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DALLA PREVENZIONE DEL RISCHIO INFETTIVO ALLA GESTIONE DEGLI INFORTUNI PROFESSIONALI

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TAGETE 2-2007 Anno XIII

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DALLA PREVENZIONE DEL RISCHIO INFETTIVO ALLA GESTIONE DEGLI INFORTUNI PROFESSIONALI

Dr. G. Fasulo*

Il rischio infettivo in ambito occupazionale rappresenta una importante sfida per tutte le persone che operano in qualsiasi ambito sanitario. Il rischio di infezione da agenti biologici è rappresentato dalla possibilità di esposizione ad agenti biologici che presentano o possono rappresentare un rischio per la salute umana. Tale rischio non è appannaggio soltanto del personale ospedaliero (degenze, laboratori, sale operatorie), ma anche del personale sanitario che opera negli ambulatori e sul territorio. Pertanto il rischio biologico correlato all’attività sanitaria coinvolge notevolmente anche l’attività odontoiatrica e rappresenta pertanto un problema di sanità pubblica se si considera l’ampia diffusione della prestazione odontoiatrica nella popolazione generale. È pertanto necessario che anche tutti gli operatori sanitari che svolgono la propria attività in ambito odontoiatrico siano a conoscenza delle modalità sia per la prevenzione del rischio

*Istituto Malattie Infettive Pol. S. Orsola-Malpighi

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infettivo (profilassi vaccinale, precauzioni universali, strumenti per la prevenzione delle esposizioni a rischio biologico) sia per la gestione degli infortuni professionali (soprattutto ad agenti a trasmissione ematica).

Gli operatori sanitari che operano in ambito odontoiatrico possono essere esposti a vari microrganismi patogeni, sia virali che batterici, come virus epatitici (HBV, HCV), HIV, virus erpetici (herpes simplex, varicella-zoster, cytomegalovirus), virus influenzali, micobatteri tubercolari, stafilococchi, streptococchi, e altri virus e batteri che colonizzano o infettano la cavità orale e il tratto respiratorio. Questi microrganismi possono essere trasmessi in ambito odontoiatrico mediante:

• Contatto diretto con cute, sangue, fluidi presenti nel cavo orale o altro materiale biologico del paziente (virus erpetici, varicella-zoster, scabbia, pediculosi, HIV, HBV, HCV);

• Contatto indiretto tramite oggetti (aghi, strumenti, superfici ambientali) (HIV, HBV, HCV);

• Contatto della mucosa congiuntivale, nasale o orale con “droplets”

(goccioline di grandi dimensioni) contenenti microrganismi eliminati da una persona infetta a breve distanza con la tosse, con starnuti,

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con la saliva (influenza, rosolia, parotite, pertosse, meningite meningococcica);

• Inalazione di microrganismi trasmissibili per via aerea per disseminazione di nuclei di goccioline (“droplet nuclei”) che possono rimanere sospesi nell’aria per un lungo periodo (tubercolosi, influenza, morbillo, varicella).

Le infezioni che si trasmettono con queste modalità richiedono che siano presenti le seguenti condizioni:

• organismo patogeno sufficientemente virulento e in numero adeguato per causare malattia;

• una fonte di infezione che permette al patogeno di sopravvivere e moltiplicarsi (p.e. sangue);

• una modalità di trasmissione dalla fonte all’ospite;

• un ospite suscettibile (non immune).

Le strategie di controllo delle infezioni prevengono la trasmissione dell’agente patogeno interrompendo una o più delle condizioni suindicate.

I CDC (Centers for Disease Control and Prevention) negli Stati Uniti hanno da tempo proposto e diffuso delle raccomandazioni per il controllo delle infezioni sia nei pazienti che negli operatori sanitari anche in ambito

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odontoiatrico creando apposite linee guida che sono diventate un punto di riferimento a livello mondiale. Anche in Italia sono state emanate delle linee guida relative alla prevenzione delle infezioni nel personale sanitario e alla gestione degli infortuni a rischio soprattutto per virus a trasmissione ematica (HIV, HBV, HCV) e per la tubercolosi. Negli ultimi anni è stata posta una particolare attenzione anche ad altre emergenze infettivologiche (SARS, bioterrorismo, influenza aviaria) che possono rappresentare un rischio sia per il personale sanitario sia per la collettività.

Profilassi vaccinale

Gli operatori sanitari sono considerati a rischio di acquisire, o di trasmettere, malattie come epatite B, influenza, morbillo, parotite, rosolia, varicella e tubercolosi. Tutte queste malattie sono prevenibili mediante vaccinazione.

Non esiste possibilità di profilassi vaccinale per il virus della epatite C (HCV).

Negli Stati Uniti, la Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) e i CDC hanno emanato delle linee guida nazionali per l’immunizzazione degli operatori sanitari, compreso quelli che operano in ambito odontoiatrico. Tali linee guida raccomandano che tutti gli operatori sanitari siano vaccinati o

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abbiano una documentata immunità nei confronti di epatite B, influenza, morbillo, parotite, rosolia e varicella. Non è raccomandata la vaccinazione di routine contro la tubercolosi e l’epatite A.

In Italia la vaccinazioni sono facoltative, ma fortemente raccomandate sono la vaccinazione anti-epatite B e antinfluenzale. Altre vaccinazioni consigliate sono quelle antivaricella, antimorbillo, parotite e rosolia.

L’unica vaccinazione obbligatoria per legge per gli operatori sanitari è la vaccinazione antitubercolare. Tale obbligo, in precedenza esteso a tutti gli operatori sanitari cutinegativi, attualmente è riservato solo a coloro che operano in ambienti ad alto rischio che non possano ricorrere al follow-up e alla terapia preventiva.

Vaccinazione contro l’epatite B

In Italia la vaccinazione contro l’epatite B è obbligatoria dal 1991 per tutti i nuovi nati nel corso del primo anno di vita e (fino al 2003) per gli adolescenti nel corso del dodicesimo anno di vita. Tale vaccinazione è inoltre fortemente raccomandata e offerta gratuitamente a tutto il personale sanitario.

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I vaccini in uso sono esclusivamente vaccini lievito-derivati approntati con la tecnica del DNA ricombinante. Tali vaccini hanno mostrato una ottima tollerabilità, essendo gli eventi avverti riportati perlopiù limitati a reazioni locali. La correlazione ipotizzata tra tale vaccinazione e la sclerosi multipla è stata smentita dalla comunità scientifica e dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. L’efficacia della vaccinazione è molto elevata e determina una risposta anticorpale adeguata nel 90-95% dei vaccinati immunocompetenti

Secondo le raccomandazioni per la prevenzione delle infezioni tutti gli operatori sanitari dovrebbero essere vaccinati contro l’epatite B, con uno schema di vaccinazione standard. All’inizio del percorso formativo e prima dell’assunzione in strutture sanitarie è fortemente raccomandata la vaccinazione o la dimostrazione dell’avvenuta immunizzazione contro il virus dell’epatite B. Il ciclo vaccinale prevede tre dosi standard (secondo quanto indicato dalla casa produttrice) di vaccino ricombinante per l’epatite B, somministrato per via intramuscolare, in regione deltoidea, a 0, 1 e 6 mesi..

Lo screening pre-vaccinale di routine non è indicato. È opportuno eseguire la determinazione

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del titolo degli anticorpi contro HBsAg (anti-HBs) 1-2 mesi dopo la terza dose di vaccino. Il soggetto vaccinato è considerato “responder” se ha sviluppato un titolo di anticorpi anti-HBs uguale o maggiore a 10 mUI/mL determinato ad 1-2 mesi dalla terza dose di vaccino. Se non è stato raggiunto un titolo anticorpale sufficiente può essere necessario somministrare una quarta dose di vaccino.

I soggetti responder sono protetti contro l’infezione da HBV. Dosi di richiamo (booster) di vaccino non sono raccomandate, anche se il titolo degli anticorpi anti-HBs diventa nel tempo basso o non rilevabile.

Il 5-10% della popolazione adulta non risponde alla vaccinazione standard contro l’epatite B. I non responder alla vaccinazione, HbsAg negativi, dovrebbero essere considerati suscettibili all’infezione da HBV ed informati sulle precauzioni per prevenirla e sulla necessità di intraprendere una profilassi passiva con immunoglobuline specifiche anti-HBV per ogni possibile esposizione a sangue di soggetti HBsAg positivi.

Vaccinazione anti-influenza

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Il Ministero della Salute raccomanda la vaccinazione anti-influenzale per tutti coloro che svolgono funzioni lavorative di primario interesse collettivo o che potrebbero trasmettere l'influenza a persone ad alto rischio di complicanze. Al personale sanitario e di assistenza, agli addetti ai servizi di pubblica utilità e al personale che è contatto con animali per motivi occupazionali, la vaccinazione gratuita è proposta direttamente dalle Aziende sanitarie.

Per la vaccinazione antinfluenzale sono disponibili vaccini a base di virus interi inattivati e vaccini sub-virionici, con o senza adiuvanti.

I vaccini sub-virionici possono a loro volta presentarsi sotto forma di:

• split-virus vaccini, costituiti da particelle virali frammentate e purificate;

• vaccini contenenti soltanto gli antigeni di superficie emoagglutininina e neuroaminidasi.

Questi ultimi vaccini sono da preferire per l'immunizzazione di bambini e di soggetti che abbiano presentato evidenti fenomeni di reazione in occasione di precedenti vaccinazioni con vaccino antinfluenzale intero.

Poiché i vaccini antinfluenzali contengono solo virus inattivati o parti di questi, non possono essere responsabili di infezioni.

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Il periodo ottimale per l’avvio delle campagne di vaccinazione antinfluenzale è, per la nostra situazione climatica e per l’andamento temporale mostrato dalle epidemie influenzali in Italia, quello autunnale, a partire dalla metà di ottobre fino alla fine di novembre.

Le controindicazioni alla vaccinazione sono la ipersensibilità alle proteine dell'uovo o ad altri componenti del vaccino.

La profilassi vaccinale, pur con la variabilità legata all’età ed alle condizioni di base del

ricevente, presenta un‘efficacia di circa il 70-90% e rimane il mezzo più efficace, sicuro ed economico per prevenire l’influenza e le sue complicazioni.

Vaccinazione anti-varicella

La varicella si verifica soprattutto tra i bambini di età compresa tra 2 e 8 anni. Tuttavia la gravità della malattia è molto maggiore negli adulti e le complicanze riguardano coinvolgimento neurologico, polmonite, epatite e infezioni batteriche secondarie.

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La vaccinazione contro la varicella (costituito dal ceppo vivo attenuato di varicella-zoster OKA) è stata introdotta in modo attivo e gratuito nella Regione Emilia Romagna fin dall’ottobre 2003 per:

persone suscettibili con rischio aumentato di complicanze o che potrebbero comportare un rischio per le persone con cui sono a contatto:

persone suscettibili con patologie che aumentano il rischio di complicanze persone suscettibili che vivono con una persona immunodepressa

donne suscettibili in età fertile

persone suscettibili che lavorano in ambito sanitario

adolescenti suscettibili (nell’ambito di progetti aziendali autorizzati dall’Assessorato regionale alla Sanità).

Per quanto riguarda gli operatori sanitari si ritiene che il 2-5% degli operatori sanitari è suscettibile

al virus della varicella-zoster. La vaccinazione deve essere offerta in modo attivo e gratuito prioritariamente a coloro a contatto con pazienti ad alto rischio di complicanze da varicella, quali neonati e immunodepressi.

Negli adulti suscettibili si eseguono due dosi a distanza di 4-8 settimane.

L’efficacia della vaccinazione è di almeno il 75%.

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Gli operatori devono essere considerati immuni dopo la seconda dose di vaccino. Non vi è indicazione a sospendere l’attività lavorativa nel periodo post-vaccinale. Soltanto nei rari casi di comparsa di rash varicelloso post- vaccinale (entro 6 settimane dall’inoculazione), si raccomanda l’allontanamento temporaneo dall’attività, nonostante il rischio di contagio appaia minimo.

Vaccinazione anti-morbillo, parotite e rosolia

Sono esposti al rischio di contrarre queste infezioni, tipiche dell’età infantile, soprattutto operatori sanitari addetti alle comunità infantili o alla assistenza di bambini. La maggioranza degli adulti è immune nei confronti di questi virus. Tuttavia non vanno sottovalutate le conseguenze e lòecomplicanze che queste infezioni virali possono talora portare, specialmente se contratte in età adulta (infezione in gravidanza per la rosolia, complicanze neurologiche per il morbillo, meningite e orchite per la parotite).

La vaccinazione (esistono vaccini singoli e combinati da somministrare in singola dose) è consigliata per il personale sanitario non immune onde

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evitare la trasmissione a particolari gruppi di pazienti (immunocompromessi, gestanti).

Vaccinazione antitubercolare

La tubercolosi è una malattia contagiosa causata da inalazione di particelle trasmesse per via aerea contenenti il germe Mycobacterium tuberculosis. Circa un terzo della popolazione mondiale presenta infezione

tubercolare (infezione latente o malattia). L’avvento della infezione da HIV, la pressione selettiva esercitata dagli antibiotici e l’aumento dei flussi migratori da paesi ad elevata endemia tubercolare verso i paesi occidentali hanno favorito l’aumento dei casi di malattia e la comparsa di ceppi multifarmacoresistenti.

Il rischio di contrarre la tubercolosi in ambito ospedaliero è ben documentato e risultano maggiormente esposti gli operatori sanitari dei reparti di malattie infettive, pneumologia, anatomia patologica e microbiologia.

Nell’ambito odontoiatrico, pur esistendo un rischio generico di contrarre l’infezione tubercolare, si ritiene che appropriate misure di controllo

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dell’infezione (uso dei dispositivi di protezione individuale, adeguata ventilazione dei locali e la vaccinazione antitubercolare) siano in grado di ridurre il rischio a livelli non significativi.

Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration suggerisce la politica della vaccinazione con BCG per gli operatori in ambito odontoiatrico in regioni geografiche o in ambienti sanitari dove vi è elevata prevalenza di tubercolosi.

In Italia la vaccinazione antitubercolare con BCG era obbligatoria per legge dal 1970 per i soggetti cutinegativi addetti ad ospedali, cliniche ed ospedali psichiatrici, per gli studenti in medicina, all’atto della loro iscrizione all’Università. Più recentemente (2001) si è ritenuto opportuno tendere al superamento dell’obbligo vaccinale, limitandone l’ indicazione per il personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti oppure operi in ambienti ad alto rischio e presenti controindicazioni cliniche all'uso della terapia preventiva, per cui non possa essere sottoposto a chemioprofilassi in caso di cuticonversione.

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Tra i motivi di queste modifiche alle indicazioni della vaccinazione antitubercolare negli operatori sanitari vi sono:

l’efficacia della vaccinazione (in termini di riduzione del rischio di tubercolosi) nei soggetti adulti è di circa il 50% dei vaccinati;

la durata della protezione non è nota, ma probabilmente inferiore a 5 anni;

il vaccino non è in grado di proteggere dalla infezione di fronte ad una elevata carica bacillare;

in rari casi può provocare lesioni locali persistenti;

la vaccinazione non dispensa dal rispetto delle misure di sicurezza;

il vaccino è controindicato in gravidanza, in soggetti immunodepressi e con infezione HIV;

il vaccino determina positività del test tubercolinico nel 25-40% dei soggetti vaccinati, pertanto non permette una adeguata valutazione della eventuale cutiversione tubercolinica negli operatori sanitari esposti al rischio.

Queste motivazioni indirizzano verso l’effettuazione di screening tubercolinici periodici, piuttosto che verso la vaccinazione antitubercolare obbligatoria per i cutinegativi.

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Metodi di prevenzione dell’esposizione

Le norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private del 1990 prevedono che gli operatori odontoiatrici sono tenuti ad osservare le precauzioni di carattere generale e debbono indossare i guanti durante le manovre che possono comportare contatto con mucose, sangue, saliva e fluido gengivale, sostituendoli per ogni singolo paziente. I manipoli, gli ablatori ad ultrasuoni, le siringhe aria/acqua, le frese e qualsiasi altro strumento che venga a contatto con le mucose, dopo l'utilizzo, se riutilizzabili, vanno sterilizzati per ogni singolo paziente. Nei casi in cui la sterilizzazione non sia tecnicamente possibile, è obbligatoria la disinfezione degli strumenti con sostanze chimiche di riconosciuta efficacia sull'HIV.

Precauzioni Universali

L’uso delle Precauzioni Universali sono state implementate soprattutto con l’avvento dell’AIDS tramite direttive emanate dai CDC negli Stati Uniti.

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Queste raccomandazioni sono state recepite in vari paesi e in Italia sono state pubblicate come linee-guida di comportamento per gli operatori sanitari per il controllo dell’infezione da HIV da parte della Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Sanità. Le Precauzioni Universali sono delle misure idonee per prevenire l’esposizione parenterale, cutanea e mucosa nei casi in cui sia prevedibile un contatto accidentale con sangue o altri liquidi biologici. Le Precauzioni Universali vanno considerate come un livello minimo di protezione per la prevenzione delle esposizioni occupazionali nei confronti dei patogeni a trasmissione ematica (HIV, HBV, HCV). Esse partono dal presupposto che non è possibile identificare tutti i pazienti affetti da infezione da HIV o da altri microrganismi a trasmissione ematica, ed è pertanto necessario considerare “tutti” i pazienti come potenzialmente infetti ed attenersi alle raccomandazioni relative al sangue e ad altri liquidi biologici in tutte le procedure che ne possono determinare l’esposizione. Le esposizioni avvengono prevalentemente per via per cutanea (punture di aghi o taglienti) come pure attraverso il contatto tra sangue e altri liquidi biologici con le membrane mucose (congiuntiva, mucosa nasale e orale) e la cute non integra.

Le principali precauzioni standard sono le seguenti:

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o lavaggio delle mani;

o uso di guanti, camici protettivi, maschere, occhiali e visiere;

o corretto smaltimento dei presidi utilizzati, soprattutto aghi, mandrini, bisturi e strumenti taglienti;

o corretto trasporto dei campioni biologici.

Gli studi osservazionali indicano che le esposizioni per cutanee tra gli odontoiatri e i chirurghi orali sono meno frequenti rispetto ai chirurghi generali e ortopedici. Le esposizioni per cutanee tra gli operatori in ambito odontoiatrico avvengono all’interno del cavo orale del paziente, coinvolgono una minima quantità di sangue e sono causate da aghi di siringa, taglienti e fili metallici usati nella riduzione delle fratture (in chirurgia orale).

La maggior parte delle esposizioni in odontoiatria sono evitabili. I metodi per ridurre il rischio di contatti con sangue sono rappresentati dall’uso delle precauzioni standard, l’uso di dispositivi di sicurezza e modificazioni della pratica di lavoro.

Le precauzioni standard in odontoiatria comprendono l’uso dei dispositivi di protezione individuali (guanti, maschere facciali, occhiali scudi protettivi,

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camici) per prevenire le esposizioni cutanee e mucose. Protezioni per le dita sono indicate nelle procedure di sutura in chirurgia orale.

I dispositivi di sicurezza sono strumenti di protezione messi a disposizione dall'evoluzione tecnologica (aghi, cateteri, siringhe con meccanismi di sicurezza) che possono essere utilizzati anche nella pratica odontoiatrica per ridurre le esposizioni percutanee.

Le modificazioni della pratica odontoiatrica prevedono delle misure per proteggere gli operatori odontoiatrici che comprendono l’uso, l’assemblaggio, il trattamento e il corretto smaltimento di presidi taglienti (aghi, ablatori, bisturi, frese, specilli, fili endodontici). Inoltre uso di adeguati metodi di decontaminazione, detersione e sterilizzazione dei dispositivi riutilizzabili.

Precauzioni basate sulla trasmissione

Ci sono tre tipi di precauzioni basate sulla trasmissione:

• Precauzioni per la trasmissione attraverso il contatto,

• Precauzioni per la trasmissione tramite goccioline,

• Precauzione per la trasmissione aerea,

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Queste misure possono essere combinate assieme per malattie che abbiano vie di trasmissione multiple.

• Precauzioni per la trasmissione attraverso il contatto

Le precauzioni per ridurre il rischio di trasmissione di microrganismi epidemiologicamente importanti attraverso contatti diretti (con la cute) o indiretti (oggetti).

Le precauzioni da contatto si applicano a pazienti specifici riconosciuti o sospetti essere infettati o colonizzati (presenza di microrganismi nel o sul paziente ma senza segni o sintomi clinici di infezione) con microrganismi epidemiologicamente importanti che possono essere trasmessi attraverso contatto diretto o indiretto.

I mezzi di protezione personale sono costituiti da camice monouso, guanti che devono essere rimossi appena si lascia la stanza del paziente.

• Precauzioni per la trasmissione attraverso goccioline

La trasmissione tramite goccioline comporta il contatto di grandi particelle (superiori a 5 µm) contenenti microrganismi generati da una persona, che soffra di una malattia clinica o che sia un portatore di microrganismi, con le

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congiuntive o con le mucose del naso o della bocca di una persona suscettibile. Le precauzioni per la trasmissione attraverso goccioline si applicano ad ogni paziente riconosciuto o sospetto di essere infetto con patogeni epidemiologicamente importanti che possono essere trasmessi da goccioline infette.

I mezzi di protezione personale sono costituiti da camice monouso, maschera del tipo chirurgico se si lavora a meno di un metro dal paziente.

• Precauzioni per la trasmissione aerea

La trasmissione per via aerea si verifica a causa della propagazione sia di nuclei di goccioline nell'aria (piccoli residui di particelle - diametro 5 µm o meno - di goccioline evaporate che possono rimanere sospese nell'aria per lunghi periodi) sia particelle di polvere contenenti agenti infettanti. I microrganismi trasportati in questo modo possono essere dispersi lontano dal paziente fonte tramite correnti d'aria e possono essere inalati o depositati su un ospite suscettibile all'interno della stessa stanza o a una distanza maggiore del paziente fonte, a seconda dei fattori ambientali;

perciò sono richiesti un trattamento dell'aria e una ventilazione particolari per prevenire la trasmissione per via aerea.

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I mezzi di protezione personale sono costituiti da camice monouso, maschera del tipo FFP2S (con potere filtrante pari ad almeno il 95%) con stringinaso e bardatura con due elastici, occhiali e berretto.

Gestione degli infortuni professionali a rischio biologico

La prevenzione delle esposizioni è la principale strategia per ridurre il rischio di infezioni occupazionali. Dovrebbero essere fatti tutti gli sforzi in termini di prevenzione per ridurre il rischio di esposizioni occupazionali.

Nonostante ciò gli infortuni professionali accadono spesso per il mancato rispetto delle misure di controllo come la mancata osservanza delle precauzioni standard.

Tutti gli operatori sanitari dovrebbero essere informati, formati ed addestrati su:

• i possibili rischi legati ad una esposizione occupazionale e le profilassi disponibili per prevenire le infezioni.

• le misure per prevenire le esposizioni ad agenti patogeni trasmissibili con il sangue:

o attuazione delle precauzioni standard;

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o fornitura di Dispositivi di Protezione Individuale e di dispositivi di sicurezza;

o Attuazione di procedure più sicure;

o Vaccinazione contro l’epatite B.

• i principi della gestione post-esposizione e l’importanza di segnalare immediatamente

ogni esposizione occupazionale così che gli interventi necessari possano essere iniziati al più presto per massimizzare il loro effetto.

Ogni operatore sanitario dovrebbe essere in grado di notificare una esposizione occupazionale. Pertanto sono necessarie alcune misure:

o ogni ambiente sanitario dovrebbe avere operatori designati ai quali si possa urgentemente fare riferimento in caso di una esposizione ed identificare specificamente il responsabile

della gestione delle esposizioni occupazionali, della prescrizione di eventuali profilassi post-esposizione e del follow-up clinico e sierologico post-esposizione.

o gli operatori sanitari dovrebbero essere consapevoli in anticipo dell’importanza di notificare un’esposizione occupazionale dal punto di vista clinico e medico-legale.

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o L’accesso ai sanitari in grado di fornire la profilassi dovrebbe essere garantito durante l’intero orario lavorativo, inclusi le notti ed i giorni festivi.

o tutti gli operatori sanitari dovrebbero essere a conoscenza di come e a chi riferire di un’avvenuta esposizione, e dovrebbero avere un facile accesso a consulenti esperti per ricevere un appropriato counseling, trattamento e follow up.

Ogni esposizione occupazionale dovrebbe essere valutata individualmente per la potenzialità di trasmissione di HBV, HCV e HIV, sulla base delle seguenti modalità di esposizione:

• Tipo e quantità del materiale biologico coinvolto (sangue o altro).

• Tipo di esposizione (lesione per cutanea, contaminazione di mucose, inclusa quella congiuntivale, e di cute non integra, ferita da morso con lacerazione della cute.

• Stato infettivo del paziente fonte.

• Suscettibilità della persona esposta.

Gestione post-esposizione ad HBV

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La gestione di una possibile esposizione occupazionale ad HBV dipende dalla suscettibilità dell’operatore esposto e dallo stato sierologico del paziente fonte. La profilassi post-esposizione prevede l’utilizzo del vaccino anti-HBV, immunoglobuline specifiche anti-HBV (HBIG) o entrambi e va iniziata, qualora indicata il più presto possibile, preferibilmente entro 24 ore dall’esposizione e comunque non oltre i 7 giorni (il DM 20 novembre 2000, nel protocollo per la profilassi post-esposizione, definisce un intervallo di 14 giorni per l’inizio della vaccinazione).

Le HBIG si somministrano alla dose di 0.06 ml/kg i.m. il più presto possibile dopo l’esposizione.

La vaccinazione si somministra secondo lo schema accelerato 0, 1, 2 e 6-12 mesi. Il vaccino può essere somministrato per via intramuscolare

contemporaneamente alle HBIG in siti diversi.

Il titolo degli anticorpi anti-HBs considerato protettivo deve essere superiore a 10 mUI/mL.

In caso di esposizione accidentale ad HBV di soggetti non vaccinati, oltre alla somministrazione di immunoglobuline specifiche va eseguita anche la profilassi vaccinale anti-epatite B, secondo lo schema accelerato di vaccinazione. Gli operatori sanitari non responder alla vaccinazione

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devono fare profilassi con immunoglobuline specifiche. Negli operatori sanitari con schema vaccinale non completo o vaccinato ma con risposta anticorpale non nota si esegue il dosaggio di anti-HBs; se non adeguato profilassi con HBIG e completamento ciclo vaccinale sulla base della documentazione disponibile. Se l’operatore sanitario è vaccinato e responder non si esegue nessun trattamento.

In caso di esposizione a paziente ignoto o non testato, viene iniziata il trattamento con immunoglobuline e con vaccino HBV in caso di esposizione a paziente o oggetto contaminato ad alto rischio per HBV.

Il follow up non è indispensabile se si seguono le procedure suindicate. Ai fini medico-legali può essere opportuno testare l’operatore sanitario per HbsAg al tempo 0 e a 6 mesi dall’esposizione.

Gestione post-esposizione ad HCV

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Non esiste una profilassi per HCV: Immunoglobuline e farmaci antivirali non sono raccomandati. La gestione dell’esposizione occupazionale ad HCV dipende dall’indicazione o meno al trattamento precoce dell’infezione da HCV.

Il follow up prevede la determinazione degli anticorpi anti-HCV al momento dell’esposizione e a 6 mesi; fino a 12 mesi in caso di esposizione a fonte con confezione HIV-HCV. Eventuali risultati positivi vanno confermati con la ricerca di HCV RNA.

È indicato il dosaggio del livello di ALT al momento dell’esposizione e successivamente ogni mese per 4 mesi quando è previsto il trattamento dell’infezione acuta da HCV.

Gestione post-esposizione ad HIV

In caso di esposizione occupazionale ad HIV può essere indicata una profilassi post-esposizione con farmaci antiretrovirali.

L'analisi dei casi di infezione occupazionale da HIV, segnalati in letteratura, ha permesso di identificare se situazioni in cui il rischio è significativamente aumentato e che di seguito si riportano:

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1) lesione profonda (spontaneamente sanguinante) 2) sangue visibile sul presidio causa della lesione

3) presidio precedentemente utilizzato in vena o in arteria di paziente fonte

4) contaminazione congiuntivale massiva

5) contaminazione con materiali di laboratorio contenenti virus ad alta concentrazione

La possibilità di trasmissione dell’infezione da HIV è aumentata in caso di paziente fonte con elevata carica virale HIV RNA (paziente AIDS in fase terminale, paziente con infezione acuta, paziente con sospetta resistenza alla AZT o ad altro farmaco antiretrovirale).

Secondo le indicazioni del Protocollo nazionale di profilassi post esposizione (PPPE) degli operatori sanitari accidentalmente esposti ad HIV, questa può essere indicata secondo le seguenti esposizioni a rischio:

Modalità

• Ferita o puntura con ago o altro tagliente

• Contaminazione congiuntivale PPE raccomandata

• Contaminazione di cute lesa o altre mucose

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• Ferita da morso PPE considerata

• Contaminazione di cute integra PPE sconsigliata

Materiale biologico

• Sangue, altro materiale biologico visibilmente contenente sangue;

liquido cerebrospinale, materiale ad elevata concentrazione virale (p. Es. Colture, sospensioni concentrate di virus)

PPE raccomandata

• Liquido amniotico, sinoviale, pleurico, pericardico peritoneale;

tessuti; materiale di laboratorio; sperma o secrezioni genitali femminili

PPE considerata

• Urine, vomito, saliva, feci PPE sconsigliata

Paziente fonte

• Paziente fonte con infezione da HIV nota PPE raccomandata

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• Paziente fonte con stato sierologico per HIV non noto o che riferisce di essere sieronegativo

• Paziente fonte non noto o non disponibile PPE considerata

• Paziente fonte negativo PPE sconsigliata

La chemioprofilassi si esegue con associazioni di 2-3 farmaci antiretrovirali.

La PPE deve essere iniziata al più presto possibile, preferibilmente entro 1-4 ore dall’esposizione. La PPE è meno efficace se iniziata oltre le 24 ore. La PPE è sconsigliata quando sono trascorse oltre 72 ore dall'esposizione. La durata della PPE è di 4 settimane, se tollerata. Il monitoraggio della PPE dovrebbe essere basato sui controlli ematochimici più opportuni in base alle caratteristiche farmacologiche e di tossicità dei singoli farmaci utilizzati, così come previsto dalle schede tecniche e dai foglietti illustrativi. E' comunque consigliabile effettuare sempre esami ematochimici al tempo zero ed ogni 15 giorni per tutta la durata del trattamento e, in caso di valori alterati, 15 giorni dopo la sospensione del trattamento. Visite specialistiche

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TAGETE 2-2007 Anno XIII

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infettivologiche al fine di valutare eventuali effetti collaterali e supportare l’aderenza dell’operatore esposto al regime scelto.

Il follow up prevede il test per la ricerca degli anticorpi anti-HIV al tempo zero e successivamente a 6 settimane, 3 e 6 mesi. L’operatore esposto deve essere informato dei sintomi suggestivi di infezione acuta da HIV.

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