Dopo aver analizzato il linguaggio del tiranno, una sofistica al servizio del potere e dopo aver descritto la sfera dei legami sociali del despota; passiamo adesso a descrivere il suo comportamento nei confronti del popolo.
La Boétie parlando del re Ciro che vuole domare la rivolta degli abitanti di Sardi, scrive
«fece aprire bordelli, taverne e sale da gioco, e fece pubblicare un’ordinanza che autorizzava i cittadini a servirsene. Fu così soddisfatto da questa specie di guarnigione, che in seguito non fu mai più necessario neanche un colpo di spada contro gli abitanti della Lidia»107.
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Ciro vuole deviare l’attenzione del popolo dai problemi maggiori e ben più seri, come quello di essere occupati da un esercito straniero, convogliando tutta l’attenzione al divertimento; pone l’accento sulle passioni, sul soddisfacimento degli istinti bassi delle persone. Il tiranno quindi deve essere una persona astuta, che sappia intuire e conoscere i mezzi che trasformano gli individui in servi.
Lo scopo principale del Discorso non è quello di analizzare la figura del tiranno, ma cercare di comprendere come mai tanti individui delegano la propria libertà a una persona soltanto, che non ha forza se non quella che gli proviene dai suoi sudditi108. Il potere, quindi, non deriva da chi governa ma da chi è governato. Il tiranno lasciato a se stesso, senza consenso non ha alcun tipo di potere, perché è una persona come tutte le altre
«ha solo due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di diverso da quanto ha il più piccolo uomo del grande e infinito numero delle vostre città, eccetto il vantaggio che voi gli fornite per distruggervi»109.
Il consenso, l’approvazione della popolazione è fondamentale affinché il tiranno governi, non si può prescindere da questo.
108 O. N. Keohane, "Individualism and Humanism. On Voluntary Servitude: La Boétie", in
Philosophy and the State in France, Renaissance to the Enlightenment. Princeton, Princeton University Press, p. 94. «The central purpose of the Discourse on Voluntary Servitude is to make us wonder how it can be that men free by nature everywhere subject themselves to a single man».
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La Boétie nell’opera ci presenta un aspetto importante della politica del despota; parlando del Gran Turco egli scrive
«Il Gran Turco si è reso ben conto del fatto che i libri e l’istruzione più di ogni altra cosa danno agli uomini il sentimento e l’intelligenza di riconoscer se stessi e d’odiar la tirannide»110;
la cultura è avvertita come pericolo, un ostacolo al rafforzamento del dominio del sovrano.
Il sapere e la conoscenza sono strumenti che sviluppano l’autonomia dell’individuo, aiutano nella formazione di una propria coscienza critica.
I libri e la cultura sono considerati da La Boétie un antidoto alla tirannia. Vi è l’idea di matrice umanista che l’uomo può liberare se stesso dalle catene della servitù grazie al sapere; tutto dipende dall’individuo, la libertà è nelle sue mani.
Tutto questo porta ad affermare che La Boétie reputa di assoluta importanza la volontà che ogni essere umano possiede, è questa che lo rende suddito o libero. Non a caso nel titolo dell’opera compare il termine «volontaria» per indicare che l’individuo diviene servo volontariamente. Nel pensiero di La Boétie quindi è l’essere umano che decide volontariamente come e se utilizzare la propria libertà, non vi è un Dio a cui delegare ogni
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decisione, non si risolve tutto nella teologia; solo nel finale vi è un rimando, ma unicamente per sperare che il tiranno pagherà le sue colpe dopo la morte; scrive La Boétie
«Per parte mia, penso bene e non m’inganno – poiché non v’è cosa più contraria all’infinita liberalità e bontà di Dio della tirannia – che egli riservi laggiù per i tiranni e i loro complici qualche pena particolare»111.
La religione è strumentalizzata dal sovrano per consolidare il proprio potere, scrive il politico francese riferendosi ai tiranni
«vollero farsi scudo della religione, e, se possibile, assumere gli attributi della divinità a difesa della propria vita malvagia»112.
Anche questo è uno stratagemma per far sì che il popolo obbedisca al despota come se si trattasse di un Dio, parliamo di un’obbedienza che si trasforma in venerazione, devozione, ammirazione incondizionata.
La Boétie descrive questi espedienti per rivelare la vera intenzione del tiranno, sono solo degli artifici che i governanti adottano per plasmare il pensiero degli individui. Il politico di Sarlat «se moque de ces coutumes , il laïcise le pouvoir et il est, en cela, un des rares écrivains au XVI siècle à le
111 Ivi, p. 57. 112 Ivi, p. 41.
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faire»113; vede il potere nascosto nei vari dispositivi e lo svela al pubblico; lo
priva di tutto ciò che lo rende sacro in apparenza; dimostrando alle persone la vera natura del potere, quella umana e profana.
Nel passo successivo La Boétie ricorda Clodoveo e Luigi IV, il primo sostituì con i fiordalisi i rospi che figuravano sul suo blasone, mentre il secondo ai fiordalisi preferì i gigli. È molto probabile che sia una critica ai re francesi che si sono serviti, e ancora adesso lo fanno, di simboli per suscitare sentimenti di devozione e ammirazione nelle persone. Sembrerebbe un riferimento alla monarchia francese attuale, anche se successivamente afferma che non vuole criticare le abitudini dei re di Francia
«avendo sempre avuto dei re così buoni in pace e così valorosi in guerra, che, benché siano nati re, non somigliano affatto ai re per natura, ma sembrano invece scelti prima di nascere da Dio onnipotente in vista del governo e della conservazione dei questo regno»114.
Il tono sembra però ironico, forse La Boétie vuole dirci che i re francesi attuali sono del tutto simili a quelli precedenti.115 M. N. Rothbard a proposito di questo riferimento a Clodoveo e Luigi IV, afferma
113 J. Dommeaux, "Les idées politiques de La Boétie", op. cit., p. 67. 114 Ivi, p. 42.
115 Cfr. N. Panichi, "Linguaggio e tirannia nella Servitude volontaire di Etienne de La Boétie",
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«In the light of the context of the work, it is impossible not to believe that the intent of this passage is satirical, and this interpretation is particulary confirmed by the passage immediately following»,116
il passaggio seguente, a cui si riferisce Rothbard, è quello in cui La Boétie scrive di non voler
«discutere la verità delle nostre storie, né esaminarle dettagliatamente, per non eliminare questo splendido tema su cui potrà esercitarsi la nostra poesia francese, ora non soltanto abbellita, ma come sembra rinnovata dal nostro Ronsard, dal nostro Baïf, o dal nostro Du Bellay»117.
Ronsard aveva elogiato Enrico II per aver domato la rivolta a causa della tassa sul sale nel 1548, probabilmente il riferimento di La Boétie sui re che vogliono apparire delle divinità è diretto a Ronsard,
«La Boétie’s attack in the Servitude volontaire on kings who claim to be Jupiter may be directed at Ronsard’s Odes, where Henri II is often given this epithet»118.
116 N. Rothbard, "Introduction", in The Politics of Obedience: the Discourse of Voluntary
Servitude, Étienne de La Boétie. New york-Montreal, Free Life Editions – Black Rose Books,1975, p. 24.
117 E. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, op. cit., p. 42.
118 M. Smith, "Opium of the people: Numa Pompilius in the French Renaissance", in
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Nel Discorso vi sono descritte tre modalità di elezione del tiranno «gli uni ottengono il regno per investitura popolare, gli altri in virtù della forza delle armi, gli ultimi per diritto di successione»119, ma il comportamento del tiranno è il medesimo indipendentemente dal modo in cui viene eletto, infatti aggiunge «Quelli eletti dal popolo lo trattano come un toro da domare, i conquistatori come una preda, i successori pensano di farne i propri schiavi naturali»120. A prescindere dai modi di elezione, il popolo diviene un oggetto che può e deve essere manipolato seguendo la volontà del despota; non viene riconosciuto come soggetto attivo;
«Le tyran redevient ce sujet autonome et omniscient qui, dans une situation immédiatement accessible de souveraineté, tire les fils de l’histoire, et façonne à sa guise un matériau inerte et passif, le peuple»121.