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I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo. Tutto ciò che io conosco è ciò per cui ho delle parole.
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Sommario
Introduzione ... 5
Parte I ... 7
Capitolo 1 ... 7
Linguistica Acquisizionale e Linguistica Educativa nell’apprendimento del lessico ... 7
Introduzione ... 7
1.1 Che cos’è la Linguistica Acquisizionale: definizione e cenni storici ... 8
1.2 Che cos’è la Linguistica Educativa: definizione e cenni storici .. 11
1.3 Linguistica Acquisizionale e Linguistica Educativa: un confronto ... 14
Capitolo 2 ... 16
Il Nuovo Vocabolario di Base, pilastro portante della ricerca lessicale ... 16
2.1 Gli usi del lessico ... 16
2.2 Il Vocabolario di Base: cenni storici e definizione ... 18
2.2.1 Come si compone il Vocabolario di Base ... 19
2.3 Il Nuovo Vocabolario di Base: cenni storici e composizione ... 20
2.4 Il Nuovo Vocabolario di Base nel lessico italiano parlato da stranieri (LIPS) ... 23
Capitolo 3 ... 27
Lessico: insegnarlo e apprenderlo ... 27
3.1 Come avviene l’apprendimento del lessico ... 27
3.2 Conoscere una parola: dal punto di vista di chi apprende ... 29
3.3 Insegnare una parola: dal punto di vista dell’insegnante ... 34
3.3.1 Insegnamento e incremento della conoscenza lessicale: alcuni spunti di riflessione ... 37
Capitolo 4 ... 40
Tipologie didattiche sul lessico per adulti apprendenti di italiano L2 ... 40
4.1 Evoluzione del metodo didattico: breve introduzione ... 40
4.2 Possibili tipologie di attività per sviluppare la competenza lessicale ... 41
3
4.2.1 Ascolto ... 42
4.2.2 Lettura e comprensione... 44
4.2.3 Produzione scritta ... 47
4.2.4 Produzione orale ... 48
4.3 In che modo il lessico viene promosso tra gli apprendenti di italiano L2 nei manuali ... 49
Parte II ... 52
Capitolo 5 ... 52
Analisi dei manuali didattici ... 52
Introduzione ... 52
5.1 “Rete! 2” Guerra Edizioni ... 54
Introduzione ... 54
5.1.1 “Syllabus 1” Guerra Edizioni... 68
Introduzione ... 68
5.2 “Arrivederci! 3” Edilingua ... 78
Introduzione ... 78
5.2.1 “Nuovo progetto italiano 2” Edilingua ... 85
Introduzione ... 85
5.3 “Nuovo contatto B1” Loescher-Bonacci ... 96
Introduzione ... 96
5.3.1 “Spazio Italia” Loescher-Bonacci ... 106
Introduzione ... 106
5.4 “Chiaro!B1” Alma Edizioni ... 115
Introduzione ... 115
5.4.1 “Espresso 3” Alma Edizioni... 123
Introduzione ... 123
5.5 “La mia classe” Le Monnier-Mondadori ... 131
Introduzione ... 131
5.5.1 “Nuovo affresco italiano 3” Le Monnier-Mondadori ... 143
Introduzione ... 143
5.6 Sintesi dell’analisi dei manuali ... 157
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Ringraziamenti ... 167 Bibliografia ... 168 Sitografia ... 171
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Introduzione
L’interesse da parte della scrivente su come avvenga l’apprendimento e l’incremento lessicale è iniziato già durante il liceo linguistico e portato avanti con gli studi universitari.
Il lessico è risultato sempre come l’aspetto più impegnativo di una lingua seconda (L2) poiché, se per la grammatica era sufficiente qualche ora di studio e di esercizio pratico sui manuali, il lessico richiedeva sempre un impegno maggiore, difficilmente quantificabile da parte della scrivente. Nonostante gli sforzi, la sensazione che restava alla fine di un percorso di studi era sempre quella di non conoscere sufficienti parole per esprimersi in modo chiaro.
Il motivo per cui l’incremento lessicale richiedesse maggior tempo poteva dipendere da molti fattori: l’efficacia o meno delle proposte didattiche dei manuali, il metodo seguito dagli insegnanti di lingue, tra i quali c’era chi prediligeva l’insegnamento del lessico tramite memorizzazione meccanica, chi la scrittura di nuovi vocaboli sul quaderno, altri consigliavano di leggere molti libri in lingua straniera (extensive reading), altri ancora invece proponevano la visione di almeno un film a settimana e così via, l’importante era essere sempre sottoposti a input della lingua oggetto di studio anche al di fuori del contesto scolastico.
Alla luce di queste riflessioni, quantificare e qualificare il lessico da imparare rimanevano sempre due aspetti poco chiari alla scrivente.
Queste esperienze sono state uno stimolo e un motivo per approfondire questo ambito della Linguistica Educativa, pertanto si è scelto di concentrare l’elaborato sull’analisi di dieci manuali (selezionati a campione) utilizzati nelle classi di italiano L2 di livello intermedio B1, analizzando quanto lessico del Nuovo Vocabolario di Base (De Mauro, 2016) venga effettivamente proposto negli esercizi dedicati all’apprendimento e all’incremento lessicale.
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La tesi si presenta suddivisa in due parti: la prima parte è prettamente teorica e descrittiva mentre la seconda parte presenta l’analisi dei manuali.
Nel primo capitolo, dopo una breve introduzione, vengono descritte le due discipline che si occupano anche dell’aspetto lessicale di una lingua: la Linguistica Acquisizionale e la Linguistica Educativa e se ne propone un confronto.
Nel secondo capitolo, entrando più nel vivo dell’elaborato, vengono presentati il Vocabolario di Base (VdB) e il Nuovo Vocabolario di Base (NVdB), sia fornendo alcuni cenni storici, che spiegandone la composizione. Vengono riportati alcuni dati sulle percentuali di lessico del NVdB negli usi nel parlato e nello scritto di chi apprende l’italiano come lingua seconda (L2) e di come sia un riferimento importante per chi insegna.
Nel terzo capitolo viene poi introdotto come avviene l’apprendimento del lessico in base agli studi fatti fino ad ora. Vengono presentate le varie metodologie di apprendimento e insegnamento del lessico, sia dal punto di vista dello studente, che dal punto di vista dell’insegnante.
Nel quarto ed ultimo capitolo di questa prima parte, dopo aver illustrato brevemente l’evoluzione del metodo di insegnamento del lessico, si descrivono le tipologie di attività didattiche generalmente adottate nei manuali e dagli insegnanti per insegnare e incrementare il lessico. Le attività didattiche, suddivise per competenza (ascolto, lettura, produzione scritta e orale), vengono commentate in base alla loro funzione e risultato.
Nella seconda parte, cuore della tesi, vengono prese in esame le proposte didattiche dedicate allo studio del lessico presente nelle attività di dieci manuali (due per ogni casa editrice) selezionati a campione.
Viene verificato se il lessico utilizzato nei suddetti sia quello presente nel Nuovo Vocabolario di Base e se sì, in che misura affinché si possa creare un momento di riflessione e sia possibile dare alcuni spunti agli autori dei manuali su cui insegnanti e studenti lavorano ogni giorno.
Nelle conclusioni vengono presentati i risultati ottenuti dall’analisi presentata nell’ultimo capitolo, con relativo commento.
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Parte I
Capitolo 1
Linguistica Acquisizionale e Linguistica Educativa
nell’apprendimento del lessico
Introduzione
Il lessico, ovvero l’insieme di parole che sono effettivamente presenti in una lingua, ha di per sé un carattere incrementale, ovvero può essere acquisito per gradi e il suo continuo incremento non può mai essere considerato concluso1.
A causa dei molteplici significati che una parola può avere e i diversi contesti in cui può essere collocata, il processo di acquisizione e apprendimento risulta molto difficile, così come accertare il numero di parole conosciute oppure calcolare quanto sia esteso il vocabolario individuale.
Sappiamo che l’incremento lessicale può avvenire in modo spontaneo o in apprendimento.
Quando parliamo di acquisizione spontanea facciamo riferimento alla Linguistica Acquisizionale ovvero a una disciplina prettamente teorica che elabora teorie e principi universali, o meglio quelle tappe fisse che accompagnano l’apprendimento di una L2, sulle quali è tuttavia possibile interferire attraverso l’insegnamento (Long 1988: 135).
Quando invece parliamo di apprendimento ci rifacciamo alla Linguistica Educativa, scienza del linguaggio, che si occupa della didattica e dell’ apprendimento. Si parla dunque di un’acquisizione della lingua non più spontaneo ma guidato attraverso i materiali didattici, l’interazione col docente e la comunicazione attiva con gli altri apprendenti, a questi si vanno ad
1Ferreri, S., L’alfabetizzazione lessicale. Studi di Linguistica Educativa, Aracne Editrice, Roma, 2005, pp. 11-12.
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aggiungere tutti gli input esterni che hanno a che fare con la società in cui si vive, i mezzi di comunicazione a disposizione e così via2.
“Il processo di acquisizione lessicale consiste nel costruire un sistema
concettuale, tramite i processi di categorizzazione della realtà circostante, cui corrisponde un sistema lessicale che va progressivamente arricchendosi, con un incremento esponenziale nei primi anni di vita e molto significativo negli anni di scolarizzazione”3.
Possiamo definire la Linguistica Educativa un continuum della Linguistica Acquisizionale, in quanto è difficile dividere in modo netto le due discipline, o meglio capire dove finisca una e inizi l’altra.
L’acquisizione e l’apprendimento non son altro che due processi che, contaminandosi tra loro, portano a fare propria una data lingua4.
In questo capitolo andremo a definire cosa siano la Linguistica Acquisizionale e Linguistica Educativa e come operino nel processo di acquisizione/apprendimento di una L2 e del suo lessico.
1.1 Che cos’è la Linguistica Acquisizionale: definizione e cenni storici
“Linguistica Acquisizionale (in ambito anglofono: second language
acquisition): studio dei processi e dei fattori di acquisizione di una lingua seconda/L2, cioè di una lingua appresa in età successiva alla lingua primaria/L1 o lingua materna da parte di un individuo, cioè a un’età ca. maggiore di 3 anni5”.
2Gallina, F., L’apprendimento/insegnamento del lessico e l’educazione linguistica, in Coppola, D. (a cura di), “Educazione linguistica e insegnamento”, Edizioni ETS, Pisa, 2019, pp. 173-198.
3ibid.
4Ferreri, S., Linguistica educativa e educazione linguistica: tra acquisizione e apprendimento, Sette Città, 2010
5Definizione dal sito: http://www00.unibg.it/dati/corsi/13111/79382-MAL_1718_01_Linguistica_acquisizionale.pdf.
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La Linguistica Acquisizionale spiega sia il processo di apprendimento che i fattori che lo condizionano, come spiega Chini, si configura come una disciplina teorico-esplicativa oltre che empirico-descrittiva6.
Nonostante l’acquisizione di altre lingue, oltre a quella nativa, risalga probabilmente alla nascita delle prime comunità linguistiche, in cui i membri delle varie comunità venivano a contatto tra loro, i primi studi di questo fenomeno si hanno solo dalla seconda metà del Novecento7.
L’origine dello studio dell’apprendimento di L2, sorge nella glottodidattica anglosassone negli anni Cinquanta-Sessanta e acquisisce piena dignità scientifica a partire dagli anni Settanta.
Inizialmente questa disciplina si fa strada tra due filoni strutturalisti: il primo con Weinrich (1974) che, nonostante si occupasse più di bilinguismo, elabora il concetto di “interferenza” (intesa come deviazione a diversi livelli: fonologico, sintattico, lessicale ecc.) che è alla base degli studi di acquisizione di L2; il secondo filone con Lado (1957) che pratica una forma di studio detta “analisi contrastiva”, secondo la quale, partendo da un confronto tra L1 e L2 sia dal punto di vista strutturalista che comportamentista, cerca di prevedere quali siano le difficoltà che può incontrare un parlante di una L1 durante l’apprendimento di una L28.
Una svolta si ha con Chomsky che nel 1959 propone una nuova visione dell’apprendimento di L1 che si distacca da quella comportamentistica di Skinner (1957), infatti secondo Chomsky un bambino che apprende una L1 non procede solo per imitazione ma propone anche parole ed enunciati ex
novo (processo creativo).
Gli studi di Chomsky sono fondamentali per due motivi: in primis spingono i ricercatori ad approfondire il processo di formazione della competenza linguistica, prima in L1 e poi in L2, sostenendo l’idea di un dispositivo innato di acquisizione del linguaggio (Language Acquisition Device, LAD) che entra in gioco ogni volta che si apprende una lingua e probabilmente anche
6Chini, M., Che cos’è la linguistica acquisizionale, Carocci Editore, Roma, 2012, pp. 9-10. 7ivi, p. 19.
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durante l’apprendimento di una L29, e poi perché viene posta attenzione sulle
produzioni “imperfette” degli apprendenti di L1 (nel caso studiato da Chomsky) che adesso sono viste come delle grammatiche provvisorie che vengono continuamente modificate dall’apprendente.
L’interesse per la lingua inizia alla fine degli anni Sessanta, grazie ai lavori di Piter Corder, che sposta e applica questi studi fatti sulla L1 verso la L2, mostrando interesse per la lingua degli apprendenti e vedendola come una varietà linguistica dotata di una grammatica e di regole che si evidenziano proprio attraverso gli errori sistematici degli apprendenti.
Corder diventa precursore di un metodo che negli anni Sessanta e Settanta prende il nome di “analisi degli errori”. Si va così confermando anche per la L2 quanto aveva teorizzato Chomsky per la L1.
Questa nuova impostazione degli studi sull’acquisizione ha portato alla creazione dell’etichetta “interlingua” (Selinker, 1972), che indica la lingua degli apprendenti, diventando oggetto di studio autonomo10.
Negli ultimi anni, la Linguistica Acquisizionale ha preso campo andando a coinvolgere sempre più lingue, compreso l’italiano a partire dalla metà degli anni Ottanta.
È diventata, progressivamente, una disciplina indipendente dalla glottodidattica, focalizzandosi sull’aspetto acquisizionale, sulla natura del linguaggio, gli universali e le categorie linguistiche e orientando talvolta la ricerca proprio sull’interlingua, considerandola una varietà linguistica dotata di principi ancora da scoprire.
Si allargano gli studi ad altri livelli linguistici di L2, come la fonologia, il lessico, la testualità, sviluppando anche la capacità comunicativa, l’attuazione di una L2 in un contesto di scambio comunicativo11.
Infine, come riporta Chini, è vero che un approccio didattico di tipo meccanico non è produttivo e non rende più facile l’acquisizione, ma è in parte necessario durante l’insegnamento per non lasciare spazio soltanto a
9Chini, M., Che cos’è la linguistica acquisizionale, Carocci Editore, Roma, 2012, p. 21. 10ivi, p. 22.
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quello che Krashen definisce “input comprensibile”12, perché non è
sufficiente a far raggiungere, ad alti livelli, competenza e correttezza formale; è necessario, quindi, trovare un equilibrio che, nel rispetto delle caratteristiche dell’apprendente e del suo livello di interlingua, non trascuri nessun aspetto didattico, che si tratti di forma, grammatica o di approcci comunicativi13. 1.2 Che cos’è la Linguistica Educativa: definizione e cenni storici
Dalla più recente definizione data da De Mauro, Ferreri (2005, p. 27), la Linguistica Educativa è un
“settore delle scienze del linguaggio che ha per oggetto la lingua (una lingua, ogni lingua) considerata in funzione dell’apprendimento linguistico e del più generale sviluppo delle capacità semiotiche. Della lingua o delle lingue da apprendere (lingua madre, lingue seconde, lingue straniere, lingue letterarie, microlingue, lingue specialistiche ecc.) o di loro parti pertinentizza quegli elementi linguistici che potenziano lo sviluppo del linguaggio, a partire dall’incremento del patrimonio linguistico già in possesso di chi apprende. Le pertinenze si misurano in base al grado di funzionalità rispetto alle possibilità di espansione dello spazio linguistico e culturale dei singoli parlanti e apprendenti. La Linguistica Educativa definisce ed elabora inoltre per il suo oggetto approcci, metodi, tecniche, risorse tecnologiche utili per facilitare lo sviluppo delle capacità semiotiche e l’apprendimento linguistico, ivi compreso l’insegnamento a scuola o in altri luoghi educativi”14.
12Per la definizione si veda: https://www.itals.it/nozion/nozi.htm#anchor303170.
13Chini, M., Che cos’è la linguistica acquisizionale, Roma, Carocci Editore, 2012, p. 118-119.
14De Mauro, T., Ferreri S.,Glottodidattica come Linguistica Educativa, in: ELICA, Educazione linguistica e conoscenze per l’accesso, a cura di M. Voghera et al., Guerra Edizioni, Perugia, 2005, p. 27.
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La Linguistica Educativa, nonostante esista in Italia da molto prima che le venisse dato un nome per designare la sua area di ricerca, è riconosciuta in ambito accademico da pochi anni15.
L’impegno della linguistica in Italia prende vita per dare supporto educativo a una popolazione che, negli anni Cinquanta del Novecento, risultava, per un 59,2%, essere senza la licenza elementare o addirittura analfabeta mentre, al di fuori dell’Italia, l’interesse per la scolarizzazione e per l’insegnamento delle lingue era già diffuso in Francia in età moderna, in Germania prima con Leibniz e un secolo dopo con Humboldt.
Nell’Ottocento, in Francia, Michel Bréal diviene il padre della linguistica scientifica e della semantica, altri sviluppi si hanno poi con Sassure che dedica molto tempo alla formazione degli insegnanti di francese, ma prima di ciò, in Italia, Ascoli inaugura la prima rivista di glottologia italiana.
Negli Stati Uniti, Bloomfield, nei suoi studi linguistici, dedica attenzione all’aspetto educativo.
Tuttavia se volessimo indicare i referenti teorici più vicini a questa disciplina i tre nomi principali sarebbero von Humboldt, Sassure e Wittgenstein, i quali elaborano teorizzazioni generali sul funzionamento delle lingue e del linguaggio che indirettamente costituiscono le basi per spiegare i processi di apprendimento e insegnamento16.
In ambito anglosassone, sempre per fare un paragone con la situazione italiana, si parlava di Educational linguistics già negli anni Settanta, quando Spolsky ne delineo la prima definizione:
Educational linguistics is an area of study that integrates the research tools of linguistic and other related disciplines of the social sciences in order to
15Ferreri, S., Linguistica Educativa e educazione linguistica: tra acquisizione e apprendimento, Sette Città, 2010.
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investigate order to investigate holistically the broad range of issue related to language and education”17.
teorizzando una disciplina che creasse interelazioni e scambio tra campo teorico e campo applicativo. Successivamente egli delinea lo scopo di questa disciplina indicando le aree per le quali può risultare rilevante:
“[he] has put forth broad areas such as first and second language pedagogy
and the teaching of reading, spelling, writing, listening”18.
A livello teorico, la Linguistica Educativa di stampo italiano è molto vicina a quella delineata da Spolsky, intesa come interscambio tra operatori sul campo ma con un’ulteriore connotazione evidentemente linguistica e sociolinguistica. Tutto questo è frutto della situazione linguistica italiana in cui convivono lingua nazionale standard, varietà regionali dello standard, dialetti, lingue di minoranza e lingue di nuove immigrazioni, senza traslasciare il fatto che una condizione di plurilinguismo rappresenta la normalità: diventa quotidianità il dover gestire non solo nello stesso territorio ma anche in classe e talvolta in uno stesso individuo, una compresenza di idiomi diversi o più varietà dello stesso idioma19.
In questo contesto si delinea quale sia l’ambito di ricerca della Linguistica Educativa, ossia lo studio di “processi e modelli di acquisizione e
apprendimento di una o più varietà di una stessa lingua, di uno o più idiomi, di una o più lingue a partire dalla L1”20.
Oggi l’insegnamento e l’apprendimento di una lingua seconda, in Italia, viene impostato proprio partendo dal background linguistico di ogni apprendente. L’insegnamento di una lingua seconda infatti deve far fronte anche ad alcune problematiche come la pluralità linguistica presente nella mente 17Hult, M. F., The History and Development of Educational Linguistics, in Bernard Spolsky and Francis M. Hult (a cura di), The Handbook of Educational Linguistics, Blackwell, Oxford 2008, p. 10.
18Spolsky ripreso da Francis M. Hult, op. cit., in Bernard Spolsky and Francis M. Hult (a cura di), 2008, p. 20.
19Ferreri, S., Linguistica Educativa e educazione linguistica: tra acquisizione e apprendimento, Sette Città, 2010.
14
dell’apprendente, la trasposizione di ciò che avviene nella mente dell’apprendente durante le fasi pratiche e di come creare un quadro teorico di riferimento idoneo.
Per questo, partire dalla lingua madre per insegnare una lingua seconda è cosa imprescindibile.
Un altro aspetto caratterizzante della Linguistica Educativa italiana è quella di inserire la lingua in una prospettiva semiotica, cioè nell’insieme di segni gestuali, corporei, visivi, musicali ecc. che creano significato in modo diverso ma complementare21.
In conclusione la Linguistica Educativa è una scienza del linguaggio e come tale si occupa della “lingua da apprendere”.
I suoi confini sono le scienze della semiosi che studiano i processi di sviluppo, di ampliamento della capacità di linguaggio e gli usi linguistici (usi sociali, relazioni sociali).
“La sua proposta quindi non è solo tecnicamente didattica, né esclusivamente pedagogica, ma più generalmente si determina entro le coordinate della politica linguistica”22.
1.3 Linguistica Acquisizionale e Linguistica Educativa: un confronto
La Linguistica Educativa studia il rapporto tra lingue, l’ apprendimento e l’insegnamento (De Mauro, 2012), sia nel caso si tratti di una L1 o di una L2, considerandole in stretto legame, mentre la Linguistica Acquisizionale studia lo sviluppo della competenza linguistica nel locutore che apprende una lingua seconda successivamente alla L1, in Italia questa disciplina si occupa in particolare dei processi di apprendimento della lingua italiana come lingua seconda23.
21Ferreri, S., Linguistica Educativa e educazione linguistica: tra acquisizione e apprendimento, Sette Città, 2010, p. 10.
22Vedovelli, M., Casini, S., Che cos’è la Linguistica Educativa, Carocci Editore, Roma, 2016, p. 34.
23Vedovelli, M., Casini, S., Che cos’è la Linguistica Educativa, Carocci Editore, Roma, 210, pp. 19-20.
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In entrambi i casi, essendo delle discipline giovani, stanno cercando di raggiungere la propria autonomia scientifica, ai fini di convergere poi nella didattica acquisizionale, “un modello teorico di didattica linguistica che si
rapporti alla prospettiva acquisizionale, che rispetti le fasi di sviluppo della L2, che non violi le sequenze implicazionali” oltre a essere “il supporto migliore per imparare una lingua accidentalmente” (Rastelli, 2010) e un
possibile aiuto concreto per ricavare nuove procedure per la realizzazione di materiali didattici, ma al momento le due discipline non sono ancora in grado di “collaborare” per la produzione di un quadro di riferimento capace di superare la sperimentazione24.
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Capitolo 2
Il Nuovo Vocabolario di Base, pilastro portante della ricerca
lessicale
2.1 Gli usi del lessico
“Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio” (Wittgenstein, 1953: § 43) Le considerazioni di Hjelmslev e in particolare di Coseriu che ha dato seguito al pensiero di Saussure, hanno determinato nella lingua una dimensione formale, normativa e relativa all’uso linguistico.
Porre l’attenzione sull’uso rappresenta un punto di svolta per lo studio del lessico, in quanto rappresenta il veicolo dei significati di una lingua.
Come ci ricorda Coseriu, le difficoltà che si incontrano durante lo studio del lessico sono molteplici a causa delle sue molteplici sfumature, per questo è necessario impostare lo studio del lessico sugli usi, attraverso un’analisi di tipo quantitativo25.
Un importante contributo nella ricerca sul linguaggio è stata data da Wittgenstein che, nelle Ricerche filosofiche, ha fondato il significato di una parola sul suo uso socialmente regolato e coordinato..
È l’uso del lessico e dei suoi significati all’interno della società permettono un collegamento tra forma e significato e una comunicazione comprensibile anche se non perfetta, tra individui che non necessariamente condividono lo stesso patrimonio linguistico e lessicale26.
25Gallina, F., Il Nuovo Vocabolario di Base e il lessico degli stranieri: una prima ricognizione quantitativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, anno XLVI,
2017, numero 1, pp. 342-343. 26ibid.
17 Come ricorda De Mauro:
“Il vantaggio maggiore della definizione del significato come uso proposta
da Wittgenstein è quello, per dir così, di riconciliarci con la realtà delle cose, ossia con la grande complessità del valore semantico di una forma” (De
Mauro,1965: 214).
Questo ci permette di comprendere la molteplicità di significati e i vari usi del lessico a seconda dei contesti comunicativi.
Inoltre, come ci suggerisce ancora De Mauro, la statistica
“è la via che ci permette di intendere meglio il gioco dialettico tra sistema astratto e spinte concrete, storiche, sociali, intellettuali, stilistiche della massa parlante” (De Mauro, 1994: 104)
questo metodo, già riconosciuto da Saussure, è valido per l’analisi degli usi lessicali poiché
“gli accertamenti linguistici così gettano luce da un lato sulla lingua, sulla consistenza delle sue unità e strutture, dall’altra su chi la lingua utilizza, sui locutori e sulle diverse modalità on cui essi di volta in volta, da un tipo all’altro di situazione, mettono a frutto le risorse loro offerte dalla lingua”
(De Mauro, 2005a: 17).
In conclusione, la statistica e l’analisi quantitativa si dimostrano le uniche vie per trovare elementi di regolarità e per fondare uno studio acquisizionale dei processi di apprendimento lessicale, nel grande caos che caratterizza il lessico, di per sé mutevole e instabile sia dal punto di vista sincronico che diacronico.
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2.2 Il Vocabolario di Base: cenni storici e definizione
Il Vocabolario di Base (VdB) di Tullio De Mauro è stato pubblicato nel 1980, in appendice a “Guida all’uso delle parole”, presso Editori Riuniti.
Il VdB viene preso come riferimento, non solo per descrivere gli usi lessicali dei parlanti italiani, ma soprattutto per l’apprendimento, insegnamento e valutazione della lingua italiana nei contesti educativi27.
Il VdB tiene conto del repertorio di vocaboli di base dell’italiano ed è uno strumento di confronto utile per studiare il lessico utilizzato dagli stranieri che apprendono, in Italia o all’estero, la lingua italiana come lingua seconda28.
Come da definizione di Ferreri, il VdB è:
“[…] l'insieme di vocaboli noto a tutte le persone di una comunità linguistica, indipendentemente dalla loro professione e con grado di istruzione corrispondente alla scuola di base” (Ferreri 2005:57).
Include le parole più utilizzate dai parlanti e rappresenta il fulcro del lessico di una lingua. Ne fanno parte tutte quelle “unità lessicali dotate di maggiore
frequenza, forte polisemia e continuità con le parole di più vecchia datazione di una lingua”, mantenendosi stabile dal punto di vista diatopico, diafasico e
diacronico.
Già gli studi lessicologici francesi si erano basati statisticamente sulla frequenza per descrivere il Français Élémentaire e sulla disponibilità lessicale per individuare le unità lessicali disponibili ai parlanti perché
27Gallina, F., Il Nuovo Vocabolario di Base e il lessico degli stranieri: una prima ricognizione quantitativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, anno XLVI,
2017, numero 1, p. 337. 28ivi, p. 338.
19
utilizzate in determinati contesti, l’intento di tali studi è il medesimo che ha portato alla nascita del nostro vocabolario di base.
L’ultima versione del VdB fu pubblicata nel 2007 in appendice al Grande Dizionario Italiano dell’Uso, GRADIT (De Mauro, 1999 I ed.), che racchiude circa 6700 lemmi.
2.2.1 Come si compone il Vocabolario di Base
Il VdB si compone di 6690 parole e i principi che guidano la sua costruzione sono la frequenza, la dispersione e la disponibilità.
La frequenza indica quante volte una parola viene usata. Questo fattore può essere, tuttavia, soggetto ad alterazioni dipendenti dal contesto, per esempio se un testo parla di dinosauri, la parola dinosauro risulterà avere una frequenza maggiore rispetto al suo reale uso medio generale29.
Per venir meno a questa problematica ci affidiamo a un altro principio, la dispersione, cioè il numero di testi diversi in cui la parola compare.
Se appare in tutti i testi presi a campione, si ha un dispersione massima, se appare in un solo testo, la dispersione è minima.
Moltiplicando dispersione e frequenza si ottiene l’uso della parola.
Ad oggi, possiamo contare 5000 parole italiane di maggior uso, fonte su cui si basa la costruzione del Vocabolario di Base. Dopo aver verificato la reale comprensibilità di queste 5000 parole da parte di ragazzi, ragazze e adulti con un titolo scolastico pari alla terza media, sono state isolate 4937 parole, di cui 2000 costituiscono il vocabolario fondamentale, nucleo principale del Vocabolario di Base, più le altre 2937 parole di Alto Uso30.
29De Mauro, T., Guida all’uso delle parole, Editori Riuniti, Roma, 1980, p. 149 30ivi, p. 150.
20
Esaminando i dizionari d’italiano comune, un altro fattore rilevante per la selezione del lessico di un vocabolario di base è la disponibilità. Questa isola tutte quelle parole che di solito non diciamo o tanto meno scriviamo, ma che pensiamo con frequenza perché sono legate a oggetti, fatti, esperienze ben noti nella vita quotidiana di tutte le persone adulte. Il Vocabolario di Base ne conta circa 175331.
Queste parole rischiano di restare fuori dalle liste di frequenza e di uso quindi per evitare di tralasciare questo dato importante, sono già stati avviati degli studi per stilare una lista di frequenza in ordine di disponibilità, ma al momento, per quanto riguarda l’italiano, siamo ancora a una fase iniziale di ricerca e nel seguente schema è possibile riassumere la composizione del VdB con i primi dati sicuri32:
Vocabolario Fondamentale 2000 +
altro vocabolario di Alto Uso 2937 +
Vocabolario di Alta Disponibilità 1753 =
Vocabolario di Base della lingua italiana 6690
2.3 Il Nuovo Vocabolario di Base: cenni storici e composizione
Il Nuovo Vocabolario di Base (d’ora in avanti NVdB), pubblicato nel dicembre 2016, a cura di Tullio De Mauro e Isabella Chiari, è un aggiornamento dell’edizione precedente pubblicata nel 1980 e rappresenta, per quello che sarà lo svolgimento di questo elaborato, un perno importante, se non le fondamenta della ricerca che andremo a esporre.
31De Mauro, T., Guida all’uso delle parole, Editori Riuniti, Roma, 1980, pp. 150-151. 32ibid.
21
La pubblicazione del NVdB investe oltre al campo della Linguistica Educativa e dell’educazione linguistica, anche il campo della ricerca in ambito lessicologico e sociolinguistico, in particolar modo della didattica dell’italiano L2.
Il NVdB, come ricorda De Mauro (2016), nasce in seguito a una serie di cambiamenti, anche linguistici, che hanno interessato la società italiana dagli anni Settanta del Novecento fino ad oggi, per fare un esempio significativo: la crescita dell’indice di scolarità della popolazione italiana che ha reso una fetta di popolazione capace di utilizzare la lingua italiana in alternativa al dialetto (dati sull’uso della lingua italiana, dei dialetti e di altre lingue in Italia rilevati dall’ISTAT, 2014)33.
Questi cambiamenti sociolinguistici hanno segnato anche l’insieme dei vocaboli maggiormente usati e più disponibili ai parlanti, infatti nel NVdB sono presenti una centinaia di vocaboli che non rientrava nel VdB e altrettanti vocaboli che invece sono usciti dal vocabolario di base perché meno utilizzati. Nella costruzione del NVdB vengono confermati i tre obiettivi che erano propri del VdB: linguistico, educativo e regolativo. Vediamoli di seguito. L’obiettivo linguistico, a seguito dei numerosi studi linguistici basati sulla statistica applicata ai fatti di lingua e sulla frequenza, mira a rappresentare in modo sistematico e chiaro il cuore del lessico dell’italiano.
L’obiettivo educativo offre un mezzo utile a chi apprende o insegna l’italiano come L2 e anche a chi ha la necessità di valutare le conoscenze lessicali degli alunni della scuola primaria, oltre che di elaborare un piano di sviluppo della competenza lessicale in L1 e L2 (Ferreri 2005).
L’obiettivo regolativo definisce la scrittura; fornisce le linee guida per una scrittura in grado di rendere un testo comprensibile per il maggior numero di individui e cerca di regolare la scrittura dei testi amministrativi o di comunicazione pubblica in generale (Piemontese, 1996; Fioritto, 1997).
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Il NVdB è la selezione di un corpus di circa 18 milioni di occorrenze (15 milioni di testi scritti e 3 milioni di testi orali), ricavato da testi appartenenti a sei categorie diverse: stampa (quotidiani e settimanali), saggistica (saggi divulgatici, testi e manuali scolastici e universitari), testi letterari (narrativa, poesia), spettacolo (copioni cinematografici e teatrali), comunicazione mediata dal computer (chat), registrazioni di parlato34.
Il NVdB è così composto (Tabella 1): Lessico fondamentale
(FO)
Lessico di Alto Uso (AU)
Lessico di Alta Disponibilità (AD)
2.000 lemmi 3.000 lemmi 2.500 lemmi
Tabella 1Composizione del NVdB
In base alle prime rilevazioni presentate da Chiari e De Mauro (2014: 116): il 73,3% del vecchio lessico FO è tutt’ora presente nella stessa categoria. il 47% del lessico AU è rimasto inalterato nella medesima categoria.
il 15% dei nuovi vocaboli di lessico FO, nel VdB facevano parte del lessico AU, per esempio adulto, anziano, individuo, insegnante, lavoratore,
maggioranza, procedura, reagire, telefonata).
Vocaboli che fuoriescono dal lessico FO sono: aggiustare, agricoltura,
carità, ebbene, fidanzato, mela, patria, pietà, volgare.
Molti vocaboli che facevano parte del lessico comune dell’italiano, sono adesso nel lessico FO, per fare alcuni esempi auto, foto, chiuso, interessante,
nascosto, evento, villaggio (Chiari e De Mauro, 2012) ..
34Gallina, F., Il Nuovo Vocabolario di Base e il lessico degli stranieri: una prima ricognizione quantitativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, anno XLVI,
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2.4 Il Nuovo Vocabolario di Base nel lessico italiano parlato da stranieri (LIPS)
Il LIPS - Lessico Italiano Parlato da Stranieri si basa su un corpus di italiano parlato da non nativi da cui è stata estratta una lista d’uso che ha messo in rilievo le scelte lessicali degli stranieri (Gallina, 2015).
L’analisi del Lessico Italiano Parlato da Stranieri (d’ora in avanti LIPS) non è prettamente oggetto del nostro elaborato, il quale intento, come abbiamo già precisato, è quello di analizzare se e in che misura il NVdB è presente nei materiali didattici utilizzati per l’insegnamento/apprendimento dell’italiano come L2, ma non per questo non riteniamo opportuno presentare un breve confronto su quanto NVdB sia presente anche nel LIPS, come specchio di quanto appreso sui manuali e come risultato del metodo didattico.
Proviamo quindi a fare un confronto tra il lessico presente nel NVdB e quello parlato da stranieri, ossia parlanti per cui l’italiano è una L2.
È necessario innanzitutto valutare il lessico degli stranieri dal punto di vista quantitativo, partendo dall’ipotesi che le parole più ricorrenti negli usi dei nativi siano anche quelle che vengono apprese prima dai non nativi e che siano quindi altrettanto frequenti anche nell’uso che ne fanno. Per questo, un apprendente con un lessico ristretto farà maggiore uso di parole con frequenza alta e viceversa per gli apprendenti con un lessico più ampio. In questo contesto, il NVdB rappresenta la norma dei nativi e forma l’input di apprendimento per i non-nativi esposti al contatto con l’italiano e all’uso dei vocaboli che compongono il NVdB.
Vediamo, invece, di seguito, i risultati di un’analisi quantitativa che ci mostrano nella tabella 2, la misura in cui gli stranieri conoscono e utilizzano i vocaboli del NVdB e nella tabella 3 (in cui abbiamo evidenziato il livello
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che sarà oggetto dell’analisi sui manuali) la divisione per livello di competenza35.
NVdB FO AU AD
81,01 53,26 34,40 8,32
Tabella 2Valori percentuali di vocaboli NVdB presenti nel LIPS
A1 A2 B1 B2 C1 C2
91,24 89,87 87,54 88,68 88,6 83,61
Tabella 3Valori percentuali di vocaboli NVdB presenti nel LIPS per livello di competenza
In conclusione possiamo vedere che il lessico dei non-nativi rispecchia piuttosto fedelmente quello dei nativi: nel parlato, gli stranieri utilizzano il NVdB in misura consistente e questo dimostra quanto l’italiano prodotto dai nativi giochi un ruolo determinante nei processi di apprendimento dell’italiano L2 e di sviluppo della competenza lessicale; è proprio l’italiano d’uso a costituire un input fondamentale per l’apprendimento.
Il lessico dei non-nativi ci mostra come il cambiamento della società italiana sotto ogni punto di vista, si rispecchi nei vocaboli che i parlanti stranieri scelgono di utilizzare quando scrivono o parlano in italiano36.
Il lessico di Alto Uso (AU), piuttosto che quello ad Alta Disponibilità (AD), rappresenta il grado di vicinanza più significativo tra il lessico dei nativi e quello dei non-nativi.
35Gallina, F., Il Nuovo Vocabolario di Base e il lessico degli stranieri: una prima ricognizione quantitativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, anno XLVI,
2017, numero 1, pp. 348-349. 36ivi, pp. 353-354.
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Il motivo per cui il lessico ad Alta Disponibilità è entrato nella competenza lessicale può dipendere più che dagli usi reali, dalla loro presenza nei materiali didattici, per chi studia l’italiano L2 in contesto formale, oppure dallo scambio comunicativo con i nativi37.
Il fatto che proprio nelle fasce FO e AU vadano a convergere gli usi dei non-nativi e il NVdB, vuol dire che gli autori dei materiali didattici per l’apprendimento di italiano L2 sono effettivamente capaci di fare delle scelte valide circa il lessico da proporre, selezionando le unità lessicali più ricorrenti negli usi dei nativi e più utili per gli apprendenti38.
Inoltre, essendo il lessico molto variabile, fa sì che anche i processi di apprendimento della competenza lessicale lo siano, andando ad agire sul bagaglio lessicale di ogni apprendente.
Nonostante il supporto delle nuove tecnologie facilitino la raccolta di dati linguistici e nonostante gli strumenti offerti dalla statistica linguistica ci aiutino a individuare le tendenze lessicali, resta in ogni caso un tasso di variabilità e irregolarità, come è dimostrato anche dai cambiamenti del vocabolario di base o la presenza/assenza di alcuni vocaboli del NVdB nel LIPS39.
Quando trattiamo di una lingua seconda nei processi di apprendimento entrano in gioco le capacità cognitive e sociali dei singoli individui e la varietà di contesti di apprendimento che fanno emergere ancora di più la problematica dialettica tra regolarità e deviazione.
I processi di apprendimento possono essere il fulcro delle analisi degli usi lessicali di nativi e non-nativi, sia per sviluppare una competenza lessicale in prospettiva acquisizionale, sia per sviluppare una “proposta didattica
37Gallina, F., Il Nuovo Vocabolario di Base e il lessico degli stranieri: una prima ricognizione quantitativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, anno XLVI,
2017, numero 1, p. 354. 38ivi, p. 355.
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realmente capace di includere ciò che è più frequente e disponibile nell’input e pertanto più utile per l’apprendente”40.
In corso d’opera andremo ad analizzare dieci manuali, con l’intento di capire se, e in che misura, il lessico del NVdB sia presente nelle proposte didattiche dedicate al lessico e di conseguenza la loro efficacia per l’insegnamento/apprendimento del lessico italiano come L2.
40Gallina, F., Il Nuovo Vocabolario di Base e il lessico degli stranieri: una prima ricognizione quantitativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, anno XLVI,
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Capitolo 3
Lessico: insegnarlo e apprenderlo
3.1 Come avviene l’apprendimento del lessico
L’apprendimento del lessico è un processo graduale che, per aggiungere alle conoscenze pregresse nuovi sensi che una parola può assumere o per saper comprendere quelle parole che hanno significati simili o sfumature sottili, ha bisogno di diverse fasi ed elaborazioni; anche i primi libri che leggevamo da bambini avevano come scopo proprio quello di farci apprendere parole nuove, grazie al supporto delle immagini che ne esplicavano il significato41.
L’apprendimento del lessico è quindi un processo continuo in cui si conoscono parole con diversi gradi di vaghezza che si riduce mano a mano che le incontriamo più volte, senza tralasciare le varie inflessioni e derivazioni che ogni parola può avere42.
I fattori di cui tenere conto per l’apprendimento del lessico che sono emersi da vari studi sono molteplici, elenchiamoli di seguito:
la frequenza che secondo Ellis (2002:152) migliora e accelera i processi di produzione lessicale;
l’interazione e negoziazione di significato, su questo punto si sono opposte due teorie, quella di Nation (2001: 124), secondo la quale l’interazione è soltanto un’occasione per l’uso del lessico ma non favorisce l’apprendimento e quella di Fuente (2002), secondo la quale invece migliorerebbe sia l’apprendimento del lessico produttivo che ricettivo;
41Webb, S., Nation, P., How Vocabulary is Learned, Oxford University Press, 2017, pp. 5-6 42Gallina, F., L’apprendimento/insegnamento del lessico e l’educazione linguistica, in Coppola, D. (a cura di), “Educazione linguistica e insegnamento”, Edizioni ETS, Pisa, 2019, pp. 181-184.
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la forma della parola (scritta o orale), la struttura delle parole, la sintassi, significato, relazioni lessicali e collocazione (Laufer 1997: 141);
la distinzione tra lessico attivo e passivo. Per lessico attivo si intende le parole che un apprendente può e sa utilizzare sia scrivendo che parlando. Per lessico passivo invece si intende tutte quelle parole che un apprendente può comprendere ascoltando o leggendo, ma che non appartengono necessariamente al lessico produttivo (di solito meno ampio di quello ricettivo)43.
Il lessico potenziale cioè “l’insieme di parole che un apprendente non ha mai
incontrato prima, ma di cui può intuire il significato grazie a meccanismi di deduzione lessicale come lo sfruttamento delle proprie conoscenze della morfologia derivativa, di altre conoscenze linguistiche e delle ipotesi fondate sul contesto in cui si presentano parole” (Palmberg, 1989: 47).
Il processo di sviluppo della competenza lessicale risulta essere alquanto complesso e oltre a questi fattori appena elencati bisogna tenere conto anche di altri elementi come: ampiezza del lessico o vocabulary size (numero di parole conosciute); profondità o depht of knowledge (livello di conoscenza di ogni parola); automaticità o automaticity (velocità di utilizzo e accesso alla conoscenza lessicale (Schmitt, Mc Carthy, 1997: 104).
Un altro aspetto da tenere in considerazione quando si parla di sviluppo lessicale riguarda i meccanismi di apprendimento implicito (lettura e comprensione) ed esplicito (consapevole).
43Gallina, F.,L’apprendimento/insegnamento del lessico e l’educazione linguistica, in Coppola, D. (a cura di), “Educazione linguistica e insegnamento”, Edizioni ETS, Pisa, 2019, pp. 181-184.
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3.2 Conoscere una parola: dal punto di vista di chi apprende
Cerchiamo adesso di porci dalla parte di chi impara, per capire come avviene l’apprendimento del lessico.
Come ci illustrano Chini-Marello, il processo che porta a conoscere una parola può avvenire in diversi modi:
si può, ad esempio, essere in grado di dare una definizione alla parola, il che non implica necessariamente il saperla usare nei contesti idonei; si può essere in grado di indicare un’associazione tra una parola e
un’altra che appartenga alla stessa area di significato;
si può riuscire ad associare una parola straniera a una traduzione nella propria lingua, come ad esempio può succedere nel caso di coffee in in inglese e caffè italiano.
Andiamo per gradi, Cruse (1986, p. 77) ritiene che l’unità lessicale, di cui ci dà una chiara definizione, sia l’unità di base per l’apprendimento lessicale, anche se imparando il lessico, come vedremo, non ci imbattiamo solo in unità lessicali intese come Cruse, ma anche in espressioni idiomatiche, collocazioni o unità polirematiche.
“Un’unità lessicale è l’unione di una forma lessicale con un singolo significato”.
In ogni caso per capire cosa si intenda per “conoscere” una parola è necessario fare una distinzione tra conoscenza ricettiva (ascolto e lettura) e conoscenza produttiva (produzione scritta e orale).
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La conoscenza produttiva non è indipendente dalla conoscenza ricettiva, ma se ne serve per andare oltre. Il vocabolario ricettivo, come dicevamo nel paragrafo precedente, è sempre più ampio rispetto a quello produttivo, perché sia i parlanti nativi che non-nativi conoscono parole che non sono in grado di contestualizzare ed utilizzare, cosa che invece prevede la conoscenza produttiva, ovvero il saper inserire l’unità lessicale in un contesto specifico, riconoscerne il registro, saperla rapportare con altre unità lessicali e così via44.
L’acquisizione del lessico, come dicevamo, avviene in modo graduale e cambia in base al livello di competenza raggiunto.
In base ad alcuni studi svolti su studenti di inglese L2, si è dimostrato che l’apprendimento lessicale avviene inizialmente per associazione di parole in base alla forma o al suono, mentre in una fase più avanzata per associazione di significato, la stessa cosa accade durante l’apprendimento della propria lingua madre45.
Tuttavia l’insegnamento del lessico non segue necessariamente un metodo associativo perché può creare confusione e non favorire la memorizzazione. Soprattutto nelle fasi iniziali dell’apprendimento vengono stabiliti dei legami tra unità lessicali L1 e unità lessicali della lingua straniera (d’ora in avanti LS), mentre nelle fasi successive viene creato un legame tra concetto e unità lessicale della lingua straniera.
Per semplificare il processo di apprendimento è necessario classificare i significati della LS in base ai significati delle parole della L1, questo perché l’influenza che esercita la propria L1 durante l’apprendimento di una L2 è notevole e le associazioni di concetti dipendono dalla cultura, come accade per esempio quando ci troviamo davanti a parole polisemiche: i parlanti inglesi trovano difficoltà con l’uso di sapere e conoscere (entrambi resi con
to know), così per gli italiani è difficile memorizzare che per la parola
44Corda, A., Marello, C., Insegnare e imparare il lessico, Paravia, Torino, 1999, pp. 16-17. 45ivi, p. 18.
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orologio, in molte lingue europee, esista una distinzione tra orologio da polso o da parete/tavola e che vengano indicati con termini diversi46.
Un buon metodo, che sia di aiuto all’apprendente, è quello di porre l’attenzione sulle somiglianze tra la L1 e la LS.
È sempre l’influenza della propria lingua madre a definire il livello di difficoltà di apprendimento di una L2, per questo è necessario procedere con un’analisi contrastiva, ovvero con un continuo paragone tra la L1 e la L2 per arrivare a individuare tutti quegli elementi che facilitano o meno l’apprendimento.
Per fare questo si può procedere in due modi, o concentrandosi su singoli elementi (focalizzarsi su una singola parola) o sul sistema, cioè sulle regole che si applicano a un vasto numero di parole.
Una parola tuttavia può risultare difficile da apprendere per vari motivi che possono essere: la pronuncia, poca connessione tra la sua forma e il suo significato, appartenenza al dialetto, il fatto che possa contenere delle parti poco familiari e così via47.
Se dovessimo elencare i principali elementi che rendono una parola più o meno facile da apprendere sicuramente terremmo di conto dei seguenti:
la forma, che comprende l’aspetto fonologico e ortografico; per fare alcuni esempi parole tipo accappatoio e attaccapanni, calzini e calzoni, capello e
cappello, simili nella forma ma con significato molto diverso.
Il senso della parola (core-meaning), individuare il significato principale della parola48.
46Corda, A., Marello, C., Insegnare e imparare il lessico, Paravia, Torino, 1999, pp. 18-19 47Webb, S., Nation, P., How Vocabulary is Learned, Oxford University Press, 2017, pp. 25-26
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Le parole ad alta frequenza che, come abbiamo già visto, vengono apprese più facilmente, perché ripetute più volte nel libro o dall’insegnante. La ripetizione è un elemento molto importante per l’apprendimento anche se non vi è una regola precisa su quante volte una parola debba essere ripetuta (Nation 1990, p. 44 indica da 5 a 16 occorrenze) per garantirne la memorizzazione. Nei manuali d’italiano, purtroppo, si tende a tralasciare questo aspetto, spesso le parole vengono presentate una o due volte magari nella stessa lezione e poi non più ripetute nelle lezioni successive, in questo modo la parola viene dimenticata.
Le parole ad Alta Disponibilità (AD), cioè quelle ben note agli italiani adulti, ma con frequenza nei testi o nei discorsi piuttosto bassa.
Le categorie grammaticali più facili da ricordare sono i sostantivi, soprattutto quelli concreti, al contrario dei verbi e degli aggettivi (a parte i colori) che rendono il lavoro di memorizzazione più difficoltoso.
La deducibilità del significato: internazionalismi e parole con comune origine latina sono percepite come familiari e facili da apprendere49.
La condivisione del medesimo sistema di scrittura della L1, condividere lo stesso alfabeto, gli stessi caratteri rende l’apprendimento della L2 più facile50.
Elementi che possono creare difficoltà nell’apprendimento sono tutti quei concetti lessicalizzati una LS e che non hanno un corrispondente nella propria lingua madre, per esempio ciò che viene espresso con la parola serendipity in inglese, in italiano ha bisogno di essere esplicato da un concetto perché non esiste una parola per definirlo51.
Un altro caso è dato da sinonimia e antonimia, che creano spesso confusione ed è opportuno presentare separatamente sinonimi e antonimi (Nation 1990,
49Corda, A., Marello, C., Insegnare e imparare il lessico, Paravia, Torino, 1999, pp. 19-20 50Webb, S., Nation, P., How Vocabulary is Learned, Oxford University Press, 2017, pp. 30-32
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p. 46). Nell’insegnamento dei vocaboli stranieri, il metodo associativo non è consigliabile, piuttosto, prima di procedere con l’insegnamento della seconda parola di una coppia, sarebbe giusto che la prima fosse memorizzata.
Secondo Bogaards (1994, p. 153), anziché fossilizzarsi sulla questione dell’apprendimento simultaneo di antonimi e sinonimi, sarebbe utile insegnare le parole all’interno di contesti specifici e non in isolamento.
È bene tener conto che oltre alla relazione semantica, ci sono altri elementi che possono generare confusione e per questo è consigliabile presentare le parole separatamente, ne è un esempio il caso di caldo e freddo, che per i parlanti di lingue germaniche è più facile associare caldo al significato di cold (inglese) o kalt (tedesco) che però vogliono dire “freddo”52.
Un altro elemento di rilievo, anche se di carattere più generale è lo scopo per cui si apprende una certa parola: imparare una parola in modo produttivo è più difficile che impararla ricettivamente. Nei manuali purtroppo non si fa distinzione tra lessico produttivo e ricettivo, cosa che risulterebbe opportuna. Un altro caso che può trarre in inganno chi apprende una L2, è rappresentato dai falsi amici, parole simili nella forma ma con significato diverso.
Un ultimo aspetto, forse meno concreto, ma sicuramente rilevante è la motivazione dello studente. La motivazione a imparare una lingua può esserci per ragioni esterne, per superare un esame o per migliorare la propria posizione lavorativa, oppure per il desiderio di comunicare con i parlanti di quella lingua53.
Teniamo conto che se una lingua seconda viene appresa nel Paese in cui essa viene parlata, lo studente sarà soggetto a molti più input, anche esterni alla classe, che lo aiuteranno nell’incremento lessicale, mentre se la L2 avviene nel proprio Paese ci saranno ben poche possibilità di essere soggetti a input al di fuori del contesto scolastico; l’insegnante
52Corda, A., Marello, C., Insegnare e imparare il lessico, Paravia, Torino, 1999, p. 21. 53ivi, pp. 22-24.
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gioca sempre un ruolo fondamentale per l’apprendimento, secondo uno studio svolto da Craig Chaudron nel 1982, l’insegnante è solito spiegare il significato di una parola L2 attraverso la traduzione nella L1, o attraverso la definizione nella L2 stessa oppure grazie ad alcune tecniche come parafrasi, parallelismi e apposizioni.
L’uso del dizionario non è indispensabile, anzi gli studenti possono imparare il lessico e significati semplicemente dal contesto, in questo modo gli studenti si applicano i prima persona giocando un ruolo attivo
nella ricerca dei significati54.
L’incremento accidentale del lessico è quindi dato, per lo più, dalla quantità di input che si ricevono e dal numero di testi letti.
Nello scritto è più facile imbattersi in parole meno frequenti o addirittura sconosciute rispetto a quelle utilizzate per il parlato, mentre quando si parla è più probabile che vengano ripetute le stesse parole, quindi entrambi gli input giocano un ruolo importante nell’incremento lessicale.
3.3 Insegnare una parola: dal punto di vista dell’insegnante
Poniamoci adesso dal punto di vista di chi insegna il lessico e interroghiamoci innanzitutto su quale sia il lessico da insegnare e quale selezione del vocabolario sia giusto far apprendere ai nostri allievi. Come ci suggerisce Marello (1996, p. 144) il vocabolario ricettivo e produttivo del parlante straniero “dovrebbe essere formato da parole
comuni in accezioni comuni, non dovrebbe, a rigore, includere parole
54Webb, S., Nation, P., How Vocabulary is Learned, Oxford University Press, 2017, pp. 54-55
35
tipiche di una sola regione, di un sottocodice o di uno strato sociale o di epoche passate” ed essere contenuto nel Vocabolario di Base.
Per capire quale lessico dovrebbe conoscere uno studente di italiano L2, innanzitutto, dovremmo chiedere a quale scopo lo studente sta imparando la lingua, se per conoscere le strutture grammaticali o se per poter comprendere e comunicare. Questo ci permette di individuare l’obiettivo da raggiungere, ovvero se lingua scritta scritta o parlata, il livello di specializzazione del linguaggio e la distinzione tra conoscenza
ricettiva e produttiva delle parole da imparare55.
Nei corsi di lingua, lo scopo per cui generalmente si studia una lingua è per raggiungere un livello tale che permetta allo studente di acquisire una competenza globale per essere in grado di leggere, ascoltare e comunicare sia per scritto che oralmente nella lingua di studio.
L’insegnante ha il compito attraverso vari strumenti di individuare le parole in base ai criteri di frequenza e disponibilità.
La frequenza è un criterio piuttosto variabile, tuttavia dovessimo individuare le parole più frequenti di una lingua, sicuramente dovremmo iniziare dalle parole dette “funzionali”, o meglio articoli, pronomi e preposizioni, che è vero non hanno valore comunicativo ma sono fondamentali per esprimersi in modo grammaticalmente corretto. A seguire troveremmo nomi, verbi, aggettivi e avverbi, le parole con sensi definiti e infine tutti i termini tecnici. Tendenzialmente più significati ha una parola più questa è frequente.
Per l’italiano esistono diverse liste di frequenza, sia dello scritto che del parlato e per determinare quali parole sia opportuno insegnare, bisogna tener conto anche della dispersione, in altre parole la sua distribuzione nel tempo e nei contesti d’uso, in quanto una parola è necessario che sia
36
frequente in testi diversi e possibilmente anche in periodi temporali
diversi56.
La disponibilità invece è data da tutte quelle “parole che non hanno
un’elevata frequenza ma che è ugualmente importante imparare”.
Tullio De Mauro insieme ai suoi collaboratori Stefano Gensini e Emilia Passaponti, ha elaborato una lista di parole VdB (in appendice a De Mauro 1980, pp. 147-170) cercando di combinare i dati oggettivi ricavati dall’analisi di un corpus, con quelli soggettivi, derivati cioè dall’analisi della disponibilità delle parole per i parlanti nativi.
In definitiva, in primis Sciarone (1997), De Mauro (1980, 1991) e Lucisano (1989) e più tardi Piemontese (1996) si sono interrogati su quante e quali parole bisognerebbe conoscere per poter capire un testo autentico non specialistico.
La leggibilità di un testo è data dalla lunghezza delle parole o delle frasi, poiché più le parole sono lunghe e più parole ci sono in ogni frase, più il testo diventa complesso.
Laufer (1989b, 1992) a seguito di alcuni studi, ha stimato che per capire dei testi autentici bisogna conoscere almeno 5000 parole, con queste saremmo in grado di comprendere il 95% del testo, anche se come afferma Bogaards (1994, pp.120-121), questi dati non soddisfano
pienamente le attese degli insegnanti57.
56Corda, A., Marello, C., Insegnare e imparare il lessico, Paravia, Torino, 1999, pp. 32-33. 57ivi, pp. 37-38.
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3.3.1 Insegnamento e incremento della conoscenza lessicale: alcuni spunti di riflessione
Nel paragrafo precedente abbiamo percorso le tappe dell’insegnamento, dal tipo di lessico da insegnare in base agli obiettivi dello studente, i criteri di selezione del lessico e in che misura o meglio quanto lessico debba conoscere uno studente che studia l’italiano L2.
In questo paragrafo vorremmo proporre degli spunti di riflessione su quanto effettivamente vi sia un nesso tra insegnamento e ampliamento della conoscenza lessicale.
Un ruolo fondamentale è sicuramente giocato dalla preparazione dell’insegnante, a tal proposito Alberto Sobrero (2016) ci ricorda come nelle Indicazioni per il curricolo del 2007 e ancor meglio nelle
Indicazioni curriculari del 2012, venga posta attenzione alla
competenza dell’insegnante e all’uso appropriato del lessico di una
lingua nel parlare e nello scrivere, già nei primi anni di scuola58.
I docenti di tutto il primo ciclo di istruzione dovranno promuovere, all’interno di attività orali e di lettura e scrittura, la competenza lessicale relativamente sia all’ampiezza del lessico compreso e usato (ricettivo e produttivo) sia alla sua padronanza nell’uso sia alla sua crescente specificità. Infatti l’uso del lessico, a seconda delle discipline, dei destinatari, delle situazioni comunicative e dei mezzi utilizzati per l’espressione orale e quella scritta richiede lo sviluppo di conoscenze, capacità di selezione e adeguatezza ai contesti. Lo sviluppo della competenza lessicale deve rispettare gli stadi cognitivi del bambino e
58Corrà, L., (a cura di) Sviluppo della competenza lessicale Acquisizione, apprendimento, insegnamento, in “Quaderni di base”, vol. 5, Aracne Editrice, Roma, 2016, pp. 30-40
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del ragazzo e avvenire in stretto rapporto con l’uso vivo e reale della lingua, attraverso forme di apprendimento meccanico e mnemonico59.
È importante che l’insegnante sia preparato, che abbia una competenza lessicale e un uso del lessico adeguato al contesto.
Tuttavia il processo di apprendimento del lessico, come abbiamo già visto, è continuo e attraversa tutte le sue fasi dall’acquisizione, apprendimento all’insegnamento, ed è incrementale anche se il dominio di una parola implica diversi tipi di conoscenza che possono essere scoperti successivamente in momenti diversi di esposizione alle parole. La conoscenza produttiva e ricettiva non devono essere viste come due fasi conseguenti ma possono sovrapporsi tra loro.
L’incremento lessicale inoltre non è sempre in crescita, in ampiezza, profondità e automaticità, ma, come ricorda Schmitt, vi sono momenti di scivolamento all’indietro, logoramento e dimenticanza.
Quando si parla di insegnamento si tratta sempre di acquisizione e apprendimento nel quotidiano in un continuo lavoro in ripresa che tenga vivi gli obiettivi dell’insegnamento stesso.
Un altro aspetto da non sottovalutare e fulcro del nostro elaborato, è l’adeguatezza delle proposte didattiche dei manuali utilizzati dall’insegnante per insegnare/incrementare il lessico.
Il primo criterio per scegliere un buon manuale è la frequenza e l’occorrenza, i testi che finiscono sotto gli occhi di bambini e adolescenti devono obbedire a precisi criteri di fruibilità e di potenzialità semantiche e grammaticali guidate appunto dalla frequenza d’occorrenza. Sono infatti, le parole più frequenti quelle che veicolano
59Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione di cui al D.M. 254/2012 riprese nella C.m. n 22 del 26 agosto 2013
39
il maggior numero di accezioni, che a loro volta riflettono i loro possibili contesti d’uso (Domenico Russo, 2016).
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Capitolo 4
Tipologie didattiche sul lessico per adulti apprendenti di
italiano L2
4.1 Evoluzione del metodo didattico: breve introduzione
Lo studio del lessico per molti anni è rimasto subordinato a quello della morfologia e della grammatica, infatti nei corsi di lingua basati sul metodo grammaticale tradizionale, le parole nuove servivano soltanto a mostrare eccezioni grammaticali (uovo-uova)60.
Negli anni Sessanta, grazie all’introduzione del metodo audiolinguale, che prevedeva anche attività di laboratorio linguistico, assunse maggiore importanza l’idea di lavorare anche sulle competenze di ascolto e produzione orale, che fino ad allora erano state sempre tralasciate, anche se lo scopo principale restava quasi esclusivamente quello della memorizzazione di strutture grammaticali, attraverso esercizi di ripetizione meccanica.
Solo negli anni Settanta e Ottanta, con l’avvento dei metodi nozio-funzionali e comunicativi, si sono intravisti i primi veri cambiamenti, le parole iniziarono ad essere presentate all’interno di situazioni comunicative, in contesti che prevedevano una funzione comunicativa.
Alla fine degli anni Settanta, gli esperti del Consiglio d’Europa “hanno
individuato le funzioni linguistiche, come “presentarsi”, “chiedere informazioni”, “esprimere la propria opinione”, e le nozioni linguistiche, come nome, indirizzo, numero di telefono per la funzione “presentarsi” che permettevano di comunicare a livello elementare in una data situazione in una lingua straniera. L’insieme di queste conoscenze costituisce il livello soglia” (Corda-Marello, 1999).
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Molti manuali di italiano per stranieri fanno riferimento a questo tipo di metodo didattico che però ha bisogno di essere integrato con concrete situazioni comunicative, creando in classe dei contesti in cui poter utilizzare le espressioni tipiche di un determinato contesto comunicativo piuttosto che insegnare una lista di parole decontestualizzate61.
4.2 Possibili tipologie di attività per sviluppare la competenza lessicale
La didattica del lessico, sia quella affrontata dai docenti che quella trattata dagli autori di libri di testo, è un tema difficoltoso e ancora non del tutto esplorato. Partendo dal presupposto che il lessico, come dicevamo nel paragrafo precedente, non è solo una lista di parole da imparare ma è un elemento centrale e cruciale che ingloba tutte le competenze che un apprendente di una lingua deve saper padroneggiare.
Quando si affronta la didattica del lessico è importante fissare cosa insegnare,
quali parole insegnare ma soprattutto è importante concentrare l’attenzione
su come insegnare.
Villarini (2017), nella sua ricerca, suggerisce come possibile soluzione alla difficoltà di definire quali attività didattiche siano più o meno idonee per l’incremento lessicale, quella di definire prima le categorie (tipo di esercizio) e poi le sottocategorie tipologiche delle attività (forma dell’esercizio, come si presenta).
Essendo difficile isolare il lavoro sul lessico dal resto, si corre il rischio o di ridurre al minimo la raccolta dati dedicandosi esclusivamente a quelle attività che hanno come unico scopo lo sviluppo della competenza lessicale, o quella di considerare tutte le attività che, oltre alla competenza lessicale,
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coinvolgono anche tutte le altre, rischiando così di ritrovarsi ad analizzare tutti gli esercizi presenti nei manuali.
Come evitare allora tutto questo? Villarini ci suggerisce che una classificazione tipologica delle proposte didattiche dovrebbe semplificare il lavoro di selezione di attività strettamente legate al lessico anche se non esclusivamente in funzione di questo, andando ad analizzare piuttosto il “coefficiente lessicale” di ogni esercizio ai fini di selezionare solo le attività che effettivamente siano mirate all’incremento lessicale62.
L’apprendimento del lessico viene dunque considerato un effetto automatico di attività presenti nei manuali o di azioni compiute dal docente in classe volte a promuovere anche altre competenze e abilità, all’interno delle quali sono sì presenti elementi utili allo sviluppo della competenza lessicale, ma non in modo esplicito e sistematico.
In questo elaborato partiremo suddividendo le attività per competenza in modo da mantenere la suddivisione tra apprendimento ricettivo attraverso l’ascolto e la lettura, e quello produttivo attraverso lo scritto e il parlato. Entrando nel vivo della questione andiamo a vedere quali sono gli esercizi più utilizzati all’interno dei manuali o dall’insegnante per sviluppare questi due tipi di apprendimento.
4.2.1 Ascolto
Le attività di ascolto sono focalizzate sulla comprensione.
Durante l’ascolto, gli studenti apprendono il lessico in modo incidentale, poiché le parole nuove sono presentate all’interno di un contesto e questo permette loro di comprendere almeno il significato globale di quanto ascoltato. L’ascolto estensivo (extensive listening) avviene ogni volta che 62Villarini, A., Le tipologie didattiche sul lessico pensate per apprendenti adulti di italiano L2, in Studi Italiano di Linguistica Teorica e Applicata SILTA, XLVI, 1, 2017, pp. 157-