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"Il discorso sulla servitu volontaria di E'tienne de La Boetie: temi, problemi e presenza nel dibattito contemporaneo"

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La libertà non è star sopra un albero non è neanche un gesto o un'invenzione la libertà non è uno spazio libero libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero non è neanche il volo di un moscone la libertà non è uno spazio libero libertà è partecipazione.

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Indice

Premessa ... 6

Parte I Capitolo primo La Boétie e il Discorso sulla servitù volontaria ... 10

1.1. La vita. ... 10

1.2. M. de Montaigne e il "Discorso". ... 13

1.3. Perché E. de La Boétie scrive il "Discorso"?. ... 17

1.4. Il problema della "servitù volontaria" nelle epoche successive. ... 20

1.5. Il "Discorso sulla servitù volontaria" ... 21

1.6. «Solo la libertà non viene affatto desiderata, per la buona ragione che, se gli uomini la desiderassero, l’otterrebbero». ... 25

Capitolo secondo Il linguaggio ... 30

2.1. Il linguaggio del tiranno. ... 30

2.2. Il linguaggio della natura. ... 34

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Capitolo terzo I legami sociali ... 43

3.1. I legami sociali del tiranno. ... 43

3.2. La natura predispone gli esseri umani all’amicizia. ... 46

3.3. I legami sociali del popolo. ... 50

Capitolo quarto Ethos ... 53

4.1. L’ethos del tiranno. ... 53

4.2. L’ethos della natura. ... 59

4.3. L’ethos del popolo. ... 64

Parte II Capitolo quinto Aspetti della servitù volontaria oggi ... 71

5.1. "La democrazia dispotica" e il "Discorso". ... 71

5.2. "La libertà dei servi" e il" Discorso". ... 92

5.3. «Poliarchia, complessità sociale e neutralizzazione del consenso» ne "Il principato democratico". ... 100

Capitolo sesto Le cause che hanno determinato la condizione di "servitù volontaria" di Étienne de La Boétie agiscono ancora? ... 107

6.1. "La democrazia dispotica" e il "Discorso". ... 107

6.2. Berlusconi e la televisione. ... 110

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6.4. "La libertà dei servi" e il" Discorso". ... 128

6.5. "Il principato democratico" e il "Discorso". ... 133

Capitolo settimo I rimedi per uscire dalla condizione di "servitù volontaria" di Étienne de La Boétie sono ancora validi? ... 145

7.1. "La democrazia dispotica", "La libertà dei servi" e il" Discorso". ... 145

Conclusioni ... 153

BIBLIOGRAFIA ... 158

Opere di Étienne de La Boétie ... 158

Studi su Étienne de La Boétie ... 158

Altre opere ... 166

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Premessa

Nella prima parte di questo lavoro viene sviluppato un tentativo di studio dell'opera Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie; la focalizzazione dell'analisi effettuata è triplice in quanto sono stati mantenuti tre punti di vista diversi: quello del tiranno, quello della natura e quello del popolo.

Il primo capitolo qui proposto è una sintetica presentazione della storia dell'opera qui analizzata, mi sono soffermata velocemente sul suo percorso filologico e ho illustrato quali possano essere state le motivazioni che hanno portato l'autore a comporre questa opera; ho poi voluto inserire una chiarificazione semantica dei concetti fondamentali di desiderio e volontà che La Boétie introduce nella parte iniziale del suo Discorso.

Nel secondo capitolo invece viene introdotta un'analisi linguistica dell'opera in studio attraverso i tre punti di vista scelti.

Per esempio, l'analisi del primo di questi, quello del tiranno, mette in luce un'espressività volta allo scopo di nascondere la verità delle proprie azioni e di sottomettere, grazie a un uso sofistico della persuasione e del linguaggio, le

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persone. Tramite anche il potere del proprio linguaggio il tiranno riesce a rendere le persone afasiche, senza la capacità di dissentire verbalmente.

Il terzo capitolo esamina la sfera dei legami sociali. Studiando l'opera di La Boétie si percepisce una realtà in cui colui che detiene il potere non ha vincoli di cordialità, di solidarietà fraterna con altre persone dal momento che la sua posizione gli impedisce di porre fiducia negli altri uomini, i pochi complici che gli sono vicini sono legati a lui da interessi economici o politici. Il popolo invece risulta essere, per volontà di natura, predisposto ad avere vincoli di concordia, di fratellanza sebbene comunque le persone rimangano poi isolate le une dalle altre, a causa dell’enorme potere del despota che risulta incisivo nel provocare il loro isolamento sociale.

Nel quarto capitolo l’opera viene analizzata attraverso il tema dell’ethos. Attraverso questa indagine sembra risultare che il tiranno adotti comportamenti col prefigurato scopo di incidere sulla sfera dell’autonomia delle persone; la natura ha immesso negli esseri umani i germi della libertà affinché assecondino lo sviluppo delle loro virtù, ma le persone rinunciano alla propria autonomia per servire volontariamente il despota.

La seconda parte di questa tesi prende notevoli spunti dai testi realizzati da Michele Ciliberto1 e Maurizio Viroli2, sostenitori del pensiero che afferma l'esistenza di una «democrazia dispotica» e di un «sistema di corte» nell’attuale

1 M. Ciliberto, La democrazia dispotica, Laterza, Bari 2011. 2M. Viroli, La libertà dei servi, Laterza, Bari 2010.

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società italiana. In questa sezione del lavoro qui proposto si è provato a confrontare gli aspetti e le cause della condizione di “servitù volontaria”, ed i rimedi per uscirne, che vengono descritti da La Boétie nel Discorso con quelli presentati da Ciliberto e Viroli. L'opera del politico francese può in un certo senso aiutare l'uomo contemporaneo ad interrogarsi ed interpretare il proprio tempo storico, potere comune a tutti i classici, Ciliberto suggerisce infatti che:

«I classici siano tali perché sporgono oltre le barriere del loro tempo storico, e che essi possano contribuire a chiarire e ad illuminare situazioni anche assai distanti nel tempo e nello spazio, le quali, a loro volta, dimostrano la ricchezza e la varietà dei motivi che, come un tesoro, ogni classico racchiude in sé»3

.

Ciliberto e Viroli quando si soffermano rispettivamente sui concetti di «democrazia dispotica» e «sistema di corte» si riferiscono all’enorme potere che ha assunto Silvio Berlusconi all’interno del sistema democratico italiano. I due autori sostengono che questa enorme potenza e autorità non è limitata all’ambito politico bensì ha intaccato anche la sfera morale della popolazione italiana, diffondendo un nuovo linguaggio, un nuovo modo di pensare, un nuovo ethos.

Nel capitolo quinto e sesto di questo studio vengono paragonati rispettivamente gli aspetti e le casue della condizione di “servitù volontaria” descritti da La Boétie con quelli illustrati da Ciliberto e Viroli. In questi due

3M. Ciliberto, op. cit., p.XIII.

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capitoli ho ritenuto utile inserire il contributo prezioso di Danilo Zolo4 sui mezzi

di comunicazione di massa, in particolar modo la televisione, nelle società post-industriali.

Infine, nell'ultimo capitolo, viene delineato un confronto tra i rimedi per uscire dalla condizione di “servitù volontaria” proposti da La Boétie e quelli che propongono Ciliberto e Viroli.

4 D. Zolo, Il principato democratico. Per una teoria realistica della democrazia, Feltrinelli,

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Capitolo primo

La Boétie e il Discorso sulla servitù volontaria

1.1. La vita.

Étienne de La Boétie nasce nel 1530 a Sarlat, nel sud-est della Francia; proviene da una famiglia aristocratica, suo padre è un ufficiale reale della regione Périgord e sua madre è la sorella del presidente del Parlamento di Bordeaux. La Boétie rimane orfano in giovane età, così viene affidato allo zio, il curato di Bouilbonnas. In questo periodo frequenta la sede vescovile di Sarlat dove vi è il cardinale Niccolò Gaddi, nato a Firenze e parente dei Medici. Gaddi, amante delle arti e delle lettere classiche, ricrea nella sede di Sarlat lo spirito umanistico della Toscana. È molto probabile quindi che il giovane La Boétie respiri l’aria del Rinascimento italiano5.

La Boétie studia legge all’università di Orléans, dove domina un grande spirito di libertà, e, in questo momento storico caratterizzato da fermenti religiosi, è nota per essere un libero centro di discussioni; non a caso diventerà

5 Cfr. L. Negri, "Un preteso Anti-machiavello francese della Rinascita. Stefano La Boétie e

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molto importante per la diffusione del Calvinismo. In Francia all’epoca insegnano maestri di diritto illustri. Andrea Alciato «con un commento alle Istituzioni Giustinianee aveva rinnovato lo studio della giurisprudenza, introducendovi il metodo filologico-umanistico, che fu per lui esegetico-comparativo, lodato in tutta Europa»6; inoltre Alciato ha contribuito a divulgare in Francia le opere giuridiche e letterarie italiane.

Ha occasione di avere come maestro Anne du Bourg, che si distingue per il suo insegnamento; basato principalmente su un esame critico dei testi, applicazioni delle conoscenze di Storia antica allo studio del Diritto e attribuzione del primato alla ragione e alla libertà di pensiero. Questo metodo di studio lo ritroveremo anche nel Discorso. Probabilmente La Boétie non è influenzato solo nel procedimento, «L’un et l’autre étaient formés par la science juridique, ils avaient la même ferveur pour l’humanisme renaissant et aussi les mêmes exigences de droiture morale»7.

Du Bourg diverrà in seguito martire ugonotto e verrà accusato di eresia, impiccato e il suo corpo messo al rogo nel 1559.

Nel 1553 La Boétie ottiene la laurea in giurisprudenza ed entra a far parte del Parlamento di Bordeaux con la carica di consigliere prendendo il posto del parlamentare Longa, al quale sarà poi dedicato il Discorso sulla servitù

6 Ivi, p. 763.

7 J. Lacouture et S. Goyard-Fabre «sont tout deux d’avis que du Bourg exerça certainement une

très grande influence sur son éstudiant et qu’il est fort plausible que le Discours porte la marque de certaines de ses idées révolutionnairs sur la liberté». M. Geneviève, La Boétie et Montaigne: la lecture comme exercice de libération de la pensée, Université du Québec à Montréal 2011, p. 94.

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volontaria. Sono anni difficili in cui le lotte di religione tormentano la Francia, La Boétie assume il ruolo di conciliatore affidatogli da Caterina de Medici8, in quel momento reggente al trono di Francia per Carlo IX, che non ha ancora l’età per governare. All’interno dello stesso Parlamento, La Boétie si fa interprete di una politica di riconciliazione, incaricato anche dal cancelliere Michel de l’Hospital.

Nel 1557 diviene consigliere al Parlamento M. de Montaigne con il quale istaura un’ottima amicizia. Montaigne verrà incaricato dallo stesso La Boétie al momento della sua precoce morte, di pubblicare le sue opere. Quest’ultime si dividono in opere di traduzione di poeti classici, principalmente di Plutarco, Les règles de Mariage de Plutarque, Lettres de consolation de Plutarque à sa femme, La mesnagerie de Xenophon, Poemata, Vers francois de feu, Vingt-neuf sonnetz, e opere politiche: Mémoire touchant l’édit de janvier de 1562, Discours sur la servitude volontaire. Quest’ultimo non è pubblicato immediatamente dall’amico Montaigne, perché le circostanze politiche non sono favorevoli ad accogliere il libro.

Tutti gli scritti di La Boétie, tranne il Discorso, sono pubblicati da Montaigne nel 1571; il Discorso voleva pubblicarlo negli Essais come parte

8 La Boétie è ben visto alla corte dei Medici grazie alla conoscenza che il politico francese in

età giovanile ha avuto con N. Gaddi, parente dei Medici. Quando La Boétie lavora al Parlamento, vi è una politica repressiva e filo cattolica; per questo La Boétie è sempre rimasto in ombra. Nonostante sia cattolico non condivide la politica di repressione. La sua figura esce dall’ombra quando nel 1560 la regina Caterina de Medici gli affida segretamente la missione di farsi interprete al Parlamento di Bordeaux di una politica tollerante.

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centrale così da renderlo importante, ma nelle edizioni del 1580 e del 1588 al suo posto vediamo pubblicati i Vingt-neuf sonnetz.

1.2. M. de Montaigne e il "Discorso".

Come mai Montaigne rinuncia a pubblicare il Discorso?

Nel 1570 troviamo un accenno alla lettura dell’opera, precisamente in una lettera di Jacopo Corbinelli a G. Vincenzo Pinelli:

«Vorrei poter haver copia d’una scrittura ch’io ho visto in franzese elegantissimo, de Voluntaria Servitute, che Bruto stesso non harebbe detto meglio. Io l’ho letto et è cosa dotta et recondita ma per questo tempo pericolosa»9.

Corbinelli attesta la pericolosità della pubblicazione dell’opera in questo clima di scontri religiosi; infatti due anni dopo questa lettera, accade l’evento che è passato alla storia con il nome di “la strage di San Bartolomeo”, avvenuta nella notte tra il 23 e 24 agosto del 1572, nella quale a Parigi per ordine di Carlo IX vengono uccisi i Protestanti e tutti i sospettati di eresie. Nella capitale francese si scatena la furia, chiuse le porte della città, «i battelli della Senna

9 J.-E. Girot, "Notes et documents", in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, LXIII, 3,

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furono incatenati. Le artiglierie e le milizie cittadine furono piazzate in luoghi strategici»10.

Quando Enrico di Borbone, facente capo alla fazione ugonotta, prende il potere, il Discorso è nelle mani dei cattolici della Lega santa che lo usano per teorizzare la lotta contro il re.

Un lungo estratto anonimo e in latino del Discorso è inserito in un’opera, diffusa clandestinamente, dal titolo Dialogi ab Eusebio Philadelpho cosmopoliti apparsa nel 157411. Nello stesso anno il Discorso ancora inedito finisce nelle mani degli ugonotti che pubblicano alcune sue parti in un pamphlet anonimo dal titolo Le Reveille-matin des François et des leurs voisins. Nel 1577 viene pubblicato il Discorso, ma con il titolo di Contr’Un e senza il nome dell’autore, in una raccolta di scritti anti-monarchici dal titolo Mémoires de l’État de France sous Charles Neuvieme, «a cura del calvinista ginevrino S. Goulard»12.

L’opera di La Boétie è quindi adoperata dalle due fazioni nelle lotte di religione, per giustificare il dissidio contro la monarchia; entra così a far parte degli scritti che teorizzano e giustificano la rivoluzione e il tirannicidio. Perciò Montaigne preferisce non pubblicare il Discorso, sostenendo che l’opera non è

10 A. Prosperi, "Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent’anni", in Storia moderna e

contemporanea, vol. I, Einaudi, Torino 2000, p. 375.

11 Cfr. A.M.Cocula, "Les dernières années de La Boétie: revirement ou continuité?" in

Montaigne Studies, XI, oct., 1-2, 1999.

12 L. Geninazzi, "introduzione", Etienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Jaca

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nient’altro che un esercizio di retorica, scritto in giovane età13. Nella prima

edizione degli Essais afferma che La Boétie scrive il Discorso a diciotto anni, nel 1548, nella seconda invece anticipa e sostiene che lo abbia scritto a sedici anni, nel 1546. I critici si sono divisi, tra coloro che ritengono che l’opera sia una esercitazione di retorica e quelli che sostengono l’intento politico del giovane scrittore14.

Rimane incerta la data di composizione dell’opera; nel testo ci sono delle allusioni alle poesie di Ronsard, a Baïf, a Du Bellay,

«il primo ebbe una certa fama in Francia solo dopo il 1550; verso il 1552 aveva ideato la Franciade e i primi quattro libri furono pubblicati nel 1572; Baïf nel 1548 non aveva se non sedici anni. La Boétie dunque non poteva esprimersi com’ei fa nel

Contr’Uno se non dopo la pubblicazione delle odi di Ronsard (1550 e 1552), dei Vers lyriques di Du Bellay (1550) e degli Amori di Baïf (1552), dopo cioè il 1552, quando

egli avrebbe avuto ventidue anni»15.

13 «Egli lo scrisse alla maniera di saggio nella sua prima giovinezza, in lode della libertà contro

i tiranni» M. de Montaigne, Saggi, vol. I, Mondadori, Milano 1986, p. 208.

14 Nel 1906 Armaingaud nei due articoli della Revue politique et parlementaire sostiene che

l’opera è stata scritta da Montaigne stesso, sotto il nome di La Boétie, e diretta contro Enrico III. Questa tesi è stata rifiutata da P. Villey e Bonnefon nella Revue d’histotire littéraire del 1906 e nella Revue philomatique del 1907, e da M. Lablénie nella Revue du seizième siècle del 1930, sostenendo che ci sono differenze di vocabolario, sintassi e stile che dividono i due scrittori.

15 L. Negri, "Un preteso anti-machiavello francese della Rinascita. Stefano La Boétie e Niccolò

Machiavelli", op. cit., p. 766.

L. Negri cita anche un concordato del 1551 fatto a Venezia che permetteva ad ogni cittadino della Repubblica di poter mantenere la propria religione. La Boétie nel Discorso scrive della libertà che regnava a Venezia. Inoltre le virtù civili e repubblicane dei cittadini veneti facevano della Repubblica di Venezia il mito nell’ambiente degli umanisti.

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Nel sec. XVII l’opera sembra essere stata dimenticata; fanno eccezione alcuni testi che rimandano al Discorso come Debvoir mutuel des Roys et des subjects di D’Aubigné nel 1621, e La conjuration du comte Jean-Louis de Fiesque di Jean François Paul de Gondi nel 163316, o nel 1789 l’opera di Marat Chaînes de l’esclavage che tratta della servitù volontaria. Appare nuovamente nel 1727 grazie alla pubblicazione di P. Coste «in appendice al quinto tomo degli Essais, facendolo uscire dalla clandestinità»17. Durante la Rivoluzione francese il Discorso, con il nome dell’autore, circola insieme ad uno scritto, Discours de Marius plébéien et consul, in un pamphlet anti-monarchico.

Nel sec. XIX esce l’edizione dell’abate Félicité de Lamennais che dell’opera ne «esalta l’attualità e l’atemporalità: il sentimento della libertà»18. Auguste Vermorel nella prefazione alla sua edizione del Discorso vede La Boétie come un «patriote démocratique»19, precursore della rivoluzione francese. Infine Gustav Landauer in Die Revolution pubblicata a Francoforte nel 1907 dà una interpretazione rivoluzionaria del testo di La Boétie, ma contemporaneamente sostiene che dobbiamo andare oltre la rivoluzione per poter avere un progresso totale dell’umanità. Il nome di La Boétie appare nuovamente nel 1941 in Belgio nella lista degli «ouvrages retirés de la

16 Cfr. Nicola Panichi, "Plutarchus redivivus, La Boétie e i suoi interpreti", Vivarium, Napoli

1999.

17 Ivi, pp.44-45. 18 Ivi, p. 49. 19 Ivi, p.55.

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circulation et interdits en Belgique»20. Infine viene tradotto in americano e

pubblicato da Harry Kurz, autori di diversi articoli sulle opere di La Boétie, «con il titolo Anti-dictator, the Discours sur la servitude volontarie, in evidente allusione al nazismo»21.

1.3. Perché E. de La Boétie scrive il "Discorso"?.

Come ho scritto precedentemente, i critici si sono divisi in chi, come Montaigne, sostiene che il Discorso non è nient’altro che un’esercitazione di retorica scritta in età giovanile; e chi sostiene che la causa abbia un’origine storica, determinata da eventi accaduti all’epoca del giovane politico.

Tra i critici ricordiamo Armaingaud, che nel 1904 sostiene che il pamphlet è scritto da Montaigne stesso e diretto contro Enrico III, la sua tesi viene criticata da Villey, Bonnefon22; i quali affermano che il Discorso è «only a travail d’école»23. Sainte-Beuve, ugualmente a Villey e Bonnefon, sostiene che

20 Ivi, p. 59. 21 Ivi, p. 61.

22 Cfr. A. Armaingaud, "Le véritable auteur «du Discours de la servitude volontaire» Montaigne

ou La Boétie?", in Revue d’histoire littéraire de la france, XVII, 1909.

23 J.C.Lyons, "Conceptions of the republic in french literature of the sixteenth century", in The

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l’opera è un’esercitazione di retorica e la sua declamazione è caratterizzata dalla sincerità, ma è quella dell’entusiasmo adolescenziale24.

Di tutt’altra idea è Joseph Barrère, il quale afferma che non è diretto contro Enrico III bensì contro l’opera di Machiavelli25, la quale è una lezione di tirannia26, e il Discorso non è un’esercitazione scolastica ma un «tissu d’allusions plus ou mois transparentes à l’oeuvre de Machiavel»27.

Quest’ultima tesi è stata criticata sia da Armaingaud stesso che dai suoi avversari, il primo controbatte28 scrivendo

«Qui croira que ce jeune écolier de Sarlat, sans contact avec le monde, sans expérience des hommes et de la vie, se soit avis de signaler, pour la regretter et la blâmer, la présence du livre de Machiavel dans la bibliothèque de Catherine de Médicis […] que, le premier de tous, il ait frémi en découvrant le danger de cet

24 Cfr. J. Lafond, "Le Discours de la servitude volontaire de La Boétie et la rhétorique de la

déclamation", in Mélanges. Sur La Littérature De La Renaissance à la memoire de V.-L- Saulnier. Droz, Genève 1984.

25 Cfr. R. Ragghianti, Rétabilir un texte: Le Discours de la servitude volontaire d’Etienne de La Boétie, Olschki, Firenze 2010. C. Lefort sostiene che le edizioni dei Discorsi e del Principe di Machiavelli, sono state finanziate da Giovanni Gaddi, fratello di Niccolò Gaddi, quindi quest’ultimo potrebbe aver fatto intraprendere la lettura di Machiavelli al giovane Estienne de La Boétie.

26 J. Balsamo, "Le plus meschant d’entre eux ne voudroit pas estre Roy: La Boétie et

Machiavel", in Montaigne Studies, XI, 1999, p. 6. L’opera di Machiavelli a cui si fa riferimento è il Principe. Barrère afferma che il filosofo francese riprende gli argomenti ed esempi che sono contenuti nel Principe,«les Vénetiens, l’amitié, Hiéron de Syracuse, les troupes mercenaires, le peuple d’Israël, le grand Turc, les fêtes donne au peuple, la religion, la lâchete. Il insistait sur la fréquence du terme “maintenir”, calque selon lui du “mantenere” désignant le but du tyran machiavélien soucieux de conserver le bien qu’il avait péniblement acquis».

27 Ibidem.

28 Tra Armaingaud e Barrère vi è uno scambio di opinioni in merito all’argomento, Cfr.

Armaingaud, "La Boétie et Machiavel d’après une publication récente", in Revue philomatique de Bordeaux, XI, 1908, e XII, 1909. Barrère risponde, "La Boétie et Nicolas Machiavel d’après une publication récente. Réponse à M. le Docteur Armaingaud", in Revue philomatique de Bordeaux, XII, 1909.

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enseignement, qu’il ait ainsi devancé d’un si grand nombre d’années le mouvement de réaction et de répulsion contre le livre de Machiavel»29.

Anche Luigi Negri sostiene che la tesi di Barrère è errata, confutando ogni argomentazione di quest’ultimo e aggiungendo infine che Barrère

«ha scritto il suo libro sotto l’influsso, per così dire, di una auto-suggestione. […] Egli, seguace della scuola cattolica che fa del Segretario fiorentino un mostro, la respinge, ed ammiratore com’è di La Boétie, la applica precisamente allo scrittore francese. Giunto a tal punto e convinto, per analogia, della intenzione segreta di Stefano La Boétie, era breve il passo a fare di questo un avversario del Machiavelli, data appunto la loro diversità d’intenti»30.

Altri critici, quali lo storico de Thou, contemporaneo di La Boétie, affermano che il Discorso nasce per condannare l’azione delle truppe reali nei confronti dei ribelli di Bordeaux nel 1549 a causa della tassa sul sale31. In quegli anni scoppia la rivolta delle gabelle32 che coinvolge tutta la regione della

29 J. Balsamo, "Le plus meschant d’entre eux ne voudroit pas estre Roy: La Boétie et

Machiavel", op. cit., p. 6.

30 L. Negri, "Un preteso Anti-machiavello francese della Rinascita. Stefano La Boétie e Nicolò

Machiavelli", op. cit., pp. 773-774.

31 J. Dhommeaux, "Les idées politiques de La Boétie", in Revue politique et parlementaire,

LXXVIII, mai-juin, 862, p.58.

32 La tassa sul sale era imposta solo alle regioni del nord che non erano produttrici di sale; ma,

agli inizi degli anni ’40, per far fronte all’aumento di spese per le guerre, l’imposta fu estesa anche alle altre regioni tra le quali la Guienna. Così si scatenò la rivolta che iniziò dalla campagna fino alla città, tra cui Bordeaux, nella quale venne ucciso il luogotenente generale.

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Guyenne, compresa Bordeaux; e La Boétie certamente è stato testimone di questo evento.

1.4. Il problema della "servitù volontaria" nelle epoche successive.

Come abbiamo potuto vedere l’opera di La Boétie si ripresenta nelle epoche seguenti al sec. XVI, e l’aspetto interessante è che viene ripristinata nel momento in cui vi è un potere autoritario sul popolo, e una parte di quest’ultimo sente la necessità di risvegliare le coscienze assuefatte al potere egemone. La Boétie, infatti, mette l’accento soprattutto sul consenso che le persone danno al tiranno, più che sul despota stesso33.

Vediamo, quindi, comparire il Discorso nel corso della Rivoluzione francese, durante i totalitarismi del sec. XX; l’opera funge come esortazione, per ciascuno, a riappropriarsi della libertà.

Talvolta il problema della servitù volontaria è affrontato in altri termini; due casi che affronteremo meglio successivamente sono lo scritto di Kant del 1784 Risposta alla domanda: Che cos’è l’illuminismo? e il discorso che

Enrico II re di Francia, ordinò la repressione e vennero uccise molte persone e soppresso ogni diritto di autonomia alla città.

33 M. N. Rothbard, "Introduction", in The Politics of Obedience: the Discourse of Voluntary

Servitude, Étienne de La Boétie. New york-Montreal, Free Life Editions – Black Rose Books,1975, p. 35. «La Boétie was also the first theorist to move from the emphasis on the importance of consent».

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pronuncia B. Constant nel 1819 all’ateneo di Parigi, dal titolo La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni.

Il problema della servitù volontaria quindi non è mai stato risolto, anzi, costantemente è ripresentato in ogni epoca storica.

Il sec. XXI non è certo esonerato da questo problema, per esempio in Italia è ancora ben vivo.

1.5. Il "Dircorso sulla servitù volontaria"

L’opera si apre con una domanda fondamentale: Perché milioni di individui si sottomettono ad un’unica persona?. Questo interrogativo nasce dalla meraviglia data dal vedere gli uomini rinunciare volontariamente alla loro libertà e autonomia. La prima è considerata da La Boétie il bene maggiore, il più prezioso, infatti scrive nel Discorso

«la libertà ch’è tuttavia bene così grande e piacevole, tanto che quando viene perduta si produce ogni male, e gli stessi beni che dopo la sua scomparsa permangono perdono interamente il loro gusto e sapore, corrotti come sono dalla servitù»34.

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La responsabilità di tutto questo è attribuibile all’uomo stesso; La Boétie non ricorre alla teologia per giustificare il comportamento degli uomini; come scrive S. Goyard, la politica nel Rinascimento «ne regarde pas le Ciel. Elle est l’oeuvre de l’homme, horizontale et laïque»35. Il politico di Sarlat inoltre opera una secolarizzazione nel campo della politica,

«la vieille formule une foi, une loi, un roi, n’a pas de place dans la pensée de La Boétie […] En sa condition politique, l’homme n’est pas sub Deo et sub lege Dei; il doit s’en remettre à lui - même»36.

Sono interessanti le parole di U. M. Olivieri, il quale scrive che

«la tirannia non consiste in un atto di comando esteriore a soggetti ma in una relazione di potere che lega mediante il consenso sociale e il controllo ideologico i dominati e il signore»37.

Si tratta quindi di un rapporto in cui il dominio di una sola persona sulla moltitudine è possibile solo se quest’ultima acconsente alla propria perdita di

35 S. Goyard – Fabre, “Introduction”, E. de la Boétie, Discours de la servitude volontaire,

Flammarion, Paris 1983, p. 95.

36 Ivi, p. 115.

37 U. M. Olivieri, “Introduzione”, E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, La Rosa,

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decisione e autonomia; solo se la popolazione decide di delegare il proprio potere ad una persona soltanto.

L’opera ha tutte le peculiarità per inserirsi in questa prima fase dell’età moderna che gli storici hanno nominato Rinascimento, quest’ultimo, come scrive P.Mesnard, è caratterizzato dall’esaltazione delle virtù antiche, «héroisme grec face aux barbares perses, civisme latin à l’égard du tyran»38; e da continui riferimenti alla storia antica. Inoltre in questa epoca avviene la riscoperta della nozione dei diritti dell’uomo, del pensiero, della dignità umana39; e La Boétie vuole risvegliare i diritti naturali degli uomini. In questo suo intento cerca di individuare i luoghi dove il potere si nasconde; pone continui interrogativi, mette in dubbio le roccaforti dietro alle quali i monarca si tutelano. Per questo possiamo paragonare il ruolo del politico francese a quello di Socrate, quest’ultimo è impegnato nella continua ricerca della verità; adotta il dialogo come strumento per criticare le certezze, le verità considerate assolute e non suscettibili di critica40.

La parola «discorso» contenuta nel titolo è ripresa dal latino discursus, per indicare il colloquio, la conversazione; quindi un qualcosa che richiama al

38 P. Mesnard, "La Boétie critique de la tyrannie", in L’essor de la philosophie politique, Paris,

Boivin, 1936, p. 405.

39 Cfr. A. Vermorel, "Introduzione", E. de La Boétie, Le Discours De La Servitude Volontaire.

La Boétie et la question du politique, Payot, Paris 1978.

40 Cfr. M. Geneviève, La Boétie et Montaigne: la lecture comme exercice de libération de la

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dialogo. La locuzione «servitù volontaria», è un ossimoro, ed è usata per la prima volta da Platone nel Simposio41.

Nell’opera è assente una qualsiasi dottrina politica; vi è la polemica contro l’Uno e la critica verso le persone che accettano di farsi servi volontariamente; manca però una soluzione che descriva e proponga un sistema politico. S. Visentin afferma che l’opera ha uno stile repubblicano, infatti scrive

«Il carattere peculiare di un testo repubblicano consisterebbe innanzitutto nella sua vocazione polemica, nel suo carattere decostruttivo piuttosto che fondativo, nella sua strenua opposizione al lessico del potere come condizione necessaria per avviare un percorso di emancipazione»42.

Forse al politico francese non interessa proporre una dottrina politica; il suo scopo è indagare la natura umana in rapporto al potere; non si preoccupa di trovare una soluzione, bensì di svelare la condizione reale in cui si trova la maggior parte delle persone. Uno degli aspetti più interessanti, a mio parere, del Discorso è quello di essere un libro innovativo, precursore della modernità, anticipatore di idee che saranno riprese nei secoli successivi; come scrive J. L. Bourgenon l’opera «mine tout le système monarchique français, mettant

41 E. Voccia, "Un’ambigua utopia repubblicana", in Étienne de La Boétie, Discorso sulla

Servitù volontaria, p. 81. http://www.scribd.com/doc/6531339/Etienne-de-la-Boetie-Discorso-sulla-servitu-volontaria.

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incidemment en doute le fondement du droit divin, la légitime transmission héréditaire du trône, la mystique du sacre»43.

La Boétie non si interroga sulla forma migliore di governo, bensì, sulla natura stessa del potere; umana e non trascendente.

Per questo il Discorso appare come un’opera di sociologia o di psicologia, perché l’origine del potere è rintracciabile nell’agire umano, «individuazione che permette di dare risposta all’altro quesito: l’enigma del potere risiede nell’uomo. La servitù è di fatto una servitù desiderata»44.

1.6. «Solo la libertà non viene affatto desiderata, per la buona ragione che, se gli uomini la desiderassero, l’otterrebbero»45.

Questa è l’affermazione fondamentale all’inizio del Discorso. La Boétie sembra far coincidere desiderio e volontà, basta solamente desiderare la libertà per ottenerla. Vorrei a questo punto riferire un’osservazione, a mio parere interessante, che esprime Giovanni Paoletti nell’articolo "Servi volontari o schiavi contenti?"46; scrive Paoletti, parlando di Kant e Rousseau,

43 J. L. Bourgenon, "La Boétie pamphlétaire". Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, LI,

2, 1989, p. 291.

44 P. Pancrazi, "Prefazione", S. de La Boétie, Il Contr’Uno, Le Monnier, Firenze 1944, pp.

73-74.

45 Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 12.

46 Cfr. G. Paoletti, "Servi volontari o schiavi contenti? Il problema della servitù volontaria da

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«entrambi fanno valere, in modo più o meno esplicito, una distinzione semantica tra volontà e desiderio – distinzione peraltro del tutto attestata dalla tradizione, che ha spesso differenziato il desiderio, come appetizione sensibile, dalla volontà, appetizione razionale, o conforme a ragione»47.

Provando a spiegare la distinzione semantica tra questi due concetti, desiderio e volontà, prendiamo in esame il testo kantiano Che cos’è l’Illuminismo?, che come ho già scritto, presenta il problema della servitù volontaria.

Kant si domanda come mai gli individui, che sono in condizioni di poter essere autonomi, delegano la propria libertà ad un’altra persona?

Il filosofo di Könisberg definisce il problema della servitù volontaria in questi termini

«Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro»48.

47 Ivi, p. 403.

48 I. Kant, Risposta alla domanda: Che cos’è l’illuminismo? in Che cos’è l’illuminismo?,

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La causa è quindi la viltà, la pigrizia, la mancanza di un atto di coraggio, il difetto di non osare gestire la propria vita con il proprio intelletto, preferire la sicurezza di un tutore alla propria libertà,

«è tanto comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., non ho più bisogno di darmi pensiero da me»49.

La paura gioca un ruolo fondamentale in questa scelta, in ogni persona vi è un bisogno umano di rassicurazione, di certezze, «Uscire fa paura. Abbandonare il luogo sicuro familiare fa paura. Uscire dall’utero materno e trovarsi in un luogo estraneo, luminoso, sconosciuto»50 e tutto questo può portare l’individuo a rimanere nello stato di minorità.

Possiamo quindi constatare che vi è una divergenza tra desiderio e volontà, si può desiderare di essere autonomi, indipendenti, ma la volontà non riesce a realizzare ciò che il desiderio comanda.

Vediamo, quindi, che la volontà non si realizza automaticamente ogni qualvolta il desiderio comanda; tra la prima e il secondo ci sono tanti altri elementi che impediscono questo compimento.

49 Ivi, pp. 48-49.

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Ciò che proporremo adesso è una piccola dimostrazione di quanto sia difficile questa attuazione; per esempio, nel caso che citeremo tra poco, vi è un’imprecisione fondamentale di definizione del concetto di libertà.

Ci sono individui che desiderano essere liberi, e credono di esserlo per il solo fatto di

«non poter essere né arrestato, né tenuto in carcere, né condannato a morte, né maltrattato in alcun modo, a causa della volontà arbitraria di uno o più individui. […] Disporre della sua proprietà e perfino di abusarne, di andare e venire senza chiedere permessi, e senza render conto delle sue intenzioni o dei suoi passi. […] Il diritto di unirsi con altri individui, sia per ragione dei propri interessi sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare il proprio tempo nel modo più conforme alle proprie inclinazioni e fantasie»51.

Constant definisce questa indipendenza, libertà dei moderni; in contrapposizione alla libertà degli antichi. Quest’ultima consiste nel partecipare alla vita politica, sviluppare le nostre facoltà intellettuali e la nostra attività di cittadini politici.

Constant ci dice che l’esercizio dei propri diritti politici e il prendere parte alle decisioni che riguardano la collettività è propria del popolo greco, o meglio della città di Atene, proprio per questo la definisce «libertà degli antichi».

51 B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, in Antologia degli

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Quest’ultima viene paragonata dal filosofo francese alla «libertà dei moderni»52, cioè un’autonomia riguardante esclusivamente la sfera privata dell’individuo.

Non possiamo definirci liberi solo perché abbiamo la possibilità di scegliere dei nostri godimenti privati e abbiamo delle istituzioni che ci garantiscono la sicurezza di poterlo fare. La libertà è anche e soprattutto poter partecipare alle decisioni che ci riguardano, e l’attività politica è il miglior strumento che abbiamo.

Le persone però possono equivocare il significato di libertà e considerarsi libere solo perché hanno un’indipendenza nella loro sfera privata, per cui considerandosi completamente tali, non avvertono l’esigenza di contrapporsi al tiranno, come auspica La Boétie

«non v’è neanche bisogno di combatterlo, non v’è bisogno di distruggerlo; egli vien meno da solo a patto che il paese non acconsenta alla propria servitù. Non è necessario strappargli alcunché, basta solo non dargli nulla»53.

52 B. Constant esprime il suo pensiero riguardo alla differenza tra i due concetti nel discorso La

libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, op. cit.

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Capitolo secondo

Il linguaggio

2.1. Il linguaggio del tiranno

Come si esprime il tiranno? Quale tipo di linguaggio adotta? Vuole solo convincere, persuadere, o vuole dialogare con il proprio popolo cercando un terreno comune su cui convergere?

L’opera inizia con queste parole «No, non è un bene il comando di molti; uno sia il capo, uno il re»54; la frase è contenuta nell’Iliade e viene pronunciata da Ulisse55.

La Boétie non condivide questo pensiero, sostiene che il comando di molti come di uno soltanto è un errore; il dominio di un uomo su un altro è un male in sé. Affidarsi ad una persona, anche se apparentemente buona, è sbagliato perché può incattivirsi in ogni momento; se sono molti, sostiene il politico francese, si è più volte vittima di questa potenziale disgrazia. Il dispotismo crea

54 Ivi, p. 3.

55 Il Discorso ha molti esempi tratti dall’antichità, le opere del periodo rinascimentale sono

caratterizzate da continui riferimenti all’età classica, «définissant les termes par des exemples tirés de l’antiquité classique. C’est en outre une attitude bien propre à la Renaissance que l’exaltation des vertus antiques, héroisme grec face aux barbares perses, civisme latin à l’égard du tyran». Cfr; P. Mesnard, "La Boétie critique de la tyrannie", in L’essor de la philosophie politique, Paris, Boivin 1936, p. 405.

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ineguaglianza, che sia un capo o che siano molti; è un male a prescindere dal numero dei governanti56.

La Boétie giustifica la frase di Ulisse affermando che molto probabilmente è dovuta alle circostanze, necessaria per domare l’esercito in rivolta.

Abbiamo, quindi, fin dalla prima pagina del Discorso un esempio del linguaggio intriso di potere; parole che non hanno il fine di ricercare la verità, non hanno la forma del dialogo, ma dell’imposizione e, in questo caso, hanno lo scopo di placare l’ira dei soldati.

Successivamente La Boétie riporta l’esempio, tratto dalla storia antica57, di alcuni imperatori romani che assumevano il titolo di tribuno della plebe, per rassicurare il popolo della loro protezione; ma in realtà il sovrano agiva solo nel proprio interesse. Analogamente, scrive La Boétie, fanno i re nell’epoca moderna, infatti «non compiono alcun misfatto, per quanto grave, senza farlo precedere da qualche bel discorso sul bene comune e l’utilità pubblica»58.

Il linguaggio, in questi casi, ha la funzione di ingannare il popolo, di convincerlo che tutte le azioni di governo sono finalizzate al suo benessere; il linguaggio è al servizio della menzogna, deve supportare la potenza del tiranno.

56 «La domination de plusieurs, c’est la répétition de la puissance d’un seul. Mais puisque le

mal est d’avoir un maître, puisque le mal est dans la domination de l’homme sur l’homme, il ne faut pas plus avoir un seul maître que plusieurs maîtres, il ne faut pas avoir de maître». P. Leroux, Le «contr’un» d’Etienne la Boétie, in Le Discours De La Servitude Volontaire. La Boétie et la question du politique, Payot, Paris 1978, pp. 46-47.

57 «It was inevitable that he should draw from Plutarch and Suetonius examples of rulers who had made use of gross artifices to make their subjects believe that they were possessed of super-human powers», J. C. Lyons, "Conception of the Republic in French literature of the sixteenth century. Estienne de la Boétie and François Hotman", in Romanic Review, XXI, 1930, p. 301.

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La Boétie ci offre un altro esempio di come i governanti possono soggiogare la popolazione, cita il caso del re dell’Epiro, Pirro, il quale sosteneva che il suo alluce «facesse miracoli e guarisse le malattie della milza»59. È un linguaggio che si alimenta di bugie, è una parola menzognera, «“taumaturga” – come il corpo del re – e sacralizzatrice, alienata a se stessa, falsificatrice»60; fugge dalla verità, ha l’intenzione sì di comunicare con il popolo ma al solo scopo di assoggettarlo.

Riporta poi l’esempio dei sovrani assiri che non comparivano in pubblico e le persone «s’abituarono a servire nel mistero, e servivano tanto più volentieri quanto più ignoravano il loro padrone, quasi non sapendo se davvero ne avevano uno»61. Qui vi è l’assenza di comunicazione, il linguaggio politico si sgretola per lasciare il vuoto, che viene riempito con un sentimento di mistero, di rispetto e timore per ciò che è sconosciuto.

I re d’Egitto, a differenza dei re assiri, si mostravano alla folla, ma mai «senza portare sul capo ora un gatto ora un ramo ora del fuoco; e in tal modo si mascheravano comportandosi da ciarlatani»62. Siamo in presenza di un linguaggio privo di parole ma saturo di simboli, è il linguaggio delle immagini, che ha comunque l’effetto di portare le persone a riverire il tiranno.

59 Ivi, p. 40.

60 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", in

Giornale critico della filosofia italiana, III, 1998, p. 357.

61 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 39. 62 Ibidem.

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Quando le parole sono assenti, vi sono le icone o il mistero, che sopperiscono alla funzione dei vocaboli; quando invece questi vengono pronunciati, fanno parte di un linguaggio che appartiene alla sofistica, al servizio della persuasione, utilizzato per convincere, per legittimare la servitù e dissimulare la tirannia.

In contrapposizione alla sofistica adottata dai tiranni vi è la retorica che impiega La Boétie nel Discorso, un linguaggio

«du soupçon, une provocation à l’interrogation, à la mise en question de l’ordre politique. C’est pourquoi, elle est une rhétorique de l’affranchissement et d’abord de l’affranchissement de la sophistique, par essence au service de la tyrannie»63.

La Boétie percepisce l’esigenza di un rinnovo della retorica e un rifiuto della degradazione dell’eloquenza in sofistica. La retorica non è vista dal politico francese come una tecnica per gestire gli artifici della persuasione, ma appunto come tecnica del sospetto64.

Una scrittura, quella di La Boétie, al servizio della libertà e della ricerca della verità; un invito ad essere liberi da ogni potere. Si allontana, dunque, da una scrittura dogmatica, come sostiene Lefort «Les écritures dogmatiques ne

63 J.-P. Cavaillé, "Langage, tyrannie et liberté dans le Discours de la servitude volontaire

d’Étienne de la Boétie", in Revue des sciences philosophiques et théologiques, LXIII, 1988, p. 8.

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servent jamais la liberté»65. L’opposizione al linguaggio del potere è l’inizio di

un processo di emancipazione; un’analisi critica del lessico politico è la condizione primaria per avviare il percorso verso la libertà66.

2.2. Il linguaggio della natura

Il concetto di natura che emerge dal Discorso è quello di un’entità che guida gli uomini; ha posto in essi tutto ciò che serve loro per essere felici e liberi.

La natura, come la ragione, possiede leggi universali; ognuno di noi le detiene, affinché ci riconosciamo tutti uguali, «Nature is a kind mother who has fashioned us all from the same pattern, “so that each of us might find himself reflected in the other”»67.

All’inizio dell’opera, La Boétie cerca di individuare la causa della servitù volontaria; è alla ricerca di un nome che identifichi l’elemento a causa del quale gli uomini delegano la propria autonomia. La Boétie scrive che non può essere la viltà perché questo difetto non può assoggettare milioni di uomini, anche i vizi hanno dei limiti; non possiamo pensare che si tratti di codardia, perché è impensabile che intere città e popolazioni non si difendano da una sola

65 M. Abensour, M. Gauchet, “Présentation”, in Le Discours De La Servitude Volontaire. La

Boétie et la question du politique, Payot, Paris 1978, p. XVII.

66 Cfr. S. Visentin, "Potere del nome e potenza del linguaggio", op. cit.

67 O. N. Keohane, "The radical humanism of Etienne de la Boétie", in Journal of the History of

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persona unicamente perché sono codarde. E allora «c’è una parola abbastanza offensiva, che la natura disconosce d’aver creato e che il linguaggio si rifiuta di nominare?»68.

Questa causa della servitù volontaria sembra allora essere artificiale, non naturale, qualcosa che non proviene dalla natura; quest’ultima forgia l’uomo con elementi che portano al suo perfezionamento in quanto essere umano, e quindi pregi quali libertà, intelligenza, bontà, tutte quelle virtù che, come vedremo, il potere tenderà ad eliminare.

Nella ricerca della causa per la quale gli uomini privano volontariamente se stessi della propria libertà, il linguaggio preferisce tacere, non vuole identificare con una parola ciò che porta alla degradazione dell’essere umano; al silenzio degli uomini corrisponde il silenzio della natura; anche il linguaggio è plasmato dalla servitù.

Sono d’accordo con Nicola Panichi quando scrive che vi è un certo “pudore” della natura nel nominare ciò che le è avverso;

«Il linguaggio ripristina la verità della natura che respinge come irragionevole l’ostinata volontà di servire ed esprime, non esprimendolo, ciò che la natura stessa non riconosce: la sua intentio recta è di non dar voce all’irragionevole»69.

68 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 8.

69 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", op.

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La tirannia perciò è contro-natura, le parole sono doni che la natura ha regalato agli uomini affinché rinforzino i loro legami sociali, sviluppino la loro socievolezza; «La fonction première, originaire du langage est donc de rapprocher les hommes les uns des autres, et de les faire se reconnaître comme "frères"»70; il linguaggio ha il compito di far conoscere e riconoscere le persone che vivono in una comunità, far sì che comunichino tramite il dialogo, ed è proprio su quest’ultimo che si costruisce una società politica.

Per questo come afferma J.-P. Cavaillé «la société humaine précède ontologiquement l’oeuvre politique du langage»71, perché già gli uomini sono predisposti naturalmente a costruire legami di affetto, amicizia; la comunicazione linguistica è solo lo strumento per riunire questa «communion des volontés»72, il linguaggio è ciò che da forma umana ai rapporti,

«Cette spécificité regarde la pensée et la volonté ainsi actualisées dans la société à travers le langage […] La communauté humaine naturelle suppose ainsi, à travers la

70 J.-P. Cavaillé, "Langage, tyrannie et liberté dans le Discours de la servitude volontaire

d’Étienne de la Boétie", op. cit., p. 16.

71 Ivi, p. 19.

72 Ibidem Questa comunione di volontà, come scrive J.-P. Cavaillé, «ne doit pas être confondue

avec la volonté générale selon Rousseau. La volonté générale rousseauienne, atteinte par le contrat social, exige l’aliénation de la volonté particulière des individus. Elle est Une volonté, alors que chez La Boétie il y a non pas unité, mais union, communion des volontés individuelles inaliénables. Dans le contrat social, les individus renoncent à leur liberté naturelle au profit de la liberté civile. Pour La Boétie, la communion des volontés apparaît comme l’accomplissement de la liberté naturelle. C’est qu’il entend d’une tout autre façon la liberté naturelle; chez Rousseau celle-ci est de l’ordre de l’instinct, […] et ce n’est qu’après le contrat social qu’il est possible de parler de liberté morale. Dans le Discours, la liberté naturelle est d’emblée saisie comme liberté morale; la communion del volontés ne fait que donner à cette moralité naturelle son achèvement véritablement communautaire dans l’institution d’une politique de la liberté.».

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déclaration mutuelle des pensées, c’est-à-dire la conversation, le dialogue, la parole courant de l’un à l’autre, une communion des volontés. Le langage, en exprimant la pensée de chacun, est l’instrument de la volonté commune. La liberté, ainsi entendue comme communion de toutes les volontés individuelles à travers l’usage commun de la parole, a donc un sens éminemment politique»73.

La parola come traduzione di pensiero e volontà, strumento per realizzare la libertà, intesa come comunione di volontà individuali; il linguaggio ha senza dubbio un significato politico.

Il lessico della poesia può essere in qualche modo un mezzo di comunicazione efficiente che rivela il desiderio di libertà, «être le plus pur témoignage du désir de liberté»74; ma come scrive Cavaillé molto spesso la poesia ha lo scopo di giustificare il potere del tiranno, e lo stesso Cavaillé cita l’opera di Ronsard, la Franciade, che legittima la monarchia assoluta.

2.3. Il linguaggio del popolo

Passiamo adesso ad analizzare l’effetto del potere sul linguaggio delle persone.

73 Ivi, p.16.

74 J.-P. Cavaillé, "Langage, tyrannie et liberté dans le Discours de la servitude volontaire

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Per prima cosa dobbiamo dire che vi è una dialettica tra l’Uno ed ogni individuo, è la dialettica riconoscimento - accettazione, a causa della quale l’Uno esiste perché viene riconosciuto, accettato, interiorizzato75; se il potere esercita la sua funzione sul popolo è perché quest’ultimo lo accetta. Proprio per questo consenso al tiranno che P. Birnbaum scrive «sans notre acceptation et notre soutien, le pouvoir qui nous domine s’évanouirait de lui-même»76.

L’immagine che viene fuori dal Discorso è quella di un popolo muto, che tace, non protesta, non contraddice, non esprime la propria opinione o il proprio dissenso nei confronti della politica del tiranno, obbedisce solamente, come scrive La Boétie

«vedere migliaia d’uomini asserviti miseramente, con il collo sotto il giogo, non già costretti da una forza più grande, ma in qualche modo, come sembra, incantati e affascinati dal solo nome di uno, di cui non dovrebbero né temere la potenza, poiché egli è solo, né amare le qualità, poiché nei riguardi di tutti loro è disumano e feroce»77.

Non sembra avere una giustificazione razionale l’obbedienza servile della popolazione, a meno che non si faccia riferimento, come scrive La Boétie, ad

75 Cfr. L. Bianchi, "Fascino del potere e servitù volontaria", in Studi storici, XXI, 4, 1980. 76 P. Birnbaum, "Il y a longtemps La Boétie avait vu que sans notre acceptation et notre soutien

le pouvoir s’évanouirait de lui-même", in La Quinzaine littéraire, 231, 16 avril, 1976, p. 23.

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una specie di incantesimo, di fascino, subìto dalle persone nei confronti di questo nome, il nome dell’Uno.

Come ho scritto precedentemente il tiranno adotta stratagemmi, quali simboli, leggende, affinché sia riverito; alcuni sovrani nel passato governavano anche senza essere mai apparsi in pubblico, solo grazie al nome riuscivano in questo intento, perché

«Le Nom joue ainsi un rôle primordial dans ce processus de sacralisation et de sanctification du pouvoir et de divinisation de la personne du prince. Il opère la transition, la translation entre le corps visible du monarque, en lui-même “vulgaire” – un corps comme les autres et parmi tant d’autres – et la divinité, dont le prince cherche à se donner pour le représentant, lorsqu’il ne s’emploie pas à se faire passer lui-même pour un Dieu»78.

Il tiranno è paragonabile a un Dio, il quale viene creduto e pregato dalle persone anche se non si manifesta, conoscono solo il suo nome; quest’ultimo

«opère la transition, la translation entre le corps visible du monarque, en lui-même “vulgaire” – un corps comme les autres et parmi tant d’autres – et la divinité,

78 J.-P. Cavaillé, "Langage, tyrannie et liberté dans le Discours de la servitude volontaire

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dont le prince cherche a sé donner pour le représentant , lorsqu’il ne s’emploie pas à se faire passer lui-même pour un Dieu»79.

Un ruolo fondamentale lo gioca la forza dell’immaginazione e la potenza della credulità80; entrambe capaci di trasformare una menzogna in verità.

Come mai le persone sono affascinate da questo nome? Come mai subiscono questa sorta di incantesimo?

Proviamo a rispondere iniziando a chiarire cosa è prima di tutto questo nome. É un’ipostasi, un’incarnazione dell’Uno, di questa unica identità nella quale convergono tutti gli individui separatamente.

Questo unico nome non è nient’altro che l’oggetto di un desiderio di potenza81; ogni individuo si immagina di poter essere quell’Uno, quel nome del quale è difficile liberarsi perché è l’espressione stessa del desiderio di servire.

C’è un filo doppio che lega il tiranno alla singola persona, all’inizio è l’individuo che tramite questo desiderio di potenza porta all’affermazione del potere, e successivamente questa immagine del tiranno ridiscende in ogni persona; ma in realtà gli individui non si legano ad altro che al nome,

79 Ibidem.

80 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", op.

cit., 1998.

81 Cfr. S. Margel, "De la résistance volontaire. La Boétie et le corps politique du pouvoir", in

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«Il nome dell’uno affascina e stupisce, generando in ciascun suddito un immaginario seriale che lo isola dagli altri individui, legandolo esclusivamente al nome–immagine dell’uno: tale immagine è esclusiva, inibisce ogni altra immaginazione - così come inibisce il linguaggio - , producendo un legame sociale totalizzante tra ogni singolo uomo isolato e il nome del potere»82.

Per questo ogni persona è isolata dalle altre, la potenza dell’Uno rende vuota la sfera linguistica degli individui, li rende incapaci di ogni pensiero e analisi critica.

Questa forza atomizza le persone, e tende ad eliminare tutto ciò che non poggia sull’obbedienza servile al tiranno; quest’ultimo è

«talmente forte da controllare i flussi di comunicazione sociale e da riuscire a imporre ideologicamente i propri interessi privati come “bene comune”, “utilità pubblica”. Il tiranno, infatti, nel momento in cui porta avanti i propri interessi, non trascura di creare consenso intorno alla propria politica presentando i suoi interessi particolari come “interesse generale della società”»83.

82 S. Visentin, "Potere del nome e potenza del linguaggio", in Isonomia, 2007, p. 10. 83 E. Voccia, "Un’ambigua utopia repubblicana", op. cit.

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Come ho scritto precedentemente, anche il linguaggio è plasmato di servitù, non ne è esente; gli individui adesso sono muti perché l’autorità dell’Uno, del tiranno, ha reso le persone afasiche84.

Ogni persona perdendo la libertà si priva anche della propria umanità, vivere come servi significa rinunciare alla «stessa essenza di uomo che è un essere-per-la-libertà»85.

84 Cfr. S. Visentin, "Potere del nome e potenza del linguaggio", op. cit.

85 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", op.

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Capitolo terzo

I legami sociali

3.1. I legami sociali del tiranno

Dopo aver analizzato il tema del linguaggio nel Discorso, passiamo ora ad esaminare la sfera dei legami sociali in presenza del potere.

Il ritratto del tiranno che emerge dall’opera è quello di una persona sola, proprio perché il potere non può conciliarsi con l’avere degli amici. Infatti scrive La Boétie

«Quale amicizia si può sperare da colui che ha il cuore così indurito da odiare il suo regno, mentre quest’ultimo non fa altro che obbedirgli»86.

A dimostrazione di ciò, La Boétie riprende il caso di Nerone che ordina la morte di Seneca, proprio colui che lo aveva allevato ed educato; ma anche

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Afranio Burro e Trasea, il primo, prefetto del pretorio, fu avvelenato dall’imperatore; il secondo, senatore, fu ucciso per ordine di Nerone.

La storia ci dimostra le sventure di coloro che con tanta facilità furono inseriti in ranghi di comando dai sovrani, e con altrettanta naturalezza ne furono privati dagli stessi.

Può accadere anche il fatto contrario, cioè che il monarca venga ucciso dalle persone a lui più vicine; La Boétie cita l’esempio di Domiziano che fu ucciso da Stefano, o di Antonio assassinato da Macrino87.

Il tiranno, quindi, deve stare sempre attento perché può essere tradito dai suoi compagni, non può fidarsi di nessuno; è circondato dal timore e dalla paura. La Boétie scrive

«se i malvagi si riuniscono, non c’è compagnia ma complotto. Non si amano scambievolmente ma hanno ciascuno paura dell’altro: sono non già amici, ma complici»88.

Il sentimento dominante è il timore di poter essere traditi dai propri complici, e quando si riuniscono non è per il piacere di stare insieme, ma per uno scopo ben preciso, «non si fonda sull’interesse ma sulla vita buona (bonne

87 Ivi, p. 53. 88 Ibidem.

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vie)»89; e l’amicizia su queste basi non potrà esserci, perché necessita di

uguaglianza, giustizia, lealtà90;

«L’amicizia è un nome sacro, una cosa santa: esiste solo tra gli uomini dabbene e nasce solo da una reciproca stima. […] Un amico si fida dell’altro solo in quanto ne consoce l’integrità: le garanzie che ne ha sono la sua buona indole, la fiducia e la costanza»91.

Il tiranno perciò è una persona sola, «di quella solitudine assoluta che lo pone al di fuori dell’amicizia e del consorzio umano, al di fuori dei confini dell’humain»92. Tra il despota e la popolazione non c’è un rapporto di uguaglianza ma di gerarchia; deve suscitare reverenza, obbedienza, deve dare un’immagine superoministica;

«Il tiranno, in altri termini, cerca di presentare al popolo la sua superiorità politica come il frutto di un’originaria e particolarmente accentuata superiorità gerarchica a base naturalistica»93.

89 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", op.

cit., p. 354.

90 È un pensiero che si ritrova in molti scrittori antichi, in particolare nel De amicitia di

Cicerone. Cfr. L. Delaruelle, "L’inspiration antique dans la Servitude volontaire", in Revue d’Histoire Littéraire de la France, XVII, 1910.

91 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 53.

92 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", op.

cit., p. 361.

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È difficile pensare i possibili legami di affetto o simpatia tra l’Uno e gli altri; come scrive La Boétie nel Discorso, l’amicizia esiste solo se c’è un rapporto di uguaglianza tra gli individui. Il tiranno può avere persone a lui leali, ma questo non significa che gli siano amici, sono fedeli in primis al suo potere politico ed economico; è comunque una fedeltà precaria, instabile, perché non poggia su basi solide quali valori o ideali, ma su interessi e quando quest’ultimi sono soddisfatti, ogni legame tra il despota e i suoi complici termina.

3.2. La natura predispone gli esseri umani all’amicizia

La Boétie ha una concezione di natura diversa rispetto ai due concetti classici di matrice greca e agostiniana. Il primo si riferisce ad Aristotele, il quale fonda la servitù su un fatto naturale, esistono gli uomini schiavi per natura; il secondo fa riferimento a sant’Agostino il quale afferma che la servitù è causata dal peccato originale.

La Boétie non ricerca la causa della decadenza del genere umano in ambito teologico,

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«La Boétie, sans doute, ne fait jamais appel à des explications d’ordre religieux ou théologique […] son souci est d’ordre exclusivement politique et social»94.

La natura, come scrive La Boétie nel Discorso, ha predisposto gli uomini all’amicizia, affinché si aiutino tra loro; il politico francese afferma

«vi è qualcosa di chiaro ed evidente nella natura, qualcosa che nessuno può dire di non vedere, è il fatto che essa, strumento di Dio e governante degli uomini, ci ha fatti tutti di una medesima forma e, come sembra, col medesimo calco, affinché ci si riconosca scambievolmente tutti come compagni o meglio fratelli»95.

Tutti gli uomini, quindi, sono uguali, a prescindere dalla proprie credenze religiose, dalle proprie appartenenze politiche o etniche.

Il potere del tiranno però tende ad isolare gli individui, l’amicizia viene denaturata dal potere, La Boétie afferma che le persone nello stato di natura sono come fratelli; in questa fase regna la pace e la libertà. L’uomo per natura è libero, questo afferma il politico francese, richiamandosi al diritto naturale96.

94 Y. Delègue, "Liberté et servitude: Sebond et La Boétie inspirateurs de Montaigne", in

Travaux de linguistique et de littérature, VI, 2, 1968, p. 72.

95 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, Milano 2011, p. 15.

96 «Il faut préciser la forme qu’il donne aux deux courants de pensée qui s’y rencontrent:

l’humanisme civique et le droit naturel». J. Terrel, Républicanisme et droit naturel dans le Discours de la servitude volontaire: une rencontre aporétique”, in Erytheis, 4, Mars, 2009.

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