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TIROIDECTOMIA TRANS-ASCELLARE ROBOT-ASSISTITA (RATT):ANALISI DI UNA SERIE DI 290 PAZIENTI

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea:

TIROIDECTOMIA TRANS-ASCELLARE ROBOT-ASSISTITA (RATT): ANALISI DI UNA SERIE DI 290 PAZIENTI

Relatore: Chiar.mo Prof. GABRIELE MATERAZZI Candidato: RUSU VICTORIA

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2 INDICE

1. RIASSUNTO………3

2. INTRODUZIONE 2.1 STORIA DELLA CHIRURGIA DELLA TIROIDE……….4

2.2 ANATOMIA DELLA TIROIDE………10

2.3 PATOLOGIA CHIRURGICA DELLA TIROIDE………18

2.4 COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA DELLA TIROIDE………..50

2.5 TIROIDECTOMIA CONVENZIONALE ………..………..56

3.TIROIDECTOMIA TRANS-ASCELLARE ROBOT-ASSISTITA………..58

3.1Disposizione della sala operatoria………...60

3.2Preparazione del campo operatorio……….62

3.3 Docking-time………..63 3.4 Console-time………..64 3.5 Chiusura………..64 4.MATERIALI E METODI………..66 5.RISULTATI………...67 6.DISCUSSIONE……….69 7.CONCLUSIONI……….71 8. BIBLIOGRAFIA ………..72

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3 RIASSUNTO

Prefazione. La tiroidectomia trans-ascellare robot-assistita (RATT) è largamente accettata nei paesi dell’estremo oriente. Per contro, la tecnica è stata sottoposta a critiche negli USA. In Europa è stata valutata solo su una piccola serie di pazienti. Poiché gli studi in letteratura sono stati effettuati quasi esclusivamente su popolazioni dell’estremo oriente, che sono molto differenti dalle popolazioni occidentali in base alla loro corporatura e cultura, vanno verificati su una popolazione Europea. Qui riportiamo 291 pazienti sottoposti a RATT, con l’obiettivo di valutare sia l'efficacia dell'intervento che la sua sicurezza.

Materiali e metodi. È stata eseguita un'analisi retrospettiva di 291 pazienti sottoposti a RATT da febbraio 2012 a dicembre 2016. Sono stati raccolti dati sul volume, il diametro del nodulo, la diagnosi, il tempo operatorio, le complicanze, la durata della degenza e il dolore. Tutti gli interventi sono stati eseguiti presso la U.O. di Endocrinochirurgia da un singolo chirurgo attraverso un singolo accesso trans-ascellare utilizzando tre bracci robotici del sistema chirurgico robotico Da Vinci.

Risultati. 288 pazienti erano donne. Il volume medio della tiroide era 22.6 ml (9-32). Il diametro medio del nodulo era 25.4 mm (5-60). 149 pazienti sono stati sottoposti a emitiroidectomia (HT) e 142 a tiroidectomia totale (TT). Le indicazioni erano in 64 casi carcinoma papillare, in 64 gozzo, in 96 nodulo indeterminato e in 77 casi nodulo benigno. Il tempo operatorio medio per la HT è stato di 75,8 minuti (27-175) e 98 minuti (media 65-180) per la TT. Una procedura è stata convertita in open per carcinoma localmente avanzato. Non ci sono state complicanze definitive. Sono stati registrati tre casi (1.03%) di paralisi monolaterale del nervo laringeo ricorrente transitorie e 7 casi (4,93%) di ipoparatiroidismo postoperatorio transitorio. Abbiamo avuto 3 casi di ematoma post-operatorio (1,03%), e solo uno ha richiesto una revisione trans-ascellare endoscopica. Una paziente ha riscontrato una lesione tracheale dopo un mese di distanza che è stata trattata conservativamente. Il punteggio di VAS medio dopo 12 ore è stato 1,79. La degenza post-operativa media è stata di 1.6 giorni per l'HT e 1.9 giorni per la TT.

Conclusioni. La RATT è sicura e fattibile e può essere considerata un trattamento valido in casi selezionati.

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4 INTRODUZIONE

STORIA DELLA CHIRURGIA DELLA TIROIDE

Nel corso degli ultimi anni le continue innovazioni in laparoscopia e nelle tecniche endoscopiche hanno rivoluzionato la chirurgia mini-invasiva. Dagli ultimi dati in letteratura emerge che, per la maggior parte delle patologie, la chirurgia laparoscopica dà migliori risultati rispetto alle convenzionali tecniche open in termini di degenza ospedaliera, dolore postoperatorio, risultato, outcome estetico, periodo di convalescenza e mantenimento della risposta immunologica postoperatoria[1-4].

Nonostante ciò la chirurgia endoscopica presenta una elevata complessità di tecnica legata a strumenti non flessibili con visione a due dimensioni. Grazie all’avvento del sistema chirurgico robotico Da Vinci si è avuto il superamento di molti dei limiti della chirurgia endoscopica tra cui la qualità della visione e la ergonomicità degli strumenti [5].

L’utilizzo della chirurgia Robot-assistita ha trovato negli ultimi tempi un largo impiego anche nella chirurgia del collo e ciò è sicuramente da mettere in relazione all’elevata prevalenza di patologie come quella tiroidea nel sesso femminile.

Le pazienti infatti, che risultano di età sempre più giovane al momento dell’intervento chirurgico, grazie in primis alla diagnosi precoce, si mostrano preoccupate del risultato estetico conseguente alla tradizionale cervicotomia, essendo la cicatrice localizzata in una zona esposta.

La volontà di soddisfare le esigenze delle proprie pazienti ha spinto gli endocrinochirurghi a mettere a punto, nel corso degli anni, molte tecniche diverse per realizzare cicatrici sempre meno evidenti.

Nella storia della chirurgia,le cui origini risalgono alla fine del XIX secolo, la tiroidectomia è un valido esempio di come l'ingegno dell'uomo coniugato allo sviluppo di nuove tecnologie possa dare origine ad una tecnica chirurgica che sin dalla nascita si è mantenuta nel tempo pressoché immutata. Nonostante la nascita della tiroidectomia sia stata caratterizzata da un numero consistente di insuccessi dovuti all'impossibilità di

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controllare l'emostasi, tale da venir considerata come una procedura eroica, con elevato rischio per la vita del paziente, grazie alla scoperta dell'anestesia, dell'antisepsi e dell'emostasi mediante legature, Emil Theodor Kocher, considerato oggi il padre della chirurgia tiroidea, è stato in grado di definire e perfezionare le tecniche di tiroidectomia (Fig.1). Ad egli si deve la definizione dei principi di questa tecnica chirurgica, ovvero la legatura dei vasi e la preparazione dei nervi ricorrenti, che tuttora sono il fondamento di questa chirurgia.

Figura 1: Emil Theodor Kocher

L'abilità chirurgica di Kocher, insieme ai nuovi strumenti per il controllo dell’emostasi, consentì una riduzione della mortalità relativa all’intervento dal 13% a meno dello 0,5%. In una pubblicazione del 1898, su 600 interventi effettuati, fu descritto soltanto un decesso dovuto ad una dosa eccessiva di farmaco adoperato per l’anestesia. Per tutto il XX secolo, l'intervento chirurgico oggi noto come tiroidectomia totale convenzionale è stata effettuato con la stessa procedura descritta da Kocher agli inizi del XIX secolo e, nel tempo, grazie all' ulteriore sviluppo delle tecniche anestesiologiche e di migliori strumenti per l'emostasi che hanno ulteriormente ridotto le complicanze postoperatorie, si è affermata come la procedura più comune, sicura e radicale nel campo dell'endocrinochirurgia.

Come descritta per la prima volta da Kocher, questa tecnica consiste nella rimozione totale extracapsulare dei lobi tiroidei e dell'istmo, preservando entrambe le ghiandole paratiroidi, il nervo laringeo ricorrente, e la branca superiore esterna del nervo laringeo superiore, bilateralmente. L'incisione è quella classica di Kocher (cervicotomia secondo Kocher): cervicale, lievemente arcuata, a convessità inferiore, simmetrica rispetto alla linea mediana, posta non oltre un centimetro cranialmente al giugulo e che si estende sui margini anteriori dei muscoli sternocleidomastoidei. La cicatrice si troverà, così,

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poco al di sopra del giugulo, là dove un “girocollo” cade naturalmente. La lunghezza è di qualche centimetro nella maggior parte dei casi, ma si adegua di necessità al volume del gozzo. Il rischio di morte o complicanze maggiori durante la tiroidectomia è ormai esiguo, associato ad una ottima radicalità per quanto riguarda il trattamento delle patologie maligne, la cui recidiva, grazie anche all'associazione della terapia radio metabolica alla chirurgia, è estremamente rara, ad eccezione delle neoplasie definite “ad alto rischio”. Viste queste premesse, su cui oggi si valuta la qualità dell’approccio chirurgico, esse riguardano la frequenza della paralisi del nervo laringeo ricorrente e l'ipoparatiroidismo postoperatorio. Nonostante entrambe possano presentarsi come transitorie, la persistenza o permanenza (definita a sei mesi dopo l'operazione) di queste complicanze è un fattore critico. Per la maggior parte dei chirurghi, la percentuale di paralisi ricorrenziali permanenti non dovrebbe essere maggiore dell’ 1% e la percentuale di ipoparatiroidismo postoperatorio minore dell’ 1-2%. Altre complicanze specifiche, come la lesione della branca esterna del nervo laringeo superiore, sanguinamento intraoperatorio maggiore e lesione tracheale sono estremamente rare[6,7,17,18].

Visto questi eccellenti risultati, è soltanto alla fine del XX secolo che abbiamo avuto un ulteriore sviluppo di nuove tecniche per la chirurgia tiroidea, incoraggiate dalla messa a punto di nuovi strumenti ottici endoscopici, che garantiscono una qualità dell'immagine ottima e magnificata, e di nuovi strumenti ad ultrasuoni, che permettono un'accurata e allo stesso tempo rapida emostasi. Con queste nuove tecnologie a disposizione, i chirurghi sono stati incoraggiati a sviluppare nuove procedure operatorie. In particolare, lo sviluppo di queste tecniche si è concentrato sull' ottenere una radicalità oncologica e una sicurezza pari alla tiroidectomia classica e, allo stesso tempo, conciliare le nuove esigenze dei pazienti, come la soddisfazione per l' aspetto estetico della cicatrice, il minor dolore postoperatorio, ed il minor tempo di recupero prima del ritorno al lavoro. Le principali tecniche che si sono sviluppate perseguendo questi obiettivi sono state la tiroidectomia endoscopica e la tiroidectomia open minimamente invasiva[17].

La prima procedura endoscopica con insufflazione di gas nella regione cervicale fu eseguita nel 1996 da Michel Gagner[8], il quale effettuò una paratiroidectomia totale. In seguito, numerosi chirurghi hanno ideato altri approcci mini-invasivi, sia totalmente, sia solo parzialmente endoscopici, alle ghiandole paratiroidi[9-13]. Poco più tardi è

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stato proposto un approccio endoscopico anche per la tiroide, sebbene la patologia tiroidea spesso si presenti con un quadro dimensionale tale da rendere piuttosto difficile un approccio di questo genere. Tuttavia, nonostante le iniziali cautele e titubanze, l’introduzione di nuovi strumenti,quali il bisturi ad ultrasuoni, hanno favorito lo sviluppo e la diffusione di queste procedure, riducendo notevolmente i tempi operatori ed estendendo le indicazione fino a comprendere anche i piccoli carcinomi ben differenziati della tiroide[7]. Le tecniche endoscopiche utilizzate per la chirurgia tiroidea non utilizzano un accesso cervicale centrale, come la tecnica convenzionale, bensì si approcciano alla tiroide con altri tipi di accessi. Per citare i più famosi, abbiamo l'accesso cervicale laterale secondo Henry, l'accesso ascellare secondo Ikeda e l' accesso periareolare secondo Ohgami[7,11,13]. Tuttavia, nonostante questi tipi di approccio abbiano raggiunto una radicalità e sicurezza simili a quelli ottenuti da una tecnica convenzionale, con un risultato estetico soddisfacente per il paziente, essi hanno avuto uno sviluppo limitato a causa delle difficoltà tecniche incontrate dalle procedure endoscopiche nella regione cervicale[7,11,13,17].

Per quanto riguarda gli approcci invasivi alla tiroide, la tiroidectomia mini-invasiva video assistita (MIVAT), tecnica introdotta e sviluppata dal professor Paolo Miccoli nel 1998 a Pisa, risulta essere la più versatile, efficace, riproducibile e facile da eseguire. Questa tecnica prevede l' utilizzo di un singolo accesso centrale, il quale consente di intervenire su entrambe le logge tiroidee senza ulteriori incisioni, non prevede l' insufflazione di gas nel collo e garantisce la stessa radicalità oncologica della tecnica tradizionale per i carcinomi “a basso rischio”. Questa tecnica è caratterizzata da un singolo accesso di 1,5 cm nella zona mediana del collo, posto in posizione lievemente più cefalica rispetto alla classica incisione di Kocher, e dall' utilizzo di strumenti chirurgici dedicati di derivazione endoscopica, di forbici ad ultrasuoni e di un' ottica endoscopica, che permette una notevole magnificazione del campo operatorio[7,12]. È ormai ampiamente dimostrato in letteratura[20], che questa tecnica ottiene risultati assolutamente sovrapponibili a quelli della chirurgia tradizionale. Tra le complicanze maggiori, sia la paralisi ricorrenziale che l'ipoparatiroidismo post-operatorio presentano un incidenza simile alla chirurgia “open”.

In letteratura, nessun gruppo chirurgico che adotti la MIVAT regolarmente ha dimostrato un' incidenza di queste lesioni superiore al 3%. La magnificazione delle strutture nobili del collo ottenuta tramite l' endoscopio permette, inoltre, il miglior riconoscimento delle

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strutture e di conseguenza un ulteriore abbassamento della percentuale di complicanze. Inoltre, in letteratura, è ben documentata la sua equivalenza in termini di radicalità oncologica confrontata con la chirurgia tradizionale[21,22,23]. Per quanto riguarda il risultato estetico, esiste un solo studio prospettico che mostra un significativo miglioramento della soddisfazione del paziente dopo MIVAT, in termini sia di risultato cosmetico che di dolore postoperatorio.

Tale studio ha però il limite di essere basato su un ristretto numero di casi. Risulta però ragionevole concordare sul fatto che una ferita di 1,5 cm sia migliore di una di 6,5 cm, specialmente in una regione esteticamente delicata come il collo[19]. Quindi la MIVAT, confrontata con la chirurgica tradizionale, rappresenta una tecnica riproducibile e sicura; se le indicazioni sono seguite correttamente, i risultati sono del tutto sovrapponibili a quelli della tecnica convenzionale.

Un ulteriore sviluppo si è visto agli inizi del XXI secolo, grazie all’applicazione delle nuove tecnologie robotiche alla chirurgia. A differenza della situazione europea, dove gli approcci endoscopici alla regione cervicale hanno avuto uno sviluppo limitato, gli approcci ascellari hanno avuto una diffusione notevole all’interno della comunità di chirurghi asiatici, a causa del beneficio culturale derivato dall'evitare una cicatrice cervicale ritenuta culturalmente inaccettabile. Recentemente, nel 2007, una equipe di chirurghi Sud Coreani del dipartimento di chirurgia generale di Yonsei, diretta da Woong Youn Chung, ha raggiunto ottimi risultati standardizzando una tecnica chirurgica che prevede l'ausilio di un sistema di bracci robotici controllati da una console, il da Vinci Surgical System (Intuitive Surgery), per effettuare l'asportazione della ghiandola tiroidea attraverso un accesso ascellare, precedentemente solo impiegato con strumentazione di tipo endoscopico, evitando così una cicatrice in regione cervicale[24-31]. Come per la tecnica convenzionale, il primo tempo operatorio è rappresentato dalla preparazione dell'accesso, che in questo caso non sarà cervicale ma ascellare. L'incisione, di una lunghezza di circa 5-6 cm, è effettuata posteriormente al pilastro ascellare anteriore. La creazione del campo chirurgico avviene attraverso lo scollamento del piano tra il platisma e il muscolo pettorale e, una volta completata la dissezione tra questi due piani, si procede con l'asportazione della tiroide utilizzando gli strumenti chirurgici installati sui bracci robotici, controllati dall' operatore mediante una console, i quali hanno accesso alla loggia tiroidea e spazio di manovra grazie alla creazione di questo campo operatorio, mantenuto grazie all' utilizzo di un particolare sistema di retrattori

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(retrattore di Chung). La visione è garantita da un endoscopio fissato ad uno dei bracci del robot che trasmette le immagini alla console, la quale le elabora restituendo una visione 3D garantendo al chirurgo una visione più “realistica” dello spazio operatorio[14,15,16].

L' utilizzo di un sistema robotico offre al chirurgo i potenziali benefici di una migliore esposizione e visualizzazione dell'anatomia, una dissezione più precisa e una migliore preservazione delle ghiandole paratiroidi e del nervo laringeo ricorrente[24,26,28]. In relazione ai parametri di sicurezza e radicalità oncologica, numerosi studi in letteratura hanno dimostrato che questa tecnica chirurgica è equivalente alla tiroidectomia convenzionale. L'incidenza di complicanze maggiori, quali la paralisi ricorrenziale e l'ipoparatiroidismo postoperatorio, sono riportate come equiparabili alla tecnica open, rispettando le indicazioni poste per il corretto utilizzo di questa tecnica[15,24,25,27,28,30,31]. Questo risultato è stato ottenuto grazie all' utilizzo del sistema robotico che, garantendo una notevole magnificazione delle strutture unitamente alla possibilità di eseguire movimenti fini e precisi, permette una accurata preservazione delle strutture nobili adiacenti alla tiroide sopperendo alla altrimenti angusta via di accesso[28-32]. Il risultato estetico per il paziente è soddisfacente in quanto la cicatrice risulta nascosta in una piega naturale del corpo[33].

La Tiroidectomia Trans-ascellare Robot-Assistita (RATT) è un intervento chirurgico introdotto nel 2009 da Woong Youn Chung, direttore del dipartimento di Chirurgia Generale di Yonsei (Seoul, Corea del sud), e permette la rimozione totale o parziale della tiroide senza creare cicatrici sul collo [34,35].

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10 ANATOMIA DELLA TIROIDE

La tiroide (dal greco ϑυρεοειδής, thyreoeidès, «a forma di scudo oblungo», composto di ϑυρεός, thyreòs, «scudo oblungo» e -ειδής, -eidès, «simile a») è una ghiandola endocrina a forma di H o farfalla, impari, mediana, posizionata nella regione anteriore del collo è costituita da due lobi, destro e sinistro, uniti da uno stretto ponte che prende il nome di istmo.

Figura 2: Tiroide con posizione delle ghiandole paratiroidi poste dietro di essa.

I lobi presentano un'altezza di circa 3 cm e una forma conica con uno spessore che varia da 0,5 cm negli apici e 2 cm nella base. La distanza massima tra i due margini laterali misura invece 7 cm. Il peso varia dai 0,2 g alla nascita ai 20 g dell'adulto. Si presenta con una superficie liscia di colore rosso bruno e una consistenza molle. Normalmente il volume tiroideo dell'adulto oscilla tra 6-12 ml nel sesso femminile e 8-16 ml nel sesso maschile. La tiroide presenta una straordinaria variabilità di peso e dimensioni che dipendono dall'età, dal sesso e dall'ambiente in cui si vive. Funzionalmente presenta due componenti endocrine: la prima produce gli ormoni tiroidei (T3 e T4), la seconda la calcitonina. Gli ormoni tiroidei sono prodotti dai tireociti della tiroide. Gli ormoni prodotti sono:

● la tetra-iodotironina o tiroxina (T4), circa il 90% del totale degli ormoni prodotti: è la forma inattiva della T3;

● la tri-iodotironina (T3), circa il 10%.

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La concentrazione fisiologica nel siero di sangue della calcitonina è lievemente inferiore a 10 pg/ml, tale ormone partecipa al metabolismo di calcio e fosforo. In molti modi, la calcitonina neutralizza gli effetti dell'ormone paratiroideo (PTH).

La regolazione della concentrazione della calcitonina nel sangue è definita a feed-back positivo, ovvero bassi livelli di calcio plasmatico inibiscono la secrezione dell'ormone; mentre gli alti livelli ne aumentano la secrezione.

La tiroide è una ghiandola a struttura follicolare, costituita quindi da follicoli all'interno dei quali vengono immagazzinati gli ormoni tiroidei. La calcitonina viene prodotta invece dalle cellule C o parafollicolari, site all'esterno dei follicoli.

Nella metà superiore dell'istmo, nel 50% circa dei casi, può rimanere traccia della discesa della ghiandola durante lo sviluppo nel cosiddetto lobo piramidale o piramide di Morgagni. Disposizione e rapporti

La tiroide è applicata e trae, quindi, rapporto con la laringe, la parte iniziale della trachea ed i fasci vascolo-nervosi del collo di destra e sinistra (ciascuno formato da carotide comune, vena giugulare interna e nervo vago) mediante dei legamenti che costituiscono la guaina peritiroidea, di dipendenza della fascia cervicale media.

La guaina non è il rivestimento connettivale della tiroide, ma determina uno spazio dentro il quale è presente la ghiandola con la sua capsula e lo spazio pericoloso peritiroideo, un intreccio vascolare che separa la superficie interna della guaina dall'organo e dentro il quale, posteriormente, sono accolte le quattro ghiandole paratiroidi. Da questa guaina nascono legamenti che tengono salda la tiroide alla cartilagine tiroide della laringe:

legamento sospensore o mediano; legamenti laterali interni;

legamenti laterali esterni.

Talvolta l'arteria carotide comune lascia un solco nel versante posterolaterale della ghiandola.

Si trova quindi alla base del collo, ma la sua posizione è variabile perché segue i movimenti della laringe (sale quando si solleva il mento o quando si deglutisce).

La tiroide è ricoperta in parte dai muscoli sternocleidoioideo, sternotiroideo e omoioideo e dalla fascia cervicale media che, nella regione mediana insieme alla fascia superficiale, è

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l'unica formazione a separarla dalla cute vista la mancanza dei muscoli appena citati. Lateralmente, invece, è ricoperta dal muscolo sternocleidomastoideo e dal muscolo platisma omolaterali.

A volte è presente il muscolo elevatore della tiroide, come una formazione fibro-muscolare tesa fra l'osso ioide e l'istmo.

Figura 3:Tiroide e rapporti con i grandi vasi Vascolarizzazione ed innervazione

È vascolarizzata dalle arterie tiroidee superiori (rami delle carotidi esterne) e tiroidee inferiori (rami del tronco tireocervicale delle succlavie); le vene formano un ricco plesso nello spazio peritiroideo che drena per mezzo delle vene tiroidee superiori e medie alle giugulari interne e per mezzo delle inferiori ai tronchi brachiocefalici (o vene anonime). I vasi linfatici formano una rete perifollicolare che drena in quelli della capsula, tributari dei linfonodi della catena giugulare interna, dei paratracheali e dei pretracheali.

La tiroide è innervata sia dal sistema adrenergico che da quello colinergico. Le fibre afferenti giungono ad essa per mezzo dei nervi laringei superiore ed inferiore (il nervo laringeo inferiore decorre in stretto contatto con l'arteria tiroidea inferiore ed è proprio da questo rapporto anatomico che deriva la possibilità di un danno chirurgico al nervo laringeo in seguito alla legatura delle arterie tiroidee) e regolano il sistema vasomotorio, modulando il flusso di sangue che giunge alla tiroide. In aggiunta all'innervazione vasomotoria vi è un sistema di fibre adrenergiche che termina in vicinanza della membrana basale della parete follicolare; le cellule tiroidee a loro volta possiedono

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recettori adrenergici sulla loro membrana plasmatica, ad indicare che il sistema adrenergico influenza la funzionalità tiroidea sia attraverso effetti sul flusso ematico, che attraverso effetti diretti sulle cellule follicolari.

Struttura

Come tutti gli organi pieni, la tiroide è provvista da una capsula connettivale che riveste un parenchima ghiandolare. La capsula invia all'interno dell'organo tralci di tessuto connettivo che suddividono l'organo in aree irregolari, i lobuli e offrono passaggio a vasi e nervi. Il parenchima ha una struttura follicolare, con una serie di vescicole chiuse, i follicoli tiroidei sono formati da tireociti e sostanza colloide con intercalate le cellule parafollicolari o cellule C sia nella parete dei follicoli che esternamente ad essi.

Follicoli

I follicoli tiroidei sono delle vescicole chiuse la cui parete, l'epitelio follicolare, è formata dai tireociti o cellule follicolari, le cellule principali della tiroide atte alla produzione degli ormoni tiroidei. All'interno dei follicoli è presente del materiale amorfo, la colloide. La forma dei follicoli dipende dallo stato funzionale della ghiandola: una tiroide in immissione in circolo di ormoni presenterà follicoli piccoli, quasi svuotati della colloide, con tireociti cilindrici (il microfollicolo); una tiroide in sintesi ormonale, invece, accumulerà molta colloide e avrà follicoli grandi con un epitelio formato da un unico strato di cellule appiattite (il macrofollicolo). La fase di sintesi ormonale, che vede il riempirsi dei follicoli, caratterizza i tireociti con un reticolo endoplasmatico rugoso e un apparato di Golgi estesi, processi di esocitosi apicale, vescicole PAS-positive e mitocondri numerosi. Nella fase di immissione in circolo degli ormoni, con corrispettivo svuotamento dei follicoli, assiste alla formazione di estroflessioni nel lume follicolare per l'endocitosi e conseguente aumento di fagosomi ricolmi di colloide che deve essere rimaneggiata.

Cellule parafollicolari

Le cellule C o parafollicolari si trovano nello stroma reticolare della tiroide. Si trovano intercalate ai tireociti nei follicoli, senza mai accedere al lume o in piccoli gruppi nello stroma presente fra i follicoli. Sono cellule voluminose, con un citoplasma chiaro caratterizzato dalla presenza di vescicole di secrezione con una zona centrale elettrodensa e una zona periferica (all'interno della vescicola stessa) più chiara. Queste vescicole producono calcitonina, un ormone implicato nell'inibizione del riassorbimento del calcio osseo.

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14 Derivazione embriologica

La tiroide comincia il suo sviluppo il 24º giorno come un ispessimento endodermico del pavimento della faringe primitiva al limite tra il corpo e la base della lingua. In poco tempo tale cordone si canalizza formando il dotto tireoglosso e scende verso il basso, diventando solido, all'altezza dell'abbozzo laringotracheale verso la VII settimana. Al termine di questo periodo la tiroide appare già nella sua forma e posizione definitive e il dotto tireoglosso, di norma, scompare. Nella lingua rimane una piccola fossetta, il forame cieco come reminiscenza dell'apertura superiore del dotto. All'interno dell'abbozzo della tiroide migrano le cellule del corpo ultimobranchiale che provengono dalla VI tasca dell'apparato faringeo e che formano le cellule C. L'attività tiroidea inizia intorno alla XI settimana, dalla XX settimana i livelli ormonali aumentano per stabilizzarsi a quelli dell'adulto entro la XXXV settimana.

Istogenesi

I tireociti derivano dalla massa solida di origine endodermica che forma l'abbozzo tiroidea. L'invio di sepimenti da parte del mesenchima circostante suddivide l'abbozzo in cordoni cellulari che, entro la X settimana, si suddividono in piccoli gruppi cellulari. In ciascuno di questi gruppi si forma un lume intorno al quale le cellule si dispongono in un unico strato e durante la XI settimana, per via dell'iniziata attività ghiandolare, comincia a accumularsi colloide all'interno del follicolo.

Le cellule parafollicolari sono di origine neuroectodermica derivando dalle creste neurali che, migrate nel corpo ultimobranchiale (che corrisponde alla parte ventrale allungata di ciascuna quarta tasca faringea), arrivano nella tiroide dopo la fusione di quest'ultimo con l'abbozzo tiroideo.

Queste due popolazioni cellulari hanno una diversa origine embriologica: solo le cellule follicolari, più numerose, originano propriamente dall'abbozzo tiroideo che deriva da un'introflessione della mucosa alla base della lingua; le cellule parafollicolari migrano invece successivamente nella tiroide provenendo dai corpi ultimobranchiali, abbozzi embrionari dei quali nei mammiferi non resta traccia, e vengono considerati parte del sistema endocrino diffuso denominato APUD (Amine Precursor Uptake and Decarbossilation).

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15 Funzione

La funzione della tiroide è la produzione degli ormoni tiroidei (triiodotironina e tetraiodotironinao tiroxina) tramite i tireociti e della calcitonina grazie alle cellule parafollicolari.

Tireociti

Il funzionamento dei tireociti si suddivide in due grandi fasi: la fase di sintesi e la fase di immissione in circolo. Nella prima fase gli ormoni tiroidei vengono prodotti e accumulati nel follicolo sotto forma di colloide, mentre nella seconda vengono riassorbiti, processati e immessi nel circolo sanguigno.

Questo dà ai tireociti una doppia polarità funzionale: durante la sintesi operano dal versante basale a quello apicale, nell'altra fase il contrario.

Fase di sintesi

Durante la fase di sintesi viene prodotta la tireoglobulina, una glicoproteina sintetizzata all'interno dei tireociti stessi che viene immagazzinata insieme ad una perossidasi dentro vescicole PAS-positive nel versante apicale della cellula. La molecola di tireoglobulina contiene in totale circa 5000 aminoacidi; circa il 10% della massa totale della tireoglobulina è data da carboidrati, mentre meno dell'1% è dato dallo iodio. Nel frattempo, avviene l'assunzione di ioduri dal torrente circolatorio che vengono immessi nelle vescicole dove vengono ossidati dalla perossidasi e quindi legati a residui di tirosina della tireoglobulina. In questo modo è possibile formare una molecola di monoiodiotirosina (MIT) se si lega solo un atomo di iodio e la diiodiotirosina (DIT) se due dalle cui combinazioni possono nascere T3 (MIT + DIT) e T4 (DIT+ DIT). In questo modo si sono formati gli ormoni tiroidei su dei supporti tireoglobulinici, il tutto all'interno delle vescicole che vengono poi aperte nel versante apicale per riversare il contenuto nel lume del follicolo e accumularlo sotto forma di colloide.

In questo modo la tiroide rappresenta l'unico caso di ghiandola endocrina che possiede la capacità di accumulare il secreto in sede extracellulare prima che esso venga riversato nel torrente circolatorio.

Fase di ammissione in circolo

L'emissione di T3 e T4 dipende dalla stimolazione dell'ormone ipofisario TSH sui recettori dei tireociti. Quando ciò avviene si innesca lo svuotamento del follicolo per l'immissione in

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circolo degli ormoni: i tireociti estroflettono dei pseudopodi all'interno della colloidefagocitandola all'interno di fagosomi che, una volta fusi con dei lisosomi, innescano la scissione degli ormoni tiroidei dalla tireoglobulina per la loro emissione dalla parte basale delle cellula e la loro successiva entrata nel torrente circolatorio. La produzione di TSH segue un ritmo diurno, e presenta un picco in tarda serata, e una minor produzione nelle ore di metà mattina. La stimolazione da parte del TSH a livello dei corrispondenti recettori tiroidei (TSHR) ha inoltre una funzione di stimolazione e proliferazione cellulare, aumentando quindi il numero di tireociti totali e, indirettamente quindi, la quantità di ormoni tiroidei potenzialmente riversabili in circolo. Nei lisosomi i residui di tireoglobulina vengono a loro volta degradati e lo iodio riciclato permettendo alla cellula di ritornare nella fase di sintesi.

Figura 4: Schema del meccanismo di sintesi degli ormoni tiroidei nel tireocita.

Fisiologia

Gli ormoni, una volta rilasciati entrano in circolo dove si legano a proteine plasmatiche. Di notevole importanza il legame con la globulina, a cui sono legati il 70-75% degli ormoni che garantisce loro un' emivita più lunga e quindi li trasforma in riserva se i livelli plasmatici sono troppo alti. Un abbassamento dei livelli plasmatici porta ad un distacco dalla globulina garantendo una concentrazione costante nei tessuti.

Il 90% degli ormoni è costituito da T4 che viene prontamente convertito (circa il 33-40%) in T3 dal momento che è 10 volte più potente nell'interagire con le cellule bersaglio.

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17 Metodi d'azione degli ormoni

L'estrema liposolubilità permette agli ormoni tiroidei di diffondere agilmente attraverso le membrane cellulari. I recettori specifici, infatti, si trovano nel nucleo dove, dopo aver legato l'ormone, interagiscono con il DNA per regolare l'espressione di diversi geni.

Ruolo degli ormoni

Gli ormoni da essa prodotti sotto stimolo ipofisario, composti iodati derivanti dalla tirosina, come la tetraiodotironina o T4 e la triiodotironina o T3, agiscono sul metabolismo cellulare e sui relativi processi di accrescimento senza presentare degli organi specifici, ma un'azione generalizzata.

Gli ormoni hanno un effetto generalmente eccitatorio sul metabolismo basale: aumentano il consumo di ossigeno da parte dei tessuti, stimolando la produzione endogena di calore; stimolano la sintesi proteica, la gluconeogenesi, la glicogenolisi e il catabolismo dei lipidi; hanno un effetto inotropo e cronotropo positivo sul miocardio, migliorandone la sensibilità alle catecolamine. Nell'età fetale e nella prima infanzia, hanno un importantissimo ruolo nel differenziamento e nella crescita del sistema nervoso, e un loro deficit dovuto ad una condizione di ipotiroidismo produce una condizione detta cretinismo caratterizzata da incompleto sviluppo del SNC e da ritardo mentale.

L'importanza dello iodio e del selenio

La tiroide funziona correttamente, garantendo un'adeguata sintesi ormonale, se può disporre di adeguate quantità di iodio, un oligoelemento essenziale, presente nell'organismo in piccole quantità e soggetto a perdite quotidiane attraverso l'urina o il sudore, che entra nella costituzione della tiroxina (T4) e della triiodotironina(T3). Per questa ragione è molto importante assumerne attraverso l'alimentazione la giusta quantità, e agevolare così il funzionamento della ghiandola tiroidea: una eventuale carenza di iodio può portare a diverse patologie (es. gozzo) ed è particolarmente rischiosa in gravidanza, determinando anche gravi conseguenze per il feto. Il fabbisogno giornaliero di iodio per la sintesi degli ormoni tiroidei è di circa 150 microgrammi, ai quali, in gravidanza e in allattamento vanno aggiunti 50-100 microgrammi per la crescita del bambino. Anche il selenio ha un ruolo chiave nella protezione e nel funzionamento della tiroide, essendo peraltro un cofattore delle deiodinasi (enzimi responsabili della conversione della T4 in T3) e delle glutationeperossidasi e delle reduttasi della tioredoxina (enzimi coinvolti nella regolazione dello stato ossido-riduttivo della cellula tiroidea e della sua protezione dal

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danno ossidativo). La tiroide, infatti, contiene una quantità di selenio per grammo di tessuto maggiore rispetto a ogni altro organo del corpo[36,37].

PATOLOGIA CHIRURGICA DELLA TIROIDE Anomalie di sviluppo ed ectopie

Cisti e fistole del dotto tireoglosso

Le cisti e le fistole del dotto tireoglosso possono trovarsi in uno o più punti lungo il tragitto percorso dall’ abbozzo tiroideo per portarsi dalla radice della lingua causalmente sino al di sopra del giugulo. Nelle maggior parte dei casi esse si trovano lungo la linea mediana, più spostate a sinistra che non a destra; possono svilupparsi in corrispondenza del forame cieco, sopra o sotto l’ osso ioide o in corrispondenza dell’ area solitamente occupata dalla ghiandola tiroidea. Il dotto tireoglosso, situato cranialmente alla cisti, può talora rimanere pervio: ciò comporta la fuoriuscita di materiale liquido dal forame cieco, se si comprime la tumefazione cistica. Le cisti del dotto si rendono evidenti soprattutto in età infantile, fra i 5 e i 10 anni; si presentano come tumefazioni non dolenti, che si muovono lungo l’ asse longitudinale all’ atto della deglutizione e della protrusione della lingua. Esse crescono lentamente, hanno caratteristiche cliniche di benignità, ma possono anche essere sede di trasformazione neoplastica maligna. Frequentemente esse si infettano, nel qual caso si può osservare emissione di materiale purulento dal forame cieco o dalla cute sovrastante apertasi spontaneamente. Talora, durante un’ infezione acuta delle cisti, può rendersi necessaria l’ incisione per il drenaggio del pus.

Il drenaggio, sia spontaneo sia chirurgico, comporta la formazione di una fistola tireoglossa, che raramente si chiude spontaneamente e che pertanto necessita di escissione chirurgica.

Le cisti del dotto localizzate in corrispondenza della base della lingua possono essere causa di una forma lieve di disfagia. La diagnosi differenziale deve porsi con le cisti e le fistole branchiali, che solitamente hanno localizzazione e tragitti più laterali; vanno presi in considerazione anche i diverticoli esofagei, gli aneurismi della carotide interna e, ovviamente, ogni tipo di linfadenopatia sia infiammatoria sia neoplastica[38].

Se la lesione è piccola e asintomatica, non è necessario nessun trattamento particolare, anche perché in questi casi può verificarsi un’ involuzione spontanea. L’ agoaspirazione è sconsigliabile perché riduce solo temporaneamente le dimensioni delle cisti, mentre può

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essere causa di successiva fistolizzazione. Il trattamento d’ elezione consiste invece nell’ isolamento e nell’ asportazione del dotto tireoglosso, della cisti e dell’ eventuale tragitto fistoloso. La dissezione deve essere accurata e completa, poiché la permanenza di residui di dotto tireoglosso comporta la recidiva a breve distanza di tempo. E’ assai importante che, prima dell’ intervento chirurgico, sia eseguita una scintigrafia tiroidea per dimostrare la presenza e la localizzazione di una ghiandola tiroidea funzionante: la tumefazione, infatti, potrebbe contenere l’ unico tessuto tiroideo attivo[38].

Ectopie

Residui di tessuto possono essere riscontrati in qualsiasi punto del tragitto percorso dall’ abbozzo tiroideo durante la sua discesa verso la regione sottoioidea. Più raramente tessuto tiroideo può anche trovarsi all’ interno della cavità toracica o del mediastino in stretta connessione con timo, pericardio, cuore, aorta, diaframma.

La più comune di queste ectopie è certamente il lobo piramidale (piramide di Lalouette), che è presente nel 15% della popolazione normale. L’ identificazione di un eventuale lobo piramidale è importante per il chirurgo che si accinge ad eseguire un intervento di tiroidectomia per il trattamento di gozzo diffuso in caso di morbo di Flajani-Graves-Basedow. Il lobo piramidale può essere piccolo e quindi venire trascurato dal chirurgo durante l’ intervento; in tal caso, in breve tempo, potrà comparire la sindrome d’iperfunzione tiroidea. Più rara è la presenza di tessuto tiroideo in corrispondenza della radice della lingua; in questi casi si parla di tiroide linguale. Nella maggior parte dei casi la tiroide linguale rappresenta l ‘unico tessuto tiroideo funzionante presente nell’ individuo, solo raramente è presente anche la ghiandola tiroidea nella sua sede tipica. I sintomi di una tiroide linguale dipendono ovviamente dalle sue dimensioni; essa, infatti, subendo la stessa regolazione endocrina di una tiroide normale, può ipertrofizzarsi dando origine ad un gozzolinguale, oppure può aumentare le sue dimensioni per trasformazione neoplastica. Quando è voluminosa, essa provoca disfagia, dispnea e disfonia. La diagnosi di tiroide linguale deve essere sempre confermata dalla scintigrafia con iodio radioattivo e, se si sospetta trasformazione neoplastica maligna, è necessario eseguire un prelievo bioptico[38].

L’ escissione chirurgica è necessaria solo quando la lesione è sintomatica o vi è trasformazione neoplastica; altrimenti, soprattutto nei bambini, è opportuna la somministrazione di ormone tiroideo che, nella maggior parte dei casi, induce una

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completa regressione della tumefazione. L’ escissione chirurgica nei casi in cui la tiroide linguale sia l’ unico tessuto tiroideo attivo può produrre mixedema e comporta terapia ormonale sostitutiva per tutta la vita[38].

Tiroiditi

Con il termine di tiroidite si designa un gruppo di condizioni patologiche della tiroide ad eziologia non omogenea, con alterazioni anatomo-patologiche di tipo infiammatorio, caratterizzate soprattutto da infiltrazione linfocitaria e da processi granulomatosi.

La classificazione e la nomenclatura qui proposte sono di tipo eziologico.

● Tiroidite infettiva, definita anche suppurativa, o non suppurativa, o settica, può essere di tipo acuto o cronico. E’ una malattia attualmente assai rara ed è causata dalla localizzazione a livello tiroideo di batteri, micobatteri, funghi o protozoi.

● Tiroidite di De Quervain, definita anche tiroidite subacuta, oppure tiroidite subacuta non suppurativa, tiroidite granulomatosa, tiroidite pseudo tubercolare, tiroidite a cellule giganti, tiroidite migrante, tiroidite recidivante. E’ una malattia non rara, verosimilmente ad eziologia virale, che colpisce prevalentemente il sesso femminile, e dura da una settimana a pochi mesi.

● Tiroidite autoimmune, definita anche tiroidite cronica, tiroidite di Hashimoto, tiroidite linfocitaria, è conosciuta anche come struma linfoma toso. E’ una malattia abbastanza comune ed è probabilmente la causa più frequente di ipotiroidismo primario non iatrogeno nell’ adulto.

● Tiroidite di Riedel, o struma di Riedel, tiroidite lignea, tiroidite fibroinvasiva, tiroidite cronica sclerosante è malattia rara, ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da processo flo-gistico cronico, con intensa reazione fibroblastica, che si diffonde oltre la capsula tiroidea, invadendo le strutture adiacenti (muscoli, guaine vascolari, ghiandole salivari, trachea, esofago)[39].

Tiroidite infettiva

La tiroidite infettiva è una malattia assai rara, dovuta ad invasione della ghiandola da parte di microrganismi batterici, quali streptococchi, stafilococchi, pneumococchi, salmonelle e bacteroidi. L’ invasione batterica della tiroide avviene per via ematica, partendo da focolai settici localizzati in strutture adiacenti. La lesione anatomica è caratterizzata dalle tipiche alterazioni che si osservano nelle flogosi acute: nella fase iniziale, si assiste all’

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infiltrazione di leucociti polimorfonucleati e linfociti; successivamente, è possibile la formazione di focolai necrotici ed ascessuali. Il processo di guarigione avviene con cospicua reazione fibrotica. La sintomatologia è caratterizzata da dolore in regione sottoioidea, ove è possibile osservare una ghiandola aumentata di volume, con la cute sovrastante tesa e calda. Il paziente non è in grado di estendere il collo e solitamente assume la posizione antalgica di flessione del collo, in modo da ridurre ogni pressione sulla ghiandola. Febbre con brividi e linfadenopatia latero-cervicale sono altri segni quasi sempre presenti; non vi sono invece alterazioni della funzionalità tiroidea. Le indagini di laboratorio rivelano leucocitosi e solo occasionalmente le emocolture possono essere positive. La concentrazione sierica degli ormoni tiroidei è normale, così come la percentuale di captazione iodica. La scintigrafia tiroidea può mettere in evidenza alcune aree “fredde” in corrispondenza di formazioni ascessuali o focolai necrotici. La tiroidite infettiva pone problemi di diagnosi differenziale con la tiroidite di De Quervain, la quale peraltro non comporta il coinvolgimento di altre strutture adiacenti ed è meno dolorosa. Nei pazienti con tiroidite di De Quervain la percentuale di captazione di radioiodio è particolarmente abbassata e vi è marcato aumento della VES.

La terapia consiste in riposo e somministrazione di antibiotici specifici per il microrganismo in causa. Talora nel contesto della ghiandola può formarsi un ascesso di dimensioni tali da richiedere l’ incisione chirurgica per il drenaggio della cavità o il drenaggio percutaneo eco guidato[39].

Tiroidite di De Quervain

La tiroidite di De Quervain, anche definita tiroidite subacuta, è una malattia relativamente comune che frequentemente si associa ad infezioni del cavo orale e delle prime vie aeree. Ciò ha fatto supporre una possibile eziologia virale, anche se una definitiva dimostrazione del virus responsabile non è mai stata ottenuta. I dati a favore di tale ipotesi sono i seguenti: la tiroidite subacuta può manifestarsi in forma epidemica; nel tessuto prelevato biopticamente e nel siero dei pazienti è possibile l’ isolamento di un virus (virus partitico). Inoltre, in molti pazienti con tale affezione si può osservare l’ associazione di parotite ed orchite. Sebbene il virus partitico sembri essere l’ agente eziologico principale, sono state osservate forme di tiroidite subacuta associate ad altre malattie ad eziologia virale quali: morbillo, influenza, mononucleosi, infezioni da coxsackie e adenovirus. L’ esame macroscopico della tiroide mette in evidenza una ghiandola notevolmente aumentata di volume, talora in modo asimmetrico, se la lesione è prevalentemente localizzata ad un

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lobo. Il colorito pallido, la consistenza aumentata, i margini indefiniti e l’ interessamento capsulare possono far pensare ad una lesione neoplastica. Contrariamente alla tiroidite di Riedel, non vi è mai coinvolgimento delle strutture adiacenti.

All’ esame microscopico si osservano le alterazioni caratteristiche dei processi infiammatori di tipo subacuto, cronico e granulomatoso, che si alternano a zone di necrosi tissutale ed a tessuto di riparazione. Nella fase iniziale vi è infiltrazione di leucociti polimorfonucleati, successivamente questi sono sostituiti da linfociti e macrofagi. Sebbene la maggior parte dei follicoli sia sostituita da tessuto reattivo di tipo infiammatorio, è possibile osservare un certo numero di follicoli di piccole dimensioni contenenti colloide. L’aspetto più caratteristico del quadro istopatologico è comunque la presenza di granulomi, ovvero raggruppamenti di cellule giganti, disposti attorno ad un certo numero di follicoli tiroidei in fase di degenerazione. La presenza di questa reazione gigantocellulare, con cellule tipo Langhans, è il motivo della dizione “tiroidite tubercolare”, data nel passato. Nella fase di guarigione, a risoluzione del processo infiammatorio, vi è completa rigenerazione del tessuto ghiandolare; anche nei casi più estesi e gravi, vi è ripristino dell’ integrità anatomica e funzionale della ghiandola. La malattia colpisce prevalentemente giovani donne ed ha una storia clinica che solitamente dura 2-3 mesi. La sintomatologia esordisce con la comparsa, in breve tempo, di una tumefazione dolente in regione sottoioidea. Molto spesso questa tumefazione, assai simile ad un gozzo, è preceduta da malessere generale e compare nell’ immediato decorso post clinico di un’ infezione acuta delle vie respiratorie. In alcuni casi vi è febbre ed il paziente è anoressico. All’ esame fisico la tumefazione è dura e dolente, può coinvolgere tutta la ghiandola o solo un lobo. E’ rara la presenza di linfadenopatia latero-cervicale. Il paziente è solitamente eutiroideo, ma occasionalmente possono esservi segni sia di ipertiroidismo, dovuti a repentina liberazione di ormone tiroideo per l’ estesa distruzione di follicoli, che si verifica soprattutto nelle fasi iniziali, sia di ipotiroidismo, per la successiva incapacità della ghiandola di secernere nuovo ormone. Queste alterazioni funzionali vanno incontro a normalizzazione dopo alcuni mesi dalla risoluzione clinica della malattia. In corso di tiroidite di De Quervain, la VES è spesso elevata e la concentrazione sierica di molte proteine di fase acuta (in particolare l’ alfa-2-globulina) è aumentata. Nella fase di esordio la concentrazione di T3 e T4 è elevata e quella di TSH è ridotta, successivamente T4 e T3 tendono a ridursi e il TSH ad aumentare. La captazione tiroidea dello iodio radioattivo è quasi completamente abolita quando la ghiandola è diffusamente coinvolta dalla malattia; è invece solo ridotta quando la tiroide è lesa solo parzialmente.

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La terapia sintomatica con analgesici ed antinfiammatori è talora sufficiente a ridurre i sintomi e ad abbreviare il decorso della malattia. La somministrazione di tiroxina può essere utile a sopprimere la secrezione di TSH, consentendo alla ghiandola un utile riposo funzionale; essa può inoltre prevenire la possibile comparsa di ipotiroidismo e deve comunque essere sospesa con il miglioramento delle condizioni cliniche. Quando la sintomatologia è particolarmente grave, può essere utile la somministrazione di corticosteroidi (prednisone 60 mg/die), per il loro effetto antinfiammatorio. L’ unica indicazione all’ intervento chirurgico è rappresentata da quei casi nei quali, soprattutto per la presenza di tumefazione associata a sintomi vaghi e lievi, non sia possibile escludere un carcinoma tiroideo. L’ intervento può anche essere preso in considerazione in quei rari casi di malattia facilmente ricorrente e refrattaria ad ogni terapia medica[39].

Tiroidite autoimmune

Nel 1912 Hashimoto descrisse 4 casi di pazienti affetti da una malattia della tiroide di tipo cronico che egli definì “struma linfomatoso” a causa della presenza di gozzo. La tiroide di questi pazienti presentava diffusa infiltrazione linfocitaria, fibrosi, atrofia parenchimale. Dalla descrizione originale di Hashimoto sono stati compiuti molti studi anatomo-clinici e la malattia è stata presentata con differenti definizioni: tiroidite di Hashimoto, tiroidite cronica, tiroidite linfocitaria, gozzo linfomatoso e, più recentemente, tiroidite autoimmune. Per molti anni si è creduto che la malattia fosse rara, e la diagnosi era solitamente fatta dal chirurgo al momento dell’ intervento o, più frequentemente, dal patologo dopo tiroidectomia. L’ utilizzazione sempre più frequente dell’ agobiopsia percutanea e la determinazione nel siero dei titoli anticorpali hanno consentito un più facile riconoscimento della malattia e, attualmente, vi sono molte ragioni per ritenere che la tiroidite autoimmune stia aumentando di frequenza e sia oggi una delle affezioni tiroidee più comuni.

Sebbene la patogenesi di questa malattia non sia perfettamente conosciuta, si ritiene che sia immunitaria. Doniach e Roitt furono i primi a dimostrare nel 1957 che nel siero di pazienti affetti di questo tipo di tiroidite erano presenti, ad alto titolo, anticorpi circolanti antitireoglobulina. Successivamente, utilizzando altre tecniche immunologiche, quali l’ immunofluorescenza ed i test radioimmunologici, è stata dimostrata la presenza di altri anticorpi antitiroidei (anticorpi antimicrosomiali). Non vi è dimostrazione certa che gli anticorpi antitiroide siano in grado da soli di indurre le lesioni osservabili a livello del parenchima tiroideo; peraltro è noto che la cooperazione tra immunocomplessi, anticorpi e linfociti può avere azione citotossica.

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Altri possibili fattori ad azione citotossica proposti nell’ ipotesi patogenetica delle lesioni tiroidee sono le cellule K (“killer”) ed un difetto primitivo dei linfociti T “suppressor”, in conseguenza del quale i linfociti T “helper” stimolano i linfociti B a produrre anticorpi antitiroide, in particolare anticorpi antitireoglobulina e antimicrosomiali dotati di azione citotossica. Probabilmente tutti questi fattori, in cooperazione tra loro, sono necessari e responsabili delle alterazioni morfologiche riscontrabili nel parenchima tiroideo affetto da questa malattia. La malattia colpisce prevalentemente le donne solitamente dopo la menopausa. L’ esame macroscopico mette in evidenza, esternamente, una ghiandola di colorito rosa chiaro, aumentata di volume in toto, poiché tutta la tiroide è coinvolta dalle alterazioni istopatologiche; la consistenza è aumentata, ma non in modo considerevole. Al taglio essa si presenta di colorito giallo-grigio e ha l’ apparenza di un grosso linfonodo iperplastico. All’ esame istologico si osserva la presenza di una diffusa infiltrazione di tessuto linfatico, organizzato in grossi follicoli con centri germinativi. L’ infiltrazione linfatica si trova sia all’ interno dei singoli lobuli, sia tra di essi. La reazione connettivale è scarsa. Clinicamente la malattia è caratterizzata da una tumefazione di modeste dimensioni a carico di tutta la tiroide, non dolente, di consistenza aumentata. La tumefazione non è aderente alle strutture circostanti.

Nella maggior parte dei casi i pazienti sono lievemente ipotiroidei, sebbene possano talora essere eutiroidei o addirittura può svilupparsi una sintomatologia clinica da ipertiroidismo (Hashitoxicosis). Sono state osservate associazioni tra tiroidite di Hashimoto, carcinoma capillifero e linfoma maligno della tiroide, senza che peraltro sia mai stata dimostrata alcune connessione patogenetica.

Nei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto vi è un aumento della VES e della componente gammaglobulinica delle siero proteine. La concentrazione sierica di T3 e di T4 può essere bassa, normale o elevata; non è certamente di utilità ai fini diagnostici, ma può dare utili indicazioni sullo stato di funzionalità della ghiandola. Anche la captazione tiroidea di radioiodio può essere bassa, normale o elevata. Un’ elevazione della captazione iodica in pazienti con tiroidite di Hashimoto può essere dovuta ad una bassa riserva iodica intratiroidea o ad aumentati livelli circolanti di TSH, e pertanto non sta certamente a significare che il paziente è ipertiroideo.

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➢ La presenza in circolo di anticorpi antitireoglobulina e antimicrosomiali ad alto titolo costituisce il più importante dato di laboratorio per la conferma diagnostica. Infatti l’ assenza di tali anticorpi consente di escludere tale lesione.

E’ sempre indicata, infine, l’ esecuzione di agobiopsia percutanea per esame citologico o istologico; essa dimostrerà la presenza di una diffusa infiltrazione linfocitaria.

L’ indirizzo terapeutico è, nella maggior parte dei casi, medico. Un breve periodo iniziale di circa 10 giorni con somministrazione di prednisone (60 mg/die) è seguito da terapia con tiroxina (0,2-0,3 mg/die), la quale, inibendo la secrezione di TSH, provoca una regressione del gozzo e corregge l’ eventuale ipotiroidismo. L’ intervento chirurgico è indicato solo quando il gozzo sia di dimensioni cospicue, dia segni di compressione tracheale ed esofagea, e sia refrattario alla terapia medica e si voglia escludere la presenza di un carcinoma.

Tiroidite di Riedel

Nel 1896 Riedel descrisse una forma di tiroidite cronica di tipo sclerosante, più frequente nel sesso femminile e caratterizzata da un’ inesorabile progressione che porta alla distruzione completa del parenchima ghiandolare e che spesso provoca sintomi compressivi a livello cervicale (trachea, esofago, paratiroidi, muscoli del collo). E’ una malattia assai rara, ad eziologia non definita, caratterizzata da una vera e propria sostituzione connettivale dell’ intera ghiandola. L’ invasione fibrotica non è limitata alla sola tiroide, ma anche alle strutture adiacenti e conferisce una particolare durezza (lignea) alla ghiandola. Questi processi fibrosclerotici possono talora essere presenti anche in altri distretti: ghiandole lacrimali, orbite, parotidi, mediastino, polmoni, miocardio, tessuto retro peritoneale e vie biliari. Configurando in tali casi la sindrome della fibrosclerositemultifocale. La malattia può rimanere in una fase di relativa stabilità per diversi anni, oppure progredire lentamente sino ad indurre uno stato d’ ipotiroidismo. I sintomi principali sono rappresentati da dispnea, disfagia, cambiamento del tono della voce, afonia. La ghiandola è di durezza lignea, non dolente. L’ esame fisico non consente da solo di porre diagnosi di tiroidite di Riedel; infatti le caratteristiche semeiologiche indirizzano verso una neoplasia maligna. Solo l’indagine istologica permette una diagnosi precisa.

L’intervento chirurgico, nella maggior parte dei casi, è necessario, oltre che per giungere ad una diagnosi certa, anche per rimuovere i sintomi da compressione tracheo-esofagea.

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L’intervento consiste nel prelievo bioptico per l’ indagine istologica estemporanea; se il patologo esclude la forma neoplastica e conferma la tiroidite di Riedel, l’intervento può limitarsi alla resezione istmica, che consente la lateralizzazione dei due lobi e quindi di alleviare i disturbi compressivi[39].

Disordini funzionali della tiroide Ipertiroidismo

Un’ eccessiva concentrazione di ormoni tiroidei circolanti è la causa di una sindrome clinica caratterizzata da particolari sintomi e segni. Questa situazione clinica fu descritta per la prima volta nel 1789 da Parry; successivamente fu osservata da Graves nel 1835 e da Basedow nel 1840. Solo più tardi, nel 1887, fu suggerito dal tedesco Moebius che l’ipertiroidismo fosse la causa prima della sindrome osservata da Graves. La malattia è conosciuta ovunque nel mondo, ma è più frequente in Europa che in Africa ed Asia. Le donne sono colpite più frequentemente degli uomini (5:1); sebbene l’ipertiroidismo sia osservabile in pazienti di ogni età, l’ incidenza massima è nella terza e quarta decade. L’ipertiroidismo può presentarsi in due forme cliniche prevalenti: il gozzo tossico diffuso (o morbo di Flajani-Graves-Basedow) e il gozzo tossico nodulare (adenoma tossico o morbo di Plummer). Più raramente l’ipertiroidismo può essere presente nelle fasi precoci di una forma acuta o subacuta di tiroidite, durante le quali può verificarsi un’ eccessiva increzione di ormoni tiroidei. L’aumentata produzione di ormoni tiroidei da parte della tiroide comporta una situazione d’iperplasia ghiandolare, ovvero nel contesto della ghiandola è presente un maggior numero di cellule secernenti. L’iperplasia può essere autonoma, circoscritta ed assumere caratteristiche di benignità, nel qual caso si realizzerà la situazione del morbo di Plummer, se invece è multipla o diffusa o secondaria a fenomeni d’iperstimolazione da fattori esterni si realizzerà la situazione del gozzo tossico diffuso (morbo di Flajani-Graves-Basedow). I sintomi e i segni causati dall’aumentata concentrazione sierica di ormoni tiroidei sono simili nelle due situazioni patologiche. La crisi tireotossica è una grave e temibile complicanza dell’ipertiroidismo, caratterizzata da un improvviso aggravamento dell’ iperfunzione tiroidea con comparsa di sintomi eventualmente assenti. Tale crisi insorge solitamente in occasione di interventi chirurgici in pazienti non adeguatamente preparati, in concomitanza di malattie infettive, durante il parto, in fase di diabete scompensato o durante infarto del miocardio.

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Le manifestazioni cliniche più rilevanti sono rappresentate da:

° ipertermia, che può raggiungere e superare i 40° C ed è associata a vampate di calore e a prusa sudorazione;

° tachicardia o tachiaritmia da fibrillazione atriale;

° tremore con imponente agitazione psicomotoria e talora delirio; ° sintomi gastro-intestinali, quali nausea, vomito e diarrea.

La crisi tireotossica può portare a morte il paziente per collasso cardiocircolatorio. Un’antica ipotesi supponeva come condizione determinante della crisi tireotossica un’ improvvisa immissione in circolo di ormoni tiroidei (involontarie manovre di spremitura della tiroide durante l intervento; brusca e massiva citolisi dopo terapia con radioiodio). Tuttavia la determinazione dei livelli di T3 e di T4 circolanti dimostra che questi ormoni, nella fase di crisi, non sono particolarmente elevati. Attualmente si ritiene che la crisi tireotossica sia scatenata dalla aumentata responsività alle catecolamine, con questa sequenza patogenetica:

Gozzo tossico diffuso (morbo di Flajani-Graves-Basedow)

Si tratta di una malattia non rara, di tipo costituzionale e generalizzata; l’ipertiroidismo rappresenta solo una delle sue manifestazioni. Il quadro clinico comprende: gozzo, ipertiroidismo, esoftalmo e dermopatia di tipo infiltrativo (mixedema pretibiale); talora uno o più di questi segni può mancare. Alcuni pazienti (dal 3 al 5%) non presentano l’ aumento delle dimensioni della ghiandola, sebbene essa sia iperplastica e particolarmente avida di iodio radioattivo, ma dopo somministrazione di ormone tiroideo. L’ipermetabolismo può essere l’unica manifestazione della malattia, ma talora è minimo o del tutto assente. L’esoftalmo e l’ipertiroidismo solitamente compaiono contemporaneamente, ma

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occasionalmente l’oftalmopatia può precedere o seguire di molti anni l’ipertiroidismo. Il mixedema pretibiale è quasi sempre associato al’esoftalmo e comunque non è mai l’ unica manifestazione clinica della malattia .La causa del morbo di Flajani-Graves-Basedow è tuttora sconosciuta. Sebbene l’ elevata incidenza familiare suggerisca una possibile ereditarietà, questa ipotesi non è ancora stata dimostrata. Attualmente si ritiene che il gozzo tossico diffuso sua una malattia autoimmune: l’ipertiroidismo è dovuto alla presenza di immunoglobine circolanti (IgG), che hanno la capacità di legarsi e di stimolare i recettori TSH delle cellule follicolari tiroidee. Ciò comporta un’ aumentata sintesi e liberazione di ormoni tiroidei, con conseguente blocco della secrezione ipotalamica di TRH ed ipofisaria di TSH. Le immunoglobine, prodotte dai linfociti B dei pazienti basedowiani, sono chiamate immunoglobine tireostimolanti (ThyroidStimulatingImmunoglobulins-TSI). Le TSI hanno la capacità, come altre immunoglobuline, di attraversare la placenta, potendo così indurre uno stato di tireotossicosi neonatale nei figli di madri che sono o sono state precedentemente in una situazione di tireotossicosi. Se è chiaramente dimostrato che l’ ipertiroidismo nel morbo di Flajani-Graves-Basedow è causato dalla presenza in circolo di TSI, è meno chiaro il meccanismo dell’ attivazione linfocitaria nella produzione di TSI. Attualmente si ritiene che tale attivazione avvenga per un’ alterazione genetica dei meccanismi di immunosorveglianza, caratterizzata da deficit quantitativi o funzionali dei linfociti T “suppressor” specifici per l’ antigene tiroideo. Acquisizioni recenti fanno ritenere che autoanticorpi simili, ma con caratteristiche distinte, possano contribuire alla patogenesi di altre manifestazioni cliniche dell’ipertiroidismo, quali l’esoftalmo ed il mixedema pretibiale.

Valutazione clinica:

La malattia può esordire in modo assai diverso da un paziente all’altro. Il paziente si presenta solitamente al medico con importanti segni neurologici e psichici, quali irritabilità, nervosismo, labilità emotiva, irrequietezza e iperattività; spesso riferisce una riduzione del rendimento lavorativo e/o scolastico. Caratteristico e frequente è il tremore, solitamente di piccola ampiezza e limitato alle mani. Nei casi più gravi possono osservarsi scosse muscolari diffuse a tutto il corpo. Il paziente, nell’esposizione della sua storia, si esprime con apprensione in modo rapido e concitato. Vi è iperattività dei riflessi osteo-tendinei. La cute è calda e umida, soprattutto alle mani e ai piedi; la vasodilatazione dei capillari cutanei può provocare improvvisi arrossamenti al volto, al collo e alla parte superiore del torace. L’intensa sudorazione e l’intolleranza al caldo comportano un notevole aumento

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della sete, che è spesso accompagnata da poliuria. I segni e i sintomi cardiovascolari sono spesso trascurati dai pazienti più giovani, ma possono costituire il quadro clinico dominante nei più anziani. Le modificazioni emodinamiche che si verificano sono le seguenti: aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità miocardica; aumento della gittata sistolica e della gittata cardiaca; diminuzione delle resistenze periferiche per vasodilatazione. Queste alterazioni comportano, sul piano clinico, sensazioni di cardiopalmo, extrasistolia, crisi di tachicardia parossistica e fibrillazione atriale. Nei pazienti anziani è frequente l’ associazione di fibrillazione atriale e scompenso cardiaco. La perdita di peso malgrado un forte appetito è assai frequente, sebbene nei più giovani si possa osservare un incremento ponderale quando l’assunzione di cibo superi le richieste metaboliche (Basedow grasso). Nei pazienti anziani, invece, l’anoressia e gradi perdite di peso sono di più comune riscontro. La motilità gastrointestinale è aumentata, con aumentata frequenza di scariche alvine, ma solo raramente con diarrea franca. Nella donna in età fertile i cicli mestruali sono conservati, sebbene in talune posa osservarsi oligo-amenorrea. Nell’ uomo non è raro riscontrare ginecomastia e talora una diminuzione della libido, che peraltro sarebbe da porsi in relazione ai disturbi neuropsichici dell’ ipertiroidismo. Molteplici e di diverso tipo sono le alterazioni oculari (oftalmopatia basedowiana) che possono riscontrarsi nell’ipertiroidismo. L’esoftalmo costituisce la manifestazione infiltrativa più comune dell’oftalmopatia. Anatomicamente esso è caratterizzato da aumento di volume dei muscoli orbitali e del cellulare orbitario, che è infiltrato da mucopolisaccaridi idrofili (acido ialuronico) e da cellule mononucleate, in prevalenza linfociti. Nei casi più gravi la reazione fibroplastica conduce alla scleroialinosi dei tessuti infiltrati. Questo processo provoca un aumento del contenuto endo-orbitario con proptosi, edema periorbitale, congestione congiuntivale, fotofobia, chemosi, lagoftalmo. L’infiltrazione dei muscoli estrinseci può provocare oftalmoplegia e di conseguenza diplopia. I gradi maggiori di proptosi oculare mettono in pericolo l’integrità dell’occhio per il facile associarsi di ulcere corneali e/o compressione del nervo ottico con compromissione del visus fino alla cecità. L’oftalmopatia basedowiano è nella maggior parte dei casi bilaterale, anche se non sempre simmetrica; attualmente la sua evoluzione può essere valutata e monitorata oltre che con l’esoftalmometria, con al TC delle regioni orbitarie, l’ecografia ad alta risoluzione dell’orbita e la RMN. Il mixedema pretibiale è un segno raro, ma tipico dell’ipertiroidismo in fase attiva o trattato precedentemente. Si presenta come un indurimento cutaneo irregolare, talora con superficie a “buccia d’arancia”, localizzato bilateralmente in regione pretibiale e sul dorso dei piedi. L’aspetto è simile a quello del

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linfedema, ma diversamente da questo non consente la formazione del segno della fovea alla compressione digitale. La lesione è costituita dalla deposizione nello spessore del derma di sostanze mucinose che contengono glicosaminglicani, condroitinsolfato e acido ialuronico.

L’oftalmopatia basedowiana è caratterizzata anche da manifestazioni di tipo non infiltrativo, nella maggior parte dei casi causate da ipertono simpatico. Esse costituiscono i cosiddetti segni oculari dell’ipertiroidismo:

° segno di Stellwag: rarità dell’ammiccamento per persistente allargamento delle rime palpebrali;

° segno di Graefe: difettoso sollevamento o abbassamento sinergico delle palpebre, quando gli occhi sono rivolti in alto o in basso; in tal modo una parte della sclera rimane sempre scoperta;

° segno di Moebius: scorretta o difficoltosa convergenza oculare;

° segno di Joffroy: mancato corrugamento della cute frontale nello sguardo verso l’ alto. Valutazione funzionale e di laboratorio:

Le indagini di laboratorio mettono in evidenza un’aumentata concentrazione sierica di T4 e T3 ed un aumento della percentuale di captazione di iodio radioattivo. Nelle forme lievi di ipertiroidismo i test di laboratorio convenzionali possono non essere indicativi; pertanto è opportuno eseguire i test con TRH ed il test di soppressione o test di Werner:

● Test con TRH: i livelli sierici di TSH non aumentano dopo somministrazione di TRH nei pazienti ipertiroidei;

● Test di soppressione: la somministrazione di T3 esogeno non sopprime la captazione tiroidea di iodio radioattivo nei pazienti ipertiroidei.

Altri reperti di laboratorio occasionalmente riscontrabili negli stati di ipertiroidismo sono: ipocolesterolemia, linfocitosi, ipercalcemia, ipercalciuria, glicosuria.

Diagnosi differenziale :

Molte sono le condizioni cliniche che devono essere prese in considerazione nella diagnosi differenziale con l’ipertiroidismo. Tra queste si ricordano: le sindromi ansiose, le malattie cardiache, l’ anemia, le affezioni del tubo gastroenterico, la cirrosi, la tubercolosi,

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