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Metodologie chimiche covalenti e non covalenti per la dispersione di MWCNTs in copolimeri EPM

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica

Metodologie chimiche covalenti e non covalenti per la dispersione di MWCNTs in copolimeri EPM

RELATORE CONTRORELATORE Prof. Andrea Pucci Dott.ssa Simona Samaritani

CANDIDATO

Giorgio Vadacca

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Sommario

1. INTRODUZIONE ... 3

1.1 I nanotubi di carbonio ... 4

1.1.1 Definizione e caratteristiche dei nanotubi di carbonio (CNT) ... 4

1.2 Proprietà dei nanotubi di carbonio ... 9

1.2.1 Proprietà elettriche dei nanotubi di carbonio ... 9

1.2.2 Proprietà meccaniche dei nanotubi di carbonio ... 13

1.2.3 Proprietà termiche dei nanotubi di carbonio ... 16

1.3 Tecniche di Sintesi dei Nanotubi di carbonio ... 16

1.4 Metodi di purificazione dei nanotubi di carbonio ... 19

1.5 Reattività e funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio ... 20

1.5.1 Funzionalizzazione covalente ... 23

1.5.2 Funzionalizzazione non covalente ... 27

1.6 Preparazione di nanocompositi polimerici contenenti nanotubi di carbonio ... 32

1.6.1 Proprietà elettriche dei nanocompositi a base di nanotubi di carbonio ... 34

1.7 Sensori di deformazione nanocompositi polimerici a base di nanotubi di carbonio ... 37

2. Scopo del lavoro di tesi ... 44

3. Risultati e discussione ... 45

3.1 Funzionalizzazione covalente di nanotubi di carbonio con furfurilammina e furfurilalcol ... 45

3.2 Preparazione di nanocompositi a base di COPA02 e nanotubi di carbonio funzionalizzati con furfurilammina ... 52

3.2.1 Formazione di nanocompositi a base di COPA02 e MWCNT-NH2 ... 53

3.3 Funzionalizzazione non covalente dei nanotubi di carbonio ... 58

3.3.1 Reazione tra COPA02 e 1-metilamminopirene: preparazione del polimero funzionalizzato COPA02-PY ... 58

3.3.2 Analisi termogravimetrica (TGA) sui nanocompositi a matrice di COPA02 e COPA02-PY ... 67

3.3.3 Misure di resistenza elettrica e individuazione della soglia di percolazione ... 73

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3.4 Sintesi del (2-dodecen-1-il)-1-pirenemetilsuccinimmide (TPSI-PY) ... 77

3.4.1 Formazione di nanocompositi a base di COPA02-PY e MWCNT utilizzando il TPSI-PY come disperdente ... 83

3.4.2 Analisi termogravimetrica dei nanocompositi COPA02-PY+TPSI-PY/MWCNT ... 83

3.4.3 Analisi di microscopia a scansione elettronica SEM ... 85

3.4.5 Analisi di calorimetria a scansione differenziale ... 87

3.5 Misure di resistenza ed individuazione della soglia di percolazione per i campioni COPA02-PY+TPSI-PY/MWCNTs ... 89

3.6 Misure di variazione della resistenza del nanocomposito nel tempo in seguito all’applicazione di un peso costante ... 92

4. Conclusioni ... 94

5. Parte sperimentale ... 96

5.1 Solventi e reagenti ... 96

5.2 Strumenti e metodi ... 97

5.3 Funzionalizzazione dei nanotubi carbonio a parete multipla con furfurilammina ... 99

5.3.1 Preparazione di nanocompositi COPA02/MWCNT-NH2 ... 99

5.4 Preparazione del polimero COPA02-PY ... 100

5.4.1 Estrazione dell’1-metilamminopirene ... 100

5.4.2 Reazione tra COPA02 e 1-amminometilpirene e formazione del COPA02-PY ... 102

5.5 Preparazione di nanocompositi COPA02-PY/MWCNTs e di COPA02/MWCNTs... 103

5.6 Sintesi del (2-dodecen-1-il) -1-pirenemetilsuccinimmide (TPSI-PY) ... 104

5.7 Preparazione di nanocompositi COPA02-PY/MWCNTs con TPSI-PY ... 107

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1. INTRODUZIONE

Nel 1959, durante l’annuale congresso dell’American Physical Society, veniva tenuta una lezione dal titolo “There is a plenty of room at the bottom” (C’è tanto spazio in basso). In questo discorso pionieristico, il fisico e futuro premio Nobel Richard Feynman affermava che si potesse, in futuro, arrivare a manipolare gli atomi posizionandoli con esattezza e singolarmente in modo da creare nuove molecole con assoluta facilità e precisione1.

“The principles of physics, as far as I can see, do not speak against the possibility of

maneuvering things atom by atom. It is not an attempt to violate any laws; it is something, in principle, that can be done; but in practice, it has not been done because we are too big”.

Nella visione di Feynman tali progressi scientifici avrebbero portato un giorno ad una serie di innovazioni in diversi campi come l’elettronica, la chimica, la robotica e la medicina.

In seguito all’enunciazione di tale teoria, Feynman è considerato il padre di quel ramo della scienza chiamato oggi Nanotecnologie, termine coniato successivamente, nel 1974, dal giapponese Norio Taniguchi2.

Ad oggi le nanotecnologie hanno portato a notevoli progressi nei più differenti settori, come quelli auspicati dal fisico americano, ma anche in biologia3, chimica,4 ottica5, sensoristica6 etc. dimostrando la multidisciplinarietà di questa materia. Ed è grazie alla ricerca sullo sviluppo e la sintesi dei nanomateriali che le nanotecnologie hanno ricevuto una consistente spinta negli ultimi anni.

Sono definiti nanomateriali quei materiali nei quali almeno una delle tre dimensioni di estensione è minore di 100 nm. Da questa definizione è possibile suddividerli in ulteriori sottocategorie:

 (0 D) = nanoparticelle: tutte e tre le dimensioni sotto la scala nanometrica  (1 D) = nanotubi e nanofili: due dimensioni in scala nanometrica

 (2 D) = grafene e fillosilicati a strati: una dimensione in scala nanometrica  (3 D) = materiali mesoporosi con all’interno nanoparticelle o materiali

nanostrutturati: nessuna dimensione in scala nanometrica

Tra tutte le classi di materiali nanostrutturati specificate, oggigiorno sempre maggiore interesse viene dedicato allo studio dei materiali 1 D a base di carbonio.

Sebbene la prima osservazione di strutture tubolari a base di carbonio possa essere ricondotta al 1952, da parte degli scienziati sovietici Radushkevich e Lukyanovich7, la vera

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e propria scoperta dei nanotubi di carbonio (CNT) è attribuita a Sumio Iijima8, un ricercatore

giapponese, che nel 1991 osservò un particolare deposito tra due elettrodi di carbonio in un arco elettrico usato per formare fullerene, una forma allotropica sferoidale cava del carbonio, costituita da un aggregato di atomi di numero pari, minimo 20. I fullereni vennero scoperti nel 1985 da Harold Kroto dell'University of Sussex, e James Heath e collaboratori della Rice University9. Uno dei metodi più impiegati per la produzione di fullereni consiste nel generare un arco voltaico con corrente a bassa tensione ed alta temperatura, usando elettrodi di grafite in ambiente inerte di Argon. Dalla fuliggine prodotta durante la scarica elettrica è possibile recuperare fullerene, ma anche carbone e nanotubi di carbonio.

Tale deposito venne analizzato con un microscopio a trasmissione mostrando delle nanostrutture carboniose tubolari costituite da piani di grafite avvolti su loro stessi a formare dei cilindri coassiali perfettamente chiusi.

Un anno più tardi Ebbesen e Ajayan10, colleghi di Ijima presso il NEC di Tsukuba, pubblicarono un metodo per l’ottenimento di tali nanotubi di carbonio a parete multipla in grandi quantità. Nel 1993 i lavori di Donald Bethune11, all’IBM Almaden Research Center in California, e di Ijima12, al NEC, condotti indipendentemente, portano alla scoperta dei nanotubi di carbonio a parete singola.

1.1 I nanotubi di carbonio

1.1.1 Definizione e caratteristiche dei nanotubi di carbonio (CNT)

Il carbonio in natura possiede diverse forme allotropiche. L’atomo di carbonio può possedere quattro elettroni di valenza, due nell’orbitale 2s e due nell’orbitale 2p, in grado di interagire tra loro grazie alla bassa differenza di energia tra i diversi tipi di orbitali. Così un elettrone inizialmente alloggiato all’interno di un orbitale di tipo s può combinarsi con uno, due o tre elettroni presenti negli orbitali di tipo p, dando vita a ibridazioni di tipo sp, sp2 o sp3.

Le due più comuni forme allotropiche naturali del carbonio sono il diamante e la grafite (Figura 1). Nel primo tre elettroni degli orbitali p e uno dell’orbitale s sono alloggiati all’interno dell’orbitale ibrido sp3, rendendo ciascun carbonio in grado di formare quattro

legami di tipo σ, con altri quattro atomi dello stesso elemento, con geometria tetraedrica. La forza di questo tipo di legame è così elevata che la struttura derivante, il diamante, è uno dei materiali più duri (10/10 nella scala Mohs13), elettricamente isolanti, termicamente conduttore e ad elevato indice di rifrazione tra quelli conosciuti.

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La grafite invece è la forma allotropica del carbonio in cui ciascun atomo possiede un’ibridazione orbitalica di tipo sp2. Un elettrone dell’orbitale s di ciascun atomo di

carbonio interagisce con due elettroni alloggiati all’interno di orbitali di tipo p. Con tale ibridazione ogni atomo di carbonio è in grado di formare tre legami σ stabili con altrettanti atomi di carbonio con geometria trigonale. Il quarto elettrone è invece alloggiato all’interno di un orbitale di tipo π, ortogonale al piano di legame. Ne deriva una struttura planare formata da esagoni, detta grafene, in cui è presente una forte delocalizzazione π. La sovrapposizione di più di questi strati, tenuti assieme da interazioni secondarie, forma la grafite. La nube elettronica delocalizzata sopra e sotto ciascun piano rende questo materiale morbido e friabile.

Figura 1 Struttura del diamante (destra) e della grafite (grafite)

I nanotubi di carbonio hanno invece una struttura cava, formata da uno o più fogli di grafene sovrapposti, arrotolati su loro stessi. Le proprietà dei nanotubi di carbonio dipendono dalla disposizione atomica, dal diametro e dalla lunghezza di questi. In Figura 2 sono mostrati nanotubi di carbonio a parete singola (SWCNTs), doppia (DWCNTs), e multipla (MWCNTs).

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Figura 2 Da sinistra a destra, struttura di un singolo SWCNT, DWCNT e MWCNT.

I nanotubi di carbonio a parete singola possono essere descritti come un singolo foglio di grafene arrotolato su sé stesso a dare una struttura cilindrica costituita, se priva di difetti, da soli esagoni, le cui estremità sono chiuse da calotte di fullerene, in cui si alternano esagoni e pentagoni (Figura 3).

Figura 3 Struttura di un SWCNT, l'estremità è chiusa da una calotta fullerenica formata da esagoni e pentagoni

Tali strutture possiedono un elevato rapporto lunghezza/diametro che le rende praticamente monodimensionali.

Come già detto la struttura elettronica del grafene è di tipo sp2, con geometria planare. Affinché questo tipo di struttura possa assumere forma cilindrica, i legami tra gli atomi di carbonio del foglio grafitico devono piegarsi attorno ad un asse.

L’arrotolamento di un foglio di grafene può avvenire secondo diverse direzioni, definibili attraverso un vettore chirale 14 o elicità15(Figura 4).

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Figura 4 Schematizzazione del vettore chirale di arrotolamento di un foglio di grafite per formare nanotubi di carbonio a diversa chiralità16

𝐶⃗ = 𝑚𝑎⃗1 + 𝑛𝑎⃗2 Eq. 1

Il vettore chirale (𝐶⃗) è definito come la somma vettoriale dei versori 𝑎⃗1 e 𝑎⃗2, moltiplicati per i rispettivi coefficienti n ed m. Perpendicolarmente al vettore chirale è tracciato il vettore di traslazione, il cui modulo è tale da congiungere il punto di applicazione con il primo atomo o punto nella stessa posizione. Il vettore 𝐶⃗ è rappresentato in genere tramite la notazione “(n, m)”, in cui i due termini corrispondono ai coefficienti appena descritti, che moltiplicati per i due versori definiscono il vettore. L’angolo compreso tra 𝑎⃗1 e 𝐶⃗è definito come angolo chirale θ, e può assumere valori compresi tra 0 e 30°. Nei due casi limite (n, 0) e (n, n) i nanotubi sono rispettivamente chiamati di tipo zig-zag e armchair, mentre nel caso di un angolo di valore intermedio, il nanotubo è definito chirale4(Figura 5).

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Il vettore T ed il vettore 𝐶⃗ definiscono la cella unitaria del nanotubo. Il numero di esagoni contenuti all’interno della cella unitaria è indicato con N ed è importante per determinare le proprietà del CNT. Un altro valore importante è il raggio del nanotubo (R) definito come15:

𝑅 = |𝐶⃗ℎ |/2𝜋 Eq. 2

Il diametro di un SWCNT è in genere di 0,7- 3 nm mentre quello dei MWCNT è di 2- 25 nm con una distanza tra un tubo e l’altro di 0,34 nm17.

I MWCNT (Figura 6), sono costituiti da più fogli di grafene (da due a cento), arrotolati su loro stessi, con diametri crescenti, a seconda del numero di pareti, che variano dai 2 a 100 nm e distanziati tra loro di circa 2,5–3,6 Å, collegati l’uno all’altro tramite ponti carboniosi, che si suppone abbiano lo scopo di favorire l’accrescimento durante la preparazione, specialmente in presenza di un campo elettrico. Tali interazioni sono definite lip-lip10, e se presenti danno luogo a CNT con diametri più stretti, prevenendo la formazione di difetti strutturali, già limitati dal meccanismo di azione delle particelle di catalizzatore metallico impiegate durante il processo sintetico18.

Figura 6. Struttura di un nanotubo di carbonio a parete multipla

I MWCNTs presentano spesso un grande numero di imperfezioni lungo la loro struttura e mostrano diverse varietà di forme nella loro zona terminale. Tali imperfezioni oltre a provocare piccole deformazioni locali possono generare variazioni della chiralità del CNT con un discostamento più o meno accentuato dalle proprietà tipiche dello stesso, principalmente quelle elettriche. Come si può vedere in Figura 7 un apparente difetto nella

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struttura del nanotubo può portare ad un diverso comportamento nei due tratti: il primo, di tipo zig zag, si comporta infatti da conduttore, mentre il secondo, chirale, da semiconduttore. Tale comportamento è ben esposto nel grafico in Figura 7, che rappresenta l’andamento della densità degli stati occupabili dagli elettroni. In tale grafico è possibile notare la linea nera, riferita al tratto zig-zag, che presenta un valore nullo al centro dell’asse delle ascisse, in corrispondenza del livello di Fermi, mentre la linea rossa, riferita al tratto chirale, mostra una buca, di valore non nullo in corrispondenza dello stesso livello. Un ulteriore trattamento della teoria della densità degli stati è riportata nel paragrafo seguente.

Figura 7. Struttura di una giunzione intramolecolare tra due CNT (a sinistra) e relativi grafici della densità degli stati elettronici (a destra). Si possono osservare la formazione di anelli a 5 e a 7 atomi

di carbonio nella giunzione intramolecolare.16

1.2 Proprietà dei nanotubi di carbonio

1.2.1 Proprietà elettriche dei nanotubi di carbonio

Per descrivere le proprietà elettriche dei nanotubi di carbonio è utile partire da quelle di un foglio di grafene.

Gli atomi di carbonio di un foglio di grafene sono caratterizzati da tre orbitali σ con ibridazione sp2 e un orbitale π, rispettivamente sul piano del foglio di grafene e perpendicolarmente ad esso (Figura 8).19

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10 Il reticolo cristallino del grafene è definito come un insieme infinito di punti ordinati, generato da una serie discreta di traslazioni.

Fissato un punto 𝜏⃗ tutti i punti del reticolo possono essere definiti mediante vettore di traslazione(𝜏⃗⃗⃗⃗⃗): 𝑛

𝜏′

⃗⃗⃗⃗ = 𝜏⃗ + 𝜏⃗⃗⃗⃗⃗ 𝑛 Eq. 3 𝜏𝑛

⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝑛𝑎⃗⃗⃗⃗⃗ + 𝑚𝑎1 ⃗⃗⃗⃗⃗ 2 Eq. 4

Allo stesso modo il reticolo reciproco può essere definito da un vettore di traslazione (𝑘⃗⃗⃗⃗): 𝑗 𝑘𝑗

⃗⃗⃗⃗ = 𝑙𝑏⃗⃗⃗⃗ + 𝑘𝑏1 ⃗⃗⃗⃗⃗ 2 Eq. 5 La cella elementare del reticolo reciproco viene definita dalla condizione:

𝑒𝑖𝑘𝑗∙𝜏𝑛 = cos(𝑘

𝑗∙ 𝜏𝑛) + 𝑖𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑗 ∙ 𝜏𝑛) = 1 Eq. 6

Viene definita prima zona di Brillouin (o solamente zona di Brillouin) la prima cella primitiva del reticolo reciproco che gode di tutte le proprietà simmetriche della struttura cristallina (Figura 9).20

Figura 9 a) Reticolo di Bravais del grafene in cui sono espressi il vettore chirale (𝐶⃗ℎ), e b) reticolo

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11 In Figura 9 è mostrato il reticolo di Bravais del grafene in cui sono espressi il vettore chirale

(𝐶⃗), il vettore di traslazione primitivo del nanotubo (𝑇⃗⃗), e due generici versori (𝑎⃗⃗⃗⃗⃗ e 𝑎1 ⃗⃗⃗⃗⃗) che 2 definiscono un vettore traslazionale del reticolo diretto. Sempre nella stessa figura, a destra nella struttura grafitica, le 14 linee rosse parallele rappresentano il reticolo reciproco del nanotubo, nel caso specifico un SWCNT (1,4). Queste passano per i vertici degli esagoni in due punti, segnati in blu, che corrispondono alle linee d’onda con stessa periodicità del reticolo di Bravais; sono espressi due generici vettori (𝑏⃗⃗⃗⃗ e 𝑏1 ⃗⃗⃗⃗⃗) che definiscono un vettore 2 traslazionale del reticolo reciproco.

Quando il foglio di grafene si ripiega a formare il nanotubo si forma un’onda piana in cui il vettore 𝑘𝑗⃗⃗⃗⃗ è il vettore d’onda. Il vettore d’onda viene quantizzato a causa delle condizioni periodiche al contorno e da letteratura è stato valutato essere pari a21:

𝑘𝑗𝐶 = 2𝜋𝑞 Eq. 7

Sfruttando l’equazione si può ricavare la distanza tra i vettori d’onda permessi21 (Figura 10): ∆𝑘𝑗 = 𝑞 + 1 𝑅 − 𝑞 𝑅 = 1 𝑅 Eq. 8

Figura 10 vettori d'onda permessi per un nanotubo a) armchair; b) zigzag ; C) chirale22.

Il vettore chirale, come scritto prima, è composto da due vettori 𝑎⃗1 e 𝑎⃗2 i cui coefficienti sono rispettivamente n e m. A seconda del valore di questi vettori si ottiene un nanotubo dal comportamento metallico o semiconduttore. In particolare, le strutture armchair possiedono un comportamento metallico, mentre le strutture chirali e zig-zag sono generalmente semiconduttori. Esiste una regola generale secondo cui se la differenza (n - m) è multiplo di 3 il nanotubo assume comportamento da conduttore, altrimenti si comporta da semiconduttore23.

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12 La densità degli stati energetici occupabili dagli elettroni a varie energie è definita in inglese come DOS. Attraverso l’analisi di questo è possibile riconoscere se un nanotubo è conduttore o semiconduttore (Figura 11).

Figura 11 Proprietà elettroniche di due differenti nanotubi di carbonio. a) Il nanotubo “armchair” (5,5) esibisce un comportamento metallico (nel DOS si osserva valore finito di portatori di carica a

livello di Fermi, localizzato nello zero di energia). b) il nanotubo “zigzag” (7,0) esibisce invece un comportamento semiconduttore con un piccolo gap energetico (nel DOS il valore di portatori di carica è nullo al livello di Fermi). Si osservano inoltre i picchi che sono associati alle singolarità di

Van Hove23.

Il DOS di un sistema monodimensionale descrive il numero di stati disponibili ad essere occupati dagli elettroni alle varie energie. Un valore di DOS più alto, ad una certa energia,

delinea la disponibilità di più stati ad essere occupati24. I grafici presentano dei DOS con delle singolarità simmetriche rispetto al livello energetico di Fermi (0 eV). Queste singolarità sono chiamate di Van Hove e corrispondono ai punti critici permessi della zona di Brillouin23. In un sistema con comportamento metallico il DOS assume dei valori discreti con un gap energetico nullo al livello di Fermi, mentre in un tipico semiconduttore la densità di stati energetici occupabili al livello di Fermi è nulla ed è invece presente un gap energetico generalmente di 0,7 eV.

I CNTs sono materiali interessanti per la capacità di condurre gli elettroni. È noto in letteratura che, quando la lunghezza del conduttore è più piccola del cammino libero medio dell’elettrone, il trasporto diventa balistico25. La conducibilità elettrica è trattata in modo differente nella fisica classica e nella fisica quantistica. Mentre la prima considera la conducibilità come un trasferimento di energia attraverso gli urti fra gli elettroni, visti come particelle, nel modello quantistico il fenomeno è spiegato attraverso l’introduzione dei fononi. Essi sono delle quasiparticelle (o eccitazioni collettive) che rappresentano i modi normali di vibrazione degli elettroni. Come si può intuire la principale conseguenza di questo modello è che la conduzione, di tipo balistico, non comporta cessione di energia. La

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13 presenza di impurezze e/o di difetti all’interno della struttura provoca fenomeni di diffusione che alterano il moto dell’elettrone deviando il comportamento del materiale25. In queste condizioni la conduttanza del CNT, ovvero l’attitudine della corrente a passare attraverso il materiale (definita come l’inverso della resistenza elettrica), può essere quantizzata. In letteratura è stato osservato che per un SWCNT metallico esistono due canali quantici di conduzione al livello di Fermi e quindi la conduttanza fornita da un singolo nanotubo sarà pari a: 2𝐺0 = 2 ∙ 2𝑒 2 ℎ ≅ 2 13𝑘Ω −1 Eq. 9

dove 𝐺0 è la conduttanza elettrica quantica, 𝑒 è la carica di un elettrone e h è la costante di Planck. Il valore di 2𝐺0 è stato riscontrato solo in SWCNT con carattere metallico mentre per gli altri tipi di CNT sono stati misurati valori inferiori a causa di effetti dissipativi che limitano la conduttanza26. Attraverso il formalismo di Buttiker-Landauer è possibile esprimere la resistenza elettrica del nanotubo come:

𝑅 = ℎ

4𝑒2+ 𝑅𝑖+ 𝑅𝑐1+ 𝑅𝑐2

Eq. 10

Dove R è la resistenza totale, il primo termine corrisponde alla resistenza quantizzata del nanotubo, 𝑅𝑖 è la resistenza generata da processi diffusivi, 𝑅𝑐1 e 𝑅𝑐2 sono le resistenze dovute alle barriere di trasporto elettronico nei punti di giunzione del CNT. La resistenza del nanotubo è dipendente quindi dalla sua morfologia e in particolare dal suo vettore chirale e dalla sua lunghezza27. È stato osservato che la conduzione balistica si verifica in SWCNT di lunghezza inferiore ai 200 nm, mentre abbassando notevolmente la temperatura fino quasi a 0 K si può osservare nei SWCNT il fenomeno della superconduttività27. Generalmente la resistenza elettrica nei semiconduttori aumenta al diminuire della temperatura ma nei superconduttori, composti chimici come la perovskite o ossidi di litio e titanio, esiste una temperatura critica al di sotto della quale la resistenza diventa (quasi) nulla.

1.2.2 Proprietà meccaniche dei nanotubi di carbonio

Di notevole interesse nel campo della loro applicabilità, sono le proprietà meccaniche dei nanotubi di carbonio28. Questi possono essere visti come delle bacchette rigide in scala mesoscopica, in grado di condurre balisticamente fononi grazie alla particolare regolarità e morfologia delle celle primitive. Per descrivere le proprietà elastiche dei CNT è necessario introdurre il modulo di Young, definito dall’espressione:

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14 𝐸 = 𝐹 𝐴0 𝛿𝑙 𝑙0 Eq. 11

dove F/A0 è la forza applicata per unità di superficie, e δl/l0 è l’allungamento relativo. Il modulo di Young esprime la rigidità del materiale nella direzione di allungamento (o in tutte le direzioni per materiali isotropi)29.

Data l’impossibilità di misurare le proprietà meccaniche dei nanotubi di carbonio con i metodi tradizionali di investigazione, è stato necessario ricorrere a strumenti come microscopio elettronico a trasmissione (TEM Figura 12a)30, per l’osservazione, oppure di un microscopio a forza atomica (AFM Figura 12b)31 per studiarne la deformazione.

Figura 12 SWCNT in risonanza elettromeccanica all'interno di un TEM30 (sinistra) e sottoposto a deformazione con la punta di un AFM31 (destra)

Min-Feng Yu et al, sono riusciti per esempio a costruire un grafico sforzo-deformazione di un MWCNT mediante carico tensile collegando il nanotubo agli estremi di due punte opposte di un AFM (Figura 13). L’allungamento del nanotubo è stato seguito mediante microscopia elettronica a scansione32 (Figura 14).

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15

Figura 13 Immagini SEM di un MWCNT attaccato a due punte di un AFM32

Figura 14 Schema di allungamento e relativo grafico sforzo-deformazione (allungamento) di un MWCNT32.

Confrontando il modulo di Young di materiali ad alta elasticità con quello del CNT si può vedere come quest’ultimo presenti un valore nettamente superiore agli altri.

Osservando la Tabella 1 si può notare come i CNTs presentino un modulo di Young superiore a quello di altri materiali ad alto modulo elastico.33

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Tabella 1 Tipici valori di Young di materiali ad alto modulo elastico

1.2.3 Proprietà termiche dei nanotubi di carbonio

Come già accennato, dalla particolare asimmetria dei CNT derivano anche delle asimmetrie nelle loro proprietà di conduzione, che sono state definite di tipo balistico. La capacità di propagare fononi lungo la lunghezza del nanotubo rende questo materiale un buon conduttore termico lungo il proprio asse e, al contrario, un buon isolante nella direzione trasversale15. Fasci allineati di nanotubi di carbonio mostrano conducibilità termica pari a 3500 W/mK a temperatura ambiente, cioè di un ordine di grandezza superiore rispetto a quella del diamante e della grafite34. Termicamente i CNT presentano una temperatura di degradazione termica di quasi 600 °C in aria35, risultando così un materiale termicamente molto stabile.

1.3 Tecniche di Sintesi dei Nanotubi di carbonio

Esistono diverse tecniche di sintesi dei nanotubi di carbonio ma le più diffuse sono: l’arco elettrico36, la vaporizzazione laser37, e la deposizione termica di vapori (CVD)38 (Figura 15). Le tecniche prevedono tutte la necessità di una fonte di carbonio e spesso richiedono l’utilizzo di un catalizzatore metallico, successivamente allontanato tramite tecniche di purificazione.

Arco elettrico e vaporizzazione prevedono entrambe la vaporizzazione di un blocco di grafite ad altissime temperature producendo nanotubi, spesso a parete singola, con rese circa del 70% a bassi costi ma con una distribuzione disomogenea delle dimensioni.

La tecnica CVD prevede la decomposizione di un precursore gassoso, generalmente metano, e la sua deposizione su un supporto con una resa che può raggiungere il 100% ma con produzione selettiva di MWCNT in condizioni più blande e con costi maggiori delle precedenti. Nonostante sia la meno economica, la tecnica CVD risulta essere la più utilizzata poiché fornisce la maggiore resa con una sufficiente omogeneità e purezza dei tubi prodotti ed è inoltre l’unica tecnica utilizzabile in un processo continuo o semi-continuo.15

Modulo di Young Nanotubi di carbonio Fibre di carbonio Cristallo di grafite Acciaio

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Figura 15 Rappresentazione dei tre principali metodi di preparazione dei nanotubi di carbonio. In Figura a) sono rappresentati i due elettrodi che compongono l’arco elettrico; l’enorme differenza di

potenziale fa sì che l’anodo di grafite si vaporizzi e si depositi sul catodo. In Figura b) la vaporizzazione del carbonio da un disco di grafite avviene per opera di un raggio laser, il trasporto

del vapore mediante flusso di argon e la deposizione su di un collettore di rame raffreddato. In Figura c) è mostrata la fornace dove avviene la vaporizzazione del precursore carbonioso, trasportato

da un flusso di Argon nel processo CVD. In ingresso alla fornace viene mandato anche un riduttore come H2 per evitare la disattivazione del catalizzatore ad opera del carbonio amorfo16

Il metodo si basa sulla decomposizione catalitica di gas ad alto contenuto carbonioso e la deposizione dei vapori di carbonio sulla superficie di un catalizzatore metallico. Il materiale carbonioso diffonde inizialmente nel catalizzatore fino a saturazione da cui parte la deposizione del carbonio all’interfaccia con la progressiva formazione del nanotubo. Come catalizzatori vengono impiegate nanoparticelle di metalli di transizione quali Fe, Co e Ni, o leghe metalliche generate da elettrodeposizione controllata su supporti inorganici quali SiO2, Al2O3 o metalli come Ti, W o Mo.

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18 La fonte gassosa di carbonio è composta da idrocarburi quali metano ed etilene trasportati sul sito catalitico mediante un flusso di gas inerte come Argon. La reazione avviene tra i 500 e gli 800 °C per i SWCNT, e tra gli 800 e 1200 °C per i MWCNT39, con rese variabili in funzione del tipo di catalizzatore e supporto utilizzato, dalla miscela di gas in ingresso, della temperatura di processo e del tipo di reattore. Ultima componente importante del processo sono i composti riducenti come H2 e NH3, utilizzati per evitare la passivazione delle nanoparticelle di catalizzatore a seguito della deposizione di carbonio amorfo durante la formazione del nanotubo.

I meccanismi di crescita dei CNTs sono due. Il primo, definito “base-growth”15, 40, prevede la crescita dei nanotubi sopra le particelle di catalizzatore, mentre nel secondo, “tip-growth”36, 37b, il tubo viene a formarsi tra la particella e il supporto. Quale dei due meccanismi possa essere favorito dipende dalla natura delle nanoparticelle e del supporto, dalla loro interazione chimica dalle dimensioni delle particelle di catalizzatore. Una migliore interazione tra il supporto e le particelle di catalizzatore, data per esempio da una maggiore dimensione di queste ultime, favorisce una crescita di tipo “base”, mentre l’utilizzo di particelle di catalizzatore più piccole, con meno interazioni superficiali con il substrato, porta ad una crescita di tipo “tip”. Wang et al. hanno dimostrato come un catalizzatore di Fe dia un meccanismo di tipo “tip-growth” se supportato su SiO2 o di tipo “base-growth” se supportato su Ta41 (Figura 16).

Figura 16 Meccanismo di crescita di CNT con catalizzatore di Fe. Si osserva un meccanismo a) "base-growth" su supporti di Ta e b) "tip-growt" su supporti di SiO241

La tecnica CVD, per i vantaggi esposti, è ad oggi quella che più suscita interesse per un possibile “scale-up” industriale, specie in settori in cui è richiesta la crescita di nanotubi su specifici substrati per componenti elettronici42.

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19 Notevole attenzione in letteratura è riservata all’ottenimento di nanotubi a parete singola ad alta purezza. I due processi oggi utilizzati a livello industriale sono denominati HiPco43 e CoMoCAT44.

Entrambe le tecniche di preparazione si basano sulla reazione di disproporzione catalitica di CO.

I processi sono effettuati iniettando un catalizzatore in controcorrente al flusso di CO ad una temperatura di 750-950 °C e pressione fino a 10 atm. In particolare un precursore del catalizzatore metallico si decompone ad alte temperature generando cluster metallici in fase vapore che catalizzano la reazione di disproporzionamento del CO e la produzione di SWCNT. La differenza tra i processi è proprio nel catalizzatore che nel processo HiPco è Fe(CO)5 mentre nel CoMoCAT è a base di Co-Mo. Mediante queste tecniche è possibile ottenere SWCNT con purezze maggiori del 90% con diametri di circa 1 nm43.

1.4 Metodi di purificazione dei nanotubi di carbonio

Qualsiasi possa essere il metodo di sintesi utilizzato per ottenere i CNT, a fine processo, oltre questi saranno presenti sia altre forme allotropiche del carbonio, come nanoparticelle, carbonio amorfo, fullerene o grafite, sia residui di catalizzatore metallico. La presenza di queste impurità rende necessario a fine processo la purificazione dei nanotubi di carbonio. Le tecniche di purificazione possono essere di tipo chimico, fisico o una combinazione delle due. Per quanto riguarda i trattamenti chimici, essi prevedono l’impiego di agenti ossidanti sfruttando la maggiore efficacia di questi con le forme amorfe del carbonio e le particelle del catalizzatore, e la scarsa reattività dei CNT. Generalmente una purificazione chimica prevede l’uso di un ossidante o di una miscela di ossidanti con intervalli di temperature variabili. Nel caso di ossidanti quali aria, HCl, H2S, O2, H2O(g), le temperature utilizzate sono comprese tra 225-760 °C, mentre per ossidanti come HNO3, HCl, H2SO4, KMnO4 l’intervallo scende a 25-120 °C40. Per i residui del supporto, non attaccabili con i composti citati, è invece necessario l’impiego di HF/HClO445.

I metodi fisici sfruttano differenze quali dimensioni, rapporto di aspetto, densità e proprietà meccaniche tra i CNT e le varie impurezze da cui sono affetti. La filtrazione- microfiltrazione seguita da lavaggi con toluene o CS246, centrifugazione frazionata, solubilizzazione di eventuali nanotubi funzionalizzati e il trattamento termico ad alta temperatura per la sublimazione dei residui metallici sono le più comuni.

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20 Una migliore purificazione è ottenibile combinando tra loro tecniche di tipo fisico e chimico, come avviene utilizzando ultrasuoni e agenti ossidanti contemporaneamente. L’ossidazione da parte di agenti gassosi risulta inefficace contro grafite e impurezze metalliche mentre ossidazione in fase liquida rischia di danneggiare i nanotubi di carbonio46. L’ossidazione con HF permette la dissoluzione dei residui di supporto ma non rimuove le impurità metalliche spesso coperte da strati carboniosi47. I trattamenti fisici sono in grado di rimuovere particelle carboniose e metalliche isolate mentre non riescono a separare particelle incapsulate o che hanno aderito alle pareti del nanotubo. A seconda del grado di purezza desiderato sono spesso utilizzati processi multi-step46.

1.5 Reattività e funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio

Uno dei maggiori impieghi dei nanotubi di carbonio è nella preparazione di nanocompositi a matrice polimerica, ovvero materiali composti da due o più componenti, di cui almeno uno è un nanomateriale. I nanotubi in questo ambito sono utilizzati per la realizzazione di materiali che possano sfruttare le proprietà, elettriche e/o meccaniche, di questa forma allotropica del carbonio. Il principale problema riscontrato nella produzione di questi compositi risiede però nella scarsa “compatibilità” che i nanotubi dimostrano di avere con la maggior parte delle matrici, dovuta alle interazioni π-π che essi instaurano tra loro, portando alla formazione di gomitoli (o bundles), ed all’incapacità delle componenti polimeriche, dette matrici, di realizzare interazioni stabili con i nanotubi, di modo da disperderli al meglio ed acquisirne le proprietà desiderate. Tutto questo rende necessaria, prima dell’utilizzo dei CNTs, la realizzazione di un passaggio di esfoliazione, ovvero un processo di allontanamento dei nanotubi e interruzioni delle forze di stacking.

Per poter aggirare le difficoltà dovute alla dispersione ed alla interazione con la matrice, sono state studiate diverse tecniche di funzionalizzazione, covalente e non, che possano modificare la natura chimica del nanotubo, rendendolo solubile all’interno di un mezzo, o in grado di interagire con altre molecole, o ancora stabilizzarne l’esfoliazione.

Un nanotubo di carbonio può essere descritto come il prodotto di un arrotolamento di un foglio di grafene su sé stesso, chiuso alle estremità da due calotte fullereniche. Da questo deriva una struttura tubolare, ad altissima coniugazione, in cui ogni carbonio possiede solo orbitali ibridi sp2. La particolare forma costringe i legami tra i carboni del cilindro a deviare dalla normale planarità e ad assumere una forma a piramide. Questo porta inevitabilmente ad una destabilizzazione energetica degli orbitali, che risulta in una maggiore reattività dei nanotubi di carbonio rispetto al grafene. L’angolo di piramidalizzazione48 tra l’orbitale pz e

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21 gli altri orbitali p dà un’ottima indicazione della potenziale reattività di queste strutture, ed è definito come:

𝜃𝑝 = (𝑎𝑛𝑔𝑜𝑙𝑜 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑒 − 90°) Eq. 11

Altra naturale conseguenza della particolare forma dei CNTs è il disallineamento degli orbitali 𝜋, che non fanno più parte della stessa circonferenza, come ci si aspetterebbe in un normale anello benzenico, ed il cui angolo di sfasamento è indicato come ϕ, pari a 21,3° (Figura 17).

Figura 17 Preso un comune a) SWCNT sono riportati b) gli angoli di piramidalizzazione, ovvero le differenze del valore θp tra una struttura trigonale ed una tetraedrica, e c) il disallineamento degli

orbitali π del CNT48.

La particolare natura orbitalica e conseguentemente elettronica dei CNT fa sì che questi possano molto facilmente instaurare delle interazioni di tipo π-π o tramite forze di van der Waals, formando così dei veri e propri gomitoli di nanotubi aggrovigliati e rendendo difficile l’interazione di questi con altri composti quali reagenti o eventuali mezzi disperdenti. In generale perciò i nanotubi di carbonio prima di essere utilizzati vengono sottoposti a trattamenti volti a favorire il processo di esfoliazione di tali aggregati, mediante agenti disperdenti che ne abbassino l’energia superficiale, favorendo la dispersione, o tramite tecniche di tipo fisico, come: agitazione meccanica44 o ultrasonicazione49.

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22 L’ultrasonicazione sfrutta delle onde d’urto propagate nel solvente, capaci di vincere le forze attrattive tra i CNTs ed è la tecnica più utilizzata per la dispersione di questi.

Un eccessivo tempo di sonicazione ad alta frequenza può portare alla formazione di imperfezioni sulla parete o alla rottura dei nanotubi ed al loro accorciamento50. È quindi fondamentale cercare di trovare le giuste condizioni sperimentali tra volumi da trattare e tempo di sonicazione, così da non alterare la struttura del nanomateriale. Da sola, la sonicazione non è sufficiente a tenere stabilizzati nel tempo i nanotubi in dispersione che tendono a riaggregare, tornando al loro stato di partenza, ed è perciò necessario associare a questa tecnica l’uso di mezzi disperdenti, come agenti surfattanti, che possano aumentare l’interazione tra i nanotubi e il mezzo.

La tecnica della sonicazione può essere condotta usando due apparecchiature: un sonicatore con sonda o un bagno a ultrasuoni. Il primo strumento è dotato di una punta che fornisce energia in un volume ristretto mentre il secondo è usato per volumi maggiori ma fornisce meno densità energetica, è quindi più consigliato per prevenire potenziali degradazioni della struttura dei CNTs51.

I metodi chimici di dispersione prevedono invece l’introduzione di molecole organiche di piccole dimensioni sulla superficie del nanotubo attraverso una reazione chimica che coinvolge la specie reattiva e gli atomi di carbonio dei tubi. La presenza di molecole sulla superficie del nanotubo rende la dispersione maggiormente stabile nel tempo e fa sì che le interazioni tubo-mezzo disperdente siano favorite rispetto a quelle fra più CNTs. Lo studio della reattività dei nanotubi è perciò importante perché la funzionalizzazione è necessaria per aumentare la compatibilità di questi con il mezzo disperdente ma anche per conferirgli nuove proprietà e renderli compatibili con altri materiali. Esistono due principali metodi per la funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio52 (Figura 18):

 la funzionalizzazione covalente;  la funzionalizzazione non covalente;

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23

Figura 18 Tipologie di funzionalizzazione di un CNT: a) e b) funzionalizzazione covalente; c) e d) funzionalizzazione non covalente; e) intercalazione di molecole all’interno della cavità

1.5.1 Funzionalizzazione covalente

È possibile modificare chimicamente i nanotubi di carbonio attraverso reazioni di formazione di nuovi legami covalenti sulla parete dei CNT o sulle calotte. In genere le terminazioni, data la maggiore curvatura, tendono ad essere maggiormente reattive rispetto alla parete. Miscele di ossidanti, generalmente, interagiscono con la parte maggiormente reattiva dei nanotubi di carbonio, cioè le terminazioni, provocandone l’apertura. Questo tipo di funzionalizzazione è definito “hard”. Altre molecole reagenti, di minor potere ossidante, reagiscono generalmente con la parete del nanotubo senza provocarne una drastica modificazione della struttura. Questo tipo di funzionalizzazione è definita “soft” (Figura 19 e Figura 20).

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Figura 19 Schematizzazione di diversi tipi di funzionalizzazione covalente dei CNTs di tipo “soft”. Nella figura sono mostrati diversi esempi di funzionalizzazione della parete del CNT. 53

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Figura 20 Schema che riassume vari esempi di funzionalizzazione covalente: a sinistra funzionalizzazione di tipo “hard”, in basso una cicloaddizione e reazione radicalica, a destra

funzionalizzazioni di tipo “soft”, sopra una addizione di diclorocarbene54

1.5.1.1 Funzionalizzazione covalente di tipo “hard”

I carboni in prossimità di difetti presenti sui CNTs, come i pentagoni o gli eptagoni delle calotte, nonché difetti strutturali che potrebbero essersi formati sulle pareti cilindriche nel processo di purificazione ossidativa, risultano reattivi nei confronti di miscele ossidanti di acidi che portano alla formazione di gruppi funzionali ossigenati55. In particolare, il trattamento dei CNTs con acidi forti come HNO3, H2SO4 o una miscela di questi56 o ancora con miscela H2SO4/H2O257 o forti agenti ossidanti come KMnO458, promuovono la trasformazione dei doppi legami C=C in gruppi alcolici, carbossilici ed esterei59 (Figura 21).

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26

Figura 21 Rappresentazione schematica della reazione di ossidazione di un SWCNT seguita da trattamento con cloruro di tionile e immidazione; b) stesso risultato ottenuto con una reazione tra le

funzionalità acide e carbodiimmide60

Un ambiente particolarmente ossidante come quello formato da una miscela di acido solforico/acido nitrico può inoltre portare ad una apertura delle calotte fullereniche con formazione di nanotubi terminanti alle estremità con funzionalità carbossiliche, compatibili con altre reazioni di formazione di cloruro acilico (con uso di cloruro di tionile) e passaggio successivo a funzionalità esteree o ammidiche. Tali terminazioni possono inoltre funzionare come iniziatori per reazioni di polimerizzazione da monomeri, rendendo i nanotubi di carbonio un substrato per la formazione di macromolecole, portando il nanotubo ad essere già efficacemente e stabilmente disperso nel mezzo desiderato.

A seconda dell’ambiente ossidante, delle irregolarità e dei difetti presenti sulla parete dei nanotubi è però possibile che le dimensioni di questi diminuiscano, per un attacco ossidante sui legami carbonio-carbonio maggiormente tensionati, portando ad una considerevole perdita delle proprietà meccaniche e di conduzione elettrica e termica dei nanotubi, la cui efficacia dipende dall’alto rapporto di forma.

1.5.1.2 Funzionalizzazione covalente di tipo “soft”

Il disallineamento degli orbitali π presenti sulla parete dei nanotubi di carbonio rende questo materiale più reattivo del corrispondente foglio di grafene. Alcune molecole sono in grado di sfruttare questa caratteristica reagendo con i CNT come se gli esagoni che li costituiscono non formassero effettivamente una rete estesa di anelli aromatici condensati, bensì come

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27 fossero formati da una semplice coniugazione estesa di doppi legami C=C. Per questo la funzionalizzazione “soft” prevede una serie di reazioni tipiche degli alcheni. La prima reazione di questo tipo fu quella della fluorurazione, investigata da Mickelson et al.61, considerata di grande interesse per la possibilità di sostituire successivamente l’atomo di fluoro con altre catene idrocarburiche53, 62 (Figura 20).

Altre reazioni di notevole interesse sono quelle di cicloaddizione63, clorurazione, bromurazione64, alchilazione, idrogenazione65, cicloaddizione di nitrene, diazotazione e addizione radicalica53. Il principale vantaggio delle reazioni di funzionalizzazione covalente consiste nella possibilità di rendere i CNTs disperdibili efficacemente in un solvente, grazie alla presenza di gruppi solubilizzanti laterali. Anche in questo caso però, la funzionalizzazione covalente “soft” promuove il passaggio da una ibridazione sp2 a una sp3 con la conseguente interruzione della coniugazione, portando alla perdita della conducibilità elettrica e termica.

1.5.2 Funzionalizzazione non covalente

La funzionalizzazione non covalente dei nanotubi di carbonio sfrutta la capacità di alcune molecole di instaurare delle interazioni secondarie (e quindi non covalenti) estese e deboli di tipo π-π, o forze di van der Waals, con le pareti della struttura grafitica avvolgendo i singoli nanotubi o intercalandovisi all’interno. Tali tipi di legami di natura secondaria hanno il vantaggio di non intaccare in alcun modo la struttura del nanotubo, mantenendo inalterata la sua capacità di condurre elettricità o calore, mentre aumentano comunque la sua disperdibilità nei solventi di interesse66. La funzionalizzazione non covalente spesso è anche usata come espediente per aumentare la compatibilità dei nanotubi di carbonio con sistemi polimerici, al fine di preparare nanocompositi ad elevate prestazioni.

Sistemi aromatici come derivati del pirene possono interagire con la superficie del nanotubo attraverso interazioni di tipo secondario circondando un singolo tubo e separandolo dagli altri, rendendo maggiormente stabile l’esfoliazione67. Molecole sintetizzate in modo da instaurare con i nanotubi di carbonio delle interazioni deboli, ed al contempo allontanare due o più nanotubi, stabilizzandone l’esfoliazione, sono generalmente chiamate surfattanti (Figura 22).

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28

Figura 22 L'esempio riportato mostra l'interazione tra nanotubi di carbonio a parete singola e acido folico (in blu). Nel lavoro di Castillo e collaboratori l’acido folico è utilizzato come surfattante per l’esfoliazione di nanotubi di carbonio in ambiente acquoso. I bundles di nanotubi vengono sonicati in

acqua in presenza di acido folico per 15 minuti, quindi centrifugati per 20 minuti, ottenendo delle dispersioni omogenee del nanomateriale. L’acido interagisce con i nanotubi attraverso gli anelli eteroatomici presenti nella struttura, e stabilizza l’esfoliazione promuovendo la dispersione in acqua

dei nanotubi attraverso la funzionalità acida68.

La funzionalizzazione non covalente dei nanotubi di carbonio attraverso l’uso di agenti surfattanti è considerata di grande interesse in quanto permette di ottenere esfoliazioni ad alta riproducibilità, interessanti per eventuali scale-up industriali, senza interrompere la coniugazione dei doppi legami presenti sulle pareti del nanotubo.

Un surfattante può essere descritto come un composto formato essenzialmente da due frammenti, uno di natura affine al mezzo disperdente e l’altro compatibile con il prodotto da disperdere. La loro azione consiste nella formazione di micelle, disponendosi in modo da circondare il prodotto da disperdere ponendo verso l’esterno la parte affine al mezzo disperdente (Figura 25).

L’efficacia di un disperdente dipende fortemente dalla sua capacità di annullare le forze di tensione superficiale del liquido, andando ad interporsi tra questo ed il secondo componente.

Nel caso dei i CNTs, i “bundles” di nanotubi vengono sonicati all’interno di un mezzo disperdente, in presenza di un tensioattivo. L’energia fornita durante il processo di sonicazione è sufficiente a sconfiggere le forze di interazione di van der Waals esistenti fra i differenti nanotubi, garantendone così l’esfoliazione, mentre il disperdente opportunamente scelto, si adsorbe sulle pareti, contribuendo alla stabilità della dispersione69 (Figura 23). Una

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29 volta che il disperdente ha potuto interagire con i nanotubi di carbonio, la stabilità della loro esfoliazione è garantita dalle caratteristiche di questo ed in particolare dalla maggiore o minore repulsione elettrostatica70 e/o ingombro sterico70-71 che è in grado di esercitare.

Figura 23 Rappresentazione dell'intervento di un disperdente (pallini) su di un agglomerato di nanotubi (linee). Il disperdente rompe le interazioni di van der Waals tra le superfici dei nanotubi,

continuando ad interporsi tra i diversi fili fino ad allontanarli.

La conformazione esatta con cui il disperdente si dispone attorno ad un singolo nanotubo è stata ampiamente oggetto di studio72. Ad oggi tre ipotesi risultano le più accreditate: il disperdente si dispone casualmente attorno al nanotubo di carbonio, senza formare delle strutture ordinate o rispettare una corretta alternanza testa-coda72; il disperdente si dispone nello spazio a formare una emicella a ridosso delle pareti del CNT70; il disperdente è adsorbito sulle pareti del CNT di modo da inglobarlo all’interno di una micella cilindrica73 (Figura 24).

Figura 24 Rappresentazione schematica del meccanismo con il quale il surfattante aiuta a disperdere un SWCNT. Dall'alto verso il basso: SWCNT incapsulato all'interno di una micella cilindrica; adsorbimento ad emicella delle molecole di surfattante su di un CNT; adsorbimento casuale del

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30

1.5.2.1 Tensioattivi in ambiente acquoso

La chimica dei surfattanti in ambiente acquoso è stata investigata a fondo negli anni. In particolare sono stati studiati e messi a punto tensioattivi di tipo ionico, sia anionico che cationico. Tra i più comuni utilizzati troviamo il dodecilsolfato di sodio (SDS)74 in grado di disperdere i CNTs grazie alla presenza del gruppo solfato, carico negativamente, e il dodecilbenzene solfonato (NaDDBS)70, per il quale l’anello benzenico presente lungo la catena è considerato la ragione principale dell’alta efficacia di dispersione di questo surfattante in ambiente acquoso. È stato previsto da diversi studi che un eventuale surfattante utilizzato per disperdere nanotubi di carbonio possa funzionare meglio se in grado di disporsi in micelle cilindriche74, avvolgendosi alla struttura del CNT. In realtà in un recente lavoro di Yurekli et al72. riguardo a questo tipo di surfattanti, è stato dimostrato che il buon funzionamento di un tensioattivo, nel caso dei CNT dipende fortemente dal posizionamento casuale nello spazio di teste e code di questo, senza che si formino delle strutture micellari ordinate.

1.5.2.2 Tensioattivi in ambiente organico

In confronto ai composti solubili in ambiente acquoso, i tensioattivi solubili in ambiente organico non sono stati fino ad ora altrettanto studiati. Si tende a considerare i nanotubi di carbonio, data la loro idrofobicità, come strutture completamente organofile. In realtà questi risultano solubili solo in una piccola quantità di solventi organici come DMF, dimetilacetammide, dimetilpirrolidone75.

Nel 2000 Gong et al.76 dispersero nanotubi di carbonio a parete multipla in toluene, utilizzando un surfattante non ionico, il poliossietilenlauril etere. Utilizzarono i nanotubi così esfoliati per addizionare un materiale polimerico. Nel loro studio notarono come l’aggiunta del disperdente aumentasse notevolmente le proprietà termomeccaniche del materiale. Per esempio, in presenza del disperdente, l’aggiunta di solo l’1% di nanotubi al polimero produceva un aumento della temperatura di transizione vetrosa del composito di 20 °C, mentre la formazione lo stesso materiale senza disperdente non provocava una variazione apprezzabile sulla temperatura di transizione vetrosa, o sul modulo elastico.

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31 Figura 25 Triton-X 100, un disperdente non ionico utilizzato nella realizzazione di nanocompositi da

Velasco- Santos et al77.

In letteratura sono riportati altri esempi di studi che indagano la natura e l’efficacia di surfattanti in ambiente acquoso. Il Triton X-100 (t-octofenossipoli-etossietanolo), mostrato in Figura 25, è uno dei surfattanti più comuni utilizzati in letteratura. Velasco-Santos et al.77 riportano dell’uso del Triton X-100 per la dispersione di nanotubi a parete multipla in diversi solventi organici. Nel loro studio mostrano come l’aggiunta del surfattante aumenti notevolmente la compatibilità dei nanotubi con un polimero, il poli(metacrilato di metile).

I derivati esterei non ionici del sorbitolo sono stati utilizzati come surfattanti nella preparazione di materiali polimerici con nanotubi da Vaisman et al. 78, a partire da polipropilene. Nella loro ricerca hanno potuto dimostrare come l’aggiunta di surfattanti ad una dispersione di nanotubi in decalina possa portare ad una esfoliazione completa del nanomateriale. Inoltre, da uno studio comparativo, hanno potuto constatare come la capacità di dispersione dei diversi derivati del sorbitolo vada aumentando all’aumentare del numero di doppi legami presenti sulla catena dell’estere, raggiungendo un massimo con la presenza di tre legami C=C per coda, come nel caso dello Span-85 (sorbitan trioleato).

Cui e collaboratori79 hanno esaminato, in uno studio pubblicato nel 2003, il ruolo assunto dal surfattante Tergitol NP 7 (Figura 26). Lo studio è stato condotto comparando dispersioni formate in presenza ed in assenza di surfattante, e dalle analisi di microscopia elettronica a scansione è stato possibile dimostrare come in presenza di Tergitol NP 7 la dispersione dei nanotubi ottenuta sia migliore e più omogenea.

Figura 26 Struttura del Tergitol NP 7; n corrisponde al numero di gruppi etilenossido presenti, variabili a seconda del processo di formazione del composto.

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32 La presenza degli agenti disperdenti si è rivelata, in tutti i casi citati, cruciale per l’ottenimento di nanocompositi con migliori proprietà meccaniche e più basse soglie di percolazione. Per questo l’argomento ad oggi desta molto interesse.

1.6 Preparazione di nanocompositi polimerici contenenti

nanotubi di carbonio

Le principali caratteristiche dei nanotubi di carbonio quali dimensioni in scala nanometrica con alto rapporto di aspetto, li rendono ottimi candidati per la formazione di materiali compositi con caratteristiche particolari ed avanzate in termini di proprietà meccaniche, termiche ed elettriche. Il successo nello sviluppo di questi nanocompositi dipende fortemente dalla dispersione omogenea dei nanotubi all’interno della matrice polimerica, riflessa poi nella buona interfaccia tra i due componenti. Più è elevata l’adesione all’interfaccia tra due componenti, maggiore risulta il trasferimento delle proprietà da un materiale all’altro.

In particolare esistono diversi modi per produrre nanocompositi, tra cui:

 miscelazione in soluzione;  miscelazione nel fuso;  polimerizzazione in situ;  reazioni di innesto;

Il metodo più utilizzato tra questi è la miscelazione in soluzione, operazione che avviene generalmente in tre fasi principali: dispersione dei CNT in un mezzo che sia solvente per il polimero, miscelazione dei due componenti e il recupero del nanocomposito. L’operazione di miscelazione può essere condotta a differenti temperature in base a parametri quali la solubilità del polimero o la viscosità della miscela, mentre in alcuni casi è possibile prevedere un’iniziale funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio così da renderli maggiormente compatibili con la matrice polimerica, se non addirittura miscibili in essa.

Nel caso in cui risulti difficile trovare un solvente adatto per la miscelazione in soluzione, può essere più facile utilizzare la tecnica della miscelazione nel fuso polimerico (o nel materiale rammollito se questo è totalmente amorfo). La miscelazione meccanica nel fuso è utilizzata specialmente con polimeri termoplastici. Gli elevati sforzi di taglio introdotti dai rotori del miscelatore e l’alta temperatura di processo aiutano la rottura degli aggregati di nanotubo, mentre l’incremento di viscosità del materiale una volta che questo esce dalla

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33 camera del miscelatore previene efficacemente il loro riformarsi. Questo processo è facilmente scalabile ad un livello industriale anche se il grado di dispersione prodotto risulta spesso inferiore rispetto alla miscelazione in soluzione.

Una tecnica per ottenere interazioni più intime ed efficaci tra matrice e nanotubi è la polimerizzazione in situ. Con questo metodo i CNTs vengono inizialmente dispersi nel monomero selezionato, attraverso l’ausilio di ultrasuoni. Successivamente si procede alla polimerizzazione.

Questa tecnica è utile per creare compositi in cui il polimero è difficilmente lavorabile in soluzione o nel fuso, come per esempio i termoindurenti, oppure per materiali che hanno una scarsa stabilità termica56.

Quello delle reazioni di innesto, o di aggraffaggio, è un metodo di produzione di nanocompositi molto differente dai precedenti. I tre fino ad ora descritti prevedono infatti un’interazione tra la matrice ed i nanotubi di tipo secondario, mentre in questo caso si prevede di sfruttare un determinato gruppo funzionale, eventualmente presente sulla prima componente, per poter formare un legame covalente con i nanotubi di carbonio opportunamente funzionalizzati. Questo può avvenire secondo due meccanismi44: il gruppo funzionale presente sul CNT può interagire direttamente con la macromolecola del polimero, “grafting to” (Figura 27 b), oppure i CNT, funzionalizzati con iniziatori radicalici possono promuovere la crescita della catena polimerica mediante la reazione con i monomeri in soluzione, “grafting from” (Figura 27 a).

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34

a) b)

Figura 27 Esempio di polimerizzazione grafting from (sinistra) e grafting to (destra)

La tecnica dell’aggraffaggio porta con sé il vantaggio di un’efficace interazione tra i due componenti del nanocomposito ma allo stesso tempo risulta meno economica e affetta dalle problematiche introdotte dalla modifica chimica della superficie dei CNTs. Quale tecnica sia meglio utilizzare in fase di formazione del nanocomposito varia da caso a caso a seconda del polimero utilizzato e delle sue proprietà, ma anche dallo scopo pensato per il nanocomposito e dalle caratteristiche finali desiderate.

1.6.1 Proprietà elettriche dei nanocompositi a base di nanotubi di carbonio

Una delle proprietà che possono essere richieste ad un nanocomposito a base di nanotubi di carbonio è la conducibilità elettrica. I polimeri più comuni e di largo consumo sono generalmente ottimi isolanti elettrici. Un nanocomposito opportunamente realizzato che contenga come componente nanostrutturato un materiale come i CNT, può acquisire particolari proprietà di conducibilità elettrica data la loro elevata conduttività intrinseca. Affinché queste possano emergere è però necessario che i CNT siano presenti in una determinata percentuale e che risultino omogeneamente dispersi.

I CNT si dispongono all’interno del materiale polimerico formando una rete tridimensionale che abbatte la resistenza del polimero fornendo un percorso per i portatori di carica in movimento, chiamato cammino percolativo80. Tale cammino risulta completamente ed uniformemente distribuito all’interno del materiale al di sopra di una certa percentuale di nanotubi in poi.

La percentuale di CNTs alla quale si ha il passaggio da comportamento isolante del materiale a conduttore è detta soglia di percolazione e, una volta superata, la conducibilità del materiale risulta pressoché costante. Immediatamente a ridosso di tale soglia la conducibilità del materiale aumenta di diversi ordini di grandezza (Figura 28).

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35

Figura 28 Rappresentazione schematica della soglia di percolazione, dove "a, b, c, d" rappresentano le varie zone a conducibilità elettrica differente.

I fattori da cui dipende la soglia di percolazione sono molti, il più importante è l’omogeneità di dispersione dei nanotubi all’interno della matrice polimerica.

Per sistemi in cui esiste almeno un cammino percolativo è stata definita una relazione tra la conducibilità del materiale e la carica conduttiva che è posta all’interno:

𝜎 ∝ (𝑝 − 𝑝𝑐)𝑡 per 𝑝 > 𝑝𝑐 Eq. 12

Dove σ è la conducibilità del nanocomposito, p è la frazione in peso del materiale conduttivo, pc è la frazione in peso del materiale conduttivo alla soglia di percolazione e t è l’esponente critico che dipende dalla geometria del sistema. Allo stesso modo per sistemi sotto la soglia di percolazione è stata definita una relazione che lega la costante elettrica alla carica conduttiva posta all’interno:

𝜀 ∝ (𝑝𝑐 − 𝑝)𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑝 < 𝑝𝑐 Eq. 13

Dove ε è la costante dielettrica del nanocomposito e s è l’esponente critico che dipende dalla geometria del sistema81.

Nel caso dei nanotubi di carbonio il rapporto di aspetto ha una grande importanza per la determinazione della soglia di percolazione82.

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36

Figura 29 Variazione della conducibilità del cloruro di polivinile in funzione della concentrazione dei CNTs. La misura è stata eseguita in DC. La soglia di percolazione può essere trovata identificando il punto in cui la variazione di resistenza ha un netto cambiamento. L’inseto mostra il

valore medio ottenuto dal calcolo della conducibilità elettrica dopo la soglia di percolazione83.

Per calcolare sperimentalmente la soglia di percolazione si può ricorrere a misure di conducibilità elettrica in corrente continua (DC) o in corrente alternata (AC). Ricorrendo a misure in DC si può osservare la variazione del valore di conducibilità elettrica in funzione della concentrazione di MWCNTs. La soglia di percolazione è stata individuata in corrispondenza della massima variazione di conducibilità misurata.

Dalle misure in AC invece dobbiamo tenere di conto anche della dipendenza del comportamento (isolante o conduttore) nostro materiale dalla frequenza utilizzata. In un materiale composito possiamo individuare un comportamento isolante o conduttore a seconda del valore di concentrazione di CNT dispersi. In particolare avremo:

𝜎 ∝ 𝜎𝑐 + 𝜔𝜎𝑖 Eq. 14

Dove σc è la conducibilità della fase conduttiva, σi è la conducibilità della fase isolante e ω è la frequenza. σc a sua volta dipende dalla concentrazione all’interno della matrice.

𝜎𝑐 ∝ 𝜎0(𝑝 − 𝑝𝑐)𝑡 Eq. 15

dove σ0 è la conducibilità del conduttore isolato, p è la frazione in peso del materiale conduttivo, pc è la frazione in peso del materiale conduttivo alla soglia di percolazione. A basse frequenze il valore di σi è basso ed è praticamente trascurabile rispetto a σc. Aumentando il valore di ω si ottiene che il valore di σi diventa sempre maggiore fino a valori di σi >> σc. Il valore di concentrazione al quale si registra l’indipendenza del valore di conducibilità alle basse frequenze rappresenta il valore della soglia di percolazione82.

(38)

37

1.7 Sensori di deformazione nanocompositi polimerici a base di

nanotubi di carbonio

Nanocompositi a base di nanotubi di carbonio, a matrice polimerica, sono spesso presi in considerazione per la realizzazione di sensori di temperatura65 e di deformazione meccanica84. Nel primo caso viene sfruttata la variazione della conducibilità del nanocomposito al variare della temperatura (tipico dei semiconduttori). Nel secondo tipo di sensori viene sfruttata la variazione dei cammini percolativi in funzione dell’allungamento o della compressione del materiale quando sottoposto a stress meccanico.

Gli stimoli descritti portano ad una variazione del segnale elettrico che può essere monitorato in funzione del tipo di sollecitazione.

Un nanocomposito è in grado di condurre corrente, quando sottoposto ad un potenziale elettrico, se al suo interno è stata raggiunta la soglia di percolazione ed è presente un cammino percolativo. L’applicazione dei nanocompositi in sensoristica si propone di studiare, e sfruttare, la variazione del segnale elettrico generato dal composito in base a determinate variazioni nella struttura del materiale. In sensori di deformazione, in particolare, quando il materiale conduttore viene sottoposto ad un allungamento, i cammini percolativi subisco o un deterioramento nella loro struttura e questo porta ad una diminuzione della conducibilità elettrica. Come matrici, generalmente, vengono preferiti polimeri elastomerici, perché richiedono meno sforzo per allungamento, risultano più sensibili alle minime sollecitazioni e necessitano di un maggiore allungamento per arrivare a rottura. Inoltre possiedono una intrinseca capacità di tornare alla forma originale una volta terminata la sollecitazione. Esempi classici di materiali polimerici nanocompositi utilizzati come sensori di deformazione sono: il poliuretano85, il poliisopropene86, l’etilene-propilene diene monomero87, il poli(metacrilato di metile) e le poliammidi88.

Per definire la sensibilità di un sensore di deformazione (detto piezoelettrico) viene introdotto il “gauge factor”:

𝑔𝑎𝑢𝑔𝑒 𝑓𝑎𝑐𝑡𝑜𝑟 = 𝛥𝑅 𝑅0 ∗

𝑙0 𝛥𝑙

Eq. 16

Dove ΔR è la variazione di resistenza, R0 la resistenza iniziale, Δl l’allungamento e l0 la lunghezza iniziale.

(39)

38 Per carichi di nanotubi prossimi alla soglia di percolazione si ha una maggiore variazione di resistenza per minimi allungamenti. In pratica per tali composizioni si ha il valore massimo di gauge factor.

La direzione di orientazione è un fattore determinante per il gauge factor. Indicando con θmax l’angolo massimo tra l’asse di stiramento e l’orientazione dei CNT si osserva inizialmente una distribuzione random con θmax = 90°. Sottoponendo il nanocomposito ad un allungamento lungo una direzione, θmax diminuisce fino a θmax = 0°, ovvero i CNT si posizionano lungo la direzione di stiramento. Lavorando al di sotto della soglia di percolazione, lungo questa direzione è perciò più probabile che si formi un maggior numero di cammini percolativi, portando ad un valore di resistenza del nanocomposito a riposo minore, e quindi diminuendone la sensibilità allo stiramento. A parità di allungamento un nanocomposito che abbia già subito un processo di orientazione dei nanotubi produrrà una risposta minore in termini di diminuzione della resistenza, rispetto ad un composito in cui θmax = 90°, questo a causa della diminuzione del termine ΔR nel gauge factor (Figura 30).

Figura 30 Rappresentazione di un nanocomposito a base di CNTs prima (a sinistra) e dopo lo stiro (a destra). Inizialmente i CNTs sono disposti casualmente nella matrice polimerica mentre dopo

l’applicazione di una deformazione i CNTs si allineano nella direzione di stiro89.

Questo effetto è visibile solo per i sensori in cui la concentrazione di CNT è prossima alla soglia di percolazione; infatti per valori minori o maggiori la sensibilità è bassa e quindi questo effetto diventa trascurabile.

Un altro fattore che influenza il gauge factor è la conducibilità intrinseca dei CNTs che andiamo a disperdere nella matrice polimerica. Come si vede in Figura 31 ad una maggiore conducibilità dei CNTs corrispondono valori maggiori di conducibilità del nanocomposito. Se si osserva il valore di “gauge factor”, si può notare come questo vada ad aumentare con l’aumento della conducibilità del nanocomposito apparentemente in contrasto con quanto

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