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LA GESTIONE DI AFFARI ALTRUI TRA FUNZIONE SOLIDARISTICA E INTERESSI EGOISTICI

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INDICE

PREMESSA ... 4

CAPITOLO PRIMO

FONDAMENTO, ORIGINE STORICA

E INQUADRAMENTO GIURIDICO DELL’ISTITUTO

1. Il fondamento della gestione di affari altrui: considerazioni ge-nerali ... 10 2. La radice storica dell’istituto nel diritto romano ... 15 3. La negotiorum gestio come quasi-contratto: cenni alla di-sciplina del Code Napoléon e del codice civile italiano del 1865 ... 19 4. La natura giuridica dell’istituto nel codice civile vigente .... 23

CAPITOLO SECONDO

LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE VIGENTE

1. Gli elementi costitutivi della gestione di affari altrui: profili ge-nerali ... 30 2. Segue. La spontaneità dell’intervento gestorio ... 33 3. Segue. L’animus aliena negotia gerendi, l’alienità dell’affare e l’absentia domini: cenni e rinvio ... 37 4. Segue. L’utiliter coeptum ... 39 5. Segue. La prohibitio domini ... 44 6. L'ambito di operatività della fattispecie: il contenuto dell’atti-vità gestoria ... 49 7. La capacità del gestore ... 56

(2)

8. Le obbligazioni del gestore: in particolare l’obbligo del gestore di continuare e di condurre a termine la gestione ... 62 9. Segue. Le obbligazioni del gestore derivanti dal mandato ... 66 10. Gli obblighi del dominus negotii. Gestione rappresentativa e non rappresentativa ... 74 11. Segue. Il rimborso delle spese. Il problema del diritto del ge-store ad un compenso ... 78 12. La ratifica dell’interessato: presupposti ed effetti giu-ridici ... 81

CAPITOLO TERZO

L’ANIMUS ALIENA NEGOTIA GERENDI

1. L’essenzialità dell’animus aliena negotia gerendi nella rico-struzione dottrinale e giurisprudenziale tradizionale ... 88 2. Il superamento dell’esclusivo fondamento solidaristico dell’istituto e le sue ricadute pratiche: la concorrenza di interessi e il rilievo giuridico dell’attività gestoria ... 94 3. Segue. La gestione animo depraedandi e la funzione rimediale dell’istituto ... 98

CAPITOLO QUARTO

L’ALTRUITÀ DELL’AFFARE

1. Le principali problematiche sull’altruità dell’affare ... 103 2. Affare ‘altrui’ e affari ‘comuni’: la giurisprudenza sulla

com-patibilità delle norme sull’amministrazione della cosa comune con la gestione di affari ... 109 3. Segue. Cass. Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135: è gestione di affari la locazione della cosa comune stipulata da parte del singolo comproprietario ... 112

(3)

CAPITOLO QUINTO

L’ABSENTIA DOMINI

1. La concezione tradizionale dell’absentia domini come assenza

materiale dell’interessato ... 122

2. L’interpretazione estensiva del requisito in giurispru-denza ... 124

3. Segue. La dottrina sulla nozione ‘allargata’ di absentia do-mini ... 127

CONCLUSIONI ... 131

BIBLIOGRAFIA ... 139

(4)

PREMESSA

Uno dei valori fondanti del nostro ordinamento giuridico è rap-presentato dal c.d. canone di intangibilità delle sfere giuridiche indivi-duali, che mira a preservare la libertà di autoregolamentazione del sin-golo rispetto alle ingerenze altrui; tale principio ispira tutti i campi della vita della persona, compreso il diritto privato, in cui tuttavia non vi è alcuna traccia di una sua espressa codificazione, probabilmente poiché si tratta di un postulato intrinsecamente, ma non esclusivamente norma-tivo.

Il contenuto di questa regola peraltro si specifica in due distinti corollari tra loro intimamente connessi e correlati: da un lato, quello in base al quale si assume che il migliore arbitro nella conduzione dei pro-pri affari, fin tanto che non si vengano a determinare situazioni di inca-pacità, sia sempre e comunque da individuare nel titolare e, quindi, ogni modificazione, che intervenga nella sua sfera giuridica, deve trovare la sua giustificazione in un suo atto volitivo o direttamente nella legge; da altro lato, tale regola implica che i terzi estranei siano tenuti ad un do-vere di astensione o meglio di non interferenza nella sfera di autorego-lamentazione riservata al singolo1.

Premesso quanto sopra, l’ingerenza di una persona nella sfera giuridica altrui, ove non sia autorizzata in via preventiva sulla base di un titolo convenzionale o legale, lede l’autonomia riservata dall’ordi-namento a ogni soggetto2, ma talvolta l’intervento non richiesto può

consentire di provvedere alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che altrimenti rischierebbero di essere trascurati (con conseguenze non di rado nocive per i terzi o per la collettività).

1 Cfr. sul punto R. PANE, Solidarietà sociale e gestione di affari altrui, Napoli, 1996,

32.

2 L’illiceità dell’ingerenza non autorizzata nella sfera giuridica altrui è compendiata

nella celebre regula “culpa est immiscere se rei ad se non pertinenti” riportata nel Digesto giustinianeo (Pomp. 27 ad Sab. D. 50,17,36).

(5)

L’intromissione non autorizzata nella sfera giuridica altrui può essere qualificata, a seconda delle circostanze, come un fatto illecito, come un evento neutro destinato ad assumere un diverso rilievo a se-conda dei risultati economici dell’attività oppure come un’iniziativa, oltre che legittima, rispondente a una finalità meritevole di tutela. Nella prima ipotesi l’ingerenza può essere fonte di un’obbligazione di risar-cimento del danno (art. 2043 c.c.); nella seconda, di un indennizzo rien-trante nell’ampia previsione del divieto di arricchirsi senza giusta causa (art. 2041 c.c.); nella terza, purché effettivamente esistano le condizioni per una valutazione positiva dell’ingerenza anche a prescindere dal ri-sultato dell’attività, trova piena applicazione la disciplina prevista nel codice civile vigente sotto il titolo VI del libro IV rubricato “Della ge-stione di affari” (artt. 2028-2032 c.c.)3.

Il presente lavoro si occupa specificamente della gestione di af-fari altrui, classificata dal legislatore del 1942 tra le fonti produttive di obbligazioni diverse dal contratto e dal fatto illecito e quindi rientrante nella categoria residuale di “ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 c.c.). Questo istituto deroga senza dubbio al principio, che attribuisce al soggetto titolare la competenza esclusiva a regolare i propri interessi, essendo fondato sulla ‘spontaneità’ dell’intervento del gestore; questa deroga tuttavia trova una giustificazione giuridicamente rilevante, come avremo modo di constatare, nel fondamento solidaristico, che tra-dizionalmente informa di sé l’istituto: alla base della gestione di affari altrui vi è infatti un’esigenza di ordine sociale, diretta sia ad evitare che l’impossibilità di tutelare i propri interessi, in cui venga eventualmente a trovarsi un soggetto, causi un arresto della sua attività giuridica, sia a salvaguardare il più ampio interesse della collettività ad evitare l’inutile dispersione della ricchezza.

3 La distinzione tra le possibili conseguenze, che derivano da un’ingerenza negli

af-fari, altrui è prospettata nei termini esposti nel testo da U. BRECCIA, La gestione di

(6)

Al fine di impostare correttamente la ricerca, occorre premettere che questa esigenza di solidarietà sociale non è avvertita allo stesso modo in ogni momento storico e ciò ha comportato una differente espansione del nostro istituto nel corso delle varie epoche.

L’istituto trova la sua origine, come vedremo, nel diritto ro-mano, ove, proprio per le ragioni che abbiamo anticipato, si inizia a ritenere che l’ingerenza negli affari altrui non può essere sempre consi-derata alla stregua di un atto illecito, specie quando l’intervento del ge-store sia giustificato dall’urgenza e dall’impossibilità del proprietario di provvedere personalmente alla cura dei propri affari. Nel periodo ro-mano preclassico e classico, peraltro, la determinazione dei presupposti della gestione è il prodotto della riflessione dei giuristi, che vi provve-dono con rigore tecnico al fine di precisare casisticamente l’ambito di applicazione delle actiones negotiorum gestorum. Il diritto giustinianeo introduce, come avremo modo di constatare, significativi profili di no-vità: si viene affermando, probabilmente per ragioni di opportunità pra-tica, una figura di negotiorum gestio strutturalmente indeterminata, dai requisiti interpretati in senso estensivo, che gradualmente confluisce nel più vasto ambito dell’arricchimento ingiustificato.

La configurazione giustinianea della gestione di affari, inqua-drata nella categoria delle “obligationes quae quasi ex contractu nasci

videntur” (I. 3,27 pr.) e incentrata sul fatto ‘oggettivo’ della gestione,

piuttosto che sul requisito ‘soggettivo’ dell’animus aliena negotia

ge-rendi, viene recepita nel diritto intermedio e consente all’istituto di

ri-vestire un ruolo importante fino alla codificazione napoleonica, quando l’ideologia individualistica all’epoca imperante – che porta il legisla-tore a costruire un sistema normativo ispirato alla tutela della sovranità del proprietario nella cura dei propri affari – ne determina il declino.

Verso la fine del XIX secolo il nostro istituto tuttavia riacquista rilevanza, oltre che “per ragioni filosofiche, legate alla morale repub-blicana della solidarietà, per ragioni pratiche, connesse ad una pretesa

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elasticità della figura, la quale per sua natura avrebbe favorito soluzioni nuove basate sull’equità”4: la nuova fortuna della gestione di affari è

peraltro strettamente dipendente dalla mancanza dell’espressa previ-sione legislativa di un rimedio generale contro l’ingiustificato arricchi-mento; così se di vitalità si vuol parlare, si tratta di una “vitalità fitti-zia”5, in quanto l’istituto svolge, in questo momento storico, una

fun-zione diversa da quella per cui era nato, in quanto risponde alla neces-sità di colmare una lacuna del sistema.

L’introduzione dell’azione di arricchimento senza causa nel co-dice civile vigente, se da un lato ha consentito alla negotiorum gestio di recuperare la propria originaria dimensione soggettiva, dall’altro ha ri-dotto sensibilmente l’ambito di applicazione del nostro istituto, confi-nandolo in zona d’ombra dalla quale non sembra più capace di uscire. Fatta infatti eccezione per la parentesi relativa al periodo post-bellico, in cui l’istituto registra un particolare sviluppo, la gestione di affari al-trui sembra attualmente aver perso vitalità, dato questo che peraltro è stato ampiamente rilevato da una parte della dottrina, la quale non ha esitato a parlare di “crisi e decadenza della negotiorum gestio”6. Ma, se

così stanno le cose, dovremmo forse concludere che la gestione di affari altrui è destinata gradualmente a scomparire?

Preso atto dei termini della questione, la presente ricerca si pro-pone l’obiettivo di verificare se il presupposto declino della gestione di affari altrui trovi riscontro nella dottrina e nella giurisprudenza più re-cente e al contempo di indagare quale sia oggi il concreto spazio appli-cativo del nostro istituto, anche alla luce del fatto che la rapidità e

4 Ancora U. BRECCIA, op. ult. cit., 863. 5 Così U. BRECCIA, op. ult. cit., 863 s.

6 V. in particolare L. ARU, Della gestione di affari, in Commentario del Codice

Ci-vile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, IV. Delle obbligazioni, Bologna - Roma, 1981,

2, che già nel 1981 rilevava come nel decennio 1958-1968 la giurisprudenza delle magistrature superiori avesse avuto occasione di occuparsi della negotiorum gestio solo nove volte. Sul punto cfr. anche U. BRECCIA, op. ult. cit., 889, il quale osserva che “nel tempo in cui viviamo si può dubitare della diffusione di una nuova sensibilità giuridica per le iniziative che, seppure dettate da intenti altruistici, comportino un’in-gerenza nella sfera privata di altri soggetti”.

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l’efficienza dei mezzi di trasporto e di comunicazione offerti dalla tec-nologia moderna riduce quasi a zero i casi nei quali qualcuno, ancorché assente, non sia in grado di curare a distanza i propri affari.

Per conferire peraltro al lavoro maggiore completezza, innanzi-tutto approfondiremo nel cap. I la configurazione tradizionale della

ne-gotiorum gestio incentrata sulla sua funzione solidaristica; indagata

quindi l’origine storica dell’istituto nell’esperienza giuridica romana, accenneremo alla qualificazione dell’istituto come “quasi-contratto” nel codice napoleonico e nel codice civile del 1865; nella parte finale del capitolo, si affronterà poi la delicata questione della natura giuridica dell’intervento gestorio in termini di fatto, atto o negozio giuridico.

Il cap. II avrà ad oggetto l’analisi della disciplina della gestione di affari nel codice civile vigente (artt. 2028-2032 c.c.), con particolare riguardo agli elementi costitutivi dell’istituto, al suo ambito di operati-vità, alla capacità di contrattare richiesta al soggetto agente, alle obbli-gazioni che derivano dalla fattispecie gestoria in capo al gestore e al

dominus negotii, nonché all’istituto della ratifica.

La parte restante della trattazione (capp. III-V) si occuperà spe-cificamente di alcuni requisiti dell’istituto, al fine di verificare la portata e l’attendibilità dei più recenti orientamenti dottrinali e giurispruden-ziali diretti, come vedremo, ad attualizzare e rivitalizzare l’istituto, in-dividuandone nuovi ambiti applicativi.

Il cap. III sarà dedicato, in particolare, all’animus aliena negotia

gerendi, che giustifica il tradizionale fondamento solidaristico

dell’in-tervento gestorio, nonché ai tentativi ricostruttivi diretti al suo supera-mento e alle relative ricadute pratiche (concorrenza di interessi e ge-stione ‘animo depraedandi’).

Nel cap. IV, relativo all’altruità dell’affare, analizzeremo la de-licata questione dell’estensione della fattispecie gestoria all’ipotesi in cui il gestore agisca per un ‘affare comune’, dedicando particolare at-tenzione ad una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione

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(Cass. Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135) in materia di locazione della cosa comune da parte del singolo comproprietario.

Il cap. V tratterà infine della c.d. absentia domini, che vedremo qualificata tradizionalmente come impossibilità del dominus di provve-dere personalmente ai propri affari e in tempi più recenti come mera mancanza di opposizione dell’interessato all’intervento gestorio.

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CAPITOLO PRIMO

FONDAMENTO, ORIGINE STORICA

E INQUADRAMENTO GIURIDICO DELL’ISTITUTO

SOMMARIO: 1. Il fondamento della gestione di affari altrui: considerazioni gene-rali. – 2. La radice storica dell’istituto nel diritto romano. – 3. La negotiorum

ge-stio come quasi-contratto: cenni alla disciplina del Code Napoléon e del codice civile

italiano del 1865. – 4. La natura giuridica dell’istituto nel codice civile vigente.

1. Il fondamento della gestione di affari altrui: considerazioni generali. L’istituto della gestione di affari altrui presenta una disciplina che, complessivamente intesa, riflette la tensione presente nell’ordina-mento giuridico fra due opposte esigenze: da un lato, quella diretta alla salvaguardia delle sfere giuridiche individuali rispetto alle intromis-sioni non autorizzate, da altro lato, quella volta ad incoraggiare inge-renze altruistiche dettate da ragioni etico-sociali e che appaiono social-mente utili7.

Alla luce del criterio di intangibilità delle sfere giuridiche indi-viduali – che, se pure non espressamente codificato, sembra rinvenire importanti tracce in varie disposizioni normative – si ritiene che il mi-gliore arbitro nella conduzione dei propri affari sia sempre da indivi-duare nel titolare e che i terzi estranei siano tenuti ad un dovere di non

7 Si tratta di un rilievo condiviso dalla dottrina prevalente: si vedano, tra gli altri, A.

DE BERNARDINIS, Gestione d’affari altrui, in Commentario del Codice civile di-retto da M. D’Amelio ed E. Finzi, III. Libro delle obbligazioni, Firenze, 1949, 150; G. DE SEMO, voce Gestione di affari altrui (Diritto vigente), in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1965, 814; M. CASELLA, voce Gestione di affari, 1) Diritto civile, in Enc.

giur. Treccani, Roma, 1989, 1 e, più di recente, G. NATALE, La gestione di affari altrui, in Il Contratto. Trattato teorico-pratico, a cura di P. Fava, Milano, 2012, 534

s.; I. GARACI, La gestione di affari altrui. Artt. 2018-2032, in Commentario del

Co-dice civile già diretto da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2018,

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interferenza nella sfera di autoregolamentazione riservata al singolo8.

L’ingerenza negli affari altrui, ove non sia autorizzata in via preventiva sulla base di un titolo legale o convenzionale, integra quindi gli estremi di un atto illecito,in coerenza alla antica regula ulpianea “culpa est

im-miscere se rei ad se non pertinenti”9.

Questo fondamentale principio, su cui si fonda il nostro ordina-mento giuridico, può subire tuttavia eccezioni ogniqualvolta si configu-rino situazioni in cui il diretto interessato non sia in grado di provvedere personalmente ai propri affari, in modo tale da evitare che l’impossibi-lità, in cui eventualmente si trovi il dominus, causi un arresto della sua attività giuridica10 (si pensi al caso di un vicino che, nell’assenza del

proprietario, si curi di nutrire i suoi animali oppure faccia effettuare ri-parazioni urgenti). È in tale ambito che trova specifica operatività l’isti-tuto della gestione di affari altrui, il quale peraltro trascende l’interesse individuale dei singoli, essendo conforme all’interesse della collettività che taluno si curi della conservazione dei beni altrui al fine di evitare l’inutile spreco di risorse: infatti, è sicuramente meglio consentire ge-stioni utili sui beni altrui piuttosto che considerare tout court illecito qualunque tipo di intromissione11.

Alla luce di tali considerazioni, qualora l’intervento non richie-sto consenta di tutelare interessi giuridicamente rilevanti, che altrimenti rischierebbero di essere trascurati, ed esistano le condizioni per una va-lutazione positiva dell’ingerenza, trova piena applicazione l’istituto della gestione di affari altrui, che determina la produzione di effetti

8 Sul punto si veda R. PANE, Solidarietà sociale, cit., 32. 9 Pomp. 27 ad Sab. D. 50,17,36.

10 Da qui l’esigenza di una regolamentazione che prescinda dalla volontà del titolare,

sebbene autorevole dottrina abbia opportunamente precisato che “attraverso la ge-stione di affari altrui non si attua una sottrazione, in ordine a determinati interessi, della competenza dispositiva riservata al soggetto titolare, bensì una sostituzione in relazione a quella particolare situazione nella quale si inquadra l’attività gestoria”: così S. FERRARI, voce Gestione affari altrui (Diritto civile), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 646.

11 Sul punto, in particolare, P. GALLO, voce Gestione di affari altrui, in Dig. disc.

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giuridici nella sfera patrimoniale del gestore e del dominus negotii. In particolare, l’efficacia giuridica dell’atto gestorio nei confronti del tito-lare dell’affare è ricollegata dalla legge alla sussistenza dell’utilità ini-ziale della gestione (c.d. utiliter coeptum), requisito questo che costitui-sce sia la ragione giustificativa dell’ingerenza non autorizzata, sia il presupposto necessario per l’operatività della gestione nei confronti dell’interessato12.

L’istituto in esame rappresenta, dunque, una “deroga giustifi-cata al principio culpa est immiscere se rei ad se non pertinenti”13,

so-prattutto qualora si consideri che la dottrina prevalente ravvisa nella ge-stione di affari altrui un primario fondamento solidaristico14, che si

de-sume – come avremo modo di vedere più approfonditamente nel pro-sieguo della ricerca – dalla spontaneità del comportamento del soggetto agente, comportamento che non costituisce oggetto di una preventiva obbligazione, e soprattutto dalla consapevolezza del gestore di porre in essere un’attività che riguarda la sfera giuridica altrui e non propria (c.d.

animus aliena negotia gerendi).

Peraltro, in considerazione del fatto che il nostro istituto non si limita ad una tutela di interessi puramente individuali, occorre altresì precisare che l’esigenza di solidarietà sociale rileva sotto il duplice pro-filo di attività posta in essere ora a vantaggio dell’interessato ora, in via diretta o indiretta, a vantaggio di terzi determinati o della collettività15.

12 Così R. PANE, Solidarietà sociale, cit., 39, la quale precisa che “a tale soluzione

giunge quella parte della dottrina che è propensa a considerare l’utilità non come ele-mento strutturale della fattispecie, ma quale condicio iuris alla quale ricollegare la produzione degli effetti che da questa discendono”. Per i relativi riferimenti biblio-grafici v. infra, cap. 2, § 1.

13 In tal senso F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, V, Milano,

1958, 495.

14 Dei sostenitori del fondamento solidaristico della gestione di affari si vedano, in

particolare, G. DE SEMO, voce Gestione di affari altrui, cit., 814; ID., La gestione di

affari altrui nella teoria e nella pratica, Padova, 1958, 25 ss.; R. PANE, Solidarietà sociale, cit., 45 ss.; U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 861 s.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III. Il contratto, Milano, 2000, 146; U. BRECCIA - L. BRUSCUGLIA

E ALTRI, Diritto privato2, II, Milano, 2013, 425, ove si parla di un “diritto

dell’al-truismo o della solidarietà”; I. GARACI, La gestione d’affari altrui, cit., 39 s.

15 A tal riguardo S. FERRARI, voce Gestione affari altrui, cit., 646, precisa che la

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A questo proposito rileva il riferimento all’art. 2 Cost., che ri-conosce la solidarietà sociale quale valore fondante l’ordinamento giu-ridico italiano e che, per quanto specificamente ci interessa, consente di cogliere la ‘capacità espansiva’ della gestione di affari altrui, ricom-prendendovi non solo affari di natura economica, ma anche azioni di-rette alla realizzazione dei valori della persona. Il collegamento tra so-lidarismo e personalismo sostituisce così alla logica dell’indifferenza quella della cooperazione giuridica16, rendendo lecita, anzi meritevole

di tutela, l’ingerenza del terzo che spontaneamente si impoverisce per conto di chi non possa provvedere ai propri interessi, a condizione che ovviamente non risulti oltremodo pregiudicata la sfera giuridica del soggetto gerito.

Più recentemente, tuttavia, l’esclusiva giustificazione solidari-stica dell’intervento gestorio è stata messa in discussione da una parte minoritaria della dottrina17, che ritiene che la gestione di affari altrui sia

del tutto compatibile con un intento di lucro del gestore. Secondo tale orientamento, l’istituto in esame dovrebbe ritenersi applicabile non solo quando l’ingerenza del soggetto agente nell’altrui sfera giuridica sia stata intrapresa ‘altruisticamente’, ma anche quando essa sia stata intra-presa ‘egoisticamente’18.

Come avremo modo di evidenziare nel seguito della tratta-zione19, l’applicazione della fattispecie gestoria comporta infatti la

re-stituzione da parte del gestore delle utilità ricavate dal compimento

all’interesse privato, ma costituisce il risultato di una composizione di questi inte-ressi”.

16 Sul punto v. R. PANE, Solidarietà sociale, cit., 47 ss.

17 Degli autori, che criticano la tradizionale funzione solidaristica sottesa alla gestione

di affari altrui, si segnalano P. SIRENA, La gestione di affari altrui. Ingerenze

altrui-stiche, ingerenze egoistiche e restituzione del profitto, Torino, 1999, 3 ss., 65 ss., 432

ss.; ID., La gestione di affari altrui, in Diritto civile diretto da N. Lipari e P. Rescigno, III. Obbligazioni, I. Il rapporto obbligatorio, Milano, 2009, 460 ss.; S. TOMMASI,

Note in tema di gestione di affari altrui, in I contratti, 12, 2010, 1168; D. MAFFEIS, Della gestione di affari, in Commentario del codice civile, a cura di E. Gabrielli,

To-rino, 2015, 9 ss.

18 Così argomenta P. SIRENA, La gestione di affari altrui. Ingerenze altruistiche, cit.,

432.

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dell’affare e tale specifica funzione restitutoria dell’istituto emerge, a maggior ragione, quando l’intromissione nell’altrui sfera giuridica sia animata da un intento speculativo (c.d. animus daepredandi). Peraltro, è proprio in questi casi che l’istituto può svolgere finalità preventive e deterrenti in relazione alla commissione di atti illeciti20, che non

pos-sono essere attuate attraverso i semplici rimedi risarcitori21.

Secondo quest’ultimo orientamento dottrinale, il fondamento della gestione di affari altrui sembra quindi che sia da individuare, piut-tosto che nell’intento solidaristico del soggetto agente, nella tutela della libertà di autodeterminazione del soggetto gerito, la cui sfera giuridica sia esposta, indipendentemente dalla sua volontà, all’esercizio di un po-tere di fatto da parte di un altro soggetto22.

In conclusione, indipendentemente dalla interpretazione che si voglia preferire in ordine al fondamento giuridico della fattispecie ge-storia, è opportuno sottolineare che, ora valorizzandone, ora superan-done la funzione solidaristica, è possibile attualizzare e rivitalizzare un istituto di antica tradizione.

È quindi necessario – a questo punto della trattazione – riper-correre brevemente l’evoluzione storica della gestione di affari altrui, che affonda le sue origini nel diritto romano, al fine di comprendere se lo spirito altruistico del gestore che, secondo la dottrina tradizionale, caratterizza la configurazione moderna dell’istituto, trovi riscontro an-che nelle fonti antian-che.

20 Così I. GARACI, La gestione d’affari altrui, cit., 46.

21 A questo proposito P. SIRENA, La gestione di affari altrui. Ingerenze altruistiche,

cit. 432., evidenzia che, a differenza dell’istituto di cui si tratta, “tanto il risarcimento del danno, quanto la restituzione dell’arricchimento senza causa, sono finalizzati esclusivamente a reintegrare il patrimonio del soggetto tutelato nella sua originaria consistenza, ma non ricomprendono l’eventuale profitto del soggetto agente”.

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2. La radice storica dell’istituto nel diritto romano.

La gestione di affari altrui, come si è già accennato, affonda le sue origini nel diritto romano: in particolare, ad essa dedica specifica attenzione la compilazione giustinianea, anche se i riferimenti testuali non sono sempre coerenti l’uno con l’altro a causa del travagliato pro-cesso evolutivo dell’istituto23.

La gestione di affari altrui, nella configurazione divenuta tradi-zionale di ‘intromissione spontanea’ negli affari appartenenti ad altri, emerge con chiarezza dalla trattazione ad essa dedicata dalle Istituzioni imperiali24: in tale contesto espositivo la negotiorum gestio risulta

in-quadrata nella categoria delle “obligationes quae quasi ex contractu

na-sci videntur”25, che comprende unitariamente rapporti generatori di obligationes, ma basati non su una conventio fra le parti (e quindi non

classificabili fra i contractus), bensì su un atto unilaterale; tale categoria fa parte della quadripartizione giustinianea delle fonti delle obbliga-zioni in contratti, delitti, obbligaobbliga-zioni quasi ex contractu e obbligaobbliga-zioni

quasi ex delicto26.

Occorre altresì ricordare che la classificazione giustinianea delle fonti delle obbligazioni costituisce il superamento della tripartizione at-testata in un famoso passo delle Res cottidianae27, la quale suddivideva

23 Così A. CENDERELLI, La ‘negotiorum gestio’. Corso esegetico di diritto romano,

I, Torino, 1997, 50.

24 I. 3,27,1. 25 I. 3,27 pr.

26 A questo proposito A. CENDERELLI, La ‘negotiorum gestio’, cit., 60 s., precisa

che Giustiniano non parla mai di quasi contractus (espressione diffusasi nel Medioevo e che è alla base del termine italiano quasi-contratto), bensì usa la locuzione “quasi

ex contractu (nascuntur)”, che potrebbe tradursi “come se fosse stato concluso un

contratto”: il che è come dire che un contratto non vi è stato, ma vi è stato qualcosa – un atto o un fatto giuridico – che, come un contratto, ha creato un’obbligazione.

27 D. 44,7,1 pr. (Gai. 2 aureor.). Relativamente alle Res cottidianae (sive Aurea) vi è

da ricordare che questa opera di per sé costituisce da sempre un problema storico per ciò che riguarda la effettiva attribuibilità al giurista Gaio e l’effettiva epoca di stesura. In senso contrario rispetto alla tesi tradizionale (v., per tutti, V. ARANGIO-RUIZ,

Istituzioni di diritto romano14, Napoli, 1980, 293 s.), che considerava le Res

cottidia-nae un’operetta apocrifa della prima età postclassica, la prevalente dottrina

romani-stica più recente (v., ad esempio, A. CENDERELLI, La ‘negotiorum gestio’, cit., 51 s.; M. TALAMANCA, Elementi di diritto privato romano, Milano, 2001, 261; G. PUGLIESE - F. SITZIA - L. VACCA, Istituzioni di diritto romano, Torino, 2012,

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le causae obligationum in contratti, maleficia (cioè fatti illeciti) e variae

causarum figurae, queste ultime probabilmente unificate da un

ele-mento negativo, ovvero dall’impossibilità di inquadrare le eterogenee fonti obbligatorie in essa ricomprese fra i contratti o fra i fatti illeciti28,

e in questa terza categoria di fonti si faceva appunto rientrare anche la

negotiorum gestio29.

Al di là dell’inquadramento sistematico dell’istituto – certa-mente utile anche per comprendere la qualificazione giuridica della ge-stione di affari sia nel codice civile italiano del 1865 sia nel codice ci-vile vigente30 – occorre accennare brevemente alla trattazione riservata

dalle Istituzioni imperiali alla negotiorum gestio.

Innanzitutto, la situazione presa in considerazione è la gestione di affari di un assente, che rileva senza alcun riferimento al mandato, a testimonianza della progressiva autonomia acquisita dal nostro istituto nel diritto giustinianeo31.

313) condivide l’origine classica dell’opera, ritenendola una sorta di riedizione, più o meno ampliata, delle Institutiones di Gaio (quindi composta anch’essa nel II d.C.), sebbene ne sia tuttora controversa l’integrale paternità gaiana.

28 Cosi, A. CENDERELLI, La ‘negotiorum gestio’, cit., 61, il quale ricollega il

supe-ramento della tripartizione delle Res cottidianae alla necessità di mettere ordine all’in-terno di una categoria (quella delle variae causarum figurae), che comprendeva ipo-tesi di obbligazioni di origine lecita e ipoipo-tesi – che Giustiniano collocherà fra i quasi-delitti – connesse alla violazione di regole comportamentali, ma non direttamente in-quadrabili nella categoria dei delicta.

29 D. 44,7,5 pr. (3 aureor.)

30 V. infra, in questo capitolo, §§ 3 e 4.

31 A questo proposito è opportuno, da un lato, sottolineare la differenza rispetto al

passo delle Res cottidianae nel quale, una volta distinta l’ipotesi di colui che operi in base ad un mandato ricevuto, da quella in cui l’intervento sia spontaneo, si attribui-vano al mandato e all’intervento gestorio spontaneo le medesime conseguenze giuri-diche; da altro lato, vi è da ricordare che la netta separazione attestata nelle Istituzioni giustinianee tra gestione di affari altrui e mandato, incentrata sulla mancanza nella prima dell’accordo tra le parti, presente invece nel secondo, rappresenta il punto di arrivo di un complesso percorso interpretativo, la cui ricostruzione si interseca anche con la spinosa questione dei rapporti tra mandato e procura. Trattandosi di temi, il cui approfondimento non attiene all’oggetto di questo lavoro, basti ricordare il risultato finale di questo processo evolutivo, come risulta fotografato nelle Istituzioni impe-riali: per un verso, il mandato generale viene a sovrapporsi alla procura, inglobandola, per altro verso, tale contratto si separa nettamente dalla negotiorum gestio, la cui

causa consiste oramai nell’atto unilaterale dell’effettiva gestione. Su questi profili

cfr., tra i molti, M. TALAMANCA, Elementi, cit., 315 s.; G. PUGLIESE - F. SITZIA - L. VACCA, Istituzioni, cit., 348; A. PETRUCCI, Lezioni di diritto privato romano, Torino, 2015, 290 s.

(17)

In secondo luogo, si precisa che tra il gestore e il dominus

nego-tii sorgono vicendevolmente le actiones negotiorum gestorum e che

l’actio directa spetta al primo, mentre quella contraria al secondo. Nella parte successiva del passo troviamo il riferimento alla

uti-litas dell’istituto, che giustifica la liceità del comportamento di chi

as-sume l’amministrazione di affari altrui e l’insorgere di reciproche ob-bligazioni al di fuori di una fattispecie contrattuale. Nello specifico l’in-tento solidaristico dell’intervento gestorio è incentivato tramite la con-cessione al gestore dell’azione per il rimborso delle spese utiliter soste-nute, e questi a sua volta è tenuto a rendere il conto dell’amministra-zione “ad exactissimam diligentiam”.

La dottrina romanistica32 ritiene, pressoché concordemente, che

il modello di negotiorum gestio delineato dal diritto giustinianeo, e che si risolve essenzialmente, come si è appena evidenziato, nella gestione ‘spontanea’ di affari altrui, non corrisponda alla configurazione origi-naria dell’istituto.

Infatti, in età repubblicana è fondato ritenere che un’actio

nego-tiorum gestorum, probabilmente in ius concepta33 (che dava luogo ad

un iudicium bonae fidei), trovasse applicazione nella rappresentanza processuale, nei rapporti derivanti dai vari tipi di curatela (dalle più an-tiche figure della cura furiosi e della cura prodigi, a quelle più recenti, tra le quali assume importanza preponderante la cura minorum) e so-prattutto per regolare i rapporti fra procurator omnium bonorum e prin-cipale.

32 V., ad esempio, V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, cit., 358; G. NICOSIA, voce

Ge-stione di affari altrui (Premessa storica), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 628 ss.;

A. CENDERELLI, La ‘negotiorum gestio’, cit., 93 ss. con ampia rassegna testuale; M. TALAMANCA, Elementi, cit., 315 s.; A. PETRUCCI, Lezioni, cit., 291.

33 La dottrina romanistica ha vivacemente discusso sul rapporto cronologico tra

l’ac-tio in ius e l’acl’ac-tio in factum e il relativo ambito di applicazione: su questa delicata

questione si veda per tutti, da ultimo, G. FINAZZI, Ricerche in tema di ‘negotiorum

gestio’. I. Azione civile e azione pretoria, Roma, 1999 con approfondita analisi di

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È soltanto sul finire della Repubblica che probabilmente fu pre-vista nell’editto pretorio un’actio negotiorum gestorum in factum

con-cepta a tutela delle fattispecie di intervento gestorio spontaneo

nell’in-teresse di un assente (i giuristi classici fanno riferimento a titolo esem-plificativo al caso di chi puntellasse spontaneamente l’edificio altrui pe-ricolante o curasse lo schiavo ammalato).

Dopo aver analizzato, in termini generali, il profilo strutturale della negotiorum gestio e l’ambito di applicazione delle actiones

nego-tiorum gestorum, occorre soffermarsi sui requisiti dell’istituto, ai quali

le fonti giurisprudenziali classiche dedicano interessanti riferimenti, an-che se occorre precisare an-che la riflessione dei prudentes è diretta, non già alla loro definizione teorica, bensì a determinare casisticamente ap-punto l’ambito di applicazione delle actiones negotiorum gestorum.

Viene in considerazione, innanzitutto, il requisito della ogget-tiva utilità della gestione intrapresa spontaneamente; questa era fonte di obbligazioni solo in presenza di tale requisito dell’utilità, che tuttavia andava valutata al momento dell’intervento (c.d. utiliter coeptum), in-dipendentemente dal conseguimento o meno dell’effettivo risultato.

Un altro requisito è rappresentato dall’animus aliena negotia

gerendi, che consiste nella intenzione del gestore di operare

nell’inte-resse altrui, la cui classicità è da sempre discussa dagli studiosi. A que-sto proposito vi è da accennare alla disputa tra il Partsch e il Riccobono: il primo autore34 riteneva che i giuristi classici avessero elaborato un

concetto di negotiorum gestio caratterizzato esclusivamente dal punto di vista oggettivo – ovvero dal semplice fatto della gestione di un affare obiettivamente appartenente alla sfera giuridica altrui – non richie-dendo l’animus aliena negotia gerendi per l’integrazione della

34 J. PARTSCH, Studien zur ‘negotiorum gestio’, I, Heidelberg, 1937, 37 ss.; in senso

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fattispecie35 (c.d. teoria oggettiva); in senso contrario, il Riccobono36

sosteneva la classicità del requisito in questione e ipotizzava che i giu-stinianei ritenessero integrata la fattispecie gestoria anche in difetto dell’animus, purché vi fosse l’alienità dell’affare (c.d. teoria sogget-tiva).

In conclusione, vi è da evidenziare che l’ampio consenso otte-nuto dalla tesi del Riccobono37 porta a ritenere che i Compilatori siano

intervenuti sui requisiti, che caratterizzavano specificamente le azioni gestorie nel periodo preclassico e classico: il rimaneggiamento operato dai giustinianei, che risulta particolarmente evidente sotto il profilo dell’animus aliena negotia gerendi – requisito dal quale i bizantini sem-brano prescindere nella concessione dell’actio negotiorum gestorum – e dell’utiliter coeptum – difatti nel periodo giustinianeo al requisito dell’utilità iniziale si sostituisce quello dell’utilità effettiva della ge-stione (utiliter gestum) – determina l’indeterminatezza strutturale della fattispecie gestoria e il conseguente suo confluire nel più vasto ambito dell’arricchimento ingiustificato38.

3. La negotiorum gestio come quasi-contratto: cenni alla disciplina del Code Napoléon e del Codice civile italiano del 1865.

Il modello oggettivo di negotiorum gestio e il suo inquadra-mento sistematico nella categoria dei quasi-contratti, che emergono dal diritto giustinianeo, sono recepiti nel periodo intermedio e influenzano il dibattito culturale nell’età delle grandi codificazioni, in cui si

35 A detta dell’autore sarebbero stati quindi i bizantini a considerare l’animus requisito

essenziale della fattispecie gestoria.

36 S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, in AUPA, III-IV,

Palermo, 1917, 528 ss.; ID., La gestione degli affari altrui e l’azione di arricchimento

nel diritto moderno, in Riv. dir. comm., I, 1917, 369 ss.

37 Aderiscono alla concezione soggettiva, tra gli altri, G. SCADUTO - S. ORLANDO

CASCIO, voce Gestione d’affari altrui, in Nuovo dig. it., VI, Torino, 1938, 237; B. BIONDI, voce Gestione d’affari altrui, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1981, 811 s.; P. GALLO, voce Gestione di affari altrui, cit., 699 s.; da ultimo, G. FINAZZI,

Ricer-che in tema di ‘negotiorum gestio’. II.1 Requisiti delle ‘actiones negotiorum gesto-rum’, Cassino, 2003, 37 ss., 312 ss.

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accentua lo ‘stato di confusione’ fra l’istituto della gestione di affari altrui e quello dell’arricchimento ingiustificato.

Dal punto di vista sistematico, il Code Napoléon colloca la ge-stione di affari altrui (insieme al pagamento dell’indebito) nella catego-ria dei quasi-contratti39, che il legislatore francese si sforza di elaborare

sotto il profilo concettuale e dogmatico40: infatti, nel titolo “Delle

ob-bligazioni che si contraggono senza Convenzione”, troviamo un ampio articolo (art. 1379 Code Napoléon) nel quale il legislatore, dopo aver segnalato, come elemento unificante della categoria, quello dell’as-senza di un accordo, distingue tra le obbligazioni derivanti “dalla sola autorità della legge” (di cui sono forniti alcuni esempi) e le obbligazioni “connesse a un fatto personale dell’obbligato”, distinguendole nelle ca-tegorie dei quasi-contratti, delitti e quasi-delitti.

Dalla lettera del codice, tuttavia, non è chiaro se il legislatore abbia accolto la concezione oggettiva o quella soggettiva della

negotio-rum gestio, non essendo espressamente previsto l’elemento

intenzio-nale. Vi è da evidenziare piuttosto che risulta una certa confusione tra la gestione di affari altrui e l’azione di ingiustificato arricchimento41, la

cui mancata previsione codicistica determina la progressiva espansione della gestione di affari altrui, necessariamente ‘depurata’ dal tradizio-nale requisito dell’animus aliena negotia gerendi.

Nel corso del XIX secolo, quindi, la dottrina e la giurisprudenza francese, nella prospettiva di attuare il principio “nemo ex aliena

iac-tura locupletari debet”, accolgono la concezione oggettiva della

39 Art. 1371 Code Napoléon: I quasi-contratti sono fatti puramente volontari

dell’uomo, dai quali risulta un’obbligazione qualunque verso un terzo, e talvolta un’obbligazione reciproca delle due parti.

40 È noto che il Code Napoléon rappresenta il primo tentativo di cristallizzare in un

complesso unitario di norme tutto il diritto civile e ciò implica la necessità di ripro-porre normativamente principi, classificazioni e definizioni da cui l’interprete potesse prendere le mosse.

41 Infatti sembra emergere, quale elemento caratterizzante la gestione di affari altrui,

il criterio dell’utiliter gestum (anziché quello dell’utiliter coeptum), che è invece il presupposto dell’azione di arricchimento: così P. GALLO, voce I quasi-contratti, in

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negotiorum gestio: da ciò consegue che il nostro istituto acquisisce una

“vitalità in un certo senso fittizia”42, in quanto, piuttosto che perseguire

le finalità per cui era nato, viene piegato ad una funzione di “supplenza” rispetto all’azione di arricchimento ingiustificato, priva di una espressa disciplina normativa43.

Il Codice civile italiano del 1865, sulla falsariga del Code

Na-poléon, accoglie una classificazione delle fonti delle obbligazioni

com-prensiva del quasi-contratto, definendolo all’art. 1140 “un fatto volon-tario e lecito, dal quale risulta un’obbligazione verso un terzo o un’ob-bligazione reciproca tra le parti”, e vi inquadra la gestione di affari e il pagamento dell’indebito.

Vi è innanzitutto da osservare che tale disposizione pone fine alle dispute dottrinali sorte in merito all’esistenza della categoria del quasi-contratto, quale fonte unica di obbligazione, di cui la gestione di affari costituisce la species più significativa44: infatti, alla luce del

det-tato codicistico, risulta priva di fondamento la teoria di quanti sostene-vano che l’azione concessa al dominus contro il gestore (actio directa) e quella concessa al gestore contro il dominus (actio contraria) fossero due azioni indipendenti tra loro, ciascuna con una propria causa e base giuridica45.

Dall’art. 1140 c.c. 1865, così come dal successivo art. 1141 c.c. 1865, che disciplina specificamente la gestione di affari altrui, non emerge tuttavia chiaramente se tra i requisiti della gestione figuri o meno l’elemento intenzionale dell’animus aliena negotia gerendi. Una

42 U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 864.

43 C. AUBRY - C. RAU, Cours de droit civil francais4, IV, Parigi, 1871, § 441,

724-726, danno avvio al processo di differenziazione fra i due istituti: tali autori affermano che la gestione di affari altrui si caratterizza per la presenza dell’intenzione di gestire un affare altrui e che essa prescinde completamente dall’utilità effettiva della gestione (utiliter gestum), essendo sufficiente che essa sia stata utilmente intrapresa.

44 Si veda per tutti G. SCADUTO - S.O. CASCIO, voce Gestione di affari altrui, cit.,

238 s.

45 Fra i maggiori sostenitori di questa teoria (teoria c.d. eclettica): G. PACCHIONI, I

quasi-contratti e l’azione di arricchimento. Lezioni di diritto civile tenute nell’anno scolastico 1926-1927, Padova,1935, 15 ss.; ID., Della gestione di affari altrui se-condo il diritto romano civile e commerciale, Padova, 1953, 335.

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parte della dottrina, pertanto, ha tentato di fare chiarezza sul punto, os-servando che, se è vero che il riferimento alla “volontarietà” del fatto non implica necessariamente l’intenzione di obbligarsi e di obbligare l’altra parte (volontà delle conseguenze)46, la teoria soggettiva risulta

esatta per altre considerazioni: infatti, il legislatore, avendo regolato un solo tipo di responsabilità dell’interessato – precisamente la responsa-bilità che vede il dominus tenuto ad adempiere le obbligazioni contratte in suo nome dal gestore oppure a tenerlo indenne da quelle che quest’ul-timo ha personalmente assunto, indipendentemente dal verificarsi di un arricchimento – ha inteso riferirsi alla gestione c.d. pura, che presup-pone l’animus aliena negotia gerendi, per distinguerla dalla gestione c.d. impura, eseguita senza tale animus47; a conferma di ciò, si richiama

il riferimento al requisito della “liceità”, che esclude la gestione di affari fondata su un fatto illecito (ammessa invece secondo la teoria ogget-tiva)48.

Indipendentemente dalla fondatezza di tale orientamento dottri-nale, vi è tuttavia da constatare che nel Codice civile del 1865 si riscon-tra, come nel Code Napoléon, la mancata regolamentazione dell’istituto dell’arricchimento senza causa: perciò, per ovviare a tale lacuna, nelle decisioni giurisprudenziali si fa ampio ricorso alle actiones negotiorum

gestorum, sul semplice presupposto della gestione di un affare altrui, a

prescindere dalla presenza dell’animus.

È soltanto con l’introduzione dell’azione di ingiustificato arric-chimento nell’ambito del codice civile vigente che la gestione di affari altrui torna ad assumere la sua tradizionale configurazione soggettiva, come lascia intendere l’avverbio “scientemente” di cui all’art. 2028

46 Come insegna A. SCIALOJA, Le fonti delle obbligazioni, in Studi di diritto privato,

Roma, 1906, 55 s.

47 Se cosi non fosse il legislatore avrebbe dovuto regolare diversamente la

responsa-bilità dell’interessato nel caso di gestione c.d. impura: in tale ipotesi, infatti, il

domi-nus dovrebbe rispondere solo se si è verificato un arricchimento nel suo patrimonio,

e nei limiti di tale arricchimento.

48 Per una critica all’ammissibilità della teoria oggettiva secondo il Codice civile del

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c.c., che sembra rappresentare un chiaro riferimento all’animus aliena

negotia gerendi; ma, se dal punto di vista dogmatico il nostro istituto

riacquista una più specifica fisionomia e la configurazione risalente al periodo classico, nella pratica la progressiva affermazione dell’azione generale di arricchimento ingiustificato ha relegato la negotiorum

ge-stio in una “zona d’ombra”49, dalla quale, come vedremo più avanti, sta

tentando di uscire alla luce di recenti orientamenti dottrinali e giurispru-denziali.

4. La natura giuridica dell’istituto nel codice civile vigente.

La natura giuridica della gestione di affari altrui nel codice ci-vile vigente è questione centrale e largamente dibattuta in dottrina, coinvolgendo due specifici apparati concettuali tra loro strettamente collegati: quello della tassonomia delle fonti delle obbligazioni e quello relativo alla distinzione tra atto, fatto e negozio giuridico50.

Sotto il primo profilo può osservarsi che le classificazioni delle fonti delle obbligazioni già esaminate (dalle variae causarum figurae di Gaio, alla ripartizione giustinianea, quest’ultima comprensiva, come abbiamo visto, dei quasi-contratti e dei quasi-delitti, e recepita nelle co-dificazioni ottocentesche) mostrano l’insufficienza della mera alterna-tiva tra contratto e fatto illecito nel rappresentare compiutamente il fe-nomeno obbligatorio51. A conferma di ciò, il codice civile del 1942, da

un lato abolisce la categoria dei quasi-contratti, considerata “erronea” e

49 Tra gli autori che hanno parlato di crisi e decadenza della negotiorum gestio si

ve-dano, tra gli altri, G. DE SEMO, voce Gestione di affari altrui, cit., 814; L. ARU,

Della gestione di affari, cit., 2, il quale nega l’importanza pratica dell’istituto, non la

sua importanza dogmatica; P. GALLO, voce Gestione di affari altrui, cit., 700; U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 861. In senso contrario, si veda, in particolare, S. FERRARI, voce Gestione affari altrui, cit., 644 s.

50 Così N. MUCCIOLI, Le carambole sistematiche della gestione di affari, in La

nuova giurisprudenza civile commentata, Padova, 2010, 281, cui si rinvia per un

ap-profondimento, anche in una prospettiva comparatistica, della natura giuridica della gestione di affari.

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“superflua” dalla dottrina pressoché unanime52; da altro lato colloca la

gestione di affari nell’altrettanto generica categoria definita dall’art. 1173 c.c. “ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in con-formità dell’ordinamento giuridico”, ispirata ancora una volta dal desi-derio di porre in posizione intermedia fra il contratto ed il fatto illecito quelle figure giuridiche produttive di obbligazioni che sfuggono ad un preciso inquadramento concettuale comune53.

Sistemato così il nostro istituto tra le fonti delle obbligazioni54,

occorre a questo punto soffermarsi più specificamente sul secondo pro-filo collegato alla natura giuridica della gestione di affari, ovvero quello relativo alla qualificazione dell’intervento gestorio in termini di fatto giuridico, atto giuridico in senso stretto o atto avente carattere nego-ziale. Si tratta peraltro di una questione fortemente discussa in dottrina, che si divide principalmente tra quanti ritengono che la fattispecie ge-storia costituisca un negozio giuridico e coloro che, invece, propendono per la natura di atto giuridico in senso stretto.

Minoritaria è la tesi negoziale, la quale è argomentata facendo ricorso a due diverse concezioni del negozio giuridico: la c.d. teoria soggettiva e la c.d. teoria precettiva55.

La teoria soggettiva ricostruisce il negozio giuridico quale di-chiarazione di volontà diretta a produrre conseguenze giuridiche56:

se-condo tale orientamento, la qualificazione della gestione di affari altrui

52 “Erronea”, perché il quasi-contratto non è di per sé fonte di obbligazioni, ma è un

fatto giuridico al quale la legge ricollega determinati effetti indipendentemente dalla volontà del soggetto agente; “superflua”, poiché priva di utilità dogmatica, compren-dendo figure più disparate, aventi in comune il carattere negativo della non contrat-tualità: così A. DE BERNARDINIS, Gestione d’affari altrui, cit., 149.

53 Come evidenziato, tra gli altri, da A. CENDERELLI, La ‘negotiorum gestio’, cit.,

4 s., al quale si rimanda per una critica alla collocazione “sostanzialmente arbitraria” della gestione di affari in una categoria “dai confini del tutto incerti”.

54 Tra le quali, come è noto, l’art. 1173 richiama anche il contratto e il fatto illecito,

accogliendo la tripartizione gaiana delle Res cottidianae.

55 Sul punto si veda, di recente, P. SIRENA, La gestione di affari altrui. Ingerenze

altruistiche, cit., 385 ss., il quale affronta, anche in chiave storico-comparatistica, la

questione relativa alla natura giuridica della gestione di affari.

56 Tale impostazione concettuale, nota anche come “teoria della volontà”, è stata

ela-borata dalla pandettistica tedesca nell’800 e di seguito risulta condivisa in particolare da G. STOLFI, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, 4.

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come negozio giuridico è argomentata sulla base del fatto che l’animus

aliena negotia gerendi consiste nella precisa direzione della volontà del

gestore ad amministrare affari che egli sa non essere propri e quindi ad amministrarli nell’interesse altrui57; l’intento del gestore di

conse-guenza non si limita al fatto della gestione, ma si ricollega agli effetti giuridici che da questa scaturiscono a carico dell’interessato.

Parte della dottrina58 tuttavia rileva in senso critico che

l’ele-mento soggettivo della gestione di affari altrui, che si desume dall’av-verbio “scientemente” di cui all’art. 2028 c.c., non è rappresentato da uno specifico intento del soggetto agente, ma dalla mera consapevo-lezza di essersi ingerito nell’altrui sfera giuridica. Indipendentemente da tale osservazione, anche gli autori59, che identificano l’animus aliena negotia gerendi con la specifica intenzione di agire per la cura di un

interesse altrui, ritengono che il riferimento all’elemento soggettivo non possa costituire un argomento decisivo a favore della configurazione della gestione di affari altrui come negozio giuridico, riguardando tale requisito gli elementi di fatto della fattispecie gestoria piuttosto che i suoi elementi giuridici60.

57 Questa è la posizione di G. DE SEMO, voce Gestione di affari altrui, cit., 816, nt.

2 e 819, nt. 5; ID., La gestione di affari altrui, cit, 36, nt. 43 e 67, nt. 98. Tale autore, peraltro, critica l’impostazione dottrinale che qualifica la gestione di affari come

obli-gatio ex lege: infatti – qualora si sostenga che le obbligazioni legali siano quelle

deri-vanti da un fatto che in forza di legge le produce, anche senza o contro la volontà dell’obbligato – ritenendosi che la gestione di affari sia una figura di obbligazione legale, “si sostituisce alla causa, ossia al fatto in cui si concreta la gestione, l’effetto che dal fatto deriva a norma di legge, e che si compendia nelle obbligazioni e nei diritti rispettivi e reciproci del gestore e dell’interessato”: G. DE SEMO, voce

Ge-stione di affari altrui, cit., 815; ID., La geGe-stione di affari, cit. 30 ss.

58 V., fra i molti, M. CASELLA, voce Gestione di affari, cit., 3; R. PANE, Solidarietà

sociale, cit., 74; P. SIRENA, La gestione di affari altrui. Ingerenze altruistiche, cit.,

66 e 399; U. BRECCIA, La gestione di affari, 884 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III cit., 146.

59 V., fra gli altri, A. DE BERNARDINIS, Gestione di affari altrui, cit., 154; S.

FER-RARI, voce Gestione affari altrui, cit., 650; ID., Gestione di affari altrui e

rappre-sentanza, Milano, 1962, 18; L. ARU, Della gestione di affari, cit., 13, nt.1. In senso

contrario, G. DE SEMO, voce Gestione di affari altrui, cit., 816, nt. 2 e 819, nt. 5; ID., La gestione di affari altrui, cit, 36, nt. 43 e 67, nt. 98.

60 A. DE BERNARDINIS, Gestione di affari altrui, cit., 155; S. FERRARI, voce

Ge-stione di affari altrui, cit., 650; ID., GeGe-stione di affari altrui e rappresentanza, cit., 19

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Natura negoziale alla gestione è stata riconosciuta anche dalla teoria precettiva, che accoglie una nozione di negozio giuridico quale “comportamento rispondente ad una funzione economico-sociale tipica che la legge tutela, ad esso ricollegando effetti giuridici, tali da favorire l’attuazione di quella funzione”61: nella gestione di affari altrui, in

par-ticolare, si ravvisa un “comportamento di cooperazione tenuto da un consociato nell’interesse di un altro consociato”62 e la ragione della

tu-tela predisposta dall’ordinamento è identificata più specificamente “nell’interesse sociale di solidarietà a che non siano trascurati gli affari dell’assente o dell’incapace”63, interesse che si pone in necessaria

cor-relazione con gli effetti giuridici derivanti dalla gestione64. La teoria in

esame pone inoltre l’accento sul fatto che l’art. 2028 c.c. richiede che l’affare altrui sia intrapreso “scientemente”, ovvero con la consapevo-lezza non soltanto di non essere tenuto all’atto, ma anche dell’alienità dell’affare65: si tratta di un particolare, questo, che conferma il carattere

negoziale della fattispecie gestoria, poiché la coscienza del soggetto agente presuppone “l’interferenza tra la sfera di interessi del gestore e quella del gerito”66.

Oltre al fatto che in dottrina e in giurisprudenza non vi è unani-mità nel riconoscere il fondamento solidaristico della gestione di affari

61 Sulla teoria precettiva del negozio giuridico, oggi prevalente in dottrina, v., in

par-ticolare, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1994, 54 ss. e più diffusamente ID, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1954, 109 ss. In senso critico S. FERRARI, voce Gestione affari altrui, cit., 658; ID, Gestione di affari

altrui e rappresentanza, cit., 41, sottolinea la genericità della formulazione bettiana,

non consentendo essa di identificare specificamente l’atto negoziale.

62 E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 109. 63 E. BETTI, op. ult. cit, 110.

64 E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico cit., 72; ID., Teoria generale delle

obbligazioni, cit., 111.

65 “Da tale consapevolezza nasce l’intento pratico perseguito dal gestore, intento che

deve essere rivolto ad apprezzare l’interesse altrui e la rispondenza dell’affare a questo interesse. Tutto ciò non sarebbe concepibile se si trattasse di un puro atto materiale tra gestore e gerito.”: così E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 111.

66 Ancora E. BETTI, op. ult. cit., 111 s., ove si adduce, quale ulteriore argomento a

favore della natura negoziale della gestione, il disposto dell’art. 2029 c.c., a norma del quale la capacità di contrattare del gestore è un requisito di validità della gestione di affari altrui.

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altrui67, si osserva, innanzitutto, che gli effetti della fattispecie gestoria

sono ricondotti dall’ordinamento non tanto alla conformità del compor-tamento del gestore ad un’astratta funzione economico-sociale merite-vole di tutela, quanto piuttosto al semplice fatto della gestione68: a

con-fermare ciò, si evidenzia che nessuno degli effetti che sorgono dalla gestione si può ritenere finalizzato alla realizzazione di un interesse del gestore; anzi, nella gestione di affari acquista particolare preminenza l’interesse del dominus, il quale, però, non può venire in considerazione ai fini della qualifica negoziale della fattispecie gestoria69, in quanto

non rileva quale interesse “interno” al fatto della gestione70. Si osserva,

in secondo luogo, che la consapevolezza del gestore di gerire un affare altrui, richiesta dall’art. 2028 c.c., fa riferimento alla conoscenza del soggetto agente piuttosto che alla sua volontà, al fine di potergli addos-sare tutte quelle responsabilità che il suo comportamento (cosciente) implica71.

Le critiche mosse alla tesi negoziale – argomentata facendo ri-ferimento tanto alla teoria soggettiva quanto alla teoria precettiva – tro-vano un elemento in comune nell’irrilevanza della volontà del gestore nella produzione degli effetti giuridici che derivano dalla fattispecie

67 V. supra, in questo capitolo, § 1 e v. infra, cap. 3, § 2 e 3.

68 Lo rileva criticamente L. CAMPAGNA, I “negozi di attuazione” e la

manifesta-zione dell’intento negoziale, Milano, 1958, 170 ss., cui si rimanda per un’approfondita

analisi critica dell’applicazione della teoria bettiana alla gestione di affari altrui. V. anche S. FERRARI, voce Gestione affari altrui, cit., 650; ID, Gestione di affari altrui

e rappresentanza, cit., 41 ss., e U. BRECCIA, La gestione di affari, cit., 885 s.

69 Così L. CAMPAGNA, op. ult. cit., 171.

70 “L’interesse del dominus, infatti, acquista, attraverso il fatto della gestione, una

ri-levanza indiretta, solo, cioè, in quanto la gestione viene ad incidere su di esso”: così L. CAMPAGNA, op. ult. cit., 171. Nello stesso senso S. FERRARI, voce Gestione

affari altrui, cit., 659; ID, Gestione di affari altrui e rappresentanza, cit., 42 s. In

senso contrario E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit. 110, secondo il quale “nella gestione di affari altrui, quel che interessa, ai fini della sua qualifica come negozio, è il rapporto interno fra gestore e gerito e l’esistenza in quest’ultimo di un interesse all’agire del gestore”.

71 In tal senso, L. CAMPAGNA, op. ult. cit., 181, il quale rileva inoltre

l’inadegua-tezza del richiamo alla capacità di contrattare di cui all’art. 2029 c.c. per sostenere la natura negoziale della gestione (v. supra, nt. 67), poiché la norma in questione ha come unico fine quello di tutelare l’interesse dell’incapace.

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gestoria: la dottrina prevalente72, pertanto, qualifica la gestione di affari

altrui come atto giuridico in senso stretto, osservando che la volontà del gestore rileva esclusivamente nella misura in cui è indirizzata a volere l’atto iniziale che costituisce gestione, posto che le conseguenze obbli-gatorie, che si collegano alla fattispecie in esame, trovano il loro fonda-mento direttamente nella legge73.

In base a tale orientamento dottrinale, infatti, l’animus aliena

negotia gerendi, richiesto dall’art. 2028 c.c., non è indirizzato alla

co-stituzione di peculiari rapporti obbligatori e non deve essere confuso con la volontà di produrre gli effetti che sono propri della gestione: esso da elemento volitivo degrada ad elemento che attiene alla semplice co-noscenza74 ed è essenziale, insieme ad altri requisiti, per escludere

l’il-legittimità dell’ingerenza gestoria75, concorrendo a qualificare la

ge-stione come “atto giuridico unilaterale tra vivi a contenuto patrimo-niale76.

Premesso che la disputa relativa alla natura giuridica della ge-stione vede contrapporsi principalmente la tesi negoziale e l’orienta-mento dottrinale che qualifica la gestione come atto giuridico in senso stretto, un’ulteriore impostazione teorica ritiene la gestione un fatto

72 V., fra i molti, A. DE BERNARDINIS, Gestione d’affari altrui, cit., 155; G.

MI-RABELLI, L’atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955, 254 ss.; L. CAMPAGNA, I “negozi di attuazione”, cit., 179 s.; S. FERRARI, voce Gestione

af-fari altrui, cit., 657 s.; ID, Gestione di afaf-fari altrui e rappresentanza, cit., 38, il quale

sostiene “il netto prevalere della corrente dottrinale che attribuisce alla fattispecie in esame natura di atto giuridico in senso stretto”; M. CASELLA, voce Gestione di

af-fari, cit., 9; U. BRECCIA, La gestione di afaf-fari, cit., 885.

73 In questo senso si vedano, tra gli altri, G. SCADUTO - S. ORLANDO CASCIO,

voce Gestione d’affari altrui, cit., 241; A. DE BERNARDINIS, Gestione di affari

altrui, cit., 155; L. CAMPAGNA, I “negozi di attuazione”, cit., 175, 181; S.

FER-RARI, voce Gestione affari altrui, cit., 650 s.; ID, Gestione di affari altrui e

rappre-sentanza, cit., 42 s.; R. PANE, Solidarietà sociale, cit., 72 ss.; U. BRECCIA, La ge-stione di affari, cit., 885.

74 Così R. PANE, Solidarietà sociale, cit., 74.

75 Sul punto si veda in particolare M. CASELLA, voce Gestione di affari, cit., 9. 76 Come osserva M. CASELLA, op. ult. cit., 9, che ritiene applicabili alla gestione le

norme dettate per i contratti, salvo riserva di compatibilità (cfr. art. 1324 c.c.). Sull’ap-plicabilità dell’art. 1324 c.c. alla gestione v. anche G. DE SEMO, voce Gestione di

affari altrui, cit., 816; ID., La gestione di affari altrui, cit, 36 s., il quale, pur

affer-mando che la gestione di affari altrui appartiene alla categoria degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, propende per la tesi negoziale.

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giuridico77. A tale riguardo, parte della dottrina78 osserva che, come

fonte legale di obbligazioni e di poteri, la gestione è un “fatto giuridico volontario”, e precisamente un’attività (la cura dell’affare altrui) cui la legge riconnette determinati effetti; altra parte della dottrina79 afferma,

invece, che l’obbligo di continuare la gestione costituisce una obligatio

ex lege, rispetto a cui l’iniziale e consapevole ingerenza del gestore si

prospetta come “mero fatto giuridico”, dotato però di una struttura com-plessa, ad integrare la quale concorre, assieme ad altri elementi, anche la volontà del soggetto agente.

Nel tentativo di superare le incertezze relative alla natura giuri-dica della gestione, senza tuttavia disattendere l’esigenza di sistema-zione concettuale dell’istituto, si è proposto di catalogare il fenomeno dell’ingerenza senza legittimazione nell’altrui sfera giuridica “me-diante la categoria concettuale dell’attività, definita come insieme di atti coordinati e unificati sul piano funzionale”: la gestione di affari al-trui si può ricosal-truire adeguatamente separando l’attività del gestore di affari altrui dai singoli atti in cui essa si articola (i quali, a seconda della loro qualificazione giuridica, saranno disciplinati di volta in volta dalle norme rispettivamente applicabili)80.

Da tale orientamento dottrinale discende che la natura giuridica dell’atto compiuto dal gestore non assume alcuna rilevanza formale ri-spetto alla disciplina giuridica dell’istituto: gli effetti giuridici previsti dagli artt. 2028-2032 c.c., infatti, si producono indipendentemente dall’eventualità che l’ingerenza nell’altrui sfera giuridica si verifichi mediante un negozio giuridico, un atto giuridico ovvero un fatto giuri-dico in senso stretto81.

77 Sulla qualificazione della gestione come fatto giuridico v. L. ARU, Della gestione

di affari, cit., 20 s.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, cit., 138.

78 C.M. BIANCA, op. ult. cit., 138.

79 L. ARU, Della gestione di affari, cit., 20 s.

80 Diffusamente sul punto P. SIRENA, La gestione di affari altrui, Ingerenze

altrui-stiche, cit., 413 ss., spec. 417 s.

81 Ancora P. SIRENA, op. ult. cit., 418 s.; più di recente ed in sintesi ID., La gestione

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CAPITOLO SECONDO

LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE VIGENTE

SOMMARIO: 1. Gli elementi costitutivi della gestione di affari altrui: profili generali. – 2. Segue. La spontaneità dell’intervento gestorio. – 3. Segue. L’animus aliena

ne-gotia gerendi, l’alienità dell’affare e l’absentia domini: cenni e rinvio. – 4. Segue.

L’utiliter coeptum. – 5. Segue. La prohibitio domini. – 6. L'ambito di operatività della fattispecie: il contenuto dell’attività gestoria. – 7. La capacità del gestore. – 8. Le obbligazioni del gestore: in particolare l’obbligo del gestore di continuare e di con-durre a termine la gestione. – 9. Segue. Le obbligazioni del gestore derivanti dal man-dato. – 10. Gli obblighi del dominus negotii. Gestione rappresentativa e non rappre-sentativa. – 11. Segue. Il rimborso delle spese. Il problema del diritto del gestore ad un compenso. – 12. La ratifica dell’interessato: presupposti ed effetti giuridici.

1. Gli elementi costitutivi della gestione di affari altrui: profili generali. La determinazione dello schema strutturale della fattispecie ge-storia presenta non poche difficoltà, sia per quanto riguarda l’individua-zione dei vari elementi che lo compongono, sia per quanto concerne la configurazione tipica che ciascuno di questi elementi assume82.

Fra gli elementi costitutivi della gestione di affari altrui figurano tradizionalmente un requisito di ordine soggettivo, ovvero l’intenzione di gestire un affare altrui (animus aliena negotia gerendi), e quattro re-quisiti di ordine oggettivo, vale a dire la spontaneità dell’intervento,

82 Così S. FERRARI, voce Gestione affari altrui, cit., 646; ID, Gestione di affari altrui

e rappresentanza, cit., 8. V. anche, più di recente, S. TOMMASI, Note in tema di gestione, cit., 1172, la quale osserva che i presupposti della gestione sono individuati

in maniera elastica e duttile dalla legge, così che sarebbe sbagliato ricondurli entro rigidi schemi o definirne una portata valida in ogni circostanza. Nello stesso senso, I. GARACI, La gestione d’affari altrui, cit., 51 s., rileva che, a causa del delinearsi di due opposte concezioni della gestione (quella soggettiva e quella oggettiva, v. supra, cap. 1, § 2), la configurazione flessibile dello schema formale dell’istituto ha consen-tito di interpretare in modo più o meno rigoroso i requisiti della gestione e in certi momenti a non ritenere alcuni di essi essenziali.

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