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Le opzioni. Un confronto tra i vari modelli di pricing.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

Le opzioni. Un confronto tra i vari modelli di pricing.

Relatore: Candidata:

Prof. Emanuele Vannucci Sara Moscaritolo

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Ai miei genitori, grazie di tutto quello che fate per me ogni giorno. A Filippo, grazie di esserci sempre.

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1 INDICE

INTRODUZIONE ... pag. 4

CAPITOLO 1: LE OPZIONI

1. INTRODUZIONE ALLE OPZIONI ... pag. 5 2. OPZIONI CALL E OPZIONI PUT ... pag. 6 2.1 Terminologia ... pag. 7 2.2 Posizioni su opzioni ... pag. 8 2.3 Attività sottostanti ... pag. 10 2.4 Fattori che influenzano i prezzi delle opzioni ... pag. 11 2.5 Put-Call Parity ... pag. 14 2.6 Alcune opzioni esotiche ... pag. 17

CAPITOLO 2: I MODELLI DI PRICING DELLE OPZIONI: IL MODELLO BINOMIALE E IL MODELLO BLACK-SCHOLES-MERTON

1. IL MODELLO BINOMIALE ... pag. 21 1.1 Alberi binomiali a uno stadio ... pag. 21 1.2 Valutazione neutrale verso il rischio... pag. 23 1.3 Alberi binomiali a due stadi ... pag. 25 1.4 Opzioni europee e opzioni americane ... pag. 27 1.5 Delta ... pag. 27 1.6 Calibrare la volatilità ... pag. 27 1.7 Formule per gli alberi binomiali ... pag. 29 1.8 Aumentare il numero degli stadi ... pag. 30 2. IL MODELLO BLACK-SCHOLES-MERTON ... pag. 30 2.1 Log-normalità dei prezzi delle azioni ... pag. 31 2.2 Distribuzione del tasso di rendimento ... pag. 33 2.3 Tasso di rendimento atteso ... pag. 33 2.4 Volatilità storiche ... pag. 34 2.5 Concetti sottostanti il modello Black-Scholes-Merton ... pag. 36

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2.6 Equazione differenziale fondamentale ... pag. 37 2.7 Valutazione neutrale verso il rischio... pag. 39 2.8 Formule per il modello Black-Scholes-Merton ... pag. 41 2.9 Volatilità implicite ... pag. 42 3. ALBERI BINOMIALI E FORMULA BLACK-SCHOLES-MERTON .... pag. 43

CAPITOLO 3: I METODI DELLE DIFFERENZE FINITE E IL METODO MONTE CARLO

1. I METODI DELLE DIFFERENZE FINITE ... pag. 48 1.1 La griglia ... pag. 48 1.2 Il metodo implicito delle differenze finite ... pag. 49 1.3 Il metodo esplicito delle differenze finite ... pag. 52 1.4 Trasformazione di variabile ... pag. 54 1.5 Un confronto con il metodo binomiale ... pag. 55 1.5.1 Relazione con l’approccio degli alberi trinomiali ... pag. 56 1.6 Altri metodi delle differenze finite ... pag. 57 2. IL METODO MONTE CARLO ... pag. 59 2.1 Il campionamento casuale ... pag. 59 2.2 Derivati che dipendono da più variabili ... pag. 61 2.3 L’uso di numeri casuali ... pag. 61 2.4 Il numero delle simulazioni ... pag. 63 2.5 Stima delle lettere greche ... pag. 63 2.6 Un confronto con il metodo binomiale: la campionatura mediante

alberi ... pag. 64 2.7 Vantaggi e svantaggi delle simulazioni Monte Carlo ... pag. 64 2.7.1 Le opzioni americane ... pag. 65

CAPITOLO 4: ESEMPLIFICAZIONI NUMERICHE CON EXCEL

1. OPZIONE EUROPEA ... pag. 67 1.1 Il modello di Black-Scholes ... pag. 67 1.2 Il modello binomiale ... pag. 69 1.3 Un confronto tra il modello Black-Scholes e il modello binomiale ... pag. 73

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1.4 La simulazione Monte Carlo ... pag. 92 1.5 Un confronto tra il modello di Black-Scholes e la simulazione

Monte Carlo ... pag. 97 2. OPZIONE AMERICANA ... pag. 99 3. OPZIONE ASIATICA ... pag. 101

CONCLUSIONI ... pag. 104

BIBLIOGRAFIA ... pag. 106

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INTRODUZIONE

In questo lavoro l’attenzione viene focalizzata sulle opzioni, sui modelli di pricing delle opzioni e sul confronto tra questi modelli di pricing.

Nel primo capitolo vengono delineate le principali caratteristiche che riguardano le opzioni. Dopo aver fornito una definizione, si evidenziano le differenze esistenti tra le diverse tipologie, e successivamente si analizzano le principali variabili che influenzano il prezzo di tali contratti.

Nel secondo capitolo vengono presentati i due principali modelli di pricing delle opzioni: il modello Black-Scholes, ampiamente utilizzato dai traders per la valutazione delle opzioni di tipo europeo, e il modello binomiale, che rappresenta una generalizzazione nel discreto del modello Black-Scholes, e che permette di valutare sia opzioni di tipo europeo che di tipo americano.

Nel terzo capitolo, vengono presentati il metodo Monte Carlo e i metodi delle differenze finite. Il metodo Monte Carlo, che si applica andando in avanti dall’inizio alla fine della vita del derivato, può essere usato per valutare i derivati di stile europeo ed è in grado di trattare derivati con valori finali molto complessi. I risultati ottenuti con il metodo Monte Carlo diventano più efficienti con il crescere del numero delle variabili sottostanti. I metodi delle differenze finite, che si applicano tornando indietro dalla fine all’inizio della vita del derivato, possono essere usati per valutare sia i derivati di stile europeo sia quelli di stile americano. Tuttavia, sono molto difficili da applicare quando i valori finali dipendono dalla storia passata delle variabili di stato. Inoltre, sono piuttosto costosi in termini di tempi di calcolo quando i derivati dipendono da tre o più variabili sottostanti.

Infine, nel quarto capitolo, si mette in evidenza il fatto che il metodo di pricing che viene scelto dipende dalle caratteristiche dell’opzione oggetto di valutazione e dal grado di accuratezza richiesto. Per mettere meglio a fuoco il profilo teorico dei modelli di pricing delle opzioni affrontati nei capitoli precedenti, vengono presentati in questo capitolo degli esempi numerici attraverso Excel.

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5 CAPITOLO 1

LE OPZIONI

1. INTRODUZIONE ALLE OPZIONI

Nell’ambito della finanza, con il termine opzione si intende quel particolare tipo di contratto che conferisce all’acquirente il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare o vendere il titolo sul quale l’opzione stessa è scritta; questo titolo viene chiamato strumento sottostante.

Per strumento sottostante ad uno strumento derivato, si intende quell’attività da cui dipende il derivato, nel nostro caso le opzioni. Gli strumenti sottostanti di tipo finanziario possono essere: azioni, obbligazioni, indici, valute, tassi d’interesse, commodity, ecc.

Le opzioni vengono negoziate sia in borsa sia nei mercati over the counter. Esistono due tipi fondamentali di opzioni:

 Opzioni call (call options) danno al portatore il diritto di comprare un’attività entro una certa data, per un certo prezzo;

 Opzioni put (put options) danno al portatore il diritto di vendere un’attività entro una certa data, per un certo prezzo.

Il prezzo indicato nel contratto è detto prezzo d’esercizio (exercise price) o prezzo base (strike price); la data indicata nel contratto è detta data di estinzione (expiration date) o scadenza (maturity).

Le opzioni possono essere americane o europee:

 Le opzioni europee (European options) possono essere esercitate solo alla scadenza;

 Le opzioni americane (American options) possono essere esercitate in qualsiasi momento della loro vita.

I termini “europea” e “americana” non si riferiscono alla localizzazione dell’opzione o della borsa. In genere, le opzioni negoziate in borsa sono americane e ogni contratto riguarda il diritto di comprare o vendere 100 azioni. Le opzioni europee sono, in genere, più facili da analizzare e alcune proprietà delle opzioni americane sono spesso dedotte da quelle delle corrispondenti opzioni europee.

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Le opzioni danno al portatore il diritto di fare qualcosa. Il portatore non è obbligato a esercitare questo diritto. E’ questo ciò che contraddistingue le opzioni dai forwards e dai futures, nei quali ci si impegna a comprare o vendere l’attività sottostante. Mentre l’acquisto di un contratto forward o di un contratto future non costa nulla, per acquistare un’opzione si sostiene un costo.

Su questi mercati, esistono quattro tipi di traders:  Compratori di calls;

 Venditori di calls;  Compratori di puts;  Venditori di puts;

Si dice che i compratori hanno “posizioni lunghe” (long positions) e che i venditori hanno “posizioni corte” (short positions). “Scrivere” (to write) opzioni equivale a venderle.

Le opzioni possono essere usate per finalità di copertura. C’è una fondamentale differenza tra l’utilizzo del forward e delle opzioni per finalità di copertura. I contratti forward, fissando il prezzo da pagare o da ricevere in cambio dell’attività sottostante, neutralizzano il rischio. Al contrario, i contratti di opzione offrono una sorta di assicurazione. Consentono agli investitori di proteggersi dai movimenti sfavorevoli dei prezzi senza privarli della possibilità di beneficiare dei movimenti favorevoli. A differenza del forward, le opzioni comportano il pagamento di un premio iniziale.

Le opzioni possono essere usate per finalità speculative. Le opzioni offrono una sorta di leva finanziaria. L’utilizzo delle opzioni amplifica le possibili conseguenze finanziarie di un certo investimento. I risultati buoni diventano ottimi, mentre i risultati cattivi diventano pessimi.

2. OPZIONI CALL E OPZIONI PUT

Opzioni call

Chi acquista una call spera che il prezzo dell’azione aumenti.

Se l’opzione è europea, l’investitore può esercitarla solo alla scadenza. Se in tale data il prezzo dell’azione è minore del prezzo d’esercizio, l’opzione non verrà esercitata. In questo caso, l’investitore perde l’intero investimento iniziale.

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Se alla scadenza il prezzo dell’azione è maggiore del prezzo d’esercizio, l’opzione verrà esercitata. Esercitando l’opzione, l’investitore acquista le azioni al prezzo d’esercizio. Se le azioni vengono immediatamente rivendute, l’investitore consegue un profitto pari alla differenza tra il prezzo dell’azione e il prezzo d’esercizio, trascurando i costi di transazione.

Si noti che talvolta l’investitore esercita la call ma subisce una perdita. Si potrebbe pensare che in tal caso l’investitore non dovrebbe esercitare. Tuttavia, se non esercitasse, la sua perdita complessiva sarebbe maggiore della perdita che subirebbe in caso d’esercizio.

In generale, le calls devono essere sempre esercitate alla scadenza se il prezzo dell’azione è maggiore del prezzo d’esercizio.

Opzioni Put

Chi acquista una put spera che il prezzo dell’azione diminuisca.

Se l’opzione è europea, l’investitore può esercitarla solo alla scadenza. Se in tale data il prezzo dell’azione è minore dello strike, l’opzione verrà esercitata. L’investitore può comprare le azioni e, in base alle condizioni previste dalla put, venderle a un prezzo maggiore al prezzo dell’azione, realizzando così un ricavo se si trascurano i costi di transazione.

Naturalmente, non c’è alcuna garanzia che l’investitore realizzerà un profitto. Se il prezzo finale dell’azione è maggiore dello strike, il valore della put alla scadenza è nullo e l’investitore subisce una perdita.

2.1 TERMINOLOGIA

In un qualsiasi istante si possono trattare, per ogni attività, diverse opzioni.

Tutte le opzioni dello stesso tipo (calls o puts) costituiscono una “classe di opzioni” (option class). Ad esempio, le calls su IBM sono una classe mentre le puts su IBM sono un’altra classe.

Una “serie di opzioni” (option series) è formata da tutte le opzioni di una data classe con uguale scadenza e uguale prezzo d’esercizio. In altre parole, una serie individua un particolare contratto. Ad esempio, le calls su IBM con scadenza ottobre e prezzo d’esercizio di $50 formano una serie.

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 In the money: l’opzione che comporterebbe un flusso di cassa positivo se fosse esercitata immediatamente;

 At the money: l’opzione che comporterebbe un flusso di cassa nullo;  Out of the money: l’opzione che comporterebbe un flusso di cassa negativo. Se S è il prezzo dell’azione e K è il prezzo d’esercizio, un’opzione call è in the money quando S > K, at the money quando S = K e out of the money quando S < K. Un’opzione put è in the money quando S < K, at the money quando S = K e out of the money quando S > K. Chiaramente, un’opzione verrà esercitata solo se è in the money. In assenza di costi di transazione, un’opzione che è in the money verrà sempre esercitata alla scadenza se non è stata esercitata in precedenza.

Il “valore intrinseco” (intrinsic value) di un’opzione è definito come il massimo tra 0 e il valore che l’opzione avrebbe se fosse esercitata immediatamente.

Pertanto, il valore intrinseco di una call è pari a max (S – K, 0 . Il valore intrinseco di una put è pari a max (K – S, 0 . Un’ opzione americana in the money deve valere almeno quanto il suo valore intrinseco dato che, se il valore intrinseco è positivo, il possessore può realizzarlo esercitando l’opzione immediatamente. Spesso al possessore di un’opzione americana in the money conviene aspettare piuttosto che esercitare immediatamente. Si dice allora che l’opzione ha un “valore temporale” (time value). Il valore complessivo di un’opzione è pari alla somma del valore intrinseco e del valore temporale.

2.2 POSIZIONI SU OPZIONI

In ogni contratto di opzione esistono due parti. Da un lato c’è l’investitore che ha assunto la posizione lunga (ossia chi ha comprato l’opzione). Dall’altro lato c’è l’investitore che ha assunto la posizione corta (ossia chi ha venduto l’opzione). Chi vende l’opzione ha un introito iniziale ma è soggetto a una perdita potenziale. Il suo profitto (o la sua perdita) è pari alla perdita (o al profitto) di chi ha acquistato l’opzione. Esistono quattro tipi di posizioni su opzioni:

1. una posizione lunga su una call; 2. una posizione lunga su una put; 3. una posizione corta su una call; 4. una posizione corta su una put.

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Spesso è utile caratterizzare le posizioni su opzioni europee in termini del loro valore finale (payoff) alla scadenza. In tal caso, il costo iniziale dell’opzione non viene incluso nei calcoli. Se ST è il prezzo finale dell’azione sottostante e K è il prezzo d’esercizio, il

payoff di una posizione lunga su una call europea è pari a:

max (ST K, 0)

Questa formula riflette il fatto che l’opzione verrà esercitata se ST > K e non verrà esercitata se ST K. Il payoff di una posizione corta su una call europea è pari a:

max (ST K, 0) = min (K ST, 0)

Il payoff di una posizione lunga su una put europea è pari a:

max (K ST, 0)

e il payoff di una posizione corta su una put europea è pari a:

max (K ST, 0) = min (ST K, 0)

La Figura 1.1 illustra graficamente questi payoffs.

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10 2.3 ATTIVITA’ SOTTOSTANTI

In borsa vengono trattate opzioni scritte su azioni, indici azionari, valute e futures.

Opzioni su azioni

La maggior parte delle negoziazioni di “opzioni su azioni” (stock options) avviene in borsa. Negli Stati Uniti, le borse che trattano stock options sono la Chicago Board Options Exchange (CBOE), la Philadelphia Stock Exchange (PHLX), l’American Stock Exchange (AMEX), l’International Securities Exchange e la Boston Options Exchange. Vengono trattate opzioni scritte su oltre 1.000 azioni. Ogni contratto dà alla parte lunga il diritto di comprare o vendere 100 azioni al prezzo d’esercizio specificato. Si tratta di una convenzione utile dato che anche le azioni vengono in genere scambiate per multipli di 100.

Opzioni su valute

La maggior parte delle negoziazioni di “opzioni su valute” (currency options) avviene nei mercati over the counter, ma esiste anche un mercato di borsa. La borsa più importante per la negoziazione di currency options è la Philadelphia Stock Exchange, dove si trattano opzioni europee e americane. La dimensione di ogni contratto dipende dalla valuta.

Opzioni su indici

In tutto il mondo vengono trattate diverse “opzioni su indici” (index options), sia in borsa sia fuori borsa. Negli Stati Uniti, le più diffuse sono quelle sui seguenti indici: S&P 500 (SPX), S&P 100 (OEX), NASDAQ 100 (NDX) e Dow Jones Industrial (DJX). Tutte queste opzioni vengono negoziate alla Chicago Board Options Exchange. Le opzioni su indici sono in genere europee. Un’eccezione è rappresentata dalle opzioni sullo S&P 100, che sono americane. Ogni contratto dà alla parte lunga il diritto di comprare o vendere un quantitativo pari a 100 volte l’indice, al prezzo d’esercizio specificato. La liquidazione avviene sempre per contanti piuttosto che attraverso la consegna del portafoglio sottostante l’indice.

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Opzioni su futures

In genere, le “opzioni su futures” (futures options) vengono trattate dalle stesse borse che negoziano i futures. Di solito, queste opzioni scadono poco prima che inizi il periodo di consegna del contratto futures. Il compratore di una call su futures acquista dal venditore, nel momento in cui la esercita, una posizione lunga sul futures sottostante più un importo in denaro pari alla differenza tra prezzo futures e prezzo d’esercizio. Il compratore di una put su futures acquista dal venditore, nel momento in cui la esercita, una posizione corta sul futures sottostante più un importo in denaro pari alla differenza tra prezzo d’esercizio e prezzo futures.

2.4 FATTORI CHE INFLUENZANO I PREZZI DELLE OPZIONI

I prezzi delle opzioni presenti sul mercato durante la giornata di contrattazione, non sono in alcun modo determinati dal gestore del mercato o dalla clearing house, essi sono il risultato della domanda e dell’offerta immessa nel sistema dai market maker e dagli operatori.

Il market maker è un operatore che si impegna a quotare sia un prezzo di acquisto che uno di vendita per determinati quantitativi di titoli e a condizioni di prezzo competitive. L’esistenza del market maker, assicura che gli ordini in acquisto e vendita possano sempre essere eseguiti a prezzi competitivi e senza ritardi, contribuendo pertanto a garantire la liquidità del mercato.

Un’opzione è un prodotto derivato, il cui valore dipende dalla performance attuale ed attesa del suo sottostante, sia esso un’azione o un indice.

Sono sei i fattori che influenzano il prezzo di un’opzione scritta su un’azione: 1. il prezzo corrente dell’azione, S0;

2. il prezzo d’esercizio, K; 3. la vita residua, T;

4. la volatilità del prezzo dell’azione, σ; 5. il tasso d’interesse privo di rischio, r;

6. i dividendi attesi durante la vita dell’opzione, il cui valore attuale è D.

Vediamo cosa succede ai prezzi delle opzioni quando uno di questi fattori cambia, a parità degli altri. I risultati sono riassunti nella Figura 1.2:

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Figura 1.2: Fattori che influenzano i prezzi delle opzioni.

Prezzo dell’azione e prezzo d’esercizio

Il valore finale di una call esercitata è pari alla differenza tra prezzo dell’azione e prezzo d’esercizio. Pertanto, le calls valgono di più se cresce il prezzo dell’azione e valgono di meno se cresce il prezzo d’esercizio. Il valore finale di una put è pari alla differenza tra prezzo d’esercizio e prezzo dell’azione. Pertanto, le puts si comportano in modo opposto alle calls. Valgono di meno se cresce il prezzo dell’azione e valgono di più se cresce il prezzo d’esercizio. La Figura 1.3a, la Figura 1.3b, la Figura 1.3c e la Figura 1.3d mostrano il modo in cui i prezzi di calls e puts dipendono dal prezzo dell’azione e dal prezzo d’esercizio.

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Vita residua

Sia le calls sia le puts americane valgono di più al crescere della vita residua. Per capire perché, si considerino due opzioni che differiscono tra loro solo per la data di scadenza. Chi possiede l’opzione con la vita residua maggiore ha tutte le opportunità d’esercizio del possessore dell’opzione con la vita residua minore – e altre ancora. Pertanto, l’opzione a più lungo termine deve valere almeno quanto l’opzione a più breve termine. Di solito, anche le calls e le puts europee valgono di più al crescere della vita residua (si vedano la Figura 1.3e e la Figura 1.3f), ma non sempre è così.

Volatilità

La volatilità (volatility) misura l’incertezza sul futuro comportamento del prezzo di un titolo. Se la volatilità aumenta, cresce la probabilità che la performance del titolo sia molto brillante o molto modesta. Per chi possiede il titolo, questi due effetti si compensano tra loro. Invece, chi ha una call trae beneficio dai rialzi ma ha un rischio inferiore (downside risk) limitato, perché, in caso di ribasso, non può perdere più del premio pagato. Analogamente, chi ha una put trae beneficio dai ribassi ma ha un

downside risk limitato in caso di rialzo. Pertanto, il valore delle calls e delle puts

aumenta al crescere della volatilità (Figura 1.4a e Figura 1.4b).

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Tasso d’interesse privo di rischio

Il tasso d’interesse privo di rischio influenza il prezzo di un’opzione in modo meno chiaro. All’aumentare dei tassi d’interesse nell’economia, il tasso di crescita atteso del prezzo dell’azione tende ad aumentare. Tuttavia, per chi ha l’opzione, il valore attuale di ogni futuro flusso di cassa diminuisce. Entrambi questi effetti tendono a ridurre il valore di una put. Pertanto, il prezzo di una put diminuisce all’aumentare del tasso d’interesse privo di rischio (Figura 1.4d). Nel caso delle calls, il primo effetto tende a far crescere il prezzo dell’opzione mentre il secondo tende a deprimerlo. Si può dimostrare che il primo effetto domina sempre il secondo; cioè, il prezzo di una call aumenta all’aumentare del tasso d’interesse privo di rischio (Figura 1.4c).

Queste argomentazioni si basano sull’ipotesi che le altre variabili non cambino. In pratica, quando i tassi d’interesse aumentano (diminuiscono), i prezzi azionari tendono a scendere (aumentare). Pertanto, è possibile che l’effetto netto di un aumento dei tassi d’interesse e della conseguente riduzione dei prezzi azionari sia quello di far diminuire il valore della call e di far aumentare il valore della put. Analogamente, l’effetto netto di una riduzione dei tassi d’interesse e del conseguente aumento dei prezzi azionari sia quello di far aumentare il valore della call e di far diminuire il valore della put.

Dividendi

I dividendi fanno diminuire il prezzo delle azioni nel giorno di stacco. Si tratta di una cattiva notizia per il valore delle calls e di una buona notizia per il valore delle puts. Pertanto, la relazione tra il valore di una call e l’importo dei dividendi attesi è negativa mentre la relazione tra il valore di una put e l’importo dei dividendi attesi è positiva.

2.5 PUT-CALL PARITY

La put-call parity è un’importante relazione tra put e call.

All’epoca 0, supponiamo di avere un titolo che vale S0, di comprare una put con strike K e con scadenza T (ci siamo difesi in caso di ribasso) e di vendere una call con strike K e con scadenza T.

All’epoca T, il portafoglio può valere:  ST K

Non si esercita la put, viene esercitata la call e vendiamo il titolo al prezzo K. Il flusso è di incasso (+K).

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15  ST K

Non viene esercitata la call, si esercita la put e si vende il titolo al prezzo K. Il flusso che otteniamo è di nuovo pari a +K.

S0 + put – call = K(1+r)-T

Dove r è il tasso privo di rischio e K(1+r)-T rappresenta il valore iniziale del portafoglio. Questa è la relazione put-call parity. La possiamo scrivere anche in un altro modo:

S0 + put = call + K(1+r)-T

Cosa succede se questa relazione non vale?

Se questa relazione non vale significa che ci sono opportunità di arbitraggio, cioè si può realizzare una strategia dove, senza esborsare denaro inizialmente, si esce dal mercato con un guadagno sicuro.

Partiamo dal caso in cui vale:

S0 + put call + K(1+r)-T

La put ha un prezzo troppo alto e c’è una strategia che consente un arbitraggio.

All’epoca 0, vendiamo un titolo al prezzo S0 (prendiamo in prestito un titolo), vendiamo una put (incassiamo) e compriamo una call (paghiamo). Quindi abbiamo:

Flusso + S0 + put – call 0

Alla scadenza T avremo:

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Se ST K Se ST K

 Non viene esercitata l’opzione put  Si esercita la call

 Si compra un titolo a prezzo K Flusso passivo K

 Non si esercita la call  Viene esercitata la put

 Si compra un titolo a prezzo K Flusso passivo K Guadagno se: (S0 + put – call 1 r T K > 0 K + call 1 r T > (S 0 + put) 1 r T K 1 r -T + call > S 0 + put

Se c’è un guadagno e la put è sopravvalutata, ci sono persone interessate a vendere put e a comprare call. Nell’arco di breve tempo, se ci sono possibilità di arbitraggio, gli spostamenti della domanda e dell’offerta fanno si che il mercato trovi un equilibrio.

Nell’altro caso invece vale:

S0 + put call + K(1+r)-T

La call ha un prezzo troppo alto e c’è una strategia che consente un arbitraggio.

All’epoca 0, compriamo un titolo al prezzo S0, compriamo una put (paghiamo) e vendiamo una call (incassiamo). Quindi abbiamo:

Flusso S0 put call 0

Alla scadenza T avremo:

Passivo ( S0 put call)(1+r)T

Se ST K Se ST K

 Non viene esercitata l’opzione put  Si esercita la call

 Si vende un titolo a prezzo K Flusso passivo K

 Non si esercita la call  Viene esercitata la Put  Si vende un titolo a prezzo K Flusso passivo K

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17 Guadagno se: ( S0 put call 1 r T K > 0 K + call 1 r T > (S 0 + put) 1 r T K 1 r -T + call > S 0 + put

Implementando questa strategia ottengo un guadagno senza rischio (arbitraggio).

2.6 ALCUNE OPZIONI ESOTICHE

I derivati come le opzioni call e put, europee o americane, sono “prodotti standard” (plain vanilla products). Hanno caratteristiche ben definite e vengono negoziati attivamente. I prezzi (o le volatilità implicite) sono quotati dalle borse o dai brokers in modo regolare. Uno degli aspetti interessanti del mercato over the counter è rappresentato dall’ampia varietà di prodotti fuori standard (o esotici) creati dagli ingegneri finanziari. Questi prodotti sono importanti per le banche d’investimento, anche se rappresentano una piccola parte del loro portafoglio, perché in genere consentono margini d’intermediazione molto più elevati di quelli sui prodotti standard. I prodotti esotici sono stati creati per diverse ragioni. A volte rispondono a genuine esigenze di copertura da parte degli operatori; a volte ci sono motivi fiscali, contabili, legali o regolamentari che li rendono interessanti per i tesorieri delle società; a volte sono disegnati in modo da riflettere la particolare opinione di un tesoriere sulla futura evoluzione di una certa variabile di mercato; sporadicamente vengono disegnati dalle banche d’investimento in modo da apparire, agli occhi di qualche incauto tesoriere, più interessanti di quanto non siano effettivamente.

Opzioni con barriera

Le opzioni con barriera (barrier options) sono opzioni il cui valore finale dipende dal fatto che il prezzo dell’attività sottostante raggiunga o meno, in un certo periodo di tempo, un dato livello.

Diverse opzioni con barriera vengono regolarmente negoziate nel mercato over the counter. Piacciono a alcuni operatori perché sono meno care rispetto alle corrispondenti opzioni ordinarie. Le opzioni con barriera possono essere distinte in opzioni “soggette a cancellazione” (knock-out options) e “in attesa di validazione” (knock-in options). Le

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opzioni knock-out cessano di esistere quando il prezzo dell’attività sottostante raggiunge

una certa barriera. Le opzioni knock-in iniziano a esistere solo quando il prezzo dell’attività sottostante raggiunge una certa barriera.

Un aspetto importante delle opzioni con barriera è la frequenza con cui si osserva il prezzo dell’attività sottostante per verificare se la barriera viene raggiunta. Spesso le condizioni contrattuali prevedono che il prezzo dell’attività sottostante venga osservato una volta al giorno.

Le opzioni con barriera godono di proprietà molto diverse da quelle delle opzioni ordinarie. Ad esempio, il vega a volte è negativo.

Opzioni binarie

Le opzioni binarie (binary options) hanno valori finali discontinui. Un semplice esempio è dato dalla call “contanti o niente” (cash-or-nothing call). Quest’opzione paga zero se il prezzo dell’azione termina al di sotto di K e un importo prefissato, Q, altrimenti. In un mondo neutrale verso il rischio, la probabilità che il prezzo finale dell’azione sia maggiore di K è N(d2). Pertanto, il valore di una cash-or-nothing call è Qe-rTN(d2). Una put “contanti o niente” (cash-or-nothing put) è definita in modo analogo alla cash-or-nothing call. Questa opzione paga zero se il prezzo dell’azione termina al di sopra di K e un importo prefissato, Q, altrimenti. Il valore di una

cash-or-nothing put è Qe-rTN( d2).

Un’altra opzione binaria è la call “attività o niente” (asset-or-nothing call). Quest’opzione ha un valore nullo se il prezzo dell’azione termina al di sotto di K e un valore pari a quello dell’attività sottostante altrimenti. Il valore corrente di una

asset-or-nothing call è pari a S0e-qTN(d1). Una put “attività o niente” (asset-or-nothing put) ha un valore nullo se il prezzo dell’azione termina al di sopra di K e un valore pari a quello dell’attività sottostante altrimenti. Il valore corrente di una asset-or-nothing put è pari a S0e-qTN( d1).

Una call ordinaria equivale a una posizione lunga su una asset-or-nothing call più una posizione corta su una cash-or-nothing call, il cui importo in contanti è pari al prezzo d’esercizio. Analogamente, una put ordinaria equivale a una posizione corta su una

asset-or-nothing put più una posizione lunga su una cash-or-nothing put, il cui importo

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Opzioni asiatiche

Le opzioni asiatiche (Asian options) sono opzioni il cui valore finale dipende dal prezzo medio dell’attività sottostante osservato, almeno in parte, durante la vita dell’opzione. Il valore finale di una call “scritta sul prezzo medio” (average price call) è:

max (0, Smed K)

mentre quello di una put “scritta sul prezzo medio” (average price put) è:

max(0, K Smed)

dove Smed è il prezzo medio dell’attività sottostante calcolato in un periodo predeterminato.

Le opzioni average price sono meno care delle opzioni ordinarie e sono forse più adatte delle opzioni ordinarie per soddisfare alcune delle necessità dei tesorieri.

Un altro tipo di opzione asiatica è l’opzione con prezzo d’esercizio medio. Il valore finale di una call “con prezzo d’esercizio medio” (average strike call) è:

max (0, ST Smed)

mentre quello di una put “con prezzo d’esercizio medio” (average strike put) è:

max (0, Smed ST)

Le opzioni con prezzo d’esercizio medio possono garantire che il prezzo medio pagato per un’attività frequentemente scambiata in un certo periodo di tempo non sia maggiore del prezzo finale. In alternativa, possono garantire che il prezzo medio ricevuto per un’attività frequentemente scambiata in un certo periodo di tempo non sia inferiore al prezzo finale.

Se si assume che il prezzo dell’attività sottostante, S, sia distribuito in modo log-normale e Smed è una media geometrica degli S, sono disponibili formule analitiche per valutare le opzioni europee average price. Ciò dipende dal fatto che la media geometrica di un insieme di variabili distribuite in modo log-normale è anch’essa log-normale. Si può dimostrare che, in un mondo neutrale verso il rischio, la distribuzione probabilistica

(22)

20

della media geometrica dei prezzi di un’azione in un certo periodo è la stessa di quella del prezzo dell’azione alla fine del periodo se il tasso di crescita atteso dell’azione è pari a (r – q σ2/6)/2 (piuttosto che r q) e la sua volatilità è pari a σ/√3 (piuttosto che σ). Pertanto, le opzioni scritte su una media geometrica possono essere trattate come le opzioni ordinarie se si utilizza una volatilità pari a σ/√3 e un dividend yield pari a:

r r q = r q

Se invece, com’è più comune, le opzioni asiatiche sono definite in termini di medie aritmetiche, le formule analitiche di valutazione non sono disponibili. Ciò dipende dal fatto che la distribuzione della media aritmetica di un insieme di variabili distribuite in modo log-normale non ha proprietà che la rendono trattabile analiticamente. Tuttavia, esiste un’approssimazione analitica per valutare le opzioni scritte su medie aritmetiche. Si tratta di calcolare esattamente i primi due momenti della distribuzione probabilistica della media aritmetica in un mondo neutrale verso il rischio e quindi assumere che questa distribuzione sia log-normale.

(23)

21 CAPITOLO 2

I MODELLI DI PRICING DELLE OPZIONI: IL MODELLO BINOMIALE E IL MODELLO BLACK-SCHOLES-MERTON

1. IL MODELLO BINOMIALE

Una tecnica molto diffusa per valutare le opzioni su azioni comporta la costruzione di un cosiddetto “albero binomiale” (binomial tree). Si tratta di un albero che rappresenta i diversi sentieri che potrebbero essere seguiti dal prezzo dell’azione durante la vita dell’opzione. L’ipotesi sottostante è che il prezzo dell’azione segua una “passeggiata casuale” (random walk). In ogni intervallo, c’è una certa probabilità che il prezzo del titolo aumenti o diminuisca a un certo tasso. Come verrà dimostrato nel paragrafo 3 di questo capitolo, il modello binomiale converge verso il modello Black- Scholes-Merton col diminuire della lunghezza degli intervalli.

1.1. ALBERI BINOMIALI A UNO STADIO

Consideriamo un titolo il cui prezzo sia S0 e un’opzione, scritta su questo titolo, il cui

prezzo sia f. Supponiamo che l’opzione scada al tempo T e che durante la sua vita il prezzo dell’azione possa salire da S0 a S0u o scendere da S0 a S0d (u > 1; d < 1). Il tasso

di variazione del prezzo dell’azione in caso di rialzo è u 1 e in caso di ribasso è 1 – d. Se il prezzo dell’azione sale a S0u, il valore finale dell’opzione è fu; se il prezzo

dell’azione scende a S0d, il valore finale dell’opzione è fd. La situazione è illustrata nella

Figura 2.1.

(24)

22

Immaginiamo di costruire un portafoglio con una posizione lunga su ∆ azioni e una posizione corta su un’opzione. Calcoliamo il valore di ∆ che rende il portafoglio privo di rischio. Se c’è un movimento al rialzo del prezzo dell’azione, il valore del portafoglio alla fine della vita dell’opzione è

S0u∆ fu

Se c’è un movimento al ribasso del prezzo dell’azione, si avrà invece

S0d∆ fd

Le due espressioni sono uguali quando

S0u∆ fu S0d∆ fd

ossia quando

(2.1)

In questo caso il portafoglio è privo di rischio e deve rendere il tasso d’interesse privo di rischio. L’equazione precedente dimostra che ∆ è il rapporto tra la variazione del prezzo del derivato e la variazione del prezzo dell’azione che si verifica passando da un nodo all’altro.

Indicando con r il tasso d’interesse privo di rischio, il valore attuale del portafoglio deve essere pari a

( u∆ )

Il costo iniziale del portafoglio è

∆ Ne segue che

∆ ∆ )

ossia

f ∆ 1

Sostituendo ∆ e semplificando si ottiene

(25)

23 da cui f e f = 1 (2.2) dove p (2.3)

Le ultime due equazioni consentono di valutare l’opzione utilizzando un modello binomiale a uno stadio.

1.2. VALUTAZIONE NEUTRALE VERSO IL RISCHIO

Un principio fondamentale per la valutazione dei derivati è il principio della “valutazione neutrale verso il rischio” (risk-neutral valuation). Secondo questo principio, quando valutiamo i derivati possiamo presumere che gli investitori siano “neutrali verso il rischio” (risk neutral). Gli investitori neutrali verso il rischio non chiedono un tasso di rendimento atteso più elevato come compenso per il rischio che si assumono.

Il mondo in cui gli investitori sono risk neutral è detto “mondo neutrale verso il rischio” (risk-neutral world). Ovviamente, il mondo in cui viviamo non è neutrale verso il rischio. Maggiori sono i rischi, maggiori sono i tassi di rendimento attesi richiesti dagli investitori. Tuttavia, nel mondo neutrale verso il rischio, i prezzi dei derivati sono uguali a quelli del mondo reale. Quasi miracolosamente, possiamo fare a meno di conoscere il grado di avversione al rischio di chi compra e vende opzioni.

Questo risultato può sembrare sorprendente. I derivati sono prodotti rischiosi. Non dovrebbe il loro prezzo riflettere le attitudini degli investitori nei confronti del rischio? La risposta è che, quando si valuta un derivato in termini del prezzo del sottostante, le attitudini verso il rischio non sono importanti. Se gli investitori diventano più avversi al rischio, i prezzi delle azioni scendono, ma la formula che lega i prezzi dei derivati ai prezzi delle azioni sottostanti resta inalterata.

Nel mondo neutrale verso il rischio ci sono due aspetti che semplificano la valutazione dei derivati:

(26)

24

 il tasso di rendimento atteso delle azioni (e di qualsiasi altra attività) è pari al tasso d’interesse privo di rischio;

 il tasso utilizzato per l’attualizzazione del payoff atteso del derivato è pari al tasso d’interesse privo di rischio.

Per illustrare il principio della valutazione neutrale verso il rischio, esaminiamo nuovamente l’equazione (2.2). Abbiamo visto che le equazioni (2.2) e (2.3) ci consentono di valutare correttamente l’opzione senza fare alcuna ipotesi circa le probabilità associate al rialzo e al ribasso del prezzo dell’azione. Tuttavia, è naturale interpretare la variabile p dell’equazione (2.2) come la probabilità di rialzo del prezzo dell’azione in un mondo neutrale verso il rischio.

Se , si ha 0 1. Di conseguenza, essendo 1 la probabilità di ribasso, l’espressione

1

rappresenta il valore atteso dell’opzione in un mondo neutrale verso il rischio.

Pertanto, l’equazione (2.2) ci dice che il valore corrente dell’opzione è pari al suo valore atteso, attualizzato al tasso privo di rischio. E’ questa un’applicazione del principio della valutazione neutrale verso il rischio.

Per dimostrare la validità della nostra interpretazione di p, possiamo notare che, se p è davvero la probabilità di rialzo del prezzo dell’azione, allora il valore atteso del prezzo dell’azione al tempo T, E( ), è pari a

1 ossia a

Sostituendo p, in base all’equazione (3), si ottiene

(2.4)

secondo cui il prezzo dell’azione cresce, in media, in base al tasso d’interesse privo di rischio. In altri termini, il prezzo dell’azione si comporta esattamente come ci

(27)

25

aspetteremmo che si comportasse in un mondo neutrale verso il rischio se p fosse la probabilità di rialzo.

Il principio della valutazione neutrale verso il rischio svolge un ruolo chiave per la valutazione dei derivati. Secondo questo principio, il valore di un derivato ottenuto sotto l’ipotesi che il mondo sia neutrale verso il rischio è uguale al valore del derivato nel mondo reale. Abbiamo visto che ciò è vero quando la dinamica del prezzo dell’azione è descritta da un semplice modello binomiale. Si può dimostrare che questo risultato continua a valere sempre, quale che sia il processo che descrive l’evoluzione del prezzo dell’azione.

Per valutare un derivato sulla base di questo principio occorre:

1. calcolare le probabilità associate ai prezzi dell’azione in un mondo neutrale verso il rischio;

2. calcolare il valore atteso del derivato sulla base di queste probabilità;

3. attualizzare il valore atteso del derivato in base al tasso d’interesse privo di rischio.

1.3. ALBERI BINOMIALI A DUE STADI

Possiamo ora estendere l’analisi al caso di un albero binomiale a due stadi (ossia a due intervalli).

Figura 2.2: Prezzi di un’azione e di un’opzione in un albero a due stadi.

Possiamo generalizzare gli alberi a due stadi considerando la situazione illustrata nella Figura 2.2. Inizialmente il prezzo dell’azione è . Nel corso di ogni intervallo, il prezzo dell’azione sale a un livello pari a u volte il valore iniziale o scende a un livello pari a d

(28)

26

volte il valore iniziale. La simbologia usata è mostrata nell’albero. Ad esempio, dopo due rialzi il valore dell’opzione è . Supponiamo che il tasso privo di rischio sia r e che la lunghezza dell’intervallo temporale sia pari a ∆ anni.

Dato che la lunghezza di un intervallo è ora ∆ piuttosto che T, le equazioni (2.2) e (2.3) diventano

1 (2.5)

∆ (2.6)

Applicando ripetutamente l’equazione (2.2) si ottiene:

1 (2.7)

1 (2.8)

∆ 1 (2.9)

Sostituendo le equazioni (2.7) e (2.8) nella (2.9), si ottiene:

2 1 1 (2.10)

Questa formula è coerente con il principio di valutazione neutrale verso il rischio menzionato in precedenza. Le variabili , 2 1 e 1 sono le probabilità di raggiungere i nodi finali superiore, intermedio e inferiore. Il prezzo dell’opzione è uguale al suo valore atteso in un mondo neutrale verso il rischio, attualizzato al tasso d’interesse privo di rischio.

Se aggiungiamo altri stadi all’albero binomiale, il principio di valutazione neutrale verso il rischio continua a valere. Il prezzo dell’opzione è sempre uguale al suo valore atteso in un mondo neutrale verso il rischio, attualizzato al tasso d’interesse privo di rischio.

(29)

27

1.4. OPZIONI EUROPEE E OPZIONI AMERICANE

Le procedure descritte possono essere usate per valutare un qualsiasi derivato che dipenda da un’azione le cui variazioni di prezzo siano binomiali.

Finora tutte le opzioni che sono state considerate erano europee.

Vediamo ora come si valutano le opzioni americane facendo uso degli alberi binomiali. La procedura è quella di tornare indietro nell’albero dalla fine all’inizio e di verificare a ogni nodo se l’esercizio anticipato è conveniente. Il valore dell’opzione ai nodi finali è lo stesso dell’opzione europea. Ai nodi precedenti il valore dell’opzione è pari al maggiore tra:

 il valore dato dall’equazione (2.5);

 il valore risultante dall’esercizio anticipato.

1.5. DELTA

A questo punto è opportuno presentare il ≪ delta ≫, un parametro importante nella valutazione e nell’hedging delle opzioni.

Il delta di un’opzione su azioni è il rapporto tra la variazione del prezzo di un’opzione e la variazione del prezzo dell’azione sottostante. E’ il numero di unità dell’azione che dovremmo possedere per ogni opzione venduta allo scoperto al fine di creare un hedge privo di rischio. A volte la costruzione di un hedge privo di rischio viene chiamata ≪ delta ≫. Il delta di una call è positivo mentre il delta di una put è negativo.

1.6. CALIBRARE LA VOLATILITA’

I tre parametri necessari per costruire un albero binomiale con intervallo temporale ∆ sono u, d e p. Dopo aver specificato u e d, p deve essere scelto in modo che il tasso di rendimento atteso sia pari al tasso privo di rischio, r. Abbiamo già mostrato che

∆ (2.11)

I parametri u e d vanno scelti in modo che l’albero risulti coerente con la volatilità del sottostante. La volatilità, , di un’azione è definita in modo che √∆ sia la deviazione

(30)

28

standard del tasso di rendimento dell’azione nell’intervallo ∆ . Pertanto, la varianza è ∆ . La varianza di una variabile casuale X è pari a , dove E è il simbolo di valore atteso. Nell’intervallo ∆t, il tasso di rendimento dell’azione è pari a 1 con probabilità p e a d 1 con probabilità 1 . Pertanto, per far si che i parametri dell’albero siano coerenti con ∆ , occorre che

1 1 1 1 1 1 ∆ (2.12)

Sostituendo l’equazione (2.11) nell’equazione (2.12), si ottiene

∆ ∆ ∆ (2.13)

Trascurando i termini di ordine ∆ e superiore, una soluzione della (2.13) è

√∆ e √∆

Questi sono i valori di u e d proposti da Cox, Ross e Rubinstein (1979).

Nell’analisi che abbiamo appena svolto, abbiamo determinato u e d in modo che l’albero risulti coerente con la volatilità del sottostante in un mondo neutrale verso il rischio. Cosa succede se volessimo trovare i valori di u e d coerenti con la volatilità nel mondo reale? Come ora vedremo, le formule per u e d non cambiano.

Sia ∗ la probabilità di rialzo dell’azione nel mondo reale (Figura 2.3.). Siano e , rispettivamente, il tasso di rendimento atteso e la volatilità dell’azione nel mondo reale.

(31)

29

Per far si che i parametri dell’albero siano coerenti con il tasso di rendimento atteso dell’azione, , occorre che

1 ∗ ∆

da cui

∗ ∆ (2.14)

Per far si che i parametri dell’albero siano coerenti con la volatilità dell’azione, , occorre che sia soddisfatta l’equazione (2.12) nella quale p sia stato sostituito da ∗. Combinando la (2.12), così modificata, con la (2.14) si ottiene

∆ ∆

Quest’equazione è identica alla (2.13), fatta eccezione per il fatto che vi figura al posto di r. Se si trascurano i termini di ordine ∆ e superiore, la sua soluzione è uguale a quella ottenuta in precedenza per la (2.13):

√∆ e √∆

1.7 FORMULE PER GLI ALBERI BINOMIALI

L’analisi svolta mostra che, quando la lunghezza dell’intervallo temporale dell’albero è ∆ , la volatilità va calibrata ponendo

√∆ (2.15) √∆ (2.16) Inoltre, in base all’equazione (2.16) , si ha

(2.17) dove

∆ (2.18) Queste equazioni definiscono l’albero.

(32)

30

1.8 AUMENTARE IL NUMERO DEGLI STADI

I modelli binomiali presentati finora sono irrealisticamente semplici. E’ chiaro che dobbiamo aspettarci valori molto approssimativi dei prezzi delle opzioni se ipotizziamo che i movimenti dei prezzi delle azioni durante la vita dell’opzione siano descritti da uno o due stadi binomiali.

In pratica, quando si utilizzano gli alberi binomiali, la vita dell’opzione viene divisa in 30 o più intervalli di lunghezza ∆ . Ogni intervallo contiene un movimento binomiale del prezzo dell’azione. Pertanto, con 30 intervalli, i prezzi finali del titolo sono 31 e i possibili sentieri temporali sono 2 , ossia circa un miliardo.

Le formule che descrivono l’albero sono date dalle equazioni del paragrafo precedente indipendentemente dal numero degli stadi.

2. IL MODELLO BLACK-SCHOLES-MERTON

All’inizio degli anni ’70, Fischer Black, Myron Scholes e Robert Merton hanno dato un fondamentale contributo alla teoria di valutazione delle opzioni, sviluppando il modello Black-Scholes-Merton. Questo modello ha avuto un’enorme influenza sul modo in cui i traders valutano le opzioni ed effettuano le coperture. Nel 1997, l’importanza del modello è stata riconosciuta con l’assegnazione del premio Nobel per l’economia a Myron Scholes e a Robert Merton. Purtroppo, Fischer Black è morto nel 1995, altrimenti il premio sarebbe stato assegnato, senza dubbio, anche a lui.

Prima di loro, altri studiosi avevano adottato le stesse ipotesi e avevano correttamente calcolato il payoff atteso di un’opzione europea. Tuttavia, è difficile determinare il tasso corretto per attualizzare il payoff atteso di un’opzione. Black e Scholes hanno utilizzato il Capital Asset Pricing Model per collegare il tasso richiesto dal mercato per investire nell’opzione al tasso richiesto per investire nell’azione sottostante. Il compito non era facile perché il tasso richiesto per l’opzione dipendeva sia dal prezzo dell’azione sia dal tempo. L’approccio di Merton è diverso da quello di Black e Scholes. La sua dimostrazione si basa su un portafoglio composto dall’opzione e dall’azione sottostante, i cui pesi vengono aggiustati dinamicamente in modo che il portafoglio cambia continuamente col passare del tempo. L’approccio di Merton è più generale rispetto a quello di Black e Scholes perché non si basa sul Capital Asset Pricing Model.

(33)

31

2.1 LOG-NORMALITA’ DEI PREZZI DELLE AZIONI

Il modello ipotizzato da Black, Scholes e Merton per descrivere il comportamento del

prezzo di un’azione è noto come ≪ ≫.

La versione in tempo discreto di questo modello è:

∆ ∆ √∆ (2.19) da cui

∆ ∆ √∆ (2.20) dove:

 la variabile ∆ rappresenta la variazione del prezzo dell’azione, S, in un piccolo intervallo di tempo, ∆ ;

 è un’estrazione casuale da una distribuzione normale standardizzata (ossia una distribuzione normale con media nulla e deviazione standard pari a 1);

 il parametro è il tasso di rendimento atteso dell’azione;  il parametro è la volatilità del prezzo dell’azione. Si ipotizza che e siano costanti.

Il termine nel lato sinistro dell’equazione (2.19) rappresenta il tasso di rendimento dell’azione in un piccolo intervallo di tempo, ∆ . Il termine ∆ è il valore atteso di questo tasso di rendimento, mentre il termine √∆ è la componente stocastica del tasso di rendimento.

La varianza della componente stocastica, e pertanto dell’intero tasso di rendimento, è ∆ . In altri termini, è tale per cui √∆ è la deviazione standard del tasso di rendimento dell’azione in un piccolo intervallo di tempo, ∆ .

L’equazione (2.19) mostra che ∆ / si distribuisce in modo normale con media pari a ∆ e deviazione standard pari a √∆ . In altri termini:

∆ ~ ∆ , ∆ (2.21)

dove , indica una distribuzione normale con media m e varianza v. Il modello implica che:

(34)

32 ln ln ~ 2 , Ne segue che: ln ~ , (2.22) e ln ~ ln , (2.23)

dove è il prezzo dell’azione al tempo T e è il prezzo dell’azione al tempo 0.

L’equazione (2.23) mostra che ln è normale, per cui è log-normale. La media di ln è ln /2 T e la deviazione standard è √ .

Una variabile che ha una distribuzione log-normale può assumere un qualsiasi valore compreso tra zero e ∞. L’aspetto di una distribuzione log-normale è mostrato dalla figura 2.4.

Figura 2.4: Una distribuzione log-normale.

A differenza della distribuzione normale, la distribuzione log-normale è asimmetrica, per cui media, mediana e moda sono diverse l’una dall’altra.

In base all’equazione (2.23) e alle proprietà delle distribuzioni log-normali, si può dimostrare che il valore atteso di , , è dato da:

(2.24)

Questo risultato giustifica la definizione di come tasso di rendimento atteso. Si può dimostrare che la varianza di , var( , è data da:

(35)

33

var( 1

2.2 DISTRIBUZIONE DEL TASSO DI RENDIMENTO

Le proprietà di log-normalità dei prezzi delle azioni possono essere utilizzate per avere informazioni sulla distribuzione del tasso di rendimento dell’azione (composto continuamente) relativo al periodo tra zero e T.

Sia ƞ il tasso di rendimento annuo (composto continuamente) relativo al periodo tra zero e T. Ne segue che:

ƞ

e

ƞ ln (2.25) L’equazione (2.22) implica che:

ƞ~ , (2.26)

Pertanto, anche il tasso di rendimento annuo (composto continuamente) si distribuisce in modo normale con media /2 e deviazione standard /√ . All’aumentare di T la deviazione standard di ƞ diminuisce.

2.3 TASSO DI RENDIMENTO ATTESO

Il tasso di rendimento atteso, , di un titolo dipende dalla rischiosità del titolo stesso. Maggiore è il rischio, maggiore è il tasso di rendimento richiesto dagli investitori. Il tasso di rendimento di un’azione dipende anche dal livello dei tassi d’interesse nell’economia. Maggiore è il tasso d’interesse privo di rischio, maggiore è il tasso di rendimento atteso da un investimento azionario. C’è un aspetto del tasso di rendimento atteso di un’azione che merita di essere considerato.

L’equazione (2.19) mostra che ∆ è il tasso di variazione atteso di S nell’intervallo ∆ . Dato che ∆ è molto piccolo, è naturale assumere che sia uguale al tasso di rendimento atteso annuo composto continuamente. Ma non è così. Se ƞ è il tasso di rendimento annuo, composto continuamente, osservato in un periodo di T anni, l’equazione (2.25) mostra che:

(36)

34

ƞ 1ln

Pertanto, come mostra l’equazione (2.26), il valore atteso di ƞ è pari a /2.

Il motivo per cui il tasso di rendimento atteso composto continuamente risulta diverso da è sottile ma importante. Supponiamo di osservare un numero molto elevato di brevi intervalli di tempo, ciascuno di lunghezza ∆ . Sia il prezzo dell’azione alla fine dell’i-esimo intervallo e sia ∆ . In base alle nostre ipotesi circa il comportamento del prezzo dell’azione, la media dei tassi di rendimento osservati in ciascun intervallo è prossima a ∆ . In altri termini, la media dei ∆ / è prossima a ∆ . Tuttavia, il tasso di rendimento atteso nell’intero periodo osservato, espresso con un periodo di capitalizzazione pari a ∆ , è prossimo a piuttosto che a .

2.4 VOLATILITA’ STORICHE

La volatilità, , di un’azione misura la nostra incertezza circa i futuri tassi di rendimento del titolo. I valori tipici della volatilità delle azioni cadono nell’intervallo compreso tra il 15% e il 60% annuo.

L’equazione (2.26) suggerisce la seguente definizione di volatilità: la volatilità del prezzo di un’azione è la deviazione standard del tasso di rendimento, composto continuamente, fornito dal titolo in un periodo di un anno.

L’equazione (2.19) mostra che ∆ è uguale alla varianza del tasso di variazione, ∆ / , del prezzo di un’azione. Ne segue che √∆ è uguale alla deviazione standard del tasso di variazione del prezzo di un’azione.

L’equazione (2.19) mostra che la nostra incertezza circa il prezzo di un’azione, misurata dalla sua deviazione standard, cresce, almeno approssimativamente, con la radice quadrata del nostro orizzonte temporale.

Stima della volatilità in base ai dati storici

Per stimare la volatilità del prezzo di un’azione si può utilizzare la serie storica dei suoi tassi di variazione. Di solito, il prezzo di un’azione viene rilevato a intervalli di tempo fissi (ad esempio, ogni giorno, ogni settimana o ogni mese).

(37)

35 - 1 il numero di osservazioni;

- il prezzo dell’azione alla fine dell’i-esimo intervallo (i 0,1, … , - la lunghezza dell’intervallo in anni

e sia:

ln per i 1,2, … , .

La stima, s, della deviazione standard delle è:

1 1 da cui: 1 1 1 1

dove è la media delle .

In base all’equazione (2.22), la deviazione standard delle è √ . Pertanto, la variabile

s è una stima di √ . Ne segue che può essere stimato da , dove

L’errore standard di questa stima è approssimativamente pari a /√2 .

Scegliere un valore appropriato per n non è facile. Più dati si usano e maggiore è l’accuratezza. Tuttavia, cambia nel tempo e i dati troppo vecchi possono non essere rilevanti per prevedere il futuro. Un compromesso che sembra funzionare abbastanza bene è quello di utilizzare i prezzi di chiusura giornalieri degli ultimi 90-180 giorni. Una regola pratica che viene spesso adottata è quella di far corrispondere il periodo di tempo nel quale si misura la volatilità con il periodo di tempo al quale va applicata. Pertanto, se si tratta di valutare un’opzione a due anni si utilizzeranno due anni di dati storici.

Giorni di calendario e giorni lavorativi

Una questione importante riguarda l’unità di misura del tempo: volendo stimare la volatilità, occorre decidere se il tempo vada misurato in giorni di calendario o in giorni lavorativi. Le ricerche empiriche mostrano che la volatilità è molto più alta quando la borsa è aperta che non quando è chiusa.

(38)

36

Pertanto, i traders tendono a ignorare i giorni in cui la borsa è chiusa sia quando stimano la volatilità in base ai dati storici sia quando calcolano la vita residua delle opzioni. La volatilità annua viene calcolata dalla volatilità giornaliera in base alla seguente formula:

à à

In genere si suppone che i giorni lavorativi in un anno siano 252.

Anche la vita residua delle opzioni viene in genere calcolata utilizzando i giorni lavorativi piuttosto che quelli di calendario. Essa è espressa in T anni, dove:

2.5 CONCETTI SOTTOSTANTI IL MODELLO BLACK-SCHOLES-MERTON

L’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton è un’equazione che deve essere soddisfatta dal prezzo, f, di ogni derivato che dipende dal prezzo di un titolo che non paga dividendi.

Si forma un portafoglio privo di rischio contenente opzioni e azioni. In assenza di opportunità di arbitraggi, il tasso di rendimento del portafoglio deve essere pari al tasso d’interesse privo di rischio, r.

Il motivo per cui è possibile formare un portafoglio privo di rischio dipende dal fatto che il prezzo dell’azione e il prezzo dell’opzione sono entrambi influenzati dalla stessa fonte di incertezza: le variazioni del prezzo dell’azione. In ogni breve intervallo di tempo, il prezzo di una call è perfettamente correlato, in modo positivo, con il prezzo del titolo sottostante e il prezzo di una put è perfettamente correlato, in modo negativo, con il prezzo del titolo sottostante. In entrambi i casi, quando si forma un appropriato portafoglio di azioni e opzioni, il profitto o la perdita sulla posizione in titoli viene sempre compensato dalla perdita o dal profitto sulla posizione in opzioni, cosicchè il valore complessivo del portafoglio alla fine del breve intervallo di tempo risulta sempre noto con certezza.

C’è un’importante differenza tra l’analisi di Black-Scholes-Merton e l’analisi con il modello binomiale. In Black-Scholes-Merton, il portafoglio che viene formato è privo

(39)

37

di rischio solo per un periodo istantaneamente breve. Per restare privo di rischio deve essere continuamente aggiustato o “ribilanciato” (rebalanced).

Il tasso di rendimento di un portafoglio privo di rischio, in ogni istante di tempo, deve essere pari al tasso d’interesse privo di rischio. E’ questo l’elemento chiave che ha consentito a Black, Scholes e Merton di ottenere le loro formule di valutazione.

Ipotesi

Le ipotesi sottostanti l’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton sono:

1. il prezzo dell’azione segue il processo visto nel paragrafo 2.1 con e costanti; 2. le vendite allo scoperto sono consentite e non esistono restrizioni all’utilizzo dei

relativi proventi;

3. non esistono costi di transazione o tasse. I titoli sono perfettamente divisibili; 4. l’azione non paga dividendi durante la vita del derivato;

5. non esistono opportunità di arbitraggio prive di rischio; 6. i titoli vengono negoziati continuamente;

7. il tasso d’interesse a breve privo di rischio, r, è uguale per tutte le scadenze. Alcune ipotesi possono essere mitigate. Ad esempio, e r possono essere funzioni note di t. Possiamo anche ipotizzare che i tassi d’interesse siano stocastici, ammesso che la distribuzione del prezzo dell’azione alla scadenza dell’opzione sia log-normale.

2.6 EQUAZIONE DIFFERENZIALE FONDAMENTALE

Supponiamo che il prezzo spot, S, dell’azione segua il processo stocastico seguito dal prezzo di un titolo che non paga dividendi.

(2.27)

Sia f il prezzo di una call o di un altro derivato che dipende da S. La variabile f deve essere una certa funzione di S e t. Pertanto, si ha:

(2.28)

(40)

38

∆ ∆ ∆ (2.29) e

∆ ∆ ∆ (2.30)

dove ∆ e ∆ sono le variazioni di f e S in un piccolo intervallo di tempo, ∆ .

I processi di Wiener da cui è influenzata la dinamica di f e S sono gli stessi. Ne segue che, scegliendo un portafoglio composto dall’azione e dal derivato, il processo di Wiener può essere eliminato.

Il portafoglio appropriato è così composto:

1: derivato : azione

Il possessore di questo portafoglio è corto di un derivato e lungo di una quantità di azioni pari a / . Sia il valore del portafoglio. Per definizione si ha

S (2.31)

La variazione, ∆ , del valore del portafoglio nell’intervallo di tempo ∆ è data da

∆ ∆ ∆S (2.32)

Sostituendo le equazioni (2.29) e (2.30) nell’equazione (2.32), si ottiene

∆ ∆ (2.33)

Dato che in quest’equazione non figura il termine ∆ , il portafoglio deve essere privo di rischio durante l’intervallo di tempo ∆ .

Le ipotesi elencate precedentemente implicano che il portafoglio deve rendere nel prossimo istante di tempo lo stesso tasso di rendimento dei titoli a breve privi di rischio. Se rendesse di più (o di meno), gli arbitraggisti potrebbero far profitti vendendo (comprando) titoli privi di rischio e acquistando (vendendo) il portafoglio. Ne segue che

(41)

39

dove r è il tasso d’interesse privo di rischio. Sostituendo nella (2.34) i valori di Π e ∆ riportati nelle equazioni (2.31) e (2.33), si ottiene

1

2 ∆ ∆

cosicché

1 2

Questa è l’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton. Ha molte soluzioni, una per ogni derivato che dipende da S. La soluzione particolare che si ottiene risolvendo l’equazione dipende dalle “condizioni al contorno” (boundary conditions). Queste condizioni definiscono il valore del derivato per valori estremi di S e t.

Nel caso di una call europea, la principale condizione al contorno è

, 0 quando

Nel caso di una put europea è

, 0 quando

Questo portafoglio non è sempre privo di rischio. Lo è solo per un periodo di tempo infinitesimo. Quando S e t cambiano, anche ⁄ cambia. Pertanto, per mantenere il portafoglio privo di rischio, è necessario aggiustare continuamente le quote del portafoglio rappresentate dal derivato e dall’azione sottostante.

2.7 VALUTAZIONE NEUTRALE VERSO IL RISCHIO

Il principio della valutazione neutrale verso il rischio trae origine da una proprietà fondamentale dell’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton: in quest’equazione non figurano variabili che sono influenzate dalla propensione al rischio degli investitori. Le variabili che appaiono nell’equazione sono il prezzo corrente dell’azione, il tempo, la volatilità dell’azione e il tasso d’interesse privo di rischio. Tutte queste variabili non dipendono dalla propensione al rischio degli investitori.

(42)

40

L’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton non sarebbe indipendente dalla propensione al rischio degli investitori se contenesse il tasso di rendimento atteso, , dell’azione. Il livello di dipende dalla propensione al rischio. Più elevata è l’avversione al rischio degli investitori, più elevato è il tasso di rendimento atteso di ogni titolo. Fortunatamente, nel ricavare l’equazione, i termini in si elidono tra di loro. Il fatto che l’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton sia indipendente dalla propensione al rischio degli investitori ci consente di utilizzare un’ingegnosa argomentazione. Se è vero che la propensione al rischio non figura nell’equazione differenziale, ne segue che essa non può influenzarne la soluzione. Pertanto, al fine di determinare il valore corrente, f, di un derivato, possiamo fare qualsiasi ipotesi circa la propensione al rischio degli investitori. In particolare, possiamo semplicemente ipotizzare che tutti gli investitori siano neutrali verso il rischio.

In un mondo di investitori neutrali verso il rischio, il tasso di rendimento atteso di tutti i titoli è uguale al tasso d’interesse privo di rischio, r. Gli investitori non richiedono alcun premio per assumersi dei rischi. E’ anche vero che, in un mondo neutrale verso il rischio, il valore attuale di ogni futuro pagamento va calcolato attualizzandone il valore atteso in base al tasso d’interesse privo di rischio. Pertanto, l’ipotesi che il mondo sia neutrale verso il rischio semplifica notevolmente l’analisi dei derivati.

Consideriamo un derivato che offre un certo payoff al tempo T. Applicando il principio della valutazione neutrale verso il rischio, lo possiamo così valutare:

1. supponiamo che il tasso di rendimento atteso dell’attività sottostante sia pari al tasso d’interesse privo di rischio, r (si suppone cioè che ;

2. calcoliamo il valore atteso del derivato al tempo T;

3. attualizziamo il valore atteso in base al tasso d’interesse privo di rischio

L’ipotesi di neutralità verso il rischio rappresenta solo un espediente tecnico per ottenere le soluzioni dell’equazione differenziale di Black-Scholes-Merton. Le soluzioni ottenute sono valide comunque e non solo nel caso in cui gli investitori siano neutrali verso il rischio. Quando passiamo da un mondo neutrale verso il rischio a un mondo di avversione al rischio, due sono le cose che succedono. Cambia il tasso di rendimento atteso dell’azione e cambia il tasso d’interesse per attualizzare il valore finale dei derivati. Questi due effetti si compensano esattamente tra di loro.

(43)

41 2.8 FORMULE BLACK-SCHOLES-MERTON

Le formule Black-Scholes-Merton per la valutazione di calls e puts europee su titoli che non pagano dividendi sono le seguenti:

(2.35) (2.36) dove ln ⁄ ⁄2 √ ln ⁄ ⁄2 √ √

L’espressione N(x) indica la funzione di distribuzione di una variabile normale con media nulla e deviazione standard pari a 1, ossia la probabilità che una variabile normale standardizzata assuma un valore inferiore a x (Figura 2.5). Come al solito, è il prezzo dell’azione al tempo zero, K è il prezzo d’esercizio, r è il tasso d’interesse privo di rischio (composto continuamente), è la volatilità del prezzo dell’azione e T è la vita residua dell’opzione.

Figura 2.5: La funzione N(x) misura l’area tratteggiata.

Un modo per ricavare le formule di Black, Scholes e Merton è quello di risolvere l’equazione differenziale soggetta alle condizioni al contorno menzionate nel paragrafo 2.6. Un altro modo è quello di ricavarle in base al principio della valutazione neutrale verso il rischio.

(44)

42

Significato di N( ) e N( )

L’espressione N( ) ha un significato molto semplice. Rappresenta la probabilità, in un mondo neutrale verso il rischio, che la call venga esercitata.

L’espressione N( ) non è altrettanto semplice da interpretare. Il termine N( ) è il valore atteso, in un mondo neutrale verso il rischio, di una variabile che è pari a se e che è pari a zero altrimenti. Lo strike K viene pagato solo se e la probabilità che ciò accada è pari a N( ).

Pertanto , il valore atteso della call in un mondo neutrale verso il rischio è pari a

Attualizzando il valore atteso in base al tasso d’interesse privo di rischio, si ottiene la formula di Black-Scholes-Merton per il valore corrente della call:

2.9 VOLATILITA’ IMPLICITE

L’unico parametro delle formule Black-Scholes-Merton che non può essere osservato direttamente è la volatilità. La volatilità può essere stimata in base alla serie storica dei prezzi dell’azione. C’è un altro approccio che utilizza la cosiddetta “volatilità implicita” (implied volatility). Si tratta della volatilità implicita nel prezzo di mercato delle opzioni.

Le volatilità implicite nei prezzi delle opzioni possono essere utilizzate per misurare le opinioni del mercato circa la volatilità attesa di un certo titolo. Mentre le volatilità storiche sono misure “rivolte al passato” (backward looking), le volatilità implicite sono misure “rivolte al futuro” (forward looking). Spesso i traders quotano le volatilità implicite piuttosto che i prezzi delle opzioni. Si tratta di una convenzione utile, dato che le volatilità implicite sono meno variabili dei prezzi delle opzioni. Le volatilità implicite delle opzioni più attivamente negoziate vengono utilizzate dai traders per calcolare le volatilità implicite appropriate per le altre opzioni.

(45)

43

3. ALBERI BINOMIALI E FORMULA BLACK-SCHOLES-MERTON

Si può dimostrare che il modello binomiale converge verso il modello Black-Scholes-Merton col diminuire della lunghezza degli intervalli.

Uno dei modi per ricavare la formula Black-Scholes-Merton per la valutazione delle opzioni europee su azioni che non pagano dividendi è quello di far tendere all’infinito il numero degli stadi di un albero binomiale.

Supponiamo che, per valutare una call europea con prezzo d’esercizio K e scadenza T, venga utilizzato un albero binomiale a n stadi. La lunghezza di ogni stadio è pari a T/n. Il prezzo finale dell’azione dopo j rialzi e ribassi è

dove:

- è il prezzo iniziale dell’azione

- u è il fattore di capitalizzazione in caso di rialzo - d è il fattore di capitalizzazione in caso di ribasso

Ne segue che, dopo j rialzi, il valore finale della call europea è pari a

max , 0

In base alle proprietà della distribuzione binomiale, la probabilità di j rialzi e ribassi è pari a

!

! ! 1

Pertanto, il valore atteso della call alla scadenza è pari a

!

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