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L'intensità di cura come modello gestionale in Sanità

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo

TESI DI LAUREA

L’ intensità di cura come modello gestionale in Sanità

RELATORE

Prof.re Simone Lazzini

CANDIDATO

Martina Orefice

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INDICE

INTRODUZIONE

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1. IL SISTEMA SANITARIO ITALIANO (SSN) 8

1.1 Da ieri ad oggi: com’è cambiato il Servizio Sanitario Nazionale 9

2. L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO: TEORIE ESPLICATIVE 17 2.1 La visione sistemica 19

2.2 L’ospedale come sistema complesso adattativo 23

2.3 La visione sistemica contingente: la teoria di Henry Mintzberg 26

3. VERSO UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE 39

3.1 Il cambiamento demografico in Italia 40

3.2 Il cambiamento epidemiologico 45

3.3 Le conseguenze economiche sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) 47

3.3.1 La composizione della spesa sanitaria 47

3.3.2 L’ impatto sull’ assistenza ospedaliera 50

4. IL MODELLO PER INTENSITÀ DI CURA 58

4.1 Principi guida alla base del modello 58

4.1.1 La centralità del paziente 59

4.1.2 La filosofia Lean 62

4.2 Il processo di reingegnerizzazione 64

4.3 L’implementazione del modello 66

4.3.1 Il cambiamento dei ruoli professionali 69

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5. UNO SGUARDO ALLA REALTÀ TOSCANA 79

5.1 Indagine valutativa 83

5.1.2 Analisi dei dati 84

6. CONCLUSIONI 92

6.1 Punti di forza e punti di criticità del modello per intensità di cura 92

6.2 Conclusioni finali 95

QUESTIONARIO 98

BIBLIOGRAFIA 101 SITOGRAFIA 103

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INTRODUZIONE

Molto spesso la parola “cambiamento” spaventa. Cambiare significare mutare, trasformare, variare qualcosa ma, se comprendessimo che la vera natura delle cose è transitoria, non saremmo così sconvolti nel momento in cui si presenta.

In un mondo in continua evoluzione, dove il cambiamento è insito in ogni cosa e forma di vita, l’innovazione, la riorganizzazione, è l’unica strada giusta da percorrere per adattarsi alle nuove contingenze: il cambiamento è un’evoluzione per la sopravvivenza. Anche nelle organizzazioni e, nello specifico di questo elaborato nell’ organizzazione sanitaria/ ospedaliera, vi è la necessità di cambiare per adattarsi alle nuove variabili interne ed esterne al sistema.

I nuovi fabbisogni dei cittadini, le innovazioni scientifico- tecnologiche, l’imperativo sociale della qualità delle cure e la necessità di un utilizzo efficiente delle risorse a disposizione, hanno fatto sì che si sviluppasse un nuovo modello organizzativo ospedaliero, passando così da un modello “tradizionale”, di tipo verticale basato per specialità, a un modello innovativo, di tipo orizzontale, incentrato sui bisogni diversificati dei pazienti1.

Nasce così il modello per intensità di cura e complessità assistenziale, il quale, più che essere un modello rigido da applicare, nato da una normativa, è una filosofia, un elemento guida, da contestualizzare nelle varie organizzazioni ospedaliere.

In questo elaborato verrà analizzato tale modello partendo da un excursus storico del nostro Servizio Sanitario per poi spostare l’attenzione, nel secondo capitolo, sulle teorie organizzative affini al sistema stesso. In particolar modo ci focalizzeremo sulla visione sistemica per analizzare l’azienda dall’ esterno verso l’interno, vedremo come le organizzazioni ospedaliere possono essere definite sistemi complessi adattativi, cioè sistemi in continua co-evoluzione con l’ambiente esterno e, infine, tramite la teoria

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contingente di Henry Mintzberg, analizzeremo alcune possibili configurazioni organizzative che possono essere adattate alle aziende sanitarie.

Il terzo capitolo sarà invece dedicato all’ analisi di quelle che sono state le motivazioni che hanno portato al cambiamento. Il cambiamento demografico ed epidemiologico, iniziato in Italia circa vent’ anni fa, ha fatto sì che mutasse la domanda del servizio sanitario. Questo, come vedremo, ha portato ripercussioni sulle finanze e sull’ assetto organizzativo ospedaliero mettendo in luce quella che è l’odierna inadeguatezza dell’offerta sanitaria.

Da qui nasce il bisogno di un cambiamento, di un processo di reingegnerizzazione che verrà analizzato nel quarto capitolo.

In questa parte verrà appunto snocciolato quello che è il modello organizzativo per intensità di cura e complessità assistenziale partendo dai principi che ne sono alla base arrivando alla parte pratica, in cui analizzeremo cosa cambia realmente all’ interno delle organizzazioni ospedaliere: dal cambiamento delle strutture all’ introduzione di nuovi ruoli professionali, come il medico- tutor e l’ infermiere referente, fino ad analizzare sia i nuovi strumenti a disposizione delle varie figure professionali per una maggiore integrazione comunicativa/informativa, sia i metodi per misurare l’ intensità e la complessità assistenziale della nuova categoria di pazienti.

L’ ultima parte dell’elaborato, focalizzandosi sulla realtà ospedaliera toscana, analizzerà, tramite l’utilizzo di un questionario sottoposto alle varie amministrazioni, quella che è stata la reale applicazione del modello, mettendo in risalto le opinioni dei professionisti coinvolti nel cambiamento, il loro grado di soddisfazione e i relativi vantaggi e svantaggi avuti dalla sua applicazione.

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1. IL SISTEMA SANITARIO ITALIANO (SSN)

In ogni Paese avanzato c’è un sistema sanitario diverso da tutti gli altri per proprie peculiarità che derivano da aspetti sociali, culturali, economici, giuridici e politici, anche se è comunque possibile classificarli e raggrupparli secondo modelli predefiniti. Per molti anni il sistema italiano è stato definito “tra i migliori del mondo”2, ma è davvero così?

Il servizio sanitario è l’insieme organizzato delle persone, delle istituzioni e delle risorse umane e materiali il cui fine è la propensione, il recupero e il mantenimento della salute della popolazione3. Alcuni dei principi fondamentali sono che l’assistenza sanitaria sia

gratuita e distribuita omogeneamente su tutto il territorio nazionale e che il servizio sia organizzato in base al “principio di sussidiarietà” costituzionale.

Questo lo articola secondo diversi livelli di responsabilità e di governo: a livello centrale c’è lo Stato, che ha la responsabilità di assicurare a tutti i cittadini il diritto alla salute mediante un forte sistema di garanzie che stabilisce attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA); a livello regionale, invece, ci sono le Regioni che hanno la responsabilità diretta della realizzazione del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese4, ciò viene attuato tramite le Aziende Sanitarie Locali

(ASL) e le Aziende Ospedaliere (AO).

Però, prima di poter parlare dell’organizzazione attuale del Sistema Sanitario Italiano e, in particolar modo di quello ospedaliero, bisogna capire come l’Italia sia arrivata ad avere un Servizio Sanitario Nazionale e le motivazioni che hanno portato ad un’aziendalizzazione del sistema.

2 Sistema sanitario nazionale, quello italiano è davvero tra i migliori del mondo?,di Flaminio de

Castel-mur per @SpazioEconomia, Il Fatto Quotidiano, 2018

3 L’organizzazione del Sistema Sanitario Italiano- Breve Esposizione dai Fondamenti Teorici ai Numeri

Reali, D. Biselli, 2013

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1.1 Da ieri ad oggi: com’è cambiato il Servizio Sanitario Nazionale

Le prime forme di sanità si hanno in Italia, in particolar modo a Firenze e a Venezia, attorno al 1348 in occasione della grande epidemia di peste che colpì il Paese. Da allora, fino ad arrivare ad oggi, epoca in cui abbiamo un servizio sanitario a livello nazionale, basato sul rispetto dei diritti umani e sull’ uguaglianza delle cure verso i cittadini, i cambiamenti e i progressi fatti sono molteplici.

Prima del XIX secolo l’organizzazione sanitaria era posta su un rapporto individualistico fra medico e paziente, rigorosamente a pagamento e, quindi, a disposizione delle sole classi più abbienti. Le classi povere potevano far affidamento solo sulla beneficenza o sugli enti caritatevoli religiosi come le Opere Pie.

Solo dopo l’unificazione d’ Italia, con la legge sulla “Tutela dell’igiene e della Sanità Pubblica” del 1888, la prima legge Crispi, venne istituita la Direzione generale per la sanità, che operò fino al 1945. Questa legge fu il primo segno di un’evidente necessità di unificare e uniformare il servizio sanitario e istituì le fondamenta per un servizio pubblico. La Sanità venne così affidata:

- a livello centrale, al Ministero dell’interno;

- a livello provinciale, al prefetto, affiancato dal medico provinciale;

- a livello comunale, al sindaco, che aveva alle sue dipendenze l’Ufficiale sanitario, che si occupava delle malattie infettive e della tutela dell’ambiente e il Medico condotto, con compiti di assistenza sanitaria, gratuita per i poveri, a pagamento per i più ricchi.

Il sistema in vigore era di tipo mutualistico, eretto cioè sulle casse mutue: enti assicurativi che garantivano l’accesso alle cure. L’ adesione alle mutue poteva essere obbligatorio o volontario, in base alla condizione lavorativa; infatti la salute veniva vista come un “diritto” dei soli lavoratori e, non ancora, come un diritto universale dei cittadini. Questo

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pensiero affonda le radici nell’ epoca della rivoluzione industriale, quando era necessario salvaguardare la salute degli operai per poter portare avanti la produzione.

La vera e propria svolta del servizio sanitario si ebbe a partire dalla seconda legge Crispi, n. 6972 del Luglio 1890, che trasformò tutti gli ospedali, le case di riposo e le opere pie da enti privati in Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficenza (IPAB), enti autonomi, ma finanziati e regolati dallo Stato.

Da quel momento, fino al 1946, si susseguirono diversi provvedimenti che istituirono: - l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità (ACIS), con compito di tutelare la sanità pubblica, coordinare e vigilare sulle organizzazioni sanitarie e sugli enti che avevano lo scopo di prevenire e combattere le malattie sociali;

- gli enti mutualistici, con compiti previdenziali e sanitari, che tutt’ ora operano sul nostro territorio, come l’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e l’Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali (ENPAS).

Solamente nel 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, la tutela della salute entrò a far parte dei diritti fondamentali del cittadino.

Art. 32 Costituzione:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge in nessun caso può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

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I cambiamenti in merito però, tardarono ad arrivare, tant’è che prima che la norma costituzionale diventasse ufficiale a tutti gli effetti e fosse tramutata in legge, trascorsero trent’ anni.

In questo lasso di tempo fu istituito il Ministero della Sanità, nel 1958, che subentrò all’ ACIS, per una direzione unificata della politica sanitaria. A livello centrale era formato dal Consiglio Superiore della Sanità e dall’ Istituto Superiore di Sanità, mentre a livello periferico operavano in ogni provincia un Ufficio del medico e del Veterinario e in ogni comune l’Ufficiale sanitario, che pur continuando a dipendere dal sindaco, faceva parte dell’organo ministeriale.

Gli ospedali invece, facevano capo o ad enti di assistenza benefica e mutualistici o a Comuni e Provincie. Ognuno di loro aveva propri statuti e amministratori ed erano privi di una visione unitaria e di una organizzazione per livello di complessità, fino al 1968, anno della riforma ospedaliera.

Con la legge n.132 “Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera”, detta anche “legge Mariotti”, gli ospedali vennero trasformati in enti autonomi governati da un Consiglio di Amministrazione e furono uniformati. Infatti, fu previsto che tutte le strutture seguissero la stessa organizzazione, che fossero tutte indirizzate allo svolgimento di attività di ricovero e cura e venne stabilito che doveva essere svolta un’attività di programmazione ospedaliera e un piano assistenziale da raccordare con i Piani Regionali. Inoltre, i vari ospedali vennero ripartiti in relazione ai livelli di competenza, suddividendoli in ospedali generali e ospedali specializzati.

Gli ospedali generali dovevano provvedere al ricovero ed alla cura degli infermi in reparti di medicina generale, chirurgia generale e di specialità. Di questa categoria facevano parte gli ospedali di zona, provinciali e regionali.

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Gli ospedali specializzati invece, dovevano occuparsi del ricovero e della cura degli infermi di tutte quelle malattie che rientravano in una o più specialità ufficialmente riconosciute; dovevano possedere, oltre a tutti gli altri servizi previsti per le corrispondenti categorie degli ospedali generali, anche servizi di consulenza di medicina generale e di chirurgia generale. Potevano far parte di questa categoria solo gli ospedali provinciali o regionali scelti secondo le indicazioni date dal piano regionale ospedaliero, che valutava la struttura più adeguata in base al numero dei posti-letto di cui l'ospedale disponeva, dell'hinterland di servizio, dell'organizzazione tecnica, della dotazione strumentale diagnostica e terapeutica e delle caratteristiche della specializzazione. Oltre a queste due categorie vi erano poi ospedali generali di zona o provinciali che erano organizzati appositamente per ospitare lungodegenze e ricoveri per convalescenza. Questa legge, oltre a riformare tutto il sistema ospedaliero, fu da impulso alla costituzione delle Regioni avvenuta nel 1972.

Tuttavia, l’assistenza sanitaria era ancora di tipo mutualistico, con oltre 1000 enti, i quali però, non assicuravano un accesso alle prestazioni uniformato e, soprattutto, si occupavano solamente della cura delle malattie denunciate dai contribuenti, senza prestare la benché minima attenzione alla prevenzione.

Per questo, nel 1978 con la legge n. 833, venne creato l’attuale Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che portò al superamento degli enti mutualistici, ad una maggiore coordinazione fra ospedali e territorio e introdusse attività preventive e riabilitative.

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Come si evince dall’ articolo i principi fondamentali su cui si basa il SSN sono:

• il principio di universalità, secondo cui vengono garantite prestazioni sanitarie a tutti, senza distinzione di condizioni individuali, sociali e di reddito;

• il principio di uguaglianza, in virtù del quale tutti, a parità di bisogno, hanno diritto alle medesime prestazioni;

• il principio di globalità, secondo il quale non viene presa in considerazione la malattia, bensì la persona in generale, la qual cosa implica inevitabilmente il collegamento di tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione5.

La salute divenne così un diritto di tutti i cittadini, senza nessuna distinzione di reddito, classe sociale o regione in quanto il SSN assunse valore su tutto il Paese e, tramite il Fondo Sanitario Nazionale, che raccoglieva la tassazione dei cittadini in un unico fondo e la ripartiva fra le regioni in base alla popolazione (Fondo sanitario regionale), assicurava la copertura sanitaria a tutti i cittadini e non più solo ad alcune categorie.

5 Organizzazione sanitaria, Edizione Simone S.p.A., p.9

Art. 1 legge n. 833/1978

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini.

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È articolato in tre livelli d’ intervento:

• a livello centrale c’era lo Stato con il Ministero della Sanità, insieme ai suoi organi ausiliari tecnico- scientifici, con funzioni di indirizzo e coordinamento;

• a livello periferico c’erano le Regioni con competenza esclusiva nella regolamentazione ed organizzazione delle attività e della spesa sanitaria;

• a livello locale, come espressione diretta dei Comuni, nacquero le Unità Sanitarie Locali (USL), grande innovazione a livello politico della riforma.

Alle USL venne affidata la gestione concreta dell’assistenza sanitaria, in quanto provvedevano ad assolvere i compiti del SSN, offrendo servizi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione alla popolazione tramite l’utilizzo delle strutture ospedaliere del territorio, della medicina di base, del servizio farmaceutico, dell’Igiene pubblica e mentale, del servizio veterinario e della medicina preventiva e igiene del lavoro, effettuando anche la gestione contabile e amministrativa.

Ben presto, però, non tardarono ad arrivare i primi problemi. I costi del Servizio sanitario nazionale iniziarono a crescere sempre di più a causa della divisione fra chi effettuava la spesa (Regioni) e chi realmente la finanziava (Stato), inoltre la domanda di cure aumentò esponenzialmente, provocando ritardi, mal funzionamenti e una scarsa qualità delle prestazioni che suscitarono una grande insoddisfazione nella popolazione.

Per questo, con la legge n. 502/1992 ad opera del governo Amato, poi modificata dal decreto legislativo n.517/1993, si attuò un vero e proprio processo di aziendalizzazione trasformando le USL in Aziende Sanitarie Locali (ASL), dotandole di personalità giuridica pubblica e autonomia organizzativa, amministrativa e patrimoniale. Diventarono vere e proprie aziende gestite da un direttore generale, che assunse le vesti di un manager con obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità, un direttore sanitario e da un direttore amministrativo affiancati dal Consiglio dei sanitari e dal Collegio

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sindacale. La struttura del Servizio Sanitario Nazionale divenne così articolata in Stato, Regioni, Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere.

Il governo, attraverso il Piano Sanitario Nazionale (PSN), determinò, secondo la disponibilità finanziaria, le linee guida di programmazione sanitaria e i livelli di assistenza da assicurare sul territorio nazionale.

Le Regioni invece, seguendo sempre le linee guida fornite dallo Stato, svolgevano sul proprio territorio attività di coordinamento e controllo, sia a livello amministrativo sia legislativo, ed erano tenute a redigere il Piano Sanitario Regionale (PSR).

Le ultime leggi che è giusto ricordare per avere un quadro completo di quello che è il servizio sanitario oggi, sono:

• il decreto n.229 del 1999, la cosiddetta “ riforma Bindi” che, oltre a rafforzare la natura aziendale delle unità sanitarie, definisce in maniera più precisa i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè tutte le prestazioni e i servizi sanitari che le ASL devono garantire, gratuitamente o con il versamento di una quota a carico del cittadino (ticket), a tutta la popolazione, in modo uniforme sul territorio nazionale, per rispondere ai bisogni fondamentali di tutela della salute;

• il decreto legislativo n.56/2000, che abolì il vecchio Fondo Sanitario Nazionale di parte corrente, lasciando così alle regioni il compito di autofinanziarsi dando avvio al federalismo fiscale in sanità.

Queste riforme, che sono caratterizzate da una spinta verso il decentramento, possono essere riassunte nel semplice desiderio dello Stato di garantire a tutti i cittadini un trattamento sanitario uniforme e allo stesso tempo di sensibilizzare e responsabilizzare le aziende sanitarie locali ad un uso più oculato delle risorse per una riduzione complessiva dei costi. Infatti, nel momento in cui le risorse stabilite dal PSN, attraverso i livelli essenziali di assistenza, vengano superate, la parte di disavanzo è completamente a carico

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della Regione che dovrà trovare il pareggio di bilancio interno attraverso la propria autonomia tributaria6. Si è trattato di un vero e proprio processo di “regionalizzazione”

del sistema sanitario che, dal 2001, ha portato alla riforma del titolo V della Costituzione per ridefinire ed appurare i rapporti tra Stato e Regioni, soprattutto per quanto riguarda le competenze legislative. Il nuovo art. 117 infatti, dopo aver ribadito che “ la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, classifica quelli che sono gli ambiti: a legislazione esclusiva dello Stato, a legislazione concorrente dove “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” e a legislazione esclusiva delle Regioni su materie non esclusive dello Stato. Nell’ ambito legislativo concorrente troviamo la “tutela della salute”, mentre nel settore esclusivo dello stato troviamo la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; questo è per stabilire che le funzioni legislative delle Regioni devono comunque seguire ed ispirarsi ai provvedimenti statali ribadendo, nell’ art. 127, che “il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione”. Da qui il potere regionale di attuare proprie riforme interne che hanno portato, come nel caso della Toscana con l’emanazione della legge regionale n. 40 del 2005, ad una vera e propria rivoluzione del servizio sanitario regionale modificando, come vedremo nel percorso di questo elaborato, l’organizzazione di tutto il sistema e in particolar modo dei presidi ospedalieri.

6 La politica sanitaria in Italia: dalla riforma legislativa alla riforma costituzionale, P. Pellegrino,

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2. L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO:

TEORIE ESPLICATIVE

Con il termine organizzazione sanitaria si definisce un insieme di risorse (umane, materiali e immateriali) organizzate per raggiungere, attraverso un’attività economica, obiettivi di salute e non di profitti.

Questo insieme è definito da tre fondamentali caratteristiche che lo rendono “azienda”: 1. la durabilità nel tempo;

2. l’unitarietà delle sue componenti che si riconoscono in finalità comuni; 3. l’autonomia7.

Per questo si può parlare di aziende sanitarie come di sistemi complessi e aperti, cioè composti da più elementi che interagiscono fra loro creando relazioni sia interne sia con l’ambiente che le circonda. Con quest’ultimo realizzano scambi di persone, informazioni e risorse, per cui devono essere sistemi flessibili in continuo adattamento alle influenze esterne.

L’organizzazione aziendale descrive, per l’appunto, il modo in cui tutti questi elementi interagiscono fra loro, cercando di dar risposta a quelli che sono i principali problemi a livello organizzativo: chi deve occuparsi di fare ciò, con quali ambiti di autonomia, con quali meccanismi di controllo e valutazione, con quale collocazione gerarchico- funzionale all’ interno della struttura e così via8.

Dalla necessità delle organizzazioni di avere delle modalità di coordinamento e dei punti di riferimento per la loro gestione, nascono i modelli organizzativi, modelli di

7 QUALITY MANAGEMENT Indicazioni per le Aziende Socio Sanitarie e il Dipartimento delle Dipendenze,

cap.7: Principi sull’organizzazione dell’azienda socio-sanitaria pubblica; G. Serpelloni, E. Simeoni, p.94

8 L’ innovazione organizzativa nelle aziende sanitarie, A. Tanese; tratto da Management in Sanità, L.

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funzionamento che stanno alla base delle attività organizzative e che rappresentano l’idea di fondo di come dovrebbe funzionare l’azienda o parte di essa.

Nel corso degli anni c’è stata una vasta diffusione di teorie, di saggi critici e di metodi organizzativi provenienti da studiosi di diverse discipline, i quali hanno trattato i fenomeni organizzativi con gli approcci, la terminologia e gli schemi concettuali tipici delle loro discipline, provocando quella che Koontz9 ha definito la “giungla delle teorie

organizzative”10 . I principali modelli che fanno parte delle teorie tradizionali sono il

modello meccanicistico, organicistico e olografico.

Il modello meccanicistico si riferisce a strutture organizzative di tipo burocratico in cui viene posta l’attenzione sulle procedure e sulla razionalità assoluta. In questa visione si ha un’attenzione centrata sull’efficienza, in quanto si ritiene che i risultati siano in funzione delle risorse. Per queste caratteristiche, le organizzazioni che seguono questo modello vengono paragonate a delle macchine.

Il modello organicistico invece, vede le organizzazioni come sistemi viventi, cioè come organismi costituiti da parti interdipendenti e collocati in un ambiente dal quale dipendono. È un approccio di tipo funzionalista, caratterizzato dalla ricerca della doppia coerenza sia fra gli elementi interni dell’organizzazione, sia fra essa e l’ambiente. Il modello olografico è basato sulla metafora del cervello, in quanto le organizzazioni vengono viste come sistemi complessi formate da parti ad alta specializzazione e intercambiabili fra loro.

Ognuno di questi modelli ha proprie peculiarità che si possono riscontrare nelle organizzazioni, quindi non si può dire in realtà quale sia il modello organizzativo ottimale,

9 Harold Koontz (1909- 1984) era un teorico americano, professore di gestione aziendale presso

l’Univer-sità della California, Los Angeles. La citazione è tratta da The Management Theory Jungle, The Journal of Academy of Management, vol.4, n.9, p.16

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ogni azienda è diversa, a sé, ha obiettivi ed esigenze diverse per cui può propendere per un modello o per un altro e può assumere sfumature diverse, l’ importante è che ci sia un’ adeguata capacità di progettazione organizzativa e di governo e che l’organizzazione sia coerente rispetto alla mission da assolvere.

Le organizzazioni sanitarie, in principio, vennero improntate su un modello meccanicistico per la necessità di erogare servizi in grandi quantità e standardizzati, ma col tempo questo si è dimostrato del tutto inefficace a causa degli alti costi e della scarsa qualità del servizio che richiedeva una maggiore personalizzazione. Così si è arrivati ad un nuovo modello gestionale applicato in Sanità da alcune realtà italiane: il modello organizzativo per intensità di cura. Come vedremo questo modello presenta elementi di tipo organicistico, vista l’attenzione che pone alle relazioni con l’ambiente, e di tipo olografico riscontrabili nella formazione di gruppi professionali multidisciplinari composti ad hoc.

Per questo motivo ora analizzeremo teoricamente l’organizzazione da dentro a fuori, focalizzando la nostra attenzione sull’ analisi sistemica, un’analisi di tipo organica la quale permette di evidenziare i problemi e le criticità interne all’organizzazione tradizionale.

2.1 La visione sistemica

Il sistema viene definito come un insieme di elementi o sottosistemi interconnessi, sia loro sia con l’ambiente esterno, tramite reciproche relazioni, che si comportano come un tutt’ uno, secondo proprie regole generali per il perseguimento di uno scopo11. In base al

collegamento con l’ambiente esterno vengono denominati sistemi aperti o chiusi.

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Nell’ambito delle organizzazioni l’analisi sistemica consente di leggere i sistemi più complessi come quelli aperti, infatti questa visione viene utilizzata per descrivere gli elementi interni e le interazioni con l’esterno. Quest’ ultime avvengono tramite gli elementi in entrata (input), che dopo esser stati elaborati dal sistema stesso, ritornano nell’ ambiente come prodotti o servizi (output).

Gli elementi interni sono proprio ciò che serve all’ organizzazione per trasformare gli input in output e sono: la struttura di base, il sistema operativo e i processi sociali.

La struttura di base è lo scheletro dell’organizzazione di un’azienda, la struttura su cui viene costruito tutto. Progettare una struttura organizzativa significa effettuare una ripartizione gerarchica del personale, cioè decidere come dividere e coordinare il lavoro in base alle funzioni, agli spazi e alle risorse a disposizione. Viene rappresentato tramite l’organigramma, un grafico composto da più livelli in cui si trovano gli organi di line, che rappresentano le relazioni gerarchiche, e gli organi di staff che sono a loro supporto. Le relazioni che ritroviamo all’ interno possono essere, oltre che di tipo puramente gerarchico, anche di tipo funzionale, quindi di collaborazione a pari livello.

Come abbiamo accennato, nella progettazione della struttura di base è molto importante considerare elementi come gli spazi a disposizione, in quanto uno spazio incoerente con l’articolazione della struttura può ostacolare le relazioni fra i vari elementi di un organigramma soprattutto a livello comunicativo e la giusta suddivisione e allocazione delle risorse a disposizione. Le risorse che siano di tipo professionali, tecnologiche o economiche se vengono sotto o sopra dimensionate possono mettere a rischio la qualità dell’output del sistema.

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Il sistema operativo è un insieme di regole e procedure che rende operativa e dinamica la struttura organizzativa. È un elemento molto delicato perché, essendo l’unico mezzo che l’organizzazione ha a disposizione per ridurre la variabilità individuale e coordinare i comportamenti, può essere percepito dagli operatori come una privazione della propria professionalità e individualità portando a scontenti e malumori che si riflettono sul buon funzionamento dell’organizzazione12.

I principali sistemi operativi sono:

• i sistemi di pianificazione e controllo;

• il sistema di gestione e sviluppo delle risorse umane, che comprende anche il sistema di valutazione del personale e il sistema incentivante;

• il sistema informativo13.

I processi sociali invece, sono i comportamenti autonomi e personali, non definiti dai sistemi operativi, che sviluppano gli individui nei confronti dell’organizzazione. Possono essere comportamenti di accettazione della stessa, di rifiuto o di compensazione, cioè comportamenti che si sviluppano quando si riscontra una carenza o un’incoerenza nei sistemi operativi. Un clima organizzativo positivo e motivante, un adeguato sistema premiante o sanzionatorio e una buona politica di employee retention delle risorse professionali sono alcune delle leve su cui il management lavora per controllare questi processi e poter garantire una buona qualità delle prestazioni finali.

Come vedremo più avanti, con l’analisi del nuovo modello organizzativo ospedaliero per intensità di cura, i sistemi operativi e i processi sociali faranno parte di quegli elementi che verranno riorganizzati.

12 Modelli organizzativi in ambito ospedaliero; Pennini A.; McGraw- Hill Education, 2015; p.47-48 13 www.wikipedia.org

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Per far sì che la struttura si adatti alle nuove esigenze infatti si è riscontrata la necessità di enfatizzare i rapporti sociali in modo da poter promuovere collaborazione e flessibilità. In base alla maggiore o minore prevalenza di uno degli elementi interni appena descritti, si possono ritrovare alcune tipologie organizzative come:

• i sistemi organizzativi chiusi, caratterizzati da una struttura di base molto rigida con processi sociali praticamente nulli, i quali fanno sì che il rigore e il rispetto delle procedure padroneggiano;

• i sistemi sociali di tipo paternalistico, sono molto gerarchici, mantengono un alto peso della struttura di base, ma con processi sociali che possono essere di tipo adattativo;

• i sistemi burocratici, dove il peso maggiore si sposta sul sistema operativo quindi sulle regole e procedure, per questo viene definita “burocratica”;

• i sistemi tecnocratici- efficientisti, dove i tre elementi si eguagliano rendendo la struttura più flessibile, aperta all’ ambiente e favorevole ai processi sociali che vengono visti come fonte di stimolo;

• i sistemi socioculturali, dove l’apertura all’ ambiente e i processi sociali sono al centro del sistema.

Non è possibile stabilire una tipologia organizzativa con delle regole che vada bene per tutte le organizzazioni a causa delle molteplici variabili che la influenzano e delle relazioni causa/effetto che possono creare. Le organizzazioni sanitarie tradizionali ad esempio possono considerarsi sistemi aperti con un maggior peso nella struttura e nei sistemi operativi ma, come vedremo, grazie all’ analisi sistemica questi parametri cambieranno con la riorganizzazione per intensità di cura. Questo perché l’analisi permette, a partire dagli output finali, di risalire ai fattori iniziali attraversando l’interno

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dell’organizzazione, quindi analizzando e valutando la struttura di base, il sistema operativo e i processi sociali.

L’organizzazione potrà così agire di conseguenza andando a migliorare le criticità.

2.2 L’ ospedale come sistema complesso adattativo

Un sistema complesso è un sistema costituito da diverse componenti che possono interagire fra loro e con l’ambiente, più ci sono interazioni e maggiore è la sua complessità; inoltre è un sistema del tutto imprevedibile e non è possibile dedurlo unendo semplicemente gli elementi che lo compongono.

Etimologicamente il termine “complesso” (con- plesso) deriva dal latino “complexus”14:

è qualcosa di complicato, intricato, dai molteplici risvolti. È un fenomeno unitario, che va compreso nella sua totalità come qualcosa di indivisibile, non può essere scomposto in più parti se non per poter agire su di esse per poi ricomporle15.

La principale teoria sulla complessità nasce nel 1984 al Santa Fe Institute (Stati Uniti), il quale si è specializzato nello studio dei sistemi complessi adattativi (Complex Adaptive System- CAS), cioè sistemi complessi in grado di adattarsi con l’ambiente circostante e di cambiare.

De Toni16 e Comello17 descrivono un sistema complesso adattativo come “un instabile

aggregato di agenti e connessioni, auto-organizzati per garantirsi l’adattamento, un sistema che emerge nel tempo in forma coerente, e si adatta e organizza mediante la costante ridefinizione del rapporto tra il sistema stesso e il suo ambiente”18.

14 Vocabolario Treccani

15Modelli organizzativi in ambito ospedaliero; Pennini A.; McGraw- Hill Education, 2015; p.22 16 Alberto Felice De Toni (1955) è un professore ordinario di Ingegneria Economico- Gestionale attivo

nella ricerca sulla gestione della complessità

17 Luca Comello è un consulente aziendale nel gruppo del Project Management e dei processi di

innova-zione

(24)

I CAS, infatti19:

• si bilanciano tra ordine e anarchia, all’ orlo del caos. Agiscono in condizioni lontane dall’ equilibrio per non morire, escono dalla loro zona di confort e sono in grado in grado di creare strutture differenti e nuovi modelli di relazioni per cercare nuove strategie di sopravvivenza;

• sono composti da una rete di molteplici agenti che raccolgono informazioni, apprendono e agiscono in parallelo in un ambiente prodotto dall’ interazione di questi agenti;

• co-evolvono con il loro ambiente;

• hanno un comportamento emergente, sempre aperto e sempre in transizione. Non è possibile né predeterminare il loro comportamento tramite la somma delle parti individuali né determinarlo in generale perché un piccolo cambiamento di uno o due parametri può cambiare il comportamento dell’intero sistema;

• sono capaci di auto-organizzarsi, cioè di generare spontaneamente nuove strutture e forme, purché il sistema non sia rigido;

• si sviluppano a vari livelli dell’organizzazione;

• hanno poche e semplici regole consentendogli di avere comportamenti imprevisti e innovativi.

Esempi di CAS si trovano ovunque, sia in natura che nel mondo artificiale: dalle cellule al sistema cerebrale, dall’ uomo alle organizzazioni politiche, sociali, culturali ai sistemi economici, tutti possono essere classificati come sistemi complessi adattativi e hanno tutti delle caratteristiche in comune.

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Anche la Sanità è un sistema complesso costituito da più elementi in continua interazione fra loro che, attraverso scambi di informazioni reciproci e la presenza costante di meccanismi di retroazione, determinano un continuo aggiustamento delle azioni e degli squilibri; è aperto e in relazione con il contesto sociale, economico e politico e, inoltre, è dinamico e adattativo in quanto capace di seguire l’evoluzione sociale e dei bisogni20.

Quindi si possono individuare due distinti livelli di complessità, uno all’ interno del sistema, intrinseco ad esso, ed uno esterno legato al contesto. Come vedremo nel prossimo capitolo infatti, un elemento di complessità molto rilevante nel sistema sanitario è rappresentato dal cambiamento demografico ed epidemiologico che si è, e si sta tutt’ ora verificando, in Italia.

La complessità interna invece, nasce principalmente dalla sua struttura e, di conseguenza, dagli elementi che la compongono. Questo perché un sistema è costituito da macro e microsistemi.

Nel caso della Sanità, il Servizio Sanitario Nazionale può essere considerato il macrosistema che interagisce con innumerevoli stakeholder ed è composto da tanti microsistemi, come gli ospedali, gli ambulatori medici, i laboratori, le farmacie, ecc., che sono interconnessi fra loro tramite il flusso di informazioni che gli elementi al loro interno (medici, infermieri, personale amministrativo, pazienti, ecc.) creano attraverso le loro azioni e interazioni; per questo, i risultati dell’ intero sistema, sono fortemente influenzati dall’ agire dei singoli elementi.

All’ interno del sistema sanitario gli ospedali sono i microsistemi che assumono il ruolo di principali nodi della rete: cercano continuamente di adattarsi ai cambiamenti esterni ed interni comportandosi loro stessi come sistemi complessi adattativi21.

20 Approccio sistemico in Sanità, cap.1: Introduzione alla complessità in Sanità; Romano G., Tardivo S.,

Pascu D., Mantovani W.; DEDALO 97- Associazione Scientifica Culturale di Promozione Sociale, 2012

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L’ evoluzione degli ultimi anni della medicina dal punto di vista scientifico- tecnologico, dovuto dal progresso e dal bisogno di soddisfare una domanda di salute sempre più vasta e con patologie croniche più complesse, ha portato gli ospedali a dirigersi verso una maggiore intensità e complessità assistenziale.

La conseguenza a livello pratico è quella di avere ospedali con più specialisti e, quindi, team con un numero più ampio di professionisti che devono lavorare insieme riuscendo a coordinarsi, a comunicare fra loro e a rispettare le gerarchie. Gli agenti di questo sistema interagiscono fra loro e si influenzano reciprocamente; le azioni di un singolo dipendono da un altro agente e le singole responsabilità ricadono su tutto il sistema.

Anche piccoli eventi riescono a modificare l’organizzazione, interamente o in parte, evidenziando la sua natura complessa, che necessita di sviluppare nuove modalità per far fronte alle variazioni (ad esempio, se all’ interno di una Unità Operativa, un agente deve trattare una tipologia di paziente nuovo, attuerà una modalità di gestione dell’ urgenza clinica in modo diverso dal solito, portando di conseguenza al cambiamento anche gli alti professionisti e il sistema stesso)22 .

2.3 La visione contingentista: la teoria di Henry Mintzberg

La visione contingentista nasce attorno agli anni ’60 dall’ esigenza di relativizzare le teorie classiche che ormai sembravano obsolete. Viene considerata uno sviluppo della teoria sistemica in quanto il rapporto con l’ambiente viene visto con una relazione di causa-effetto dove l’ambiente causa le mutazioni che hanno effetto sulla struttura organizzativa: in pratica l’organizzazione reagisce agli stimoli dell’ambiente mutando

(27)

attraverso un processo di riorganizzazione che porta ad una modifica delle strutture organizzative23.

La rivoluzione portata da tale approccio ha fornito una svolta, rispetto alle teorie classiche, sostituendo l’approccio dell’one best way con la prospettiva dell’one best fit 24: si passa

dunque da un unico modello valido a un pluralismo organizzativo dovuto all’ adattamento alle contingenze da parte dell’organizzazione.

I fattori contingenti che vengono considerati dagli studiosi sono principalmente quattro e su ognuno di loro si è formata una scuola di pensiero differente:

1) la scuola tecnologica, guidata da Joan Woodward, credeva nel collegamento fra la struttura organizzativa verticale e le tecnologie utilizzate per i sistemi di produzione. Suddivise la tecnologia in tre classi di produzione: di piccola serie, di grande serie e di processo, specificando che la teoria meccanicistica era adatta alle produzioni di grande serie, mentre per quelle di piccola serie e di processo erano più adatte forme organizzative vicino al modello organico;

2) la scuola dimensionale di Max Weber vedeva una dipendenza della configurazione della struttura organizzativa rispetto alle dimensioni aziendali, più l’azienda è grande e maggiore è la specializzazione, il decentramento e l’utilizzo di sistemi di pianificazione e controllo;

3) la scuola ambientale nasce con Burns e Stalker che si pongono l’obiettivo di trovare modelli di configurazioni organizzative in base a specifiche tipologie d’ambiente e si evolve qualche anno dopo con Lawrence e Lorsh, i quali arrivano alla determinazione che il sistema organizzativo si compone di sottosistemi e che

23 http://www.valvo.it/le_teorie_contingenti.htm 24 La progettazione organizzativa, Cicchetti A., pag.17

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la differenziazione organizzativa di questi dipende dalle caratteristiche dei sottoambienti di riferimento mentre il loro grado d’integrazione dipende dal loro grado di differenziazione e quindi di complementarietà e dal grado di stabilità dell’ambiente globale circostante25;

4) la scuola strategica, fondata da Chandler, ipotizzava che l’assetto organizzativo fosse influenzato dalle strategie adottate dalle organizzazioni in base al posizionamento delle variabili ambientali e tecnologiche nel contesto socio-economico.

Da questi approcci nacquero delle teorie di sintesi che integravano tra loro i vari fattori contingenti. Fra queste ricordiamo la teoria di Mintzberg che approvava quella che viene definita la doppia coerenza, cioè sia la coerenza fra ambiente e struttura sia quella fra gli elementi del sistema organizzativo. Egli infatti afferma che “le variabili o elementi dell’organizzazione debbono essere scelti in modo da raggiungere un’armonia o una coerenza interna e nel contempo anche una coerenza di fondo con la situazione dell’azienda”26 .

Mintzberg sostiene che, come ogni attività umana, anche l’organizzazione richiede due operazioni fondamentali e al tempo stesso opposte: la divisione del lavoro e il loro coordinamento.

Il coordinamento viene considerato il collante dell’organizzazione e può essere messo in atto tramite cinque modalità:

1) Il reciproco adattamento: è un meccanismo semplice che avviene tramite comunicazione informale fra collaboratori.

25 http://www.valvo.it/le_teorie_contingenti.htm

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2) La supervisione diretta: è una forma gerarchica che vede istituire la figura di un “capo” che controlla e coordina l’operato dei propri subalterni.

3) La standardizzazione degli input: è un tipo di coordinamento che definisce gli standard che devono avere i professionisti per poter svolgere quel determinato lavoro e avviene al di fuori dell’ambiente di lavoro.

4) La standardizzazione dei processi: vede istituire procedure e norme che standardizzano i processi produttivi.

5) La standardizzazione degli output: modalità di coordinamento che tramite la standardizzazione del risultato finale permette una conseguente coordinazione del processo.

La maggior parte delle organizzazioni utilizza ognuna di queste modalità di coordinamento perché le standardizzazioni servono per prevedere i risultati e ridurre le variabilità individuali, ma la comunicazione informale e la supervisione come funzione di leadership servono sempre e in particolare per stemperare le possibili rigidità delle standardizzazioni27.

Secondo la sua visione inoltre, tali meccanismi di coordinamento devono essere utilizzati da tutti gli attori che sono coinvolti nei processi dell’organizzazione e li suddivide in cinque categorie: il nucleo operativo, il vertice strategico, la linea intermedia, la tecnostruttura e lo staff di supporto.

(30)

Le cinque parti dell’organizzazioni di Mintzberg (1985) Fonte: Progettazione organizzativa, M. Marcuccio

Il nucleo operativo è la base e il fulcro dell’organizzazione. Al suo interno troviamo tutti gli operatori che svolgono le attività principali per l’ottenimento dei prodotti o servizi, infatti al suo interno vige la massima standardizzazione.

Le principali funzioni di cui si occupano sono di:

• procacciamento degli input per la produzione (materie prime, accoglienza, ecc.); • trasformazione degli input in output;

• distribuzione degli output (vendita e distribuzione);

• supporto diretto alle funzioni di input, trasformazione e output (manutenzione macchine, gestione magazzino, ecc.).

Il vertice strategico è formato dalle persone che hanno la responsabilità sull’intera organizzazione e deve assicurare che l’azienda rispetti la mission in modo efficace e che risponda ai bisogni di tutti gli attori coinvolti.

Svolge funzioni di:

(31)

• gestione delle condizioni di confine, cioè delle relazioni fra l’organizzazione e l’ambiente di riferimento;

• sviluppo della strategia dell’organizzazione.

La linea intermedia nasce nelle organizzazioni di grandi dimensioni e complessità dove il vertice strategico non è più in grado di attuare una supervisione diretta su tutti. Infatti, è formata da altri manager che dirigono un numero limitato di operatori e collega il vertice strategico con il nucleo operativo. Le funzioni che svolge sono di:

• supervisionare direttamente la propria unità;

• raccogliere i feedback sulla performance della propria unità e riportarli ai vertici; • formulare le strategie della propria unità operativa seguendo le linee guida della

strategia generale dell’organizzazione; • intervenire nel flusso delle decisioni;

• gestire i rapporti che la propria unità ha con esterni.

La tecnostruttura comprende la parte di professionisti che all’interno dell’azienda svolgono una funzione di sostegno dei manager. Questi infatti possono attuare meccanismi di standardizzazione, possono progettare, modificare il lavoro, i flussi e i processi e possono formare il personale, ma non partecipano all’attività produttiva, né la controllano direttamente.

Lo staff di supporto è formato da unità che svolgono specifiche attività di supporto esterno ed indiretto all’organizzazione come la mensa, l’ufficio legale, i laboratori, il servizio di pulizie, ecc. Sono mini-organizzazioni che possono far parte dell’azienda o essere esternalizzate.

(32)

Dalle differenti combinazioni dei meccanismi di coordinamento con le divisioni dell’organizzazione si arriva alle cinque configurazioni organizzative di Mintzberg, delle specifiche strutture organizzative dove, all’ interno di ognuna di essa, c’è la prevalenza di una determinata modalità di coordinamento e di una specifica parte dell’organizzazione. Le configurazioni sono modelli ideali che rappresentano delle strutture concettuali le quali servono per capire meglio i comportamenti organizzativi delle aziende e le loro evoluzioni nel tempo. Essi sono: la struttura semplice, la burocrazia meccanica, la burocrazia professionale, la soluzione divisionale e l’adhocrazia.

Vediamole più nel dettaglio.

1) La struttura semplice è formata dal vertice strategico che ha un forte accentramento del potere e una supervisione diretta sul nucleo operativo. La tecnostruttura e lo staff di supporto sono molto limitati se non assenti.

La struttura è molto semplice, la divisione del lavoro non è rigida, così come la formalizzazione del comportamento e non vi è differenziazione fra le diverse unità organizzative. Infatti, i punti di forza di questa struttura sono proprio la flessibilità, i bassi costi di struttura, i forti rapporti interpersonali e la possibilità di garantire una risposta strategica calata sulle reali esigenze della struttura. Gli svantaggi si riscontrano nella forte dipendenza da una sola persona e nella possibile confusione fra le attività strategiche e operative.

(33)

2) La burocrazia meccanica è una struttura adatta ad aziende mature di grandi dimensioni con un elevata stabilità, in quanto i processi di lavoro sono molto specializzati e standardizzati. Il nucleo operativo è suddiviso in unità di grandi dimensioni, raggruppate su base funzionale, con una buona divisione del lavoro. La standardizzazione viene realizzata dalla tecnostruttura, che assume un ruolo di elevata rilevanza, mentre i manager di linea vengono investiti di forte autorità formale per far sì che ciò venga rispettato. L’organizzazione è definita “burocratica” perché è caratterizzata da un insieme di norme piuttosto rigide, il potere decisionale è piuttosto accentrato e l’implementazione della strategia aziendale avviene dall’ alto verso il basso (top-down).

(34)

3) La burocrazia professionale è basata sulla standardizzazione delle competenze in ingresso. Il nucleo operativo è la parte fondamentale di questa struttura. È costituito da professionisti che controllano il lavoro e le decisioni amministrative e direzionali di loro interesse, lavorano in modo indipendente e a stretto contatto con i loro clienti ascoltando, interpretando e classificando le loro esigenze per poter applicare ed eseguire il programma più idoneo. La tecnostruttura, così come la linea intermedia, non sono molto sviluppate e comunque sono sempre a servizio del nucleo operativo. È una struttura democratica e la gerarchia è di tipo bottom up (dal basso) in quanto sono i professionisti del nucleo operativo a detenere il potere sulla propria attività, è rigida e scarsamente idonea alle innovazioni.

(35)

4) La soluzione divisionale è una configurazione che deriva dalla burocrazia meccanica con la differenza che si applica in organizzazioni che operano in ambienti semplici e vogliono diversificare orizzontalmente le proprie linee di prodotti o servizi. La stan-dardizzazione è accentrata sugli output e spinta dalla linea intermedia, parte centrale della struttura.

È organizzata in entità quasi autonome chiamate divisioni. Ognuna di loro è raggrup-pata in base al prodotto/mercato al quale si riferiscono e sono organizzate al loro in-terno tramite burocrazia meccanica, ma sono coordinate tutte da una sola direzione centrale che è il vertice strategico. La divisionalizzazione è possibile nei casi in cui le aziende operino in più settori o mercati diversi e, oltre a permettere possibilità di espansione, è un metodo che permette di migliorare le capacità di risposta aumentando l’elasticità strategica e ripartendo i rischi. Non mancano i rischi che si possono riscon-trare in un’eccessiva diversificazione come un’elevata conflittualità fra le varie divi-sioni oppure uno scarso controllo trasversale che permette duplicazioni o poca inno-vazione.

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5) L’ adhocrazia è una configurazione basata sull’ alta specializzazione orizzontale delle mansioni e delle competenze dello staff di supporto e del nucleo operativo che rappresentano le parti fondamentali dell’organizzazione. I professionisti detengono il potere e vengono suddivisi in gruppi multidisciplinari di lavoro, ottimali e molto flessibili, che si adattano per le specifiche esigenze. Al loro interno vige l’adatta-mento reciproco, e non la standardizzazione della competenza come nella burocrazia professionale, per favorire l’innovazione. Il vertice strategico ha funzioni di controllo e di gestione dei rapporti con l’esterno. È una struttura adatta per organizzazioni con innovazioni complesse e sofisticate grazie alla capacità di unire competenze diverse dei vari professionisti in gruppi ben integrati. I punti di debolezza di questa configu-razione si riscontrano nella possibilità di creare ambiguità nella divisione delle man-sioni e nelle gerarchie, di avere inefficienze dovute dall’eccessiva innovazione e, nel lungo periodo, che la struttura si trasformi in altre configurazioni non più idonee, ad esempio in burocrazia.

(37)

Come già accennato, le configurazioni organizzative descritte da Mintzberg possono essere associate alle organizzazioni sanitarie, in particolare ritroviamo la burocrazia professionale e l’adhocrazia.

La sanità è un’organizzazione con un elevata standardizzazione delle competenze in ingresso, infatti è ricca di professionisti e ognuno di loro ha proprie caratteristiche e un certo grado di autonomia che rappresentano la parte fondamentale dell’organizzazione, proprio come nel modello della burocrazia professionale. Ma come abbiamo potuto vedere pocanzi questo tipo di configurazione ha delle criticità non trascurabili in ambito sanitario.

Per prima cosa bisogna considerare il fatto che se il professionista non riscontra un problema o una carenza sarà impossibile intervenire per risolvere il problema, inoltre all’interno delle famiglie dei professionisti potrebbero esserci problemi di integrazione e coordinamento, gli operatori potrebbero essere così concentrati a capire quale sia il loro ruolo e campo d’azione, che dimentichino l’importanza di un lavoro cooperativo prediligendo l’autonomia lavorativa.

Un altro elemento di svantaggio è la scarsa elasticità del sistema e la poca propensione all’innovazione che hanno indotto l’organizzazione a non essere più in grado di rispondere in modo efficace e tempestivo ai cambiamenti.

Questo ha fatto sì che anche il sistema sanitario, e in particolar modo quello ospedaliero, diventasse un sistema restio al cambiamento e all’innovazione ma, come vedremo nel prossimo capitolo, le contingenze esterne sono troppo forti e hanno portato a dubitare dell’organizzazione ospedaliera. Con il nuovo modello gestionale si assiste ad una vera e propria rivoluzione dell’organizzazione che porta al superamento della tradizionale configurazione delle strutture ospedaliere a blocchi verticali, definiti “silos”. Il baricentro viene spostato dalla specialità medica (stratificazione verticale centrata sulla competenza

(38)

specialistica del professionista), a quella dell’intensità delle cure/complessità assistenziale (stratificazione orizzontale centrata sul bisogno dell’assistito), rappresentando un’evoluzione verso risposte più flessibili28.

Con questo cambiamento la struttura si sposta più verso una configurazione adhocratica e, se perdurerà nel tempo, si potrebbe ottenere una nuova tipologia che lo stesso Mintzberg ha definito buro/adhocrazia: un modello ibrido che mantiene una forte standardizzazione delle competenza in ingresso, caratteristica tipica della burocrazia professionale, e la integra con l’alta specializzazione orizzontale che tende a raggruppare i professionisti in unità funzionali centrate al raggiungimento di un obiettivo comune. Questo porterà all’ organizzazione forti vantaggi, come una maggiore flessibilità e una più fluida e naturale cooperazione fra i vari professionisti che si coordineranno tramite l’adattamento reciproco.

Il cambiamento come vedremo non sarà facile, potrebbe avvenire in tempi molto lunghi e potrebbe anche non risultare efficiente in quanto, affinché vi sia un vero cambiamento tutte le parti dell’organizzazione devono accettarlo tramite una cultura diffusa.

(39)

3. VERSO UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE

Il cambiamento dell’organizzazione ospedaliera, dal modello tradizionale a quello per intensità di cura e complessità assistenziale, spesso viene banalmente associato ad un’imposizione di tipo normativa, contestualizzata poi dalle aziende sanitarie a livello regionale. In realtà, le motivazioni che spingono al cambiamento provengono dalla necessità del sistema sanitario di adeguarsi a nuove variabili interne ed esterne alle organizzazioni. Una delle principali motivazioni deriva dalla transizione demografica, avvenuta in Italia a partire dagli anni '50, che ha portato ad una caduta dei tassi di mortalità e ad una forte riduzione della natalità. Questo ha causato l’inevitabile aumento dell’indice di vecchiaia, facendo sì che l’Italia diventasse il secondo Paese più vecchio del mondo, con una stima di 168.7 anziani ogni 100 giovani (dati al 1° Gennaio 2018)29.

L' invecchiamento della popolazione ha generato alla formazione di una nuova categoria di pazienti caratterizzati da un’estrema instabilità clinica e di una nuova classe di malattie cronico- degenerative come l’Alzheimer, il diabete, i tumori e le patologie cardiovascolari, polmonari croniche e muscoloscheletriche. Come conseguenza, il carico economico sul Sistema Sanitario Nazionale è aumentato. Secondo il rapporto “Stato di salute e prestazioni sanitarie nella popolazione anziana” del Ministero della Salute (2000), risulta che i ricoveri ordinari per acuti di persone anziane siano pari al 37% del totale, mentre le giornate di degenza siano pari al 49% (in media si stima un periodo di degenza di una persona anziana di 9 giorni, a confronto dei 6.9 del resto della popolazione). Questo ha portato ad una contrazione delle risorse disponibili, con la conseguente necessità di utilizzare le risorse in maniera ottimale e di combattere gli sprechi o duplicazioni. Da qui nasce il repentino bisogno di un cambiamento, di un nuovo modello del Servizio Sanitario Nazionale, in grado di fornire le risposte giuste a tutte queste nuove variabili.

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3.1 Il cambiamento demografico in Italia

Una problematica, che sta avvolgendo l’Italia e il resto del mondo occidentale, è il cambiamento demografico che sta portando il nostro Paese verso un cospicuo invecchiamento della popolazione.

Dal primo censimento, avvenuto in seguito all' unione d' Italia nel 1861, arrivando agli anni meno remoti a noi, vediamo come la popolazione residente sia notevolmente aumentata, passando da 22 milioni a circa 60 milioni di persone, facendo dell’Italia il 4° Paese europeo e il 23° al mondo per densità di popolazione30.

Come si può notare dal grafico, dopo un sostanziale aumento della popolazione a partire dalla fine dell'800, c'è una battuta di arresto dal 1981 al 2001 che poi riprenderà ad aumentare nei primi anni del nuovo secolo. Questo aumento non è dovuto all' incremento del livello di natalità, perché, come vedremo più avanti, quest' ultimo è in forte calo, ma è avvenuto grazie ai flussi migratori in entrata che hanno caratterizzato il nostro Paese negli ultimi decenni. Secondo i dati ISTAT i cittadini stranieri residenti in Italia al 1° Gennaio 2018 sono circa 5.144.440 (18mila persone in più rispetto al 2017) e rappresentano l’8,5% della popolazione residente.

(41)

Inoltre, la classe straniera è caratterizzata da una struttura per età più giovane della nostra (l'età media dei cittadini stranieri è di 34 anni) e, grazie alla loro cultura diversa da quella occidentale, hanno tassi di fecondità molto più elevati. Si pensi che nel 2017 i nati con almeno un genitore straniero rappresentano il 21,1 % del totale delle nascite, con un indice medio di figli per donna di 1.95 rispetto all' 1.27 delle donne italiane.

Tutto questo però, non basta a decelerare il processo di invecchiamento della popolazione, che viene spiegato da molti demografi con la teoria della transazione demografica. L'ipotesi di base è che questa teoria caratterizzi tutti i paesi del mondo, a partire da quelli più sviluppati ed economicamente più ricchi, fino ad arrivare più tardivamente ai paesi in via di sviluppo. Per transizione demografica si intende il processo di passaggio dagli elevati livelli di natalità e mortalità dell'antico regime demografico, caratteristico delle società pre-industriali, ai bassi livelli attuali31. Per effettuare questo passaggio bisogna

affrontare due fasi32.

Nella prima fase, o prima transizione, lo sviluppo di una società permette la riduzione della mortalità, ma permane ancora un elevato tasso di natalità, legato alla tradizione socio-culturale promiscua (in questa fase si trovano ancora i paesi in via di sviluppo). Nella seconda fase della transizione (iniziata nei paesi economicamente sviluppati a partire dalla fine del Novecento) invece, i costi crescenti, legati al nucleo familiare molto esteso, producono una tendenziale diminuzione della natalità.

Quando il tasso di natalità eguaglia quello di mortalità si raggiunge il "regime moderno". In questo regime, dove ad oggi si trova il nostro Paese, si verifica un saldo naturale, cioè una differenza tra il numero dei nati vivi e quello dei morti in un anno, negativo: nel 2017 infatti, era pari a -190 mila, registrando così un minimo storico33 che non permette di

avere un ricambio generazionale.

31Www.previsionari.it

32Transizione demografica- Wikipedia 33Popolazione e famiglie- Report Istat

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Teoria della transazione demografica Fonte: Transizione demografica, Wikipedia

Saldo naturale della popolazione italiana dal 1862 al 2015 Fonte: Demografia d' Italia, Wikipedia

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Per arrivare alla spiegazione completa dell’invecchiamento della popolazione, bisogna guardare un altro aspetto, quello dell’aspettativa o speranza di vita, cioè il numero medio di anni che una persona può sperare di vivere dalla nascita, nel caso in cui mantenga un regime di vita simile a quello ipotizzato nella stima. Come possiamo vedere dal grafico sotto riportato, c'è un sostanziale aumento dal 1887, periodo in cui le aspettative di vita erano di circa 38 anni sia per il genere maschile sia per quello femminile, ad oggi, dove, l'ultima rilevazione del 2018, ha stabilito una vita media di 80,6 anni per gli uomini e 84,9 anni per le donne.

Speranza di vita alla nascita e differenza di genere in Italia, anni 1887-2017* Fonte: Indicatori demografici, stime per l'anno 2017- Report Istat

Tutto questo ha portato ad un intenso mutamento della struttura per età della popolazione residente in Italia, facendo così salire la media nazionale delle persone over 65.

Nel non lontano 1995, il 63,4% della popolazione, era rappresentata dai giovanissimi (0-14 anni), mentre gli anziani erano pari solo al 7.08%.

Al 1° Gennaio 2018 si riscontra invece, che il 22,6% della popolazione ha un’età superiore o uguale ai 65 anni (secondo le previsioni andrà ad aumentare fino al 32,7% nel

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2050), il 64,1% ha un’età compresa fra i 15 e 64 anni, mentre solo il 13.4 % ha meno di 15 anni, facendo sì che l'età media della nostra popolazione sia superiore ai 45 anni34.

Da qui nasce la definizione dell’Italia come “Paese vecchio”.

L' evoluzione demografica in Italia, 1995-2018 Fonte: rielaborazione personale di dati Istat

Demografia d’ Italia 2018 per classi di età Divisione per sesso della categoria65+ anni

Fonte: elaborazione personale dati Istat 2018

34Indicatori demografici- stime per l'anno 2017, Report Istat

13% 64% 23% 0-14 anni 15-64 65+ anni 39% 61% MASCHI FEMMINE 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 1995 2000 2009 2018 0,63 0,14 0,14 0,13 0,3 0,68 0,66 0,64 0,07 0,18 0,2 0,23

(45)

3.2 Il cambiamento epidemiologico

Il cambiamento epidemiologico che si sta verificando in Italia è una conseguenza diretta del mutamento della struttura demografica, a cui viene associato uno stile di vita disordinato: spesso è di tipo sedentario, basato su un’alimentazione non sempre corretta e legata all' uso di tabacco o sostanze alcoliche. Per questi motivi, anche se la speranza di vita è aumentata, l’indice di speranza di vita sana, in buona salute, è decisamente inferiore (maschi 59.2 anni, femmine 57,3 anni), creando un forte gap fra le due statistiche.

Il provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm del 12 Gennaio 2017) prevede un consistente ampliamento dell’elenco delle malattie rare, realizzato mediante l’inserimento di più di 110 nuove entità tra singole malattie rare e gruppi di malattie35;

inoltre è stato aggiornato anche l’elenco delle malattie croniche nel quale sono state introdotte sia patologie nuove, sia patologie che prima facevano parte del gruppo delle malattie rare.

Le principali patologie croniche- degenerative non trasmissibili che si riscontrano sono malattie come quelle cardiovascolari, polmonari, aterosclerosi, altre malattie ischemiche, artrosi, osteoporosi, diabete o malattie a livello neurodegenerative come l’Alzheimer o la demenza senile che colpiscono il 10.2% degli ultrasessantacinquenni.

Circa un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica grave o è multi- cronico, con quote tra gli ultraottantenni rispettivamente del 59% e del 64%; inoltre, confrontando i dati riportati nella seguente tabella, si può notare il notevole peggioramento dello stato di salute della popolazione anziana dai 65 agli 80 anni, con prevalenze che raddoppiano nel caso della presenza di patologie croniche e quintuplicano per le gravi limitazioni motorie36.

35 www.quotidianosanita.it, 13/01/2017

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