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Come si esprime il tiranno? Quale tipo di linguaggio adotta? Vuole solo convincere, persuadere, o vuole dialogare con il proprio popolo cercando un terreno comune su cui convergere?

L’opera inizia con queste parole «No, non è un bene il comando di molti; uno sia il capo, uno il re»54; la frase è contenuta nell’Iliade e viene pronunciata da Ulisse55.

La Boétie non condivide questo pensiero, sostiene che il comando di molti come di uno soltanto è un errore; il dominio di un uomo su un altro è un male in sé. Affidarsi ad una persona, anche se apparentemente buona, è sbagliato perché può incattivirsi in ogni momento; se sono molti, sostiene il politico francese, si è più volte vittima di questa potenziale disgrazia. Il dispotismo crea

54 Ivi, p. 3.

55 Il Discorso ha molti esempi tratti dall’antichità, le opere del periodo rinascimentale sono

caratterizzate da continui riferimenti all’età classica, «définissant les termes par des exemples tirés de l’antiquité classique. C’est en outre une attitude bien propre à la Renaissance que l’exaltation des vertus antiques, héroisme grec face aux barbares perses, civisme latin à l’égard du tyran». Cfr; P. Mesnard, "La Boétie critique de la tyrannie", in L’essor de la philosophie politique, Paris, Boivin 1936, p. 405.

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ineguaglianza, che sia un capo o che siano molti; è un male a prescindere dal numero dei governanti56.

La Boétie giustifica la frase di Ulisse affermando che molto probabilmente è dovuta alle circostanze, necessaria per domare l’esercito in rivolta.

Abbiamo, quindi, fin dalla prima pagina del Discorso un esempio del linguaggio intriso di potere; parole che non hanno il fine di ricercare la verità, non hanno la forma del dialogo, ma dell’imposizione e, in questo caso, hanno lo scopo di placare l’ira dei soldati.

Successivamente La Boétie riporta l’esempio, tratto dalla storia antica57, di alcuni imperatori romani che assumevano il titolo di tribuno della plebe, per rassicurare il popolo della loro protezione; ma in realtà il sovrano agiva solo nel proprio interesse. Analogamente, scrive La Boétie, fanno i re nell’epoca moderna, infatti «non compiono alcun misfatto, per quanto grave, senza farlo precedere da qualche bel discorso sul bene comune e l’utilità pubblica»58.

Il linguaggio, in questi casi, ha la funzione di ingannare il popolo, di convincerlo che tutte le azioni di governo sono finalizzate al suo benessere; il linguaggio è al servizio della menzogna, deve supportare la potenza del tiranno.

56 «La domination de plusieurs, c’est la répétition de la puissance d’un seul. Mais puisque le

mal est d’avoir un maître, puisque le mal est dans la domination de l’homme sur l’homme, il ne faut pas plus avoir un seul maître que plusieurs maîtres, il ne faut pas avoir de maître». P. Leroux, Le «contr’un» d’Etienne la Boétie, in Le Discours De La Servitude Volontaire. La Boétie et la question du politique, Payot, Paris 1978, pp. 46-47.

57 «It was inevitable that he should draw from Plutarch and Suetonius examples of rulers who had made use of gross artifices to make their subjects believe that they were possessed of super- human powers», J. C. Lyons, "Conception of the Republic in French literature of the sixteenth century. Estienne de la Boétie and François Hotman", in Romanic Review, XXI, 1930, p. 301.

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La Boétie ci offre un altro esempio di come i governanti possono soggiogare la popolazione, cita il caso del re dell’Epiro, Pirro, il quale sosteneva che il suo alluce «facesse miracoli e guarisse le malattie della milza»59. È un linguaggio che si alimenta di bugie, è una parola menzognera, «“taumaturga” – come il corpo del re – e sacralizzatrice, alienata a se stessa, falsificatrice»60; fugge dalla verità, ha l’intenzione sì di comunicare con il popolo ma al solo scopo di assoggettarlo.

Riporta poi l’esempio dei sovrani assiri che non comparivano in pubblico e le persone «s’abituarono a servire nel mistero, e servivano tanto più volentieri quanto più ignoravano il loro padrone, quasi non sapendo se davvero ne avevano uno»61. Qui vi è l’assenza di comunicazione, il linguaggio politico si sgretola per lasciare il vuoto, che viene riempito con un sentimento di mistero, di rispetto e timore per ciò che è sconosciuto.

I re d’Egitto, a differenza dei re assiri, si mostravano alla folla, ma mai «senza portare sul capo ora un gatto ora un ramo ora del fuoco; e in tal modo si mascheravano comportandosi da ciarlatani»62. Siamo in presenza di un linguaggio privo di parole ma saturo di simboli, è il linguaggio delle immagini, che ha comunque l’effetto di portare le persone a riverire il tiranno.

59 Ivi, p. 40.

60 N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie", in

Giornale critico della filosofia italiana, III, 1998, p. 357.

61 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 39. 62 Ibidem.

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Quando le parole sono assenti, vi sono le icone o il mistero, che sopperiscono alla funzione dei vocaboli; quando invece questi vengono pronunciati, fanno parte di un linguaggio che appartiene alla sofistica, al servizio della persuasione, utilizzato per convincere, per legittimare la servitù e dissimulare la tirannia.

In contrapposizione alla sofistica adottata dai tiranni vi è la retorica che impiega La Boétie nel Discorso, un linguaggio

«du soupçon, une provocation à l’interrogation, à la mise en question de l’ordre politique. C’est pourquoi, elle est une rhétorique de l’affranchissement et d’abord de l’affranchissement de la sophistique, par essence au service de la tyrannie»63.

La Boétie percepisce l’esigenza di un rinnovo della retorica e un rifiuto della degradazione dell’eloquenza in sofistica. La retorica non è vista dal politico francese come una tecnica per gestire gli artifici della persuasione, ma appunto come tecnica del sospetto64.

Una scrittura, quella di La Boétie, al servizio della libertà e della ricerca della verità; un invito ad essere liberi da ogni potere. Si allontana, dunque, da una scrittura dogmatica, come sostiene Lefort «Les écritures dogmatiques ne

63 J.-P. Cavaillé, "Langage, tyrannie et liberté dans le Discours de la servitude volontaire

d’Étienne de la Boétie", in Revue des sciences philosophiques et théologiques, LXIII, 1988, p. 8.

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servent jamais la liberté»65. L’opposizione al linguaggio del potere è l’inizio di

un processo di emancipazione; un’analisi critica del lessico politico è la condizione primaria per avviare il percorso verso la libertà66.

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