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Diagnosi e studio di fattibilità di una riqualificazione energetica di una scuola materna

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

L'energia utilizzata nel settore residenziale e terziario, impiegata in larga maggioranza per la climatizzazione degli edifici, rappresenta oltre il 40% del consumo finale di energia dell’Unione Europea. Essendo questo un settore in espansione, i suoi consumi e le relative emissioni di anidride carbonica sono destinati ad aumentare. Pertanto la riduzione del consumo energetico e l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili nel settore dell’edilizia costituiscono misure importanti necessarie per ridurre la dipendenza energetica dell’Unione e le emissioni di gas ad effetto serra.

La riqualificazione di edifici è un tema molto importante che ha iniziato, ormai da alcuni anni in Italia, a crescere di importanza. Se infatti da un lato abbiamo un parco edilizio formato da strutture di nuova costruzione che possiedono dei requisiti minimi di prestazioni energetiche, dall’altro ne abbiamo uno ben più grande di edifici esistenti che non rispettano assolutamente tali standard.

All’interno del secondo parco si inserisce una moltitudine di edifici pubblici in particolare di quelli destinati all’insegnamento. La performance degli edifici scolastici in Italia è piuttosto bassa se viene comparata con i valori minimi di consumi energetici consentiti introdotti dai decreti nazionali D.lgs 19 agosto 2005 n. 192 e D.Lgs 29 dicembre 2006 n. 311 i quali recepiscono la Direttiva Europea 2002/91/EC.

Aumentare l’efficienza energetica degli edifici pubblici è importante perché, oltre che aiutare le amministrazioni pubbliche in termini di riduzione dei costi dovuti ai consumi energetici e a quelli di gestione, promuove una cultura di uso razionale dell’energia nella popolazione locale. Tali interventi dovrebbero quindi assumere un approccio esemplare (considerazione 16, direttiva 2002/91/EC) nei confronti dei cittadini. I relativi dati sulle prestazioni energetiche dovrebbero essere resi pubblici affiggendo gli attestati in luogo visibile. Potrebbero inoltre essere affisse le temperature ufficialmente raccomandate per gli ambienti interni, raffrontate alle temperature effettivamente riscontrate, onde scoraggiare l'uso scorretto degli impianti di riscaldamento, condizionamento e ventilazione.

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1 - QUADRO NORMATIVO EUROPEO E NAZIONALE

L’Unione Europea ha fornito delle precise indicazioni per promuovere l’efficientamento energetico degli edifici utilizzando delle specifiche normative emanate nel corso degli anni. Inoltre sono stati definiti anche i possibili metodi per ricevere dei supporti economici per la realizzazione degli interventi atti alla riduzione dei consumi energetici.

1.1 – Le direttive Europee

Il primo provvedimento in merito risale al 1993 con la direttiva 93/76/CEE [1]. Questa invita gli Stati Membri ad attuare dei programmi concernenti la certificazione energetica degli edifici, la quale consiste nella descrizione dei loro parametri energetici in modo tale da permettere l’informazione dei potenziali utenti di un edificio circa la sua efficienza energetica (articolo 2); inoltre il consiglio delle comunità Europee, nel successivo articolo 5, stabilisce che gli Stati Membri si adoperino affinchè gli edifici nuovi siano isolati termicamente in funzione delle condizioni climatiche del luogo. Quindi, sostanzialmente, tale normativa impone di intervenire per diminuire i consumi degli edifici di nuova costruzione e di redigere un certificato energetico per quanto riguarda gli edifici esistenti.

Nella successiva direttiva 2002/91/EC [2], definita anche “EPBD” (Energy Performance Building Directive), invece si cerca di ridurre il “gap” tra la performance energetica degli edifici esistenti e quelli di nuova costruzione. Infatti l’articolo 6 sancisce che gli edifici esistenti di metratura totale superiore a 1000 m2 che devono subire degli interventi importanti (cioè affrontare un costo pari o superiore al 25% del valore dell’edificio), devono altresì subire degli interventi per migliorare il loro rendimento energetico in modo tale da soddisfare dei requisiti minimi (stabiliti dagli Stati Membri in base all’articolo 4).

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La più recente direttiva 2010/31/UE [3], definita anche “EPBD recast”, introduce l’Attestato di Prestazione Energetica (APE) e l’obbligo da parte degli stati membri di redigerlo per tutti gli edifici pubblici con metratura utile superiore ai 250 m2 e affiggerlo in un luogo chiaramente visibile al pubblico (articoli 12 e 13).

Inoltre incrementa gli sforzi per promuovere l’efficientamento degli edifici sia per quelli di nuova costruzione aumentando i requisiti minimi, sia per quelli esistenti che necessitano di una ristrutturazione importante allargando gli interventi di miglioramento energetico a tutte le strutture a prescindere dalle dimensioni superficiali.

L’interesse dell’Unione Europea nell’efficientamento energetico di edifici pubblici è confermato nella direttiva 2012/27/UE [4] dove nelle considerazioni 15 e 18 si sottolinea il ruolo fondamentale delle istituzioni pubbliche poiché esse dovrebbero svolgere un ruolo esemplare in materia di efficienza energetica e nell’articolo 5 si dispone che tutti gli stati membri devono assicurare che, a partire dal 1° gennaio 2014, il 3% della superficie totale degli edifici pubblici sia ristrutturata ogni anno per rispettare i requisiti minimi di prestazione energetica.

1.2 – Finanziamenti Comunità Europea

Al fine di favorire la mobilitazione dei fondi per gli investimenti utilizzabili in interventi di efficientamento energetico, a livello locale nel settore pubblico, la Commissione Europea e la Banca europea per gli investimenti (BEI) lanciarono nel 2009 il progetto ELENA [5]

(European local Energy assistance) finanziato nell’ambito del programma CIP – Energia intelligente Europa II, strumento che aiuta, tramite una assistenza tecnica, le città e le regioni a elaborare e attuare progetti di investimento per poi ottenere finanziamenti esterni per la realizzazione delle opere.

ELENA non prevedeva il lancio di bandi, ma l’assegnazione dei finanziamenti sulla base dei progetti presentati entro il 2011 fino ad esaurimento dei fondi che ammontavano a 15 milioni di euro. Successivamente tali fondi sono stati incrementati e il progetto ELENA è stato prolungato; durante i suoi primi 3 anni di vita, ha fornito assistenza finanziaria alle pubbliche amministrazioni di 11 paesi della UE per un totale di 27 progetti (di cui 4 Italiani) e circa 50 milioni di euro. Il supporto di ELENA facilita l’accesso ai finanziamenti, per la realizzazione delle opere, forniti dalla BEI stessa o da altre banche. Il supporto finanziario, mirato per gli edifici in possesso delle amministrazioni pubbliche, è un prestito che deve essere ripagato alla

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1.3 – Evoluzione legislativa nazionale

La prima legge italiana 373/76 [6] che si occupa di risparmio energetico in edilizia risale al 1976 e fu emanata successivamente alla guerra d’ottobre del 1973 e alla conseguente crisi, poiché l’Italia, come molti altri paesi dell’occidente, aveva risentito della forte dipendenza del petrolio detenuto dai paesi del Medio-Oriente. Tale legge trovò attuazione con l’emanazione di tre decreti: il DPR 28 giugno 1977 n.1052, il DM 10 marzo 1977 e il DM 30 luglio 1986. Si introdusse grazie ad essa, per la prima volta, il principio del risparmio energetico nell’edilizia e la necessità di rispettare, per tutti gli edifici di nuova costruzione, delle caratteristiche minime in termini di isolamento termico dell’involucro tramite il coefficiente volumico globale di dispersione termica Cd.

È solo però con la Legge n.10 del 9 Gennaio 1991 [7] intitolata “Norme in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”, la quale ha integrato e in parte sostituito la Legge 373/76, che si introduce una nuova procedura per la verifica energetica degli edifici e si compie un primo passo verso la certificazione energetica degli edifici.

Nel relativo articolo 4 si sanciscono quali sono i principali fattori da prendere in esame per la realizzazione di un progetto correttamente impostato: ambientali, andando quindi a collocare l’edificio in un’area con delle caratteristiche microclimatiche distintive (introduzione della classificazione delle zone climatiche in funzione dei Gradi Giorno); tipologici, considerando quindi la tipologia della sua destinazione d’uso (classificazione generale degli edifici per categorie con relativi valori massimi della temperatura ambiente interna da mantenere), la distribuzione degli spazi e il relativo orientamento, analisi dell’irradiazione solare ed eventuale presenza di sistemi solari passivi, valutazione della ventilazione e dell’illuminazione naturale; tecnico-costruttivi, quali l’inerzia termica dell’edificio, componenti finestrati, verifica termo igrometrica componenti, ecc…; impiantistici, valutazione dell’efficienza impianto e dei sistemi di regolazione, presenza di fonti rinnovabili per la produzione di energia, di recuperatori di calore, ecc…

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Inoltre la nuova legge non considera più il solo isolamento termico dell’edificio per mezzo del calcolo del Cd, ma anche l’impianto dal punto di vista tipologico, funzionale e di resa introducendo il rendimento medio stagionale ηg (articolo 5) e il sistema congiunto Edificio-Impianto introducendo il FEN (articolo 8), fabbisogno energetico normalizzato per la climatizzazione invernale, funzione quindi di entrambi i due parametri precedentemente menzionati.

Nel successivo decreto attuativo D.P.R. 412 del 1993 [8] furono disposti i valori limite da rispettare di questi 3 fattori in modo tale da effettuare le verifiche a norma di legge del progetto, inoltre tale verifica viene estesa non solo nelle condizioni più gravose ma su tutto l’arco stagionale di messa in funzione dell’impianto, tenendo come riferimento la temperatura media mensile.

Sempre nella legge 10/91, l’articolo 30 Certificazione energetica degli edifici, analizza ed introduce il concetto di ACE (attestato di certificazione energetica). Tale articolo apparve veramente innovativo rispetto al panorama europeo ma non trovò mai pratica applicazione poiché non fu emanato il relativo Decreto Attuativo. La certificazione era volta ad introdurre norme e procedure unitarie per determinare la qualità energetica degli edifici e ad indurre l’utente finale ad includere il parametro energetico nella valutazione dell’immobile.

La la riforma “Bassanini”, del 31 marzo 1998, ha trasferito alle regioni le competenze amministrative sulla certificazione energetica degli edifici. Questa ha dato vita a molti interventi locali per la realizzazione di un sistema di certificazione. Tra questi emerge il ruolo fondamentale che ha avuto la Provincia autonoma di Bolzano con l’invenzione del modello CasaClima. Prendendo esempio da questa esperienza anche altri Comuni e Province si sono attivati e ne hanno promossi di nuovi.

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La certificazione CasaClima, ideata e sviluppata da Norbert Lantschner, è la prima esperienza di certificazione energetica a livello nazionale. Il modello CasaClima è uno strumento ideato per effettuare una classificazione degli edifici in base al consumo di energia richiesta per mantenere le condizioni interne di progetto, per metro quadro di superficie calpestabile, all’anno a prescindere dal tipo di costruzione o dal rapporto di forma S/V. Risulta quindi una scala universale: da quella Oro che indica edifici a bassissimo consumo energetico, alla G che identifica invece strutture ad alto fabbisogno di calore come mostrato nella figura 1.3.1.

Figura 1.3.1 Scala di classificazione energetica modello Casaclima

Per avere un’idea dei consumi, la CasaClima Oro richiede al massimo 10 kWh per ogni mq all’anno per il riscaldamento ed è detta anche casa ad 1 litro in riferimento al fatto che richiede il consumo annuale di un litro di olio combustibile o di un metro cubo di gas per ogni metro quadro di superficie calpestabile; la CasaClima A invece richiede un consumo energetico inferiore o uguale a 30 kWh ed è detta casa da 3 litri.

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Figura 1.3.2 Esempi di modelli Casaclima

Il modello da perseguire per raggiungere quella determinata classe energetica è visualizzabile nella figura 1.3.2 e come si può notare è influenzato da vari fattori quali lo spessore dell’isolamento di tutto l’involucro, costituito sia dai muri perimetrali e dal solaio di appoggio che dalla copertura, dalla trasmittanza dei serramenti, dai ricambi orari del sistema di ventilazione e dalla presenza di un recuperatore di calore (e della relativa efficienza).

Nonostante l’ottimo lavoro svolto, un modello di questo tipo può andare bene per una zona climatica del nord Italia con un numero elevato di gradi giorno (2790) come Bolzano, ma, per un edificio collocato nel centro o sud Italia, non si presta bene. Infatti, specialmente in zone con un basso numero di gradi giorno, il problema del mantenimento della temperatura interna prefissata si ha maggiormente nel periodo estivo richiedendo l’utilizzo di sistemi di climatizzazione. Intervenire per esempio solo sullo spessore d’isolante non è sufficiente e si deve agire in modo tale da mantenere le condizioni di benessere anche in tali periodi, limitando al tempo stesso i consumi. Si necessita quindi di ulteriori fattori rispetto a quelli del modello Casaclima: per esempio lo spessore e la densità della muratura devono essere tali da garantire una massa superficiale idonea in modo tale da avere un corretto sfasamento, inoltre si deve provvedere alla progettazione di sistemi di schermatura in modo tale da limitare gli apporti solari nel periodo estivo, ecc…

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Dopo l’emanazione della Direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, l’Italia attua il D.Lgs n.192 del 19 agosto 2005 [9], che stabilisce, come espresso dall’articolo 1, i criteri, le condizioni e le modalità per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici al fine di favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l’integrazione delle fonti rinnovabili e la diversificazione energetica, contribuendo a conseguire gli obiettivi nazionali di limitazione delle emissioni di gas a effetto serra posti dal protocollo di Kyoto e promuovere la competitività dei comparti più avanzati attraverso lo sviluppo tecnologico. Inoltre lo stesso decreto negli allegati B e C disciplina la metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche integrate degli edifici e i relativi requisiti minimi da rispettare.

Il successivo D. Lgs 311/2006 integra e in parte modifica il precedente decreto legislativo. Questo stabilisce, infatti, che gli edifici immessi nel mercato debbano dichiarare il proprio consumo energetico ed impone che l’acqua domestica venga riscaldata con l’energia solare nei nuovi edifici o in occasione di nuova installazione di impianti termici o di ristrutturazione degli impianti termici esistenti, per una frazione almeno del 50% del fabbisogno di acqua calda.

Con il D.P.R. 2 aprile 2009 , n. 59 [10] viene definito il regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 cioè i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione invernale e la produzione di ACS. Nell’articolo 3 vengono definite le UNI/TS 11300 e loro successive modificazioni come normative tecniche nazionali da adottare per le metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche. Inoltre nel successivo articolo 4, comma 2 e 3, dispone che per tutti gli edifici di nuova costruzione si deve procedere, in sede progettuale, alla determinazione dell’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale (EPi) e alla verifica che lo stesso risulti inferiore ai valori limite riportati nella pertinente tabella e dell’indice di prestazione energetica per il raffrescamento estivo dell’involucro edilizio (EPe,invol) e la verifica che quest’ultimo sia non superiore a 40 kWh/mq anno nelle zone climatiche A e B e 30 kWh/mq anno nelle zone climatiche C, D, E, e F.

È solo però con il D.M. 26/06/2009 [11] che si costituiscono le “Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”.

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In tale decreto è definito l’indice di prestazione energetica globale, espresso in kWh/mq anno, che rappresenta l’energia primaria necessaria affinché l’edificio raggiunga le condizioni di comfort e dato dalla somma di alcuni indici di prestazione parziali:

= + + +

dove:

- è l’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale;

- è l’indice di prestazione energetica per la produzione dell’acqua calda sanitaria; - è l’indice di prestazione energetica per la climatizzazione estiva;

- è l’indice di prestazione energetica per l’illuminazione artificiale.

In ritardo rispetto alle tempistiche imposte dalla Direttiva Europea 2010/31/UE, è stato emanato il Decreto Legge del 4 giugno 2013, n.63 che, apportando profonde modifiche al Decreto Legislativo 19 agosto 2005, introduce l’obbligo, entro il 2018 per gli edifici pubblici ed entro il 2020 per quelli privati, della costruzione di nuovi edifici ad energia quasi zero. Tale Decreto Legge, è stato poi convertito in legge il 3 agosto 2013 dalla Legge 90/13 [12], recante disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010. Qui l’attestato di certificazione energetica degli edifici viene rinominato Attestato di Prestazione Energetica (APE) con l’attribuzione di specifiche classi prestazionali. L’APE è il documento, redatto nel rispetto delle norme contenute nel presente decreto e rilasciato da esperti qualificati e indipendenti, che attesta la prestazione energetica di un edificio e fornisce raccomandazioni per il miglioramento dell’efficienza energetica. Nella legge si pone l’obbligo di dotare gli edifici di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazioni importanti di APE prima del rilascio del Certificato di Agibilità e di allegare l'APE al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti.

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I tre decreti attuativi [13] che vanno a chiudere il recepimento della Direttiva 31/2010/UE sono stati emanati il 26 giugno 2015 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale il 15 luglio e forniscono:

1) le nuove linee guida nazionali per l’attestazione della prestazione energetica degli edifici;

2) gli schemi e le modalità di riferimento per la compilazione della relazione tecnica di progetto in funzione delle diverse tipologie di lavori: nuove costruzioni, ristrutturazioni importanti, interventi di riqualificazione energetica;

3) le modalità di applicazione della metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici, nonché le prescrizioni e i requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche.

In particolare, per la realizzazione del nuovo Attestato di prestazione energetica, si suddivide il fabbisogno totale dell’edificio nella parte fornita da fonti rinnovabili da quella invece generata da altre fonti. La classe energetica dell’edificio è determinata sulla base dell’indice di prestazione energetica globale dell’edificio che tiene conto del solo contributo non rinnovabile EPgl,nren.

La scala di classi invece è definita a partire dal valore dell’indice di prestazione energetica globale non rinnovabile dell’edificio di riferimento EPgl,nren,rif,standard(2019/21). Con edificio di riferimento si intende un edificio identico a quello di progetto, in termini di geometria, orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e albedo, ipotizzando che in esso siano installati elementi edilizi e impianti standard dotati dei requisiti minimi di legge in vigore dal 1° gennaio 2019 per gli edifici pubblici e dal 1° gennaio 2021 per tutti gli altri.

La classe energetica è contrassegnata da un indicatore alfanumerico in cui la lettera G rappresenta la classe caratterizzata dall’indice di prestazione più elevato (maggiori consumi energetici), mentre la lettera A rappresenta la classe con il miglior indice di prestazione (minori consumi energetici). Un indicatore numerico, affiancato alla lettera A, identifica i livelli di prestazione energetica in ordine crescente a partire da 1 (rappresentante del più basso livello di prestazione energetica della classe A).

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In corrispondenza della scala delle classi viene evidenziato il requisito minimo previsto qualora l’edificio oggetto fosse di nuova costruzione, calcolato in conformità al decreto requisiti minimi. Tale riferimento è, per sua natura, variabile in funzione dei requisiti minimi costruttivi in vigore nell’anno in cui viene redatto l’APE. Si riporta nella figura 1.3.3 la tabella che identifica, per le varie classi, il range dell’EPgl,nren in funzione dell’indice di prestazione energetica dell’edificio di riferimento.

Figura 1.3.3 Scala di classificazione energetica

L’attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, si è avuta nel corso del 2014 con il D. Lgs. 4 luglio 2014 , n.102[14]. Il provvedimento stabilisce un quadro di misure per la promozione e il miglioramento dell’efficienza energetica che concorrono al conseguimento dell’obiettivo nazionale di risparmio energetico che nella riduzione, entro l’anno 2020, di 20 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio dei consumi di energia primaria, pari a 15,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio di energia finale, conteggiati a partire dal 2010, in coerenza con la Strategia energetica nazionale.

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Tra le varie misure prevede un programma per rendere più efficiente il patrimonio edilizio pubblico. In particolare nell’art. 5 comma 1 si sancisce che a partire dall’anno 2014 e fino al 2020 dovranno essere realizzati interventi sugli immobili della Pubblica Amministrazione centrale, in grado di conseguire la riqualificazione energetica almeno pari al 3 per cento annuo della superficie coperta utile climatizzata o che, in alternativa, comportino un risparmio energetico cumulato nel periodo 2014-2020 di almeno 0,04 Mtep. Nel comma 3 invece si impone che le PA, entro il 30 settembre per l’anno 2014 e entro il 30 giugno di ciascun anno successivo, predispongano proposte di intervento per la riqualificazione energetica dei immobili dalle stesse occupati e le trasmettano, entro i quindici giorni successivi, al Ministero dello sviluppo economico. Tali proposte devono essere formulate sulla base di appropriate diagnosi energetiche o fare riferimento agli interventi di miglioramento energetico previsti dall’Attestato di prestazione energetica.

Inoltre nel comma 7 dello stesso articolo vi sono riportati i criteri da prendere in considerazione per effettuare la scelta del tipo di intervento da realizzare tra quelli definiti in fase di proposta:

- ottimizzazione dei tempi di recupero dell’investimento, anche con riferimento agli edifici con peggiore indice di prestazione energetica;

- minori tempi previsti per l’avvio e il completamento dell’intervento;

- entità di eventuali forme di cofinanziamento anche mediante ricorso a finanziamenti tramite terzi.

I requisiti minimi di efficienza energetica sono inclusi tra i criteri di valutazione delle offerte: il bando di gara precisa che i fornitori del servizio sono tenuti ad utilizzare prodotti conformi ai requisiti minimi e individua le modalità con le quali gli offerenti dimostrano di avere soddisfatto i requisiti stessi.

Deve essere continuamente garantito un controllo dei risparmi conseguiti, infatti nell’Art. 7, Comma 7, si enuncia che: “Le Regioni pubblicano in modalità open data entro il 1° giugno di ogni anno a partire dal 2015 i risparmi di energia conseguiti nell’anno precedente derivanti dalle misure di incentivazione promosse in ambito locale”.

Inoltre dovrà essere istituito un fondo nazionale per l'efficienza energetica (articolo 15) destinato a sostenere il finanziamento di interventi di efficienza energetica.

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1.4 – Il conto termico

Il Decreto Ministeriale del 28 dicembre 2012 [15] ha dato attuazione al cosiddetto “Conto Termico” cioè un regime di sostegno specifico per interventi di piccole dimensioni per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e l’incremento dell’efficienza energetica. Il decreto ha conferito al Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A. il ruolo di soggetto responsabile della gestione del meccanismo, inclusa l’assegnazione, erogazione ed eventuale revoca degli incentivi ai soggetti beneficiari nonché al controllo degli interventi incentivati al fine di accertarne la regolarità di realizzazione e di gestione.

L’accesso all’incentivo è consentito per due categorie di interventi elencate di seguito.

Categoria 1: interventi di incremento dell’efficienza energetica di edifici esistenti, parti di essi o unità immobiliari di qualsiasi categoria catastale, dotati di impianto di climatizzazione (art.4, comma 1del Decreto):

a) Isolamento termico di superfici opache delimitanti l’involucro;

b) sostituzione di chiusure trasparenti comprensive di infissi delimitanti il volume climatizzato;

c) sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale utilizzanti generatori di calore a condensazione;

d) installazione di sistemi di schermatura e/o ombreggiamento di chiusure trasparenti con esposizione da Est-sud-est a Ovest, fissi o mobili, non trasportabili;

Categoria 2: interventi di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza in edifici esistenti (art.4, comma 2 del Decreto):

a) sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale, anche combinati per la produzione di acqua calda sanitaria, dotati di pompe di calore, elettriche o a gas che utilizzano qualsivoglia tipo di fonte energetica unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW;

b) sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti o di riscaldamento delle serre e dei fabbricati rurali esistenti con impianti di climatizzazione invernale dotati di generatore di calore alimentato a biomassa;

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c) installazione di impianti solari termici per la produzione di ACS e/o ad integrazione dell’impianto di climatizzazione invernale, anche abbinati a sistemi solar cooling; d) sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldaacqua a pompa di calore;

Sono ammessi ai benefici previsti da tale decreto, sia direttamente che indirettamente tramite l’intervento di una ESCO mediante stipula di un contratto di prestazione energetica, le amministrazioni pubbliche per entrambe le categorie ed i soggetti privati solo per la categoria 2 che intendono farne richiesta.

Agli incentivi possono accedervi, almeno una volta, tutti i soggetti prima identificati che ne fanno richiesta e nel caso in cui si raggiunga un impegno massimo di spesa annua non saranno accettate ulteriori richieste di accesso agli incentivi da parte di tali soggetti (articolo 1 comma 3 e 4).

Ad inizio anno è stato approvato il DM. del 14 gennaio 2016 [16] che darà vita al CONTO TERMICO 2.0 e incrementerà gli interventi incentivabili. Le principali modifiche riguardano la Pubbliche Amministrazioni, per la quale il nuovo conto termico aggiunge tre nuovi interventi: trasformazione in “edifici a energia quasi zero” (Nzeb); sostituzione dei sistemi per l'illuminazione d’interni e delle pertinenze esterne degli edifici esistenti con sistemi efficienti di illuminazione; installazione di tecnologie di gestione e controllo automatico degli impianti termici ed elettrici degli edifici (building automation), inclusi sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore.

Vengono poi semplificate le modalità di prenotazione dell'incentivo da parte delle amministrazioni, e la platea dei beneficiari allargata a cooperative sociali e società di patrimonio pubblico. La percentuale incentivabile è pari al 40% per tutte le tipologie prima elencate ad esclusione degli interventi per le opere di isolamento termico nelle zone climatiche E/F che è del 50% e del 55% se accompagnato dall'installazione di nuovi impianti di climatizzazione arrivando fino al 65% per gli interventi atti alla trasformazione degli edifici esistenti in edifici a energia quasi zero.

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Gli incentivi sono cumulabili, nel caso di interventi simultanei, ed elargiti in rate annuali costanti, per la durata definita nella Tabella A dell’articolo 7, secondo le modalità descritte negli allegati del decreto. In particolare è previsto un valore massimo dell’incentivo (Imax) e del costo sostenuto per mq di superficie utile (Cmax) per ciascun intervento che devono essere considerati per il calcolo della quota massima incentivabile.

Con questo secondo decreto si cerca di rilanciare un meccanismo incentivante che mette a disposizione 900 milioni di euro annui (700 per i privati e 200 per le pubbliche amministrazioni), ma che allo stato attuale si dimostra largamente sottoutilizzato. Difatti l'ultima rilevazione del GSE evidenzia al 1° gennaio 2016 un totale di incentivi impegnati pari a 56,4 milioni di euro: 45,6 milioni riconducibili ai privati e 10,8 milioni alle Pubbliche Amministrazioni in definitiva poco più del 5% delle risorse disponibili.

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2 - IL PARCO EDILIZIO SCOLASTICO ITALIANO

In Italia il settore scolastico consta di 42292 edifici. Questo è il dato fornito dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca) durante la presentazione dell’Anagrafe dell’Edilizia Scolastica del 7 agosto 2015[17]. Di questa quantità però soltanto l’80% risultano effettivamente attivi cioè nei quali viene svolta attività di qualsiasi tipo connessa alle istituzioni scolastiche.

I restanti circa 8500 edifici sono inattivi perché in ristrutturazione, in costruzione, dismessi o inagibili a causa di calamità naturali. Tra le regioni con la più alta percentuale di edifici scolastici non attivi troviamo la Sardegna con addirittura l’83%, la Sicilia con il 60% e a seguire il Lazio con il 44%. La Toscana invece ha una bassa percentuale di inattività, il 3%.

2.1 – Prestazione degli edifici scolastici

L’Anagrafe ha anche fornito ulteriori dati interessanti nel suo report. Nel diagramma a colonne della figura 2.1.1 sono ripartiti i 42292 edifici presenti nel parco edilizio Italiano raggruppati in funzione della fascia di età di costruzione.

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Figura 2.1.1 Fascia di età di costruzione degli edifici scolastici

Si può notare che circa la metà delle strutture sono state costruite prima del 1971, anno di entrata in vigore della normativa che rende obbligatorio il certificato di collaudo statico. Per tale motivo il Ministro Giannini con la legge #labuonascuola ha stanziato 40 milioni di euro per effettuare delle indagini diagnostiche dei solai. Si tratta di indagini strutturali e non, da eseguire sui solai degli edifici scolastici al fine di garantirne la sicurezza e di prevenirne il crollo. Tale indagine andrà ad intervenire su circa 7000 edifici.

La situazione in effetti è molto delicata e molti edifici scolastici presentano dei rischi notevoli da non sottovalutare.

L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha commissionato uno studio di settore [18]

nel 2012, nel quale mette in risalto questa importante criticità delle scuole italiane: il 37% degli edifici scolastici si collocano in zone ad alto rischio sismico e il 10% di questi si trovano in grave rischio di frana. Quindi, secondo questo studio, quasi 1 scuola su 30 richiede un intervento urgente di ristrutturazione al fine di essere messa in sicurezza per l’incolumità delle persone che la frequentano; dato molto sconcertante che fornisce un idea del potenziale numero di scuole che necessitano di interventi immediati di ristrutturazione, ai quali, quindi, possono essere affiancati dei lavori atti all’aumento dell’efficienza energetica.

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Tornando alla figura 2.1.1 ed esaminandola ulteriormente si può fare un’altra importante valutazione: il 60 % sono edifici realizzati prima del 1976, e quindi antecedentemente alla prima legge italiana inerente l’efficienza energetica degli edifici (legge nazionale 373/76).

Inoltre, nella maggior parte dei casi, questi edifici non hanno subito dei provvedimenti in termini di riqualificazione energetica nel corso degli anni ma dei semplici interventi di manutenzione straordinaria o di sostituzione di alcune parti dell’impianto e dell’involucro. Tale valutazione è riscontrabile nel diagramma, sempre prelevato dalle slide riassuntive del report realizzato dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica, di figura 2.1.2 dove sono state riportate le percentuali di edifici che possiedono degli accorgimenti atti alla riduzione dei propri consumi energetici e di quali accorgimenti si trattano.

Figura 2.1.2 Suddivisione degli edifici in funzione degli accorgimenti energetici presenti Si nota infatti che poco più della metà, il 58 %, degli edifici scolastici presentano degli accorgimenti, anche minimi, per la riduzione dei consumi energetici. Per esempio in solo il 19 % (11% del totale) di questi è stato realizzato un isolamento delle pareti esterne dell’involucro; nel 46% (27% del totale) dei casi sono stati installati dei pannelli solari per la produzione di energia da fonti rinnovabili e nel 64% (37% del totale) è stato effettuato un sezionamento in zone termiche dell’impianto di riscaldamento.

(19)

Si capisce quindi che, dato il panorama edilizio poco performante, gli interventi di riqualificazione energetica possono garantire dei margini elevati in termini di riduzione dei consumi energetici mantenendo al tempo stesso dei costi di realizzazione contenuti.

2.2 – Studi di settore e possibili scenari d’intervento

A tal proposito sono stati pubblicati numerosi articoli che affrontano il problema dell’efficientamento energetico degli edifici scolastici italiani effettuando delle simulazioni su un campione di immobili.

Tra questi si propone lo studio realizzato nel 2009 da parte di Citterio e Fasano [19] per conto dell’ENEA, il quale cerca di inquadrare in grandi linee uno scenario di risparmio sui consumi di energia nei sottosettori, analizzati separatamente, con destinazione d’uso “Direzionale pubblico” come enti pubblici e di ricerca, regioni, ministeri, etc.. e “Scuole” comprendenti materne, elementari, medie e superiori. In particolare per questa seconda categoria sono state condotte delle simulazioni su un campione di 15000 edifici, considerando quindi solo una parte corrispondente agli edifici più vecchi (risalenti alla prima metà del novecento) e quindi con la maggior priorità di intervento.

Tali interventi comprendono: isolamento termico dei solai e di tutti i muri disperdenti, sostituzione degli infissi, adeguamento sistema di regolazione dell’impianto di climatizzazione, sostituzione del generatore di calore, installazione di pannelli solari per la produzione di ACS nonché la sostituzione e/o rifacimento dell’impianto illuminotecnico e il posizionamento di schermature solari esterne sulle facciate esposte a sud.

In conclusione è stata stimata una potenziale riduzione del 20%, passando da 1,65 MTEP a 1,32 MTEP, dei consumi di energia primaria e del 18%, passando da 1,08 MTEP a 0,89 MTEP, dei consumi di energia termica (considerando solo il 35 % delle scuole) comportando un investimento di circa 6,5 miliardi di euro. Il risparmio stimato sui costi energetici è di circa 330 milioni di euro all’anno comportando quindi un ritorno dell’investimento iniziale di circa 20 anni. Il grafico a torta riportato in figura 2.2 è stato preso dall’articolo ed è significativo perché fornisce l’incidenza percentuale dei costi per la realizzazione di tutti gli interventi.

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Figura 2.2 Incidenza percentuale costi d’intervento

Si nota che, secondo questa simulazione, una quasi metà dei costi sostenuti sono imputabili alla sola sostituzione degli infissi, mentre per la realizzazione della coibentazione di tutto l’edificio si necessiterebbe di solo il 22% del totale dei costi sostenuti.

Nella valutazione di quest’ultimi, tuttavia, seppur elevati, va anche ricordato che l’intervento energetico viene normalmente posto in essere in occasione di interventi di pesante ristrutturazione, resi necessari per obsolescenza: si tratta di interventi che andrebbero in ogni caso realizzati, perché gli edifici sui quali si deve intervenire presentano problemi di sicurezza e di stabilità che consigliano la realizzazione di interventi radicali.

Questo fatto contribuisce a ridurre drasticamente il peso economico dell’extra costo energetico. Nel caso delle scuole per esempio, è stato valutato che è necessario intervenire su un numero significativo di edifici con un impegno economico in circa 8 Miliardi di euro, quindi, in presenza di questi importanti interventi comunque da effettuare, il Pay-back time dell’investimento per l’incremento dell’efficienza energetica si accorcia significativamente.

Tale articolo dà un’idea generale dei costi di intervento di riqualificazione energetica di edifici in cui è necessario effettuare delle importanti ristrutturazioni a priori. Inoltre il campione di 15000 edifici si riferisce a strutture vecchie che possiedono delle caratteristiche strutturali ed impiantistiche simili.

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Come invece si è notato precedentemente il range temporale di realizzazione del parco edilizio scolastico italiano ricopre un secolo di storia e ciò comporta delle notevoli differenze tra ciascun caso considerato.

Risulta quindi utile considerare una più recente simulazione condotta da Dall’O’ e Sarto [20] che analizza una serie di interventi realizzati su un campione di 49 complessi scolastici esistenti del nord Italia nella provincia di Milano per un totale di 76 edifici di svariate destinazioni d’uso (scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori) e diversi anni di costruzione (dal 1920 fino al 2009). La scelta di prendere un campione così variegato è voluta affinchè tale simulazione possa essere considerata valida anche in altre province, a patto di modificare le condizioni climatiche esterne.

Lo step successivo alla scelta del campionario è stato quello dell’acquisizione della documentazione, riguardante ogni edificio, necessaria per lo svolgimento dei calcoli come: le caratteristiche dell’involucro, dell’impianto di riscaldamento ed elettrico, i periodi d’accensione degli impianti, i dati relativi alla occupazione dei locali e i consumi energetici degli ultimi 3 anni.

A questo punto sono stati ipotizzati 3 differenti scenari che rappresentano 3 diversi gradi di intervento sulle strutture al fine di ridurne i consumi e aumentarne la classe energetica:

o “Scenario Standard” con l’obiettivo di avere un investimento minimo andando ad intervenire principalmente sull’impianto di riscaldamento (sostituzione di caldaia in caso di vita utile superiore a 10 anni, installazione di valvole termostatiche, ecc..);

o “Scenario Costo-effettivo” con l’obiettivo di aumentare significativamente la performance energetica dell’edificio migliorando le caratteristiche sia dell’involucro che degli impianti tenendo conto anche degli aspetti economici, avendo cura quindi di ottenere un tempo di ritorno dell’investimento accettabile affinchè tali interventi possano effettivamente essere finanziabili. Esempio di interventi considerati: sostituzione caldaia con una a condensazione, isolamento termico dell’involucro di spessore sufficiente a portare a 0,34 e 0,3 W/m2K la trasmittanza rispettivamente dei muri perimetrali e del tetto (valori minimi richiesti dal Dlgs 192/2005 e dal Dgr 8745/2008), sostituzione degli infissi con finestre a doppio vetro, basso emissivi con intercapedine di Argon (U=2,2 W/m2K), installazione di valvole termostatiche,ecc..

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o “Scenario Alte-Prestazioni” con l’obiettivo di aumentare notevolmente la performance energetica degli edifici in modo tale da avvicinarsi allo stadio NZEB Near-Zero Energy Buildings introdotto nell’articolo 9 della direttiva Europea 31/2010. In Italia tale definizione è stata formalizzata solo nel recente decreto 26 giugno 2015 e, come riportato nell’articolo 5 del Dlgs 63/2013, a partire dal 31 dicembre 2018 tutti gli edifici di nuova costruzione proprietà delle pubbliche amministrazioni, comprendendo gli edifici scolastici, devono essere edifici a energia quasi zero. Nel report in questione è stato considerato l’obbiettivo di raggiungere almeno la classe A per ciascun edificio, aggiungendo agli interventi visti in precedenza e migliorati, l’installazione di impianti di ventilazione meccanica con recuperatore e di pannelli solari temici e fotovoltaici, nonché la sostituzione delle caldaie esistenti con dei sistemi a pompa di calore geotermica.

I risultati dei primi due scenari sono notevoli. In particolare lo scenario “standard” ha messo in risalto che con un investimento di 14 €/m2 si può ottenere una riduzione del 15% dei consumi dell’intero parco edilizio costituito dai 49 complessi scolastici con un ritorno dell’investimento di circa 6 anni. Come è stato detto si tratta però di interventi di livello basso che vanno ad agire solo sugli impianti e sulla gestione delle strutture senza sostanziali modifiche della classe energetica di quest’ultime. Rappresenta comunque uno strumento efficace per ridurre i consumi e una buona soluzione nel caso di contratto con una compagnia ESCo di durata non superiore ai 7 anni.

Salendo in termini di costi e di interventi si passa allo scenario “costo-effettivo” che mostra come un investimento di 129 €/m2 comporta una riduzione del 67% dei consumi con un PBT di 14 anni compatibile quindi con finanziamenti da terze parti proposte dalle ESCo con il programma fondi d’investimento della BEI. Inoltre si provvede a incrementare la classe energetica di tutti gli edifici fino al valore minimo, previsto dalla normativa, C.

Nel terzo scenario, “Alte-Prestazioni”, si hanno dei risultati superiori a quello precedente (riduzione dell’81% dei consumi energetici) ma con dei costi iniziali d’investimento superiori di circa 4 volte (479,4 €/m2), comportando un PBT di oltre 42 anni, impensabile per un FTP.

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Quindi tale studio dimostra che la riqualificazione energetica di strutture, per il raggiungimento degli standard imposti dalla direttiva 31/2010, può non essere conveniente e che in molti casi la costruzione di un nuovo edificio comporta una spesa comparabile a quella sostenuta per riqualificare quello esistente.

Se però gli obbiettivi sono meno ambiziosi, si è visto che si possono raggiungere dei notevoli risultati in termini di riduzione dei consumi energetici (fino a circa il 70%) con la possibilità, dati i PBT inferiori ai 20 anni, di essere finanziabili da parti terze.

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3 - IL CASO STUDIO: LA SCUOLA MATERNA

“GIANBURRASCA”

Il caso studio riguarda il progetto di un intervento di diagnosi e di riqualificazione energetica di un edificio comunale, comprendente la scuola materna “Gianburrasca” e la mensa a servizio della stessa scuola, della scuola elementare e delle medie, situato a San Vincenzo in provincia di Livorno. Il seguente lavoro si è svolto attraverso una serie di passaggi metodologici, caratteristici di una diagnosi e riqualificazione energetica, articolati di seguito: raccolta dei dati, indagine sul campo, audit energetico, valutazione degli interventi e analisi economica.

3.1 – Metodologia di lavoro

Dopo aver ricevuto da parte dell’Ufficio S.U.E. (sportello unico edilizia) del Comune di San Vincenzo la documentazione riguardante la scuola in questione, sono stati effettuati alcuni sopralluoghi all’interno dell’edificio.

Purtroppo tra la documentazione fornita alcuni elaborati grafici non erano molto fedeli alla situazione reale ed altri, specialmente quelli riferiti all’abaco degli infissi e agli schemi dell’impianto di riscaldamento, presentavano degli errori o erano addirittura totalmente sbagliati. Il problema consisteva nel fatto che il materiale consegnatomi era riferito ad un progetto preliminare e molto probabilmente vi erano state apportate delle modifiche nel corso dell’opera. Nonostante siano state affinate le ricerche negli archivi Comunali i risultati sono stati deludenti non essendo riusciti a trovare un vero e proprio progetto esecutivo ma solo dei documenti attestanti alcune delle modifiche al progetto avvenute in corso d’opera.

Conseguentemente sono stati programmati ed effettuati alcuni sopralluoghi nella scuola volti alla revisione del materiale fornito.

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L’indagine, che è stata fondamentale per la realizzazione di un report fedele alla realtà, si è limitata alla ricostruzione di alcuni schemi impiantistici senza la realizzazione di un rilievo metrico delle strutture edilizie. Quindi le misure presenti sulla tavola planimetrica sono state prese per buone.

L’indagine sul campo, si è svolta nei seguenti sopralluoghi atti a:

1) misurazione dello spessore del solaio di calpestio, della copertura e dei muri perimetrali; 2) Misurazione dei telai e delle superfici vetrate dei serramenti, dello spessore dei vetri e ricostruzione di un abaco degli infissi;

3) Modifica dello schema d’impianto di riscaldamento di distribuzione;

4) Determinazione del tipo e numero di terminali d’impianto (misurazione diametri tubazioni, numero elementi e interasse)

5) Valutazione di ulteriori difformità rispetto alla documentazione fornita (dismissione della ghiaia e dei lucernari prima presenti sulla copertura, muri perimetrali in laterizio invece che in pannelli prefabbricati, ecc..)

6) Colloquio con il personale della scuola e della mensa al fine di avere maggiori informazioni riguardanti l’occupazione dei locali e l’inventario e la modalità d’utilizzo della strumentazione necessaria per la cottura dei cibi nel reparto mensa.

Successivamente alla raccolta e alla validazione dei dati riguardanti l’involucro e quelli relativi agli impianti (di riscaldamento, Acqua Calda Sanitaria, illuminazione) sono state richieste e raccolte le bollette energetiche di luce e gas dell’edificio scolastico, nonché i consumi di metano della mensa.

Alla fase di raccolta dei dati è seguita quella della diagnosi. Infine sono stati quindi valutati dei possibili interventi, finalizzati della riduzione dei consumi energetici, affiancati da un’analisi economica

Inoltre per ciascun intervento è stato calcolato l’indice CER – Costo dell’Energia Risparmiata pari al rapporto tra il costo dell’investimento (sostenuto per la realizzazione dell’opera) e riduzione del fabbisogno di energia primaria ottenuto [€/kWh].

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Figura 3.1.1 Foto aerea scuola materna giamburrasca

Si può apprezzare la forma particolare dell’edifico nella foto aerea di fig. 3.1.1. Nella stessa è anche stata delimitata con una linea arancione la porzione corrispondente all’edificio scolastico comprendente le aule per l’attività scolastica dei bambini e relativi servizi igienici, aule insegnanti, lavanderia e servizi personale ATA, ecc.. da quella addetta alla ristorazione (comprendente cucina, dispensa, sala da pranzo, lavaggio stoviglie e servizi per il personale mensa).

MENSA

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3.2 – Contesto geografico

San Vincenzo è una località marittima della provincia di Livorno in Toscana. Questa si colloca nella fascia climatica C con un numero di Gradi Giorno pari a 1051.

COORDINATE GEOGRAFICHE

Latitudine 43° 05’ 37.68” N Longitudine 10° 32’ 25.24” E Altezza s.l.m. 5 m s.l.m.

PARAMETRI CLIMATICI

Gradi Giorno 1051 Zona Climatica C

Temperatura esterna di progetto 0°C

Numero di giorni riscaldamento 137

Periodo di riscaldamento 15 novembre – 31 marzo

Zona di vento 3

PROVINCE DI RIFERIMENTO

per Temperatura Livorno

per Zona di vento Livorno

per Irraggiamento (I e II capoluogo) Livorno - Grosseto

Tabella 3.2 Principali caratteristiche località

Albedo:

L’edificio è situato in uno spazio aperto e ad esclusione di un piazzale asfaltato nella zona ad est, la struttura risulta nel complesso circondata dal verde con la presenza di un giardino lungo tutto il rimanente perimetro e di alcuni pini marittimi nella zona ad ovest.

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3.3 - Caratteristiche edificio

L’edificio è costituito da due parti realizzate cronologicamente in due periodi distinti. La prima, che interessa la mensa e la zona centrale del complesso, è stata realizzata a metà degli anni Ottanta da parte dell’impresa edile reggiana Belloni S.p.a vincitrice della gara di appalto. Questa parte, essendo quella più datata, è stata identificata nel corso della trattazione come “Old” e quindi le grandezze con il pedice O si riferiscono alla zona suddetta.

Le fondazioni, la cui realizzazione è stata concessa in sub-appalto ad una ditta san vincenzina insieme alla posa del primo solaio, sono a trave rovescia continua lungo tutto il perimetro della struttura in calcestruzzo armato con spessore di 80 cm della trave e di 25 cm dell’anima. Nella fig. 3.3.1 è riportato il particolare della trave appena descritta.

Vespaio

areato

Figura 3.3.1 Particolare fondazioni e vespaio aerato

Tra il primo solaio e le fondazioni è stata prevista la presenza di un vespaio aerato di altezza pari a circa 130 cm con lo scopo di separare la superficie di sedime dalla soletta abitabile inferiore e di permettere il passaggio delle tubazioni dell’impianto di scarico, di riscaldamento e di acqua sanitaria.

(29)

Tale vespaio è mantenuto leggermente ventilato da alcune bocche di lupo presenti lungo il perimetro ed è ispezionabile, stanza per stanza, per mezzo di cunicoli realizzati nei muri di fondazione. La foto seguente, riportata in fig. 3.3.2, è stata scattata nel vespaio suddetto durante un sopralluogo. Si possono apprezzare la grande quantità di tubazioni presenti e il sistema di cunicoli per il passaggio da una stanza all’altra.

Figura 3.3.2 Foto scattata nel vespaio sottopavimento

Per quanto riguarda il primo solaio, questo è stato realizzato con pannelli in calcestruzzo alleggeriti con polistirolo tipo PREDALLES di spessore 4+16+4 cm, da una soletta in calcestruzzo di 10 cm e da un pavimento in linoleum con superficie liscia di spessore pari a 2 mm, ad eccezione dei WC, cucina, dispense e lavanderie in cui è stato realizzato un pavimento in piastrelle. Risulta quindi uno spessore del solaio pari a circa 35 cm.

Il progetto preliminare prevedeva la composizione delle pareti perimetrali per mezzo di pannelli prefabbricati pluristrato in calcestruzzo e polistirolo di produzione della Belloni S.p.a. In fase esecutiva invece, a causa di alcuni problemi legati alla produzione di quest’ultimi, è stato scelto di realizzare le pareti verticali con un metodo tradizionale adottando blocchi di laterizio in POROTON di spessore pari a 25 cm.

(30)

Infine la copertura è piana ed è stata realizzata con un solaio in laterocemento di spessore 20+4 cm. Le pendenze sono state realizzate con cemento cellulare FOAMCEM di spessore variabile da 6-8 cm.Ulteriori informazioni in merito alla stratigrafia non sono state reperite.

Figura 3.3.3 Pianta edificio

Nella fig. 3.3.3 è riportata la pianta della scuola e, la porzione di edificio prima descritta, è quella contornata dalla linea rossa; la seconda parte invece, delimitata in figura dalla linea blu e che nel seguito della trattazione sarà identificata con il pedice A (di ampliamento), è stata

(31)

Difatti il solaio di calpestio, realizzato su di un vespaio di circa 80 cm ma non ventilato, ha uno spessore maggiore ed è stato realizzato con dei pannelli tipo CELERPAN a 3 tralicci con alleggerimento in polistirolo di spessore 4+20+4 cm. Sopra il solaio sono state posate le tubazioni dell’impianto di riscaldamento e realizzato un massetto di 10 cm.

La struttura in elevazione è costituita da muratura portante in blocchi di laterizio alveolato di spessore pari a 25 cm e da travi di cemento armato, in accordo con il resto della struttura. I solai di copertura sono stati realizzati con solai misti in calcestruzzo armato con blocchi interposti d’alleggerimento in laterizio e polistirolo tipo CELERSAP di spessore 20+4 cm. Nella tab. 3.3 sono state riportate le principale differenze strutturali.

OLD AMPLIAMENTO

Vespaio Areato di altezza h=130 cm Non areato di altezza h=80 cm

Solaio Predalles 4+16+4 Celerpan 4+20+4

Tubazioni impianto

riscald. Passanti nel vespaio Immerse nel massetto Muri perimetrali In blocchi di POROTON Blocchi di laterizio alveolato

Solaio di copertura Latero-cemento 20+4 Celersap 20+4 misto in laterizio e polistirolo

Tabella 3.3 Riepilogo delle principali differenze tra le due porzioni di edificio

I muri perimetrali in blocchi di POROTON o in blocchi di laterizio alveolato presentano all’incirca le stesse caratteristiche sia per quanto riguarda la conducibilità che per la densità e il calore specifico. I vespai sono stati trattati indifferentemente considerando un singolo coefficiente btr,u del quale si rimanda al seguito la determinazione. Il calcolo delle perdite termiche delle tubazioni dell’impianto di riscaldamento è stato differenziato in base alla differente posizione, e quindi in funzione del passaggio di queste nel vespaio o dentro il massetto. Per quanto riguarda i solai, questi sono stati valutati singolarmente, a seconda delle rispettive grandezze caratteristiche, e ricostruito un valor medio.

(32)

3.4 - Caratteristiche impianti

Produzione

L’intero complesso denominato “Renaione”, comprendente asilo nido, mensa, scuola materna ed elementare, è riscaldato dal medesimo gruppo di generazione e per tale motivo la centrale termica è stata posizionata in una zona abbastanza baricentrica rispetto a queste strutture come si può apprezzare nella fig. 3.4.1. L’edificio oggetto di studio resta però quello più distante dalla centrale termica comportando delle perdite maggiori nel sistema di distribuzione rispetto agli altri stabili.

Figura 3.4.1 Complesso “Renaione”

La scuola materna e la mensa quindi utilizzano solo una certa quota della potenza termica prodotta dai generatori e la sfruttano per il solo riscaldamento invernale. La prima infatti affida la produzione di ACS ad alcuni scaldabagno murali elettrici presenti nei locali di servizi mentre la seconda ad un impianto solare termico a convezione naturale integrato con delle resistenze elettriche.

Scuola materna

Scuola Elementare

Asilo nido Centrale termica

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L’impianto è del tipo idronico, a circuito chiuso ed è protetto da una serie di vasi d’espansione chiusi a membrana. Il gruppo di generazione è costituito da due caldaie a gas a condensazione in parallelo da 300 kWth circa ciascuna.

Le tubazioni di mandata e di ritorno confluiscono rispettivamente verso un collettore dal quale si diramano 4 circuiti, 3 per il riscaldamento invernale dei 3 stabili e uno per l’ACS, ciascuno dei quali termoregolato da una valvola miscelatrice a 3 vie con servocomando elettrico.

Figura 3.4.2 Schema impianto collettori di distribuzione centrale termica

La circolazione dell’acqua è permessa da 4 elettropompe gemellari a rotore bagnato, una per ciascun circuito, di potenza e prevalenza differente a seconda del diametro della tubazione di alimentazione. DN 50 DN 50 DN 40 DN 80 DN 100 CIRCUITO SCUOLA ELEMENTARE CIRCUITO ASILO NIDO CIRCUITO

SCUOLA MATERNA

CIRCUITO

ACS

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In particolare per il circuito di distribuzione della scuola materna che con tubazioni di diametro nominale di 50 mm (cerchiata nella fig. 3.4.2) ha le seguenti caratteristiche:

- Portata 20 m3/h - Prevalenza 7,3 m

- Potenza in ingresso 510 W

Rete di distribuzione

La tipologia di impianto è ad acqua calda a circolazione forzata con un sistema di distribuzione di tipo “bitubo”.

La tubazione in acciaio zincato di diametro nominale di 50 mm parte dalla centrale termica e percorre, sottoterra, i 50 m circa che separano l’edificio dal punto di produzione. Questa, raggiunta la scuola materna, si suddivide in due tubazioni: una di diametro pari a 35 mm che va ad alimentare, per mezzo di due collettori complanari, i 16 radiatori presenti nella zona dell’ampliamento; l’altra, di diametro 42 mm, invece alimenta la restante parte dell’edificio comprendente 45 radiatori.

Figura 3.4.3 Nodo principale sistema di distribuzione

Circuito distribuzione “Old”

Circuito distribuzione Ampliamento

Mandata dalla centrale termica

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Nella foto riportata in fig. 3.4.3 si può notare il nodo principale del sistema di distribuzione.

Come è stato precedentemente detto, durante uno dei vari sopralluoghi, sono state trovate notevoli difformità tra le caratteristiche impiantistiche riportate nella documentazione fornita e l’attuale conformazione dell’impianto esistente. Innanzitutto i fan-coil previsti nel progetto iniziale ed effettivamente presenti sul soffitto delle aule, non venivano più utilizzati già da parecchio tempo perché erano stati sostituiti da altrettanti radiatori in alluminio.

Inoltre i collegamenti dei nuovi corpi scaldanti risultavano totalmente spostati rispetto a quelli definiti in fase di progetto. Quindi si è reso necessario ricostruire la complessa rete di tubazioni attraverso delle ispezioni e un preciso rilievo fotografico e successivamente rappresentarlo in pianta per mezzo di un software CAD.

Figura 3.4.4 Particolare dello schema impianto di distribuzione

In figura 3.4.4 è stato riportato un particolare della rete di distribuzione. I colori servono ad identificare le diverse dimensioni dei diametri delle tubazioni presenti. In particolare:

o la tubazione rossa (DN 50 mm) in acciaio zincato è quella di alimentazione dell’impianto e proveniente dalla centrale termica;

o quella gialla, anch’essa in acciaio e di diametro 35 mm, è l’alimentazione dell’ampliamento;

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o La tubazione verde, sempre in acciaio, rappresenta la vena principale di diametro 42 mm che trasporta il fluido termovettore in tutto lo stabile appartenente alla zona più datata;

o I tubi di colore blu e azzurro, che realizzano il collegamento diretto ai terminali d’impianto, sono in rame e rappresentano rispettivamente delle tubazioni da 12 e 10 mm;

o La zona cerchiata identifica la posizione del nodo principale del sistema di distribuzione L’allacciamento alla vena principale delle tubazioni da 12 e 10 mm è realizzato, in molti punti del tracciato, attraverso dei piccoli collettori e nella fig. 3.4.5 ne è riprodotto un esempio.

Figura 3.4.5 Particolare sistema di distribuzione

Risulta quindi che la rete di distribuzione della zona più datata è molto complicata e colma di perdite di carico distribuite ma soprattutto concentrate nelle curve e nei vari nodi di collegamento. Inoltre l’isolamento delle tubazioni non è tutto dello stesso spessore e in alcuni tratti non è presente. Nonostante questi fattori negativi tale rete si presta bene ad una eventuale modifica in quanto le tubazioni sono passanti nel vespaio sottopavimento.

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Più efficiente è invece il sistema di distribuzione presente nell’ampliamento di tipo bitubo - a collettori complanari anche se una eventuale modifica si renderebbe complicata data la scelta, in fase di progetto, di annegare le tubazioni nel massetto del pavimento.

Terminali d’impianto

L’impianto di riscaldamento scambia la potenza termica del fluido termovettore attraverso 61 radiatori. La maggior parte di questi (51) sono a piastre in alluminio con elementi componibili e una piccola quota (10) a colonne in ghisa.

I primi sono di varie aziende produttrici tra cui GLOBAL ITALY e FONDITAL con interasse 800 mm ad esclusione di quattro radiatori presenti all’interno della mensa che, per l’inserimento al di sotto delle finestre, hanno interasse 700 mm.

Per i secondi invece è stato impossibile identificarne la marca e il conseguente reperimento delle relative schede tecniche, quindi è stato preso come riferimento, per il calcolo della potenza prodotta, un modello generico di radiatori in ghisa.

Per ciascun elemento in alluminio è stato preso un valore di potenza di 110 W/el. Questo valore è stato determinato a partire dal coefficiente Km e dall’esponente n del modello con

interasse 800, ricavabili entrambi dalle relative schede tecniche[21], e considerando una differenza di temperatura di 35°C tra temperatura media del radiatore e ambiente interno.

In totale il numero degli elementi in alluminio ammonta a 625 unità. Quindi facendo una stima della potenza di riscaldamento, questa risulta pari a:

, = 110 ∙ 625 = 68750

A questa va sommata la potenza fornita dai 69 elementi in ghisa da 85 W di potenza ciascuno (valore riferito alle schede tecniche[22] di un modello generico di radiatori a colonne in ghisa):

, = 85 ∙ 69 = 5865

(38)

Sistema di regolazione

In precedenza i fan-coil dell’edificio erano regolati da dei termostati a controllo manuale tuttora presenti nelle varie aule anche se ormai non più funzionanti.

Successivamente con la sostituzione dei terminali d’impianto questo tipo di regolazione è stata abbandonata e fino al 2013 l’impianto rimaneva in funzione continuativa senza nessun tipo di regolazione.

Nel corso del 2013 la gestione della fornitura di calore del complesso Renaione è stata data in appalto pubblico all’azienda Siram S.p.a, società ESCo certificata milanese che si occupa di efficientamento energetico di edifici pubblici e privati, in collaborazione con la ditta HydroService di Carpitelli M. e C. snc. Durante il corso dello stesso anno sono stati sostituiti i vecchi generatori e alcune elettropompe ormai in disuso andando inoltre a modificare la regolazione dell’impianto.

Ad oggi infatti nella scuola materna è presente una regolazione di tipo Zona + Climatica. Abbiamo quindi una sonda esterna e una interna che misurano rispettivamente la temperatura fuori e dentro l’edificio. Attraverso un sistema wireless tali misure sono inviate ad una centralina presente nella centrale termica e collegata alle caldaie che, attraverso logiche di controllo avanzate, è in grado di prevedere l’andamento della temperatura interna in funzione della temperatura esterna registrata e di agire con un certo anticipo sullo spegnimento o l’accensione delle caldaie e sulle valvole miscelatrici presenti in ciascun circuito in modo tale da mantenere una temperatura interna costante.

Questa regolazione, insieme alle altre opere di sostituzione dei componenti obsoleti, ha permesso una notevole riduzione dei consumi energetici. Infatti dai dati forniti dalla Siram s.p.a. si è passati da un consumo di gas metano di 38022 m3 nel 2013 ad uno di 27903 m3 nel 2014, con una diminuzione quindi del 26% di metri cubi di gas.

Se da una parte sono diminuiti i consumi energetici dall’altra però sono peggiorate le condizioni di benessere all’interno poiché il grave difetto di questo sistema è la mancanza di una regolazione di più zone e quindi della possibilità di sezionare lo stabile in varie zone termiche regolate da termostati indipendenti.

(39)

Infatti la presenza di una sola sonda interna non garantisce l’uniformità della temperatura in tutto lo stabile, a maggior ragione per un edificio grande e costituito da una notevole quantità di componenti finestrati. Come è facile immaginare le stanze che possiedono superfici disperdenti rivolte a sud, che hanno quindi dei maggiori apporti solari, risentiranno meno della diminuzione della temperatura esterna rispetto alle stanze con superfici disperdenti rivolte a nord e ciò provoca una temperatura disuniforme. Tale problematica è stata purtroppo confermata durante un sopralluogo nel quale alcuni membri del personale scolastico hanno riferito di un’insoddisfacente temperatura presente nelle varie aule, alcune troppo calde e altre troppo fredde.

Sistema di accumulo

Per quanto riguarda l’impianto di riscaldamento non è presente un serbatoio o nessun altro tipo di sistema di accumulo. Invece per la produzione di ACS, che non interessa l’edificio in esame perché come già detto riguarda le altre scuole ma comunque permette una diminuzione dei consumi dei generatori, vi è la presenza di un bollitore da 1000 litri alimentato dalle caldaie per mezzo di uno scambiatore a piastre.

Produzione ACS

Mentre per l’impianto di riscaldamento vi è la presenza di un unico circuito che alimenta sia la scuola che la mensa, per l’acqua calda sanitaria il discorso è differente. Infatti sulla copertura vi è la presenza di 6 pannelli solari termici a circolazione naturale che servono a produrre ACS per la cucina, quindi vi è un circuito ad hoc; l’ACS della scuola è invece prodotta direttamente in ciascun bagno da alcuni bollitori elettrici dalle seguenti caratteristiche:

o Tipo Bollitore elettrico Ariston o Quantità 5

o Capacità 50 Litri

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Impianto fotovoltaico

L’impianto fotovoltaico, ubicato sulla copertura dell’edificio, è di tipo trifase di potenza pari a 9,6 kW. I 42 moduli fotovoltaici in silicio policristallino, posizionati sul tetto ed inclinati di un angolo di 25° con esposizione a sud, hanno una potenza nominale di 230 W ciascuno ed una superficie netta di 1,66 m2. Altri dati inerenti le caratteristiche del singolo modulo non sono disponibili.

Figura 3.4.6 Impianto fotovoltaico

L’impianto è suddiviso in 4 stringhe, 2 stringhe da 10 moduli e 2 stringhe da 11 moduli ciascuna. La conversione in corrente alternata è affidata a tre inverter: due di questi hanno potenza nominale di 2300 W ciascuno e il terzo ha una potenza nominale di 5000 W.

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