTAZIONE DELL'EFFICACIA DI TRE DIVERSE METODICHE PER DETERMINARE

LA QUALITà DELLE PULIZIE OSPEDALIERE ... 72 CAPITOLO V: DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 77

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CAPITOLO I

INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA

Per i degenti, le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) sono tra le complicanze più frequenti che si possono verificare nelle strutture sanitarie a seguito del percorso assistenziale e rappresentano uno dei principali problemi di gestione del rischio infettivo. Le complicanze infettive associate all'assistenza sanitaria e socio-sanitaria sono frequenti, hanno un elevato impatto clinico ed economico e sono in parte evitabili con l'adozione di misure di provata efficacia.

Il rischio infettivo, ossia il rischio per i pazienti, visitatori ed operatori di contrarre un’infezione durante la permanenza in ospedale o in strutture di residenza assistita, è uno dei principali problemi di gestione negli ambienti sanitari. Si stima che tra il 5% ed il 15% dei pazienti ricoverati in ospedale sviluppino almeno una ICA durante la permanenza nella struttura assistenziale [1, 2, 3]. I risultati dello Studio di prevalenza europeo sulle infezioni correlate all'assistenza e sull’uso di antibiotici negli ospedali per acuti condotto dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) negli anni 2011 e 2012, (ECDC) ha confermato che le ICA sono un grave problema di sanità pubblica in Europa, con una prevalenza di pazienti con almeno una ICA del 6,0% [3]. Ogni anno 4,1 milioni di pazienti contraggono un’ICA; il numero di decessi, come conseguenza diretta è di circa 37.000, in 110.000 decessi l’infezione rappresenta una concausa [4]. La prevalenza di ICA è più elevata nelle Unità di Terapia Intensiva (UTI) dove i pazienti presentano un rischio da 5 a 10 volte più elevato di contrarre un’infezione. L’ultimo rapporto del network ECDC per la sorveglianza delle ICA nelle UTI riporta che nel 2016, 12735 pazienti (8,4%) ricoverati per più di due giorni nelle UTI presentano almeno un’ICA [14].

Anche i dati italiani non sono incoraggianti, secondo il recente report nazionale dello studio di prevalenza europeo su ICA e uso di antibiotici negli ospedali per acuti, nel 2016 la prevalenza di pazienti con almeno un’infezione correlata all’assistenza è dell’8,03 % calcolata come numero di pazienti con almeno un’ICA sul totale dei pazienti eleggibili [15]. La media delle prevalenze degli ospedali invece è risultata essere del 6,5% (IC 95%: 5,22% - 7,78%). Escludendo però i pazienti con infezioni non correlate all'ospedale in esame, troviamo 1.016 ICA con una prevalenza del 6,9%, che scende a 5,07% (IC 95%: 4,12% - 6,02%) se si calcola come media delle prevalenze dei singoli ospedali. Gli elevati tassi di ICA nelle UTI italiane vengono confermati dai recenti dati del network SPIN-UTI (Sorveglianza Prospettica delle

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Infezioni Nosocomiali nelle Unità di Terapia Intensiva) e da quelli del Sistema di Sorveglianza nazionale delle infezioni nelle terapie intensive (Progetto SITIN) [5, 16]. Il trend di questi fenomeni è oltretutto in aumento, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assunto il tema della sicurezza del paziente come uno degli obiettivi principali di attività a livello mondiale e sta promuovendo, nell’ambito della Global Patient Safety Challenge (GPSC), il progetto “Cure pulite sono cure più sicure”

(Clean care is Safer Care), un programma dell'Alleanza mondiale per la sicurezza dei pazienti, mira a rafforzare l'impegno degli Stati membri a far fronte alle infezioni associate all'assistenza sanitaria attraverso una strategia multimodale di coinvolgimento, a livello globale, di decisori, operatori sanitari e pazienti [6].

1.1. Fattori di rischio e localizzazione degli eventi infettivi

Sebbene le cause dell’aumento dei casi di infezione correlate all’assistenza siano multifattoriali, ve ne sono alcune di primaria importanza. Prima fra tutti è la proliferazione di microrganismi antibiotico resistenti e l’insorgenza di resistenza antibiotica in microrganismi precedentemente sensibili. La pressione di selezione legata all'uso degli antibiotici conferisce un vantaggio selettivo ai microrganismi resistenti, contribuendo alla diffusione di quelli “intrinsecamente resistenti” e all’acquisizione dei caratteri di resistenza da parte di specie che originariamente non lo erano. Pertanto, la somministrazione errata dell’antibiotico terapia, l’uso indiscriminato, non mirato e per lunghi periodi dell’antibiotico, sono fattori che portano alla selezione di microrganismi sempre più resistenti a questi farmaci, con conseguente maggiore difficoltà nella cura della patologia. Altri fattori che incidono sull’aumento del numero di casi di ICA sono: l’incremento dell’età media dei pazienti ricoverati, la presenza crescente di degenti con pluripatologie croniche e portatori di fattori di rischio e la complessità delle pratiche mediche che prevedono l’utilizzo di tecniche a volte molto invasive.

Circa l’80% di tutte le infezioni ospedaliere riguardano quattro sedi principali: - infezioni delle vie urinarie associate a catetere vescicale (>30%)

- infezioni del sito chirurgico (17%)

- batteriemie associate a cateteri intravascolari centrali (15%) - polmoniti associate a ventilazione (13%) [15].

Le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere. Tuttavia, negli ultimi quindici anni si sta assistendo a un calo di questo tipo di infezioni (insieme a quelle della ferita chirurgica) e ad un aumento delle batteriemie e delle polmoniti. Questo fenomeno è descritto nel report (2011-2012) dello studio di

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prevalenza europeo delle ICA dell’ECDC dove si è osservato che i tipi più comuni di infezioni nel campione testato sono rappresentate da polmoniti (19,4%, insieme alle infezioni del basso tratto respiratorio rappresentano il 23,5% dei casi), infezioni del sito chirurgico (19,6%), infezioni del tratto urinario (19,0%) e, infine, infezioni del sangue (10,7%) [7].

1.2. Eziologia e modalità di trasmissione

Qualsiasi malattia infettiva è il risultato dell’interazione tra un agente infettivo ed un ospite suscettibile. La presenza di un microrganismo nell’organismo umano non è sinonimo di infezione: perché insorga è necessario che si alteri l’equilibrio tra agente infettivo ed ospite. Alcuni microrganismi sono intrinsecamente patogeni, ossia capaci di causare infezione in qualsiasi ospite, mentre altri sono opportunisti e causano infezione solo in alcune circostanze particolari. Molte ICA sono sostenute da microrganismi opportunisti che, in condizioni normali, non indurrebbero l’insorgenza di un’infezione, ma in situazioni particolari, quali pazienti in gravi condizioni di suscettibilità, sono in grado di causare la malattia. I microrganismi, siano essi patogeni o semplici opportunisti e quindi solo potenziali patogeni, possono essere di natura endogena, ossia già presenti nella normale flora batterica del paziente, oppure di natura esogena, ovvero acquisiti durante il percorso assistenziale. Solitamente i microrganismi esogeni vengono trasmessi dall’ambiente esterno al paziente o per contatto diretto da parte del paziente stesso con superfici contaminate, o veicolati dal personale sanitario e/o dai visitatori.

I principali meccanismi di trasmissione dei microrganismi esogeni, che possono essere potenziale causa di insorgenza di ICA, sono:

• contatto diretto tra una persona sana e una infetta, soprattutto tramite le mani

• contatto tramite le goccioline emesse nell’atto del tossire o starnutire da una persona infetta a una suscettibile che si trovi a meno di 50 cm di distanza

• contatto indiretto attraverso un veicolo contaminato (per esempio endoscopi o strumenti chirurgici)

• trasmissione attraverso un veicolo comune contaminato (cibo, sangue, liquidi di infusione, ecc.)

• trasmissione per contatto diretto o indiretto con superfici contaminate da microrganismi capaci di sopravvivere nell’ambiente.

• trasmissione aerea, attraverso microrganismi che sopravvivono nell’aria e vengono trasmessi a distanza.

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L’ipotesi di poter ridurre la quota di eventi infettivi correlati all’assistenza di una percentuale pari al 20-30% rispetto ai valori attuali, si fonda proprio nel prevenire la trasmissione di microrganismi esogeni dall’ambiente al paziente.

La frequenza di ICA ospedaliere, dovute a specifici microrganismi esogeni, è determinata dalla diffusione dell’agente patogeno in ospedale e dipende dalla sua intrinseca capacità di sopravvivere e moltiplicarsi nell’ambiente e su superfici inanimate e dall’elevata probabilità che, durante il ricovero, il paziente venga esposto a specifiche fonti di infezione.

1.3. Tipologia dei microrganismi responsabili di ICA

La tipologia dei microrganismi responsabili dei processi infettivi insorti nelle strutture assistenziali, è variata nel tempo. Nell’ ultimo report dell’ECDC sullo “Studio di prevalenza europeo sulle ICA e sull’uso di antibiotici negli ospedali Europei per acuti” (2011-2012),

i microrganismi più frequentemente isolati da pazienti affetti da ICA sono stati; E. coli (15,9%), S. aureus (12,3%), Enterococcus spp. (9,6%), P. aeruginosa (8,9%), Klebsiella spp. (8,7%), Stafilococchi coagulasi negativi (7,5%), Candida spp. (6,1%), C. difficile (5,4%) [3]. Questi dati sono risultati coerenti con recenti studi sulla presenza di K. pneumonie ESBL e

carbapenemasi resistente [19,20] e studi svolti per la ricerca di nuovi ceppi virulenti di C. difficile [19,20], nonché con il recente report nazionale di prevalenza delle ICA [15].

Le ICA costituiscono una delle principali cause di malattia e di morte in tutto il mondo. La terapia di queste infezioni è sempre più difficile a causa del crescente tasso di resistenza agli agenti antimicrobici dei microrganismi più frequentemente isolati e associati ad ICA [21]. In Italia, il Ministero della Salute, l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFa), l'Istituto Superiore di Sanita (ISS), rappresentanti delle Regioni e delle Società scientifiche, hanno lavorato per la predisposizione del “Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-resistenza (PNCAR) 2017-2020”, approvato in Conferenza Stato-Regioni il 2 novembre 2017. Il PNCAR si propone di fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per contrastare il fenomeno dell’antimicrobico-resistenza a livello nazionale, regionale e locale.

1.4. Ruolo dell’ambiente

Gli ambienti sanitari sono ambienti complessi in cui l’assistenza ad un elevato numero di pazienti determina la contaminazione di superfici e attrezzature con microrganismi potenzialmente patogeni. Le superfici e le attrezzature contaminate giocano pertanto un ruolo essenziale nella trasmissione delle infezioni correlate all'assistenza. La pulizia e la disinfezione

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di routine di superfici, oggetti e attrezzature diventano quindi attività essenziali in termini di infection control.

Sebbene il rischio, qualitativo e quantitativo, di contrarre infezioni dalle superfici ambientali di arredo contaminate è ancora oggi fonte di dibattito, certo è che tali superfici agiscono come reservoir per i microrganismi, aumentando il potenziale rischio di contaminazione incrociata attraverso il contatto diretto e/o indiretto con il paziente.

Le modalità di contaminazione di un ambiente da parte dei microrganismi sono molteplici e, in sintesi, sono imputabili:

- al tasso di produzione e di rimozione di contaminanti particellari e microbici mediante i processi di ventilazione naturale o meccanica (sistemi di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata),

- all’apporto degli individui, siano essi operatori sanitari interni alla struttura, pazienti o visitatori esterni, che, toccando le superfici, contribuiscono al deposito sulle medesime di agenti microbici di diverso genere ed al successivo trasporto, per contatto sequenziale, della carica microbica su altre superfici prossime al letto di degenza;

- ai fenomeni di sedimentazione gravitazionale delle polveri aerosospese, sulla cui superficie possono trovarsi microrganismi adesi, la cui intensità dipende dalle dimensioni e dal peso specifico delle particelle;

- ai processi di risospensione del particolato, causato dai fenomeni termici (forze di galleggiamento; principio di Archimede) e cinetici (velocità dell’aria), imputabili sia alle correnti di aria causate dagli impianti di climatizzazione, sia alle fonti interne, apparecchiature dotate di ventilatori o fonti di calore, che esterne all’ambiente considerato (ad es. irraggiamento solare). In assenza di flussi d’aria e fenomeni di risospensione, il bioaereosol tende, per sedimentazione gravitazionale, a depositarsi sulle superfici, dove i microrganismi, mediante particolari sistemi di comunicazione (quorum sensing), iniziano a convivere e produrre biofilm, ovvero un sottile strato di microrganismi adeso ad una matrice solida o semisolida costituita da un insieme di sostanze polimeriche extracellulari (mucillagine), che costituisce un microambiente ideale per la proliferazione microbica e difficilmente raggiungibile dai trattamenti disinfettanti. È pertanto ben noto il fatto che le superfici rappresentino un serbatoio per i microorganismi che potrebbero contribuire alla trasmissione dei patogeni ospedalieri, aumentando il rischio di intra-contaminazione attraverso il diretto contatto con il paziente. Recentemente sono stati svolti studi sulla presenza e sopravvivenza di patogeni nosocomiali sulle superfici, mostrando che importanti patogeni ospedalieri, inclusi Staphylococcus aureus Meticillino-Resistente (MRSA), Enterococchi Vancomicino-Resistenti

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(VRE), Pseudomonas spp., Acinetobacter spp. e virus (Es. Norovirus) mantengono la loro capacità infettiva sulle superfici inanimate ed asciutte, per un periodo che varia da giorni a settimane, le spore di Clostridium difficile possono sopravvivere sulle superfici ambientali per mesi. Il ricovero di pazienti in stanze condivise o precedentemente occupate da degenti colonizzati aumenta il rischio di acquisire un’infezione da quegli specifici microrganismi.

La presenza di tali microrganismi sulle superfici ospedaliere varia a seconda delle pubblicazioni; ceppi di Staphylococcus MRSA sono stati segnalati nell’1-27% delle superfici campionate nelle stanze dei pazienti, ma la presenza di questi microrganismi raggiunge il 64% in reparti dedicati al ricovero di pazienti ustionati ed in presenza di degenti MRSA positivi (Methicillin-resistant Staphylococcus aureus) [23]. In stanze in cui sono presenti pazienti VRE-colonizzati (Vancomycin-resistant Enterococcus), più del 70% dei siti ambientali campionati sono risultati positivi [11, 12]. In stanze ospitanti pazienti colonizzati da C. difficile la positività dei siti è arrivata al 75% [24]. La contaminazione ambientale da Acinetobacter spp., presente in condizioni epidemiche, è stata osservata nel 3-50% dei siti analizzati [24]. A questo si associano condizioni organizzative e di pratica clinica che favoriscono la trasmissione attraverso questa forma indiretta perché determinano:

1. aumento delle superfici ad alta frequenza di contatto (high-touch surfaces) intorno al paziente, favorito da un maggior utilizzo dei dispositivi elettromedicali e medicali; 2. aumento degli interventi “invasivi” in pazienti più suscettibili alle infezioni quali:

immunodepressione indotta dalla somministrazione di farmaci e/o da trattamenti radioterapici, età avanzata, prematurità e aumento delle multi-resistenze antibiotiche. La trasmissione indiretta da contatto viene ulteriormente favorita da fattori organizzativi quali il numero insufficiente di operatori (understaffing) e/o l’attività in ambienti sovraffollati (overcrowding), che limitano l’adesione all’igiene delle mani, incrementando la contaminazione indiretta dell’ambiente. Lo stesso Kramer [25] descrive graficamente come l’adesione all’igiene delle mani al di sotto del 50% incrementi la trasmissione indiretta delle infezioni.

Condizione organizzativa non secondaria è infine quella di esternalizzazione il servizio di sanificazione, soprattutto se questo viene realizzato con criteri e strumenti che non garantiscono l’efficienza del risultato.

Una duplice e interessante chiave di lettura ce la offrono le linee guida della Regione canadese dell’Ontario [26].

La prima chiave di lettura è quella di identificare le superfici definite high-touch surface ovvero quelle superfici che vengono frequentemente “toccate” dalle mani degli operatori e dei

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pazienti e che rappresentano “le superfici” più frequentemente contaminate da microrganismi. La seconda chiave di lettura è un criterio poco valorizzato nelle scelte che portano all’acquisto di arredi, presidi e dispositivi medici ovvero: criticità e vantaggi rispetto alle modalità di sanificazione, disinfezione e sterilizzazione al fine di evitare che quell’acquisto diventi successivamente un serbatoio di microrganismi potenzialmente patogeni. I canadesi, nelle loro linee guida, sottolineano un chiaro criterio: ciò che non può essere pulito non deve essere acquistato!

Sviluppare una comprensione di quali siti sono più suscettibili alla contaminazione da agenti patogeni può quindi guidare la pratica del controllo delle infezioni [27].

1.5. Sanificazione ambientale: il suo ruolo nella riduzione del rischio

clinico

Oltre alla pulizia, al comfort, alla manutenzione e al mantenimento dell’integrità delle superfici la sanificazione ambientale ha come obiettivo primario quello di eliminare il serbatoio dei microrganismi al fine di limitare la trasmissione dei microrganismi a partire dalle superfici ambientali inerti.

Bisogna sottolineare tuttavia che il rilevamento di agenti patogeni nell'ambiente ospedaliero, sebbene necessaria, non è sufficiente per dimostrare un ruolo causale nella patogenesi dell'infezione nosocomiale.

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato che gli interventi di pulizia ambientali, riducendo la contaminazione di superficie, possono prevenire la trasmissione di agenti patogeni e quindi ridurre le infezioni correlate all'assistenza [11, 12, 13].

In base a consolidate evidenze sperimentali, la sanificazione degli ambienti e le modalità di utilizzo dei prodotti sanificanti sono raccomandate in tutte le linee guida internazionali e nazionali [26, 28, 29]. Infatti, è ormai certo che, nei casi di endemia ospedaliera, l’intervento sull’ambiente è imprescindibile, in assenza del quale difficilmente si riuscirà a risolvere la problematica. La sanificazione rappresenta pertanto una importante procedura utile a prevenire e contenere gli eventi infettivi.

Tuttavia le normali procedure di disinfezione lasciano sulle superfici trattate materia organica, carboidrati e proteine in grado di sostenere una veloce ricolonizzazione. Proprio a causa della persistente contaminazione delle superfici ospedaliere e del loro ruolo nella possibile trasmissione di patogeni, sono stati proposti e studiati diversi metodi per migliorare la pulizia e la disinfezione delle superfici. Generalmente, la maggior parte delle tecniche proposte si è basata sull’uso di composti chimici, i quali provocano un impatto ambientale non trascurabile,

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inoltre, benché le procedure convenzionali siano efficaci nell’abbattimento a breve termine della maggior parte dei patogeni, esse non sono in grado di prevenire i fenomeni di ricontaminazione. Molti dei patogeni clinicamente rilevanti correlati ad ICA sono multiresistenti e l’uso di prodotti chimici potrebbe esacerbare tale aspetto, inducendo ulteriori resistenze negli organismi oggetto delle procedure di pulizia/disinfezione. Per queste ragioni, data la recente e rapida diffusione di patogeni multiresistenti nelle strutture sanitarie, esiste un bisogno urgente di trovare alternative, ai prodotti di pulizia e disinfezione chimici impiegati oggi, che siano efficaci ed economicamente sostenibili.

Figura 1: Ruolo della contaminazione ambientale e rischio infettivo.

L’importanza della sanificazione ambientale nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie viene sottolineato anche nella “carta di Bergamo”, un documento nato dalla collaborazione tra il gruppo disinfezione della Società italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie, SIMPIOS, e il gruppo italiano di studio di Igiene Ospedaliera della Siti, Società Italiana di Igiene, presentato a seguito del congresso nazionale SIMPIOS a Bergamo nel Maggio 2018. Era emersa infatti la necessità di diffondere negli operatori sanitari un documento che andasse a valorizzare il ruolo della sanificazione ambientale nella prevenzione del rischio infettivo nei luoghi di cura e sottolineasse le aree di attenzione da considerare nell’effettuazione della scelta più appropriata delle pratiche di sanitizzazione, in particolare laddove tali attività siano esternalizzate. A tale riguardo, viene sottolineata la necessità di definizione di standard igienici stratificati in funzione del rischio e delle caratteristiche del

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paziente e di idonei indicatori di processo e risultato da utilizzare della verifica delle procedure e dei termini contrattuali dell’appalto.

I firmatari della Carta condividono l’importanza dei seguenti punti nell’ambito dei quali elaborare azioni prioritarie da mettere in atto alfine di migliorare le pratiche di pulizia e di disinfezione nelle organizzazioni sanitarie:

1. Riconoscere l’importanza della pulizia e della disinfezione delle superfici ambientali per garantire un ambiente confortevole e ridurre al minimo per i pazienti ed il personale sanitario il rischio di esposizione a microrganismi potenzialmente pericolosi;

2. Promuovere la creazione di gruppi di lavoro interdisciplinari e multiprofessionali per la definizione degli standard igienici stratificati in funzione dell’area di rischio e la scelta di idonei indicatori di processo e di risultato da utilizzare nella verifica dei contratti di appalto.

3. Prendere coscienza del mutato assetto gestionale del servizio di pulizia e disinfezione, attraverso la sua esternalizzazione. A tale riguardo è necessaria un’adeguata formazione di coloro che partecipano ai collegi tecnici per la stesura dei capitolati di gara, alle commissioni di valutazione delle offerte tecniche e alla direzione esecutiva del contratto. 4. Valutare in condizioni endemo-epidemiche l’implementazione delle procedure di pulizia e

disinfezione anche attraverso l’applicazione, ove opportuno, di nuove tecnologie di provata efficacia.

5. Attuare azioni mirate nella formazione negli operatori addetti al servizio di pulizia e disinfezione. Il personale responsabile della pulizia e disinfezione ambientale e delle attrezzature dovrà ricevere istruzione e formazione specifica sui metodi appropriati di pulizia e disinfezione, sulla scelta e sull’uso dei principi attivi e sulle precauzioni di sicurezza. Gli interventi formativi non dovranno essere singoli ma calendarizzati nel tempo, in modo che l’operatore sia costantemente preparato sulle pratiche routinarie e aggiornato su quelle nuove.

6. Promuovere ricerche sul campo, da condurre in maniera indipendente, per la validazione di agenti, metodi e protocolli innovativi di sanificazione, in particolare per le superfici ad alta frequenza di contatto.

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CAPITOLO II

IL CONTESTO DEL PROJECT FINANCING

Il ricorso all’esternalizzazione si inquadra tradizionalmente in politiche di contenimento di costi e ricerca dell’efficienza da parte delle imprese, configurandolo come una pratica aziendale virtuosa, attraverso la quale si attua la gestione strategica dei processi aziendali. Di converso, nei settori di pubblica utilità, in particolare, per quanto riguarda le strutture sanitarie pubbliche, le scelte di esternalizzazione sono coerenti con una più generale trasformazione verso la gestione manageriale delle aziende ospedaliere che determina la necessità di interazione con un numero sempre maggiore di figure professionali, comprese figure sanitarie non di supporto che assumono un ruolo chiave nel governo del presidio ospedaliero.

Secondo una definizione generale, con Partenariato Pubblico Privato (PPP) ci si riferisce ad una forma di cooperazione tra autorità pubbliche ed operatori economici privati avente il fine di garantire il finanziamento, il funzionamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio. Dunque il PPP rappresenta una modalità di collaborazione e interdipendenza fra pubblico e privato finalizzata ad un progetto comune di pubblica utilità, che si applica all’esecuzione di un contratto a titolo oneroso [30]. La natura di questo partenariato può assumere molteplici forme di collaborazione, caratterizzate da un diverso livello di interdipendenza fra i due soggetti partecipanti e, per alcuni aspetti, da peculiari discipline giuridiche [31]. Dal punto di vista dei soggetti contrattuali tra le principali forme di PPP troviamo la Finanza di Progetto (Project Financing – PF), una tecnica di finanziamento in grado di generare, nella fase di gestione, flussi di cassa sufficienti a rimborsare il debito contratto per la sua realizzazione, assicurando un ulteriore ritorno economico che costituisce il guadagno dell’investitore che negli ultimi anni ha rappresentato un’alternativa ottimale all’appalto tradizionale in particolare grazie riduzione del gap infrastrutturale e sviluppo di infrastrutture anche di livello locale, che altrimenti non potrebbero essere realizzati a causa delle succitate difficoltà finanziarie degli enti locali, alla bassa incidenza sui bilanci pubblici attraverso una spesa per investimenti minore ed infine alla maggiore efficienza nella gestione delle infrastrutture e dei servizi connessi, dovuta alla specializzazione e al know-how degli operatori privati, che permette di ottimizzare sia le prestazioni sia i costi operativi.

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2.1. Vantaggi e svantaggi del PF

Lo strumento del PF presenta numerosi vantaggi, ma al tempo stesso non è privo di criticità. può essere utile tuttavia soffermarsi in breve sugli aspetti positivi e negativi delle tre principali ragioni per le quali le amministrazioni sanitarie considerano utile il ricorso all’esternalizzazione di un progetto.

2.1.1. Sblocco di risorse economiche

Fra gli aspetti più vantaggiosi vi è senz’altro la possibilità per la PA di realizzare lavori pubblici o di pubblica utilità che richiedono ingenti investimenti, limitandone l’impatto sul bilancio pubblico rispetto al tradizionale appalto di lavori e senza assumere il rischio finanziario e di gestione, che dovrebbero essere posti a carico del privato

La possibilità di ricorrere alla capacità finanziaria del privato permette di realizzare opere al passo con il ritmo dell’evoluzione tecnologica mobilitando capitali che vengono rigenerati nel tempo dai flussi di cassa (se le operazioni sono correttamente progettate) senza che una pari quota di risorse sia distolta dalla soddisfazione dei bisogni di salute dei cittadini.

Fra gli elementi più critici vengono invece descritti gli eventi in cui si fa ricorso al meccanismo del partenariato (e in particolare della finanza di progetto) con una prospettiva di breve periodo, finalizzata quasi interamente allo sblocco di risorse finanziarie; ciò comporta il rischio di progettare operazioni di PPP non sufficientemente solide dal punto di vista economico, nelle quali si tende a considerare il costo dell’opera in termini di risorse immediatamente disponibili. In particolare, per quanto riguarda il settore sanitario, dall’ultima edizione del rapporto annuale dell’Osservatorio sulla funzionalità delle Aziende Sanitarie Italiane (Oasi), realizzato da Cergas dell’Università Bocconi, tra le criticità emerse inerenti il partenariato pubblico privato, c’è la possibilità che al termine della realizzazione del progetto l’investimento effettivo sia maggiore di quello preventivato, come è avvenuto nella realizzazione dei quattro nuovi ospedali toscani; ciò è determinato principalmente dal fatto che nel Piano Economico Finanziario mancano voci essenziali per garantire la funzionalità dell’investimento (allacciamenti utenze, arredi, attrezzature). Inoltre, l’immediato vantaggio dovuto alla partecipazione finanziaria del privato comporta lo svantaggio per la PA di impegnare per diversi anni lo stesso fornitore di servizi, con costi unitari superiori a quelli di mercato, proprio per consentire al privato di ottenere un rendimento a seguito dell’impegno finanziario assunto [32].

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2.1.2. Flessibilità di utilizzo del personale

Questo aspetto appare come uno degli elementi più allettanti per cui il settore pubblico tende a cercare di delocalizzare ed esternalizzare determinate azioni, non direttamente coinvolte al proprio principale settore operativo, ma propedeutiche o collaterali (no-core business). I meccanismi di competitività e flessibilità insiti nella contrattazione privata del lavoro consentono, almeno sulla carta, diversi vantaggi: la possibilità di allocare le risorse realmente necessarie, creare eccellenze, promuovere l’eccellenza e la competitività, stimolare la competizione locale e l’indotto facendo crescere la qualità dei servizi. A questo si aggiunge la possibilità, per il partner pubblico, di concentrare il personale interno su altri compiti.

In negativo va evidenziato la possibilità che fenomeni di cattiva gestione e “accordo al ribasso” possono facilmente instaurarsi se il personale del servizio è gestito privatamente, e la loro radice risiede, sistematicamente, in un deficit di vigilanza da un lato e nella mancata condivisione di obiettivi di qualità dall’altro.

Inoltre è necessario tenere in considerazione “la trappola” del lavoro a basso costo, anch’essa frequentemente descritta in letteratura, che comporta una sistematica riduzione dei salari e peggioramento delle condizioni di lavoro laddove l’affido esternalizzato avvenga in assenza di chiare regole e di un forte ruolo regolamentare del settore pubblico.

Nei contratti di concessione e gestione a ciò si aggiunge la necessità di evitare che i vari provider di un servizio si alternino, con successivi subentri, seguendo solo la logica di garantire un sempre maggiore risparmio; la frammentazione e la delocalizzazione della gestione delle attività comportai inoltre il rischio di minori tutele sindacali, l’allontanamento dell’indotto locale e la perdita di quelle relazioni virtuose e alleanze informali che si creano nel tempo fra operatori sanitari e operatori del provider (perdita di ”uomo esperto”). A tali problematiche si cerca di supplire, nelle più recenti impostazioni della normativa nazionale, attraverso l’instaurazione di precisi vincoli relativi all’impiego di Piccole e micro-imprese locali negli appalti di concessione di servizi.

2.1.3. La qualità dei servizi erogati dal partner privato

Fra i principali punti di interesse per l’avvio di una operazione di PPP vi è la convinzione di una maggiore capacità del partner privato di portare nuove competenze, nuove tecnologie e,

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stimolando la competitività fra imprese, una crescita verso la qualità. Questo vale soprattutto quando si sceglie un partner specializzato in quel tipo di servizio, che ha tutto l’interesse a mostrare la sua capacità di innovazione e l’efficienza anche verso altri potenziali clienti pubblici. In quest’ottica sono cruciali quegli elementi di valutazione della qualità e il loro vincolo sulla remunerazione dell’investitore. A questi fattori vanno aggiunti, e in parte sovrapposti, gli elementi descritti in merito alla flessibilità organizzativa e finanziaria, i quali contribuiscono alla qualità tecnica di erogazione del servizio assicurando al provider privato la possibilità di orientare la propria mission unicamente verso la qualità del servizio erogato. Questo tuttavia non deve far perdere di vista un concetto, essenziale nella valutazione obiettiva dell’opportunità di esternalizzare un servizio: la divergenza di obiettivi fra le istituzioni sanitarie e le ditte incaricate di aspetti non assistenziali, che si realizza in maniera potremmo dire “fisiologica”. Questo infatti è un conflitto fra le ragioni economiche, logistiche e organizzative del provider e le logiche di umanizzazione, personalizzazione, sicurezza degli utenti sanitari e variabilità delle esigenze assistenziali legate alle diverse percezioni della qualità che possono avere i singoli pazienti in diverse fasi del loro percorso di cura e presa in carico. Queste divergenze emergono soprattutto nell’organizzazione dei servizi a maggior impatto sull’assistenza, dove spesso le soluzioni organizzative che rendono più efficiente o più economico lo svolgimento delle attività entrano in contrasto con la capacità di assicurare all’utente la migliore fruizione del servizio stesso.

Rilevanti sono sicuramente anche l’impatto sull’organizzazione dell’Azienda Sanitaria grazie alla possibilità di contenere i costi delle risorse umane e di destinare le maggiori energie e competenze dell’organizzazione a compiti più propriamente assistenziali e la possibilità di generare e gestire flussi informativi sulle attività in outsourcing che può offrire l’opportunità di misurare la qualità, con indicatori condivisi e magari provenienti da altre esperienze di esternalizzazione effettuate in altri settori più maturi della Pubblica Amministrazione, può dischiudere le migliori opportunità di portare avanti logiche di benchmarking interno alla stessa Regione o Area Vasta, aumentando la capacità del partner pubblico di imporre standard di servizio calibrati sull’effettivo risvolto positivo per i cittadini e gli utenti del sistema sanitario.

Si viene quindi a delineare uno scenario in profonda evoluzione, con molti elementi di novità nei meccanismi di governance che, sebbene derivanti dai nuovi orientamenti in materia di affidamento di servizi e appalti, hanno un impatto rilevante nella gestione di aspetti vicini al core delle attività assistenziali e socio-assistenziali.

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Il concetto di outsourcing infatti non rappresenta un meccanismo statico: se si considerano le prime esperienze con le quali le aziende sanitarie affidavano a personale esterno parte delle attività collaterali all’assistenza al paziente, appare evidente come la scelta fosse fra produrre direttamente o acquisire all’esterno lo stesso identico tipo di servizio (make or buy). Nell’ambito sanitario le motivazioni alla base della prima, grande spinta verso l’outsourcing erano legate principalmente all’incremento della complessità tecnica e normativa di alcuni servizi, con richieste crescenti di investimenti tecnologici e di formazione degli operatori, che finivano per assorbire un eccesso di risorse umane ed economiche in attività lontane o diverse dal così detto core business.

Con l’evoluzione del concetto di outsourcing intervenuta dopo questa prima fase, le prospettive vanno inquadrate in un contesto di riferimento più ampio, nel quale diviene fondamentale non tanto la divisione di compiti fra l’istituzione sanitaria e il fornitore, ma la capacità di costruire un’alleanza strategica.

La crescita della complessità tecnica e normativa e la sempre maggiore percezione dell’importanza della qualità (anche da parte dell’utenza) delle attività collaterali all’assistenza impongono logiche nelle quali si intrecciano le dinamiche “tradizionali”, di maggiore disponibilità finanziaria e flessibilità organizzativa del partner privato, con la necessità di costruire sinergie ed economie di scala, che rendono possibile l’ottimizzazione di attività complesse ed interdipendenti nelle quali sono cruciali competenze ed esperienze specifiche. Il contractor esterno non è più quindi un semplice fornitore, ma un partner strategico a cui affidare in maniera fiduciaria il compito di gestire settori sempre più ampi di un contesto, fisico e organizzativo, all’interno del quale l’istituzione sanitaria può concentrare le proprie competenze e risorse nel compito di fornire risposte assistenziali adeguate ai bisogni e alla percezione del cittadino. In quest’ottica l’esternalizzazione diventa un elemento chiave nella ricerca di elementi di eccellenza e di parametri di soddisfazione standardizzati che assicurino la soddisfazione di tutti gli aspetti dell’approccio completo alla persona e al paziente.

2.2. Il capitolato tecnico prestazionale

Il capitolato tecnico prestazionale (CTP) è l’atto amministrativo che contiene le condizioni e le modalità relative all’esecuzione di un contratto tra l’amministrazione pubblica e un privato. Contiene in dettaglio la descrizione dei beni oggetto di gara, con una sua completa definizione tecnica ed economica.

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Il servizio di pulizia e sanificazione ospedaliera si inserisce tradizionalmente all’interno dell’area dei servizi essenziali alberghieri e di supporto; negli ultimi anni tuttavia, per il crescente ruolo riconosciuto all'ambiente nella genesi delle ICA, alla sanificazione degli ambiti assistenziali viene riconosciuto un ruolo di fondamentale importanza nella gestione dell’igiene ambientale del presidio ospedaliero e viene necessariamente ad essere considerato un servizio ad alto impatto sulla qualità della cura.

Per tali ragioni, nella gestione dei servizi di sanificazione affidati a soggetti esterni è necessario considerare il servizio come un elemento chiave della gestione del rischio infettivo e, pertanto, assicurare fin dalla stesura dei Capitolati tecnici la flessibilità contrattuale e organizzativa necessaria a permettere la revisione continua delle procedure, del livello di rischio delle varie aree, delle metodiche e dei prodotti utilizzati per lo svolgimento del servizio in risposta ai cambiamenti dello scenario epidemiologico e degli altri elementi del rischio infettivo.

La scelta di analizzare criticamente il capitolato tecnico prestazionale nella parte relativa alla gestione del servizio di pulizia dei presidi ospedalieri di Massa, Lucca, Pistoia e Prato deriva dal fatto che tale documento dovrebbe fornire il meglio in termini di adesione all’evidenza scientifica e ricerca del miglioramento continuo della qualità dei servizi propri della logica del partenariato. Emergono tuttavia numerose criticità che risiedono essenzialmente nella scarsa flessibilità contrattuale e nella mancanza di aggiornamento legislativo e scientifico, venendosi a creare importanti gap tra quanto presente all’interno del capitolato e le migliori evidenze scientifiche a disposizione che saranno descritti nei capitoli seguenti.

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CAPITOLO III

PROPOSTA DI UN SISTEMA INTEGRATO DI GESTIONE DEL SERVIZIO DI

SANIFICAZIONE

Il ruolo emergente della contaminazione ambientale come cofattore determinante nell'incremento del rischio di trasmissione di infezioni correlate alle procedure assistenziali, unito al crescente ricorso all'esternalizzazione dei servizi di supporto all'assistenza sanitaria, spinge a ripensare le procedure e le modalità di governance dei servizi di sanificazione.

In particolare diventa essenziale assicurare che le procedure (sia quelle di esecuzione delle attività sia quelle relative alla formazione e al controllo di risultato) siano orientate alla gestione dinamica del rischio infettivo, tenendo conto delle modifiche degli scenari epidemiologici e assistenziali.

Questo approccio richiede di incrementare la flessibilità di tutte le fasi del processo di gestione, partendo dai documenti contrattuali e dalla valorizzazione delle attività, adottando nuovi sistemi per la classificazione del rischio dei locali, che includono le fonti dati aziendali e le informazioni disponibili sulle procedure e sui pazienti assistiti, in modo da assegnare in maniera dinamica ad ogni area assistenziale (locale) un adeguato punteggio di rischio.

Tale scenario di logistica dinamica, influenzato dalle informazioni assistenziali relative al rischio infettivo che giungono dai sistemi informativi aziendali, richiede la gestione informatizzata di tutte le fasi del processo (dalla programmazione al controllo di risultato).

Si individuano di seguito i principali punti di sviluppo del sistema informatizzato / gestionale oggetto di una ipotesi di sviluppo di software gestionale.

3.1 Classificazione multiparametrica e dinamica delle aree/attività

3.1.1 Anagrafica delle aree di rischio

Solitamente gli interventi di sanificazione, vengono definiti rispetto alle caratteristiche delle aree da pulire, ogni ambiente, infatti ha uno standard igienico ottimale che è essenzialmente in funzione della destinazione d’uso dell’ambiente stesso. Le macroaree di rischio infettivo che generalmente si individuano negli ambienti di degenza sono [33]:

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• Aree ad altissimo rischio (AAR): ambienti che necessitano di Bassa Carica Microbica e contaminazione attesa controllata per esecuzione di procedure altamente invasive e/o manipolazione di materiali critici;

• Aree ad alto rischio (AR): ambienti ed aree sanitarie di diagnosi e cura con utenza a rischio o procedure assistenziali invasive, quali aree critiche e degenze ad alta intensità e complessità di cura; degenze con pazienti immunocompromessi o infetti, camere di degenza all’interno di aree sanitarie a medio rischio utilizzate come isolamenti;

• Aree a medio rischio (MR): ambienti e le aree coinvolte nei processi di diagnosi e cura senza utenza particolarmente a rischio o che non prevedono pratiche e procedure assistenziali altamente invasive;

• Aree a basso rischio infettivo (BR): ambienti non direttamente coinvolti nelle pratiche assistenziali quali aree amministrative, aree tecniche e di servizio, percorsi di accesso ai servizi, locali amministrativi, tecnici, di servizio e percorsi per l’accesso ai reparti non critici (medio rischio).

• Aree a rischio infettivo tendente a 0 (AE/LS): zone ospedaliere non coinvolte nelle pratiche assistenziali quali tutte le aree esterne, le aree interne non di accesso diretto ai servizi; le aree di servizio tecnico.

Nel capitolato in oggetto sono identificate sette macro aree a cui corrispondono diversi livelli di qualità attesa:

Tipo 1 - Aree Sanitarie

Tipo 2 - Aree Sanitarie ad Alto Rischio Infettivo ed a B.C.M Tipo 3 - Aree operatorie

Tipo 4 - Percorsi ad elevata intensità di traffico Tipo 5 - Aree Extra Sanitarie

Tipo 6 - Aree di Servizio Tipo 7 - Aree esterne

Indipendentemente dalle modalità di classificazione del rischio, i metodi e la frequenza di pulizia e sanificazione/disinfezione devono sempre essere adattati sia all’uso dell’ambiente stesso sia ai flussi di persone che vi soggiornano o lo attraversano.

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3.1.2. Rischio del paziente che viene assistito nell'area: rischio infettivo e

vulnerabilità biologica del paziente

Il rischio clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè che subisca un qualsiasi “danno o disagio imputabile, anche se involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte” (Kohn, IOM 1999).

L’assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti negli ultimi anni, mentre prima gli ospedali erano il luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni Novanta sono aumentati i pazienti ricoverati in ospedale ad alta complessità (quindi ad elevato rischio di contrarre ICA). La classificazione dei pazienti per grado di rischio è pertanto indispensabile per individuare qual è il reale pericolo di contrarre infezione a seguito delle pratiche mediche o dalla diffusione di microrganismi nell’ambiente.

Si possono individuare i seguenti gruppi: Gruppo 1 – Altissimo rischio:

trapianto di midollo allogenico.

• trapianto periferico di cellule staminali.

• trapianto non mieloablativo.

• bambini con grave sindrome da immunodeficienza (SCIDS).

• prolungata neutropenia superiore ai 14 giorni conseguente a chemioterapia o terapia immunosoppressiva.

• pazienti in anemia aplastica. Gruppo 2 – Alto Rischio:

• pazienti che presentano una neutropenia per un periodo inferiore ai 14 giorni dalla chemioterapia.

• leucemia acuta linfoblastica dell’adulto sottoposto ad elevata terapia corticosteroidea.

• paziente sottoposto a trapianto di organo solido.

• granulomatosi cronica dell’infanzia.

• neonati in terapia intensiva. Gruppo 3 – Rischio aumentato:

• pazienti con prolungati periodi di ospedalizzazione o sottoposti ad alti dosaggi di cortisone per lunghi periodi.

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• pazienti sottoposti a ventilazione meccanica.

• pazienti in chemioterapia non neutropenici.

pazienti dializzati.

Gruppo 4 – Rischio medio:

• tutti i pazienti non compresi nei gruppi 1, 2 a 3. Gruppo 5 – Rischio basso; nessuna evidenza di rischio:

• membri dello staff, fornitori dei servizi in generale.

La classificazione dei pazienti per grado di rischio è indispensabile per individuare qual è il reale pericolo di contrarre infezione a seguito delle pratiche mediche o dalla diffusione di microrganismi nell’ambiente.

3.1.3. Assegnazione di un parametro di rischio (Kcr) a specifiche combinazioni di

locali / pazienti

Per quanto detto fino adesso e come sottolineano anche le recenti “linee guida sulla valutazione del processo di sanificazione ambientale nelle strutture ospedaliere e territoriali per il controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ica) ANMDO” [33], la catalogazione dell’area di rischio, quindi, non può essere definita solamente in base all’uso di un determinato ambiente, ma deve tener conto dello stato di salute del paziente che vi soggiorna. E’ innegabile che la tradizionale classificazione “statica” delle aree di rischio risulta inadeguata e potenzialmente pericolosa per i pazienti più fragili che, per ragioni assistenziali, si spostano o soggiornano in aree classificate a rischio inferiore a quello attribuito loro.

Il concetto di area di rischio deve pertanto passare da statico a dinamico fissando adeguati protocolli di pulizia per il mantenimento di un elevato livello igienico che devono essere differenti non solo per aree di rischio ma anche correlati al rischio dei pazienti che transitano in quei locali. Per garantire al massimo la sicurezza dei pazienti e definire al meglio il reale rischio di contrarre infezioni diventa indispensabile correlare questi due aspetti tra loro. Da un punto di vista pratico dovranno pertanto essere applicate le stesse procedure di sanificazione della classe di rischio del paziente e non dell’area in cui occasionalmente si trova.

Si potrebbe pertanto pensare di assegnare alla singola attività di sanificazione di un coefficiente di criticità (KcR)basato sui due principali elementi precedentemente trattati:

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-

Caratteristiche dell’ambiente interessato (basato sulle procedure assistenziali previste) Operatori, materiali e procedure del servizio di sanificazione devono quindi essere coerentemente classificati per essere assegnati ad uno specifico livello di Kcr e di conseguenza: - Gli operatori devono ricevere oltre alla formazione di base dei pacchetti formativi abilitanti ai vari livelli di rischio in cui saranno chiamati ad intervenire.

- Le concentrazioni e le tipologie di prodotti e disinfettanti dovranno essere personalizzati per i diversi livelli di Kcr

- Procedure di intervento ad hoc per specifici Kcr

Diventa quindi essenziale l’integrazione di informazioni complete e precise sia per quanto riguarda i locali e ambienti assistenziali sia per quanto riguarda i pazienti.

Molto interessante è quanto proposto dalle linee guida “Cleaning Standards for Healthcare Facilities” australiane che individuano tre fattori che hanno un impatto significativo sulla sanificazione ambientale delle diverse aree funzionali: A - Probabilità di contaminazione:

a1 - Alta contaminazione (punteggio = 3): Un'area è individuata come fortemente contaminata se le superfici e / o le apparecchiature sono regolarmente esposte a contaminanti biologici (ad es. Sangue o altri fluidi corporei in aree come sala operatoria, sala parto, sala autopsia, emodialisi, pronto soccorso).

a2 - Contaminazione moderata (punteggio = 2): Un'area è individuata come moderatamente contaminata se le superfici e / o le attrezzature non vengono abitualmente (ma possono essere) contaminate con sangue o altri fluidi corporei e le sostanze contaminanti vengono contenuti o rimossi. Tutte le stanze e i bagni dei pazienti devono essere considerati almeno moderatamente contaminati.

a3 - Contaminazione bassa (punteggio = 1): Un'area è individuata come leggermente contaminata se le superfici non sono esposte al sangue, altri fluidi corporei o oggetti che sono entrati in contatto con sangue o fluidi (ad es. sale, biblioteche, uffici, aree di consulenza)

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b1 - Altamente suscettibile (punteggio = 2): pazienti altamente suscettibili alle infezioni a causa delle loro condizioni mediche o della mancanza di immunità. Questi includono pazienti che sono gravemente neutropenici o immuno-compromessi (ad es. oncologici, ematologici, trapiantati, dializzati), neonati e i gravi ustionati

b2 - Minimamente suscettibile (punteggio = 0): ai fini della classificazione, tutti gli altri pazienti.

C - Potenziale esposizione

c1 - Superfici “high touch” (punteggio = 3): tutte quelle superfici frequentemente in contatto con le mani.

c2 - Superfici “low touch” (punteggio = 1):

Per ogni area funzionale o reparto viene quindi assegnato un punteggio basato sui fattori precedentemente descritti che andrà a determinare le modalità e la frequenza delle pulizie secondo la seguente matrice:

Pertanto, per la corretta definizione del coefficiente di criticità sarà essenziale che il software gestionale del servizio di pulizia e sanificazione abbia una completa integrazione e dialogo con:

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• fonti dei dati locali: anagrafica dei locali, anagrafica delle tecnologie, anagrafica delle procedure assistenziali svolte nei vari locali;

• fonti dei dati del paziente: cartella clinica, alert dal laboratorio di microbiologia, report epidemiologici della DMPO, feedback dei risultati dei campionamenti e dai sistemi di monitoraggio dei parametri ambientali tramite BMS (Building Manangement System)

3.2 Prodotti, tecniche, materiali

Il ruolo della pulizia ambientale è di ridurre il numero di agenti infettivi che possono essere presenti superfici e minimizzare il rischio di trasferimento di microrganismi da una persona / oggetto a un'altra, quindi riducendo il rischio di infezione.

La pulizia è il processo volto a rimuovere materiale estraneo (ad es. Polvere, terra, sangue, secrezioni, escrezioni e microrganismi) da una superficie o un oggetto attraverso l'uso di acqua, detergente e l’azione meccanica.

Sebbene sia noto che la pulizia sia efficace nel ridurre la carica microbica dalle superfici in alcune circostanze è necessario eseguire anche la disinfezione, una misura atta a ridurre tramite uccisione, inattivazione o allontanamento/diluizione, la maggior quantità di microrganismi, fatta eccezione per le spore.

Esistono essenzialmente tre fattori che insieme determinano l’efficacia delle pratiche di pulizia e disinfezione all'interno della struttura sanitaria. Questi includono: prodotti chimici, attrezzature e tecniche.

È di vitale importanza che tutto il personale dei servizi di pulizia sia consapevole e formato dell'importanza di ciascun fattore e di come questi interagiscano tra loro.

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Ad esempio, se i prodotti chimici per la pulizia utilizzati nella struttura sono adeguati allo scopo, ma le attrezzature per la pulizia sono sporche (ad es. mop o secchi sporchi) o la tecnica di pulizia è scadente, il risultato pulizia / disinfezione dell'area sarà scadente.

3.2.1. Prodotti chimici

Esistono due gruppi principali di prodotti che trovano utilizzo nelle strutture sanitarie: detergenti e disinfettanti.

Detergenti

I detergenti sono combinazioni di sostanze chimiche che aumentano l’azione pulente dell’acqua rimuovendo lo sporco dalle superfici senza rovinarle e senza causare danno a chi le usa. Sono composti da agenti tensioattivi ed emulsionanti, agenti sequestranti e vari sali per il controllo del pH. L’attività dei detergenti è condizionata essenzialmente da 4 fattori:

• azione meccanica ed abrasiva; • azione chimica;

• tempo di azione; • temperatura.

I quattro fattori sono influenzati di volta in volta dal tipo di substrato, dal tipo di sporco e dalla durezza dell’acqua. I detergenti oltre ad essere efficaci devono sempre soddisfare le seguenti condizioni:

• non devono mai intaccare le superfici da pulire; • essere atossici;

• non emanare eccessive esalazioni, possibili cause di disagio per l’operatore; • non rappresentare un rischio per l’operatore;

• assicurare il pH desiderato ed esercitare un effetto tampone; • essere eliminabili con il semplice risciacquo;

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In funzione del loro impiego i detergenti possono essere così classificati:

1. Detergenti fortemente alcalini: sono i formulati a base di soda e/o potassa caustica da utilizzarsi per la rimozione dello sporco grasso, in particolare di quello alimentare; sono impiegati principalmente per la pulizia di pavimenti, superfici e attrezzature in acciaio.

2. Detergenti manutentori: rientrano in questa classe tutti i detergenti utilizzati per le operazioni di pulizia quotidiana e sono generalmente caratterizzati dal fatto di non essere particolarmente aggressivi nei confronti delle varie superfici; ad esempio i prodotti pronti all’uso per la pulizia e la spolveratura degli ingombri e degli arredi.

3. Deceranti: sono generalmente prodotti basici (pH 8-14) specifici per l’asportazione della cera metallica. Esistono detergenti deceranti specifici per effettuare il lavaggio di fondo su superfici in Linoleum (generalmente a pH neutro per evitare il cambiamento di colore di questo rivestimento).

4. Detergenti combinati con cere: Sono anche denominati “lavaincera”. Sono formati da tensioattivi, da cere (e/o emulsioni) e da altri ingredienti che hanno il compito di combinare l’azione pulente con quella protettiva, conferendo un buon effetto estetico. Esistono due tipi di lavaincera: lavaincera rilucidabili a base di cere lucidabili e lavaincera autolucidanti a base di emulsione metallizzata.

5. Detergenti neutri: sono caratterizzati dalla scarsa aggressività chimica sulle molecole dello sporco pur consentendo un ottimo livello di detersione senza lasciare residui. Generalmente per consentire un’azione sinergica si utilizzano in combinazione a sanitizzanti come per esempio sali di ammonio quaternari. Sono indicati per la pulizia di tutte le superfici dure: pavimenti, piastrelle, lavandini, ecc.

6. Detergenti a base alcolica: caratterizzati dalla presenza di tensioattivi anionici, tensioattivi non ionici e alcoli. Sono utilizzati per esempio con sistema “trigger” con vaporizzatore per la rimozione delle impronte, per la pulizia di vetri e tutte le superfici lucidabili. Sono prodotti volatili per la presenza di alcoli che asciugano rapidamente e non lasciano aloni.

7. Detergenti sgrassanti: caratterizzati da un pH alcalino che contrastano con la natura chimica acida delle sostanze grasse. Sono utilizzati per esempio con sistema “trigger” con vaporizzatore per sgrassare tutte le superfici dei sanitari, ceramiche, rubinetterie, superfici in acciaio inox, tavoli. Alcuni con particolari caratteristiche chimico fisiche sono utilizzati anche come sgrassati per l’utilizzo in piani HACCP (Hazard Analysis Control Critical Points). Anche per i detergenti sgrassanti è frequente l’associazione con principi attivi ad azione battericida. Sono prodotti che non intaccano i metalli per cui vengono utilizzati anche su leghe leggere come l’alluminio. 8. Detergenti acidi disincrostanti: caratterizzati da un pH acido. Reagiscono con carbonati e ossidi

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di calcio, magnesio e ferro, presenti per esempio nello sporco di incrostazioni calcaree nelle toilette, sulle macchie di ruggine, sui residui di cemento, sulle macchie che si formano sul grés e cotto, su sporchi inorganici in genere, con cui formano i rispettivi sali che sono facilmente solubili in acqua e quindi facilmente risciacquabili. Esistono formulati preparati con diversi tipi di acidi. Tra gli acidi più utilizzati in campo ospedaliero troviamo: l’acido citrico e l’acido solfammico (acidi poco aggressivi) e l’acido fosforico. Esistono formulati per esempio a base di acido fosforico arricchiti con specifici agenti tamponanti (inibitori di corrosione e di volatilità) che rendono meno pericolosa l’azione dell’acido sulle superfici e rispetto agli operatori. In commercio vi sono formulazioni di disincrostanti acidi, utilizzati in particolare per sanitari, piastrelle e ceramiche contenenti tensioattivi ionici che possono tenere in sospensione le particelle di sporco disciolte e facilitarne l’asportazione con il successivo risciacquo.

9. Detergenti disinfettanti: hanno nella loro composizione oltre agli ingredienti dei detergenti anche principi attivi disinfettanti come per esempio cloro attivo da ipoclorito di sodio. Il detergente con il principio attivo disinfettante consente, da una parte, di migliorare l’efficacia germicida aumentando il potere bagnante delle soluzioni, dall’altra, di combinare in un’unica operazione disinfezione e detersione. Possono essere utilizzati, opportunamente diluiti, in campo ospedaliero (sale operatorie, ambulatori, sale d’aspetto, stanze di degenza, corsie, cucine e laboratori) e anche per la disinfezione di biancheria infetta.

10. Prodotti di impiego a secco con monospazzola: si tratta di detergenti che di solito vengono usati con la monospazzola per i seguenti tipi di interventi a secco:

• Deceratura a secco: tale intervento è mirato ad eliminare parzialmente o totalmente il vecchio film ceroso mediante l’utilizzo di monospazzola, preferibilmente a velocità medio-bassa (180 a 400 giri/min) e munita di apposito disco. Si utilizza un prodotto specifico per determinare lo “sfarinamento” della cera, i cui residui vengono trattenuti dal disco che dovrà essere sostituito quando la superfice si satura di cera

• Spray cleaning e Spray Buffing: tali operazioni consistono nella pulizia e/o lucidatura a secco, da effettuarsi periodicamente sui pavimenti protetti e non mediante l’utilizzo di monospazzola a media-alta velocità (da 400 a 2.000 giri/min), munita di apposito disco. L’utilizzo di monospazzola ad alta velocità è da preferire, poiché permette di ottenere una maggiore resa oraria, un superiore indurimento del film e conseguentemente una maggiore lucentezza e resistenza. Per effettuare questo tipo di intervento si utilizzano prodotti specifici contenenti cere, solventi e tensioattivi.

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Disinfettanti

Si tratta di agenti chimici, destinati all’impiego su substrati inanimati (ad esempio, superfici ambientali), in grado di distruggere i microrganismi patogeni o altri microrganismi dannosi, ma che potrebbero non essere in grado di uccidere le spore batteriche [34].

Idealmente, le strutture ospedaliere dovrebbero selezionare un singolo prodotto che soddisfi tutte o la maggior parte delle esigenze della struttura, anche se la complessità dell'ambiente sanitario determina costantemente la necessità di utilizzare più di un prodotto disinfettante. Ogni sforzo dovrebbe essere fatto per limitare il totale del numero dei diversi prodotti in uso al fine di semplificare il processo di pulizia e minimizzare il rischio di errori.

Il disinfettante ideale dovrebbe possedere una serie di caratteristiche:

• ampio spettro di azione germicida, con attività verso virus, batteri, funghi, protozoi; • rapidità di azione;

• capacità di essere attivo per un periodo di tempo il più lungo possibile;

• capacità di agire anche in presenza di sostanze organiche, ad esempio, sangue, saliva, urine, feci, pus, tessuto necrotico;

• assenza di tossicità acuta e cronica, con azione esclusiva sui microrganismi; • facilità di impiego;

• capacità di non alterare i substrati su cui agisce; • costo contenuto;

• solubilità nei liquidi di uso comune, ad esempio, acqua; • stabilità alle diluizioni di uso comune;

• gradevolezza: buone proprietà detergenti; • non inquinante in fase di smaltimento

Considerato che nessun prodotto possiede tutte queste caratteristiche, la scelta deve essere fatta in base all’impiego. È dunque necessario identificare di volta in volta il disinfettante più appropriato tenendo conto innanzi tutto della criticità del dispositivo (articolo), ovvero del suo livello di rischio di trasmissione di microrganismi (classificazione di Spaulding).

Nella scelta del prodotto, bisogna inoltre tener conto della specie microbica, ovvero della sensibilità dei diversi microrganismi ai disinfettanti e della natura del materiale da sottoporre a disinfezione, che dovrebbe mantenere struttura e funzione inalterate nel tempo. Per un

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corretto e razionale impiego dei disinfettanti è necessario poi considerare che la loro efficacia è influenzata da diversi fattori, in particolare:

Concentrazione d’uso: Ogni disinfettante ha una concentrazione d’uso ottimale, alla quale la sua efficacia è massima. A concentrazioni inferiori risulta poco/non efficace mentre a concentrazioni superiori, oltre a essere svantaggioso economicamente, può provocare effetti indesiderati.

Tempo di contatto: A ogni disinfettante, a una data concentrazione, serve un certo lasso di tempo per esercitare la sua azione. Al di sotto di tale valore, non ne viene garantita l’efficacia.

Temperatura ambientale; La temperatura influisce sull’azione dei disinfettanti. Salvo indicazioni diverse fornite dalla ditta produttrice, la temperatura d’uso ottimale è compresa tra 20 e 37°C.

Conformazione fisica dell’articolo: La presenza di fessure, giunzioni, ecc., può rendere difficile o non efficace la disinfezione.

pH: È un indicatore dell’acidità/basicità di una soluzione che condiziona l’azione dei disinfettanti.

I principi attivi che esplicano azione disinfettante sono molteplici, quelli che, per le loro caratteristiche, sono più adatti, e quindi maggiormente utilizzati, nella disinfezione ambientale, considerando nella scelta anche il potenziale rischio per l’uomo e per l’ambiente sono descritti a seguire.

Alcoli

MECCANISMO E SPETTRO D’AZIONE

Nel campo della disinfezione, parlando di alcoli ci si riferisce ai seguenti composti: isopropanolo, etanolo, n-propanolo o una combinazione di due tra questi prodotti. In Italia quelli maggiormente utilizzati sono i primi due. Chimicamente gli alcoli sono solventi dei grassi, per questo posseggono un buon potere detergente. L’azione battericida si esplica attraverso la denaturazione delle proteine. Quando l’alcol si trova in forma idrata, cioè in presenza di un’adeguata percentuale di acqua, viene rapidamente assorbito e penetra all’interno della cellula. L’attività germicida ottimale avviene a concentrazioni comprese tra il 60 e 90% in acqua (volume/ volume): per l’esattezza 70% per l’etanolo e 60% per l’isopropanolo. Sotto il 50% l’attività è solo batteriostatica. A concentrazioni superiori al 90% l’attività germicida cala drasticamente mentre prevale quella disidratante. Gli alcoli hanno eccellente attività battericida contro i Gram-positivi (ad esempio, stafilococchi ed enterococchi) e i Gram-negativi (ad esempio, enterobatteri). L’etanolo è capace di inattivare la maggior parte dei virus; anche il

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propanolo è attivo su molti di essi. Entrambi sono in grado di inattivare il virus dell’epatite B e l’etanolo anche quello dell’AIDS e sono agenti germicidi di scelta contro il micobatterio della tubercolosi. Non sono in grado di distruggere le spore batteriche.

FATTORI INTERFERENTI

La presenza di materiale organico riduce l’attività degli alcoli. Questi evaporano rapidamente, rendendo difficile avere un tempo di contatto prolungato, e non hanno un’apprezzabile persistenza (attività residua). È noto che l’associazione con alcol di alcune sostanze germicide (ad esempio, clorexidina, iodofori) ne aumenta l’attività. A causa dell’elevata volatilità, contenitori non correttamente chiusi possono portare a diminuzione della concentrazione in alcol delle soluzioni idroalcoliche, con pericolo che tale concentrazione scenda sotto il 50%. TOSSICITÀ/EFFETTI INDESIDERATI

Come disinfettanti occorre considerare che gli alcoli, utilizzati per tempi prolungati su materiali in gomma o plastica, provocano un indurimento della superficie che, oltre a deteriorare il dispositivo trattato, compromette la riuscita delle successive disinfezioni per formazione di microcrepe nelle quali possono annidarsi microrganismi. Gli alcoli sono infiammabili e, se ingeriti, producono effetti generali dose-dipendenti. Devono, quindi, essere prese le opportune misure relativamente allo stoccaggio.

Cloro e suoi derivati

Il cloro elementare è un gas giallo verdastro con elevato potere biocida, caratterizzato da vapori altamente irritanti e penetranti, e con tossicità talmente elevata da precluderne l’utilizzo come disinfettante. Molto utilizzati sono invece i suoi composti, che in soluzione acquosa danno miscele di acido ipocloroso, ipoclorito e cloro molecolare. I composti del cloro vengono utilizzati come disinfettanti a diverse concentrazioni e formulazioni in vari ambiti, dimostrandosi estremamente efficienti e versatili.

MECCANISMO E SPETTRO DI AZIONE

Non è ancora stato chiarito. Molto probabilmente è da mettere in relazione alla capacità di liberare in soluzione acido ipocloroso (soprattutto a pH compreso tra 4 e 7) e alla combinazione di due meccanismi, ossidazione e denaturazione, a livello del microrganismo. I composti del cloro sono caratterizzati da rapidità di azione e ampio spettro. L’attività è però condizionata fortemente dalla presenza di materiale organico, che ha un effetto inattivante. In funzione della concentrazione del cloro libero e dei tempi di contatto, i composti del cloro possono avere un livello di azione disinfettante basso, intermedio o alto; in condizioni particolari (ovvero a pH alcalino) sono in grado di distruggere le spore batteriche.

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Le soluzioni dei composti del cloro sono generalmente caratterizzate da una scarsa stabilità che è altresì compromessa dall’innalzamento della temperatura e dall’esposizione alla luce e all’aria. Per questa ragione le soluzioni devono essere conservate correttamente e frequentemente rinnovate. La presenza di materiale organico condiziona in maniera negativa l’attività delle soluzioni dei composti del cloro. In questi casi sarebbe opportuno utilizzare composti a graduale rilascio di cloro o con concentrazioni molto elevate. Le soluzioni dei composti del cloro sono in genere incompatibili chimicamente con i detergenti cationici. Nel caso del loro utilizzo, quindi, prima della disinfezione con cloroderivati occorre sempre un accurato risciacquo.

TOSSICITÀ/EFFETTI INDESIDERATI

Alle comuni concentrazioni d’uso, i composti del cloro non comportano particolari rischi tossicologici, ma a concentrazioni più elevate la tossicità diventa rilevante. I composti del cloro non possono essere utilizzati sullo stesso substrato contemporaneamente ad acidi (ad esempio, candeggina + acido muriatico), perché i due composti reagiscono tra loro provocando una massiccia liberazione di gas fortemente tossici per inalazione. Le soluzioni disinfettanti dei cloroderivati possono provocare, in seguito a utilizzo frequente e/o prolungato, la corrosione dei metalli e l’alterazione di alcuni materiali plastici.

Composti di ammonio quaternario

Sono composti incolori e inodori con alcune proprietà detergenti, che si prestano per la disinfezione di superfici.

MECCANISMO E SPETTRO DI AZIONE

La loro azione si esplica interferendo con le reazioni metaboliche delle proteine e con la permeabilità delle membrane cellulari. Sono efficaci contro i batteri gram-positivi e i funghi, parzialmente efficienti contro i batteri gram-negativi e alcuni virus; non hanno alcuna azione contro i micobatteri e le spore batteriche.

FATTORI INTERFERENTI (COMPATIBILITÀ)

I quaternari sono incompatibili con i tensioattivi anionici; quando vengono miscelati con questi ultimi diventano inefficaci. Quindi, si raccomanda di non miscelare mai i composti d’ammonio quaternario con i normali detergenti. Per aumentare l’efficacia dei quaternari, si possono aggiungere dei sequestranti quali l’acido etilendiamminotetraacetico (EDTA), fosfati o fosfonati e tensioattivi compatibili (non ionici). In commercio esistono formulazioni contenenti questi componenti che hanno un’azione sinergica con il disinfettante aumentandone l’efficacia. TOSSICITÀ/EFFETTI INDESIDERATI

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