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Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa
Università di Pisa
TESI DI SPECIALIZZAZIONE
LA MISURAZIONE OGGETTIVA DEL CONTROLLO DEL
TRONCO NELLA PERSONA CON LESIONE MIDOLLARE:
VALUTAZIONE CON SENSORI INERZIALI DI
MOVIMENTO INDOSSABILI
Relatore: Prof. Claudio Macchi
Correlatore: Prof. Jacopo Bonavita
Candidata:
Dr.ssa Elisa Delorenzi
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Sommario
INTRODUZIONE ... 3 I. LA MIELOLESIONE ... 6 1.1 Inquadramento generale ... 6 1.2 Epidemiologia ... 10 1.3 Eziologia ... 111.4 Valutazione del livello neurologico ... 13
1.5 Principali problematiche cliniche della mielolesione ... 16
II. ANATOMIA E FUNZIONI DEL TRONCO ... 24
2.1 Muscoli del dorso ... 24
2.2 Muscoli dell’addome ... 28
2.3 Muscoli toraco-appendicolari ... 30
III. IL CONTROLLO DEL TRONCO ... 31
3.1 Neurofisiologia del controllo posturale ... 31
3.2 Controllo della postura seduta nella persona con lesione midollare ... 34
3.3 Valutazione dell’equilibrio nella persona con lesione midollare: revisione della letteratura ... 38
IV. I SENSORI INERZIALI ... 42
4.1 Caratteristiche tecniche ... 42
4.2 Utilizzo dei sensori inerziali nella Medicina Riabilitativa ... 43
V. PROTOCOLLO DI STUDIO ... 45
5.1 Scopo dello studio ... 45
5.2 Materiali e metodi ... 47
5.3 Test funzionali e Scale di misurazione clinica ... 51
5.4 Rilevazioni dei sensori inerziali ... 55
VI. RISULTATI E DISCUSSIONE ... 57
6.1 Correlazione fra scala TCT-SCI e rilevazioni dei sensori inerziali ... 57
6.2 Parametri cinematici ed atteggiamento posturale ... 67
6.3 Correlazione parametri cinematici e SCIM motoria ... 69
VII. CONCLUSIONI ... 72
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INTRODUZIONE
La lesione midollare determina una condizione di gravissima disabilità che sconvolge la vita di chi ne incorre, causando una notevole riduzione delle condizioni di salute, di capacità lavorativa e di integrazione sociale della persona e della famiglia1. La riabilitazione delle persone con esiti di lesione midollare è finalizzata, in ogni sua fase, al raggiungimento della massima autonomia possibile per la persona.
Un aspetto essenziale è la possibilità di predire il più precocemente possibile il livello di autonomia potenzialmente raggiungibile dalla singola persona2. Molti sono i fattori che sono in relazione al potenziale outcome funzionale atteso: in primo luogo il livello e la completezza della lesione, ma anche molti altri fattori personali e contestuali3.
All’interno del percorso riabilitativo neuromotorio che viene eseguito conseguentemente ad una lesione midollare di livello dorsale e con derivante paraplegia, il primo obiettivo è il raggiungimento della posizione seduta in carrozzina.4 Lo step successivo, necessario e propedeutico ad ogni altra attività finalizzata allo sviluppo della autonomia, è il miglioramento del controllo del tronco, che si ottiene attraverso esercizi specifici finalizzati alla acquisizione di compensi sovralesionali ed al rinforzo della muscolatura residua paravertebrale e addominale. L’acquisizione del controllo posturale da seduto in assenza di supporti è infatti fondamentale poiché molte attività della vita quotidiana vengono eseguite da questa posizione, quali la vestizione, prendere oggetti con gesti di reaching, il trasferimento dal letto alla carrozzina o sul WC, l’igiene personale.5, 6,7
A dispetto dell’importanza del controllo del tronco per la persona con lesione midollare, specialmente nel raggiungimento della sua autonomia, scarse sono le scale utilizzate per misurarlo, al fine di monitorare i progressi durante il percorso riabilitativo e correlarli al miglioramento della autonomia. Un fattore confondente intrinseco è la grande variabilità di performance a seconda dei differenti livelli neurologici di lesione, con maggiore o minore coinvolgimento della muscolatura del tronco.8, 9, 10
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La misurazione dell’autonomia funzionale della persona con lesione midollare è ben indagata con una buona specificità con scale proprie per la mielolesione. Fra questa sicuramente la scala SCIM (Spinal Cord Independence Measure) nella sua ultima versione, la terza, è quella più utilizzata.11, 12
Fra le scale di misura del livello di controllo del tronco nelle persone con lesione midollare, citiamo la Thoracic-Lumbar Control Scale (detta anche Graves-Atkinson Scale), sviluppata e validata per il paziente mieloleso. Essa risulta essere in buona correlazione con la sola componente sensitiva della scala ASIA ed è stata analizzata in relazione all’autonomia valutata con la scala FIM (Functional Independence Measure)13,14, che tuttavia è una scala di misura patologia-indipendente, non specifica per le lesioni midollari. Più recentemente è stata validata una ulteriore scala specifica per la mielolesione, la Trunk Control Test for Spinal Cord Injury (TCT-SCI),15 che stratifica però in modo grossolano i vari livelli di lesione dorsale e che dimostra inoltre un buon livello di correlazione con la scala SCIM, ma solo nella sua totalità, in quanto non è stata messa in correlazione con la componente più specifica “mobilità” della SCIM stessa.
Oltre all’analisi attraverso le scale di misura clinica, esiste oggi la possibilità di affinare ed ampliare la ricerca di elementi utili allo valutazione clinica utilizzando sensori di movimento indossabili che sono in grado di misurare in modo idealmente oggettivo numerosi parametri. Si prevede quindi di impiegare nel presente studio il dispositivo inizialmente denominato “pERhl”, che è il risultato di un progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna nell’ambito del bando “Dai distretti produttivi ai distretti tecnologici” (DGR n. 1631/2009). Lo scopo del sistema pERhl è quello di fornire misure dell’attività motoria con sensori inerziali indossabili non invasivi, di minimo ingombro e peso. Essi incorporano al loro interno un accelerometro, un giroscopio ed un magnetometro triassiali.
Il dispositivo di misura utilizzato ai fini del presente studio, oltre a non essere invasivo ed esente da rischi per la salute, è ininfluente sulla performance del paziente e nessuna decisione clinica (ad es. diagnosi, trattamenti farmacologici, percorso riabilitativo) sarà influenzata dai parametri ottenuti attraverso di esso. I dati derivanti dai sensori di movimento verranno analizzati a posteriori, non per valutare l’efficacia del dispositivo in sé e delle sue applicazioni in campo medico, quanto a fini di
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ricerca di base per identificare un set di parametri che possano essere affidabili e ripetibili. Inoltre essi potranno essere correlati sia con i valori delle scale di misura clinica di controllo del tronco sia con l’esito finale, ovvero il livello di autonomia del soggetto, raggiungendo, in sostanza, una sorta di “proof of concept”. A oggi, infatti, non esistono sufficienti evidenze per poter ritenere se tale tipologia di dispositivi sia utile o meno per la valutazione funzionale, e tantomeno nella persona con lesione midollare. È noto, dalla letteratura, che sono stati definiti metodi di valutazione basati su dispositivi del tipo descritto, ma in condizioni operative e su popolazioni completamente diverse, per altri usi e altre patologie.
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I.
LA MIELOLESIONE
1.1 Inquadramento generale
Il midollo spinale costituisce la porzione più caudale del nevrasse e rappresenta un importante centro di integrazione, pur essendo la regione meno complessa e filogeneticamente più conservata del Sistema Nervoso Centrale. È contenuto nel canale vertebrale, tra il margine superiore dell’atlante e la 1a
-2a vertebra lombare. Cranialmente continua con il bulbo, appartenente al tronco encefalico, caudalmente si assottiglia a formare il cono midollare, al cui apice origina un cordoncino fibroso, il filum
terminale, che si inserisce sul coccige. 16 Il midollo spinale da origine ai nervi spinali che vanno a costituire il Sistema Nervoso Periferico. Esso svolge funzioni specifiche, quali funzioni riflesse e autoritmiche, funzioni trofiche e conduzione degli stimoli in senso ascendente e discendente.17
La lesione del midollo spinale è una condizione drammatica che può comportare la morte o la disabilità grave e permanente della persona colpita, spesso in giovane età. Conseguenze inevitabili sono lo sconvolgimento emotivo, sociale, finanziario, della qualità di vita dell’interessato e della propria famiglia, associato ad un notevole costo socioeconomico.
Per mielolesione (o lesione spinale o lesione midollare) si intende una condizione clinica caratterizzata dal danneggiamento delle vie nervose ascendenti e/o discendenti che collegano il midollo spinale al’encefalo.
La lesione al midollo spinale può essere ad eziologia:
Traumatica (Traumatic Spinal Cord Injury, T-SCI), come traumi della strada o sul lavoro, cadute accidentali o lesioni da sport;
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Non traumatica (Non Traumatic Spinal Cord Injury, NT-SCI) ovvero secondaria a patologie diverse, come esiti di patologie degenerative, patologie neoplastiche, lesioni ischemiche, emorragiche, infettive, ecc.
In seguito ad una lesione midollare, oltre alla distruzione delle strutture situate nel segmento midollare colpito (livello di lesione), vi sarà anche un deficit totale o parziale delle funzioni (motorie, sensitive e/o viscerali) situate al di sotto della sede di lesione e normalmente controllate dai centri superiori.18
Gli eventi patogenetici che caratterizzano il quadro clinico possono essere classificati in:
Danni primari: ovvero l’espressione della cascata di eventi biochimici che sostengono la risposta flogistica e immunitaria che consegue al danno tissutale, il danno mielico.
Danni secondari:
- Deficit motorio agli arti inferiori e/o superiori;
- Deficit di sensibilità degli arti inferiori e/o del tronco e/o degli arti superiori; - Alterazioni della funzione respiratoria;
- Alterazioni della funzione cardiovascolare;
- Alterazioni della funzione dell’apparato gastrointestinale; - Alterazione dell’apparato vescico-sfinterico;
- Alterazione della termoregolazione;
- Compromissione dell’equilibrio psicologico legata al vissuto conseguente alla lesione midollare.
Danni terziari, ovvero conseguenza di un inadeguato nursing riabilitativo: - Lesioni da decubito
- Infezioni delle vie urinarie - Infezioni respiratorie
- Calcificazioni eterotopiche (o Paraosteoartropatie) - Osteoporosi
- Deformità del rachide
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A livello assistenziale si possono individuare sostanzialmente 4 fasi, sottese dall’evoluzione clinica della lesione midollare:
Fase dell’emergenza: periodo immediatamente successivo all’evento lesivo (generalmente entro le prime 12 ore) in cui le finalità dell’intervento si identificano nell’attuazione di tutte le procedure volte a limitare i danni conseguenti alla lesione e generalmente critici per l’omeostasi dell’individuo, tutelare la colonna vertebrale (la quale è da considerare sempre, al momento del trauma, come potenzialmente lesa), gestire il danno vertebro-midollare al fine di evitare il peggioramento neurologico e creare le condizioni ottimali per un eventuale recupero neuromotorio.
Fase acuta: si instaura immediatamente dopo la fase di emergenza e perdura fino alla stabilizzazione delle condizioni generali. Clinicamente è caratterizzata dalla fase di shock spinale, che generalmente persiste per 6/8 settimane, e si manifesta con la soppressione di tutte le funzioni sottolesionali (motorie, sensitive, vegetative), pertanto vi sarà paralisi motoria, anestesia globale e ritenzione urinaria e fecale.
Fase di stabilizzazione: segue la fase di shock spinale ed è caratterizzata dalla ripresa di attività sottolesionale (volontaria, spontanea, riflessa) e comparsa di automatismi spinali con caratteristiche estremamente variabili. In caso di lesione completa, tale fase ha una durata media di 4-6 mesi per i paraplegici e 8-12 mesi per i tetraplegici.
Fase di cronicità: si caratterizza nella prevenzione e gestione delle diverse complicanze che possono intervenire dopo la dimissione.
Qualunque sia la causa della lesione midollare, la gravità e l’estensione del danno clinico dipendono dal livello di lesione (cervicale, dorsale, lombare), dall'ampiezza della lesione stessa (completa o incompleta) e dalla velocità con cui si è realizzata. A seconda dell’entità del danno a carico del midollo spinale, le lesioni midollari si distinguono in complete e incomplete. Si definisce lesione completa qualora sia assente qualsiasi attività motoria e sensitiva a livello del segmento sacrale più caudale (S4-S5), espressione di un’interruzione totale delle comunicazioni nervose al di sotto del livello di lesione. La lesione incompleta, invece, presuppone una sorta di “risparmio” neurologico al di sotto del livello di lesione.
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In base al livello lesionale e alla completezza del danno, la lesione midollare può dare origine a diversi quadri clinici:
Tetraplegia (C1-C8): alterazione o perdita della funzione motoria e/o sensitiva nei segmenti cervicali del midollo spinale con danno funzionale a carico di arti superiori, tronco, arti inferiori e organi pelvici.
Paraplegia (T1-S5): alterazione o perdita della funzione motoria e/o sensitiva nei segmenti toracico, lombare o sacrale del midollo spinale. La funzionalità degli arti superiori è risparmiata; in base al livello di lesione, risultano coinvolti il tronco, gli arti inferiori e gli organi pelvici.
In caso di lesione midollare incompleta il quadro clinico può essere estremamente eterogeneo. Possono essere identificate 6 diverse sindromi:
- Sindrome centro midollare: caratterizzata da deficit motorio prevalente agli arti superiori rispetto agli inferiori
- Sindrome di Brown-Séquard: molto rara, si caratterizza per deficit motorio e di sensibilità propriocettiva omolateralmente alla lesione, e deficit di sensibilità termodolorifica controlateralmente alla lesione.
- Sindrome cordonale anteriore: caratterizzata per deficit motorio e della sensibilità termodolorifica, con conservazione della sensibilità tattile e propriocettiva al di sotto del livello di lesione.
- Sindrome cordonale posteriore: caratterizzate per deficit di sensibilità tattile e propriocettiva, con risparmio motorio e della sensibilità termo dolorifica al di sotto del livello lesionale.
- Sindrome del cono midollare: generalmente caratterizzata per areflessia vescicale, ipotonia intestinale e paralisi flaccida degli arti inferiori, talvolta sono conservati il riflesso bulbo-cavernoso e i riflessi minzionali.
- Sindrome della cauda equina: generalmente caratterizzata per areflessia vescicale, ipotonia intestinale e paralisi flaccida degli arti inferiori.
Una completa e ottimale gestione della lesione midollare richiede un approccio integrato interdisciplinare in cui diversi specialisti collaborano tra loro in funzione degli obiettivi prefissati. Il programma riabilitativo elaborato dall’equipe
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multidisciplinare coinvolge il paziente e i suoi familiari, e con essi pianifica le soluzioni per un recupero confacente allo specifico quadro patologico ed alle loro aspettative.
1.2 Epidemiologia
A livello internazionale i dati epidemiologici rilevabili dalla letteratura sono grossolanamente sovrapponibili tra loro con alcune specifiche differenze per le peculiarità sociali ed economiche di alcuni paesi.
Gli Stati Uniti hanno la statistica più vasta: il database nazionale della NSCISC (National Spinal Cord Injury Statistical Centre) è un database prospettico longitudinale multicentrico, che ad oggi ha raccolto i dati di più di 30.000 persone con SCI.
Incidenza. Attualmente la popolazione negli Stati Uniti è pari a 314 milioni di persone, recenti stime hanno dimostrato che l'incidenza annuale di lesioni del midollo spinale (SCI) è di circa 54 casi per milione di abitanti, ovvero circa 17.000 nuovi casi SCI ogni anno. In Italia, da un recente studio prospettico multicentrico,19 si stima che l’incidenza sia di 14,7 nuovi casi all’anno per milione di abitanti. I nuovi casi di SCI non includono quelli che muoiono sulla scena dell'incidente.
Prevalenza. Si stima negli Stati Uniti il numero di persone vive con SCI siano circa 282.000, con una portata da 243.000 a 347.000 persone (le stime sono ottenute da diversi studi e non derivanti dal National SCI Database).
ETA’: Negli Stati Uniti l'età media all’evento lesivo è aumentata dai 29 anni di età media negli anni '70, ai 42 anni attualmente. In Italia ad oggi l’età media è di 54 anni. SESSO: Il sesso maschile rappresenta circa l'80% dei nuovi casi SCI (rapporto M:F=4:1).
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Livello neurologico e grado di lesione. In Italia attualmente l’incidenza di tetraplegia (58%) è maggiore della paraplegia (42%), con prevalenza delle lesioni incomplete (67%) su quelle complete.19 La tetraplegia incompleta è attualmente la più frequente categoria neurologica seguita dalla
paraplegia incompleta, paraplegia completa e tetraplegia completa. Meno dell'1% delle persone hanno avuto un completo recupero neurologico dopo la dimissione ospedaliera.
1.3 Eziologia
Le lesioni di origine traumatica (T-SCI) sono quelle in cui una forza esterna causa un trauma alla colonna vertebrale tale da provocare un danneggiamento sia del canale vertebrale che del midollo spinale. Tali lesioni rappresentano i 2/3 del totale delle mielolesioni e, nell’epidemiologia italiana,19 per il 40,9% derivano da cadute (che per più di un terzo si tratta di cadute non da altezze ma da livello del terreno, cadute che riguardano specialmente la popolazione anziana), seguite dagli incidenti stradali (33,5%), attività sportive (6,5%), atti di violenza (3,4%) e altre cause (2,5%).
Per quanto riguarda i traumi sportivi sappiamo inoltre che un’alta percentuale (60%) è rappresentata dai traumi derivanti da tuffi; circa il 25% deriva invece da incidenti di varia natura occorsi in montagna.
Il 17% di tutte le lesioni traumatiche deriva da incidenti sul luogo di lavoro o nel tragitto per raggiungere quest’ultimo e colpiscono soprattutto gli uomini di età compresa tra i 25 ed i 55 anni (solo il 5% è rappresentato da donne).
35%
25% 20%
19% 1%
Stato neurologico alla dimissione
Tetraplegia incompleta Paraplegia incompleta Paraplegia completa Tetraplegia completa Normali
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Una piccola percentuale di lesioni traumatiche deriva da incidenti domestici, che coinvolgono per lo più il sesso femminile nella fascia d’età che supera i 50 anni; la causa più frequente sono i traumi da precipitazione.
Per quanto riguarda l’incidenza, i dati demografici ci mostrano una maggior frequenza in soggetti di sesso maschile (4:1).
Le lesioni di origine non traumatica (NT-SCI) rappresentano invece circa 1/3 di tutte le mielolesioni. Tali lesioni possono dipendere da cause di vario tipo; ovvero possono essere secondarie a disfunzioni tumorali (linfoma di Hodgkin, mieloma multiplo e metastasi vertebro-midollari), vascolari (ischemie del midollo in seguito a trombosi vascolare o compressione dell’arteria spinale anteriore, aneurismi dissecanti dell’aorta ed emangiomatosi), infettive/virali (Sindrome di Guillain-Barré e Morbo di Pott), degenerative, iatrogene e tossiche.
Le lesioni causate da problemi vascolari rappresentano il 25,1%, come quelle provocate da patologie neoplasiche; quelle derivanti da infiammazioni/infezioni rappresentano il 19,5% mentre quelle esitanti da malattie degenerative il 18,6%.20 Nel rimanente 11,7% ricadono
le lesioni mieliche di origine tossica, quelle causate da interventi medici/chirurgici (come iniezioni intra-rachidee di sostanze per motivi diagnostici e/o terapeutici) ed altre origini.
Per quanto riguarda l’incidenza delle lesioni atraumatiche, sono
Eziologia NTSCI
vascolare neoplastiche
degenerative infiammatorie/infettive altro
Eziologia TSCI
cadute incidenti stradali sport violenza
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più frequenti in individui di sesso maschile (1,6:1) anche se il divario rispetto alle femmine non è così marcato come accade per le lesioni traumatiche.
La zona della colonna vertebrale più frequentemente lesa è quella dorso-lombare, in circa il 76% dei casi; per quanto riguarda invece il rachide cervicale è leso in circa il 22% dei pazienti.
1.4 Valutazione del livello neurologico
La modalità più accurata per formulare una prognosi funzionale è sicuramente una valutazione clinica standardizzata che possa determinare con precisione il livello motorio e sensitivo che segue una mielolesione.21 Dopo anni nei quali sono stati sviluppate e affinate diverse scale di valutazione, la Standard Neurological Classification of Spinal Cord Injury dell’American Spinal Injury Association (ASIA) è diventato lo strumento più diffuso e utilizzato in tutto il mondo per la definizione del livello e della completezza della lesione midollare. La scala si basa sulla valutazione della funzione motoria e sensitiva; è riproducibile e di semplice esecuzione, anche se è dimostrata la necessità di un training specifico. I dati raccolti dalla valutazione clinica vengono riportati su un’apposita scheda.
La valutazione motoria viene eseguita bilateralmente su 10 muscoli “chiave” (5 per gli arti superiori e 5 per gli arti inferiori) seguendo la scala dell’esame muscolare che va da 0 a 5, dove 0 rappresenta la paralisi totale con assenza di movimento, e 5 la capacità di eseguire il movimento contro massima resistenza. Se la valutazione non può essere effettuata il muscolo viene registrato come “non testabile” (NT). Dopo aver terminato la valutazione si effettua la somma dei punteggi assegnati ai diversi muscoli per definire il Motor Score.
La valutazione sensitiva viene effettuata su entrambi gli emisomi testando 28 punti definiti “punti chiave” ognuno dei quali corrisponde a un dermatomero. Vengono esaminate sia la sensibilità superficiale tattile che quella dolorifica, testate rispettivamente utilizzando un batuffolo di cotone per la prima e uno spillo per la seconda. Anche in questo caso viene utilizzata una scala in cui 0 corrisponde alla
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completa anestesia, 1 a qualsiasi tipo di alterazione sensitiva (ipoestesia, disestesia, iperestesia) e 2 alla normalità. Se la valutazione non è attuabile il dermatomero in esame si definisce “non testabile”. Alla fine sommando i vari punteggi si otterranno due valori: il Light Touch Score per la sensibilità tattile, e il Pin Pick Score per quella dolorifica.
Una volta terminate le valutazioni, è necessario completare la compilazione della scheda definendo:
il livello muscolare: gruppo muscolare più caudale con grado di forza uguale o maggiore a 3 se i segmenti superiori hanno un valore di forza normale (5/5);
il livello sensitivo: dermatomero più caudale con sensibilità tattile e dolorifica conservate bilateralmente;
il livello neurologico: livello più caudale in cui sia la sensibilità che la motricità sono nella norma;
la completezza o incompletezza della lesione: determinata dalla presenza o meno di un’attività motoria o sensitiva a livello del segmento sacrale più caudale (S4-S5). E’ necessario quindi valutare l’attività motoria volontaria a carico dello
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sfintere anale esterno e la sensibilità a carico della giunzione muco-cutanea dell’ano;
il grado di menomazione attraverso l’ASIA Impairment Scale;
le Zone of Partial Preservation (ZPP): si può parlare di ZPP solo in caso di lesione completa (AIS A), e se al di sotto del livello neurologico di lesione, almeno 3 dermatomeri consecutivi conservano funzioni motorie e/o sensitive parziali.
Come indicato sulle linee guida della SCI, la prima valutazione ASIA andrebbe effettuata (almeno per quanto riguarda il versante motorio, più semplice e veloce) entro le prime 6 ore dal trauma anche se questo non è sempre possibile. Considerando che il quadro clinico può variare in modo significativo nelle prime ore o nei primi giorni, la valutazione dovrebbe essere ripetuta a distanza di 72 ore, 1, 4, 6 settimane e successivamente 6 e 12 mesi.
Le evidenze in letteratura confermano che la valutazione neurologica effettuata tra il terzo e il settimo giorno è predittiva di recupero.
In ogni caso, sarebbe importante la valutazione del quadro neurologico anche dopo la stabilizzazione clinica per verificare un eventuale recupero o deterioramento.23
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1.5 Principali problematiche cliniche della mielolesione
La lesione midollare può compromettere la funzionalità di un gran numero di organi e apparati, talvolta in misura tale da mettere a rischio la vita del paziente. Il soggetto mieloleso presenta infatti una serie di disturbi e complicanze correlati alla propria patologia che si presentano in modo differente da un paziente all’altro, a seconda del livello e del tipo di lesione.
Oltre alle problematiche sanitarie, è importante considerare anche le dinamiche psicologiche e sociali che la persona mielolesa deve affrontare. In quest’ottica risulta fondamentale un approccio riabilitativo globale e integrato caratterizzato dalla multidisciplinarietà e dal lavoro d’équipe.
Problematiche respiratorie
Il livello neurologico e la completezza o meno della lesione sono i parametri che determinano il grado di compromissione della funzionalità respiratoria.
Il diaframma, i muscoli della parete toracica (intercostali, porzione clavicolare del gran pettorale), i muscoli addominali e i muscoli del collo sono i quattro gruppi muscolari che partecipano alla meccanica respiratoria e la cui compromissione determina la variazione della ventilazione polmonare.
Il 67% circa dei pazienti mielolesi sperimenta complicanze respiratorie nel periodo immediatamente successivo alla lesione. Tali complicanze interessano principalmente i pazienti con lesioni alte e in particolare pazienti con lesioni C1-C422 che, per l’alterazione della funzione diaframmatica, sopravvivono grazie ai ventilatori. Nelle lesioni cervicali basse o dorsali alte è possibile l’instaurarsi di insufficienza respiratoria legata alla paralisi dei muscoli intercostali e addominali; la respirazione in questi pazienti dipende principalmente dal diaframma.
Le complicanze polmonari, sebbene rappresentino la causa più comune di morte in fase acuta, sono possibili anche in fase post acuta e cronica.25
Ipotensione ortostatica
Nelle persone con lesione midollare la diminuzione della massa muscolare funzionante, del ritorno venoso, della funzionalità respiratoria e l’alterazione dei meccanismi omeostatici di controllo alterano la normale cinetica cardiovascolare.
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Nelle lesioni midollari alte (sopra T6) è frequente l’ipotensione ortostatica23 che si manifesta clinicamente con vertigini, cefalea, confusione mentale, sino alla perdita di coscienza. La gravità della sintomatologia è legata al flusso cerebrale più che al valore assoluto della pressione arteriosa. L’ipotensione ortostatica si manifesta spesso nei cambi posturali, nelle attività di trasferimento dalla carrozzina e nel periodo post-prandiale. Uno dei principali fattori eziopatogenetici è rappresentato dalla stasi venosa degli arti inferiori che è associata a meccanismi omeostatici vasocostrittivi di compenso per l’alterazione del sistema nervoso simpatico. La terapia è basata sulla cautela negli spostamenti in ortostatismo, sull’uso di fasce elastiche addominali e di calze elastiche agli arti inferiori, sull’uso del piano di statica con incremento progressivo dell’elevazione.
Trombosi venosa profonda
Il Tromboembolismo venoso è una frequente complicanza nella fase acuta dopo lesione midollare, con incidenza massima nei primi 3 mesi dall’evento lesivo2425
, per cui in tale periodo il paziente mieloleso è da considerarsi per definizione ad alto rischio.
L’incidenza media di complicanze trombo-emboliche nei pazienti affetti da mielolesione acuta non trattati con terapia profilattica o trattati con profilassi inadeguata sembra essere elevata, anche se le casistiche disponibili riportano stime molto variabili (7-100%), a seconda della gravità della lesione, dell’età del paziente (maggiore ai 45 anni) e della metodica utilizzata per fare diagnosi di tromboembolismo.26
Le trombosi venose profonde (TVP) degli arti plegici sono una complicanza frequente, di difficile riconoscimento clinico e potenzialmente molto pericolose. I segni clinici, legati all’aumentata resistenza a carico del circolo venoso, sono: edema con aumento volumetrico dell’arto, senso di tensione, crampi, calore, iperemia, disreflessia autonomica, aumento della spasticità, segni di flogosi cutanea. Tutti questi segni clinici vanno attentamente ricercati, ma la loro mancanza (come spesso avviene in caso di trombosi iliaca o femorale) non esclude la TVP.
La prevenzione delle TVP risulta quindi di primaria importanza e si basa su:
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uso di sistemi e procedure che favoriscano il ritorno venoso: posizione declive a letto, posture alternate, mobilizzazione passiva/attiva degli arti, calze elastiche, rieducazione respiratoria (agisce da fattore favorente il ritorno venoso), sistemi a compressione pneumatica intermittente;
uso di farmaci anticoagulanti a dosaggio profilattico (eparine a basso peso molecolare o anticoagulanti orali).
Problematiche vescicali e gastrointestinali
Una lesione spinale comporta un mancato controllo della funzione vescicale, il che può condurre a ritenzione urinaria o incontinenza urinaria. Questa condizione è meglio nota come vescica neurologica. In base all’altezza della lesione midollare e al grado di completezza, avremo diversi quadri vescicali. Questi si svilupperanno una volta terminata la fase di shock; quest’ultima è invece caratterizzata da paralisi flaccida dei muscoli della vescica, quindi impossibilità di minzione accompagnata da fughe di urina dovute all’eccessivo riempimento.
Anche le disfunzioni del tratto gastrointestinale rappresentano un importante problema fisico e psicologico per la persona mielolesa. Nella fase di shock midollare compare la paralisi della peristalsi intestinale, la quale provoca sovradistensione gastrica a causa dell’accumulo di liquidi e gas a livello delle anse intestinali e nello stomaco. Questa condizione ha una durata media di 3/4 giorni; successivamente si ha la riattivazione spontanea della peristalsi, che però sarà rallentata. Le attività gastrointestinali non vengono mai completamente compromesse in quanto l’assorbimento e la propulsione fecale sono comunque garantiti. Viene però intaccato, in maniera differente a seconda dell’altezza della lesione, l’atto della defecazione.
Spasticità
Dopo il trauma midollare subentra la fase di shock spinale (durata variabile compresa tra 15 giorni e 2 mesi), nella quale si assiste a ipotonia e perdita dei riflessi tendinei, dovuta all’improvvisa perdita dell’input dai centri superiori. Successivamente, nel corso di alcune settimane, segue una graduale transizione alla spasticità, con iperattività dei motoneuroni conseguente alla disinibizione di circuiti di controllo
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midollari, e gradualmente iniziano a ricomparire i riflessi osteotendinei, che diventano poi iperelicitabili. Aumenta inoltre il tono muscolare ed iniziano a comparire fenomeni come cloni, spasmi e riflessi patologici. La spasticità è un disordine motorio caratterizzato da un aumento del tono muscolare e/o da contrazioni incontrollate, involontarie e ripetitive della muscolatura scheletrica (spasmi). Questi ultimi sono spesso dolorosi e possono portare a serie complicazioni come ulcere da decubito, cadute, fratture e compromissione respiratoria. L’ipertono e gli spasmi sono più evidenti nei muscoli antigravitari e quindi nei flessori degli arti superiori e negli estensori di quelli inferiori. Risulta quindi fondamentale effettuare una valutazione clinica accurata attraverso scale che esaminano l’ipertonia muscolare (Scala di Ashworth), la presenza e la frequenza di spasmi (Penn Spasm Frequency Score) o la disabilità (Barthel Index modificato e SCIM), che può essere influenzata negativamente dall’aumento del tono.
Nell’approccio con il paziente mieloleso, è utile ricordare che la presenza di spine irritative quali piaghe da decubito, piressia, infezioni, stipsi e più semplicemente anche errate posture, abbigliamento scomodo o stretto e la presenza del catetere vescicale possano portare ad un aumento della spasticità ed allo scatenarsi di spasmi.
Lesioni da pressione
Le ulcere da pressione fanno parte del danno terziario delle patologie vertebromidollari. La lesione da pressione si configura come un’alterazione tissutale che si verifica per lo più in aree sottoposte ad un gradiente pressorio che, creatosi fra superfici ossee e piano d’appoggio del corpo o dei suoi segmenti, persiste per un tempo sufficiente a determinare una riduzione del flusso sanguigno con conseguente anossia, sofferenza e necrosi tissutale. I soggetti mielolesi, in particolar modo, sono a rischio per anestesia completa, la quale impedisce al soggetto di avvertire la pressione o il fastidio della postura, paralisi muscolare, che determina infrequenti cambi posturali, paralisi neurovegetativa, che rende la pelle secca e disidratata, paralisi della vescica, che può provocare episodi di incontinenza.
Le lesioni da decubito sono particolarmente temute e necessitano di adeguata prevenzione per l’elevato rischio di complicanze a cui possono andare incontro, tra
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esse: emorragia, anemia, squilibri elettrolitici, deplezione proteica, dolore, infezione locale, fistole, ascessi, osteomielite, sepsi generalizzata.
Disreflessia autonomica
Per l’instaurarsi della sindrome da disreflessia autonomica sono necessarie due caratteristiche: la completezza della lesione e che quest’ultima si trovi al di sopra del sesto mielomero toracico (T6).
Tale sindrome compare una volta terminata la fase di shock midollare ed è legata ad un’alterata risposta fisiologica a stimoli tattili e/o nocicettivi a livello cutaneo e/o viscerale che provoca un’aumentata scarica adrenalinica.
Il quadro sintomatico presenta: picchi ipertensivi, bradicardia, ritenzione urinaria, sudorazione esagerata, brividi, cefalea pulsante e, in alcuni casi, sintomi minori (per es. eritemi cutanei e congestione nasale).
Analogamente a quanto descritto per la spasticità esistono situazioni e/o condizioni in grado di scatenare la disriflessia autonomica. Tra queste spine irritative troviamo la calcolosi (renale, vescicale o uretrale), manovre invasive a livello uretro-vescicale, processi infiammatori in atto, infezione delle vie urinarie, congestione intestinale, stipsi, lesioni da pressione (soprattutto se a livello sacrale o ischiatico), problematiche ortopediche ma anche mobilizzazioni e posture non appropriate.
Alterazioni della termoregolazione
La temperatura corporea è l’espressione dell’equilibrio tra la produzione e la dispersione di calore, essa è controllata dal centro termoregolatore situato nell’ipotalamo che la mantiene costante indipendentemente dai processi metabolici e dalla temperatura esterna. La febbre è una condizione frequente nei soggetti con lesione midollare e, se non trattata, li espone a rischio per disidratazione e disturbi cardiocircolatori. Difatti, poiché nei distretti interessati da paralisi muscolare e assenza di sensibilità vi è anche una vasoparalisi, la persona con lesione midollare avrà assenza di diaforesi al di sotto del livello neurologico con impossibilità di dissipazione del calore attraverso la cute e conseguente aumento incontrollato della temperatura corporea.
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Paraosteoartropatie e osteoporosi
Le ossificazioni eterotopiche o paraosteoartropatie (POA) sono costituite da neoformazioni ossee che si sviluppano nei tessuti molli periarticolari (tendini, legamenti e aponeurosi), senza interessare direttamente le articolazioni.
Le POA rappresentano una complicanza frequente tra le persone mielolese (16%- 53%) con localizzazione maggiore in ordine di frequenza nelle articolazioni dell’anca, del ginocchio, della spalla e del gomito (prevalenza maggiore nei tetraplegici, nel sesso maschile e nella fascia di età fra i 20 e i 40 anni).22 Le cause più accreditate sono rappresentate dai microtraumi meccanici (spasticità, immobilizzazione prolungata, mobilizzazioni inappropriate), dalle alterazioni del controllo neurologico del microcircolo periarticolare e da necrosi tessutale conseguente ad ischemia locale.
Il quadro clinico è inizialmente dominato dai segni di una infiammazione locale (cute calda, edema, dolore se la sensibilità è indenne, a volte febbre); successivamente si osserva una limitazione della mobilità articolare più o meno severa che può determinare, a volte, anche una anchilosi (blocco) vera e propria dell'articolazione.
Alterazioni ormonali e metaboliche
La secrezione ormonale ipofisaria è alterata in seguito a SCI:
- risulta alterata la secrezione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH), il quale, fisiologicamente, ha come bersaglio la ghiandola surrenale e serve a stimolare la formazione di mineralcorticoidi, in particolare aldosterone (ormone antidiuretico), deputato all’assorbimento di sodio e acqua a livello renale, glicocorticoidi utili nel metabolismo degli zuccheri e androgeni che hanno funzione muscolarizzante. La secrezione di ACTH, in caso di SCI, è normale in risposta a stimoli umorali ma non appropriata in risposta a stimoli neuromediati, la sua risposta risulta insufficiente anche in condizioni di stress;
- i livelli di TSH (ormone tireostimolante) periferico mostrano un piccolo transitorio decremento;
- l’ormone della crescita (GH) può risultare insolitamente alto;
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- l’LH (ormone luteinizzante) si riduce transitoriamente nella paraplegia e permanentemente nella tetraplegia;
- la prolattina può aumentare;
- in pazienti precedentemente non diabetici si può osservare un’intolleranza al glucosio;
- è di frequente riscontro una transitoria anemia;
- il metabolismo basale ed il consumo energetico sono ridotti;
- in fase acuta è possibile notare una riduzione del peso corporeo, che successivamente può aumentare sino all’obesità;
- l’ipercalciuria si sviluppa precocemente dopo lesione spinale e può permanere per diversi mesi, in risposta all’immobilità;
- l’incrementato carico di calcio escreto dai reni causa un decremento dell’ormone paratiroideo, una riduzione dell’assorbimento di calcio nel tratto gastrointestinale, calcolosi delle vie urinarie, osteoporosi e può contribuire alla formazione di paraosteoartropatie (vedi paragrafo precedente).
Alterazioni nocicettive
“Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata o meno ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale.”
Definizione di IASP (International Association for the Study of Pain) e OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Nel soggetto con lesione spinale, il dolore può essere dovuto a molteplici fattori: instabilità meccanica della colonna, intrappolamento della radice nervosa, lesione midollare, sindromi secondarie ad eccessivo uso ad esempio della carrozzina, dolore viscerale, dolore da spasmo muscolare, dolore da siringomielia. Il dolore neuropatico conseguente a SCI è distinto in quello che il soggetto percepisce a livello della lesione e le percezioni più distali. Il dolore originato dalle radici nervose è acuto, lancinante o può avere la qualità di scossa elettrica; esso si irradia nei dermatomeri interessati dalla lesione ed è associato a parestesie.
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Il dolore “fantasma” viene solitamente riferito in un’area distale alla lesione; viene descritto come trafittivo, bruciante, come sensazione di freddo, costrittivo o come scossa elettrica.
Più frequentemente il dolore viene riferito nella regione perineale ed alle estremità inferiori e meno frequentemente in regione addominale o alle estremità superiori.
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II. ANATOMIA E FUNZIONI DEL TRONCO
Il tronco è la porzione più voluminosa del corpo e, in senso cranio-caudale, è formato dal torace, dall’addome e dalla pelvi. Posteriormente la funzione di sostegno è svolta dal rachide, costituito da uno scheletro, la colonna vertebrale, unito da varie articolazioni e rivestito da numerosi muscoli intrinseci ed estrinseci, che gli conferiscono stabilità e mobilità. Ha funzione di sostegno della testa e del tronco, oltre ch di protezione del midollo spinale, contenuto al suo interno.
Il rachide si articola anteriormente con le coste che, unite allo sterno, formano la gabbia toracica.
A livello antero-inferiore ampi muscoli piatti, rivestiti da fasce, vanno a costituire le pareti addominali. Gabbia toracica e cavità addominale sono separate dal muscolo diaframma, mentre inferiormente la cavità addominale termina con la pelvi, delimitata dal diaframma pelvico e dal perineo.
2.1 Muscoli del dorso
I muscoli del dorso sono disposti in 3 strati sovrapposti: nel piano superficiale si trovano i muscoli spino-appendicolari, che originano dal rachide e si inseriscono all’arto superiore; nel piano intermedio i muscoli spino-costali, che originano dal rachide e si portano alle coste; infine nel piano più profondo si trovano i muscoli
spino-dorsali, che hanno origine e inserzione sulla colonna dorsale.
MUSCOLI SPINO-APPENDICOLARI
Muscolo trapezio. Origina dal terzo mediale della linea nucale posteriore, dalla protuberanza occipitale esterna, dal legamento nucale e dai processi spinosi della 7°vertebra cervicale e di tutte le vertebre toraciche. I suoi fasci si fanno convergenti verso la spalla e si inseriscono al terzo laterale del margine posteriore della clavicola, al margine mediale dell’acromion, al labbro superiore del margine posteriore della spina della scapola e all’estremità mediale della spina stessa. La faccia superficiale è
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in rapporto con i tegumenti, la faccia profonda si pone in relazione con i muscoli sovraspinato, elevatore della scapola, splenio della testa e del collo, romboide, semispinale della testa e gran dorsale. Il muscolo è innervato dal nervo accessorio (XI n.c.) e dai rami del plesso cervicale C2-C4. AZIONE: se prende punto fisso sulla colonna, innalza la scapola con la parte discendente, la sposta medialmente con la parte trasversa e l’abbassa con la parte discendente. Se prende punto fisso sulla scapola, inclina la testa dal proprio lato e, se si contrae bilateralmente, solleva il tronco come nell’atto dell’arrampicarsi.
Muscolo gran dorsale. Riveste la parte inferiore e laterale del torace e della regione lombare. Origina dalla fascia toracolombare dei processi spinosi delle ultime sei vertebre toraciche e delle vertebre lombari, dal legamento sovraspinoso, dalla cresta sacrale e dal terzo posteriore della cresta iliaca, alcuni suoi fasci si distaccano dalla faccia esterna delle ultime tre/quattro coste. I suoi fasci si portano in alto verso la regione ascellare e si inseriscono sulla cresta del tubercolo minore dell’omero. E’ innervato dal nervo toracodorsale del plesso brachiale (C6-C8). AZIONE: prendendo punto fisso sul tronco porta l’omero indietro e medialmente e lo intraruota; con punto fisso sull’omero, solleva il tronco e le coste. Muscoli piccolo e grande romboide. Sono posti profondamente rispetto al muscolo trapezio e uniscono il rachide al margine mediale della scapola. Origina dal legamento nucale, dai processi spinosi e dai legamenti interspinosi dell’ultima vertebra cervicale e delle prime quattro toraciche, i suoi fasci si portano in basso e si inseriscono sul margine vertebrale della scapola. E’ innervato dai rami dei plessi cervicale e brachiale (C3-C5). AZIONE: portano medialmente la scapola.
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Muscolo elevatore della scapola. Si porta dalla regione postero-laterale del collo, originando dai processi trasversi delle prime quattro o cinque vertebre cervicali, al margine mediale della scapola. Innervato dal nervo cervicale (C3-C4) e dal nervo scapolare dorsale. AZIONE: solleva la scapola e la sposta medialmente.
MUSCOLI SPINO-COSTALI
Muscolo dentato posteriore superiore. Si trova profondamente al muscolo grande romboide e al muscolo trapezio. Origina dalla parte inferiore del legamento nucale e dal processo spinoso dell'ultima vertebra cervicale e delle prime tre vertebre toraciche. Portandosi in basso e lateralmente forma quattro digitazioni carnose che si inseriscono sulla faccia posteriore della 2°,3°,4° e 5° costa. È innervato dai nervi intercostali dei livelli corrispondenti. AZIONE: innalza le coste, aumentando il volume della gabbia toracica e
fungendo da muscolo inspiratore. Muscolo dentato posteriore inferiore. Origina dai processi spinosi delle ultime due vertebre toraciche e prime tre vertebre lombari, si porta lateralmente e in alto inserendosi con quattro digitazioni carnose alle ultime quattro coste. È innervato dai nervi intercostali dei livelli corrispondenti. AZIONE: abbassa le coste, fungendo dunque da muscolo espiratore.
MUSCOLI SPINO-DORSALI
Muscolo erettore della colonna o sacro-spinale. è un lungo muscolo esteso dal sacro alla nuca che occupa le docce vertebrali e si suddivide in tre parti: una più laterale, il muscolo ileo-costale, una intermedia, il muscolo lunghissimo, e una mediale, il muscolo spinale. È innervato dai rami posteriori dei nervi spinali da C4 a
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L3. AZIONE: estende la colonna e la inclina dal proprio lato, ed è fondamentale nel mantenimento della stazione eretta.
Muscolo ileo-costale: è suddiviso a sua volta nel muscolo ileocostale
lombare, che origina dalla tuberosità iliaca, dalla cresta iliaca e si inserisce
agli angoli delle ultime 8 coste; nel muscolo ileocostale del dorso che origina dalla faccia esterna delle ultime sei coste medialmente all’angolo e si inserisce agli angoli delle prime sette coste e al processo trasverso della settima vertebra cervicale; e nel muscolo ileocostale del collo, che origina dagli angoli delle prime sei coste e si inserisce ai processi trasversi della sesta, quinta e quarta vertebra cervicale. È innervato dai nervi toracici e dal primo lombare.
Muscolo lunghissimo: è anch’esso suddivisibile in tre porzioni: il muscolo
lunghissimo del dorso, che origina dalla faccia dorsale del sacro, dal foglietto
posteriore della fascia lombodorsale e dai processi spinosi delle ultime vertebre dorsali, e si inserisce nella faccia esterna di tutte le coste esclusa la prima, mentre con i fasci mediali si inserisce su tutti i processi trasversi delle vertebre toraciche e sui processi accessori delle vertebre lombari. Il
lunghissimo del collo origina dai processi trasversi delle prime sei vertebre
toraciche e si inserisce sui processi trasversi delle vertebre cervicali C2, C3, C4, C5. Il lunghissimo della testa origina dai processi trasversi delle prime vertebre toraciche e dai processi articolari delle ultime cinque cervicali, e si inserisce sul processo mastoideo dell'osso temporale. E’ innervato dai rami posteriori dei nervi spinali da C4 a L3.
Muscolo spinale: è il fascio più mediale del muscolo sacrospinale e tutti i suoi fasci originano e si inseriscono sui processi spinosi delle vertebre; può essere diviso in spinale del dorso, del collo e della testa. Lo spinale del dorso origina dai processi spinosi delle prime due vertebre lombari e delle ultime tre vertebre toraciche (da T10 a L2) e termina sui processi spinosi delle vertebre toraciche, dalla seconda alla nona. Lo spinale del collo origina da C6-C7 e T11-T12 e termina su C2-C3-C4. Lo spinale della testa origina da C6-C7 e sulle prime vertebre toraciche e confluisce coi suoi fasci nel muscolo
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semispinale della testa, appartenente al muscolo trasverso spinale, e si inserisce alla squama dell'occipitale.
2.2 Muscoli dell’addome
Muscolo retto addominale. Origina con tre capi dalla faccia esterna della V, VI e VII cartilagine costale e dal processo xifoideo. Si tratta di un muscolo poligastrico, in quanto presenta lungo il suo ventre 3 o 4 iscrizioni tendinee trasversali. Di solito un'iscrizione si trova a livello dell'ombelico, due sopra di esso, ed una, incostante, al di sotto. Si porta verso il basso terminando sulla parte superiore del pube, tra il tubercolo pubico e la sinfisi pubica inserendosi con un grosso tendine sul ramo superiore del pube. E’ innervato dagli ultimi nervi intercostali (T6-T12) e dal nervo ileoipogastrico (L1). Con la sua azione flette il torace sulla pelvi e viceversa, abbassa le coste agendo, quindi, da muscolo espiratorio. Ha anche un ruolo minore nella torsione e nell'inclinazione del busto. Contraendosi aumenta la pressione addominale.
Muscolo obliquo esterno. Origina dalle ultime 8 coste, si porta medialmente e in basso. La sua aponeurosi contribuisce, incontrando quella controlaterale, a formare la linea alba. In alto si inserisce sul processo xifoideo dello sterno, in basso sulla cresta iliaca, sull'osso iliaco, sul tubercolo pubico. È innervato dai nervi intercostali (T5-T12). Abbassa le coste fungendo da muscolo espiratore, flette il torace ruotandolo dal lato opposto.
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Muscolo obliquo interno. È posto in profondità al muscolo obliquo esterno. Origina dal legamento inguinale, dalla spina iliaca anteriore, dalla cresta iliaca e dalla fascia lombosacrale si porta verso l'alto e termina in parte inserendosi sulle ultime quattro cartilagini costali. Medialmente si esaurisce in due foglietti aponeurotici che, dopo aver circondato il muscolo retto del proprio lato si incrociano con l'analoga aponeurosi del muscolo obliquo interno controlaterale contribuendo a formare la
linea alba. In basso, unendosi alla aponeurosi del muscolo trasverso dell'addome,
termina con il tendine congiunto che si inserisce sul tubercolo pubico. È innervato dai nervi intercostali, da T10 a T12 ed riceve fibre dal nervo ileo-inguinale. Abbassa le coste, flette il torace e fa ruotare il torace dal proprio lato.
Muscolo trasverso dell'addome. È il più profondo dei muscoli della parete addominale. Origina del terzo laterale del legamento inguinale, dai 2/3 anteriori della cresta iliaca, dalla fascia lombodorsale, e dalla faccia interna delle ultime 6 cartilagini costali. Medialmente termina in una aponeurosi che va ad incontrare quella del muscolo contro laterale; inferiormente i fasci si ripiegano fondendosi con quelli dell'obliquo interno e si inseriscono sulla cresta del pube formando il tendine
congiunto. Il resto dell’aponeurosi superiormente va a formare la linea alba. E’
innervato dagli ultimi nervi intercostali (T8-T12). È un
muscolo espiratore, ha un debole ruolo sinergico con gli altri muscoli addominali antero-laterali agendo nella rotazione e flessione del busto.
Muscolo quadrato dei lombi. È il muscolo posteriore dell’addome. Origina dal legamento ileolombare della cresta iliaca, dalla cresta iliaca, dal margine inferiore della 12ª costa e dall'apice del processo costiforme delle prime quattro vertebre lombari. Su di esso poggia il legamento arcuato laterale del diaframma. È innervato dal ramo ventrale del 12° nervo spinale toracico (T12). AZIONI: abbassa la 12ª costa, fungendo da muscolo espiratorio; se prende punto fisso sul bacino, inclina il tronco dal suo lato; se agisce insieme al contro laterale, estende il tronco.
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2.3 Muscoli toraco-appendicolari
Muscolo grande pettorale. Origina dai 2/3 mediali della clavicola, dalla faccia anteriore dello sterno e dalle prime 6 cartilagini costali, della guaina del muscolo retto dell'addome. Si inserisce con un tendine alla cresta del tubercolo maggiore dell'omero. E' innervato dai nervi toracici del plesso brachiale (C5-C8 e T1). Adduce e ruota all'interno l'omero, oppure, se prende punto fisso sull'omero, solleva il tronco. Interviene nell'inspirazione forzata, se il braccio è fisso.
Muscolo piccolo pettorale. È posto profondamente al grande pettorale. Origina con tre digitazioni dalla seconda, terza e quarta costa e, dirigendosi in alto e lateralmente, si inserisce al processo coracoideo della scapola. È innervato dai nervi toracici anteriori del plesso brachiale. Se prende punto fisso sul torace abbassa la scapola; se prende punto fisso sulla scapola, solleva le coste, fungendo da muscolo inspiratorio. Muscolo dentato anteriore. Origina dalla faccia esterna delle prime 10 coste. Si inserisce sul margine vertebrale della scapola. E' innervato dal nervo toracico lungo del plesso brachiale (C5-C7). Eleva le coste fungendo da muscolo inspiratorio; abduce e ruota esternamente la scapola; fa aderire la scapola al torace. Collabora con i fasci superiori e inferiori del trapezio nell'elevazione del braccio sul piano frontale (da 90° a 150°) e sul piano sagittale (da 60° a 120).
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III. IL CONTROLLO DEL TRONCO
3.1 Neurofisiologia del controllo posturale
La postura è definita come la posizione assunta dalle varie parti del corpo rispetto all’ambiente circostante e rispetto al campo gravitazionale. L’orientamento di una parte del corpo può essere descritto rispetto ad uno di questi sistemi di riferimento a seconda del particolare contesto comportamentale. Nel mantenimento della postura eretta è importante conoscere la Posizione di ciascun segmento corporeo rispetto alle altre parti del corpo.27
L’equilibrio posturale statico è definito come quella condizione in cui tutte le forze che agiscono sul corpo sono bilanciate e quindi il corpo rimane nella posizione che si intende assumere.
L’equilibrio posturale dinamico è quella condizione in cui le forze che agiscono sul corpo sono bilanciate in modo tale da eseguire i movimenti che si intende compiere senza perdere l’equilibrio.
Il controllo posturale si prefigge lo scopo di orientare le diverse parti del corpo le une rispetto alle altre e rispetto al mondo esterno senza che venga perso l’equilibrio ed ha pertanto scopi diversi in circostanze diverse, quali ad esempio l’allineamento longitudinale di tutto il corpo per il mantenimento della postura eretta stabile, le variazioni della postura in preparazione di un movimento volontario, la modificazione della configurazione del corpo quando si intende fare un movimento molto complesso come un’evoluzione.
Durante l’esecuzione di movimenti l’uomo non è generalmente consapevole dei complessi processi neuromuscolari che controllano la postura. Nell’equilibrio statico il corpo deve mantenere una posizione eretta stabile nonostante la forza di gravità. In dinamica il corpo deve generare risposte che anticipano i movimenti volontari finalizzati e deve adattarsi alle condizioni ambientali.
Sono stati scoperti numerosi riflessi che sottendono al controllo involontario della postura che agiscono tramite risposte automatiche e stereotipate a perturbazioni inattese. Queste risposte vengono evocate da informazioni a feedback a breve
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latenza, di natura visiva, vestibolare e somatosensitiva. Esse sono organizzate in modo gerarchico e vanno dai riflessi del capo e del collo ai riflessi di raddrizzamento.
Il riflesso vestibolo-cervicale gioca un ruolo funzionale importante per la stabilizzazione del capo nello spazio. Agisce provocando una risposta motoria riflessa che si oppone alla perturbazione indotta dal movimento del capo, tendendo dunque ad annullare il segnale vestibolare alla fonte.
Il riflesso cervico-cervicale risponde invece allo stiramento dei muscoli del collo e ai recettori articolari e ha come scopo quello di stabilizzare il capo rispetto al tronco.
I riflessi innati vestibolo-spinale e cervico-spinale assicurano il mantenimento automatico della stabilità posturale del tronco.
Il riflesso vestibolo-oculare è un altro riflesso innato e di notevole importanza che provoca la rotazione degli occhi nello spazio, compensando gli effetti del movimenti del capo.
Tali riflessi collaborano tra loro per stabilizzare il capo e il tronco ma in base alle varie condizioni in cui vengono evocati, ad esempio se il tronco rimane fermo o viene mosso, la loro risposta deve essere modulata. Pertanto, anche se innati, tali riflessi sono sotto il controllo dei centri cerebrali superiori che modificano e modulano le risposte, così da potersi adeguare al particolare tipo di movimento volontario che s’intende eseguire.
Queste risposte possono inoltre essere modificate e modulate tramite un processo di apprendimento motorio in cui è coinvolto il cervelletto, che risulta quindi fondamentale nel processo di adattamento del riflesso stesso.
I riflessi posturali non sono gli unici meccanismi preposti al controllo della postura che entrano in gioco durante l’esecuzione di movimenti finalizzati ad uno scopo in quanto essi si integrano con un complesso sistema in grado di generare risposte anticipatorie al movimento che si vuole compiere.
Nelle fasi dinamiche, il movimento volontario può perturbare l’equilibrio posturale ma le informazioni relative a queste potenziali perturbazioni vengono inviate al programma motorio che le utilizza per prevenire gli effetti sfavorevoli prima che si manifestino mediante azioni motorie anticipatorie. Le risposte anticipatorie
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dipendono da un controllo a feed-forward, che anticipa una perturbazione posturale attesa. Per mantenere l’equilibrio il movimento volontario deve essere preceduto da un movimento di controbilanciamento che sposti il centro di gravità sul segmento corporeo sul quale vogliamo appoggiarci per mantenere la postura. Tale procedura richiede una serie di complesse risposte interattive con aggiustamenti del centro di pressione e movimenti di spalle, tronco e bacino anticipatori al movimento stesso. Queste risposte anticipatorie tendono ad essere complesse, in quanto coinvolgono molti gruppi muscolari che debbono operare in modo sinergico. Esse sono molto adattabili e variano a seconda delle esigenze comportamentali.
Il controllo posturale a feed-forward è in parte innato ma le risposte anticipatorie possono essere modificate in maniera considerevole mediante l’apprendimento. Ruolo fondamentale in tale tipo di apprendimento motorio è giocato dal cervelletto. E’ stato dimostrato che persone sane sono in grado di apprendere a graduare in maniera appropriata le risposte anticipatorie ad un movimento atteso, mentre persone con esiti di lesione cerebellare non erano in grado di farlo. Le risposte anticipatorie debbono pertanto essere apprese con la pratica, ma dopo che sono state apprese sono eseguite in modo automatico in quanto vengono evocate dai particolari movimenti che si intende eseguire.
In conclusione il controllo posturale utilizza meccanismi complessi che possono dipendere anche dal contesto comportamentale e questa complessità dipende dal fatto che tutti i livelli del sistema nervoso vengono coinvolti.
Il controllo della postura comporta pertanto un’integrazione di multipli sistemi neuronali tra cui notevole importanza hanno quelli associati all’acquisizione di nuove conoscenze in quanto i sistemi predisposti al controllo dell’equilibrio sono in grado di apprendere e dare risposte adattabili alle diverse condizioni ambientali in cui si svolge il comportamento motorio. Naturalmente questi processi vengono compromessi quando uno o più componenti del sistema posturale vengono meno come avviene ad esempio nella persona con lesione midollare.
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3.2 Controllo della postura seduta nella persona con lesione
midollare
La capacità di mantenere la postura seduta senza supporti richiede l’uso coordinato di tutto il corpo, degli arti inferiori, del tronco, degli arti superiori e del capo.
A causa del deficit sensitivo e motorio le persone con lesione midollare hanno una ridotta capacità di mantenere la postura seduta senza appoggio. La difficoltà è correlata naturalmente dal livello di lesione neurologica, dalla completezza della lesione e dal tempo intercorso.
La lesione del midollo spinale (SCI) provoca non solo una modifica della forza muscolare e della sensibilità sottolesionale, ma genera anche un cambiamento in tutti i sistemi dell'organismo. Danni alle vie ascendenti e discendenti del midollo spinale sono alla base anche di un’alterazione dei sistemi di controllo posturale.28
Un efficace controllo della postura è di massima importanza non solo per l’ortostatismo e per il cammino, ma anche per tutti i movimenti volontari.
A causa dell’alterata stabilità da seduto i pazienti con lesione midollare sono esposti ad un aumentato rischio di instabilità e persino di caduta durante la seduta in carrozzina o durante l’attività funzionale.29
Anche le prestazioni funzionali e l’indipendenza nelle attività della vita quotidiana sono pertanto profondamente compromesse anche a causa di uno scarso controllo del tronco.30,31 Per tali ragioni la stabilità del tronco è stato identificato come il terzo risultato più importante nel trattamento riabilitativo generale, tale da migliorare in maniera sostanziale la qualità della vita del paziente.32
All’interno del percorso riabilitativo neuromotorio che viene eseguito conseguentemente ad una lesione midollare di livello dorsale e con derivante paraplegia, il primo obiettivo è il raggiungimento della posizione seduta in carrozzina.33 Lo step successivo, necessario e propedeutico ad ogni altra attività finalizzata allo sviluppo della autonomia, è il miglioramento del controllo del tronco, che si ottiene attraverso esercizi specifici finalizzati alla acquisizione di compensi sovralesionali ed al rinforzo della muscolatura residua paravertebrale ed addominale. L’acquisizione del controllo posturale da seduto in assenza di supporti è infatti fondamentale poiché molte attività della vita quotidiana vengono eseguite da questa
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posizione, quali la vestizione, prendere oggetti con gesti di reaching, il trasferimento dal letto alla carrozzina o sul WC, l’igiene del corpo.34,35,36
La paralisi della muscolatura del tronco rende queste attività difficoltose e non sicure, in quanto non è possibile assicurare il mantenimento del centro di pressione all’interno della base di appoggio se non utilizzando compensi o muscoli sovralesionali. Al raggiungimento quindi del miglior controllo possibile del tronco viene dedicato molto tempo durante il percorso riabilitativo, con esercizi di rinforzo o task-specifici e modalità di lavoro intensivo. E’ importante precisare che le metodiche di riabilitazione per migliorare il controllo del tronco nella persona con lesione midollare dorsale sono ampiamente standardizzate e condivise, e consistono in un progressivo svezzamento dalla necessità di appoggio posteriore (schienale della carrozzina ad esempio) mediante rinforzo muscolare e coinvolgimento di strutture sovralesionali. La riabilitazione del tronco nella prima fase consiste in particolare in attività volte al miglioramento del tronco in posizione statica, ricercando il miglior equilibrio. In una fase successiva il paziente viene coinvolto in attività dinamiche che potenzialmente destabilizzano l’equilibrio statico, quali flessioni del tronco o del capo sui diversi piani, o attività di
reaching con gli arti superiori sia anteriormente che lateralmente. L’ultima fase vede
l’inserimento delle attività di controllo del tronco all’interno di attività finalizzate nel contesto della vita quotidiana, quali l’abbigliamento, l’igiene del corpo, i trasferimenti, la mobilità in carrozzina, la capacità di alleviare la pressione sulle zone di appoggio.37
Per questo motivo, uno degli obiettivi principali della riabilitazione delle persone con lesione del midollo spinale è il miglioramento del controllo del tronco per raggiungere la massima indipendenza possibile nella vita quotidiana, per diminuire le complicanze e, in casi specifici, di recuperare l’ortostatismo e il cammino.38,39
Nelle lesioni toraciche e cervicali, i muscoli del tronco sono deboli o paralizzati con conseguente perdita del controllo del tronco. Il modo in cui i pazienti con lesione midollare mantengono l’equilibrio in postura seduta è stato studiato ed è stato dimostrato che le persone con SCI adottano diverse strategie posturali per controllare l'equilibrio durante l'esecuzione di vari compiti. In particolare sfruttano muscoli normalmente non importanti nel controllo della postura, come il muscolo gran
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dorsale e il muscolo trapezio ed entrambi tali muscoli possono essere allenati con buoni risultati.
È stato anche dimostrato che i pazienti con lesione a livello toracico compensino l'instabilità del bacino e della colonna inferiore con un’inclinazione posteriore passiva del bacino e con l’appoggio sullo schienale della carrozzina.40
Questa postura risulta vantaggiosa in quanto la stabilità viene mantenuta attraverso l’azione passiva dei legamenti e dei tendini del tronco.41
Con questa postura i pazienti riescono ad incrementare la loro base di appoggio.
Inoltre in tale posizione si viene a creare una condizione in cui i muscoli solitamente non correlati al controllo posturale possono compensare parzialmente l’alterato controllo di equilibrio. In tale postura i muscoli grande pettorale e dentato anteriore stabilizzano le spalle rispetto al rachide e i muscoli gran dorsale e trapezio possono agire come erettori della colonna vertebrale. Persone con lesione toracica bassa, con maggiore attività muscolare residua, contrastano lo spostamento in avanti delle braccia, estendendo la parte superiore della colonna vertebrale e la testa. Essi mantengono una posizione meno anteposta, ma mantengono comunque il centro di gravità all’interno della base di appoggio. Anche Hobson e Tooms42
hanno dimostrato che la perdita del controllo motorio volontario del tronco e la contemporanea seduta in carrozzina conducono ad una postura caratterizzata da una lunga curva cifotica (a forma di C) del tratto toraco-lombare e una retroversione di bacino. Essi hanno studiato la relazione tra tali posture e le complicanze a lungo termine. La cifosi lombare può infatti contribuire allo sviluppo di lesioni da pressione sacrale, in quanto il sacro sporge posteriormente, e può aumentare la pressione intradiscale che, attraverso un’attività riflessa sottolesionale, può incrementare la spasticità.
L’aumento della pressione a livello intervertebrale e l‘aumento delle sollecitazioni anatomiche posteriori del rachide possono provocare nel tempo dolore al rachide lombare. Sono state anche studiate le modifiche che avvengono al controllo posturale in una sedia con inclinazione anteriore che riduce la retroversione di bacino.40 Si è visto che, in tale sedia, non ci sono grandi modifiche del centro di pressione, ma è stata dimostrata una riduzione dell’attività muscolare dei muscoli erettori della