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La natura ha immesso negli uomini i semi della ragione affinché ogni individuo si comporti secondo intelletto e virtù. La natura, come abbiamo già

119 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 19. 120 Ivi, p. 20.

121 M. Abensour, M. Gauchet, "Présentation", E. de La Boétie, Le Discours De La Servitude

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detto precedentemente, comanda un comportamento alla cui base ci siano raziocino e libertà. La Boétie scrive nel Discorso,

«In primo luogo non v’è dubbio, io credo, che se vivessimo secondo i diritti che la natura ci ha dati e i precetti che essa c’insegna, saremmo naturalmente obbedienti ai genitori, soggetti alla ragione, ma non saremmo servi di nessuno»122.

In questo passaggio il politico francese conferma la sua idea che la ragione è innata negli uomini, ed è l’origine di ogni comportamento virtuoso. Questa opinione è un punto fermo della dottrina stoica123, e ciò conferma una certa simpatia di La Boétie per la filosofia stoica. Un’altra dimostrazione dell’approvazione di La Boétie per lo stoicismo è data da Henri Busson quando, scrivendo della morte del politico francese, scrive

«En réalité, c’est la philosophie stoïcienne qui lui ayant enseigne de son vivant que “philosopher c’est apprendre à mourir” a superposé à son âme chrétienne une âme antique».124

Nel Discorso La Boétie afferma che se nascessero degli uomini nuovi, non educati e non abituati alla servitù, preferirebbero vivere liberi piuttosto che

122 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 14.

123 Cfr. L. Delaruelle, "L’inspiration antique dans la Servitude volontaire", op. cit.

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sudditi; sceglierebbero di obbedire alla ragione. I critici hanno pensato che il riferimento a questi nuovi uomini potrebbe esser causato dalle nuove scoperte125.

In ogni persona è presente qualche germe della ragione posto dalla natura, e

«se educato da buoni consigli e buon esempio, fiorisce producendo virtù, e che invece spesso, non riuscendo a durare contro il sopraggiungere dei vizi, abortisce soffocato»126.

L’educazione è fondamentale per lo sviluppo delle virtù; proprio per questo La Boétie sottolinea il comportamento del tiranno scrivendo che il despota vuole che i propri sudditi rimangano ignoranti.

Istruzione, educazione, libri sono antidoti alla servitù, perciò il popolo deve frequentare taverne, bordelli, sale da gioco; deve pensare soltanto a divertirsi; proprio come fa Ciro nei confronti degli abitanti di Sardi, tanto che, questi ultimi, non si ricordano più di essere governati da un tiranno.

Un comportamento, che ha il solo scopo di assecondare i vizi e non interessarsi al sapere e alla conoscenza, ha conseguenze negative sull’individuo stesso, una delle quali è l’allontanamento dalla naturale libertà.

125 Cfr. P. F. d’Arcais, "Perché oggi" in E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria,

Chiarelettere, Milano 2011, p. IX, «Bordeaux, infine, è anche il porto dei grandi viaggiatori verso l’America, dunque delle notizie sui “selvaggi” che passano di bocca in bocca».

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Ecco che arriviamo ad una causa fondamentale di questa servitù volontaria, ovvero l’abitudine. La Boétie scrive

«Non c’è dubbio che la natura abbia un gran peso nell’orientarci dove essa vuole, e nel darci una buona o cattiva reputazione; ma bisogna altresì ammettere che la natura ha su di noi minor potere dell’abitudine, dato che qualunque inclinazione naturale, per quanto favorevole, si perde se non è coltivata, e l’abitudine ci plasma sempre a suo modo, malgrado l’inclinazione naturale»127.

L’abitudine ha una forza maggiore rispetto a quella della natura, e se i germi che la natura ha posto non sono coltivati assiduamente, quotidianamente, ma anzi sono educati costantemente da un’istruzione a essi contraria, questi non resisteranno. L’individuo risulta quindi snaturato, privato delle proprie inclinazioni naturali; e questo processo possiamo notarlo anche in altri essere viventi, per esempio La Boétie riporta nel Discorso il paragone con gli alberi e scrive

«come accade in natura con gli alberi da frutta che conservano la loro natura selvatica se li si lascia crescere spontaneamente, ma la perdono, per produrre frutti affatto diversi, non appena li si innesti»128.

127 Ivi, pp. 22-23. 128 Ivi, p. 23.

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Il politico francese riporta anche un esempio dalla storia antica, il caso di Licurgo, legislatore di Sparta, che educò due cani, fratelli, in modo diverso; uno abituato a cacciare e a procurarsi il cibo in modo autonomo, mentre l’altro educato alla dipendenza del padrone. Così dispone sulla piazza del mercato i due cani e tra loro una lepre e una ciotola con del cibo; uno dei due cani si precipita sulla lepre e l’altro sulla ciotola. Licurgo voleva dimostrare ai suoi concittadini quanto l’educazione incida sulla natura della persona, e quanto quest’ultima sia poco forte nei confronti dell’abitudine;

«La coutume est une nourriture de l’âme et du corps […] Elle nous fait, nous forme, nous façonne. Elle détermine entièrement les capacités de l’être humain, c’est- à-dire qu’elle structure les affects, les désirs, les pensées, donc le champ d’action possible que la nature a donné aux hommes»129.

È interessante notare la distinzione tra natura e cultura; quest’ultima ha una potenzialità duplice, può sviluppare le attitudini e disposizioni naturali della persona; ma può succedere anche che gli uomini concepiscano la cultura come un elemento naturale; quindi quest’ultima può convertirsi in una seconda natura, o in una «nature de substitution»130.

129 S. Margel, "De la résistance volontaire. La Boétie et le corps politique du pouvoir", op. cit.,

p. 50.

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Il concetto di natura nel Discorso è dinamico, aperto all’intervento dell’abitudine, il cui esito è tuttavia negativo, dato che abitua l’individuo a rimuovere la propria singolarità e individualità, «da rendere pressoché irrecuperabile alla memoria qualsiasi altra modalità di esistenza che non sia, appunto, quella della sottomissione al tiranno»131.

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