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La tularemia: aggiornamenti epidemiologici

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina

Veterinaria

La tularemia: aggiornamenti epidemiologici

Candidato: Relatore:

Alessandro Vergara Dott. Filippo Fratini

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A mio padre, il cui dolce ed immutato ricordo costituisce un faro in ogni momento anche nelle notti più buie.

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RIASSUNTO

La tularemia è una malattia infettiva zoonotica trasmessa principalmente da vettori, il cui agente eziologico è il batterio Francisella tularensis.

Tale patologia può infettare un'ampia gamma di ospiti, tra cui troviamo gli invertebrati, i mammiferi e gli uccelli. La trasmissione all'uomo avviene attraverso il contatto con animali infetti, l’ingestione di cibo o acqua contaminati, la diretta ingestione di carne infetta poco cotta o cruda, oppure attraverso vettori artropodi quali zecche, mosche e zanzare, nonché tramite amebe a vita libera.

La tularemia ha un'ampia distribuzione geografica: tendenzialmente infatti si localizza in tutto l’emisfero settentrionale, per quanto ci siano stati rari isolamenti di questo batterio anche in Australia.

Principale scopo di questa tesi è stato quello di fornire aggiornamenti sulla distribuzione di F. tularensis negli esseri umani, nella fauna selvatica e negli animali domestici al fine di caratterizzare l'epidemiologia della tularemia nel mondo e in Europa, con particolare riferimento alla situazione italiana.

Sono state raccolte quante più possibili informazioni dettagliate e aggiornate sui casi in esseri umani e animali riscontrati nei Paesi europei e negli Stati Uniti grazie alla consultazione di diversi database internazionali, nonché dei rapporti pubblicati in letteratura.

La tularemia è una malattia che presenta una epidemiologia particolarmente complessa che ne rende difficile il controllo. Molti aspetti di questa malattia rimangono poco compresi, ed è perciò necessaria una migliore comprensione del ruolo epidemiologico degli ospiti animali, vettori potenziali, meccanismi di mantenimento nei diversi ecosistemi e percorsi di trasmissione della malattia, nonché una corretta ed adeguata sorveglianza a livello mondiale, anche al fine di arrivare allo sviluppo di un possibile vaccino.

Francisella tularensis è inoltre considerata una potenziale arma biologica, a causa della sua estrema

virulenza e della dose infettante particolarmente bassa, della facilità di diffusione in aerosol, della resistenza in ambiente e della sua capacità di causare gravi malattie e complicazioni potenzialmente mortali.

Parole chiave: Tularemia, Francisella, epidemiologia, vettori, tassonomia, bioterrorismo. ABSTRACT

Tularemia is a zoonotic infectious disease transmitted principally from vectors, whose etiologic agent is the

Francisella tularensis bacterium.

This pathology can infect a wide range of hosts, including invertebrates, mammals and birds. Transmission to humans occurs through contact with infected animals, ingestion of contaminated food or water, direct ingestion of underdone or raw infected meat, or through arthropod vectors such as ticks, flies and mosquitoes, as well as through free life .

Tularemia has a large geographic distribution: it is tendentially located throughout the northern hemisphere, although there have been isolations of this bacterium also in Australia.

This thesis was written in order to provide updates on the geographical distribution of F. tularensis in humans, wildlife and domestic animals, as well as to identify the dangers to public health and the ways of human infection, and to characterize the epidemiology of tularemia in Europe and the United States, with particular reference to the Italian situation.

As many as possible detailed information on cases in humans and animals has been collected in European and US countries, and several international human and animal health databases as well as reports published in the literature have been consulted.

Tularemia is a disease that has a particularly complex epidemiology, quite difficult to understand and therefore difficult to control. Many aspects of this disease remain unclear, and therefore a better understanding of the epidemiological role of animal hosts, potential carriers, maintenance mechanisms in different ecosystems and pathways of transmission of the disease, as well as proper and adequate surveillance at the world level, including In order to develop a possible vaccine.

Francisella tularensis is also considered a potential biological weapon because of its extreme virulence and

particularly low infection rate, aerosol diffusion ease, environmental resistance, and its ability to cause seriously diseases and potentially fatal complications.

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INDICE

Introduzione……….……….Pag. 1

La storia della tularemia………..………...Pag. 1

Caratteristiche colturali……….….…Pag. 6

Capitolo primo: La tularemia…………...………. Pag. 7

Eziologia………...………...Pag.7

Tassonomia………..……….………...Pag.8

I FLEs……….………..….Pag.12

Ciclo biologico………..……….………...Pag.13

Formazione del fagosoma e gli FCP………..………Pag16

Fuoriuscita dal fagosoma………..……….………....Pag.18

I fattori della replicazione…………..………...………….Pag.19

Immunatogenesi………..………..………….………..…….Pag.20

Caratteristiche colturali………..……….………..Pag.22

Epidemiologia: aspetti generali………..………...…Pag.25

(5)

Diagnosi diretta………..……….………..Pag.32

Diagnosi indiretta………...………...…Pag.37

Segni clinici negli animali………..………..….…Pag.38

Segni clinici nell’uomo….……….………...…Pag.40

Terapia………...…………Pag.44

Profilassi e prevenzione………..……….………..…Pag.46

Capitolo secondo: Epidemiologia della tularemia……….………..Pag.48

Gli Stati Uniti………...……….Pag.48

L’Europa………...……….Pag.57 La Svezia……..……….……..………..Pag.65 La Norvegia……….………..………Pag.68 La Francia……….………..…………...Pag.73 La Repubblica Ceca……….………..……Pag.78 La Svizzera………..……….………...Pag.80

Capitolo terzo: La tularemia in Italia………..…..Pag.84

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Il focolaio di Pistoia nel 2008………...……….Pag.94

La tularemia negli animali in Italia.………..Pag.92

Capitolo quarto: Il ruolo di Francisella come arma biologica………Pag.94 Conclusioni……….Pag.100 Bibliografia……….Pag.102 Siti consultati………..……Pag.120 Ringraziamenti………..…Pag.125

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INTRODUZIONE

La tularemia, anche conosciuta come “febbre del coniglio”, “deer-fly fever”, “malattia di Ohara”, “malattia ghiandolare della zecca”, “malattia dei mercanti” e “malattia di Francis”, è una zoonosi riscontrata prevalentemente nell'emisfero settentrionale. Il suo agente eziologico è il batterio Francisella tularensis.

La tularemia è endemica in tutta l'Europa continentale, Russia, Nord America, Cina e Giappone, mentre risulta più rara nel Regno Unito, in Africa, nel Centro e nel Sud America (Sjöstedt et al., 2007).

La Storia della tularemia

Prima del 1900 e fino al 1910

Ci sono prove che dimostrano che la tularemia nella specie umana potrebbe essersi verificata fin dal XIX secolo in Norvegia, Russia, Giappone e Stati Uniti, per quanto probabilmente a quei tempi non fosse stata riconosciuta come una malattia infettiva. Nel XX secolo, un medico giapponese di nome Hachiro Ohara descrisse una malattia che colpiva tipicamente i cacciatori e i consumatori di carne di coniglio. I giapponesi la chiamavano “Yato-Byo”, il cui significato è “febbre del coniglio”, e sembrava provenire dalle Abakuma Mountains. Ohara, durante i suoi studi, affermò che in determinate stagioni veniva registrato un gran numero di conigli morti, e che l'infezione umana era provocata proprio dal contatto con questi animali morti o con soggetti malati.

Decise così di prelevare qualche campione di sangue da un coniglio colpito dalla patologia e di strofinarlo sulla pelle della moglie. In pochi giorni, secondo il resoconto di Ohara, sulla pelle esposta al sangue si presentò una grande ulcera, mentre la donna cominciava a manifestare sintomi clinici simili a coloro che erano stati esposti naturalmente.

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Decenni più tardi, Ohara riconobbe che vi erano differenze cliniche tra lo Yato-Byo osservato in Giappone e la tularemia osservata negli Stati Uniti (Sjöstedt et al., 2007).

Dal 1910 al 1927

Nel 1910, un medico dello Utah, R.A. Pearse, descrisse quella che venne definita come la “deer-fly fever”, ovvero la febbre del cervo volante. Il cervo volante, il cui nome scientifico è Chrysops callidus, è un coleottero della famiglia dei Tabanidi, attualmente riconosciuto come uno dei vettori della tularemia.

Nel 1911, George W. McCoy e Charles W. Chapin, due medici del Servizio di Salute Pubblica degli Stati Uniti, iniziarono ad esaminare migliaia di topi e scoiattoli di terra, col fine di individuare sospetti focolai di infezione pestosa nella zona di San Francisco. All'inizio della ricerca, McCoy si rese conto di aver incontrato un’infezione le cui lesioni erano facilmente scambiabili per quelle della peste.

Fu l’anno seguente che i due medici isolarono, dallo scoiattolo di terra californiano (Spermophilus beecheyi), l'agente patogeno di questa malattia simil-pestosa, denominandolo Bacterium tularense, per ricordare la terra dove svolsero le loro ricerche, la Tulare County.

McCoy e Chapin però non si limitarono a questo; svilupparono anche il test di agglutinazione e il test di fissazione del complemento per facilitare la diagnosi della malattia. Grazie a loro, il primo caso confermato batteriologicamente di tularemia umana fu segnalato a Cincinnati nel 1914.

Nel 1926 Perman in una sua pubblicazione riferì della presenza in un uomo di lesioni subcutanee riconducibili alla tularemia, mentre nel 1927 il dottor Netherton, un dermatologo americano, fu il primo a descriverne nel dettaglio le manifestazioni dermatologiche (Sjöstedt et al., 2007).

Dal 1928 al 1940

Negli anni che seguirono, il Dr. Edward Francis, anch’egli membro del Servizio di Salute Pubblica degli Stati Uniti, continuò gli studi di McCoy e Chapin sulla tularemia. Egli riuscì

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a stabilire che la causa della “deer-fly fever” era da riscontrarsi proprio nel Bacterium tularense, e fu il primo ad indicare l’esistenza a livello istopatologico di un granuloma tubercolare.

Nel 1929, furono individuati quattro nuovi “tipi clinici”, sulla base delle analisi che il Dr. Francis effettuò su ben 800 casi.

Successivamente il Dr. Francis arrivò ad identificare altri tre tipi di manifestazione clinica: la meningea, la orofaringea e la polmonare, contribuendo così ad aggiornare le informazioni fornite dal dottor Netherton.

Nel 1930 prima e nel 1940 poi, in Europa e nell' allora Unione Sovietica si succedettero due delle più grandi epidemie di tularemia, che portarono a riconoscere questa patologia come una importante malattia umana. In questi due casi gli studi epidemiologici confermarono che la trasmissione del batterio fu principalmente idrica (Sjöstedt et al., 2007).

Dal 1940 al 1959

A partire dalla prima denominazione di “Bacterium”, questo agente ha subito nel corso degli anni vari arrangiamenti tassonomici, passando dal genere Pasteurella al genere Brucella. Solo nel 1947 venne proposto come nuovo genere e denominato così in maniera defeinitiva Francisella. Proprio in onore di Edward Francis e dei suoi fondamentali studi, nel 1974 il nome del patogeno Bacterium tularense fu modificato infine nell’attuale Francisella tularensis.

Nel 1959 alcuni scienziati russi identificarono due sottospecie di Francisella: la prima è F. tularensis biovar. tularensis (tipo A), cioè la biovariante più comune isolata in Nord America; può essere altamente virulenta sia per l’uomo che per gli animali, compreso il suo principale ospite serbatoio, il Sylvilagus.

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Figura 1: Ritratto del dottor Edward Francis, cui è dedicata la nomenclatura della specie Francisella tularensis. Fonte: https://www.researchgate.net/figure/6393545_fig8_Figure-1-Portrait-of-Edward-Francis-Dr-Francis-1872-1957-was-an-early-and-important

La seconda sottospecie è F. tularensis biovar. palaearctica (tipo B), che invece è ritenuta la causa di tutti i casi di tularemia umana identificati in Europa e in Asia. È relativamente avirulenta negli esseri umani, ma può causare epizoozie anche molto gravi nei suoi serbatoi principali (Sjöstedt et al., 2007).

Dal 1959 al 2002

Nel corso dei successivi decenni, è emerso un quadro epidemiologico assai complesso della tularemia: sono stati infatti riconosciuti nuovi vettori, nuove specie serbatoio, sono stati identificati vari gradi di virulenza e varie manifestazioni cliniche.

La tularemia conosce una sempre più ampia diffusione e diviene endemica in Europa e in Asia: il maggior numero di casi umani segnalati si trovano nell’Europa settentrionale e centrale, in particolare nei Paesi scandinavi e nei Paesi dell'ex Unione Sovietica.

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Una delle più grandi epidemie registrate di tularemia polmonare si è verificata in Svezia, tra il 1966 e il 1967. Anche in questo caso, la trasmissione è avvenuta essenzialmente per mezzo di acqua contaminata. Nelle regioni del centro-nord della Svezia la tularemia era stata dichiarata endemica fin dal 1931. Importanti studi dimostrarono che lo scoppio dell’epidemia del 1966 coincise di fatto con un forte aumento del numero di arvicole, seguito poi da una loro brusca riduzione sul territorio. Fu proprio il gran numero di arvicole morte trovate in fienili e fattorie la più probabile fonte della malattia. Sono stati registrati ben 2.739 casi di tularemia negli esseri umani durante l’epidemia del 1966-1967: per avere idea di quanto importante sia questo numero, basti pensare che corrisponde quasi alla metà del numero totale dei casi segnalati in Svezia tra il 1931 e il 1993.

Dopo questo episodio, un altro focolaio di tularemia, con più di 400 casi registrati, è stato segnalato nella stessa Svezia durante l'estate e l'autunno del 2000, senza però raggiungere i livelli drammatici dell’epidemia del 1966 (Sjöstedt et al., 2007).

Anche la vicina Finlandia ha annoverato epidemie sporadiche di tularemia a partire dal 1939. La variazione di anno in anno dell'incidenza della tularemia sembra essere in questo caso correlata alle modificazioni della popolazione di conigli e arvicole, ritenuti appunto i principali serbatoi animali presenti sul territorio. Negli ultimi anni, il numero annuo di casi segnalati di tularemia in Finlandia ha spaziato dai 467 nel 1995 agli 87 del 1999 (Sjöstedt et al., 2007).

Dal 2002 ai giorni nostri

A partire dal febbraio 2002 l'Istituto di Sanità Pubblica nella regione del Kosovo della Jugoslavia, ha riportato 715 casi di tularemia da quando l'epidemia ha avuto inizio il 1 ° novembre 2001. Tra questi, 170 hanno avuto conferma in laboratorio, mentre 404 casi sospetti sono risultati ad un’analisi più approfondita essere negativi. Non si sono registrati decessi.

Il progredire degli studi ha fatto sì che siano state individuate all’interno della specie F. tularensis altre quattro sottospecie:

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 F. novicida,  F. mediasiatica,

 F. holarctica, anche individuabile come F. tularensis tipo B.

Di queste sottospecie però, solo F. tularensis subsp. tularensis e subsp. holarctica sono in grado di causare malattie anche gravi negli esseri umani (Carvalho et al., 2014).

Caratteristiche colturali

Le diverse specie di Francisella possono essere identificate sulla base delle caratteristiche di crescita, delle reazioni biochimiche, dei caratteri di virulenza, ma anche per mezzo di più recenti e sofisticate tecniche biomolecolari.

Per la coltivazione vengono utilizzati terreni quali agar sangue-glucosio-cistina o il terreno di Thayer–Martin modificato, con una incubazione a 35°C in atmosfera arricchita con il 10% di CO2.

Nel giro di 2-3 giorni siamo così in grado di ottenere lo sviluppo di colonie bianco-grigiastre, quindi si può procedere con la colorazione di Gram, ma è possibile anche utilizzare l’antisiero specifico anti-F. tularensis (disponibile in commercio o prodotto direttamente nel coniglio) per avere una conferma in via definitiva (Gilligan et al., 1995). È anche possibile differenziare il tipo A dal tipo B attraverso metodi di ibridizzazione del DNA o attraverso l’impiego di tecniche molecolari come la PCR (reazione a catena della polimerasi).

Recentemente è stata descritta una metodica PCR molto innovativa, che consente di suddividere gli stipiti di F. tularensis in 17 gruppi genetici (da A a Q) e che può essere utilmente impiegata anche per inquadrare i vari stipiti in base alla loro origine geografica, dando modo così di aggiornare e migliorare la diagnosi e l’epidemiologia dell’infezione (Gilligan et al., 1995).

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Capitolo primo

LA TULAREMIA

1.1 Eziologia

Francisella tularensis è uno dei microrganismi più virulenti attualmente noti, considerato che un numero inferiore a dieci microrganismi può causare malattie potenzialmente fatali sia negli animali che nell'uomo.

Questo alto tasso di infettività ha portato il Center for Disease Control and Prevention (CDC) a classificare F. tularensis come un possibile agente di guerra biologica (Petersen et al., 2005; Lopes de Carvalho et al., 2009).

F. tularensis è una delle due specie appartenente al genere Francisella, che è l'unico genere della famiglia Francisellaceae, facente parte della sottoclasse gamma-Proteobacteria. (Broman et al., 2007).

E’ un batterio gram-negativo, catalasi-positivo, coccobacillare, pleomorfo e immobile, definibile come patogeno facoltativo intracellulare, in grado di svilupparsi in differenti tipi di cellule.

Tra queste le più permissive sono:

macrofagi,

epatociti,

cellule epiteliali (Mandell et al., 2005; Lopes de Carvalho et al., 2009; Foley et al., 2010; Cowley et al., 2011).

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La parete cellulare di F. tularensis è caratterizzata da un livello particolarmente elevato di acidi grassi, con un profilo unico per il suo genere; alcuni ceppi selvatici posseggono inoltre una capsula ricca di lipidi, senza però essere caratterizzata da proprietà tossiche o immunogene (Collier et al., 1998; Mandell et al., 2005; Petersen et al., 2009).

La perdita di questa capsula è stata tuttavia correlata ad una diminuzione di virulenza, anche se la vitalità e la sopravvivenza stessa del batterio all'interno dei neutrofili ospiti possono rimanere inalterate (Carvalho et al., 2014).

1.1.2 Tassonomia

Francisella tularensis è, come già anticipato, una delle due specie appartenenti al genere Francisella.

L’altra specie del genere è chiamata Francisella philomiragia: sia F. tularensis che F. philomiragia mostrano una somiglianza a livello di RNA molto importante (Sjöstedt et al., 1994).

F. tularensis è divisa in tre sottospecie con differenti patogenicità e distribuzione geografica: tularensis, holarctica e mediasiatica. La specie Francisella novicida è attualmente accettata come una quarta sottospecie di F. tularensis, poiché condivide con essa una media del 99,2% di identità nucleotidica in 1.1 Mbp di sequenza genomica (Oyston et al., 1998; Ellis et al., 2002; Vogler et al., 2009; Birdsell et al., 2009).

Sono state però registrate alcune obiezioni al fatto che F. novicida possa esser considerata una sottospecie di F. tularensis, poiché recenti studi mostrano evoluzioni divergenti nel sequenziamento del genoma. Sembrerebbe infatti possibile classificare F. novicida come una specie distinta da F. tularensis. (Ellis et al., 2002; Oyston et al., 2008; Vogler et al., 2009; Birdsell DN et al., 2009; Hansen et al., 2011; Huber et al., 2010; Siddaramappa et al., 2011; Brett et al., 2012).

F. tularensis subspecie tularensis viene ad oggi ancora considerata come la sottospecie più virulenta ed è classificata come tipo A. Essa si localizza prevalentemente in Nord America.

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In questa subspecie sono state identificate due distinte sottopopolazioni genetiche, la AI e la AII, che hanno distribuzioni geografiche, ospiti e vettori tra loro ben diversificati (Birdsell et al., 2009).

La sottopopolazione AI in tempi molto recenti è stata ulteriormente divisa nei gruppi AIa e AIb (Carvalho et al., 2014).

La subspecie holarctica è invece responsabile di forme più lievi, e viene classificata come tipo B (Lopes de Carvalho et al., 2009). È stata identificata in tutto l'emisfero settentrionale (Hansen et al., 2011).

È stato dimostrato che l'infezione umana con ceppi AIb ha di solito una progressione clinica fulminante, ed è associata ad elevati tassi di mortalità, a differenza delle infezioni in cui sono coinvolti i ceppi AIa e AII o del tipo B (Reese et al., 2010). Recentemente queste sottospecie sono state rilevate anche in Tasmania ed in Australia (Jackson et al., 2012). La subspecie mediasiatica presenta una virulenza simile alla sottospecie holarctica, ma la sua distribuzione geografica è finora limitata all’Asia centrale (Vogler et al., 2009).

La subspecie novicida è meno virulenta ed è stata isolata in Nord America, in Australia e in Thailandia (Johanson et al., 2010).

Nella tabella 1.1 vengono elencate le caratteristiche principali di F. tularensis e delle sue sottospecie, nonché quelle di F. philomiragia, utili al fine di discriminare le varie specie e subspecie. SPECIE CARATTERISTICHE F. tularensis sub. tularensis F. tularensis sub. holarctica F. tularensis sub. Mediasiatica F. tularensis sub. novicida Francisella philomiragia

Cisteina positivo positivo positivo negativo negativo Fermentaz. maltosio positivo positivo negativo debole positivo Fermentaz. saccarosio negativo negativo negativo positivo positivo Fermentaz. glucosio postivo positivo negativo positivo debole Fermentaz. glicerolo positivo positivo Positivo debole negativo Produzione di citrullina

ureidasi

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Produzione di H2S su

TSI

positivo non testato non testato non testato non testato Dimensioni in µ 0.2-0.7x0.2 0.2-0.7x0.2 0.2-0.7x0.2 0.7x1.7 0.7x1.7

Tabella 1.1 Fonte: WHO guidelines on Tularemia, 2007.

In seguito, sono state identificate nuove specie potenzialmente ascrivibili al genere Francisella, grazie a complessi studi molecolari (Challacombe et al., 2016). Queste specie sono:

 Francisella noatunensis subsp. orientalis,  Francisella noatunensis subsp. noatunensis,  F. guangzhouensis,

 Francisella hispaniensis,

 Francisella endociliophora (Challacombe et al., 2016).

I medesimi autori riportano la scoperta di quattro ulteriori nuove specie di Francisella, più una ancora non ufficialmente denominata, anch’esse individuate tramite tecniche di sequenziamento del genoma (Challacombe et al., 2016). Queste nuove specie sono:

 Francisella salina,  Francisella uliginis,  Francisella frigiditurris,

 Francisella opportunistica (Challacombe et al., 2016).

Nella tabella 1.2 vengono riportate dettagliatamente le proprietà delle nuove 4 specie, ovvero le reazioni biochimiche, la crescita dopo 48 ore, l’agglutinazione nel siero contenente anticorpi anti-Francisella, e la suscettibilità ai principali antibiotici (Challacombe et al., 2016).

Organismo Reazioni biochimiche Crescita dopo 48h Agglutinaz. in siero anti

F.tularensis

Suscettibilità agli antibiotici

Indolo Ureasi Ossidasi Catalasi 6,5%

NaCl SBA CHBA

Ciprofloxacina, Doxicyclina, Streptomicina, Gentamicina, Eritromicina, Tetracicline

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F.

opportunistica

-Scarsa + - - No No + ++ - A tutti

F. salina - - - + Scarsa + ++ + ++ - A tutti

F. uligidis - - - + + No No + ++ - A tutti

F.

frigiditurris - - - +

Scarsa No No + ++ - Non testata

Tabella 1.2 Fonte: Challacombe et al., 2016.

La tabella 1.3, invece, annovera dettagliatamente le varie specie e subspecie di Francisella che sono state identificate fino a dicembre 2016, con rispettiva origine e genoma.

Specie Origine Genoma

F. tularensis subsp. tularensis tipo A1a

Uomo Schu S4

F. tularensis subsp. tularensis tipo A2a

Uomo WY96-3418

F. tularensis subsp. tularensis type A1b

Uomo NE061598

F. novicida (F. tularensis) Ambientale: primavera DPG 3A-IS

F. tularensis subsp. holarctica tipo B1

Ceppo vaccino LVS

F. tularensis subsp. holarctica tipo B

castoro OSU18

F. tularensis subsp. mediasiatica

gerbillo FSC147

F. tularensis subsp. orientalis Tilapia Toba04

F. tularensis subsp. noatunensis

merluzzo FSC774

F. novicida Acqua vicino a topi morti U112

F. novicida Clinica: sangue Fx1

F. novicida Clinica: sangue PA10-7858

F. novicida Clinica: linfonodi AZ06-7470

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F. novicida Clinica: linfonodi D9876

F. novicida Clinica: sangue F6168

F. novicida Ambientale: acqua di mare TX07-6608

F. hispaniensis Clinica: sangue FSC454

F. novicida-like (F. hispaniensis)

Clinica: ferite 3523

F. philomiragia Ambientale: acqua ATCC 25017

F. philomiragia Topo muschiato ATCC 25015

F. philomiragia Uomo GA01-2794

F. philomiragia Uomo GA01-2801

F. salina Ambientale: acqua di mare TX07-7308

F. uliginis Ambientale: acqua di mare TX07-7310

F. frigiditurris Torre di raffreddamento: USA CA97-1460

F. opportunistica Clinica: sangue MA06-7296

F. persica zecche FSC845

F. endociliophora Ambientale: acqua di mare FSC1006

F. guangzhouensis Torre di raffreddamento: Cina 0HL01032

Specie non nominata Torre di raffreddamento: Germania

W12-1067

Tabella 1.3 Fonte: Challacombe et al., 2016.

1.1.3 I FLEs

Altri studi hanno evidenziato un certo grado di somiglianza tra le sequenze geniche 16S rRNA di F. tularensis con quelle di altri microrganismi, che sono stati quindi classificati come probabili membri della famiglia Francisellaceae; tra questi sono inclusi gli endosimbionti Francisella-simili, anche definiti FLEs (Francisella -like endosimbyonts). (Sjostdet et al., 2011).

Tali FLEs appartengono ad un clade filogenetico distinto da F. tularensis (Escudero et al., 2008).

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L'importanza dei FLEs nella trasmissione di F. tularensis tramite morso di zecche risulta però ancora sconosciuta (Petersen et al., 2009).

È stato osservato come i FLEs siano caratterizzati da una distribuzione a livello mondiale, e da una trasmissione di tipo verticale tramite zecche, sia dure dure che molli, dei generi Amblyomma, Dermacentor, Ixodes e Ornithodoros (Dergousoff et al., 2012).

La patogenicità dei FLEs verso l’uomo non è stata ancora verificata.

1.1.4 Ciclo biologico

Il ciclo biologico di Francisella tularensis può essere essenzialmente di due tipi: acquatico e terrestre (Carvalho et al., 2014).

Il ciclo terrestre risulta principalmente associato al tipo A. In questo caso i lagomorfi selvatici, come conigli e lepri, agiscono come ospiti in cui il batterio si moltiplica, mentre gli artropodi sono i vettori che disseminano la malattia (Plettsoesser et al., 2005; Petersen et al., 2009; Lopes de Carvalho et al., 2009).

L’uomo può dunque infettarsi direttamente tramite:  l’ingestione di carni contaminate poco cotte,

 inalazione di aerosol infetto nei pressi dell’animale,  contatto diretto con animali infetti.

Oppure può infettarsi indirettamente tramite le punture degli artropodi vettori (Carvalho et al., 2014).

La tularemia che vede come agente eziologico coinvolto Francisella tularensis tipo B invece è più frequentemente associata al ciclo acquatico. In questo ciclo biologico, F. tularensis si trova essenzialmente in roditori selvatici, ma è anche presente nei corsi d'acqua, dove vi giunge attraverso la contaminazione dovuta alla presenza di carcasse di animali (Plettsoesser et al., 2005; Petersen et al.,2009; Lopes de Carvalho et al.,2009). Ci sono anche prove che F. tularensis è in grado di persistere nei corsi d'acqua in associazione con amebe a vita libera (Ellis et al., 2002; Abd et al., 2003).

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In questo caso l’uomo può infettarsi bevendo acqua contaminata o tramite artropodi vettori.

Figura 2: Esemplificazione del ciclo biologico di F. tularensis. Fonte: http://archive.timesrecordnews.com/news/health/city-confirms-case-of-tularemia-in-wichita-county-3f39b214-b9cd-5a8a-e053-0100007f6777-397620381.html

L’aspetto chiave del ciclo biologico di Francisella tularensis è comunque determinato dalla sua capacità di sopravvivere e replicarsi all’interno delle cellule ospiti, nonostante sia stato dimostrato nel topo che il microrganismo è in grado di presentare una fase extracellulare durante la batteriemia (Forestal et al., 2007).

I vari ceppi di F. tularensis subsp. tularensis e holarctica e di F. novicida compiono infatti il loro ciclo biologico all’interno di una vasta gamma di cellule ospiti, quali:

macrofagi,

cellule dendritiche,

neutrofili polimorfonucleati,

cellule dell’epitelio polmonare, endoteliali e del tipo II (McCaffrey e Allen, 2006; Hall et al., 2007; Hall et al., 2008; Oyston et al., 2008),

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epatociti (Mandell et al., 2005; Lopes de Carvalho et al., 2009; Foley et al., 2010; Cowley et al., 2011).

La proliferazione intracellulare è essenziale per la virulenza di Francisella, infatti la maggior parte delle ricerche si sono concentrate sulla caratterizzazione di specifici passi del ciclo intracellulare di questo batterio.

È stato dimostrato così che la sopravvivenza e la proliferazione di Francisella sono dovute alla fuoriuscita dal suo fagosoma originale, nonché alla sua successiva replicazione nel citosol della cellula ospite (Celli et al., 2013).

1.1.5 L’entrata di Francisella all’interno delle cellule

L'ingresso nelle cellule non-fagocitiche non è ancora stato chiarito, mentre sono stati svolti numerosi studi sulla fagocitosi di Francisella da parte dei macrofagi, per quanto queste indagini abbiano riguardato principalmente la medicina umana.

Tale fagocitosi avviene per mezzo di diversi recettori fagocitici in conseguenza delle condizioni di opsonizzazione del batterio (Celli et al., 2013).

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Fonte:http://www.misistemainmune.es/4-respuestas-sobre-los-Uno di questi è il recettore del mannosio (MR), che svolge un ruolo importante nell'assorbimento non opsonico del batterio da parte di macrofagi umani derivanti da monociti (MDM), di macrofagi di midollo osseo di topo (BMM) o della cellula J774A.1 (Balagopal et al., 2006; Schulert e Allen, 2006; Geier e Celli, 2011).

Sono presenti anche altri recettori che però ancora non stati ancora identificati, che sembrerebbero responsabili dell’assorbimento non opsonico.

L'opsonizzazione del sangue facilita notevolmente la fagocitosi di Francisella (Clemens et al., 2005; Balagopal et al., 2006; Schulert e Allen, 2006; Geier e Celli, 2011), e si esplica mediante il recettore del complemento CR3, presente sui macrofagi umani e su quelli del topo, sui neutrofili e sulle cellule dendritiche (Balagopal et al., 2006; Ben Nasr et al., 2006; Schulert e Allen, 2006; Barker et al., 2009).

1.1.6 Formazione del fagosoma e gli FCP

Dopo la fagocitosi Francisella va a stabilirsi all’interno del fagosoma, chiamato letteralmente “fagosoma contenente Francisella ” (FCP): esso è un compartimento dotato di membrana vacuolare che si forma durante il processo degradativo di endocitosi, processo che in condizioni fisiologiche dovrebbe progredire nel fagolisosoma.

Gli FCP di nuova costituzione acquisiscono sequenzialmente marcatori di endosomi precoci e endosomi tardivi, come ad esempio

 l’EEA-1,  il CD63,  il LAMP-1,  il LAMP-2,

 il Rab7 (Clemens et al., 2004; Santic et al., 2005; Checroun et al., 2006; Chong et al., 2008; Wehrly et al., 2009; Clemens et al., 2009; Santic et al., 2009).

Questi marcatori sono indicativi di un normale processo di maturazione. Tuttavia, tali interazioni non procedono verso la fusione con i lisosomi, in quanto gli FCP sembra che

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non accumulino le idrolasi luminali lisosomiali, come la catepsina D o i traccianti lisosomiali (Anthony et al.,1991; Clemens et al., 2004, Santic et al., 2005; Bonquist et al., 2008).

I batteri inoltre distruggono la membrana fagosomica, liberandosi in questo modo all’interno del citosol della cellula ospite.

Un'altra caratteristica importante della maturazione fagosomica è l'acidificazione progressiva del lume fagosomiale, attraverso l'acquisizione dell'ATPasi vacuolare (v-ATPasi). Attualmente, però, non è ancora stato chiarito se l’FCP acidifichi o meno prima della rottura della parete.

Alcuni studi, invece, hanno dimostrato come gli FCP contenenti un ceppo di F. tularensis resistano all'acidificazione e acquisiscano quantità limitate di v-ATPasi (Clemens et al., 2004; Bonquist et al., 2008; Cremer et al., 2009), mentre altri riferiscono che gli FCP contenenti il ceppo Francisella novicida U112 o SchuS4 acidificano e acquisiscono la pompa protonica v-ATPasi prima della rottura del fagosoma (Chong et al., 2008; Santic et al., 2008).

Esiste però una certa controversia, che risiede nel fatto che quegli studi che hanno dimostrato l’acidificazione degli FCP dimostrano come il ruolo di questa acidificazione sia fondamentale per l’uscita dal fagosoma (Chong et al., 2008; Santic et al., 2008), mentre in uno studio in cui gli FCP non acidificano, non è stato osservato alcun effetto degli inibitori dell'acidificazione (Clemens et al., 2009).

Bisogna però considerare che gli FCP acidificati sono stati studiati utilizzando condizioni di non-osponizzazione, mentre gli FCP non acidificati sono stati studiati in un siero opsonizzato: ciò suggerisce che la metodica di assorbimento può influenzare l'acidificazione del FCP, e chiarirebbe la differenza osservata negli studi. Sebbene il pH intraluminale degli FCP non sia stato ancora misurato in condizioni di opsonizzazione diverse, questi studi suggeriscono come i segnali fisico-chimici all'interno del FCP contribuiscano alla sopravvivenza di Francisella nella cellula ospite.

Ciò dimostra l'importanza che ha l’FCP nella fase intracellulare del ciclo di Francisella: esso infatti costituisce il sito dell'induzione intracellulare dei geni di virulenza, codificati all'interno di quella che viene definita “isola di patogenicità di Francisella ” (FPI), ovvero

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un locus genetico che sembra servire per la codifica di sistema di secrezione di tipo 6 (Nano et al., 2004; Chong et al., 2008; Wehrly et al., 2009).

1.1.7 Fuoriuscita dal fagosoma

Sono molte le ricerche che descrivono la fuoriuscita dal fagosoma dei vari ceppi di F. tularensis o F. novicida all’interno dei macrofagi umani o murini, ma anche in altri tipi di cellule (Golovliov et al., 2003; Clemens et al., 2004; Santic et al.,2005; Checroun et al., 2006; Chong et al., 2008).

Questo processo è un segno distintivo della fase intracellulare del ciclo biologico di Francisella. Lo studio della cinetica della fuoriuscita dai fagosomi ha comunque provocato alcune controversie nel mondo scientifico, in quanto gli studi preliminari hanno segnalato che la distruzione fagosomica e di conseguenza l'accesso dei batteri nel citosol avviene in un lasso di tempo che va da 1h a 8h post infezione (Golovliov et al., 2003; Clemens et al., 2004; Santic et al., 2005; Checroun et al., 2006; McCaffrey and Allen, 2006).

Queste ampie variazioni di tempo verificatesi sono probabilmente attribuibili a differenze tecniche nei criteri utilizzati per valutare la distruzione fagosomica, a variazioni nei modelli studiati nei vari laboratori dove sono state esaminate le diverse specie e ceppi di Francisella , nonché ai diversi modelli di macrofagi impiegati.

A sostegno di ciò, i più recenti confronti della cinetica di fuoriuscita dal fagosoma tra i ceppi di F. tularensis e quelli di F. novicida, hanno evidenziato differenze in questo processo (Chong et al., 2008). Ad esempio, è stata osservata un’ uscita più rapida in condizioni non opsoniche (Golovliov et al., 2003; Lindgren et al., 2004; Checroun et al., 2006; Chong et al., 2008; Santic et al., 2008; Barker et al.2009; Wehrly et al., 2009; Child et al. 2010, Edwards et al., 2010), mentre le cinetiche di fuga più lente sono state osservate in condizioni opsoniche (Clemens et al., 2004; McCaffrey e Allen, 2006; Schulert et al., 2009).

La fuoriuscita dal fagosoma di Francisella è necessaria per la proliferazione intracellulare del batterio, come dimostrato dall'incapacità di numerosi mutanti che non sono in grado di compiere questa uscita, di crescere all'interno dei macrofagi (Lindgren et al., 2004; Santic et al., 2005; Wehrly et al., 2009; Broms et al., 2012).

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1.1.8 I fattori della replicazione

La capacità di Francisella di moltiplicarsi all'interno del citosol della cellula ospite è l’altro concetto chiave del suo ciclo biologico intracellulare, oltre alla fuoriuscita dal fagosoma cellulare appena descritta.

Infatti, è stato ampiamente dimostrato in molti studi su cellule di topo come i ceppi mutanti che presentano un deficit nella replicazione siano avirulenti (Brotcke et al., 2006; Tempel et al., 2006; Weiss et al., 2007; Alkhuder et al., 2009; Wehrly et al., 2009). Le condizioni del citosol possono essere considerate più favorevoli per la proliferazione batterica rispetto al vacuolo lungo il percorso di degradazione endocitico, tuttavia solamente i patogeni che si sono adattati possono proliferare facilmente all'interno di questo compartimento (O'Riordan e Portnoy, 2002). Ciò può avvenire attraverso l'espressione di alcuni fattori che vanno ad interagire con componenti della cellula ospite e che favoriscono o antagonizzano la crescita batterica (Celli et al., 2013).

1.2 Immunopatogenesi

I meccanismi immunitari innati hanno un controllo negativo sulla proliferazione intracellulare di Francisella. Infatti l'interferon- γ (IFN-γ) è essenziale per controllare le infezioni primarie (Leiby et al., 1992; Elkins et al., 1996), ed è da tempo noto per limitare la crescita intracellulare di vari ceppi di Francisella in differenti modelli di cellule ospiti (Anthony et al.,1992; Fors et al.,1992; Polsinelli et al., 1994), anche se i meccanismi precisi con cui agisce non sono attualmente del tutto chiariti.

Il controllo dell’IFN-γ sulla crescita intracellulare di LVS o SchuS4 nelle cellule di essudato peritoneale di topo (PECs) sembra dipendere dalla generazione di ossido nitrico a partire dalla iNOS (inducible nitric oxyde synthase) (Lindgren et al., 2007), sebbene questo non accada a livello dei macrofagi alveolari di topo (Polsinelli et al., 1994) né nei macrofagi derivanti dal midollo osseo umano o murino (Edwards et al., 2010).

Tuttavia, alcuni studi hanno stabilito che l’obiettivo dell'IFN-γ sembra essere il coinvolgimento nella replicazione citosolica piuttosto che nella fuoriuscita dal fagosoma di F. tularensis, e ciò è dimostrabile col fatto che questa citochina non influenza la fuga né di LVS né di SchuS4, sia nelle cellule J774A.1 che nei macrofagi umani o murini, ma va ad agire sulla limitazione della proliferazione citosolica (Edwards et al., 2010). Questi risultati

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sono però incompatibili con quelli effettuati da Santic nel 2005, il quale ha segnalato che l'attivazione di IFN-γ di macrofagi derivanti dal sangue umano impediva la fagocitosi di F. novicida.

Sebbene queste divergenze dimostrino che è assolutamente indispensabile proseguire nel lavoro per conciliare tutti i risultati e chiarire definitivamente quali siano i meccanismi indotti dall’ IFN-γ, questi risultati sono comunque molto importanti dal momento che mostrano chiaramente come i fagociti siano in grado di esprimere determinati meccanismi specifici che controllano la proliferazione citosolica di Francisella.

Oltre all'effetto dell'IFN-γ sulla crescita intracellulare di Francisella, l'attivazione alternativa di macrofagi dai mastociti mediante l'interleuchina-4 (IL-4) controlla la crescita intramacrofagica di LVS (Ketavarapu et al., 2008).

Figura 4: Macrofagi infetti da Francisella tularensis visti al microscopio elettronico a scansione\. Fonte:

https://www.flickr.com/photos/niaid/5950310835/in/photolist-a4RLqW-8UbHC8-a4NU78-pMjVhd-qsp7TW-oCCJTF

Anche se l'aumento della produzione di ATP, l'acidificazione prolungata del FCP e l'up-regulation del MR sono stati identificati in questa fase (Rodriguez et al., 2010), il fatto che IL-4 vada o meno ad agire sulla “fuga” di Francisella o sulla sua replicazione citosolica, resta argomento ancora da studiare e valutare con maggiore attenzione.

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La fagocitosi di Francisella da parte dei macrofagi e il passaggio intracellulare attraverso i vari compartimenti vacuolari e citosolici, sono probabilmente responsabili del riconoscimento da parte del batterio dell’immunità innata, dai vari pattern recognition receptors (PRR), che possono essere di due tipi: un tipo si può trovare sulla superficie cellulare, come il Toll-like receptor (TLR), mentre l’altro tipo si trova all’interno della cellula (in questo caso si parla di endosomi), come il Nod-like receptor (NLR).

A causa della struttura unica della sua unità lipidica A (Hajjar et al., 2006), l’LPS di Francisella possiede una bassa endotossicità, e il batterio non induce una segnalazione mediata dal TLR4. Invece, l’LVS stimola significativamente la segnalazione mediata dal TLR2, il quale è responsabile della produzione di citochine pro-infiammatorie (Katz et al., 2006; Cole et al., 2007), ed è anche in grado di sopprimere successivamente la segnalazione e la secrezione del TLR mediata da citochine proinfiammatorie attivate da altri antigeni (Telepnev et al., 2003).

Questa capacità di Francisella di sopprimere le risposte dell’infiammazione è stata verificata anche nella sottospecie tularensis, mediante uno studio su cellule umane dendritiche; infatti l'infezione di tali cellule inibiva l’attivazione e la funzione delle risposte infiammatorie andando così a confermare ulteriormente che Francisella interferisce con la risposta immunitaria dell’organismo ospite (Bosio e Dow, 2005, Chase et al., 2009).

In conclusione, il batterio Francisella risulta in grado di sopravvivere e di replicarsi all'interno di fagociti e delle altre cellule dell’ospite una volta avvenuta l'infezione, ed è questo l’aspetto fondamentale del suo ciclo biologico nell’ospite: infatti senza questo fondamentale step il patogeno perderebbe tutta la sua capacità di causare la malattia all'interno dell’animale.

Se si presentassero alterazioni di anche uno solo di questi meccanismi descritti, incluso l'impegno di recettori adeguati, la resistenza alla ROS, la fuoriuscita dal fagosoma, la replica all'interno del citosol o l'evasione del riconoscimento da parte dei fattori dell’immunità innata o altri meccanismi di difesa, si avrebbe come diretta conseguenza l’alterazione delle caratteristiche di sopravvivenza del batterio stesso, e quindi anche attenuazioni della virulenza di F. tularensis sia in vitro che in vivo.

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Lo studio di questi determinanti genici che contribuiscono ai fattori sopra descritti ha un senso in proiezione dello sviluppo di terapie o vaccini, fondamentali per prevenire la diffusione e la “fortuna epidemiologica” della tularemia.

1.3 Caratteristiche colturali

F. tularensis è uno di quegli organismi che esige l’utilizzo di terreni particolari ed arricchiti per poter crescere e svilupparsi al meglio.

Inizialmente, il terreno usato più comunemente è stato l’agar sangue semplicemente arricchito di cisteina e glucosio.

Tuttavia, anche l'agar cioccolato arricchito (cystine heart agar integrato con il 9% di cellule ematiche di pecora riscaldate [CHAB]) e l'agar buffered charcoal yeast non selettivo (un terreno a base di carbone) supportano con buoni risultati la crescita del patogeno, e perciò possono essere utilizzati per l'isolamento (Gilligan et al., 1995).

Figura 5:Colonie di F. tularensis coltivate sul terreno Agar Sangue.

Fonte: https:pixnio.com/science/microscopy-images/tularemia-Francisella-tularensis/gram-negative-Francisella-tularensis-bacteria-which-was-grown-on-a-medium-of-cysteine-heart-agar

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I centri per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive raccomandano comunque di utilizzare il CHAB come terreno di coltura per confermare e quantificare la presenza del batterio nel materiale, solo dopo che questo si sia sviluppato su agar generici, tra cui:

 agar sangue a base di sangue di pecora  agar cioccolato

 agar Thayer-Martin (Ellis et al., 2002).

La semina di Francisella sull’adeguato terreno di coltura rende visibile la crescita del patogeno in circa 18 h, ma l’identificazione delle varie singole colonie può richiedere dai 2 ai 4 giorni di incubazione (Doern et al., 2000).

F. tularensis cresce in maniera lenta a 37° C, scarsamente a 28° C; questa caratteristica può essere utile per distinguere F. tularensis da Yersinia pestis, F. philomiragia e F. tularensis sub novicida, che invece crescono facilmente a 28° C (Ellis et al., 2002).

Su terreno CHAB le colonie si presentano con dimensioni variabili dai 2 ai 4 mm, dal tipico colore verdastro-bianco, dall’aspetto rotondo, liscio e leggermente mucoide, mentre sui terreni costituiti a base di sangue intero è possibile osservare una piccola zona di emolisi che circonda le varie colonie (Gilligan et al., 1995).

Utilizzando la colorazione di Gram sulle colonie ottenute per identificare i singoli batteri, si possono evidenziare piccoli coccobacilli tendenzialmente gram negativi, con dimensioni variabili da 0,2 μm a 1,0 μm, singoli, che si colorano debolmente.

Esistono dei terreni chimicamente definiti che risultano in grado di sostenere la crescita specifica di F. tularensis, ma la crescita su questi supporti risulta più lenta e le colonie sono più piccole rispetto ai tradizionali agar arricchiti (Ellis et al, 2002).

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Figurs 5: F. tularensis con la colorazione di Gram. Fonte: https://phil.cdc.gov/phil/details_linked.asp?pid=1904

F. tularensis non cresce bene su terreni liquidi, anche quando viene effettuata una integrazione di cisteina, e risulta necessaria una grande quantità di inoculo iniziale per ottenere una crescita che sia visibile entro le prime 24 ore (Ellis et al., 2002).

I vari laboratori clinici inoculano regolarmente i campioni di materiale patologico in brodo per diagnosticare la presenza di batteri, tendenzialmente utilizzando un’infusione di cuore e cervello, il classico Brain Hearth Infusion (BHI) o il tradizionale Trypticase Soya Broth (TSA). Tuttavia, F. tularensis richiede dei mezzi arricchiti da cisteina per poter crescere in maniera adeguata (Ellis et al., 2002).

Questo patogeno viene anche coltivato sia in brodo Mueller-Hinton modificato sia in brodo tioglicolato.

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 Nel brodo Mueller-Hinton, l'aggiunta di 0,025% di pirofosfato ferrico sembra migliorare la crescita di F. tularensis. La crescita nei mezzi liquidi è lenta, richiede dai 3 ai 7 giorni di incubazione se il brodo è mantenuto in agitazione costante, o almeno 10 giorni in brodo fisso per poter produrre una crescita visibile.

 Nel brodo tioglicolato statico, invece, la crescita viene identificata principalmente come una fascia densa vicino alla superficie che diffonde su tutto il brodo col progredire della crescita (Westerman et al., 1981; Baker et al., 1985).

Nel 1965 Chamberlain ha ideato anche un terreno sintetico, che ancora oggi è il più utilizzato per la crescita e lo sviluppo di F. tularensis (Chamberlain, 1965).

Tuttavia, l’impiego di questo supporto non ha un’importanza clinica evidente, poiché questo terreno viene utilizzato in laboratori specializzati e non viene impiegato di routine per confermare la diagnosi clinica di tularemia (Ellis et al., 2002).

1.4 Epidemiologia: aspetti generali

La tularemia è caratterizzata da aspetti epidemiologici di notevole vastità e complessità; sono stati infatti riportati casi nella maggior parte dei Paesi dell'emisfero settentrionale, ma ad oggi non risultano prove che indichino la presenza di questa malattia nell'emisfero meridionale. L’unica eccezione è rappresentata da un unico isolamento della sottospecie novicida in Australia, sebbene questo caso si sia presentato senza la tipica manifestazione clinica della tularemia (Whipp et al., 2003).

F. tularensis è stata rilevata in natura in un numero considerevole di specie selvatiche, tra cui sono compresi:

 lagomorfi,  roditori,  carnivori,  ungulati,  marsupiali,

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 uccelli e anfibi,

 pesci e invertebrati (Ellis et al., 2002; Petersen et al., 2009; Lopes de Carvalho et al., 2009; Escudero et al. 2009; Gyuranecz et al., 2010; Bandouchova et al., 2011; Kuehn et al., 2013).

Figura 6: Esemplare di Lepus europaeus, considerato l’animale serbatoio per

antonomasia della tularemia.

Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/European_hare

Sia i lagomorfi che i roditori selvatici sono considerati come i principali serbatoi di Francisella tularensis (Petersen et al., 2009; Lopes de Carvalho et al., 2009; Gyuranecz et al., 2010).

I lagomorfi selvatici, come per esempio la lepre marrone europea, o Lepus europaeus, sono invece ritenuti gli animali sentinella di questo patogeno, e risultano molto importanti per il monitoraggio e la sorveglianza della tularemia (Gyuranecz et al., 2010; Bandouchova et al., 2011).

Secondo alcuni studi più recenti, sono state riscontrate positività sierologiche in volpi e cani, il che porterebbe a considerare queste specie come indicatori biologici per la tularemia (Kuehn et al., 2013).

Francisella tularensis risulta presente naturalmente in diverse specie di artropodi, sebbene solo una piccola parte di questi possano essere considerati importanti nella trasmissione del patogeno all'uomo.

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È però un dato importante da considerare il fatto che Francisella tularensis mostri una notevole adattabilità a una vasta gamma di artropodi vettori in grado di diffondere l’infezione (Petersen et al., 2009).

Gli artropodi che sono stati trovati infetti in natura sono molti, ma tra questi i più frequenti e importanti sono:

 zecche del genere Amblyomma, Dermacentor, Ixodes e Ornithodoros,

 zanzare del genere Aedes, Culex, Anopheles e la specie Ochlerotatus excrucians,  mosche dalla famiglia Tabanidae (Tabanus spp., Chrisozona spp. e Chrisops spp)

(Ellis et al., 2002; Petersen et al., 2009; Lopes de Carvalho et al., 2009).

Figura 7: Zanzare del genere

Culex, uno dei numerosi vettori

della tularemia.

https://it.wikipedia.org/wiki/Culex)

Tuttavia, la capacità di reale vettore di Francisella è stata dimostrata solo nelle zecche del genere Dermacentor (Reese et al., 2010).

Per quanto riguarda le zanzare, sono state associate ad epidemie di tularemia, per quanto intese come semplici vettori meccanici (Petersen et al., 2009; Lundstrom et al., 2011). Sia le zecche che le zanzare hanno la possibilità di essere infettate nella fase larvale. La trasmissione transtadiale è stata infatti dimostrata nelle zecche in natura, mentre per quanto

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riguarda le zanzare la trasmissione transtadiale è stata provata solo con metodi molecolari (Escudero et al. 2009; Lundstrom et al., 2011).

Per quanto riguarda la trasmissione transovarica di F. tularensis nelle zecche, inizialmente si era ritenuto che potesse avvenire (Mandell et al., 2005; Petersen et al., 2009; Anda et al., 2011), ma alcuni studi più recenti svolti sulla specie Dermacentor variabilis hanno dimostrato il contrario (Mani et al., 2012). In questo studio infatti è stato dimostrato che nonostante il patogeno si sia diffuso prima alle ovaie e poi agli oociti, non è stato però recuperato nelle larve che si sono successivamente schiuse (Mani et al., 2012).

Per quanto concerne le mosche della famiglia Tabanidae, sono considerate come puri vettori meccanici di F. tularensis. Infatti la sopravvivenza di Francisella per lungo tempo in questi artropodi non risulta fino ad oggi mai dimostrata (Petersen et al., 2009).

Bisogna comunque tenere in considerazione che le caratteristiche epidemiologiche della tularemia tramite vettori sono molto variabili in tutto l'emisfero settentrionale in ogni singolo Paese e in ogni determinata posizione geografica. Questa variabilità potrebbe essere collegata all'abbondanza di vettori e di specie ospiti (Carvalho et al., 2014).

Figura 8: Mappa che indica le aree a rischio di infezione di tularemia.

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Infatti, per la trasmissione all'uomo, ogni area geografica ha una specifica modalità che si verifica con probabilità maggiore. In Europa occidentale e centrale, per esempio, la modalità di infezione più comune è il contatto con animali infetti e l'ingestione di cibo o acqua contaminati. Anche all’interno degli stessi Stati Uniti si registrano variazioni: negli stati occidentali, i vettori della tularemia considerati più importanti sono sia le zecche che le mosche dei cervi, mentre negli Stati più orientali degli USA sono considerate importanti solo le zecche. In Svezia e Finlandia, invece, sono le zanzare ad essere state identificate come vettori primari (Lopes de Carvalho et al., 2009).

In aree considerate endemiche, la tularemia è una malattia definita stagionale, con un'incidenza che risulta più alta a fine primavera, in estate e in autunno: i casi sembra che si verifichino ogni anno per un periodo di 5 anni, per poi non essere più riportati per più di un decennio (Carvalho et al., 2014).

Spesso, il numero di casi varia notevolmente da un anno all'altro, e questo può essere dovuto alla variabilità della temperatura o delle precipitazioni di anno in anno. È però ancora da dimostrare l'associazione tra le condizioni climatiche e metereologiche e il susseguirsi dei vari focolai di tularemia (Carvalho et al., 2014).

Una delle caratteristiche principali di F. tularensis e della sua pericolosità, è che risulta essere notevolmente resistente in ambiente, in quanto è in grado di sopravvivere per settimane a basse temperature nel terreno, nelle acque stagnanti e nelle carcasse degli animali (Lopes de Carvalho et al., 2009).

A riprova della trasmissione da animale a uomo, è stato dimostrato in numerosi studi come i focolai di tularemia umana sono spesso preceduti da focolai di origine animale, in particolare nelle specie di lagomorfi e di roditori selvatici. I focolai animali risultano di solito legati ad un aumento del numero di individui di queste specie sul territorio con conseguente aumento della probabilità di esposizione (Oyston et al., 2008; Lopes de Carvalho et al., 2009).

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Figura 9: Mappa mondiale che mostra in quali aree F. tularensis risulta endemica.

Fonte: http://cmr.asm.org/content/15/4/631/F1.expansion.html

La trasmissione all’uomo può verificarsi secondo diverse modalità:  per contatto diretto con animali infetti,

 indirettamente a causa di morsi di artropodi,  per ingestione di acqua contaminata,

 per inalazione di alimenti polverosi o aerosol (Lopes de Carvalho et al., 2009). Per quanto riguarda i carnivori domestici, i cani e i gatti possono infettarsi:

 mediante contatto con un altro animale infetto,

 mediante il contatto con carcasse di animali selvatici (soprattutto i cani),  mediante ingestione di acque contaminate,

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 mediante zecche infette (Gustafosn et al., 1996; Meinkoth et al., 2004; Splettstoesser et al., 2005).

Questi animali hanno la possibilità successivamente di trasmettere la tularemia all'uomo. La trasmissione da persona a persona invece non è stata ancora dimostrata (Mandell et al., 2005; Splettstoesser et al., 2005; Lopes de Carvalho et al., 2009).

Nella tabella 1.4 sono elencati i vettori e le modalità di trasmissione finora conosciuti di Francisella, nonché la zona geografica più comune per lo specifico vettore o modalità.

Tab 1.4

Vettore Zona geografica principale

Lepre comune (Lepus europeus) Ovunque

Roditori selvatici Ovunque

Zecche

Amblyomma USA Ovest

USA Est Svezia Finlandia Russia Dermacentor Ixodes Ornithodoros Zanzare Aedes Svezia Finlandia Culex Anopheles Oclerotatus excrucians Mosche

Tabanus spp. USA Ovest

Chirosozoma spp. Chrisops spp.

Amebe a vita libera Ovunque

Morso di canidi

Spagna Carne di pecora

Vettori ematofagi Procambarus clarkii

Acqua contaminata Europa occidentale e centrale

Carne contaminata Europa occidentale e centrale

Fonte: Carvalho et al., 2014

Nei casi umani riportati, è stato evidenziato come la tularemia non abbia sempre una prevalenza particolare in specifiche fasce di età, mentre per quanto riguarda il sesso sembra

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che gli uomini tendano a presentare una prevalenza più elevata rispetto alle donne (Mandell et al., 2005). Inoltre, quelle professioni che si svolgono a maggior contatto con vettori artropodi o con animali infetti, sono ovviamente state associate ad un maggiore rischio di infezione. Tra queste si ricordano:

 i tecnici di laboratorio,  i cacciatori,

 gli agricoltori,  i veterinari,

 chiunque gestisca la carne degli animali infetti (Lopes de Carvalho et al., 2009; Ellis et al., 2009).

1.5 La diagnosi

La diagnosi di tularemia può essere essenzialmente svolta in due modi:

 diagnosi diretta, tramite isolamento dell’agente eziologico nel campione clinico o mediante l’impiego di tecniche molecolari,

 diagnosi indiretta, tramite evidenziazione degli anticorpi nel siero.

1.5.1 Diagnosi diretta

Il materiale patologico da cui viene effettuato l'isolamento diretto del batterio, è spesso ottenuto a partire da frammenti di ulcere o da biopsie dei linfonodi coinvolti (Gilligan et al., 1995).

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Figura 10: Lesione ulcerosa in corso di tularemia. Fonte:https://en.wikipedia.org/wiki/Tularemia

Francisella in rare occasioni veniva coltivata direttamente a partire dal sangue, sebbene questa metodica fosse già da tempo diventata realizzabile grazie allo sviluppo di sistemi di coltura sensibili al sangue (Provenza et al., 1986; Reary et al., 1988; Tarnvik et al., 1989). L'isolamento dei batteri a partire dalle urine o dalle feci di animali infetti invece non viene eseguita frequentemente (Gilligan et al., 1995); sono stati tuttavia riportati rilevamenti di antigeni nell'urina (Tarnvik et al., 1989; Grunow et al., 2000).

Nei vari isolamenti a partire da tessuto infetto, i batteri possono essere trovati sia in sede intracellulare che extracellulare (Gilligan et al., 1995).

Sono stati segnalati anche una serie di test PCR per la rilevazione diretta di F. tularensis o per la diagnosi di tularemia, sia in campo umano che veterinario. Questi test utilizzano tutti quei primers diretti contro i geni che codificano per le proteine della membrana esterna come, per esempio, fopA (Fulop et al., 1996) o la lipoproteina di membrana di 17 kDa (Grunow et al., 2000). Questi test di PCR garantiscono un'elevata specificità, senza dover generare un amplicone (un pezzo di DNA o RNA prodotto naturalmente o artificialmente nella fase di amplificazione del DNA o RNA) usando un frammento di DNA di altri patogeni batterici (Fulop et al.,1996; Sjostedt et al., 1997).

Se vengono utilizzate come fonte di DNA delle colture pure di F. tularensis, i test offrono anche elevati livelli di sensibilità. Infatti il test di PCR che è stato riportato da Grunow nel 2000, ha consentito l'individuazione di 102 CFU per ml nel PBS (Grunow et al., 2000),

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mentre tramite l'utilizzo di un test di NESTED PCR è stata possibile l'individuazione di 1 solo CFU di F. tularensis (Fulop et al., 1996).

Bisogna però considerare che i campioni come il sangue contengono alcuni composti che sono in grado di inibire la PCR, rendendo perciò praticamente impossibile la rilevazione di livelli batterici così bassi nei campioni clinici. Inoltre, questi campioni di sangue devono essere necessariamente elaborati per poter consentire l'esecuzione di un test PCR di così elevata sensibilità (Fulop et al.,1996; Sjostedt et al., 1997; Grunow et al., 2000).

Figura 11: Esempio di una ERIC-PCR (A) e di una REP-PCR (B) effettuate su ceppi di F. tularensis. Le riproducibilità dei dosaggi PCR sono state esaminate dall’Istituto Americano di Microbiologia, confrontando quotidianamente i pattern forniti dallo stesso ceppo in quattro giorni diversi. Linea M, marcatore molecolare X (Roche Diagnostics). (A) Fingerprintings ERIC-PCR dei ceppi 27 (tipo 1) (lineee 1, 2, 3 e 4) e 3 (tipo 2) (linee 5, 6, 7 e 8). (B) Fingerprintings REP-PCR dei ceppi 33 (tipo 1) (linee 1, 2, 3 e 4) e 19 (tipo 2) (linee 5, 6, 7 e 8). Fonte: http://jcm.asm.org/content/38/3/1016/F2.expansion.html

In ogni caso, attualmente questi tipi di test sembrano offrire vantaggi rispetto alla coltura diretta dei batteri. Nei topi, per esempio, l'83% dei campioni di sangue prelevati 24 ore

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dopo l'infezione sperimentale era positiva al test della PCR, mentre una coltura diretta dei batteri era possibile solo dal 48% dei campioni (Juhnui et al., 1996).

Questo vantaggio sembra estendibile anche ai campioni clinici. In uno studio condotto da Sjostedt nel 1997, vengono utilizzati tamponi effettuati a partire dalla lesione ulcerosa in 40 casi umani di tularemia, ed è stata riscontrata una positività per il 73% dei campioni, mentre per quanto riguarda l’isolamento e la coltura dei batteri è stata possibile solo nel 25% dei campioni (Sjostedt et al., 1997).

Inoltre, in un altro studio parallelo effettuato sempre dallo stesso gruppo di ricerca, la PCR ha identificato il batterio F. tularensis in un campione che era risultato negativo sia alla coltura batterica che al test sierologico (Sjostedt et al., 1997).

Negli anni successivi, diversi altri studi hanno riportato l'uso della PCR per la diagnosi di tularemia (Karhukorpi et al., 2001) o per l'analisi dei campioni ambientali (Berdal et al., 2000).

È stato in pratica dimostrato a più riprese che questi protocolli di PCR garantiscono una maggior sensibilità rispetto alle colture dirette dei batteri (Sjostedt et al., 1997).

Nel 2000 è stata proposta da Grunow una particolare carta filtrante, appositamente formulata per la raccolta di campioni al fine di ottenere una rapida preparazione del DNA a partire da vettori come le zecche dure o da campioni clinici (Grunow et al., 2000).

Tutti questi studi sui metodi molecolari hanno permesso di individuare rapidamente l’ampia gamma di ceppi di F. tularensis, ma sono state sviluppate anche metodiche specifiche per discriminare fra i vari ceppi di Francisella (Forsman et al., 1994; Ibrahim et al., 1996). Sono stati presi in considerazione e valutati i metodi basati sulla PCR, in modo da capire quale fosse il più idoneo per identificare F. tularensis e per discriminare tra le diverse sottospecie. Sono state valutate:

 le sequenze di oligonucleotidi a sequenza casuale lunga

 primers specifici per sequenze extracellulari palindrome (REP) ripetitive,

 sequenze intrageniche ripetitive intersettoriali (ERIC) (Puente-Redondo et al., 2000).

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È stata applicata la PCR REP per identificare in modo specifico i ceppi di F. tularensis subsp. novicida, così come in maniera simile sono stati identificati i pattern della sottospecie holarctica e tularensis (Johanson et al., 2000).

Grazie agli studi con la PCR è stata dimostrata una differenza di una singola base nelle sequenze 16R rNA di F. tularensis subsp. tularensis e F. tularensis subsp. holarctica, e proprio su questa base è stato sviluppato un importante test PCR duplex che può differenziare le due sottospecie (Forsman et al., 1994).

Gli studi svolti da Johanson e le analisi PCR basate sull'uso di ERIC, REP o primers a sequenza casuale lunga hanno prodotto modelli ripetibili di bande a complessità simile, che pur consentendo la differenziazione dei ceppi di ogni sottospecie non soddisfano tuttavia i criteri per la tipizzazione dei singoli ceppi isolati (Johanson et al., 2000).

Studi più recenti portano a pensare che sia possibile utilizzare l'amplificazione di regioni di DNA con ripetizione tandem, e che questa possa essere altamente discriminatoria per la tipizzazione dei ceppi (Farlow et al., 2001; Johanson et al., 2001).

È stato perciò sviluppato un test PCR specifico che produce ampliconi di diverse lunghezze (a target sconosciuto), che è stato utilizzato in combinazione con il test PCR sulla lipoproteina da 17 kDa per distinguere F. tularensis subsp. holarctica da ceppi delle altre sottospecie di F. tularensis (Johanson et al., 2001).

1.5.2 Diagnosi indiretta

Per identificare la presenza di Francisella a partire dai campioni clinici, possono essere utilizzati anche test ELISA. Ad esempio, un test ELISA di cattura che usava anticorpi monoclonali contro il lipopolisaccaride di F. tularensis, è stato utilizzato efficacemente per riconoscere tutti i ceppi di F. tularensis testati diversi da quelli della sottospecie novicida, senza avere cross-reattività con altre specie batteriche testate. La sensibilità era di 103 CFU/ml in tampone fosfato salino (PBS) e di 104 CFU/ml in soluzione con siero umano (Grunow et al., 2000).

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