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L'affidamento esclusivo fra violazione dei doveri genitoriali e P.A.S. (Sindrome di Alienazione Parentale)

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in Sociologia e Management dei servizi sociali

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

L

’affidamento esclusivo fra violazione dei doveri

genitoriali e P.A.S. (Sindrome di Alienazione

Parentale)

ANNO ACCADEMICO 2017/2018


CANDIDATA

RELATRICE

(2)
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INDICE p. 3

INTRODUZIONE p. 5

CAPITOLO I: L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO

1.1 Dall’affidamento esclusivo a quello condiviso: i passaggi

normativi più significativi p. 9

1.2 Legge 8 febbraio 2006, n. 54 p. 11

1.2.1 Il diritto alla bigenitorialità p. 17

1.3. L’affidamento esclusivo p. 19

1.3.1 Quando è opportuno disporre l’affidamento esclusivo? p. 22

1.4 L’affidamento a terzi p. 26

C A P I T O L O I I : V I O L A Z I O N E D E I D O V E R I GENITORIALI

2.1 L’esercizio della responsabilità genitoriale p. 29

2.2 I diritti del minore p. 31

2.2.1 Diritto al mantenimento e all’assistenza morale p. 34

2.2.2 Diritto all’istruzione p. 37

2.2.3 Diritto all’educazione p. 38

2.2.4 Diritto a crescere in famiglia e mantenere rapporti con gli

ascendenti p. 40

2.2.5 Diritto all’ascolto p. 41

2.3 Responsabilità genitoriale e affidamento esclusivo p. 43

2.3.1 Decadenza e limitazione della responsabilità genitoriale p. 47

2.4 Le figure professionali coinvolte p. 51

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CAPITOLO III: LA SINDROME DI ALIENAZIONE PARENTALE

3.1 Il disagio psicologico dei minori p. 60

3.2 P.A.S.: Parental Alienation Syndrome, realtà o finzione? p. 62 3.2.1 La programmazione messa in atto dal genitore alienante p. 66

3.3 Il riconoscimento giuridico p. 70

3.3.1 La sindrome di alienazione parentale nella

giurisprudenza civile p. 75

3.3.2 Il contesto giuridico e l’alienazione parentale p. 80

3.4 Mobbing Genitoriale p. 84

3.5 La situazione attuale: disegno di legge n. 735 p. 87

CONCLUSIONE p. 94

BIBLIOGRAFIA p. 97

SITOGRAFIA p. 101

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INTRODUZIONE

L’affidamento esclusivo dei minori a seguito della rottura della coppia genitoriale è stato per anni ritenuto dai giudici la tipologia più idonea all’interesse dei figli. In realtà l’affido del minore ad un unico genitore si è rivelato causa di sofferenze e disagi per i figli, perché li privava di poter godere di entrambe le figure genitoriali.

L’introduzione della legge 8 febbraio 2006, n. 54, ha modificato le disposizioni conseguenti alla separazione, introducendo il concetto di bigenitorialità, come diritto fondamentale per il minore e l’affidamento condiviso. L’affidamento esclusivo dei figli che in passato rappresentava la tipologia disposta maggiormente dai giudici, viene relegata a situazioni particolari, nelle quali l’affido ad entrambi i genitori si presenta contrario all’interesse del minore.

Nel presente lavoro si analizza il concetto di affidamento monogenitoriale e i casi in cui viene disposto, inoltre viene richiamato più volte il lavoro del Tribunale che coinvolge diverse figure professionali nei procedimenti che riguardano i minori affinché venga tutelato il diritto alla bigenitorialità e solo nei casi estremi sia disposto l’affido esclusivo.

Nel primo capitolo si esaminano i cambiamenti del panorama legislativo che determinano il carattere residuale dell’affidamento esclusivo, in particolare la legge n. 54/2006 e il decreto legislativo n. 154/2013.

Si afferma una nuova idea di famiglia dopo la rottura coniugale, ovvero è importante per il minore che i genitori siano d’accordo a collaborare insieme anche se separati per il benessere psico-fisico del minore. Inoltre si analizzano i possibili casi che possono costituire una motivazione valida per il giudice a procedere con l’affido monogenitoriale.

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Al termine del primo capitolo si esamina una terza tipologia di affidamento dei minori, ovvero l’affidamento a terzi: solitamente il giudice predilige affidare il bambino ai parenti e qualora questi si dimostrino inidonei individuerà soluzioni alternative come gli istituti pubblici. In diversi provvedimenti è stato deciso che il minore venga affidato al servizio sociale, ovvero l’affidamento del minore rimane in capo ai genitori ma sotto monitoraggio del servizio sociale.

Il servizio sociale in questo caso deve sorvegliare l’assetto familiare e tutelare il minore, soprattutto in presenza di nuclei familiari altamente conflittuali nei quali i genitori non riescono a collaborare per il bene del figlio.

Nel secondo capitolo si analizza la responsabilità genitoriale, in modo particolare quando questa viene esercitata dal genitore non affidatario. Nel dettaglio si definiscono i diritti del minore che devono essere garantiti per il suo interesse e per una crescita serena ed equilibrata. La violazione dei doveri genitoriali o l’abuso dei poteri in capo al genitore sono fattori importanti per valutare l’idoneità dei genitori per un eventuale affido condiviso, pertanto si deve capire quando queste violazioni nei casi più gravi possono determinare la decadenza o la sospensione della responsabilità genitoriale e il conseguente affido del minore al genitore che si è dimostrato più idoneo.

Un aspetto fondamentale affrontato nel capitolo riguarda la complessità del ruolo del giudice in questi provvedimenti, nei quali deve necessariamente coinvolgere diverse figure professionali che lo coadiuvano in queste situazioni delicate. Il giudice attuerà una serie di procedure per verificare concretamente l’impossibilità di disporre l’affido del minore ad entrambi, che richiedono una tempistica molto

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lunga ma indispensabile per capire se si è in presenza di un impedimento o una violazione recuperabile o meno.

Tra i diversi strumenti utilizzabili per il sostegno alla genitorialità, si analizza il progetto P.I.P.P.I. che fornisce un aiuto per le famiglie in difficoltà per salvaguardare la crescita e il benessere dei minori coinvolti e recuperare situazioni a rischio di maltrattamenti o di allontanamento del minore dal nucleo familiare. Il progetto interviene a tutela dei minori e a sostegno della genitorialità, in modo da mantenere nella vita del minore entrambi i genitori coinvolti.

Infine il terzo capitolo si concentra sulla sindrome di alienazione parentale, o con l’acronimo “P.A.S.” coniato da Richard Alan Gardner per indicare un disturbo che può manifestarsi nelle cause di affidamento dei figli. Si tratta di un rifiuto inspiegabile del minore nel voler frequentare un genitore, nel caso della PAS si tratta di un comportamento causato da una campagna denigratoria attuata dal genitore alienante volta a creare un immagine negativa, distorta del genitore alienato.

Il disagio psicologico del bambino a seguito della rottura genitoriale si manifesta sotto varie forme, nel caso della PAS ci sono sintomi ricorrenti individuati da Gardner. Definire la PAS come un disturbo costituito da diversi sintomi per alcuni autori è inconcepibile, in quanto la sindrome di alienazione parentale non è presente nel DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

Il dibattito nato sul fenomeno della sindrome di alienazione parentale, riguarda anche il contesto giuridico, poiché alcune sentenze avvalorano questo fenomeno come una condotta da verificare perché se presente è contraria al benessere del minore, mentre altre la negano per la sua mancata validità scientifica.

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Al termine del capitolo si analizza il disegno di legge, in corso di esame in commissione, che affronta alcuni temi esaminati nell’elaborato, sostanzialmente si concentra su quattro punti principali: la mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui sono coinvolti i figli minorenni; la possibilità di garantire un equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari; il mantenimento in forma diretta, e il contrasto dell’alienazione genitoriale.

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CAPITOLO I: L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO

1.1 Dall’affidamento esclusivo a quello condiviso: i passaggi normativi più significativi

Nel panorama legislativo italiano ci sono state una serie di rivoluzioni sociali prima della riforma del 2006 che portò definitivamente alla 1

parificazione tra i genitori.

Prima di tale innovazione si applicava prevalentemente l’affido esclusivo in caso di rottura della coppia genitoriale, infatti l’art. 155 c.c. un tempo recitava testualmente “il giudice dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati”, pertanto il compito del giudice era quello di individuare quale genitore fosse più adeguato per l’esercizio esclusivo di potestà genitoriale.

Il principale problema inerente all’affido monogenitoriale è dato dall’esclusione dell’altro genitore nella partecipazione attiva alla crescita del figlio. Al genitore affidatario spettano tutte le competenze genitoriali, infatti egli ricopre il ruolo di caregiver, mentre a quello non affidatario spetta un ruolo limitato al mantenimento del figlio.

Spinto da una maggiore incidenza delle scienze psicosociali e dalle innovazioni normative dell’epoca, il legislatore del 2006 sente l’esigenza di intervenire e di riformare le norme sull’affido dei minori in modo da evidenziare maggiormente i diritti del fanciullo e favorirne una crescita sana ed equilibrata.

Due interventi legislativi fondamentali che hanno incentivato tale svolta normativa sono: la legge sul divorzio, ovvero la legge n. 898 del 1970, che ha modificato l’idea dell’indissolubilità del matrimonio, e la legge n.

Legge 8 febbraio 2006, n. 54, Disposizioni in materia di separazione dei genitori e 1

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151 del 1975 che ha riformato interamente il diritto di famiglia. Quest’ultima ha mutato l’art. 155 del c.c. affermando che in caso di separazione il minore doveva essere affidato al genitore che secondo la valutazione del giudice era più adeguato per la crescita del figlio.

L’affidamento esclusivo presupponeva un unico genitore che esercitava la potestà genitoriale, mentre l’altro in una posizione asimmetrica poteva ricorrere davanti al giudice qualora il genitore affidatario adottasse comportamenti pregiudizievoli.

Un’altra innovazione significativa subentra con la legge n. 74 del 1987 “Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, che introduce l’esercizio comune della potestà genitoriale, indipendentemente dalla collocazione del minore. Il legislatore del 1987 introduce accanto all’affidamento monogenitoriale altre tipologie di affido, quello alternato e quello congiunto proprio per cercare di garantire al minore rapporti significativi con entrambi i genitori.

L’affidamento alternato, poco adottato dai Tribunali italiani, prevedeva per i figli dei periodi prestabiliti di frequentazione con entrambi i genitori. In questo caso il minore avrebbe dovuto avere due residenze anziché un abitazione preferenziale, e la potestà genitoriale si sarebbe alternata in relazione al periodo di convivenza di ogni genitore con il figlio in base alle scelte di vita basilari di quest’ultimo e non a quelle più rilevanti.

L’affidamento congiunto, che un tempo si contrapponeva a quello esclusivo, disciplinava l’affido del minore ad entrambi i genitori che in questo modo condividevano la responsabilità genitoriale. Tale tipologia di affidamento era riservata ad alcuni casi specifici legati a certi presupposti come l’assenza di conflitti tra i coniugi, stili di vita omogenei e la vicinanza delle abitazioni.

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La legge n. 54/2006 introduce per la prima volta nell’ordinamento italiano, il concetto di bigenitorialità che determinerà un cambiamento significativo nell’affidamento dei minori.

L’affido ad un solo genitore, che prima rappresentava la regola, assume così un carattere residuale limitato ai casi che presentano alcune caratteristiche; in modo particolare viene disposto nel caso in cui l’applicazione dell’affido condiviso si presenti contrario all’interesse del minore e sarà compito del giudice, valutata la situazione nel complesso, disporre di un provvedimento motivato a favore dell’affidamento del minore al genitore più idoneo.

1.2 Legge 8 febbraio 2006, n. 54

La legge n. 54 del 2006 ha introdotto un nuovo tipo di affidamento, quello condiviso, e ribadisce ancora oggi che entrambi i genitori devono assumere le decisioni che riguardano istruzione, educazione e salute dei figli, congiuntamente; tutto questo tenendo presente l’inclinazione naturale e le aspirazioni del minore. L’affidamento condiviso diventa la regola, mentre quello esclusivo l’eccezione. Gli stessi genitori oggi si presentano in Tribunale consapevoli dell'alta probabilità con cui verrà disposto l'affidamento esclusivo e solo in casi estremi e motivati da una certa gravità si potrà ottenere l’affido esclusivo.

L’affidamento condiviso si basa su una ripartizione di responsabilità e di compiti, diversamente da quello congiunto che vedeva i genitori esercitare il loro ruolo assieme. Si può dire che l’affido condiviso sia costituito da più aspetti che possono spaziare dall’affidamento congiunto a quello esclusivo, qualora il giudice dividesse determinate competenze genitoriali.

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L’aspetto principale evidenziato con la modifica dell’art. 155 comma 1 c.c. (ora contenuto nell’art. 337 ter c.c. a seguito della riforma sulla filiazione) riguarda l’esclusivo interesse del minore alla bigenitorialità, il quale a seguito della rottura della coppia genitoriale deve essere garantito al figlio in modo da mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

Il legislatore assegna al giudice un ruolo primario perché deve concretizzare la ripartizione delle competenze, le modalità e i tempi in cui il minore risiederà presso ciascun genitore e la misura in cui entrambi devono provvedere al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione del figlio.

Gli accordi tra i genitori costituiscono un aspetto importante del progetto di affido, per questo il giudice deve tenerne conto. Se i genitori rispettano reciprocamente le proprie capacità e quindi sono d’accordo ad esercitare il ruolo genitoriale insieme anche se separati, il ruolo del giudice sarà limitato e egli dovrà tenere presente l’accordo tra i genitori. Se tra i genitori si presenta una situazione conflittuale il giudice dovrà emanare un provvedimento più articolato definendo quali siano le competenze che spettano ad entrambi, ed in queste ultime non sono comprese le decisioni di maggiore importanza che prevedono un esercizio della responsabilità congiunta. Da ciò si deduce che, l’esercizio della responsabilità spetta ad entrambi i genitori per le decisioni di maggiore interesse che riguardano i minori e devono essere prese di comune accordo tenendo presente le aspirazioni e le inclinazioni dei figli. Qualora ci sia un’impossibilità nel raggiungere un accordo per le decisioni più rilevanti, sarà compito del giudice decidere in merito. La riforma n. 54/2006 introduce anche l’art. 709 ter c.p.c. il quale fa riferimento alle misure risarcitorie e sanzionatorie a carico del genitore

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che esercita una condotta pregiudizievole per il figlio, ovvero una responsabilità civile per violazione dei doveri previsti nelle modalità di affidamento o di esercizio della responsabilità genitoriale con pregiudizio per il minore. I comportamenti che possono dar luogo a tale responsabilità sono molteplici: può trattarsi di condotte che ostacolano o eludono le disposizioni della sentenza di separazione o divorzio; oppure violazioni inerenti al diritto di visita del genitore non affidatario, o in caso di affido condiviso del genitore non convivente; ancora nell’avere assunto decisioni importanti all’insaputa dell’altro genitore . 2

Con l’indebolimento della famiglia nucleare si tende a valorizzare la rete familiare, la cosiddetta famiglia allargata che in qualche modo va a rimediare alle mancanze dei genitori divisi.

A tal proposito la legge sull’affidamento condiviso ha valorizzato il ruolo dei parenti e degli ascendenti: è un diritto del minore mantenere rapporti significativi con i parenti che contribuiscono ad arricchire la sua

Farolfi F., L’art. 709 ter c.p.c.: sanzione civile con finalità preventiva e punitiva? in 2

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sfera relazionale . Soprattutto i nonni svolgono un ruolo significativo nei 3

casi in cui vi siano carenze di uno o entrambi i genitori.

Il giudice può decidere di affidare, in alcuni casi e per gravi motivi, il minore ad un ascendente. Nell’ipotesi che entrambi i genitori non siano idonei per il minore, quest’ultimo può essere affidato ai nonni in modo da rimanere comunque all’intero dei rapporti familiari. In questi casi è fondamentale il ruolo del servizio sociale che ha il compito di monitorare la condizione del minore e l’andamento delle relazioni familiari.

Negli accordi di divisione della coppia genitoriale si può trovare anche uno specifico riferimento per gli incontri tra i minori e i nonni, o altri parenti, in modo da non sovrapporli agli spazi riservati ai genitori.

Un altro aspetto particolarmente importante riguarda l’assegnazione della casa familiare, questo perché non si vuole far viver al minore il trauma di abbandonare la casa in cui è cresciuto. Per quanto riguarda la residenza del minore il legislatore del 2006 non si pronunciò in merito

Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 25/07/2018, n. 19780 “Alla luce dei 3

principi desumibili dall'art. 8 CEDU, dall'art. 24, comma 2, della Carta di Nizza e dagli artt. 2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall'art. 317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell'art. 315 bis c.c., non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest'ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico.”

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per evitare di imporre al giudice o alle parti di individuare un genitore collocatario da cui veniva fissata la residenza del minore.

Questa mancanza viene risolta, come altri aspetti, con il Decreto legislativo n. 154 del 2013 , il quale nell’art. 337 ter comma 3 c.c. 4

prevede che «Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza

abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle

capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.» Quindi il giudice può decidere quale sia l’abituale residenza del minore, ma non può imporre o vietare ad una delle parti di risiedere in una determinata località, quindi il suo potere si limita a stabilire in quale comune debba risiedere il genitore che abitualmente convive con il figlio.

Negli accordi tra i genitori vanno esaminati con attenzione i limiti territoriali al possibile trasferimento del figlio, perché tali accordi possono trovare una giustificazione nell’interesse del minore e diventare un possibile parametro di riferimento nel giudizio di revisione.

Per quanto riguarda il modo in cui il figlio debba essere mantenuto dai genitori, nel periodo precedente alla riforma del 2006 il giudice solitamente stabiliva un importo periodico fisso che il genitore non affidatario doveva dare all’altro.

Con la nuova legge però si stabilisce, in coerenza con l’idea di condivisione della responsabilità genitoriale, che entrambi i genitori devono provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. In questo modo l’assegno periodico non rappresenta più la modalità ordinaria, ma sarà il giudice a disporre la definizione di un

Decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, Revisione delle disposizioni vigenti in 4

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assegno proporzionale per mantenere l’equilibrio degli impegni genitoriali.

Per la prima volta viene disciplinata anche la posizione dei figli maggiorenni: i genitori hanno l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni anche dopo il raggiungimento della maggiore età, fino a che essi non acquisiscano una piena autonomia patrimoniale. L’assegno periodico in questo caso sarà versato direttamente al figlio maggiorenne, salvo che il giudice non disponga diversamente.

I dati raccolti dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) dimostrano il cambiamento introdotto dalla legge n. 54/2006 che ha portato l’affidamento esclusivo ad avere un ruolo residuale. Tali dati dimostrano un’inversione di tendenza: se fino al 2005 l’affidamento esclusivo del minore alla madre era la tipologia prevalente, a partire dal 2006 con l’introduzione della legge n. 54 l’affidamento monogenitoriale si è ridotto fortemente a favore di quello condiviso.

Un altro aspetto rilevante riguarda l’affidamento esclusivo al padre che rimane residuale in tutti casi, mentre il collocamento presso la madre rimane la formula maggiormente utilizzata in Tribunale.

Fonte: ISTAT 2015

VARIABILE ANNI

2005 2010 2011 2012 2013 2014 2015 Figli minori affidati

esclusivamente alla madre 80,7 9,0 8,5 8,8 7,7 8,0 8,9 Casa coniugale assegnata alla

moglie 57,4 56,2 57,6 58,2 58,3 59,7 60,0

Separazione con assegno ai figli

corrisposto dal padre 95,4 93,6 95,7 95,8 92,6 94,1 94,1 Ammontare medio dell’assegno

per il mantenimento dei figli (in

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Il criterio della maternal preference , ovvero il principio secondo il quale 5

i figli devono convivere prevalentemente con la madre, ha trovato un riscontro nella sentenza della Cassazione del 14 novembre 2016, n. 18087. Ancora oggi, come in passato, alcuni padri si accontentano di spazi ridotti lasciando alle madri un ruolo maggiore. Tutto ciò è contrario al principio della bigenitorialità che afferma la parità tra i genitori e che in caso di conflitto il criterio da adottare sia l’interesse del minore, per questo non sono mancate voci contrarie al principio della maternal preference, come i giudici del Tribunale di Milano che l’hanno definito un criterio non valido giuridicamente nel decreto del 19 ottobre 2016. Per quanto riguarda la posizione del padre il fatto che l’assegno corrisposto dalla figura paterna nei confronti del figlio non abbia subito mutamenti significativi dal 2005 al 2015 basta a dimostrare che la collocazione dei figli minori alla madre continua ad essere la modalità prevalentemente scelta.

1.2.1 Il diritto alla bigenitorialità

Il concetto di bigenitorialità proposto nel 2006 va ad attuare un principio che in realtà era già stato introdotto nel nostro ordinamento a seguito della ratifica della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 6

20 novembre 1989. Nell’articolo 9 infatti si prevede il diritto del minore alla bigenitorialità, ovvero di mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori tranne nei casi motivati che siamo contrari al suo interesse. Sulla base di questo principio è fondamentale concedere un affidamento

Danovi F., I provvedimenti presidenziali nella separazione e nel divorzio: alla 5

ricerca di un’identità perduta in Famiglia e diritto n. 7, 2018, pag. 727.

Legge 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti 6

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idoneo al benessere del minore, che permetta ad entrambi i genitori di partecipare attivamente alla vita del figlio, anche dopo la divisione della coppia genitoriale.

La legge n.54/2006, come si è visto nel paragrafo precedente, predispone l’affidamento condiviso che permette a tutti gli effetti l’applicazione di tale principio come diritto soggettivo del minore e che permette a quest'ultimo di continuare a vivere in una famiglia, nonostante la rottura genitoriale.

Il diritto alla bigenitorialità costituisce per il giudice un vincolo nel senso che, se prima disponeva dell’affidamento esclusivo in modo regolare, adesso deve avere una motivazione valida che definisca l’affido condiviso come una modalità contraria al benessere del minore.

Il problema si pone in presenza di una forte conflittualità tra i genitori, che impedisce ogni forma di collaborazione. In questi casi diversi commentatori si chiedono se è giusto applicare comunque l’affido condiviso che potrebbe rilevarsi deleterio per il minore, data l’esposizione conflittuale dei genitori. Per il minore questa situazione stressante può portare a delle problematiche psicologiche, come l’insorgere dalla PAS (Parental Alienation Syndrome), che porta il minore, condizionato dal genitore ostile, a rifiutare l’altro genitore.

Per aiutare il giudice a formulare una decisione più chiara e adeguata è importante effettuare una valutazione delle capacità genitoriali in modo da verificare i comportamenti dei genitori, del minore e la loro relazione. Sicuramente le valutazioni dell’esperto chiamato dal giudice non possono prescindere dal fatto che il legislatore sostenga più volte il diritto del minore alla bigenitorialità e il diritto-dovere dei genitori ad assolvere ai loro compiti nel modo più adeguato per il minore. Pertanto in caso di divisione della coppia genitoriale si applicherà l’affido

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condiviso, di conseguenza le valutazioni si concentreranno maggiormente sul collocamento e le modalità di mantenimento, educazione e istruzione del figlio. Si tratta di definire un progetto che delinei nel dettaglio tutti questi aspetti e che in modo particolare soddisfi il diritto del minore alla bigenitorialità dal punto di vista personale e patrimoniale.

In caso di affido esclusivo le valutazioni delle capacità genitoriali porteranno alla conclusione che un affidamento condiviso sia contrario all’interesse del minore, saranno necessarie delle argomentazioni valide in modo tale che il giudice possa esprimere un provvedimento motivato. Sarà compito dell’esperto inoltre valutare l’adeguatezza del regime giuridico che regolerà i rapporti con il genitore non affidatario. Mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il genitore escluso rappresenta un diritto per il figlio ma non un dovere, infatti il bambino non potrà essere costretto a vedere il genitore con il quale sono stati interrotti i rapporti . 7

1.3 L'affidamento esclusivo

L’affermarsi del concetto di bigenitorialità e dell’affido condiviso ha riesaminato molti aspetti.

In passato i giudici si erano adagiati nel disporre l’affidamento esclusivo, ritenuto più idoneo, ma questo ha determinato una deprivazione del ruolo del genitore non affidatario che veniva sempre più estromesso dalla vita del figlio. Si riscontrava nella maggior parte dei casi che il genitore non affidatario, pur non perdendo sulla carta la sua potestà genitoriale, in

Camerini G. B., Lopez G., Volpini L., Manuale di valutazione delle capacità 7

genitoriali. APSI-I: Assessment of Parental Skills-Interview, Santarcangelo di

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realtà veniva estromesso dalla vita del figlio. Il minore, privato di una figura genitoriale, cresceva assorbendo l’educazione, gli stili di vita e le idee che in questo modo potevano creare in lui una visione negativa e conflittuale del genitore non affidatario.

La legge n. 54/2006 però non definisce la disciplina dell’affidamento esclusivo anche se è desumibile come contrapposta a quella dell’affidamento condiviso.

Il d.lgs. n. 154/2013 va a colmare questo vuoto normativo abrogando l’art. 155 c.c. e introducendo all’art. 337 quater c.c. gli aspetti che disciplinano l’affidamento monogenitoriale. Questa scelta del legislatore è stata fatta per evidenziare gli aspetti principali dell’affidamento ad un solo genitore, così come erano disciplinati prima della riforma del 2006. Come aveva già anticipato la riforma del 2006, la riforma della filiazione equipara definitivamente i figli, non esiste più una distinzione tra quelli nati nel o fuori dal matrimonio. Negli artt. 337 bis e ss. c.c., inseriti dal d.lgs. 154/2013 nel Capo II del titolo IX del libro primo del codice, si definiscono nel dettaglio tutte le questioni legate all’esercizio della responsabilità dei genitori a seguito della rottura della coppia genitoriale, senza distinzioni tra i figli. La scomparsa della dicotomia figli legittimi/ figli naturali vuole eguagliare la posizione dei figli nati nel o fuori dal matrimonio anche nel loro affidamento.

Il carattere residuale dell’affido ad un solo genitore è rimarcato dalla novella legislativa proprio per incentivare l’impegno di entrambi i genitori nel processo educativo della prole. L’affidamento esclusivo può essere applicato solo nel caso in cui quello condiviso sia contrario al benessere psico-fisico del minore e può essere richiesto al giudice da ciascun genitore in qualsiasi momento.

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Il giudice disporrà un affido monogenitoriale con provvedimento motivato, vincolato dalla ricorrenza di circostanze particolari e dovranno essere specificate le ragioni che dimostrino che la modalità di affido condiviso sia contraria nell’interesse nel minore. Una valutazione negativa sull’attitudine di un genitore porta a favorire il genitore che risulta idoneo a curare gli interessi del figlio.

L’affido esclusivo non comporta un’esclusione completa del genitore non affidatario, infatti permane l’esercizio di responsabilità congiunta per le questioni di maggior interesse.

Esiste però una forma di affido definito super esclusivo, con il quale il genitore affidatario può adottare tutte le decisioni inerenti al minore senza la consultazione dell’altro genitore. Il genitore non affidatario in questo caso può comunque vigilare sulle decisioni prese per il figlio e ha la possibilità di chiedere al giudice di intervenire qualora siano state assunte decisioni sfavorevoli per il minore . 8

Tale istituto è uno strumento molto potente e il legislatore cerca di limitarlo prevedendo che laddove la domanda fosse infondata il giudice possa prendere un provvedimento contro il genitore che ha posto tale domanda senza motivi concreti, applicando l’articolo 96 del codice di procedura civile . 9

Tribunale di Milano Sez. IX civile, Ordinanza del 20 marzo 2014 “[…]l’affido 8

(super)esclusivo alla madre è tanto opportuno quanto necessario per evitare che, anche per questioni fondamentali, la macchina di rappresentanza degli interessi del minore […] sia inibita dal funzionamento, a causa del completo e grave disinteresse del padre per la propria famiglia.”

Savorani G., L’affidamento super-esclusivo in talune circostanze è l’unico mezzo 9

per tutelare l’interesse del figlio minore, in La Nuova Giurisprudenza Civile

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1.3.1 Quando è opportuno disporre l’affidamento esclusivo?

L’affidamento esclusivo solitamente viene concesso dal giudice nei casi in cui sia lo stesso figlio a rifiutare il genitore o nei casi in cui un genitore viola i doveri genitoriali, oppure nei casi più estremi di esclusione e limitazione della responsabilità genitoriale.

Il minore può esprimere la sua volontà durante l’audizione con il giudice: se durante l’ascolto il minore dichiara un totale rifiuto verso il genitore, il giudice potrà disporre l’affidamento esclusivo perché il 10

rifiuto netto del figlio ne costituisce un criterio idoneo. Sarà dovere del giudice e del genitore affidatario fare in modo di favorire il recupero della figura genitoriale evitando di creare situazioni sgradevoli per il minore.

Per quanto riguarda la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, il giudice può decidere di disporre l’affidamento esclusivo ad un solo genitore nell’interesse del minore come definito dall’art. 330 comma 1, c.c. “Il giudice può pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio per il figlio.”, oppure come delineato dall’art. 333 c.c. “Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.”.

La situazione si complica maggiormente quando il genitore viola un dovere parentale verso il figlio, anche se non siamo in presenza di una

Tribunale di Verbania Sentenza 17 luglio 2018 n. 390. 10

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responsabilità genitoriale decaduta. In tutti questi casi è importante effettuare una valutazione delle capacità genitoriali e capire qual è il motivo dell’inadempienza del genitore. Per esempio nel caso di inadempimento prolungato di mantenimento perché dimostra una mancanza del genitore nel voler provvedere al proprio figlio, alle sue esigenze e garantirne una crescita serena ed equilibrata. In questo caso il genitore mostra un totale disinteresse nei confronti del figlio, di voler prendersi cura di lui.

Altri aspetti che sono incisivi per il giudice riguardano il comportamento o lo stile di vita del genitore che può ripercuotersi sul minore per esempio il voler imprimere al proprio figlio un credo religioso: questo comportamento non permette al minore di vivere secondo le sue aspirazioni ed inserirsi serenamente nella società. Sicuramente tutti gli aspetti che dimostrino l’inidoneità del genitore, laddove per esempio non sia in grado di occuparsi del figlio, di educarlo, costituiscono per il giudice circostanze concrete che avvalorano il provvedimento per l’affido esclusivo.

La giurisprudenza si interroga sulle controindicazioni dell’affidamento condiviso, fra cui quella più dibattuta che riguarda la conflittualità tra i genitori. Sicuramente il giudice in questo caso farà riferimento ad una serie di esperti in materia. La conflittualità deve essere tale da creare nel minore dei possibili risvolti psicologici, solo in questa condizione è concesso preferire l’affidamento esclusivo rispetto a quello condiviso. Se c’è un livello di conflittualità gestibile l’affidamento condiviso può funzionare in quanto si tratta di un esercizio della responsabilità genitoriale paritario, ripartito tra i genitori, ma non “a mani unite” come in quello congiunto.

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Secondo un filone giurisprudenziale l’affido condiviso svolgerebbe un 11

ruolo promozionale per innescare un rapporto equilibrato, comunicativo tra i genitori che sono motivati a dialogare per definire un progetto educativo condiviso.

Tra i motivi utilizzati per procedere ad un affidamento esclusivo del minore, non costituirebbe elemento fondante l'omosessualità, poiché rappresenta una condizione personale , a meno che non vengano 12

accertate delle problematiche riguardo il rapporto tra il genitore e il figlio, o che ciò incida sullo sviluppo psico-fisico del minore . 13

Neanche la lontananza di un genitore costituisce un motivo per disporre l’affido esclusivo, a meno che essa non crei difficoltà oggettive nell’esercizio di responsabilità del genitore non convivente con la prole. Un fattore che può favorire l’affidamento esclusivo è il comportamento di un genitore che ostacola un rapporto sereno ed equilibrato del figlio con l’altro genitore, in questo caso il giudice può affidare il minore al genitore privato di tale relazione.

Bugetti M.N., Affidamento condiviso e affidamento monogenitoriale. La sorte 11

dell’affidamento a terzi, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia a cura di

Arceri A., Sesta e Torino M., Utet Giuridica, 2012, pag 59.

Tribunale di Napoli, 28 giugno 2006, n.196 “[…]La disamina che precede già è 12

idonea a fornire una risposta univoca al quesito di partenza: ai fini dell’affidamento dei minori, prima ancora della valutazione dell’idoneità genitoriale, è di per sé irrilevante e giuridicamente neutra sia la condizione omosessuale del genitore di riferimento, sia la circostanza che questi abbia intrapreso relazioni omosessuali. […]”.

Iannaccone M. Quale conflittualità tra genitori esclude il ricorso all’affidamento 13

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Invece in caso di lontananza del genitore poiché si trovi in stato di detenzione, se ricorrono i presupposti il giudice affida la prole al genitore non detenuto a favore dell’interesse del minore, ciò dipenderà anche dal tipo di reato commesso e dalla pena inflitta . 14

Tutti questi sono aspetti che devono essere chiaramente verificati e possono portare il giudice a disporre l’affido esclusivo con un provvedimento motivato.

Oltre all’ascolto del minore, dove è possibile, di fondamentale importanza è la valutazione degli esperti. Si crea un lavoro di rete tra vari professionisti tra cui psicologi, giudici, avvocati e assistente sociale, per capire cosa può dare benessere al minore e di conseguenza agire nel suo interesse.

Il giudice assume un ruolo di sostegno verso il minore e gli altri specialisti come il mediatore, l’assistete sociale e lo specialista dell’area psicologica, educativa o sociale nella veste di C.T.U. o C.T.P. sono 15

chiamati a garantire una maggiore tutela ai minori e agli adulti coinvolti in questo procedimento.

Dal 2006 l'istituto a cui si fa maggiormente ricorso è l’affido condiviso e questo ha portato spesso ad una restrizione di quello esclusivo che in realtà poteva presentarsi come soluzione ottimale per il minore. Ad oggi

Tribunale di Parma Sez. I, Sentenza 04 dicembre 2017, il Tribunale dispone che i 14

figli vivranno con la madre, alla quale vengono affidati in via esclusiva. La madre potrà adottare anche le decisioni di maggiore interesse per i figli senza il consenso e l’accordo del padre.

Consulenza nell’ambito di procedimenti giuridici sia civili che penali. C.T.U. è 15

l’acronimo di Consulente Tecnico d’Ufficio, collabora con il giudice che gli ha conferito l’incarico. C.T.P. è l’acronimo di Consulente Tecnico di Parte, il consulente per le parti in causa.

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il giudice è chiamato a garantire il diritto del minore a mantenere rapporti con entrambi i genitori ed adottare, in modo analitico, le modalità di attuazione di questo principio.

1.4 L’affidamento a terzi

In caso di scissione della coppia genitoriale, come definito nei paragrafi precedenti, il minore è affidato di regola ad entrambi i genitori, ma quando questo è contrario all’interesse del figlio viene disposto l’affido esclusivo. Si parla però anche di affidamento a terzi, del quale si ammette l’adozione se funzionale all’interesse del minore.

L’affidamento a terzi subentra quando l’affido genitoriale è temporaneamente escluso ; le cause possono essere di vario tipo in 16

particolare la mancata adeguatezza delle capacità genitoriali all’interno della famiglia oppure una situazione di grave pregiudizio per il minore. Il giudice in questo caso applicherà la soluzione più ottimale, ovvero l’affidamento a terzi che ha carattere temporaneo perché in caso definitivo si dovrebbe invocare l’adozione. Questa modalità permette di tutelare il superiore interesse del minore nei procedimenti che lo riguardano, collocandolo al di fuori del nucleo familiare con attribuzione a soggetti terzi dell’esercizio della responsabilità genitoriale.

L’affidamento a terzi è uno strumento che può assumere diverse connotazioni, in base alle variabili presenti nel contesto familiare in esame.

Nel caso di esclusione dei genitori, la soluzione privilegiata è rappresentata dall’affidamento del minore agli ascendenti. In questo

Arceri A., Affidamento esclusivo, affidamento condiviso, affidamento a terzi: 16

confini tra le diverse tipologie nella recente giurisprudenza di legittimità in Famiglia

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modo si cerca di ridurre la sofferenza del minore allontanato dal proprio nucleo familiare . Laddove anche i parenti più prossimi si dimostrino 17

inadeguati il minore verrà affidato ad una famiglia estranea, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola.

Nel caso in cui il minore non può essere affidato ad una terza persona, la soluzione più ottimale è la comunità familiare, ovvero le istituzioni pubbliche.

In molti provvedimenti si legge che il minore è affidato al servizio sociale con collocazione abitativa presso un genitore.

Originariamente l’affidamento ai servizi sociali era una forma di intervento con finalità di recupero e di rieducazione per i minori che avessero dato prova di comportamenti irregolari, previsto nell’art. 25 del regio decreto legislativo n. 1404 del 1934, successivamente fu esteso, all’art. 26 della legge n. 888 del 1956, anche ai casi previsti dall’art. 333 c.c.. Ad oggi quando si dispone tale tipologia di affido significa che il minore è affidato ai servizi o al comune di residenza, pur mentendo in capo ai genitori l’affidamento. Questo capita spesso in presenza di forti conflitti tra i genitori che non si dimostrano capaci di collaborare per il figlio.

Nel caso di separazione o divorzio il minore è collocato presso uno dei genitori e il ruolo del servizio sociale è di monitoraggio, quest’ultimo svolge la funzione assegnata dal giudice in collaborazione con i genitori. Spetterà al giudice definire il rapporto tra genitori e figli.

Il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila, nella Sentenza del 15 maggio 2007, ha 17

disposto l’affidamento del figlio agli zii materni, sotto la costante ed assidua vigilanza dei servizi sociali, che sottoporranno i genitori ed il minore a psicoterapia, e che terranno informati sull’andamento della situazione i giudici minorili, competenti ad adottare, se del caso più radicali provvedimenti a tutela del minore.

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Il giudice può stabilire, in caso di affido esclusivo, al servizio sociale il compito di definire gli incontri in forma protetta tra l’altro genitore e il figlio. Il servizio ha il compito di sorvegliare gli incontri e i comportamenti, qualora verifichi per esempio che il rapporto tra il minore e il genitore sia pregiudizievole per il figlio, dovrà segnalarlo al giudice in modo che questi ridefinisca le modalità e i tempi degli incontri.

L’affidamento ai servizi sociali permette al servizio di proteggere il minore e di rinforzare le capacità genitoriali. I servizi sociali in questo modo possono vigilare su queste situazioni fortemente instabili cercando di lavorare e collaborare con i genitori per recuperare le capacità genitoriali . 18

Lenti L., Gli affidamenti ai servizi sociali in Famiglia e Diritto n. 1, 2018, pag. 18

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CAPITOLO II: VIOLAZIONE DEI DOVERI GENITORIALI

2.1 L’esercizio della responsabilità genitoriale

La genitorialità e le competenze genitoriali sono concetti complessi da definire perché correlati ad un determinato contesto culturale e valoriale di un particolare periodo storico.

La genitorialità non fa riferimento unicamente alla relazione che il genitore ha costruito con il bambino, ma è una funzione da esaminare prima della nascita del figlio tenendo presente la personalità del genitore condizionata da diverse variabili culturali, e la relazione tra la coppia genitoriale in esame.

L’art. 316 comma 1, c.c dispone che: “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.”; tale articolo con il d.lgs. 154/2013 ha assunto una nuova valenza alla luce dello stato unico di filiazione che fa riferimento anche ai genitori non coniugati e non conviventi. Per questo i genitori, anche non coniugati hanno il dovere di relazionarsi e di trovare un accordo per eseguire i compiti genitoriali nel modo più adeguato per il benessere del figlio.

In caso di rottura della coppia genitoriale, come dettato nell’art. 337 comma 3, c.c., le decisioni di maggiore interesse per il minore devono essere prese dai genitori di comune accordo, si tratta di decisioni che fanno riferimento all’istruzione, l’educazione, la salute e la scelta della residenza abituale del minore. Mentre per le decisioni quotidiane, di minore rilevanza, il giudice può stabilire che ciascun genitore abbia il potere di decidere singolarmente.

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In caso di contrasto per le questioni di straordinaria amministrazione ciascun genitore può ricorrere al giudice indicando le decisioni che ritiene più appropriate. Il giudice, sentite entrambe le parti e il figlio se maggiore di dodici anni o di età inferiore se capace di discernimento, suggerisce la decisone più ottimale nell’interesse del minore. Se questa prima fase conciliativa non ha successo, il giudice può attribuire al genitore che ritiene più idoneo il potere di decidere sulla questione in merito.

La regola prevede quindi un esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, mentre l’esercizio esclusivo rimane riservato ad alcuni casi specifici in cui il genitore sia impossibilitato, incapace o abbia un altro impedimento.

I provvedimenti che incidono sulla responsabilità genitoriale rappresentano uno strumento per tutelare l’interesse del minore e non devono essere considerati come una punizione per i genitori . 19

In alcune sentenze, prima di disporre un affido esclusivo il giudice prescrive, per un genitore o per entrambi, la frequentazione di un percorso terapeutico individuale oppure un percorso a sostegno della genitorialità, questo per cercare di recuperare un rapporto adeguato per il minore. Il giudice agisce sempre in favore del minore e dato che la legge ribadisce più volte che la bigenitorialità rappresenta un diritto per lo stesso, il giudice cerca molteplici soluzioni e si confronta con diversi esperti per cercare di favorire il benessere del minore.

Arceri A.,Sesta M., La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, Volume 19

III del Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu A., Messineo F., Mengoni L., continuato da Schlesinger P., Milano, Giuffrè Editore, 2016, pag. 143.

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Quindi se l’affidamento condiviso viene disposto automaticamente, così come vuole la regola, per quello esclusivo il giudice farà una valutazione dettagliata che richiede tempo e verifiche.

Il giudice, indipendentemente dal tipo di affidamento, deve prendere atto degli eventuali accordi tra i genitori, definire le modalità con cui entrambi devono provvedere al mantenimento, alla cura e all’istruzione dei figli, determinare i tempi di permanenza presso ciascun genitore e adottare qualsiasi provvedimento nell’interesse del minore. Nel caso dell’affido condiviso è necessario definire ritmi e tempi adeguati, quindi scandire in modo adeguato le modalità con cui possa garantire ad entrambi di prendersi cura del proprio figlio direttamente; mentre per l’affido esclusivo sarà il giudice che regolerà l’esercizio della responsabilità in modo differenziato in relazione alla situazione e alle problematiche vigenti.

Accanto ai provvedimenti di affidamento i giudici emettono una serie di prescrizioni nelle quali appare frequentemente l’espressione “diritto di visita” o “diritto di frequentazione” per garantire la continuità dei rapporti tra il genitore non affidatario e il minore. Si tratta dei provvedimenti in cui viene disciplinata nei dettagli la permanenza dei figli con il genitore escluso.

2.2 I diritti del minore

Nelle situazioni di crisi della coppia genitoriale si possono creare delle tensioni tali da distogliere l’attenzione dalle esigenze e dai diritti dei figli, per questo l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha realizzato la Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori che 20

https://www.minoritoscana.it/?q=node/1000 20

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si basa sui principi stabiliti nella Convenzione di New York, in particolare quello dell’ascolto e del superiore interesse dei minori.

La Carta è frutto di un lavoro di una commissione di esperti, associazioni e del contributo offerto dalle persone minori di età.

La Carta è costituita da dieci punti ed ha l’obbiettivo di tutelare e proteggere i bambini, i ragazzi coinvolti nella rottura della coppia genitoriale e di rendere consapevoli gli adulti, soprattutto i genitori, di mantenere invariata la centralità del figlio nella costruzione del nuovo assetto familiare . I dieci punti delineati dalla Carta sono: 21

1. I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e mantenere i loro affetti;

2. I figli hanno il diritto di continuare ad essere figli e di vivere la loro età, ovvero hanno il diritto alla spensieratezza e di non essere travolti dalla sofferenza degli adulti;

3. I figli hanno il diritto di essere informati e aiutati a comprendere la separazione dei genitori, non devono essere coinvolti nella decisione della separazione ma devono essere informati da entrambi genitori nel modo più adeguato possibile;

4. I figli hanno il diritto di essere ascoltati e di esprimere i loro sentimenti;

5. I figli hanno il diritto di non subire pressioni da parte dei genitori e dei parenti, non devono essere strumentalizzati;

6. I figli hanno il diritto che le scelte che li riguardano siano condivise da entrambi i genitori;

7. I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nei conflitti tra genitori;

https://www.garanteinfanzia.org/landing2/Libretto.pdf

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8. I figli hanno il diritto al rispetto dei loro tempi, hanno bisogno di tempo per elaborare la separazione, per capire e adattarsi alla nuova situazione;

9. I figli hanno il diritto di essere preservati dalle questioni economiche;

10. I figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano, di essere ascoltati, anche se le decisioni devono essere assunte dai genitori oppure in caso di disaccordo dal giudice.

La Costituzione pone i diritti fondamentali per i figli in primo piano: il diritto al mantenimento, alla cura, all’istruzione e quello all’ascolto, tutto ciò rispettando le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio. I genitori devono accompagnare il proprio figlio affinché egli dia forma alla sua personalità. Inoltre al minore spetta il diritto di crescere in famiglia e mantenere rapporti con i parenti.

L’art 315 bis c.c., dispone che: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.”; riconosce genericamente i diritti al figlio nei commi 1 e 2, mentre nel comma 3 il legislatore nello specifico si riferisce al figlio minorenne per quanto riguarda il diritto all’ascolto.

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2.2.1 Diritto al mantenimento e all’assistenza morale

Il diritto del figlio al mantenimento ed il correlativo obbligo in capo ai genitori, si riferisce al sostentamento e a tutti quei mezzi volti a soddisfare le esigenze del minore.

Il diritto all’assistenza materiale consiste nel ricevere quanto occorre per le normali esigenze di vita e di crescita, non riguarda soltanto le cure prestate al figlio durante la convivenza ma anche alle esigenze di sviluppo della personalità e alla sfera di vita relazionale. Tale diritto, in corrispondenza anche dell’art. 30 cost. come primo obbligo dei genitori, comprende ogni spesa necessaria per l’arricchimento della personalità del figlio, per il solo fatto di averlo generato, in proporzione alle proprie sostanze e al proprio reddito.

Il genitore per essere esonerato da ciò deve dimostrare la mancanza dei mezzi e l’impossibilità di procurarseli . 22

L’interpretazione dominante sostiene che il diritto al mantenimento deve essere calcolato in base ai redditi e al patrimonio della famiglia, come definisce anche l’art. 337 ter, comma 4, c.c., nella disciplina dell’affidamento dei figli a seguito della disgregazione della coppia genitoriale. L’assegno di mantenimento deve essere calcolato anche in base al tenore di vita di cui il figlio godeva quando viveva con entrambi i

In giurisprudenza è ricorrente l’affermazione secondo cui il dovere di 22

contribuzione spetti anche al genitore privo di reddito perché disoccupato, posto che lo stato di disoccupazione non implica il venir meno della «capacità del lavoro» e può, tutt’al più, influire sulle concrete modalità di assolvimento o sulla quantificazione dell’obbligo, da determinarsi facendo riferimento al cd. capacità lavorativa «generica» : cfr. Tribunale di Milano 15 aprile 2015, in www.ilcaso.it; Tribunale di Lanciano 24 novembre 2011, in De Jure. V. anche Cassazione Penale, sezione VI, 20 marzo 2012, n.41040, in De Jure.

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genitori, perché la rottura della coppia genitoriale non deve determinare un peggioramento dello stile di vita del minore goduto prima della crisi. Ciascun genitore è chiamato al mantenimento del proprio figlio in base alla capacità di lavoro, professionale o casalingo. Il lavoro casalingo consiste nel soddisfacimento diretto dei bisogni del minore, predisponendo un ambiente adeguato alla sua crescita.

Con la maggiore età il diritto al mantenimento permane in capo al figlio fino a che non sia in grado di inserirsi nel mondo del lavoro e avere una fonte di sostentamento autonoma. Il mantenimento solitamente si attua con un assegno periodico versato direttamente al figlio maggiorenne. I genitori possono, a seguito della legge 54/2006, essere tenuti a due modalità di mantenimento, diretto o indiretto.

Il mantenimento diretto, introdotto proprio con tale riforma, consiste nel far si che il genitore possa occuparsi direttamente del figlio e provvedere alle sue esigenze nel periodo in cui è collocato presso di sé. Questa modalità dovrebbe rappresentare la regola perché è quella che rispecchia maggiormente le caratteristiche di affidamento condiviso, però non è facile da attuare in quanto non definisce concretamente una quota che il genitore deve impegnare per il figlio e rischia di far nascere una negoziazione quotidiana tra i genitori e favorire conflitti.

Il mantenimento indiretto, invece, consiste in un assegno periodico destinato ad adempiere alle esigenze ordinarie del figlio; il suo ammontare può essere concordato dai genitori in caso di separazione consensuale, mentre in presenza di un procedimento contenzioso viene definito dal giudice . 23

Marinelli D., Vinci L. N., L’affidamento del minore, Santarcangelo di Romagna, 23

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L’assegno comprende le spese ordinarie per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione. Per sostenere le spese straordinarie il genitore, oltre l’assegno mensile, deve versarne il 50%.

La giurisprudenza sostiene che le spese ordinarie siano quelle che devono soddisfare i bisogni quotidiani, mentre quelle straordinarie sono destinate a fronteggiare degli eventi imprevedibili, eccezionali che non rientrano nelle abitudini di vita del minore, oppure delle spese che non siano preventivate. Tali spese spettano ad entrambi i genitori in base al reddito che possiedono e dopo essersi accordati su queste determinate questioni.

Nel caso di decisioni inerenti ad alcune spese straordinarie, come le cure mediche, data la loro natura imprevedibile, queste possono essere prese senza il consulto di entrambi i genitori. La Suprema Corte nella Sentenza n. 16175/2015 afferma che il genitore affidatario non è obbligato ad informare preventivamente l’altro genitore e al genitore non affidatario spetta un obbligo di rimborso in base ai mezzi economici che dispone, salvo che ci siano motivazioni valide a riguardo.

Il provvedimento che riguarda il mantenimento della prole è sempre modificabile in base alle circostanze che subentrano e possono modificare le esigenze del minore.

La rottura della coppia genitoriale non deve determinare un peggioramento rispetto allo stile di vita del minore prima della crisi. All’art. 316 bis, c.c. viene disciplinata l’ipotesi in cui i genitori non abbiano i mezzi sufficienti per adempiere all’obbligo di mantenimento, individuando negli ascendenti i soggetti che debbano provvedere ai genitori i mezzi per adempiere a tale dovere.

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In caso di inadempimento si possono applicare le limitazioni della responsabilità genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.) o la dichiarazione dello stato di adottabilità in presenza di uno stato di abbandono del minore. Per quanto riguarda la violazione dei doveri in cui ciascun genitore incorre nei confronti dei figli, si fa riferimento all’art. 570 c.p., ovvero insorge nel genitore una responsabilità penale e civile ed il conseguente obbligo di risarcimento del danno cagionato. In caso di prolungato inadempimento all’obbligo di mantenimento il Tribunale può decidere di applicare un provvedimento in cui dispone l’affido esclusivo in base 24

alla mancanza di impegno da parte del genitore inadempiente nel soddisfare le esigenze del minore e a garantirgli una crescita serena ed equilibrata.

Il d.lgs. 154/2013 introduce accanto al diritto del figlio al mantenimento, anche quello di essere assistito moralmente dai genitori. Tale diritto pone in rilievo il profilo della cura dei figli, richiama l’interessamento premuroso che spinge a provvedere direttamente alle esigenze del minore e ha un significato più ampio rispetto al diritto di mantenimento.

2.2.2 Diritto all’istruzione

Il diritto all’istruzione ha origini moderne legate a società democratiche che riconoscono e garantiscono l’istruzione a tutti gli individui.

In passato l’istruzione veniva riconosciuta solo ai ceti sociali più elevati, oggi invece è un diritto tutelato dalla Costituzione che afferma che la scuola è aperta a tutti . In questo modo l’istruzione da semplice mezzo 25

di apprendimento è diventata uno strumento di inclusione sociale.

Ntuk E. L., Affidamento esclusivo in Giurisprudenza italiana, n. 7, 2015, pag. 24

1603.

Art. 34 Costituzione. 25

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Il diritto all’istruzione deve essere garantito in relazione al rapporto tra genitori e figli, e riguardo a quello del minore e le istituzioni esterne alla famiglia, ovvero una funzione attribuita a soggetti distinti e realizzata con strumenti diversi.

I figli hanno il diritto di istruirsi in un ambito diverso da quello familiare, i genitori in base ai loro limiti e alle loro forme devono garantirgli questo diritto nel modo più adeguato.

I genitori hanno il dovere di istruire i figli provvedendo all’iscrizione nelle istituzioni scolastiche, per questo la legge prevede l’obbligo scolastico assicurando in questo modo ai minori di frequentare la scuola fino ai sedici anni, al fine di evitare la dispersione scolastica.

Tale diritto incide anche sul ruolo dello Stato, che deve garantire strutture attraverso le quali i genitori possano adempiere al loro ruolo; quindi i responsabili dell’obbligo scolastico sono da un lato i genitori e dall’altro lo Stato.

Gli organi scolastici devono vigilare sulla questione della dispersione scolastica e predisporre strutture idonee per l’apprendimento, i genitori devono esercitare il loro ruolo tenendo sempre presente le aspirazioni del figlio, per valorizzare il suo percorso formativo e la sua personalità. La famiglia e le istituzioni scolastiche devono collaborare per permettere al minore di raggiungere la piena formazione.

2.2.3 Diritto all’educazione

Il diritto all’educazione è un concetto difficile da definire perché va letto in corrispondenza degli orientamenti sociali e pedagogici della società in un dato momento.

Per esempio il testo dell’art. 147 c.c. prima della riforma del 1975, sosteneva che l’educazione doveva essere conforme ai principi morali, si

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favoriva perciò un determinato programma educativo uniformato a principi morali oggettivi che derivavano dall’esterno della famiglia. Successivamente con il d.lgs. 154/2013 viene privilegiato l’individuo nella sua soggettività, quindi si realizza la funzione educativa in funzione delle sue aspirazioni e inclinazioni naturali.

Alla famiglia spetta il compito educativo, ovvero deve scegliere i criteri e i mezzi educativi più adeguati.

L’unico limite posto riguarda i principi fondamentali che derivano dalle disposizioni costituzionali e della legislazione penale, perché è contraddittorio pensare che il compito educativo della famiglia possa indirizzarsi contro i valori su cui si fonda l’ordinamento della società di cui il minore fa parte.

La giurisprudenza di merito riconosce ai genitori il dovere di rispettare le scelte dei figli in modo particolare nelle decisioni che riguardano lo studio, la formazione professionale, l’impegno politico-sociale e la fede religiosa . 26

In passato, già nel 1959, periodo in cui la potestà genitoriale veniva esercitata solo dal padre fino al compimento del ventunesimo anno di età del figlio, il Tribunale per i Minorenni di Genova affermava che un minore che aveva compiuto diciassette anni fosse in grado di decidere in

Arceri A., Sesta M., La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, Volume 26

III del Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu A., Messineo F., MengoniL., continuato da Schlesinger P., Milano, Giuffrè Editore, 2016, pag. 114.

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modo autonomo la propria religione, senza che i genitori, attraverso mezzi coercitivi, adeguassero la volontà del figlio alla propria . 27

2.2.4 Diritto a crescere in famiglia e mantenere rapporti con gli ascendenti

Il minore, inoltre, possiede il diritto a crescere in famiglia, riconosciuto all’art. 315 bis, comma 2, c.c., ovvero il diritto a compiere il suo percorso formativo, educativo e affettivo nel proprio nucleo familiare. Il problema si pone nei casi in cui i genitori non convivono oppure convivono con un altra persona in un altro nucleo familiare, in questi casi il diritto a crescere in famiglia si declina nell’applicazione delle norme in materia di affido.

L’art. 315 bis comma 2, c.c. riconosce anche al minore il diritto di mantenere rapporti significativi con i parenti, specularmente l’art. 317

bis, c.c. riconosce agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti

significativi con i nipoti minorenni. Nel comma 2 di quest’ultimo articolo si specifica che qualora un ascendente si senta ostacolato

Lo Giacco M. N. Educazione religiosa e tutela del minore nella famiglia, in Stato, 27

Chiese e pluralismo religioso, espone che il Tribunale per i Minorenni di Genova, con la sentenza 9 febbraio 1959, si è occupato del caso di una ragazza di diciassette anni che, in seguito alla conversione all’ebraismo di tutto il suo nucleo familiare, aveva scelto di rimanere legata alla fede cattolica nella quale era stata originariamente battezzata, in aperto contrasto con la volontà paterna. Il giudice minorile osservò che “il diritto del padre di educare il figlio come meglio ritiene, trova dei limiti che sono costituiti dall’eccesso di potere. La scelta della propria religione è una questione talmente delicata e personale che nessuno può e deve usare costringimenti per influenzarla e modificarla. Neppure ai genitori, quindi, è permesso usare mezzi coercitivi per indurre i figli a praticare e seguire una fede religiosa da essi non voluta”( Lo Giacco 2007, pag. 9).

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nell’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice, il quale dopo aver ascoltato il minore se ha compiuto dodici anni o di età inferiore se è capace di discernimento, prenderà i provvedimenti più adeguati nell’interesse del fanciullo.

2.2.5 Diritto all’ascolto

La legge 54/2006 ha introdotto per la prima volta il diritto all’ascolto del minore nelle procedure di separazione, divorzio e di tutte quelle che conseguono alla rottura della famiglia.

Il d.lgs. 154/2013 ha potenziato ulteriormente tale diritto che diviene fondamentale nel rispetto del minore. L’ascolto è un momento del processo che permette di raccogliere i desideri, le opinioni del minore in relazione ai fatti in esame che lo coinvolgono. Questo principio è disciplinato in modo generale nell’art. 315 bis, comma 3, c.c., che afferma il diritto del minore di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano, se ha compiuto dodici anni o anche di età inferiore ove capace di discernimento. La capacità di discernimento è la capacità del minore di elaborare autonomamente idee e concetti, di prendere decisioni autonome e di avere opinioni proprie. Tale capacità è determinata anche dalle dinamiche familiari, in particolare quelle che coinvolgono la coppia genitoriale.

L’art. 336 bis c.c. stabilisce come procedere nell’audizione del minore, inoltre afferma che il giudice deve informare il minore degli effetti dell’ascolto e può avvalersi di altri esperti nel condurre tale procedura. I genitori, i difensori delle parti, il curatore speciale, il pubblico ministero, solo se autorizzati dal giudice possono assistere.

In presenza di strumenti adeguati come l’uso del vetro specchio unito ad impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore del minore se già

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nominato e il pubblico ministero possono assistere all’ascolto senza autorizzazione perché la salvaguardia del minore non viene intaccata. Dell’ascolto viene fatta una registrazione audio video per percepire con chiarezza le affermazioni e analizzare gli atteggiamenti, anche espressivi, del minore di fronte alle domande e agli argomenti affrontati . 28

Il tema dell’ascolto è disciplinato da varie normative internazionali ed europee sui diritti del fanciullo che l’Italia ha ratificato da tempo. In particolare: l’art. 12 della Convenzione dei diritti del fanciullo, firmata a New York nel 1989 e ratificata con la legge n.176/1991 dall’Italia; l’art. 6 della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, firmata a Strasburgo nel 1996 e ratificata dall’Italia con la legge n. 77/2003; l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000 che riconosce il diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e che questa venga presa in considerazione in funzione del grado di maturità e dell’età. La figura del minore, con l’affermarsi del diritto all’ascolto, non è più solamente oggetto di protezione, ma diventa un vero e proprio soggetto di diritto, in modo particolare durante la crisi della famiglia soprattutto se si tratta di un procedimento con alta conflittualità; è importante tenere conto delle valutazioni del fanciullo, dei suoi interessi per tutelarlo nel modo più idoneo . 29

Il giudice può decidere di non procedere all’ascolto del minore se sia in contrasto con l’interesse di quest’ultimo, in questo caso ha l’obbligo di motivare tale decisione.

Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 29 settembre 2015, n.19327.

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Giorgianni L., Separazione e divorzio: l’ascolto del minore e il problema

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