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Infezione da virus dell'epatite E nel coniglio selvatico

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea in Medicina Veterinaria

INFEZIONE DA VIRUS DELL’EPATITE E

NEL CONIGLIO SELVATICO

Tesi di Laurea di:

Giacomo Bertelloni

Relatore:

Prof. Alessandro Poli

Correlatore:

Dott. Maurizio Mazzei

Controrelatore:

Prof. Carlo Cantile

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2 A mio figlio Francesco, fonte di luce e amore.

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3

RIASSUNTO

In conigli allevati in Cina è stato recentemente isolato un nuovo ceppo di HEV e successivamente ulteriori ceppi sono stati identificati nel coniglio, in diverse aree nel mondo. Viste le forti somiglianze con il genotipo 3 di HEV, i ceppi isolati dal coniglio (rHEV) sono stati assegnati a questo genotipo. rHEV è risultato in grado di infettare primati non-umani e l’uomo, dimostrando un potere zoonotico. Allo scopo di indagare la diffusione di rHEV nella popolazione di conigli selvatici presenti in Italia, sono stati esaminati campioni di sangue, feci e fegato prelevati da 35 conigli (classificati sulla base dell’età e del genere) abbattuti nelle stagioni venatorie 2014-15 e 2017-18, nella provincia di Pisa. Trenta sieri sono risultati idonei per le indagini sierologiche e sottoposti ad un test ELISA indiretto, mentre i campioni di feci e di tessuto epatico dei 35 conigli sono stati analizzati utilizzando una nested PCR. Porzioni di fegato prelevate da questi soggetti sono state impiegate per effettuare indagini istopatologiche e di immunoistochimica, finalizzate a caratterizzare le alterazioni epatiche associate all’infezione virale. Quattordici/30 campioni di sieri (46,7%) sono risultati positivi per la presenza di anticorpi anti-HEV, mentre quattro/35 campioni di feci e tessuto epatico (11%) sono risultati positivi per la presenza di RNA virale, con un prodotto di amplificazione atteso di 347bp. Una più alta siero-prevalenza è stata rilevata nei conigli abbattuti nella stagione venatoria 2014-15 rispetto a quelli della stagione 2017/2018: tra i soggetti abbattuti nella prima stagione venatoria sono stati trovati i quattro conigli RNA-positivi. Due conigli sono risultati infetti da ceppi correlati con rHEV e due da ceppi del genotipo 3 vicini a quelli isolati nel cinghiale. Nei conigli infetti dai ceppi di rHEV le lesioni epatiche erano caratterizzate dalla presenza di megalocitosi e aree multifocali di necrosi con distribuzione pericentrolobulare, mentre nei soggetti infetti dai ceppi correlati al genotipo 3 del cinghiale le lesioni, di minore gravità, erano localizzate prevalentemente in sede periduttale e nelle aree periportali. In entrambi i casi gli infiltrati infiammatori erano prevalentemente costituiti da linfociti CD3-positivi e da un ridotto numero di cellule macrofagiche. Tutti i campioni di fegato prelevati dai conigli RNA HEV-positivi sono risultati positivi per la presenza di antigene virale nelle aree interessate dalle lesioni infiammatorie e degenerative. I risultati delle nostre indagini dimostrano come l’infezione da HEV sia presente nella popolazione di conigli selvatici presente in Italia e la possibilità che questa specie possa essere infetta

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4 da rHEV e dai genotipi di tipo 3 vicini al cinghiale. Questo conferma il potenziale ruolo zoonotico di questa specie selvatica. Ulteriori indagini sono necessarie per chiarire le vie di trasmissione del virus da questa specie all’uomo.

ABSTRACT

Recently, a new strain of HEV has been isolated in farmer rabbits in China and further strains in rabbits worldwide. Due to the strong similarities with HEV genotype 3, the rabbit strain isolated virus (rHEV) was assigned to this genotype and several studies reveal that this virus could infect non-human primates and humans, demonstrating its zoonotic potential. To study the presence of rHEV in the wild rabbit population living in Italy, blood, feces and liver samples were taken from 35 rabbits (classified according to age and gender) during the hunting seasons 2014-15 and 2017-18. Thirty sera were suitable for serological investigations and subjected to an indirect ELISA test, whereas samples of faeces and liver tissue from the 35 studied subjects were analyzed using a nested PCR. Histopathological and immunohistochemical investigations were carried out on liver tissue samples to characterize liver changes associated with virus infection. Fourteen/30 serum samples (46.7%) scored positive for the presence of anti-HEV antibodies, while 4 samples of feces and hepatic tissue were viral RNA positive, with an expected product of the amplification of 347bp. A higher sero-prevalence was detected in rabbits shotted in the 2014-15 hunting season and the four RNA-positive were found among these subjects. Two rabbits were infected with strains closely related to rHEV, while the other two strains were related to wild boar genotype 3 of HEV. In subjects infected by rHEV strains, hepatic lesions were characterized by megalocytosis and multifocal areas of hepatocytes degeneration and necrosis with a pericentrolobular distribution, while, in those infected by the strains analogous to genotype 3, the lesions, less severe, were mainly localized in the periductal and in periportal areas. In both cases inflammatory infiltrates were predominantly composed of CD3-positive lymphocytes and a reduced number of macrophage cells. All liver samples taken from HEV-positive RNA rabbits scored positive for the presence of viral antigens in areas affected by inflammatory and degenerative changes. Our results show that HEV infection is present in the wild rabbits population living in Italy and the possibility that this species may be infected with rHEV and type 3 genotypes closely related to wild boar strains. This confirms the potential zoonotic role of HEV also in this wild species. Further investigations are needed to clarify the routes of transmission of the virus from this species to humans.

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RIASSUNTO/ABSTRACT ... 3

PARTE GENERALE ... 7

CAPITOLO 1. EZIOLOGIA ... 7

1.1 Caratteristiche del virus e struttura genomica... 7

1.2 Inquadramento tassonomico ... 9

1.3 Genotipi virali: ceppi e sottotipi ... 11

CAPITOLO 2. EPIDEMIOLOGIA ... 15

2.1 Epidemiologia di HEV nell’uomo ... 15

2.2 Epidemiologia di HEV nel suino ... 20

2.3 Epidemiologia di HEV negli ungulati selvatici ... 21

2.4 Epidemiologia di HEV nel coniglio ... 23

CAPITOLO 3. PATOLOGIA E SINTOMATOLOGIA ... 27

3.1 Infezione nell’uomo ... 27

3.2 Infezione nel suino ... 30

3.3 Infezione negli ungulati selvatici... 33

3.4 Infezione nel coniglio ... 36

CAPITOLO 4. SCOPO DELLA TESI ... 40

PARTE SPERIMENTALE... 41

CAPITOLO 5. MATERIALI E METODI ... 41

5.1 Soggetti esaminati ... 41

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6

5.3 Indagine molecolare ... 44

5.4 Indagini istologiche e di immunoistochimica ... 47

CAPITOLO 6. RISULTATI ... 49

6.1 Indagine sierologica ... 50

6.2 Indagine molecolare ... 53

6.3 Indagini istologiche e di immunoistochimica ... 55

CAPITOLO 7. DISCUSSIONE... 59

7.1 Discussione ... 59

BIBLIOGRAFIA ... 62

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Parte generale

CAPITOLO 1. EZIOLOGIA

1.1 Caratteristiche del virus e struttura genomica

L’epatite E rappresenta un problema di salute pubblica a livello mondiale: l’agente eziologico dell’infezione, il virus dell’epatite E (HEV), rappresenta la causa più comune di epatite virale acuta. L’infezione da HEV è segnalata con elevata frequenza anche in Europa, in particolare quella sostenuta dal genotipo 3, dove colpisce soprattutto i maschi adulti (Lewis et al., 2010; Adlhoch et al., 2016).

HEV è un virus sferico di circa 27-34 nm di diametro con un genoma ad acido ribonucleico (RNA) a singolo filamento con polarità positiva circondato da un capside icosaedrico (Reyes et al., 1990; Kamar et al., 2012). HEV è stato identificato per la prima volta nel 1983 dalle feci di un paziente con epatite a trasmissione enterica non A-C e al microscopio elettronico è apparso come virus sprovvisto di envelope (Balayan et al., 1983). Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato come le particelle virali presenti nel sangue e nel mezzo di coltura cellulare siano provviste di un envelope (Takahashi et al., 2010; Feng et al., 2014 Qi et al., 2015; Yin et al.; 2016).

Il genoma è costituito da una molecola di RNA a singolo filamento di circa 7,2 Kb con polarità positiva (figura 1.1). La regione codificante è rappresentata da tre Open Reading Frames (ORFs) discontinue e parzialmente sovrapposte, indicate come ORF1, ORF2 e ORF3. Questa è preceduta da una corta regione non codificante (UTR untranslated region) di circa 25 nucleotidi ed è seguita da una seconda UTR più lunga (65-74 nucleotidi) e da un tratto poliadenilato all’estremità 3’ (Wang et al., 2002; Okamoto, 2007). Una ORF-4 è stata descritta solamente nel genotipo 1 (HEV-1) e viene tradotta in una proteina che aumenta l’attività della RNA polimerasi RNA dipendente (Nair et al., 2016).

La regione ORF-1 codifica per una poli-proteina che include alcune proteine non strutturali rappresentate da una metiltransferasi (Met), una cisteina proteasi papaina simile (PCP), una RNA elicasi (Hel), una RNA polimerasi RNA dipendente (RdRp) ed

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8 altre regioni non enzimatiche costituite da due domini (X e Y) e da una regione iper-variabile (HVR) (Fry et al., 1992; Rozanov et al., 1992; Magden et al., 2001).

La regione ORF2 codifica per la proteina del capside virale (PORF2), una glicoproteina strutturale formata da 599-660 amminoacidi (Okamoto, 2007).

Questa proteina è inizialmente sintetizzata come precursore e successivamente clivata in una proteina matura e glicosilata in tre siti (fenomeno frequente per le proteine dell’envelope, ma raro per una proteina del capside virale). Studi condotti in vitro hanno dimostrato che PORF2 è presente a livello intracellulare e sulla superficie cellulare (Panda et al., 2007). La PORF2 presenta 3 domini lineari: S (aa: 119-319), M (aa: 320-454) e P (aa: 320-606). Il dominio S è responsabile della formazione del capside; il dominio M si suppone che intervenga nella fase di riconoscimento del recettore cellulare; il dominio P rimane esposto all'esterno del capside ed è un possibile sito di legame per gli anticorpi (Ahmad et al., 2011). La PORF2 presenta inoltre epitopi immunogenici ed è responsabile della risposta anticorpale (Zhu et al., 2010; Zhao et al., 2013).

La regione ORF-3, di solamente 360 bp di lunghezza, codifica per una piccola proteina fosforilata (PORF3) di 113 amminoacidi che svolge la funzione di canale ionico e che è importante per il rilascio delle particelle virali dalle cellule infettate (Yamada et al., 2009; Feng and Lemon, 2014; Ding et al., 2017).

--- ORF1 ---

Figura 1.1 Rappresentazione grafica del genoma virale. Met: metiltransferasi; Y: dominio y; PCP: cisteina proteasi; HVR: regione ipervariabile; X: dominio x; Hel: elicasi; RdRp: RNA polimerasi RNA dipendente; An 3’: tratto poliadenilato. Immagine adattata da Nimgaonkaret et al., 2018. Met Y PCP HVR X Hel ORF4 ORF3 RdRp ORF2 UTR 5’ CAP UTR An3’

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1.2 Inquadramento tassonomico

La classificazione di HEV nel corso degli anni è andata incontro a numerosi cambiamenti tassonomici. La prima classificazione è avvenuta nel 1983 da parte di Balayan ed altri ricercatori che hanno collocato il virus nella famiglia Picornaviridae sulla base della morfologia delle particelle virali osservate nelle feci tramite microscopia elettronica (Balayan et al., 1983). Successivamente, in seguito al clonaggio ed al sequenziamento completo del primo ceppo (Burma strain), HEV fu inserito provvisoriamente in un genere separato della famiglia Caliciviridae, sulla base della loro somiglianza a livello di organizzazione genomica e di caratteristiche morfologiche (Tam et al., 1991). Uno studio del 2000 ha successivamente escluso HEV dalla famiglia Caliciviridae a causa delle differenze osservate nelle regioni del genoma codificanti per le proteine non strutturali elicasi e polimerasi e della presenza di un cap al posto della VPg tipica dei calicivirus a livello dell’estremità 5’ (Berke and Matson, 2000).

Attualmente HEV è classificato nella famiglia Hepeviridae (figura 1.2) che comprende due generi: Orthohepevirus e Piscihepevirus (Smith et al., 2014). La maggior parte dei ceppi di HEV identificati finora appartengono al genere Orthohepevirus, che è diviso in quattro specie (A, B, C, D) e contiene anche nuove sequenze virali isolate dall’alce svedese (Alces alces) e dal gheppio comune (Falcus tinnunculus) e dal falco rosso (Falcus vespertinus) in Ungheria (Lin et al., 2014; Reuter et al., 2016; Doceul et al., 2016).

Il genere Pischihepevirus è composto da una sola specie, Pischihepevirus A, e un solo membro, il virus della trota iridea dalla gola rossa (Oncorhynchus clarkii), che infetta i salmonidi (Batts et al., 2011).

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Figura 1.2 Albero filogenetico della famiglia Hepeviridae. Genotipi HEV non zoonotici (rosso), genotipi che includono ceppi virali isolati dall’uomo e dagli animali (blu), genotipi che infettano solo l’uomo (verde) e genotipi isolati nei cinghiali che non sono collegati a casi di infezione umana (blu a righe). Immagine tratta da Doceul et al., 2016.

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1.3 Genotipi virali: ceppi e sottotipi

La specie Orthohepevirus A comprende 7 genotipi differenti (Doceul et al., 2016). I genotipi 1 e 2 (HEV-1 e HEV-2) infettano solo l’uomo e sono associati a grandi epidemie legate all’utilizzo di acqua contaminata nelle aree tropicali e subtropicali (Doceul et al., 2016).

HEV-1 è suddiviso in sei sottotipi (1a, 1b, 1c, 1d, 1e, 1f) e comprende ceppi virali con una identità nucleotidica variabile dall’ 88,5% al 94,0% che sono stati isolati principalmente in Asia, Africa e Messico (Smith et al., 2016; Zehender et. al., 2014). HEV-2 è diviso in 2 sottotipi (2a e 2b) ed è formato da ceppi virali che sono stati isolati in America Centrale (Messico) ed Africa (Tchad e Nigeria) (Huang et al., 1992; Buisson et al., 2000; Nicand et al., 2005).

Il genotipo 3 (HEV-3) rappresenta quello più documentato nel database del National Center for Biotechnology Information (Genbank, NCBI). La maggior parte delle sequenze sono state isolate da uomo, suini e cinghiali. HEV-3 è diviso in 10 sottotipi (3a, 3b, 3C, 3d, 3e, 3f, 3g, 3h, 3i e 3j) e due clades (3abchij e 3efg), con una identità nucleotidica dal 78,8% all’ 82,5%. HEV-3 include anche alcuni ceppi non ancora assegnati a nessun sottotipo e HEV del coniglio (rHEV), che è stato classificato nel sottotipo/clade 3ra (Oliveira-Filho et al., 2013; Ijaz et al., 2014; Vina-Rodriguez et al., 2015; Smith et al., 2015; Smith et al., 2016) (figura1.3).

Il clade 3abchij può essere separato in due subclades (3abj e 3chi), che condividono un’identità nucleotidica dall’ 81,2% all’ 85,3% (Vina-Rodriguez et al., 2015). I ceppi virali presenti nel subclade 3abj presentano una identità nucleotidica superiore all’ 83,7% e sono stati isolati in Asia, Europa e Nord America, mentre quelli presenti nel subclade 3chi hanno una identità nucleotidica compresa tra 84,7% e 96,45% e sono stati isolati in Francia, Germania e Mongolia (Doceul et al., 2016).

Il clade 3efg include tre sottotipi (3e, 3f, 3g), con una identità nucleotidica compresa tra 82,7% e 90,7%, e tre sottotipi non ancora assegnati. I sottotipi 3e e 3f sono stati isolati principalmente in Asia e Europa (Bouquet et al., 2011; Lhomme et al., 2015), mentre il sottotipo 3g è rappresentato da una sola sequenza genomica completa isolata in Kirgizstan (Asia centrale) (Doceul et al., 2016).

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12 Il sottotipo 3ra (rHEV) contiene ceppi virali che hanno una identità nucleotidica con gli altri sottotipi HEV-3 compresa tra 73% e 80% e forma un clade distinto (clade 3ra) all’interno del genotipo 3 (Smith et al., 2014). Questo sottotipo comprende ceppi virali isolati dal coniglio e dall’uomo, caratterizzati dalla presenza di un’inserzione di 93 nucleotidi a livello del dominio X di ORF1 (Izopet et al., 2012; Doceul et al., 2016; Abravanel et al., 2017).

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13 Il genotipo 4 (HEV-4) è stato trovato principalmente in Asia e presenta una identità nucleotidica compresa tra 71,8% e 77,4% con gli altri genotipi. HEV-4 è diviso in nove sottotipi (4a, 4b, 4c, 4d, 4e, 4f, 4g, 4h, 4g) isolati soprattutto da maiale, cinghiale e uomo. HEV-4 è stato trovato anche nel bovino, pecora e capra in Cina (Wu et al., 2015; Huang et al., 2016). Sono necessarie ulteriori indagini per verificare se queste specie siano reservoirs di HEV-4 o ospiti accidentali.

I genotipi 5 e 6 (HEV-5, HEV-6) sono stati isolati solo da cinghiali selvatici in Giappone e classificati nei sottotipi 5a e 6a. Essi mostrano una identità nucleotidica compresa tra 71,6% e 77,4% con gli altri genotipi e finora non è stata trovata alcuna infezione umana associata a questi genotipi (Takahashi et al., 2011; Doceul et al., 2016) Il genotipo 7 (HEV-7) è costituito da due sequenze complete isolate dal dromedario (Camelus dromedarius) (Woo et al., 2014) e da una sequenza parziale, priva della maggior parte di ORF3, isolata da un paziente umano sottoposto a trapianto epatico che consumava regolarmente carne e latte di dromedario (Lee et al., 2016). HEV-7 presenta una identità nucleotidica compresa tra 72,6% e 76,1% con gli altri genotipi.

Recentemente un probabile nuovo genotipo (HEV-8) è stato identificato in Cina in 3 campioni fecali provenienti da cammelli (Camelus bactrianus), su un totale di 305 analizzati (Woo et al., 2016).

La specie Orthohepevirus B comprende 4 differenti genotipi che sono stati isolati dal pollo in differenti paesi nel mondo (Huang et al., 2004; Bilic et al., 2009; Hsu et al., 2014). Orthohepevirus B presenta una identità nucleotidica compresa tra 51,5% e 55,0% con le altre specie di Orthohepevirus.

La specie Orthohepevirus C presenta una identità nucleotidica compresa tra 51,7% e 60,6% con le altre specie Orthohepevirus. Attualmente comprende 2 genotipi (C1 e C2). Il genotipo C1 include i ceppi virali isolati dal ratto (Rattus norvegicus) (Johne et al., 2010) e alcuni ceppi con sequenza incompleta isolati da piccoli marsupiali onnivori (Bandicoot) e dal toporagno muschiato asiatico (Suncus murinus) (Guan et al., 2013; Li et al., 2013). L’analisi filogenetica delle sequenze genomiche complete disponibili mostra tre differenti clusters che potrebbero costituire tre possibili sottotipi. Il genotipo C2 è costituito da ceppi isolati da visone (Mustela lutreola) e furetto (Mustela putorius) (Krog et al., 2013; Smith et al., 2014).

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14 La specie Orthohepevirus D comprende ceppi virali isolati solamente da pipistrelli. Finora sono disponibili tre sequenze complete con un genoma di 6,8 Kb (Drexler et al., 2012). Orthohepevirus D presenta una identità nucleotidica compresa tra 52,8% e 56,1% con le altre specie Orthohepevirus. L’analisi filogenetica eseguita con sequenze parziali isolate da numerosi paesi ha mostrato una grande diversità all’interno della stessa specie, suggerendo l’ipotesi di potere distinguere diversi genotipi (Drexler et al., 2012).

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CAPITOLO 2. EPIDEMIOLOGIA

2.1 Epidemiologia di HEV nell’uomo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che ogni anno nel mondo si verificano circa 20 milioni di casi di infezione da HEV, che causano circa 3,3 milioni di casi sintomatici e oltre 50.000 decessi (Forni et al., 2018; WHO, 2016). In molte aree sono state riscontrate evidenze sierologiche di una precedente esposizione al virus, con tassi di siero-prevalenza più elevati (percentuale di persone che risultano positive agli anticorpi IgG anti HEV) in regioni con standard di igiene più bassi e quindi un rischio più elevato di trasmissione (WHO, 2016).

In base alla distribuzione geografica e alla prevalenza della malattia, è possibile riconoscere due distinti pattern epidemiologici di infezione da HEV nell’uomo: i genotipi 1 e 2, prevalenti nei paesi in via di sviluppo, sono responsabili per la malattia dovuta all’inquinamento fecale delle acque potabili; mentre i genotipi 3 e 4, prevalenti nei paesi industrializzati, producono infezioni zoonotiche di origine alimentare (Ahmed et al., 2015; Perez-Gracia et al., 2015; Guerra et al., 2017; Forni et al., 2018; Nimgaonkar et al., 2018).

L’epatite E è altamente endemica in Asia orientale e meridionale, Africa, Medio Oriente e Messico (Kamar et al., 2017). Il genotipo 1 è responsabile della maggior parte dei casi endemici di epatite E in Asia, e il genotipo 2 è prevalente in America centrale e in Africa (Nan et al., 2016) (Figura 2.1). In questi paesi in via di sviluppo, a causa della mancanza di test diagnostici di routine e della doppia infezione con il virus dell’epatite A (HAV), è difficile stimare la vera prevalenza dell’epatite E; alcuni hanno riportato una prevalenza del 50% (Ahmed et al., 2015; Nan et al., 2016).

Le principali epidemie di epatite E documentate sono di seguito elencate in ordine cronologico (Wong et al., 1980; Scotto et al., 2013; Wu et al., 2016):

• Nuova Delhi, India (30.000 casi) nel 1955-1956; • Myanmar, Asia (20.000 casi) nel 1976-1977; • Kashmir, India (52.000 casi) nel 1978-1982; • Xinjiang, Cina (120.000 casi) nel 1986-1988; • Repubblica Somala, (11.759) casi nel 1988-1989;

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16 • Kanpur, India (79.000 casi) nel 1991;

• Kitgum, Uganda (10.356 casi) nel 2007-2009.

Figura 2.1 Distribuzione dei diversi genotipi HEV a livello mondiale. Immagine tratta da Kamar et al., 2017.

Si tratta di paesi con limitato accesso a servizi igienico-sanitari; l’infezione viene acquisita prevalentemente attraverso la via oro-fecale ed è associata a un tasso di mortalità eccezionalmente elevato durante la gravidanza (Ahmed et al., 2015; WHO, 2016; Mauceri et al., 2018).

L’infezione da HEV1 o HEV2 si verifica spesso come epidemie relative alla contaminazione delle forniture di acqua potabile, di solito a seguito di forti piogge o inondazioni (Kamar et al., 2017). Alcuni di questi focolai si sono verificati in aree di conflitto ed emergenze umanitarie (WHO, 2016). Le epidemie si verificano principalmente durante i mesi estivi, quando il flusso d’acqua ridotto nei fiumi porta ad un aumento della contaminazione fecale (Kamar et al., 2017). La trasmissione da persona a persona di HEV1 o HEV2 è infrequente sia in ambiente sporadico che epidemico (Kamar et al., 2017). Per motivi ancora non chiari, questa malattia colpisce

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17 prevalentemente i maschi di età compresa tra 15 e 30 anni ed è rara nei bambini di età inferiore ai 10 anni (Ahmed et al., 2015).

L’HEV, ritenuta in passato come un’infezione limitata ai paesi poveri, è ora riconosciuta come malattia con una distribuzione geografica molto più diffusa, colpendo anche aree geografiche altamente industrializzate (Scotto et al., 2013; Ahmed et al., 2015; Nan et al., 2016). In Nord America, Europa occidentale e Giappone, la malattia si verifica in modo sporadico; la maggior parte delle infezioni HEV1 viene diagnosticata in soggetti recatisi in paesi dove l’HEV è endemica, anche se un numero crescente di casi sono stati identificati in pazienti senza storia di recente viaggio nei paesi a rischio (Scotto et al., 2013; Nan et al., 2016; Kamar et al., 2017; Pischke et al., 2017). I principali fattori di rischio per contrarre HEV3 o HEV4 sono il diretto contatto con animali infetti o l’ingestione di prodotti alimentari contaminati, come ad esempio carne cruda (WHO, 2016; Nan et al., 2016; Kamar et al., 2017).

In alcune aree asiatiche (come Giappone, Taiwan, Corea del Sud e Hong Kong), lo schema della malattia assomiglia a quello delle regioni sviluppate ed è caratterizzato da infezione da HEV3 o HEV4 trasmessa attraverso serbatoi animali. Inoltre, negli ultimi decenni la Cina è passata dall’avere un modello ad alta endemia con frequenti epidemie causate da HEV1 a uno schema a bassa endemia con casi sporadici di infezione da HEV4. Questa tendenza è probabilmente la conseguenza di miglioramenti nei servizi igienico-sanitari (Dai et al., 2013). La malattia come conseguenza dell’infezione da HEV4 è ora osservata più comunemente negli uomini cinesi di mezza età (Kamar et al., 2017).

In Europa, le stime di sieroprevalenza dell’HEV nella popolazione generale sono comprese tra 7,5% e 31,9%, con un tasso medio del 19,2%; i tassi aumentano con l’età (Mauceri et al., 2018).

L’epatite E è iper-endemica nel sud-ovest della Francia, con tassi di siero-prevalenza superiori al 50% (Hartl et al., 2016); è endemica nel nord della Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Germania dove il 10-30% delle persone mostra un’evidenza sierologica di una precedente esposizione a HEV (Kamar et al., 2017). Si stimano annualmente 68.000 infezioni HEV in Francia, 100.000 nel Regno Unito e 300.000 in Germania (Kamar et al., 2017).

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18 Un’ indagine epidemiologica eseguita in 30 paesi europei ha evidenziato che il numero di casi di infezione da HEV è aumentato da 514 nel 2005 a 5.617 nel 2015, con la maggior parte delle infezioni acquisite localmente (Aspinall et al., 2017). Inoltre, in Francia ogni anno si registrano 545 ospedalizzazioni e 18 decessi a causa dell’HEV (Adlhoch et al., 2016; Kamar et al., 2017). La più recente epidemia segnalata è avvenuta in Francia nel 2013 causata dal consumo di fegato crudo di suino; 12 casi erano asintomatici tra i 17 casi infetti dal genotipo HEV3 (Wu et al., 2016).

In Italia, alcuni studi condotti negli anni ‘90 hanno riportato una prevalenza di anticorpi HEV nell’uomo pari a 1-3% nell’Italia centro-settentrionale e 3-6% nell’Italia Meridionale e Isole. Il numero effettivo di casi di infezione acuta segnalati all’Istituto Superiore di Sanità è relativamente basso; il che può essere spiegato dall’elevata presenza di infezioni subcliniche (Zuccaro et al., 2012).

Nel periodo 2007-2010, sono stati segnalati 60 casi di infezione acuta da HEV: la maggior parte dei casi si è verificata tra persone di età compresa tra 25-34 anni e 35-54 anni (35% e 33% dei casi, rispettivamente). L’88% delle persone infette erano maschi e il 57% proveniva dall’Italia centrale. Il 42% erano cittadini italiani; i casi rimanenti sono stati diagnosticati in persone provenienti dal Bangladesh, India, Pakistan e Marocco (Zuccaro et al., 2012). La Figura 2.2 mostra la frequenza (%) dei fattori di rischio riportati da persone affette nel periodo 2007-2010. Il consumo di molluschi e il viaggio in aree endemiche sono i fattori di rischio più frequentemente riportati (Zuccaro et al., 2012).

Nel Sud Italia, è stato condotto uno studio prospettico, nel 2010-2011, per valutare la siero-prevalenza di HEV in una coorte di 1.217 soggetti, dei quali 412 erano immigrati dall’Africa (età media 28) arrivati da poco in Italia (<2 mesi) e 805 italiani (donatori di sangue, popolazione generale, pazienti co-infetti con HIV, pazienti in emodialisi). La prevalenza di sieropositività IgG anti HEV era di 19,7% negli immigrati e di 3,9% negli italiani (Scotto et al., 2014). Un totale di 107 (8,8%) campioni di siero esaminati erano reattivi per anticorpi anti-HEV totali. In 38 (35,5%) pazienti sono stati riscontrati anticorpi anti-HEV di tipo IgM; la maggior parte di questi (34 casi) erano immigrati. Queste infezioni sono state ricondotte, quasi esclusivamente, ad un viaggio in paesi ad alta endemia e/o immigrazione nuova o di ritorno, anche se alcuni casi sono stati osservati in individui autoctoni senza precedenti di situazioni a rischi (Scotto et al., 2013; Lapa et al., 2015).

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19 Figura 2.2 Fattori di rischio di casi di epatite E notificati in Italia (SEIEVA 2007-2010) Immagine tratta da Zuccaro et al., 2012.

Secondo il primo studio sulla prevalenza nazionale fatto su oltre diecimila campioni da donatori di sangue di tutta Italia, risulta che quasi una persona su dieci (8,6% dei campioni) possiede gli anticorpi contro l’epatite E, segno di un precedente contatto col virus. Il dato ha una grande variabilità sia regionale che all’interno delle singole regioni: la prevalenza minore è stata trovata in Basilicata, con il 2,2%, un decimo di quella dell’Abruzzo, che è risultata del 22,2%. In generale le regioni dell’Italia centrale (Abruzzo, Marche, Lazio, Toscana e Umbria) e la Sardegna hanno mostrato la prevalenza maggiore, dovuta probabilmente al consumo maggiore di carne cruda di maiale, ad esempio le salsicce di fegato che diversi studi hanno indicato come possibile veicolo. In nessuno dei campioni è stato invece trovato il virus attivo e capace di replicarsi (ISS, 2017).

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2.2 Epidemiologia di HEV nel suino

Nei Paesi industrializzati, il numero crescente di casi autoctoni di epatite E causati da infezioni sostenute dai genotipi 3 e 4 sono stati messi in relazione al contatto diretto o indiretto con suini, cinghiali o cervi infetti (Di Bartolo et al., 2014).

Nel 1997, negli Stati Uniti è stato identificato il primo ceppo suino di HEV (swHEV) correlato a ceppi umani autoctoni (Meng et al., 1997). Sono stati poi condotti diversi studi descrittivi sulla prevalenza dell’HEV in allevamenti di suini in tutto il mondo. La natura delle informazioni raccolte è molto diversa: rilevamento di diverse classi di anticorpi IgG anti HEV e talvolta IgM e/o IgA e rilevamento dell’RNA virale mediante RT-PCR in campioni di siero, feci di singoli suini o liquami, o fegato di maiale proveniente dai negozi di alimentari (Pavio et al., 2010).

Diversi ceppi appartenenti ai genotipi 3 e 4 di HEV sono stati isolati in Nord America e America centrale, Asia, Europa, Africa, Nuova Zelanda e Australia (Ruggieri et al., 2013; Salines et al., 2017).

Nei suini europei il tasso di siero-prevalenza anti HEV varia dal 20% a oltre 80%, come è stato documentato in Spagna, Gran Bretagna, Grecia, Paesi Bassi e Italia (Marcato et al., 2007).

In Italia la presenza e la diffusione di HEV3 è stata dimostrata sia in allevamenti suinicoli, sia in animali selvatici (La Rosa et al., 2016). Secondo una ricerca sulla presenza di HEV in campioni collettivi di feci raccolti da allevamenti suini toscani e piemontesi, si è identificato il genoma virale in suinetti di 2-6 mesi di età in 20 campioni provenienti da 9 allevamenti (in un totale di 20) (Zoccola et al., 2007; Marcato et al., 2007).

Nel periodo 2012-2013, sono stati esaminati 57 allevamenti suini nel Nord Italia sieropositivi. RNA virale è stato identificato in 17 allevamenti. L’analisi filogenetica ha dimostrato che distinti sottotipi di genotipo 3 circolavano nel nord-est dell’Italia. Inoltre, per la prima volta nella popolazione suina italiana, è stato identificato il genotipo 4 ed attribuito al sottotipo d (Monne et al., 2015).

L’effettiva circolazione di HEV nelle popolazioni suinicole è stata dimostrata più recentemente in reflui di allevamenti suinicoli del nord Italia, raccolti nel 2015 da 10 allevamenti (La Rosa et al., 2016). Il 79% dei campioni è risultato positivo per HEV e

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21 le sequenze sono state caratterizzate come genotipo 3, sottotipo 3f, ad eccezione di un campione, che non è stato possibile caratterizzare mediante BLAST e analisi filogenetica e che potrebbe pertanto rappresentare un nuovo sottotipo (La Rosa et al., 2016).

Mughini-Gras et al. (2017) hanno testato 2700 sieri di 300 allevamenti di suini del Nord Italia determinando una siero-prevalenza del 75%.

A livello individuale, nei suini di 6 mesi di età, la siero-prevalenza media varia molto da studio a studio: 56% dei suini HEV positivi in Giappone (Takahashi et al., 2005); 23% in Argentina (Munne et al., 2006); 81% in Brasile (Guimaraes et al., 2005) e il 51% nel Laos (Blacksell et al., 2007).

2.3 Epidemiologia di HEV negli ungulati selvatici

Martelli e colleghihanno valutato la prevalenza di HEV in una popolazione selvatica di cinghiali presente nel Parco regionale dei Gessi Bolognesi. Sono stati inoltre esaminati i possibili fattori di rischio associati all’infezione e le correlazioni genetiche esistenti tra i ceppi identificati e altri ceppi umani e suini. Il genoma virale, ricercato su campioni di bile da 88 animali abbattuti nel periodo marzo-settembre 2006, è stato identificato in 22/88 animali esaminati (25%) (Martelli et al., 2008).

In uno studio di sorveglianza di HEV effettuato nelle popolazioni di cinghiali presenti sul territorio Ligure nel periodo 2013-2015 sono stati raccolti 2150 campioni di fegato di cinghiali provenienti dalle 4 province della Regione Liguria (Imperia, Savona, Genova e La Spezia). L’RNA di HEV è stato rilevato nel 3,9% (17/430) dei pool di fegati di cinghiali testati. Tutte le province liguri sono risultate positive per HEV con le seguenti prevalenze: 2,8% (2/70) a Imperia, 5.1% (9/176) a Savona, 1,8% (2/108) a Genova e 2,6% (2/76) a La Spezia. Il sequenziamento genico e l’analisi filogenetica hanno permesso di identificare i campioni positivi come appartenenti al genotipo 3, sottotipo 3e, 3a, 3c e 3f (Serracca et al., 2016). Questi risultati sono in linea con quelli di un altro studio condotto sulle popolazioni di cinghiale del Piemonte dove è emersa una prevalenza del 3,7% (Caruso et al., 2015) mentre in altre regioni italiane troviamo il 9,4% in Toscana (Mazzei et al., 2015), il 25% in Emilia Romagna (Martelli et al., 2008) e tra il 33,5% nella regione Lazio (Montagnaro et al., 2015). Le prevalenze

(22)

22 riportate in altri paesi Europei variano molto e arrivano fino al 68% (Serracca et al., 2016).

Alcuni autori ipotizzano che tali differenze possano essere attribuite sia ai diversi habitat dove vivono le popolazioni di cinghiali sia alla diversa densità delle popolazioni nelle diverse zone, sia alla possibilità di contatto con suini nei quali l’infezione è ampiamente diffusa (Martinelli et al., 2015).

Aprea et al. (2018) hanno valutato la prevalenza di HEV nei cinghiali del Sud Italia (Abruzzo, Campania e Calabria) cacciati durante la stagione 2015-2016, allo scopo di fornire maggiori dati per la valutazione di una prevalenza nazionale complessiva. Sono stati raccolti 291 campioni di fegato di cinghiale. La prevalenza media di HEV nelle tre regioni del sud Italia indagate è risultata del 13,7% (40/291), con valori del 20,14% (29/144) per l’Abruzzo e del 12,36% (11/88) per la Campania. In Calabria, nessuno degli animali (0/59) è risultato positivo per HEV. Nove campioni abruzzesi e 4 campioni campani risultati positivi alla RT-PCR sono stati sottoposti a sequenziamento. Tutti i ceppi appartenevano al genotipo 3, considerato zoonotico e quindi in grado di infettare l’uomo.

Nel 2003 ceppi di HEV isolati dal cervo sono stati responsabili di focolai di epatite E nell’uomo in seguito al consumo di carne consumata cruda o poco cotta (Tei et al., 2003).

In Giappone sono stati rilevati Ab anti HEV nel 2% di 117 cervi selvatici (cervo Sika, Cervus nippon) (Sonoda et al., 2004) e nel 35% dei cervi Yezo (Cervus nipponyesoensis) (Tomiyama et al., 2009).

È stata riscontrata una sieroprevalenza anticorpale del 5% (Cervus elaphus) in Olanda (Rutjes et al., 2010); del 6,67% in Lituania (Spancerniene et al., 2018); dell’8,8% (cervo dalla coda bianca), 4,5% (cervo mulo) e 3,2% (caribù) in Canada (Weger et al., 2017); del 2% (Cervus elaphus) in Germania (Neumann et al., 2016); del 12,85% (Cervus elaphus) in Spagna (Kukielka et al., 2016).

Un gruppo di ricercatori italiani ha valutato la presenza di HEV in una popolazione di cervi dell’Appennino tosco-emiliano: 200 sieri, raccolti tra il 2007 e il 2010 da altrettanti animali abbattuti nell’ambito di piani di controllo della specie, sono stati esaminati per la ricerca di anticorpi anti-HEV. Per la ricerca del genoma virale sono stati esaminati 91 sieri scelti in modo casuale. Complessivamente, il 13,5% dei

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23 campioni sono risultati positivi al test ELISA utilizzato. La presenza dell’RNA virale è stata rilevata in 10 dei 91 sieri selezionati (11%). L’esame di due sequenze ha confermato la presenza di HEV di genotipo 3 (Di Bartolo et al., 2017).

2.4 Epidemiologia di HEV nel coniglio

Il virus dell’epatite E nel coniglio (rHEV) è stato isolato per la prima volta nel 2009 nella provincia di Gansu, in Cina. Sono stati rilevati Ab anti HEV e RNA-HEV in campioni sierici di conigli allevati: i tassi di positività erano del 57% (191/335) e del 6,9% (23/335), rispettivamente. I ceppi identificati erano strettamente correlati tra loro mentre, se comparati con gli altri genotipi di HEV noti, presentavano rispettivamente il 73-77%, 70-76%, 75-82%, 71-77%, 53-65% di identità nucleotidica con i genotipi 1, 2, 3, 4 ed avian HEV (Zhao et al., 2009). Da allora, molti altri studi hanno dimostrato che in Cina il coniglio è un importante serbatoio di HEV, secondo solo al maiale (Syed et al., 2018).

Nel 2011, un studio ha riportato la presenza di un ceppo diverso di rHEV in campioni fecali di conigli Rex a Pechino. I tassi di rilevamento di Ab anti HEV e RNA-HEV fecale erano 54,6% (65/119) e il 7,0% (8/115), rispettivamente. La rilevazione dell’RNA del virus nei campioni fecali indicava la possibilità di trasmissione oro-fecale di rHEV da coniglio a coniglio o ad altre specie animali (Geng et al., 2011a).

Un’indagine su larga scala ha coinvolto 10 contee in Cina e un numero totale di 1094 campioni di siero sono stati raccolti da varie razze di conigli. Il 15,4% è risultato positivo per Ab anti HEV e il 2,01% positivo per RNA-HEV. Il tasso di infezione stimato variava dal 3,0% al 53,4% (Geng et al., 2011b; Wang et al., 2018).

La più alta prevalenza di Ab anti HEV (57%) e RNA-HEV (72%) è stata osservata in Mongolia, in uno studio che ha coinvolto 211 conigli Rex di 4 mesi di età (Jirintai et al., 2012).

Recenti studi hanno rilevato la presenza di Ab anti HEV e RNA-HEV in conigli SPF in Cina: una siero-prevalenza del 7,5% (25/332) e del 72,5% (58/80) e una prevalenza di RNA-HEV del 4,8% (16/332) e del 46,15% (24/52) a Pechino e a Shaanxi, rispettivamente (Wang et al., 2016; Liu et al., 2017).

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24 La presenza di rHEV è stata ulteriormente confermata da studi su conigli selvatici e allevati negli Stati Uniti e in Francia. In Virginia sono stati rilevati Ab anti HEV nel 36% (31/85) dei campioni sierici di conigli locali. L’RNA-HEV è stato rilevato nel 16,5% (14/85) dei campioni sierici e nel 15,3% (13/85) dei campioni fecali. Anche in questo caso, le analisi di sequenza hanno mostrato che l’HEV dei conigli era strettamente correlato al genotipo 3 (Cossaboom et al., 2011).

Izopet et al. (2012) hanno analizzato la bile, il fegato e altri campioni prelevati da conigli d’allevamento e selvatici in Francia. L’RNA di HEV è stato identificato nel 7% (14/200) dei campioni di bile dei conigli d’allevamento (raccolti nel 2009) e nel 23% (47/205) dei campioni epatici dei conigli selvatici (raccolti nel 2007-2010). Il sequenziamento genetico ha indicato che tutti i ceppi dei conigli appartenevano allo stesso clade (sequenze nucleotidiche identiche per il 72,2%-78,2% ai genotipi 1-4 di HEV). Il sequenziamento dei ceppi umani, rilevati nei campioni sierici di pazienti che avevano ricevuto una diagnosi di epatite E dal Dipartimento di virologia dell’Ospedale Universitario di Tolosa, ha evidenziato un ceppo umano strettamente correlato ai ceppi dei conigli (Izopet et al., 2012; Lhomme et al., 2013).

Nel 2017 il Centro di Referenza Nazionale Francese, analizzando 919 ceppi di HEV provenienti da pazienti immunocompetenti (80%) e immunodepressi (20%), ha rilevato 5 sottotipi 3ra di HEV3, confermando che rHEV è capace di infettare l’uomo (Abravanel et al., 2017).

In Italia è stato segnalato un singolo caso di rHEV nel fegato di un coniglio domestico. L’albero filogenetico ha mostrato che il ceppo HEV identificato era strettamente correlato a una sequenza di HEV umana (TLS-18516-umana, GenBank No: JQ013793) isolata da un paziente francese (Caruso et al., 2015).

Un sondaggio sierologico condotto in Italia tra il 2013-2014 su conigli di allevamento e conigli da compagnia ha rilevato una sieroprevalenza di anticorpi IgG anti HEV del 3,4% in 206 conigli allevati e del 6,5% in 122 conigli domestici. In nessuno dei campioni sieropositivi è stato rilevato, tramite real-time RT-PCR, RNA di HEV, confermando che non era presente viremia in presenza di IgG. Solo un campione di siero di un coniglio allevato era positivo per IgM, ma in esso non è stato rilevato RNA-HEV. Anche le feci dei conigli da compagnia sono state testate per RNA-HEV, con risultati negativi (Di Bartolo et al., 2016).

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25 In Germania uno studio retrospettivo effettuato su 13 campioni sierici di conigli selvatici abbattuti nel 1989 nei pressi della città di Greifswald ha rilevato la presenza di Ab anti HEV in 4 campioni; inoltre è stato isolato un ceppo di rHEV che ha mostrato una sequenza molto vicina alle sequenze dei ceppi di rHEV presenti in Francia (Eiden et al., 2016).

In un altro studio in Germania sono stati testati campioni epatici ed ematici di 164 conigli selvatici provenienti da sei Stati federati. Si è osservata una siero-prevalenza del 37,3% nei conigli selvatici e il 17,1% dei campioni era positivo per RNA-HEV. L’analisi delle sequenze dei ceppi di HEV isolati dai conigli ha rivelato che appartenevano al sottotipo 3ra di HEV3. Inoltre, una sequenza del coniglio apparteneva al sottotipo 3g di HEV3. Confrontando le aree urbane, rurali e insulari, la maggiore prevalenza è stata osservata nei conigli selvatici delle aree rurali (Hammerschmidt et al., 2017).

Alcuni studi condotti nei Paesi Bassi, Corea e Canada hanno riferito una prevalenza di RNA-HEV nelle popolazioni di conigli locali variabile dallo 0,9% al 60% (Burt et al., 2016; Ahn et al., 2017a; Xie et al., 2017).

La prevalenza complessiva di HEV nei conigli in tutto il mondo è riassunta in Figura 2.3. Finora sono stati segnalati ceppi di rabbit HEV in 8 Paesi; il virus è in grado di indurre infezione in più razze di coniglio e appare ampiamente diffuso nel Mondo (Wang et al., 2018).

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26 Paese Regione Pubblicazione Coniglio Specie Campione

Anti-HEV % HEV-RNA% Cina

Gansu Zhao et al.,

2009 Rex siero 57.30 7.50

Beijing Geng et al., 2011a Rex siero e feci 54.62 6.96 Jilin Geng et al., 2011b Rex siero 9.42 0

Beijing New Zealand

white 42.1 1.9 Hebei Rex 7.3 1.3 Shanxi Japanese white, chinchilla 7.7 1.9 Hubei Rex 53.4 11.6 Zhejiang Rex 10.7 0 Guangxi Rex 3.03 0 Inner Mongolia Jirintai et al., 2012 Rex siero 57.30 a 71.60

Beijing Wang et al., 2016 laboratorio siero e feci 7.5 4.8 Shaanxi Liu et al., 2017 laboratorio siero e feci 72.5 46.15 USA Virginia Cossaboom et al., 2011 multiple siero e feci 36.50a 22.0

Francia Ovest Izopet et al., 2012 selvatici allevati

bile (all.) fegato

(sel.)

NA 23 (sel.) 7 (all.)

Italia

Piemonte Caruso et al., 2015 compagnia siero e fegato NA NA Multiple Di Bartolo et

al., 2016 compagnia allevati siero e feci 3.4 6.5 0

Germania

Greifswaldb Eiden et al.,

2016 selvatici siero 31 7.7

Multiple Hammerschmidt et al., 2017

lepre

selvatici siero e feci 37.3 2.2 17.1 0 Olanda Multiple Burt et al., 2016 compagnia selvatici fegato feci e NA 23 60

Corea Multiple Ahn et al.,

2017a allevati feci NA 6.4

Canada Ontario Xie et al., 2017 commerciali compagnia feci NA 5 0.9 a. IgG anti HEV

b. Lo studio pubblicato nel 2015 con i campioni testati raccolti nel 1989 Abbreviazioni: NA, non applicato; all., allevati; sel., selvatici

Figura 2.3 La prevalenza di anticorpi anti-HEV e RNA-HEV nei conigli in tutto il mondo. Immagine tratta e adattata da Wang et al., 2018

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27

CAPITOLO 3. PATOLOGIA E SINTOMATOLOGIA

3.1 Infezione nell’uomo

La patogenesi dell’epatite E è poco conosciuta. Le vie e i meccanismi con i quali HEV raggiunge il fegato non sono stati ancora chiariti. Una volta nel fegato, il virus replica nel citoplasma degli epatociti, si accumula nella bile ed è quindi escreto attraverso le feci. La viremia inizia quando il virus è già rilevabile nel fegato (Lhomme et al., 2016). Una volta che i pazienti hanno sviluppato l’immunità contro il virus, l’infezione viene eliminata. Tuttavia, la reinfezione è possibile, anche se la probabilità di sviluppo sintomatico è più bassa durante le infezioni successive (Kamar et al., 2017).

Sebbene si tratti di un virus epatotropo, esperimenti di immunoistochimica indicano che la replicazione potrebbe avvenire anche in altri tessuti come il tratto gastrointestinale, rene, sistema nervoso centrale e placenta (Kamar et al., 2017).

Il danno al fegato indotto dall’infezione sembra essere immuno-mediato da cellule T citotossiche e da cellule natural killer (NK) (Lhomme et al., 2016).

Nelle aree geografiche ad alta endemia, è frequente la super-infezione da HEV in pazienti con preesistente epatopatia cronica, ad eziologia virale o non, talora silente fino al momento dell’ulteriore infezione, con conseguente rischio elevato di esito sfavorevole della malattia (Scotto et al., 2013).

L’infezione da HEV è clinicamente indistinguibile dall’infezione dal virus dell’epatite A ed è associata con una mortalità dell’1-2% in pazienti immunocompetenti (Pavio et al., 2010; Nimgaonkar et al., 2018).

Il decorso e la presentazione clinica dell’epatite E sono altamente variabili e i meccanismi precisi che determinano i diversi risultati clinici sono solo parzialmente compresi (Perez-Gracia et al., 2015; Guerra et al., 2017). Fattori virali (genotipo e dose dell’inoculo) e fattori dell’ospite (età, precedente malattia al fegato, gravidanza e polimorfismi genetici) contribuiscono a determinare il decorso dell’infezione (Wedemeyer et al., 2013; Perez-Gracia et al., 2015).

Nella maggior parte dei casi, l’epatite E si manifesta come epatite acuta auto-limitante (Murali et al., 2015; Lhomme et al., 2016; Guerra et al., 2017; Nimgaonkar et al., 2018). Generalmente, HEV ha un periodo di incubazione di 2-8 settimane (Pavio et al.,

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28 2010; Nan et al., 2016). I sintomi iniziali dell’epatite E acuta sono aspecifici (mialgia, artralgia e debolezza). Dopo questa breve fase prodromica, compaiono sintomi quali vomito, nausea, prurito, feci non colorate, urina scura, dolore addominale e ittero che potrebbe durare da alcuni giorni a diverse settimane, accompagnati da aumentati livelli di transaminasi epatiche, bilirubina, fosfatasi alcalina e γ-glutamiltransferasi (Nan et al., 2016; Kamar et al., 2017; Nimgaonkar et al., 2018). L’ittero e i sintomi associati spesso si risolvono spontaneamente dopo alcuni giorni o settimane (fase di convalescenza) (Kamar et al., 2017). L’escrezione fecale del virus inizia circa 5 giorni prima dell’itterizia e regredisce all’inizio della fase di ittero, entro 2 o 3 settimane (Pavio et al., 2010). In pazienti immunocompetenti l’epatite acuta di solito si risolve spontaneamente senza la necessità di terapie antivirali (Kamar et al., 2017).

Infezioni da HEV asintomatiche e subcliniche, documentate in diverse regioni geografiche, sono comuni sia in caso di trasmissione epidemica che sporadica (Krain et al., 2014).

Le donne in gravidanza sviluppano una malattia molto più grave con prognosi riservata. La mortalità in questi casi è molto alta (fino al 25%), si verifica soprattutto nel terzo trimestre, ed è causata da complicanze ostetriche, come eclampsia, emorragia e aborti spontanei e intrauterini (Perez-Gracia et al., 2015; Lhomme et al., 2016; Nimgaonkar et al., 2018). L’insufficienza epatica fulminante (FHF), caratterizzata da necrosi massiva degli epatociti e grave insufficienza epatica, in genere fatale, si è più frequentemente manifestata (22,2%) in gravidanza rispetto a quanto osservato in donne non gravide (0%) o negli uomini (2,8%) (Scotto et al., 2013). In uno studio condotto in Bangladesh, è stato osservato che il 19-25% di tutti i decessi materni e il 7-13% di tutti i neonati morti era associato ad ittero. Inoltre, il 58% dei decessi nelle donne in gravidanza con malattia epatica era associata all’HEV (Gurley et al., 2012). La trasmissione materno-fetale della malattia si verifica nel 33,3% delle gravidanze (Chaudhry et al., 2015).

Non si conosce esattamente il motivo dell’aumento della virulenza di HEV nelle donne in gravidanza, ma potrebbe essere correlato a cambiamenti ormonali (estrogeni e progesterone) e/o immunologici, inclusa la down-regolation del NF-κB (fattore di trascrizione) e lo shift dell’omeostasi dei linfociti T helper-1/T helper-2 verso Th2 (Perez-Gracia et al., 2015; Nimgaonkar et al., 2018). Un recente studio ha dimostrato

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29 che HEV si replica nella placenta, il che potrebbe spiegare l’alto tasso di mortalità materno e del feto (Bose et al., 2014).

I genotipi HEV 3 e 4 possono causare malattia cronica persistente con rapida progressione a cirrosi in soggetti immunocompromessi (trapiantati d’organi, pazienti trattati con chemioterapia e persone con infezione da HIV) (Geng et al., 2014; Clemente-Casares et al., 2016; Kamar et al., 2017; Guerra et al., 2017; Nimgaonkar et al., 2018). L’infezione cronica da HEV è definita come la persistenza del rilevamento dell’HEV-RNA per più di sei mesi che potrebbe portare a cirrosi (Lapa et al., 2015). Nei pazienti trapiantati, il decorso cronico porta ad aumenti persistenti dei livelli di alanina aminotransferasi, modificazioni istopatologiche significative ed in alcuni casi fibrosi. Per la prima volta nel 2008, uno studio francese ha descritto una coorte di 14 soggetti sottoposti a trapianto d’organo solido (fegato, rene e pancreas) in trattamento immunosoppressivo, ai quali è stata diagnosticata un’infezione acuta da HEV di origine zoonotica (Scotto et al., 2013). L’utilizzo di farmaci immunosoppressori, quali Tacrolimus o Ciclosporina, è associato alla persistenza dell’HEV in pazienti sottoposti a interventi chirurgici (Nimgaonkar et al., 2018).

Le manifestazioni extra-epatiche dell’epatite E possono verificarsi sia in fase acuta che cronica (Tabella 3.1). Tra queste, le complicazioni neurologiche sono le più comuni (Woolson et al.,2014; Murali et al., 2015; Khuroo et al., Guerra et al., 2017; Kamar et al., 2017; EFSA ,2017).

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30 Manifestazioni extra-epatiche di epatite E

Neurologiche

sindrome piramidale, atassia, miopatia prossimale, encefalite, disfunzione cognitiva, polineuropatia demielinizzante, neuropatia periferica, sindrome di Guillain-Barré, paralisi di Bell, mielite trasversa acuta, meningite acuta

Renali glomerulonefrite membranoproliferativa, nefropatia a depositi di IgA (IgAN), crioglobulinemia

Reumatologiche artralgia, mialgia, eruzione cutanea Pancreatiche pancreatite acuta

Ematologiche trombocitopenia, anemia aplastica

Tabella 3.1. Manifestazioni extra-epatiche di epatite E. Immagine tratta e adattata da Guerra et al., 2017.

3.2 Infezione nel suino

Si ritiene che la principale via di trasmissione sia quella oro-fecale. Non è stata dimostrata trasmissione verticale (Proietto et al., 2016; Salines et al., 2017). In analogia a quanto riportato per l’uomo, non è ancora chiaro in che modo il virus, una volta penetrato nel suino, raggiunga il fegato né quali siano i siti iniziali di replicazione (Clemente-Casares et al., 2016).

L’infezione sperimentale per via orale nel suino è stata dimostrata da Kasorndorkbua et al. nel 2004, evidenziando come siano necessarie ripetute esposizioni ed elevate dosi d’inoculo perché si verifichi con successo l’infezione. Tuttavia, Lombardi et al. nel 2008, hanno dimostrato l’efficacia della trasmissione per via orale, ottenendo attraverso questa via, l’infezione sperimentale del 100% degli animali impiegati (4 suinetti SPF di tre mesi di vita, 25 kg circa) (Luppi et al., 2008).

Il decorso naturale dell’epatite E nei suini comporta l’infezione a circa 8-12 settimane di età in coincidenza con il declino degli anticorpi materni assorbiti attraverso il colostro, con una viremia generalmente di breve durata, da 1-2 settimane, seguita da un periodo più prolungato di eliminazione virale nelle feci. L’infezione da swHEV nel

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31 suino è quindi autolimitante e di breve durata (De Deus et al., 2008; Pavio et al., 2010; Salines et al., 2017) (Figura 3.2).

Figura 3.2 Evoluzione dell’infezione naturale da HEV nel suino. Cinetica della sieroconversione: Ab materni anti-HEV (blu scuro), IgM anti-HEV (verde), IgG anti-HEV (azzurro) e escrezione fecale di HEV (rosso) nei suini infetti. Immagine tratta da Pavio et al., 2010.

Indagini virologiche eseguite per la ricerca di HEV da feci suine hanno evidenziato la presenza del virus soprattutto in animali di 2-5 mesi d’età, mentre in genere animali sopra i 6-8 mesi di vita sono virologicamente negativi e sierologicamente positivi (Luppi et al., 2008).

Nel suino HEV è causa di una infezione che decorre in forma sub-clinica, senza che si osservino variazioni dei parametri biochimico-clinici e con scarse o assenti lesioni macroscopiche apprezzabili (Tang et al., 2016; EFSA, 2017).

Decorre di regola in forma asintomatica ed è rilevabile solo istologicamente. Nei suini infettati naturalmente o sperimentalmente con HEV, non è evidenziabile un aumento del livello degli enzimi epatici o della bilirubina. L’ingrossamento lieve o moderato dei linfonodi epatici e mesenterici è l’unica osservazione possibile alla necroscopia. L’esame istologico mostra un’epatite multifocale linfoplasmocitaria e istiocitaria da lieve a moderata, degenerazione vacuolare e rigonfiamento degli epatociti, necrosi e apoptosi in singoli epatociti. La positività immunoistochimica per l’antigene HEV può

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32 essere evidenziata in un numero variabile di epatociti in diversi lobuli (Marcato et al., 2007; Meng et al., 1997) (Figura 3.3).

Figura 3.3 Sezioni di fegato da un maialino infetto A) Epatite linfoplasmocitaria multifocale (frecce) (×10); B) Foci di necrosi epatocellulare (freccia) e infiammazione linfoplasmocitaria (×400). Immagine tratta da Meng et al., 1997.

I siti extraepatici di replicazione sono stati identificati e comprendono l’intestino tenue, il colon e i linfonodi epatici e mesenterici. L’RNA-HEV è stato rilevato in: stomaco, rene, ghiandole salivari, tonsille, polmoni e muscoli di suini inoculati per via endovenosa (Proietto et al., 2016; EFSA, 2017).

Solamente Lee et al. (2007) hanno accennato al reperto di piccoli foci giallognoli sparsi sulla superficie del fegato di suini infetti allevati nell’Isola di Jeju (Sud Corea).

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3.3 Infezione negli ungulati selvatici

La patogenesi dell’epatite E negli ungulati selvatici è stata studiata molto poco.

Schlosser et al. (2014) hanno inoculato per via endovenosa un ceppo di HEV3 derivato dal cinghiale (sw-HEV3) in quattro cinghiali selvatici e in quattro suini nani per indagare la patogenesi. Tutti i cinghiali inoculati non hanno mostrato un aumento significativo della temperatura corporea; solamente due hanno sviluppato segni clinici moderati come lieve depressione, leggera diarrea e lieve anoressia e hanno mostrato un aumento dei livelli sierici di acidi biliari e gamma-GT. Due cinghiali hanno mostrato sieroconversione dopo 17 giorni dall’infezione, mentre gli altri due non hanno presentato sieroconversione durante i 28 giorni di osservazione.

HEV RNA è stato trovato nelle feci di tutti i cinghiali: nei soggetti sieronegativi rimaneva a livelli elevati fino alla fine dell’esperimento, mentre in quelli sieropositivi mostrava una marcata riduzione alla fine. RNA virale è stato rilevato nel fegato, cistifellea, cieco, colon e milza di tutti i soggetti e anche nel cervello, muscolo e utero. In nessuno dei cinghiali sono state rilevate alterazioni macroscopiche epatiche specifiche per HEV; in alcuni animali sono stati osservati alterazioni macroscopiche come iperplasia follicolare dei tessuti linfoidi del grosso intestino e lieve iperplasia dei linfonodi epatici. Nei cinghiali inoculati sono state inoltre osservate a livello epatico delle lesioni intralobulari variabili per dimensioni, patterns e frequenza associate a una distribuzione variabile degli antigeni virali. Tramite immunoistochimica è stato infatti rilevato che gli antigeni virali sono presenti soprattutto nelle cellule di Kupffer e nelle cellule endoteliali sinusoidali epatiche, e in misura minore negli epatociti.

Un gruppo di ricercatori italiani (Nardini et al., 2014) ha valutato la prevalenza virologica e sierologica nella popolazione di cinghiali della provincia di Pisa, analizzando campioni di siero, feci e fegato da 64 cinghiali (Sus scrofa) abbattuti nell’ambito dei piani di controllo, classificati per sesso e classe di età. Le feci sono state analizzate con una nested RT-PCR per rilevare RNA di HEV, prima in pool e identificando successivamente i soggetti positivi. I sieri sono stati analizzati con un ELISA indiretta commerciale. I campioni di fegato sono stati analizzati con tecniche istologiche e di immunoistochimica per la valutazione delle lesioni associate a HEV e per la localizzazione dell’antigene virale. Trentasei (56,2%) campioni di sieri sono risultati positivi per Ab-HEV, mentre sei (9,4%) campioni fecali sono risultati

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virus-34 positivi. Una maggiore sieroprevalenza è stata riscontrata negli adulti con nessuna differenza tra i sessi. Le lesioni istologiche epatiche dei cinghiali HEV RT-PCR positivi erano caratterizzate da un grado variabile di infiltrazione linfocitaria periduttale e lobulare, a volte associata a vacuolizzazione degli epatociti e necrosi epatica a singole cellule. Le indagini immunoistochimiche hanno rilevato che gli infiltrati infiammatori erano costituiti prevalentemente da linfociti CD3-positivi, e che l’antigene virale era localizzato nelle cellule di Kupffer, negli epatociti attorno agli infiltrati infiammatori ed occasionalmente in infiltrazioni linfocitarie. Come accade per i suini, anche i cinghiali infetti da HEV erano tutti in buone condizioni fisiche senza differenze significative nei parametri biometrici registrati. Ciò significa che anche in questo caso, l’infezione HEV può essere subclinica, rendendo difficile l’identificazione di soggetti infetti (Nardini et al., 2014).

I cinghiali RT-PCR positivi sono stati rilevati in ogni classe di età. La presenza di due soggetti adulti ancora positivi per RNA di HEV conferma il fatto che i cinghiali si possano infettare anche in età adulta (Martelli et al., 2008), in contrasto con i dati ottenuti nei suini domestici dove l’infezione da HEV è generalmente autolimitante (Meng et al., 1998).

Più recentemente, Risalde et al. (2017) hanno studiato i meccanismi patogenetici dell’epatite E in 58 cinghiali provenienti da cinque diverse aree di caccia dell’Andalusia. HEV è stato rilevato mediante Real time RT-PCR nel tessuto epatico di 4 dei cinghiali esaminati e solo uno di questi era anche HEV positivo nel siero. Gli anticorpi contro HEV sono stati rilevati in 3 cinghiali su 58 animali. Non è stato rilevato nessun cambiamento patologico specifico nei fegati dei cinghiali naturalmente infetti, se non la presenza di infiltrati mononucleari (Figura 3.4A e B). In uno di essi erano presenti anche lievi segni di necrosi. Uno di questi animali aveva un alto grado di congestione nei sinusoidi epatici (Figura 3.4C).

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35 Figura 3.4 Lesioni istopatologiche in cinghiali naturalmente infetti dal virus dell’epatite E. 1A: fegato con aggregati linfoplasmatici lievi intralobulari nel parenchima epatico; 1B: fegato con lievi infiltrazioni linfocitarie perilobulari (frecce); 1C: congestione epatica. Immagine tratta da Risalde et al., 2017.

Gli antigeni virali sono stati individuati nel tessuto epatico dei 4 animali con HEV, principalmente nelle cellule di Kupffer e nelle cellule endoteliali sinusoidali del fegato, non associati a lesioni epatiche (Risalde et al., 2017).

L’evidenza più importante di questo studio è stata la scoperta di HEV nel fegato di cinghiali naturalmente infetti in assenza di RNA virale nel siero. Questo infatti determina la possibilità di consumo di fegato infetto di animali diagnosticati come HEV negativi nel siero.

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3.4 Infezione nel coniglio

Ma et al. (2010) hanno condotto il primo studio per caratterizzare il decorso clinico dell’infezione HEV nei conigli. Quarantadue conigli SPF sono stati divisi in 11 gruppi e inoculati per via endovenosa con dosi diverse di sei differenti ceppi di rHEV, isolati da campioni sierici di conigli allevati nella provincia di Gansu (Cina), e con ceppi umani di HEV-1 e HEV-4. I conigli inoculati con rHEV hanno mostrato viremia, eliminazione fecale del virus ed elevati livelli sierici di ALT, indicativi di un recente danno epatico e di infezione acuta. Nessuno dei conigli inoculati con HEV-1 e solo 2 dei 9 inoculati con HEV-4 hanno sviluppato segni di epatite. Inoltre 6 dei 9 conigli inoculati con HEV-1 e tutti quelli inoculati con HEV-4 hanno mostrato sieroconversione, con presenza di anticorpi IgG anti-HEV da 14 settimane dopo l’inoculo. Durante lo studio non sono stati osservati segni clinici, come diarrea e ittero; alcuni conigli hanno ridotto l’assunzione di cibo. L’esame istologico del fegato ha mostrato infiltrati linfocitari multifocali e zone di necrosi epatocellulare (Figura 3.5).

Figura 3.5 Segni patologici di infezione da HEV in sezioni di fegato di coniglio colorate con ematossilina ed eosina. (A-B) sezioni di fegato, estesa necrosi epatocellulare localizzata (×10 e ×20). (C) sezione di fegato, infiltrati linfocitari multifocali distribuiti irregolarmente (×20). (D) sezione di fegato da un coniglio di controllo che non mostra segni patologici visibili di infezione da HEV (×20). Immagine tratta da Ma et al., 2010.

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37 La patogenesi di rHEV nei conigli è simile all’infezione acuta da HEV osservata nell’uomo, con eliminazione fecale dell’RNA virale, viremia, sieroconversione, cambiamenti istopatologici evidenti e livelli elevati di ALT, anche se è richiesta la somministrazione intravenosa di alte dosi di virus. Questi dati suggeriscono che il coniglio potrebbe essere usato come modello di infezione acuta da HEV (Cheng et al., 2012; Wang et al., 2018).

Han et al. (2014) hanno osservato, in conigli SPF infettati sperimentalmente con rHEV (CHN-BJ-rb14), una viremia intermittente, evidenti alterazioni di ALT e AST e una persistente eliminazione fecale virale durante i 9 mesi dello studio. L’esame istologico del fegato mostrava infiltrazione di cellule infiammatorie croniche ed evidente fibrosi portale, che indicava la cronicizzazione dell’infezione nei conigli. Inoltre, la rilevazione di entrambi i filamenti (positivo e negativo) dell’RNA-HEV e degli antigeni HEV nel cervello, nello stomaco, nel duodeno e nel rene nei conigli ha confermato la replicazione del virus anche nei tessuti extraepatici (Figura 3.6) (Han et al., 2014; Mao et al., 2014).

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38 Figura 3.6 Istologia di tessuti extraepatici di conigli infettati con 1mL di rHEV (ceppo CHN-BJ-rb14). (A) Risultato negativo per HEV Ag in sezioni di tessuto extraepatico dai conigli del gruppo di controllo. (B-E) Risultati positivi per HEV Ag nel cervello, stomaco, duodeno e rene. (F) Sezione del duodeno da un coniglio del gruppo di controllo senza segni patologici visibili di infiammazione. (G) Infiltrazione di linfociti nella mucosa duodenale. (H) Sezione renale da coniglio di controllo senza segni patologici visibili di infezione da HEV. (I) Infiltrazione multifocale con linfociti e cellule mononucleate nell’interstizio renale. Immagine tratta da Han et al., 2014.

Per determinare gli effetti dell’infezione da HEV durante la gravidanza, Xia et al. (2015) hanno infettato sei coniglie gravide (PR) e sei coniglie non gravide (NPR) con rHEV (CHNBJ-R14). Sono stati eseguiti test per HEV-RNA mediante RT-PCR, per anticorpi anti-HEV mediante ELISA e per antigeni HEV tramite immunoistochimica e istopatologia. Due dei sei animali infetti hanno subito un aborto e 3 di loro sono morti. La causa è stata probabilmente la grave necrosi epatica causata dall’infezione da HEV. In tutti i conigli l’escrezione virale si è verificata 3 giorni dopo l’inoculazione, con viremia persistente o transitoria. Sono stati osservati elevati livelli di alanina amino transferasi (ALT) e aspartato amino transferasi (AST). Inoltre è stato riscontrato che la

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39 trasmissione verticale era associata alla replicazione dell’HEV nella placenta, indicata dalla presenza dell’HEV-RNA e dell’antigene nella placenta delle coniglie gravide. Questi risultati suggeriscono quindi che l’infezione da HEV potrebbe portare a esiti avversi in gravidanza e trasmissione verticale.

Anche Ahn et al. (2017b) hanno condotto un esperimento su coniglie gravide infettate con due diverse dosi 103-106 GE/mL di rHEV (KOR-Rb-1 appartenente al genotipo 3), a due settimane di gestazione. Il virus è stato identificato nel siero, nelle feci e nel tessuto epatico dei conigli infetti. L’intensità dell’infiammazione e dei segnali immunoistochimici aumentavano in maniera dose-dipendente. Il tasso di mortalità fetale era compreso tra il 67% e l’80%. Si sono registrati valori elevati di TNF-α (fattore di necrosi tumorale), IFN-γ (interferone-γ) e AST (aspartato transaminasi), che nelle donne incinte sono fortemente associati ad un aumento dei tassi di epatite acuta nella madre e morte fetale.

Gli studi descritti precedentemente suggeriscono come il coniglio possa essere utilizzato come modello animale per lo studio della patogenesi dell’epatite E acuta e cronica. (Wang et al., 2018). Recenti studi tuttavia hanno mostrato come conigli SPF potessero essere naturalmente infettati da rHEV (Wang et al., 2016; Liu et al., 2017; Birke et al., 2014).

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CAPITOLO 4. SCOPO DELLA TESI

Studi epidemiologici e virologici condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che l’epatite E deve essere considerata una zoonosi emergente.

Il suino, il cinghiale, il cervo e il coniglio rappresentano dei reservoirs naturali di HEV; numerosi studi hanno messo in evidenza la possibilità di trasmissione del virus da questi animali all’uomo.

Lo scopo di questa tesi è stato quello di indagare la diffusione dell’infezione da HEV in conigli selvatici, attraverso la ricerca di anticorpi specifici, RNA virale e delle lesioni istologiche indotte dal virus. Le indagini sono state condotte su una popolazione di conigli selvatici abbattuti durante la normale attività venatoria nell’Azienda Faunistico Venatoria di Torre a Cenaia, Cenaia (Pisa). La presenza del virus negli epatociti è stata inoltre evidenziata attraverso indagini di immunoistochimica, mediante anticorpi specifici anti-HEV. Gli infiltrati infiammatori rilevati nei fegati infetti sono stati caratterizzati utilizzando anticorpi specifici per le diverse sottopopolazioni cellulari (linfociti T, B e macrofagi).

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