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"Il Crisis Management e recupero del brand: il caso Costa"

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di economia e

management

Corso di Laurea Magistrale in

Marketing e Ricerche di mercato

Tesi di Laurea

“Crisis Management e recupero del brand:

il caso Costa”

Relatore: Prof. Antonella Angelini

Candidato: Mattia Moschini

(2)
(3)

1

INDICE

Introduzione

pag.

3

Capitolo 1: Il Crisis Management » 5

Premessa: “La crisi: pericolo o opportunità?”

1.1 Cenni teorici e definizioni

» 6

1.2 Tipologie e cause delle crisi » 10

1.3 Le fasi e il piano da adottare » 13

1.4 La comunicazione nelle situazioni di crisi » 21

1.4.1 Aspetti generali

» 21

1.4.2 La figura del portavoce

» 24

1.4.3 La crisi e il dialogo con i media

» 25

1.5 Social Media Crisis Management » 27

1.5.1 Il nuovo contesto

» 27

1.5.2 Preparazione e gestione di una social crisis

» 28

1.5.3 Errore social “Caso Melegatti”

» 32

Capitolo 2: La reputazione e il recupero del brand » 35

Premessa: “C’era una volta il brand”

2.1 Definizioni e approcci di studio » 36

2.2 Alcuni concetti legati alla reputazione » 41

2.2.1 Identità e immagine aziendale

» 41

2.2.2 Percezione, relazione e fiducia

» 43

2.2.3 Cultura, clima organizzativo e reputazione

» 46

2.3 La costruzione e la misurazione della reputazione » 48

2.3.1 Come costruirla

» 48

2.3.2 L’importanza della figura del CEO

» 49

2.3.3 L’indicatore RepTrack Pulse

» 50

2.4 Il recupero della reputazione » 53

2.5 La reputazione online » 58

(4)

2

Capitolo 3: Il business crocieristico

pag

. 65

3.1 La storia: da imprese di trasporto alla produzione » 65

turistica

3.2 Il marketing del prodotto crocieristico » 69

3.2.1 Caratteristiche del prodotto

» 69

3.2.2 Le altre 3P: Price, Promotion and Place

» 75

3.3 Connotati strutturali del business crocieristico » 81

3.3.1 Domanda e offerta

» 81

3.3.2 Barriere all’entrata e economie di scala

» 92

3.3.3 Strategie di business e di corporate

» 96

Capitolo 4: Ricerca sul business crocieristico ed analisi

del caso “Costa Crociere” » 103

4.1 Introduzione alla ricerca » 103

4.2 I risultati del questionario online » 105

4.2.1 Analisi dei dati identificativi

» 105

4.2.2 Analisi del business crocieristico e standard di servizio

» 108

4.2.3 L’evento “Concordia” e le conseguenze sulla reputazione della Compagnia “Costa Crociere”

» 118

4.3 Limiti della ricerca » 123

4.4 Conclusioni sulla ricerca » 124

Considerazioni finali » 129

Ringraziamenti » 131

Bibliografia » 133

Sitografia » 137

Allegato 1. “Intervista ad operatore turistico” » 139

Allegato 2. “Questionario sul business crocieristico” » 145

(5)

3

Introduzione

“Crisi” è un termine con il quale l’opinione pubblica convive a partire dal 2008 e sempre più costantemente negli anni successivi, in seguito alla “crisi sistemica” che ha colpito l’economia del mondo occidentale. Le imprese però si trovano ad affrontare altre crisi, non necessariamente riconducibili alla situazione economica generale, che vanno a indebolire la comunicazione e la reputazione dell’impresa stessa.

I nuovi media hanno accelerato il ritmo delle comunicazioni a livello globale, pertanto le informazioni si diffondono più velocemente, ampliando il numero degli interlocutori coinvolti direttamente o indirettamente con l’impresa. Inoltre, sempre più spesso la Rete viene utilizzata per veicolare false notizie, con lo scopo di influenzare l’opinione pubblica su argomenti politici, sociali ed economici che vanno a colpire la reputazione di numerosi soggetti, non risparmiando neppure società e aziende. Ora, se si pensa a quanto sia complesso costruire la credibilità di un’azienda e quanto facile invece sia per essa perderla, si intuisce il ruolo chiave della comunicazione di fronte a una crisi.

Infatti, la reputazione è un bene primario per un’azienda, una risorsa intangibile, difficile da imitare dalla concorrenza e tale che non si deprezza né diminuisce col suo utilizzo. Si aggiunga che una buona reputazione è sempre un fattore di garanzia per consumatori, investitori e istituzioni, tanto che, frequentemente, risulta essere “l’ago della bilancia” verso il successo o l’insuccesso nel mondo degli affari.

Di conseguenza, realizzare una struttura di anticorpi efficace a neutralizzare eventuali perdite di immagine e a gestire in modo corretto una crisi permette di non vanificare il lavoro e la professionalità di manager e collaboratori. In tal senso, la preparazione e la prevenzione verso gli eventi critici sono fondamentali per la crescita e la sopravvivenza dell’azienda. Bisogna, per esempio, avviare una comunicazione propositiva e aperta, diffondendo una corretta mentalità per affrontare la crisi. La condivisione dei saperi e il confronto tra i componenti interni ed esterni di una azienda sono gli strumenti per fronteggiare al meglio una difficoltà. Come sostengono Tapscott e Williams, “i tempi dei monologhi sono finiti”.

(6)

4

L’obiettivo del presente lavoro è quello di voler conoscere lo strumento del crisis

management, in merito al suo utilizzo nella salvaguardia della brand reputation,

portando come esempio pratico l’indagine effettuata sul mercato crocieristico e sulla Compagnia Costa Crociere dopo il naufragio della Concordia.

Il primo capitolo è dedicato interamente alla trattazione del Crisis Management, partendo dall’etimologia del termine, e passando a illustrare tipologie e cause di una crisi. Segue la descrizione delle principali attività, procedure e strumenti da utilizzare nella fase di contenimento dei danni e in quella di rapido ripristino della normalità, soffermandosi sull’importante ruolo svolto dai media nella comunicazione subito dopo lo scoppio della crisi. A conclusione, viene riportato il metodo corretto per gestire una crisi sui social network, mostrando il caso della disavventura che ha coinvolto l’azienda italiana Melegatti.

Il secondo capitolo prende in esame il concetto di “reputazione aziendale”, fornendo alcune definizioni derivanti da approcci teorici differenti, per poi illustrare le relazioni semantiche con concetti quali “immagine” e “identità” aziendali o “fiducia” e “relazione” con il cliente. Ci si sofferma, quindi, sul modo per costruire una buona credibilità, e sulla strumentazione utilizzata per misurare essa stessa, ovvero il

RepTrack.

Si conclude descrivendo la fase del recupero reputazionale di un’azienda, portando il caso “Barilla, no gay negli spot” e di come la caduta di stile sia stata risolta poi con una strategia di comunicazione efficace e tempestiva.

Nel terzo capitolo si va ad analizzare il prodotto e il mercato crocieristico, il cui business è oggetto di indagine finale. In particolare, ci è sembrato interessante partire dalla nascita del settore, parlando della riconversione delle navi da trasporto in navi con finalità turistica, ed arrivare a descrivere il marketing del “prodotto crociera”, definendo i connotati strutturali di questo mercato.

Nel quarto ed ultimo capitolo è contenuta l’indagine condotta dall’autore di questa tesi allo scopo di capire la gestione della crisi e il successivo recupero del brand esaminando il caso di Costa Crociere. Due gli obiettivi principali: analizzare il mercato e gli standard qualitativi offerti dalle Compagnie in Italia; valutare le strategie commerciali attivate dalla Società “Costa”, nel periodo successivo al disastro della Concordia.

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5

Capitolo 1

Il Crisis Management

Premessa “La crisi: pericolo o opportunità?”

Così scriveva Albert Einstein nel 1934:

Negli ultimi anni il termine “crisi” ha assunto un’accezione totalmente negativa; dall’inizio della “bolla speculativa” in poi, esso è stato associato quasi sempre a una condizione di stagnazione economica, di emergenza occupazionale o di riduzione della liquidità finanziaria che ha investito le più grandi economie mondiali del nostro secolo.

È abbastanza frequente che manager, leader politici ed economisti riportino in maniera errata la traduzione cinese del termine “crisi” (weiji), invocando una presunta natura duale del concetto nella cultura orientale: i caratteri di cui è composto rappresenterebbero una crasi fra i termini “pericolo” e insieme “opportunità”. Molti linguisti, però, hanno manifestato i propri dubbi sul secondo carattere che, a loro interpretazione, più che opportunità, letteralmente, può assumere un insieme di significati tra cui “occasione adatta, punto cruciale”.

Il successo del misunderstanding lo si deve però al presidente statunitense Kennedy che, in un discorso tenuto a Indianapolis nel 1959, pronunciò questa frase: “Scritta in

cinese, la parola crisi è composta da due caratteri: uno rappresenta il pericolo, l’altro l’opportunità”.

L’immagine sarebbe stata poi adottata negli anni da consulenti finanziari e oratori motivazionali, riscuotendo enorme successo nelle università e nelle stampe popolari. Sebbene sia stata fatta una traduzione alquanto dubbia del termine cinese, condivido la sfumatura positiva implicita nel concetto, che, se badiamo all’etimo, è senz’altro

“La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni Nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso.

La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”.

(8)

6

contenuta nel greco antico, dove “crisis” indica la separazione del buono dal cattivo e il momento conseguente della scelta. In effetti, se ben gestita, la crisi può diventare il presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita.

Questa digressione sul termine è utile a delineare le caratteristiche di una crisi socio-economica, ovvero:

- Un sistema sociale manifesta ciclicamente contraddizioni ricorrenti e fisiologiche e al tempo stesso produce meccanismi autoregolatori in grado di riportare una situazione perturbata a una condizione di nuovo equilibrio.

- Ogni sistema strutturato si sviluppa ed evolve attraverso passaggi cruciali che provocano nuovi assetti, mutamenti profondi del sentire e dell’agire dei soggetti sociali.

La crisi, dunque, è il risultato di eventi conflittuali che rompendo lo stato di quiete precedente portano la società in una fase straordinaria di riassetto postumo. È un concetto di natura dinamico-evolutiva che affonda le proprie radici in un fatto negativo. Se mal gestita, le sue conseguenze sono catastrofiche.

Al contrario la crisi può diventare un importante alleato dell’azienda per aumentare la sua reputazione nel lungo periodo se riesce a gestirla. Sfruttare la crisi come opportunità significa: costruzione di nuove relazioni con potenziali partner commerciali, identificazione di nuove personalità all’interno dell’organizzazione, forte visibilità mediatica, maggiore fiducia in sé stessi dopo avere superato una difficile prova, un rinnovato spirito di appartenenza, acquisizione di nuovi insegnamenti di cui fare tesoro qualora dovesse esplodere una nuova crisi.

1.1 Cenni teorici e definizioni

Il concetto di “crisi” può essere usato con differenti significati e in diversi modi: in contesto psicologico (es. reazioni cognitive individuali), economico (es. effetti del sistema finanziario) o sociologico (es. riferito a sistemi sociali, gruppi, istituzioni). Il termine, come sopra ricordato, deriva dal greco “krisis”1, che in ambiente medico

1 Il termine “crisi”, di derivazione greca (κρίσις), originariamente indicava la separazione,

provenendo infatti dal verbo greco κρίνω: “separare”, appunto. Il verbo era utilizzato in riferimento alla trebbiatura, cioè all’attività conclusiva nella raccolta del grano, consistente nella separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula. Col tempo è avvenuto uno spostamento semantico del termine verso una sua accezione specifica: quella medica. Ai nostri giorni dunque il lemma “crisi” si smarca dall’ambito specialistico della medicina per assumere una connotazione economica, da un lato, psicologica, dall’altro con accezione negativa.

(9)

7

indicava “un subitaneo cangiamento in bene o in male nel corso di una malattia, da cui si giudica, si decide la guarigione o la morte”. Ad oggi il termine detiene parte del significato originario, in quanto viene usato per indicare, esattamente come per una malattia, dei cambiamenti che, partendo da aree vulnerabili, condizionano le sorti di un’organizzazione. In letteratura sono presenti molte definizioni per spiegare il termine “crisi” e ognuna di queste aggiunge qualcosa di interessante e utile per la caratterizzazione del fenomeno.

Alberto Pastore e Maria Vernuccio hanno scritto che:

Sergio Sciarelli invece:

Molti sono gli elementi di una crisi, ma tre sono quelli che possiamo sinteticamente riassumere per identificarne le caratteristiche:

1) Minaccia Un evento straordinario e spesso inaspettato, che può rappresentare un danno per le organizzazioni.

2) Sorpresa e visibilità La sorpresa e l’imprevedibilità di questo scenario, la visibilità esterna, sostenuta dai media che comunicano gli effetti negativi a essa associati.

3) Reazione rapida La necessità di una risposta nel breve termine che preservi l’organizzazione e gli obiettivi stabiliti in fase strategica.

“La crisi è un evento, grave e imprevedibile, che può arrecare danno a qualsiasi organizzazione, portando potenzialmente a un risultato negativo non solo in termini di perfomance economico-finanziaria ma anche di reputazione”.

(A. Pastore e M. Vernuccio,

“Impresa e comunicazione. Principi e strumenti per il management”,

op. cit.)

“La crisi rappresenta una particolare situazione patologica che pone in pericolo la continuità dell’attività aziendale. Essa si caratterizza per la necessità di adottare, senza indugio, le contromisure necessarie per evitare il dissolvimento dell’organizzazione”.

(10)

8

Quindi, nonostante sia un evento raro, risulta evidente che la crisi sia una situazione totalmente da evitare, se possibile, e, nel caso in cui avvenga, da non sottovalutare e nella quale non farsi trovare impreparati.

La disciplina del crisis management, o gestione della crisi, si è sviluppata proprio negli ultimi decenni del secolo scorso, quando le organizzazioni hanno incominciato a capire l’importanza di mettere in campo immediate e idonee soluzioni al verificarsi di eventi totalmente non previsti.

Ma perché solo negli ultimi anni? Prima non si verificavano delle crisi aziendali? Certo che sì. Tale esigenza, però, si è mostrata di vitale importanza solamente con la nascita del cosiddetto “villaggio globale”2 (locuzione usata per la prima volta da

“Marshall McLuhan” nel 1964 nel suo libro "Understanding Media: The Extensions

of Man") con la quale l’autore indicava la nascita di una comunicazione a livello

mondiale già negli anni ‘60 grazie allo sviluppo dei media tradizionali fino ad arrivare alla nascita di Internet negli anni ’80-‘90 e poi quella dei social network agli inizi degli anni 2000. Ciò fa sì che una crisi aziendale sia comunicata, commentata ed analizzata praticamente in tempo reale, in ogni parte del mondo e ormai dalla stragrande maggioranza della popolazione. Inoltre, con l’avvento della Rete e dei social media è cambiato anche il ruolo del consumatore, che non è più passivo ma attivo e co-creatore dei prodotti, dell’immagine e della reputazione di un’azienda e, nel caso di crisi mal gestite, anche “co-distruttore” con le aspre critiche che diventano “virali” nella Rete.

Ecco di seguito una definizione:

2 La locuzione “villaggio globale” è divenuta di vastissima diffusione al sorgere di nuove tecnologie

(prima delle quali Internet) che hanno permesso una facilitazione ed un'accelerazione delle comunicazioni umane di grande rilievo, divenendo quasi un sinonimo delle interconnessioni per la comunicazione e dei risultati che consentono. In questo senso, spesso senza riferimenti all'originario senso filosofico, la locuzione si applica sia per definire che il gigantesco globo si sia ridotto ad un ambito facilmente esplorabile al pari di un villaggio, sia che (almeno per la comunicazione) ciascun villaggio che lo compone abbia oggi abbattuto i suoi confini non più chiusi e dunque coincidendo con il globo.

“Organizational crisis management is a systematic attempt by organizational

members with external stakeholders to avert crisis or to effectively manage those that do occur.”

(11)

9

Il desiderio di ogni organizzazione è quello di evitare, attraverso questo processo, di incorrere in eventi critici, ma spesso è solo una mera speranza. I disastri accadono, ma i disastri si trasformano in crisi proprio a causa di come l’organizzazione coinvolta risponde all’evento scatenante. Tali situazioni hanno caratteristiche e attivano dinamiche che sono completamente diverse da quelle ordinarie cui il manager è avvezzo e non possono essere affrontate con gli stessi strumenti, le stesse procedure e gli stessi processi.

Ma il punto centrale dovrebbe essere cosa significhi gestire la crisi in modo efficace. “Pearson” e “Clair” affermano che “data la profondità e l’ampiezza delle perdite che

solitamente accompagnano le crisi dell’organizzazione, non può essere realistico definire come efficaci solo gli sforzi finalizzati a trascinare l’impresa fuori dagli eventi critici illesa. D’altro canto, semplicemente sopravvivere alla crisi potrebbe non essere un criterio abbastanza rigoroso per parlare di successo nella gestione della crisi.”

Tra questi due estremi si inserisce la proposta dei due autori i quali ritengono che

“gli sforzi nella gestione della crisi possano ritenersi efficaci qualora l’operatività sia portata avanti durante la crisi stessa o ripresa (per esempio l’attività di trasformazione di input in output continua o riprende a dispetto della crisi), quando le perdite all’interno dell’organizzazione e tra gli stakeholders siano minimizzate e che l’accaduto venga considerato come una lezione da apprendere per i futuri incidenti.”

Quindi l’essenza del Crisis Management consiste nell’assumere il controllo della situazione, analizzare le implicazioni, stabilire gli obiettivi prioritari, mettere in atto azioni per contenere l’impatto e assicurare la sopravvivenza dell’impresa e la salvaguardia della sua reputazione. Consiste nella capacità di fronteggiare due enormi pressioni: una emotiva e una temporale. Resistere alle spinte emozionali che inducono molti a scelte sbagliate e rispondere con estrema rapidità ad una situazione esplosiva. Tutto questo richiede preparazione: analisi, piani, procedure per mettere l’azienda in grado di fronteggiare, senza esitazioni e senza errori, tali contesti. Si tratta di individuare la crisi, affrontarla e gestire contemporaneamente la comunicazione con l’esterno. L’analisi dei casi del passato non ci dà ricette, ma ci consente di razionalizzare i principi generali che possono essere applicati in queste situazioni e il processo che può mettere un’impresa in grado di superare con successo tali evenienze.

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10

1.2 Le tipologie e le cause delle crisi

Una prima classificazione delle crisi aziendale è basata sulla natura dell’evento3: essa

può attecchire all’interno dell’organizzazione o essere causata da fattori esterni. Su questa base è possibile rintracciare:

Una crisi di domanda (sovrapproduzione)

Questo tipo di crisi è legato a fasi di maturità del mercato, in cui l’offerta di beni prodotti è di tanto superiore alla domanda reale e il numero di imprese produttrici è estremamente elevato. L’eccesso di offerta porta a una drastica riduzione del prezzo dei beni (price competition), tesa ad aumentare le vendite delle scorte invendute. Per scongiurare la crisi di domanda è importante differenziare il proprio portafoglio-prodotti ricorrendo a ricerche di mercato, che servono per comprendere i reali bisogni dei consumatori.

Crisi da inefficacia manageriale

Questo tipo di fenomeno affonda le proprie radici nel moral hazard. Con la progressiva polverizzazione dell’azionariato delle grandi imprese, i manager hanno acquisito nel tempo un ruolo prioritario nei processi aziendali di decision making. Proprio loro dovrebbero operare nell’interesse degli azionisti: eppure, invece di perseguire obiettivi di massimizzazione del valore dell’impresa nel lungo periodo, investono spesso risorse e tempo in progetti di basso valore per la crescita aziendale, volti ad accrescere il proprio potere economico. Una possibile soluzione consiste nel controllo diretto dell’operato degli agenti per mezzo di contratti di incentivazione e della comunicazione esterna. La comunicazione interna è il perno della cultura d’impresa e dell’allineamento degli obiettivi dei vari stakeholder4 coinvolti nelle

attività aziendali.

3 Classificazione effettuata dal professor Comin, che insegna “Strategie di comunicazione” alla Luiss e

siede nel consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia; oltre ad essere stato a capo della comunicazione di Telecom e Montedison. Nel 2014 ha fondato Comin & Partners, società di consulenza e di comunicazione, relazioni con i media, crisis management e public affairs.

4 Il termine “stakeholder” è apparso per la prima volta nel 1963 in un memorandum dello Stanford

Research Institute con l’intento di generalizzare il concetto di “stockholder” (azionista) ed allargare il gruppo di riferimento per le azioni dei manager aziendali. La definizione iniziale era “gruppi senza il cui supporto l’organizzazione cesserebbe di esistere”.

(13)

11

Crisi da inefficienza

Questo tipo di crisi può investire tutte le funzioni aziendali e portare a costi superiori rispetto a quelli dei diretti concorrenti.

In ambito produttivo, le cause di questa crisi possono essere ricondotte all’utilizzo di strumenti e tecnologie obsoleti o all’incapacità della manodopera specializzata. Nell’area commerciale le cause possono riguardare, invece, uno squilibrio tra i costi sostenuti per il marketing e la creazione di una rete vendite da una parte, e i ricavi associati agli investimenti fatti dall’altra. La funzione amministrativa può presentare carenze in termini di condivisione informativa o di eccessiva burocratizzazione. La funzione deputata al controllo organizzativo interno può commettere errori nella suddivisione dei compiti e delle responsabilità attribuite all’organico e nella misurazione delle perfomance di determinati gruppi di lavoro. Le criticità che investono la funzione amministrativa e quella organizzativa possono essere risolte migliorando la qualità della comunicazione interna.

Figura 1.1 - Tipologia di crisi in base alla natura dell'evento

da: “L’impresa oltre la crisi” di G. Comin, op. cit.

Crisi

Interna

Crisi da

inefficienza

Innovazione e minor costi

Crisi da

inefficacia

Controllo e incentivi

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12

Una seconda classificazione delle crisi aziendali è basata sulla gravità5 e sulle conseguenze legate all’evento traumatico:

Crisi reversibili

Possono essere risolte con un processo di risanamento.

Crisi irreversibili

Richiedono un continuo monitoraggio da parte dell’organizzazione.

Figura 1.2 - Tipologia di crisi in base alla gravità dell'evento

da: “L’impresa oltre la crisi” di G. Comin, op. cit.

Le possibili cause

Moltissimi possono essere i motivi all’origine di una crisi. Luca Poma e Giampietro Vecchiato elencano nel loro manuale di Crisis Management i fattori che più frequentemente possono scatenare una crisi, i cosiddetti “episodi scatenanti”:

 un disastro naturale,

 un errore umano,

 un guasto meccanico,

una debâcle tecnologica,

 un sabotaggio o un’estorsione,

5 Classificazione effettuata dal professor Comin

Crisi

Reversibile risanamentoProcesso di

Irreversibile

Liquidazione del patrimonio

(15)

13

 un attacco esterno alla reputazione e all’immagine dell’organizzazione derivante da concorrenti, associazioni, media o clienti insoddisfatti,

 delle pratiche finanziarie discutibili,

 dei problemi ai vertici aziendali,

 delle riorganizzazioni o licenziamenti,

 dei problemi di comunicazione interna,

 dei problemi all’interno del settore produttivo o tra concorrenti,

 contingenze politiche internazionali,

 la diffusione di notizie false.

Come è possibile notare, le cause all’origine di una crisi possono essere molteplici e difficilmente sintetizzabili. È possibile, però, definire delle aree di sviluppo di crisi specifiche verificabili all’interno delle organizzazioni: l’azienda (es. trattative sindacali), il marchio (es. fusioni aziendali), il prodotto (es. manomissioni), i servizi (es. blocchi della produzione, scioperi) o le relazioni.

1.3 Le fasi e il piano da adottare

In letteratura vi sono molti riferimenti a quelli che possono essere definiti “modelli” o “best practices” che attengono il modo in cui una situazione problematica come la crisi possa essere trattata.

Prima di esaminarne gli aspetti è necessario premettere che come tutti i modelli anche quelli relativi al Crisis Management sono da intendersi come orientativi e non definitori in quanto ogni crisi è diversa dall’altra pur presentando aspetti comuni. Inoltre nessuno è mai veramente preparato ad affrontare una crisi ed è proprio per questo motivo che il Crisis Management offre la possibilità di avere delle linee guida che in fasi perturbate della organizzazione possano essere seguite.

(16)

14

da: “L’impresa oltre la crisi” di G. Comin, op. cit.

I segnali rivelatori

La prima fase consiste nel cogliere i segnali rivelatori di una criticità, campanelli d’allarme di una possibile emergenza in vista. Ci sono due approcci teorici: il primo, definito in letteratura “Sensemaking”, rappresenta il tentativo di creare ordine e dar senso alle situazioni contingenti o, più in generale, a ciò che accade.

Weick definisce questo fenomeno come un processo sociale, continuativo e retrospettivo, fondato su informazioni selezionate e sul principio della plausibilità, che miri alla costruzione dell’identità del singolo e di ambienti dotati di senso. Nelle organizzazioni, le direzioni sulla costruzione di senso devono provenire dall’alto, per fornire delle linee comuni all’intera struttura, ma allo stesso tempo è necessario un certo grado di autonomia e flessibilità degli individui, per permettere la realizzazione e la creatività del singolo, così come l’innovazione.

Il secondo “Perspective- taking” consiste nell’abilità di considerare il punto di vista di terzi o di gruppi di interessi esterni.

Segnali rilevatori

Preparare e

prevenire

Contenere e

prevenire

Business

recovery

Apprendere

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15

Preparare e prevenire

La citazione presa dal libro di Norsa rappresenta pienamente il significato di preparazione alla crisi.

In questa prima fase è fondamentale la prevenzione, cioè si attiva un sistema di previsione ed analisi dei rischi, si evidenziano i vari alert e si riduce il rischio di improvvisazione che è insito in tutte le situazioni di emergenza. L’organizzazione monitora sia le aree interne all’impresa che l’ambiente esterno, dove scambia informazioni non perfettamente controllabili e che possono diffondere tramite i media notizie errate. Si elaborano i piani di crisi, ovvero dei documenti formali nei quali vengono indicate le procedure da seguire, gli strumenti e le tecniche da utilizzare in caso di crisi e le risorse che dovranno essere impiegate.

Redigere questo documento è vitale importanza poiché un buon piano di crisi è di grande aiuto nel mezzo di una crisi dove diviene complicato prendere decisioni razionali e in modo lucido.

La linea operativa da tenere si riassume in:

- Analisi preventiva di tutte le potenziali aree di vulnerabilità - Previsione di un comitato di gestione della crisi

- Elaborazione di un piano di preparazione per le emergenze

- Formazione del management e utilizzo di consulenze specialistiche

Figura 1.2 - Preparazione e prevenzione

da: “L’impresa oltre la crisi” , G. Comin, op. cit.

Risk audit

Crisis team e

manuale

Monitorare e

allenare

“I piloti si dividono in due categorie: quelli che hanno già fatto un atterraggio di emergenza e quelli che lo devono ancora fare”.

(Norsa L., “Crisis management: come gestire la crisi aziendale”, op.cit.). )

(18)

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Contenimento del danno e controllo

Dopo che si è verificata la crisi si costituisce il cosiddetto crisis management team, ossia l’unità organizzativa preposta alla gestione della crisi, dalla predisposizione dei manuali fino alle decisioni in merito ai messaggi da rivolgere ai pubblici di riferimento, ai contenuti, ai tempi.

All’interno del team viene nominato un portavoce responsabile di fornire informazioni riguardo la gestione della crisi. Contemporaneamente si redige il

manuale di crisi, ossia un documento aziendale in cui sono raccolte le regole di

comunicazione da osservare durante l’imminente crisi, e si prepara il piano di

comunicazione di crisi. L’impresa deve assumersi le proprie responsabilità e

comunicare pubblicamente di aver acquisito la consapevolezza delle cause che hanno portato l’organizzazione nell’attuale situazione di crisi rivolgendosi sia all’ambiente interno rassicurando i dipendenti, collaboratori etc., sia all’ambiente esterno rassicurando i clienti, media etc.

L’obiettivo principale dei manager e addetti ai lavori consiste nel limitare al massimo i problemi finanziari, reputazionali, di sicurezza e altre minacce che minano la sopravvivenza di lungo periodo dell’organizzazione in esame. Chi gestisce il processo deve porre fine alla criticità il più velocemente possibile, onde evitare la cattiva pubblicità e il passaparola negativo.

Infine è opportuno verificare l’efficacia delle azioni intraprese al fine di attivare un processo di feedback correttivo.

Figura 1.3 - Gestire la crisi

da: “L’impresa oltre la crisi” , G. Comin, op. cit.

Attivare crisis

team

Intervento e

ascolto dei

media

Coinvolgere

stakeholder

(19)

17

Business Recovery

Quando la difficoltà si palesa, manager e imprenditori devono essere in grado di preservare la regolare operatività del proprio business, anche nel bel mezzo dell’evento critico. Gli addetti ai lavori sono esposti su un doppio fronte: da una parte saranno costretti a determinare le risorse finanziarie, umane e tecnologiche necessarie a mantenere in vita l’attività, dall’altra è necessario perseguire un approccio proattivo cercando di prevenire il possibile ritorno di nuove problematiche.

Apprendimento

Infine l’ultima fase è considerata il momento dell’apprendimento.

Quando termina una crisi l’organizzazione può tornare alla gestione ordinaria delle sue attività, ma individuare questo momento non è facile, perché le crisi non finiscono mai in un preciso istante, in quanto i loro strascichi si possono protrarre per mesi, addirittura per anni.

In base alle modalità con la quale l’organizzazione si era preparata a gestire la crisi, la fase successiva alla fine della crisi può determinare situazioni più o meno favorevoli. Il leader deve annunciare la fine della crisi quando è sicuro che questo evento si sia verificato. Il crisis team, quindi, deve prestare attenzione alla valutazione di ogni segnale significativo mantenendo la concentrazione ben salda su quanto sta avvenendo. La presenza di alcuni segnali, scrivono nell’importante testo (“Crisis Management. Come comunicare la crisi”, op. cit.) Luca Poma e Giampiero Vecchiato, può aiutare l’organizzazione a capire che una crisi sta volgendo al termine:

 il ritorno alla fiducia dei clienti e dei fornitori abituali;

 i dipendenti sono tornati alle occupazioni abituali;

 le vendite e utili hanno ricominciato a salire;

 i giornalisti non sono più interessati alla vicenda.

La chiusura di una crisi deve avere un peso specifico rilevante al pari del suo inizio, perché si possa sedimentare nel pensiero comune. E anche in questo una corretta informazione deve avere il giusto rilievo. La comunicazione della fine della crisi deve essere fatta attraverso due livelli: uno interno coinvolgendo i dipendenti; uno

(20)

18

esterno attraverso annunci media, sito web aziendale, social network, per comunicare con tutti i soggetti interessati alla vicenda.

Il monitoraggio del web e dei media da parte della struttura stampa dovrà durare almeno un anno, a seconda della gravità della crisi.

Per celebrare la fine di una crisi un’azienda potrebbe organizzare un grande evento, nel quale saranno invitati tutti quelli che hanno ricevuto potenziali minacce dalla sue esplosione.

Alla fine della crisi, però, deve fare da contraltare un programma di rilancio immediato dell’azienda e della sua immagine, promuovendo iniziative nei punti vendita, negli store o ancora mettendo in campo azioni di responsabilità sociale che possano favorire un atteggiamento di solidarietà e di vicinanza con le vittime e con l’opinione pubblica.

L’apprendimento post-crisi diventa un momento decisivo per imparare da quanto è avvenuto. Le conoscenza acquisite, infatti, non vanno disperse e la crisi deve davvero rappresentare un momento di confronto e di crescita formativa per tutta l’azienda. Il passo successivo deve essere quello di aggiornare tutti gli strumenti che servono alla prevenzione e alla preparazione di una crisi, per rafforzare l’azienda dopo la situazione negativa che ha dovuto fronteggiare. Saranno quindi modificate le modalità con le quali captare i segnali di crisi e individuare quali sono le aree vulnerabili, integrare le competenze all’interno del crisis team, adattare le procedure del piano di crisi e affinare le procedure di media e crisis training.

L’ultimo passo da mettere in atto deve consistere nella compilazione di un dettagliato

debrief post-crisi.

Il documento deve contenere tutto quanto è stato prodotto, comunicato e compiuto nel periodo operativo della crisi, in particolare:

 il riepilogo delle misure prese durante la crisi;

 le copie dei comunicati stampa;

 la rassegna stampa sull’evento;

 tutti i costi sostenuti per uscire dalla crisi;

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Il piano di crisi

La crisi è per definizione un evento a bassa probabilità di accadimento e proprio per questo motivo è opportuno e indispensabile predisporre quello che viene definito il piano di crisi. Tale piano, premesso che non potrà essere redatto una volta per tutte ma deve essere soggetto a continue revisioni data la dinamicità dell’epoca attuale, deve basarsi sull’analisi della situazione nella quale opera l’organizzazione, deve prevedere strumenti e procedure operative nonché la preparazione adeguata e continua del personale, sia di quello preposto ad adottare decisioni, sia di tutto il resto del personale operante all’interno dell’organizzazione. Nella predisposizione del piano di crisi si possono descrivere alcuni elementi fondamentali di seguito esaminati.

Definire l’unità di pianificazione

Il team preposto alla gestione della crisi assume la massima importanza e dovrebbe essere composto da elementi esperti che possano coprire una vasta area di operatività nonché garantire una reperibilità continua con individuazione dei sostituti in caso di assenza (ferie, malattia, ecc.).

Possono essere previsti dei comitati suddivisi su due livelli: al primo verranno collocati gli appartenenti al nucleo fisso, mentre del secondo faranno parte gli elementi che verranno coinvolti solo su specifiche tipologie di crisi in quanto detentori di particolari competenze settoriali.

Il piano non può essere adottato una volta per tutte ma periodicamente in caso di mutate condizioni socio-economiche interne ed esterne all’organizzazione è compito dell’unità di pianificazione riunire i propri membri e rivisitare il piano al fine di aggiornarlo con le possibili nuove minacce di crisi ed eventualmente eliminare quelle non più attuali.

“An organizational crisis is a low-probability, high-impact event that threatens the viability of the organization…”

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Il Contenuto

Se è vero che una crisi, in base alla definizione che ne è stata data in precedenza, non può essere preventivata, altrettanto vero è che pur avendo una bassa probabilità di accadimento possono essere predisposte misure da attuare qualora si verifichi. Tali misure costituiscono il nucleo centrale di quello che viene definito il piano di crisi o

contingency plan.

In primo luogo il piano deve riportare gli elementi facenti parte dell’unità di gestione della crisi, le modalità di funzionamento della stessa unità, le regole, dall’individuazione di chi deve convocarla alle responsabilità di ognuno dei suoi membri, alla pianificazione dei flussi di comunicazione.

Dovranno essere predisposte delle check-list che, considerando gli adempimenti da porre in atto al verificarsi della crisi, possano non solo essere d’aiuto in un momento in cui non si ha la capacità di ragionare ma soprattutto che consentano, avendo già un primo quadro compiuto e organico di compiti da espletare, di accelerare i tempi, evitare inutili preoccupazioni e possibilmente avere la possibilità di dedicarsi e/o concentrare tutti gli sforzi nella soluzione della crisi.

Devono esservi, già predisposti, templates con spazi in bianco da riempire con i dati mancanti: data, luogo e ora del fatto, se vi sono o meno persone coinvolte, se si conoscono i danni e se vi possono essere danni o pericoli per l’ambiente circostante. Dovrà essere stabilito a priori chi deve essere responsabile della comunicazione, le eventuali linee dedicate ai contatti esterni, quali enti e strutture esterne contattare, l’anagrafica degli interlocutori chiave.

Testare il piano

Questo è un momento importante in una organizzazione, sia per convalidare i piani che sono stati redatti sia, dall’altra, per addestrare le persone che potrebbero essere coinvolte qualora questi piani dovessero essere attivati.

L’addestramento oltre all’aspetto teorico preveda una formazione pratica che contempli le più gravi conseguenze e sia la più realistica possibile, che possa ricreare, per quanto possibile, la stessa pressione emotiva che la realtà della crisi genererebbe in caso di accadimento. Ritornando all’esempio del punto precedente, il portavoce, colui che è l’incaricato delle comunicazioni, che ha anche il compito di

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rilasciare interviste, deve seguire un precorso di preparazione molto serio che possa portarlo ad affrontare un uditorio ostile, ad apparire credibile (non si dimentichi che una delle prime regole di un Crisis Management è fornire dati reali e di non mentire), ad acquisire tecniche che gli consentano di trasferire messaggi efficacemente fino quasi ad anticipare risposte alle possibili domande.

Oltre il team preposto alla gestione della crisi, anche il personale che opera all’interno dell’organizzazione deve essere preparato (in modo continuativo) ai fattori di crisi.

Nel corso della validazione del piano, si possono individuare dei miglioramenti e valutare soprattutto i punti deboli ed essere così rinforzato o modificato. Una volta approvato dovrà essere sottoposto a revisione periodica per adattarlo alle mutate condizioni esterne/ interne all’organizzazione (incluso il cambio del personale, spesso aspetto sottovalutato).

1.4 La comunicazione nelle situazioni di crisi

1.4.1 Aspetti generali

L’assioma di “Watzlavick” sulla comunicazione è tanto più vera quanto più ci si riferisce a situazioni problematiche o differenti come la crisi. Uno dei momenti più difficili in simili frangenti è dare comunicazione dei fatti: chi deve comunicare, quali i pubblici di riferimento, quando, in quali forme, quali notizie divulgare, quali i mezzi strumentali più opportuni, sono solo alcuni dei quesiti che spesso assalgono i manager in occasione di “squilibri” che possano compromettere irrimediabilmente la vita stessa dell’organizzazione.

La comunicazione d’impresa è l’insieme dei processi che l’impresa istituisce con l’obiettivo di influenzare e/o modificare gli atteggiamenti del pubblico o dei pubblici di riferimento dell’impresa stessa siano essi interni e/o esterni (Morelli M., Parisotto S., “La comunicazione interpersonale. Aspetti teorici e applicativi”, op. cit.).

Da più parti si rileva come la comunicazione d’impresa è spesso sottovalutata mentre dovrebbe rientrare a tutti gli effetti tra gli obiettivi strategici dell’organizzazione, considerata nella sua globalità. Se, infatti, in ogni organizzazione l’attenzione è

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rivolta principalmente ai pubblici esterni (clienti, fornitori, pubblica amministrazione, enti vari, comunità e ambiente, ecc.) non altrettanto può dirsi con riferimento ai pubblici interni, alle risorse umane presenti (Lagadec P., “Crisis

Management. Come affrontare e gestire emergenze e imprevisti”, op. cit).

La consapevolezza dell’importanza del ruolo svolto della comunicazione è, dunque, strategica per l’impresa perché inevitabilmente va ad incidere sui suoi valori, sugli atteggiamenti del suo personale, sulle credenze di chi vive al suo interno e ne determina i risultati. La comunicazione, inoltre, condiziona le motivazioni, e finisce, inevitabilmente, per modificare il comportamento dei suoi destinatari.

Tali aspetti dunque devono essere governati soprattutto nelle situazioni di crisi per offrire una risposta convincente; inoltre l’impresa deve essere la prima a dover parlare e spiegare, così da evitare distorsioni fin da subito.

La comunicazione d’impresa in caso di crisi deve essere6:

immediata e completa, è importante evitare false notizie che potrebbero arrecare maggiori danni all’immagine dell’impresa;

centralizzata, essere coerenti con riguardo alle informazioni;

aggiornata costantemente, bisogna aggiornare ed informare gli stakeholder sull’avanzamento delle azioni intraprese per fronteggiare la crisi;

trasparente, è fondamentale riportare il vero e non minimizzare la situazione di crisi;

multidirezionale, rivolta a tutti gli stakeholder coinvolti;

aperta all’ascolto, disposta ad ascoltare;

proporzionata all’entità della crisi.

I messaggi selezionati devono essere chiari, pronunciati o virgolettati da un portavoce che è stato scelto per le sue responsabilità o perché particolarmente dotato di capacità dialettiche. Il piano di comunicazione di crisi redatto deve rispondere principalmente alle seguenti domande:

 Qual è il messaggio giusto?

 A chi deve essere rivolto?

 Chi deve essere il testimonial?

 Qual è il momento giusto per parlare ai media?

6 Pastore e Vernuccio (2008), “Impresa e comunicazione. Principi e strumenti per il management”,

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Per ciò che riguarda il target a cui comunicare, bisogna considerare ovviamente i pubblici esterni, gli stakeholder, dai media alle istituzioni, dai clienti ai fornitori, ma anche il pubblico interno. Infatti è importante che il piano non trascuri i dipendenti che, da un lato, sono i primi testimonial della società e, dall’altro, sono l’elemento più fragile dell’organizzazione aziendale. Una reazione sbagliata alla crisi da parte dei collaboratori può mettere in seria difficoltà la produzione, la rete distributiva e l’area delle vendite.

Oggi i canali per comunicare verso l’esterno (e l’interno) si sono moltiplicati rispetto a qualche anno fa, quando il comunicato stampa la faceva da padrone. In verità l’organizzazione fin dalle prime battute può decidere di parlare con una nota, che sarà poi veicolata attraverso i differenti strumenti di comunicazione (sito web, profili

social, email ad agenzie di stampa, interviste audio e video). La nota deve far capire

al pubblico che la società non sta ignorando il problema, che si assuma tutte le responsabilità e che l’intervento per gestire la crisi è già in atto.

Gli aggiornamenti a questa nota devono essere rapidi (una sorta di timeline dell’ultima ora) e possibilmente completi di notizie nuove: questo faciliterà l’azione dei giornalisti che hanno fretta di comunicare, ma aiuterà anche loro che potendo disporre di tempi più lunghi per svolgere un’inchiesta dovranno formarsi un archivio dei fatti.

A orari prestabiliti dovrà essere fatto il punto della situazione (ulteriore nota, miniconferenza stampa) per spiegare cosa è stato fatto finora per porre rimedio alla situazione. Dalle frasi deve trasparire empatia per eventuali danneggiati (incidenti, vittime di un prodotto), ma anche chiarezza. Inutile contorcersi in distribuzioni di colpa o alibi che risalgono alla notte dei tempi. Le scuse sono utili, ma anche questo va fatto senza disperazione, con un contatto emotivo sincero e rassicurante.

Molte imprese considerano un particolare con troppa superficialità: a volte, nel piano non viene predisposto un kit di notizie standard per ciascun target interessato all’emergenza. Tutto deve essere pronto. Le informazioni di base sull’azienda, i dati economico-finanziari, il funzionamento delle aree di business, il ruolo della ricerca, i principali clienti, le tecnologie, le attività di corporate social responsability, i curriculum del top management e tutte le altre notizie che sarà utile avere a portata di mano per preparare in tempi rapidi position paper o dichiarazioni nel caso di difficoltà.

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Con l’obiettivo di fronteggiare i giornalisti è fondamentale avere pronto un dettagliato press kit, vera e propria ancora di salvezza per gli iniziali, concitati momenti di crisi. Devono essere disponibili immagini di repertorio, ben girate e in diversi formati, che serviranno a coprire l’evento evitando o limitando la diffusione di fotografie amatoriali o di parte. Anche durante l’evento, è utile inviare una troupe televisiva della società per raccogliere immagini che possano essere montate secondo le aspettative dei vertici e inviate ai network televisivi e digitali, a supporto delle comunicazioni ufficiali della società. Mettendo così a disposizione dei media fotografie e filmati evita una ricerca da parte loro frettolosa e autonoma e aiuta a porre la società, sotto stress, in una luce positiva e di normalità.

Per prendere il controllo dell’informazione c’è bisogno di velocità, molta velocità. La miglior decisione è quella di fornire informazioni alle agenzie di stampa prima che ne ricevano da altri soggetti coinvolti: ovvero i dipendenti, le forze dell’ordine, le istituzioni e i sindacati.

1.4.2 La figura del portavoce

Per gestire l’impatto pubblico degli stakeholder e comunicare verso l’esterno, esiste la figura del portavoce. Lui è la voce e il volto della società in grado di interpretare i contenuti preparati dallo staff del comitato.

Di base non è necessario che sia l’amministratore delegato, il proprietario o il maggior azionista della società ad assumersi il ruolo di portavoce. Esistono però almeno un paio di eccezioni in cui viene scelto proprio l’amministratore delegato.

 In caso di eventi particolarmente gravi e rilevanti. Quando cioè la situazione impone una piena e diretta assunzione di responsabilità da parte dei vertici.

 Qualora un amministratore delegato o un presidente dispongano di una personalità rassicurante, di una capacità di chiarezza, simpatia ed empatia verso i giornalisti, di un’abilità nel parlare in televisione o partecipare a dibattiti o talk show. In questo caso è consigliabile che un manager di vertice possa anche interpretare il ruolo di portavoce.

L’efficacia di una risposta all’attacco dipende dall’abilità dei diversi elementi del comitato a lavorare in sintonia. Le persone da un lato dovranno essere capaci di mobilitarsi, e dall’altro di far circolare le informazioni così che tutti ne possano disporre per le proprie attività. Agli operativi compete l’analisi dei messaggi prima

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dell’approvazione finale, la raccolta e l’analisi delle informazioni dalle diverse aree, il reporting orario o quotidiano delle azioni svolte. Particolare importanza tra gli operativi hanno gli addetti stampa, il cui compito è di avere il contatto diretto con i giornalisti dei diversi mezzi di informazione.

L’ufficio stampa deve:

possedere una chiara e aggiornata mailing list dei giornalisti;

 conoscere come lavorano i giornalisti dei diversi mezzi d’informazione. I tempi televisivi sono diversi da quelli di un quotidiano, mentre l’aggiornamento richiesto a un magazine online è certamente più frequente di un bollettino radiofonico;

essere capace di predisporre il press kit, che contiene tutte le informazioni sull’azienda utili a rendere facile l’acquisizione di notizie da parte dei giornalisti;

 essere preciso e accurato, ma allo stesso tempo tempestivo.

Sono le prime ore dall’evento che si consolida la storia e il sentimento dell’opinione pubblica. Essere tra coloro che determinano lo storytelling è certamente un vantaggio che rende il successivo lavoro di informazione più facile.

1.4.3 La crisi e il dialogo con i media

Quando la situazione negativa emerge, è di fondamentale importanza considerare poche regole nella stesura di un piano operativo. La comunicazione si rivela l’unica arma vincente anche nella tragedia estrema.

Fin dai primi minuti iniziali, le azioni intraprese dai comunicatori possono risolvere i problemi spinosi, dar risposta in merito a comportamenti inaccettabili e creare consensi ancora prima dell’effettiva risoluzione dell’evento critico. Per assicurarsi un ascolto attento dell’opinione pubblica, l’impresa e i suoi dipendenti devono garantirsi una corretta gestione delle relazioni con i media.

Vari studiosi affermano che l’evolversi di una criticità risiede nella mente del consumatore, che affiderà alle proprie percezioni una brand image più o meno definita, associata a una reputazione che rischia di vacillare sotto i colpi delle criticità a cui si viene quotidianamente esposti. Se gli effetti si manifestano nelle idee e negli orientamenti del consumatore, tutte le persone coinvolte nel processo di gestione devono accettare il fatto che i media assumono un ruolo importante e decisivo

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nell’influenza a volte fuorviante dei cittadini. In quest’ambito di pubbliche relazioni, il monitoraggio delle variabili che determinano l’immagine societaria diventa obbligatorio: interfacciarsi con i media in modo organizzato, onesto e diretto diventa prioritario.

Tenete ben presente che i media anche i più importanti, possono sbagliare e diffondere notizie inesatte o fantasiose. Questo capita nel tentativo di rispondere alle richieste manifestate dall’opinione pubblica, la quale, desiderosa di notizie, si mette alla ricerca di fonti attendibili e aggiornamenti shock. Ogni crisis manager non dovrà dunque credere che i media conoscano tutto: è necessario raccontare come i fatti si sono svolti, evidenziando il ruolo che l’impresa ha assunto nell’evento critico.

Una relazione efficace con i media è il primo passo verso la risoluzione dei problemi ed è l’elemento essenziale di ogni piano di gestione delle crisi.

Secondo Luigi Norsa la copertura che i media riservano ad un evento critico si articola in cinque fasi:

1. Le notizie flash: prima di diventare notizia da prima pagina, breaking news, un evento si trasforma in informazione dapprima con il lancio di agenzie, poi con il rimbalzo sui quotidiani on line e sui telegiornali. In questa fase le notizie sono sintetiche, e si limitano di fatto a riportare quanto è stato appena battuto dalle agenzie di stampa. Il giornalista si limita a riportare i fatti, evitando di inserire riferimenti emozionali e la pubblicazione di questo genere di notizia è una spia fondamentale per capire che cosa sta accadendo e, prima che l’evento diventi di pubblico dominio, è necessario prendere posizione su quanto è avvenuto, offrendo la propria lettura dei fatti. Quando scoppia una crisi, infatti, le prime affermazioni, i toni utilizzatati, soprattutto quando mancano riferimenti generali circa l’accaduto, diventano elementi che possono fare la differenza, perché chi riesce ad accreditarsi come fonte autorevole, in questa fase ha più possibilità di fare passare la propria opinione e aumentare la credibilità di quanto affermato.

2. Il telegiornale della sera, la prima pagina del giorno dopo: nonostante manchino ancora molte informazioni la notizia ha cominciato a prendere una certa direzione. Sui telegiornali, i siti di informazione, la notizia ha già preso una piega sensazionale. In poche ore i giornalisti sono stati in grado di verificare l’attendibilità delle indiscrezioni, raccogliere le dichiarazioni

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ufficiali delle parti coinvolte, quantificare la portata del danno e decidere lo spazio e la posizione della notizia.

3. Cosa accade nelle successive quarantotto ore: la tempesta mediatica si è ormai scatenata, e tutti i soggetti che si ritengono coinvolti offrono la propria lettura dei fatti. Le informazioni sono ancora approssimative, e la ricostruzione degli eventi scaturisce in buona sostanza da congetture e illazioni. L’azienda non deve incorrere nell’errore di accusare i media, ma deve invece consegnare ai giornalisti corrette informazioni per riuscire ad inserirle all’interno del circolo mediatico.

4. Nelle settimane seguenti: con il passare dei giorni le notizie prendono di interesse i media, e pian piano spariscono dai giornali e telegiornali. A distanza di mesi l’argomento può di nuovo tornare in auge, nel caso ad esempio di un processo giudiziario che può essere stato generato dall’evento. 5. Negli anni seguenti: ogni volta che si verificherà un evento simile

inevitabilmente i media riproporranno immagini di quanto è accaduto in quella occasione. A seconda di come l’organizzazione ha reagito a suo tempo alla crisi, i richiami saranno più o meno positivi.

1.5 Social Media Crisis Management

1.5.1 Il nuovo contesto

I social network hanno accelerato, in maniera impressionante, la velocità con cui le informazioni si propagano in rete: i dati a riguardo sono disarmanti. Se si pensa a un evento critico, la velocità di trasmissione, l’effetto virale di determinare notizie e la facilità di utilizzo di Facebook e Twitter non fanno che complicare le sorti dell’organizzazione, rendendo più ostico il processo di gestione delle emergenze. Da ricerche empiriche emerge indiscusso un trend estremamente attuale: l’opinione pubblica, in concomitanza di eventi catastrofici e straordinari, fa ricorso ai social media che, cavalcando l’onda dell’immediatezza di condivisione, sono quasi sempre

“L’informazione è cresciuta più velocemente della cultura. In questo senso la propaganda ha più chance di prima”.

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più aggiornati dei media tradizionali. I risultati di queste dinamiche aumentano per i manager delle società le difficoltà di contenere le criticità. Verrebbe da chiedersi, come le aziende possano tutelarsi?

In primo luogo, occorre che all’interno stesso dell’organizzazione esista una serie di persone precedentemente formate pronte a utilizzare al meglio gli strumenti di monitoraggio della rete, per avere una mappatura in tempo pressoché reale dei canali digitali. Grazie al controllo, le aziende potranno così sondare le reazioni dell’opinione pubblica e i segnali rivelatori di un’eventuale criticità.

1.5.2 Preparazione e gestione di una crisi social

Prepararsi a una crisi

Le aziende devono prepararsi a gestire un’eventuale crisi sui social media per non farsi trovare impreparate ed essere subito pronte. Per tale motivo devono:

Creare un piano strategico

Aver stabilito un piano strategico a livello aziendale consentirà di agire rapidamente e con la massima efficacia ai primi segni di crisi. Invece di perdere tempo a discutere su come gestire la situazione, l’azienda potrà agire subito per evitare che la crisi vada fuori controllo. Successivamente stabilire i ruoli di ognuno in caso di crisi sui social media, dai dirigenti all’ultimo assunto, includere un elenco di chi va contattato ad ogni fase della potenziale crisi ed infine fornire delle linee guida del tipo di comunicazione che ci si aspetta dai dipendenti sui social media.

Effettuare simulazioni della crisi

È importante identificare un tipo di crisi che potrebbe avere un forte impatto sull’ attività dell’impresa e provare a seguire le varie fasi previste dal piano per risolverla. In questo modo, tutti sapranno quanto tempo ci vuole per portarlo a termine e potranno aiutare a individuare eventuali mancanze o punti deboli su cui concentrare maggior attenzione.

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Identificare una potenziale crisi

Monitorare con attenzione

Un bravo Social Media Manager o Community Manager deve sempre visionare con un occhio critico il web, ed è probabile che si accorgerà per primo di una potenziale minaccia per l’azienda.

Ecco otto elementi da monitorare costantemente per proteggere il brand sui social: - il nome dell’azienda

- i prodotti e il/i brand - i competitor

- le richieste al customer service - gli influencer

- l’Amministratore Delegato e altre figure chiave/di spicco - l’ufficio stampa o l’agenzia di PR dell’azienda

- le parole chiave legate al tuo specifico settore

Inoltre può essere utile impostare degli stream su “Hootsuite” per tenere sotto controllo specifiche keyword o hashtag che possono aiutare a identificare possibili crisi in maniera ancor più efficace.

Stabilire delle soglie di crisi

Man mano che l’azienda identifica potenziali problemi all’interno delle conversazioni social, dovrà decidere se limitarsi a tenerle sotto controllo, gestirle con risposte individuali o considerarle possibili crisi. Un modo per stabilire come procedere è fissare delle soglie di volume e sentimento delle menzioni sui social

media, abbinando ad ognuna delle azioni da intraprendere. Queste soglie dovranno

basarsi sulla mole di attività sui social generata quotidianamente dal tuo brand, e sull’aumento di volume e frequenza che possono essere indicatori di una crisi.

Mettiamo il caso di un Social Media Manager di un’azienda che ha appena lanciato una costosa campagna pubblicitaria. Ha impostato uno stream di ricerca “Hootsuite” con gli hashtag della campagna e ad un certo punto comincia a notare tweet negativi su uno degli spot. A questo punto esamina le soglie da esso stabilite per decidere come procedere:

- Meno di cinque menzioni negative all’ora: continua a monitorare attentamente. A fine giornata, compila un rapporto per i suoi manager.

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- Più di cinque menzioni negative all’ora: comincia ad assegnare i messaggi al responsabile delle PR.

- Più di dieci menzioni negative all’ora, per più di tre ore consecutive: avvisa i vertici – anche se è appena scattato il weekend in montagna e deve ricorrere a “WhatsApp” – e comincia a mettere in atto il piano per la gestione delle crisi sui social media.

Gestire una crisi social

Agire rapidamente

I social forniscono un canale attraverso cui rabbia e frustrazione si trasformano presto in indignazione di massa, a una velocità che le aziende dovrebbero essere preparate ad affrontare. Sappiamo, però, che se spesso non è così. In un webinar sul tema della gestione dei social media durante una crisi aziendale, Duncan Gallagher – che si occupa appunto di Crisis Management per la regione EMEA di Edelman, ha sottolineato che il 28% delle crisi raggiungono livelli internazionali nel giro di un’ora, ma in media le aziende impiegano ventuno ore a emettere comunicazioni pubbliche significative in propria difesa.

Non saper sfruttare la natura in tempo reale dei social media è proprio ciò che spesso fa precipitare le aziende nel pieno della crisi. I social, infatti, offrono una piattaforma pubblica che consente di reagire immediatamente alla situazione, già mentre si preparano comunicazioni più dettagliate come dichiarazioni, eventuali interviste da rilasciare o informazioni da pubblicare sul sito.

Quando la situazione è ancora incerta e necessita di approfondimenti, un semplice messaggio in cui l’azienda riconosce il problema e dichiara che fornirà ulteriori informazioni al più presto, può aiutare a limitare le reazioni negative.

Lasciare che gli utenti dicano la loro opinione, ma successivamente rispondere Come quando si discute di un problema con un amico e ogni volta che cerchi di dire la tua vieni ignorato, o peggio ancora zittito: il classico modo per trasformare un futile disaccordo in una litigata destinata a durare giorni, e magari provocare rotture più serie.

Lo stesso vale per un’azienda che deve gestire una crisi sui social media. A nessuno piace sentirsi ignorato, specialmente se in preda alla frustrazione o alla rabbia.

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Rispondere solo ai commenti positivi (o peggio, cancellare quelli negativi) serve solo a versare benzina sul fuoco. Niente di più sbagliato, insomma. Non significa che qualunque cosa venga scritta sui canali social debba per forza essere ammessa – c’è comunque la netiquette da rispettare – ma la censura non è mai il modo migliore per gestire una crisi sui social.

Inoltre, cancellando indiscriminatamente i commenti negativi, l’azienda otterrà solo che i detrattori si sposteranno altrove per continuare la loro crociata contro il suo

brand. Magari sui loro profili, o su pagine ed eventi creati appositamente (sì, accade

anche questo), e lì non potrà gestire la crisi. Quindi se il manager decide di dare risposte dirette agli utenti, si deve assicurare di essere breve e incisivo, e soprattutto di non cedere a provocazioni o scadere nella polemica. A volte con i troll e i detrattori più accaniti è un’impresa veramente difficile mantenere la calma e ponderare ogni parola preserverà dal creare danni ancora maggiori.

Dopo la prima risposta è importante che l’azienda fornisca il proprio numero di telefono, indirizzo e-mail o altri dati di contatto utili per comunicare anche fuori dai social. Così dimostrerà la trasparenza e la volontà di discuterne sia pubblicamente, sia in separata sede in modo diretto.

Gestire le comunicazioni interne

Se affrettarsi a mandare messaggi pubblici sulla crisi è importante, le comunicazioni interne con i dipendenti lo sono altrettanto, per evitare di far circolare informazioni errate o il diffondersi di voci incontrollate. Proprio per questo ciascuno, all’interno dell’organizzazione, dovrà sapere perfettamente cosa dire (e cosa no) in caso di una crisi. Qualora vi fossero messaggi da diffondere quanto più possibile sui social

media, “Hootsuite Amplify” offre un modo semplice per distribuire messaggi

aziendali già approvati ai dipendenti, che li diffonderanno tramite i propri canali

social.

Se c’è bisogno di chiedere scusa, deve essere fatto

A volte le crisi sui social nascono dal niente, altre volte i motivi ci sono eccome. Può succedere anche alle migliori aziende di commettere un errore. Se la posizione dell’azienda risulta “abbastanza indifendibile”, non bisogna però mettere in discussione una cosa fondamentale: ammettere l’errore e scusarsi con le persone direttamente interessate, e in generale con il proprio pubblico di riferimento. Non è

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mai facile trovare il modo giusto per farlo, ma sottrarsi a questa responsabilità potrebbe avere, nel lungo periodo, conseguenze ancora peggiori.

1.5.3 Errore social: “Caso Melegatti”

Nel Novembre del 2015 la Melegatti, la nota azienda produttrice di panettoni e pandori, ha portato avanti una campagna pubblicitaria sul social network Facebook scatenando moltissime polemiche e addirittura “macchiandosi” di omofobia a causa del post raffigurato qui sotto.

Immagine 1.1: Pubblicità social Melegatti

da: “La Stampa”

Il post galeotto mostrava un letto candido, due mani una maschile e una femminile che escono da sotto il piumone bianco con in mano due invitanti cornetti, con lo slogan che recitava: “Ama il prossimo tuo come te stesso...basta che sia figo e

dell'altro sesso”.

Inutile dire che, in nemmeno dodici ore, si è scatenato una vera e propria tempesta sulla società. Oltre alla slogan che potremmo definire non proprio azzeccato, il problema è stato il successivo Crisis Management messo in campo dall’azienda che si è mostrato totalmente errato con un susseguirsi di scivoloni “epici”.

Alcune ore dopo il misfatto l'azienda, dopo aver cancellato il post, ne scrive uno chiarificatore:

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