• Non ci sono risultati.

Il captatore informatico: un vuoto legislativo da colmare

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il captatore informatico: un vuoto legislativo da colmare"

Copied!
104
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

Introduzione 3 Capitolo I La prova atipica 1. Premessa 5 2. Aspetti generali 6

3. Nozioni e profili definitori 10

3.1. L’infungibilità dei mezzi di prova 12

3.2. Una categoria residuale: l’art 189 c.p.p. con una portata

pratica eccezionale 14

3.3. L’orientamento della giurisprudenza 15

4. L’estensione dell’art. 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della

prova 17

5. L’atipicità riferita alla prova scientifica e la prova scientifica

“nuova” o “controversa” 19

6. I criteri di ammissione e le relative garanzie 23 7. I limiti derivanti dai principi costituzionali 26 8. Le modalità di assunzione del mezzo istruttorio non

disciplinato dalla legge 28

Capitolo II

La prova informatica nel processo penale

1. Premessa 31

2. Prova scientifica e prova digitale 33

3. La fragilità della prova informatica 36

4. Le norme processuali 37

(2)

6. La prova informatica nel dibattimento 45

7. Potenzialità probatorie e conclusioni 50

Capitolo III

In tema di captatore informatico

1. Premessa 52

2. Il punto di vista tecnico operativo 54

3. C.d. online surveillance e c.d. online search 55

4. Le online searches nel panorama europeo 59

5. Verso il superamento della distinzione tra segretezza e

riservatezza 63

6. Il diritto fondamentale alla riservatezza informatica 66 7. Problemi di legittimità e limiti sull’utilizzo del

captatore informatico 68

7.1. Il caso “Virruso” 69

7.2. Il caso “Bisignani” 71

7.3. Il caso “Musumeci” 72

8. Le Sezioni Unite della Cassazione prendono posizione

in ordine alla legittimità dell’utilizzo del captatore informatico 74 9. Il difficile bilanciamento tra esigenze investigative e

tutela dei diritti fondamentali nel rispetto del principio di

proporzionalità 87

10. Dibattito politico e parlamentare: elaborazione di una nuova proposta di legge circa la regolamentazione dell’utilizzo

del captatore informatico 91

Osservazioni conclusive 96

(3)

INTRODUZIONE

L’era in cui ci troviamo è da considerarsi digitale: la tecnologia, ormai utilizzata per ogni aspetto della vita quotidiana, va a coinvolgere anche il diritto.  In ambito penale sostanziale si sono andate a creare nuove figure delittuose e si è riscontrata una crescita sempre più frequente con cui gli illeciti comuni sono consumati con lo strumento informatico. In campo processuale1, un dato di comune esperienza, è l’impiego, sempre più diffuso, di mezzi di indagine ad elevato contenuto tecnologico e scientifico; vi rientrano le intercettazioni di comunicazioni ed altri strumenti di non facile classificazione. In merito si sono posti problemi giuridici, al quale il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di porre rimedio. Si presentano, in tal senso, numerose problematiche legate al connubio inscindibile tra una notevole efficacia investigativa ed una rilevante incidenza sui diritti di libertà sanciti nella carta costituzionale, con una serie di difficoltà legate alle indagini informatiche concernenti i reati comuni commessi occasionalmente con lo strumento informatico, oppure i casi, sempre più consistenti, nei quali le prove dell’illecito possono essere ricavate da dispositivi digitali, oramai posseduti dalla quasi totalità della popolazione. Alla luce di quanto detto appare evidente, quindi, l’utilità investigativa di strumenti ad alto contenuto tecnologico. Nel presente elaborato verrà analizzato, sotto vari aspetti, il tema dell’utilizzo del “trojan di Stato”. Questa è senza dubbio una questione molto delicata perché, se da un lato questi nuovi mezzi di indagine consentano agli inquirenti di ritracciare con maggiore facilità elementi di prova utili ai loro fini, dall’altro varie sono le problematiche che suscitano (pensiamo alla loro eccessiva invasività nella vita privata della persona sottoposta ad indagini). Prima di                                                                                                                          

1 C. MARINELLI, Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della

(4)

analizzare il tema preso in parola è stato opportuno affrontare quello della prova atipica e la sua norma di riferimento, ovvero l’art. 189 c.p.p., rubricato “Prove non disciplinate dalla legge”. Detta disposizione è stata più volte citata dalla giurisprudenza, in varie sentenze che successivamente andremo nel dettaglio ad analizzare, per consentire di stare al passo con il progresso scientifico e per far entrare questi peculiari sistemi operativi all’interno del processo penale. Approfondiremo una delle prime sentenze sul tema – ovvero il c.d. “Caso Virruso”2 – fino ad arrivare alla recente sentenza delle Sezioni Unite3 in cui si va a consentire, limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, l’intercettazione di conversazioni e comunicazioni tra presenti, mediante l’istallazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili, anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati ed anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa. Come ben possiamo notare, molteplici sono le problematiche relative all’utilizzo di questo strumento così fortemente invasivo che occorre superare, senza dubbio, con interventi legislativi in merito. Si è tentato di farlo negli anni con una serie di iniziative parlamentari spesso infruttuose, fino a giungere al recente dibattito politico e parlamentare sul tema e all’elaborazione di una nuova proposta di legge circa la regolamentazione dell’utilizzo del c.d. trojan di Stato.4

                                                                                                                         

2 Cass. Sez. V, 14 ottobre 2009, Virruso, in Mass. Uff., n. 246955. 3 Corte Cass., SS. UU., 1.07.2016, n. 26889.

4 Proposta C.3762, 20.04.2016, Modifiche al codice di procedura penale e

alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in materia di investigazioni e sequestri relativi a dati e comunicazioni contenuti in sistemi informatici o telematici.

(5)

CAPITOLO I

LA PROVA ATIPICA

SOMMARIO: 1. Premessa; 2. Aspetti generali; 3. Nozioni e profili definitori; 3.1. L’infungibilità dei mezzi di prova; 3.2. Una categoria residuale: l’art 189 c.p.p. con una portata pratica eccezionale; 3.3. L’orientamento della giurisprudenza; 4. L’estensione dell’art. 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della prova; 5. L’atipicità riferita alla prova scientifica e la prova scientifica “nuova” o “controversa”; 6. I criteri di ammissione e le relative garanzie; 7. I limiti derivanti dai principi costituzionali; 8. Le modalità di assunzione del mezzo istruttorio non disciplinato dalla legge

1.Premessa

L’utilizzo dei raffinati prodotti e programmi informatici sono diventati parte dominante delle nostre vite quotidiane, fino al punto che appaia possibile tracciarle e ricostruirle sulla base delle nostre attività online. La forza dello sviluppo tecnologico in atto crea tra il mondo del diritto e quello dell’informatica una correlazione e dipendenza. Nuovi mezzi sono offerti agli inquirenti per lo svolgimento delle indagini e, tra questi, spicca l’uso di programmi informatici per la captazione di dati e per le intercettazioni: si tratta di programmi specializzati che prendono il nome di “trojan horse”. Il ricorso a detti nuovi sistemi operativi, da un lato, garantisce maggiori opportunità per riuscire a individuare elementi probatori utili, ma dall’altro, suscita perplessità circa la sua pervasività nella vita della persona indagata: vivono silenziosamente e ricostruiscono, in maniera autonoma e senza l’intervento di terzi, la vita dell’utente. L’utilizzo di detti supporti digitali all’interno del

(6)

procedimento penale ha reso sempre più delicati i confini tra fonti di prova tipiche, disciplinate dal legislatore nel Libro terzo del Titolo II del codice di procedura penale, e fonti di prova atipica ex art 189 c.p.p., cioè ammesse solo se rispettose dei presupposti previsti, nonostante non siano espressamente indicate dalla legge. Con queste ultime il legislatore cerca di dare spazio a quegli strumenti utili all’accertamento del fatto offerti dal progresso scientifico e tecnologico, non potendo essere determinati una volta per tutti dalla legge. In questo modo viene abbandonato il principio di tassatività dei mezzi di prova per avvicinarsi verso una controllata apertura del catalogo legale. Occorre, adesso, prima di andare ad affrontare il tema delicato del c.d. captatore informatico – o trojan di Stato – e la sua stretta correlazione con quella che è la prova non disciplinata dalla legge, tracciare le linee generali della prova atipica ex art. 189 c.p.p.

2. Aspetti generali

L’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ha riproposto al dibattito scientifico un tema tradizionale della processualistica: la ricerca della verità nel procedimento penale. Appare evidente la bontà dell’osservazione secondo cui l’impossibilità di raggiungere la verità assoluta, intesa come corrispondenza assoluta di una descrizione allo stato di cose del mondo reale, non contraddice l’idea del processo inteso come strumento volto all’accertamento della verità. Quando quest’ultima è conseguibile con un determinato procedimento tecnico, o quando ci si riferisca a procedimenti diversi da quelli giuridici, ovvero ai procedimenti desunti dal campo delle scienze esatte, se ne può parlare in termini relativi. Appare indiscutibile, quindi, l’affermazione secondo la quale l’idea di una verità assoluta può essere valida solo come limite al quale le conoscenze concrete tendono ad approssimarsi, anche se poi

(7)

non giungono mai ad identificarsi con essa. Alla luce di quanto detto possiamo essere certi che il tentativo di ricostruire lo scopo del processo in termini di accertamento della verità, può conciliare con la constatazione che il frutto della ricerca del giudice si fermi a gradi di approssimazione alla verità, più o meno elevati. L’importante è essere convinti che il processo deve tendere alla ricostruzione più esatta possibile dei fatti di causa. Pertanto il legislatore deve cercare di predisporre tecniche e procedimenti di accertamento per avvicinarsi il più possibile al vero. Se ci facciamo distogliere da tale prospettiva per constatare che le umane forze non consentono di accertare la reale esistenza delle cose, finiamo per scartare dagli scopi del processo quello dell’accertamento della verità, per ripiegare sull’idea che esso tenda ad altri fini, come quello della composizione delle liti o della pacificazione sociale. Nessuno nega che attraverso il processo civile si compongono le liti, o che con quello penale si possa giungere alla pacificazione sociale. Ma è altresì vero che il perseguimento di tali scopi deve essere connesso con quello dell’accertamento della verità; altrimenti, il processo, si presenterebbe solo come manifestazione di autorità, non di giustizia. Il problema della ricerca della verità processuale è stato studiato come rapporto tra verità giudiziale e funzione del processo. Questa impostazione è stata segnata dalla giurisprudenza costituzionale dei primi anni Novanta quando è andata a ribadire come il principio dell’accertamento della verità sia uno dei principali cardini regolatori del processo penale. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 255, del 3 giugno 1992, ha avuto modo di affrontare il tema in questione ed i termini di compatibilità con tale ricerca dell’impianto accusatorio del nuovo rito penale, andando a riaffermare quello che è il fine primario e ineludibile del processo penale: la ricerca della verità.5 Se l’art. 2 Cost. obbliga la Repubblica a garantire i diritti inviolabili dell’uomo,                                                                                                                          

5 A. LARONGA, Le prove atipiche nel processo penale, Padova, CEDAM,

(8)

presupposto di tale garanzia in sede giurisdizionale è un accertamento dei fatti il più possibile aderente alla realtà storica, come – peraltro – non ha disconosciuto neppure il legislatore delegante con la direttiva n. 73, conservando al giudice i poteri utili alla scoperta della verità. Secondo il giudice costituzionale, quindi, i principi dell’oralità e dell’immediatezza dibattimentale nell’assunzione delle prove non possono avere valore assoluto nel nuovo sistema processuale; costituiscono criteri guida ai quali la disciplina positiva può conformarsi soltanto nella misura in cui il loro rispetto non sia di ostacolo all’avvicinamento verso il vero. Detti principi devono essere, pertanto, contemperati con quello di non dispersione dei mezzi di prova. Anche la Corte di Cassazione ha seguito lo stesso indirizzo ed ha affermato che, ad un ordinamento improntato al principio di legalità, nonché al connesso principio di obbligatorietà dell’azione penale, non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino irragionevolmente il processo di accertamento del fatto storico, per arrivare ad una giusta decisione.6 Per il raggiungimento di questa funzione il legislatore ha previsto sia mezzi di prova tipici che atipici, ossia non disciplinati dalla legge. Il codice, quindi, non imponendo la tassatività dei mezzi di prova, consente di assumere prove atipiche; ciò grazie al principio accolto dall’art. 189 c.p.p.7 della libertà dei mezzi di prova. Se la ricerca della verità è l’obiettivo del processo penale, sembra essere corretto ritenere che tutti gli elementi di conoscenza dei fatti rilevanti per la decisione possano essere utilizzati dal giudice per la formazione del proprio convincimento, anche laddove non rientrano nei modelli probatori espressamente regolati. Tra le varie preoccupazioni in merito, si ha quella per la quale il dilagare incontrollato di tale tendenza                                                                                                                          

6 Corte. Cass., sentenza del 21/4/1994, Tigani ed altri, 1994, 522.

7 Ai sensi dell’art. 189 c.p.p. Quando è richiesta una prova non disciplinata

dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice provvede all’ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

(9)

finisca per incidere negativamente sui diritti e le garanzie dell’imputato, arrivando ad elidere del tutto le regole relative alla disciplina della prova. Il codice vigente ha cercato di risolvere il problema ed ha operato una scelta intermedia tra libertà e tassatività dei mezzi di prova. Riconosce, da un lato, la possibilità di introdurre nel processo prove non disciplinate dalla legge – non chiudendo la porta ai continui ritrovati tecnologici che aprono nuove prospettive alle iniziative investigative – e, dall’altro, va a fissare per legge le condizioni per la loro ammissibilità dentro il processo. Cerca di prevedere, quindi, che l’ingresso della prova atipica avvenga sulla base di un controllo – da parte del giudice – in ordine alla sussistenza dei requisiti sostanziali e formali che permettono l’accesso di tali prove “atipiche” o “innominate”. Più precisamente, quando si abbia a che fare con una prova non riconducibile ad alcuna delle figure legislativamente disciplinate, sarà il giudice a decidere se la stessa possa entrare nel processo, sulla base di una verifica subordinata a due distinte e concorrenti valutazioni: deve risultare idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudicante la libertà morale della persona. Dopo di che, qualora se ne riconosca l’ammissibilità, sarà compito del giudice definire concretamente le modalità della sua assunzione, dopo aver concordato con le parti le relative cadenze procedurali. Premesso tutto ciò, innanzitutto, va chiarita la nozione di prova atipica, disciplinata e legittimata dall’art. 189 c.p.p. Si fa riferimento, sostanzialmente, ad entità concettuali distinte: al mezzo di conoscenza diverso da quelli disciplinati dalla legge e all’attività volta a sottoporre la prova all’attenzione del giudice. È atipica un’attività non disciplinata dalla legge o che si discosta da quella disciplinata. La dottrina8 è arrivata ad interpretare l’art. 189 c.p.p. in modo restrittivo, precisando che l’atipicità a cui si riferisce la norma va intesa con riferimento ai nuovi mezzi di indagine imposti dal progresso tecnico e riguarda il mezzo di prova o tutt’al più il mezzo di ricerca della prova:                                                                                                                          

(10)

escludendo l’utilizzo del termine per delineare procedimenti di acquisizione non previsti dal diritto, da ritenersi sempre inammissibili. Il catalogo delle prove può essere superato, secondo l’interpretazione prevalente tra gli studiosi, esclusivamente per ciò che riguarda eventuali mezzi istruttori non previsti dal diritto e non anche con riferimento alla possibilità di inserire nuove forme di acquisizione probatoria o deroghe a quelle già esistenti. Pertanto, si è reso impossibile registrare come atipiche prove illegittimamente acquisite o illegittimamente convertite. In definitiva, la dottrina ha posto una demarcazione tra quella che è la prova atipica, cioè il mezzo di prova nuovo, e la prova illecita o illegittimamente acquista, cioè la prova, tipica o atipica che sia, acquisita in deroga alle regole che presiedono alla sua acquisizione. Si è, quindi, avuto timore che attraverso la invocazione della libertà di prova si potesse recuperare, sotto la veste di prove atipiche, quelle acquisite in modo illegittimo. E ciò in contrasto con l’affermazione del principio di legalità della prova – uno dei punti di novità del codice di procedura penale del 1988 – in base al quale la prova, tipica o atipica, deve essere acquisita nel rispetto dei limiti di ammissibilità e di assunzione.

3. Nozioni e profili definitori

Una volta evidenziato che il codice di rito penale attuale consente il ricorso ai mezzi di prova atipici occorre dettare le sue nozioni e i suoi profili definitori. È l’art. 189 c.p.p. a prevedere l’uso di prove non disciplinate dalla legge all’interno del processo. Tuttavia, andando ad analizzare il senso letterale della “prova atipica”9 – ovvero prova diversa                                                                                                                          

9 Secondo G.F. RICCI, op. cit., p.41, In senso meramente letterale, prova

atipica significa ‘diversa’ dai tipi dei modelli legali previsti dal codice. Tale definizione è pero ovviamente generica e vale solo per un primo approccio al problema. Se infatti si approfondisce l’indagine cominciano ad emergere

(11)

dai modelli legali previsti dalla legge – ci accorgiamo di quanto sia generica detta nozione, tanto da essere interpretata in tre diverse accezioni. Nel primo senso, è atipica la prova c.d. “innominata”: si può classificare atipico il mezzo di prova che non è disciplinato dalla legge e si riferisce ad una fonte del convincimento giudiziale che non è stata prevista perché imprevedibile. Oppure il mezzo che consente di ottenere un risultato diverso da quelli perseguibili mediante i mezzi di prova tipici. In questo caso, l’atipicità consiste nel risultato e non nelle modalità di assunzione.

In un secondo significato, è atipica la prova c.d. “irrituale”: il mezzo di prova che, pur non rientrando nel catalogo legale, si utilizza per ottenere elementi probatori tipici. Si tratta di quella prova che si svolge con modalità diverse da quelle previste da un mezzo tipico. Qui la atipicità consiste nella diversa modalità di svolgimento.

Infine, è atipica la prova c.d. “anomala”: un mezzo di prova tipico utilizzato per acquisire elementi alla cui formazione è preordinato un altro mezzo di prova, esso pure tipico. La atipicità in questo caso consiste nell’usare un mezzo di prova, che persegue un determinato risultato, per ottenere il risultato di un diverso mezzo di prova, esso pure tipico.10

                                                                                                                         

i primi dubbi, poiché appare subito chiaro come il significato del termine ‘prova atipica’ si possa prestare a definire due realtà abbastanza diverse. Esso ha infatti un significato che non sarebbe errato chiamare ibrido. Per un verso la parola è infatti sinonimo di prova innominata, cioè di una prova non prevista dalla legge. Per altro verso però, essa può prestarsi ad indicare anche deviazioni da uno schema probatorio già esistente, quando non è riferita al mezzo di prova, ma al meccanismo di assunzione (e nessuno potrebbe negare che l’uso del termine ‘atipico’ riferito alla prova, possa prestarsi ad indicare anche eventuali deviazioni dal procedimento acquisitivo di prove previste dalla legge).

10AA.VV., V. BOZIO, La prova penale, a cura di P. FERRUA, E.

(12)

3.1. L’infungibilità dei mezzi di prova

Se non si pongono questioni in ordine all’ammissibilità delle prove innominate, sempre che ricorrano i requisiti ex art. 189 c.p.p., per le prove irrituali ed anomale la dottrina ritiene che esse non possano costituire il mezzo per aggirare le garanzie predisposte dalla legge nel disciplinare i mezzi di prova tipici. In particolare è andata a criticare la prassi di ricondurre nell’operatività dell’articolo 189 c.p.p. le prove dirette a conseguire un risultato probatorio tipico, assunte con le modalità corrispondenti a quelle di un altro mezzo di prova. Tale indirizzo giurisprudenziale si è espresso in materia di ricognizioni atipiche, cioè di quelle forme di riconoscimenti di persone o di cose non assunte secondo le regole previste dagli artt. 231 e ss. c.p.p., ma con la testimonianza dell’autore dell’atto ricognitivo.11 L’art. 189 c.p.p., si regge, secondo svariate voci dottrinali12, sulla legalità interna al sistema dei mezzi di prova; occorre evitare che il mezzo di prova venga svuotato del suo nucleo di disciplina caratterizzante e dobbiamo cercare di arrivare al medesimo risultato facendo leva su di un’apparente fungibilità fra mezzi di prova che presentano note comuni ma che proprio per questo vanno tra loro distinti. La prova atipica non va confusa con quella “anomala”, ovvero quella disciplinata dalla legge ma                                                                                                                          

11 Cass. 16.7.1999, C.E.D. Cass., n. 214312: L’individuazione dell’autore del

reato è istituto diverso e autonomo rispetto alla ricognizione formale prevista dall’art. 213 e seg. cod. proc. pen., e non è, quindi, soggetto alle forme stabilite per quest’ultima; in particolare esso è inquadrabile tra le prove non disciplinate dalla legge, previste dall’art. 189 cod. proc. pen., e trova il suo paradigma nella prova testimoniale proveniente dalla parte offesa o da altri che abbiano accertato l’identità personale dell’imputato.

12 T. RAFARACI, Ricognizione informale dell’imputato e pretesa fungibile

delle forme probatorie, in Cass. pen., 1998, p. 1743: l’art. 189 c.p.p., lungi dal prestarsi a tollerare il fenomeno della prova acquisita irritualmente rispetto al suo modello normativo e cioè contra legem, si regge al contrario, proprio sulla legalità interna al sistema dei mezzi di prova, dovendosi evitare tanto che il mezzo di prova venga svuotato senz’altro del suo nucleo di disciplina caratterizzante, quanto che al medesimo risultato si pervenga, più surrettiziamente […] facendo leva su d un’apparente fungibilità fra mezzi di prova che presentano note comuni ma che proprio per questo vanno tra loro ancor più attentamente distinti.

(13)

utilizzata per fini non solo diversi da quelli che le sono propri, ma altresì caratteristici di altra prova tipica. Se, infatti, è certo che il giudice può assumere mezzi di prova non disciplinati, è altrettanto certo che al giudice non è consentito compiere deviazioni dai modelli normativi dei diversi procedimenti probatori13. La “prova non disciplinata” è la prova nuova o, al più, la prova che pur perseguendo un risultato probatorio corrispondente a quello di un modello tipico si formi con modalità diverse da quelle previste dalla legge e non corrispondenti a quelle di un altro mezzo tipico. In altre parole, è la prova che si costituisce secondo un iter di assunzione che si pone non in violazione, ma al di fuori dal campo di applicazione delle norme che disciplinano la materia. Al contrario, non è possibile raggiungere un risultato probatorio tipico con le forme previste per un altro mezzo nominato: cioè non ci si può servire della disciplina di una prova allorché ricorrano gli estremi identificativi di un’altra fattispecie probatoria. Sicché se il giudice è libero di ammettere “prove non disciplinate”, qualora voglia introdurre una prova non rispettando le prescrizioni normative presenti nell’ordinamento, allora, in questo senso, deve essere riaffermato con forza il principio di tassatività delle prove. Non è paradossale sottolineare che proprio in virtù di quanto previsto dall’art. 189 c.p.p., se il modello probatorio sussiste, va escluso che si possano costruire figure “parallele” per eludere così la fattispecie posta legislativamente per quell’atto; dunque, va rispettato il divieto di fungibilità delle forme dei mezzi di prova. Occorre osservare l’ordine normativo che fa corrispondere ad ogni tipo di esigenza probatoria un particolare mezzo per soddisfarla. Infatti, quando la legge prevede un determinato procedimento di assunzione della prova a garanzia della genuinità e della pienezza della capacità dimostrativa della prova stessa, il rispetto di detto procedimento assuntivo si pone come condizione necessaria affinché lo strumento                                                                                                                          

13 Così A. CIAVOLA, Prova testimoniale e acquisizione per il suo tramite del

(14)

istruttorio possa valere come piena prova del fatto oggetto di dimostrazione14. È lo stesso legislatore – in queste ipotesi – che nel fissare le modalità di assunzione, formula ex ante un giudizio di utilità della prova, con il risultato che un dato mezzo di prova dovrà essere assunto solo se, e tutte le volte che, la fattispecie denoti i segni distintivi della funzione per la quale è stato designato. Se così non fosse, quel giudizio legislativo di utilità verrebbe meno e l’arbitrio giudiziale prenderebbe il posto delle garanzie dell’accertamento. Quindi, in caso di difformità dal catalogo legale, per individuare la prova irrituale occorre verificare se lo specifico elemento difforme vada a sostituire nello strumento tipizzato una componente tassativa. Questi profili normativi di tassatività dei mezzi probatori sono rinvenibili quando nella struttura legale tipica dei singoli mezzi probatori è stabilito un nesso funzionale necessario tra le sue componenti e precisamente tra la specie di elemento di prova da inserire nel processo e le fonti conoscitive a ciò preordinate dalla legge. In questi casi abbiamo detto nesso funzionale necessario, in quanto per acquisire una certa specie di elemento probatorio il mezzo probatorio per essa predisposto è infungibile con altro mezzo di prova. Si è, dunque, di fronte ad un profilo tassativo del modello legale tipico, cioè ad una disposizione inderogabile.

3.2. Una categoria residuale: l’art 189 c.p.p. con una portata pratica eccezionale

Nei pochi studi dottrinali dedicati all’argomento, la nozione di prova atipica è stata formulata in termini negativi; si tratterebbe di una prova non riconducibile, nemmeno ricorrendo all’analogia, ad alcuna di quelle disciplinate dagli artt. 194 e ss. c.p.p. L’art. 189 c.p.p., secondo questa tesi, regola una categoria giuridica residuale prevedendo che la prova                                                                                                                          

(15)

deve essere non disciplinata dalla legge. Si può ricorrere alla prova atipica solo ed esclusivamente laddove si accerti un’oggettiva impossibilità di ricondurre l’esperienza conoscitiva richiesta in una delle categorie disciplinate dal codice di rito. Questa impostazione finisce, in questo modo, per circoscrivere la portata pratica dell’art. 189 c.p.p. a casi del tutto eccezionali. L’attività delle parti, in definitiva, deve incanalarsi negli schemi predefiniti e solo quando essi risultino inadeguati sarà possibile esplorare altri mezzi per arricchire la conoscenza del giudice. Dal punto di vista pratico, in seguito ad una richiesta circa l’ammissibilità dello strumento conoscitivo atipico ex art. 189 c.p.p., occorrerà stabilire con sicurezza che tale mezzo non ricada in alcuna delle previsioni dettate dal legislatore, anche in via analogica, dovendosi altrimenti osservare la normativa, anche sanzionatoria, che il codice detta in questi casi. Ed esclusivamente nelle ipotesi residue il giudice potrà assumere la prova atipica, laddove risulti essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudichi la libertà morale della persona.15

3.3. L’orientamento della giurisprudenza

In giurisprudenza assistiamo alla frequente invocazione del principio di libertà delle forme dei mezzi di prova, per poter utilizzare qualsiasi elemento risultante rilevante per il convincimento del giudice. La giurisprudenza16 ha rilevato che la deroga rispetto agli schemi legali di acquisizione della prova, non dà luogo sic et simpliciter ad ipotesi di invalidità probatorie; poiché, al di fuori dei casi di inutilizzabilità e di nullità, essa è caratterizzata da mera irregolarità, vietata ai sensi dell’art.                                                                                                                          

15 A. LARONGA, op. cit., p. 17.

16 Cass. 1.7.1994, C.E.D. Cass, n. 198371; Cass. 19.3.1998, C.E.D. Cass., n.

(16)

124 c.p.p., ma non colpita da sanzione processuale. Atteso il testuale tenore dell’art. 191, comma 1, c.p.p., il quale sancisce l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, deve ritenersi che detta inutilizzabilità possa derivare, in difetto di specifica previsione, soltanto dalla illegittimità in sé della stessa, desumibile dalla norma o dal complesso di norme che la disciplinano, e non invece soltanto dal fatto che detta prova, in sé legittima, sia stata acquisita irritualmente. In ambito di prova atipica, la giurisprudenza, peraltro, si è in molteplici occasioni mostrata ostinata a distinguere quella non riconducibile ad alcune facenti parte del catalogo legale, da quella assunta nel processo in violazione delle regole codicistiche, finendo con il richiamarsi all’atipicità anche nella seconda ipotesi. Così la Corte di Cassazione, con una serie di pronunce, ha ammesso il ricorso ad un riconoscimento informale nel corso dell’udienza dibattimentale, negando che in tal modo si finisca per aggirare ed eludere la disciplina sulle ricognizioni di persone. La Suprema Corte, in tale decisione, ha negato che si possa invocare un principio di tassatività del mezzo probatorio, in forza del quale, nella specie, posta la esistenza di uno specifico mezzo probatorio costituito dalla ricognizione formale, gli effetti propri di quest’ultima non potrebbero essere perseguiti mediante altro strumento di natura diversa, come quello dell’esame testimoniale nel cui corso si dia luogo al riconoscimento diretto. Non vi è elemento che consente di affermare che il suddetto principio di tassatività sia stato recepito dal vigente codice di rito, ma anzi la presenza dell’art. 189 c.p.p., che prevede l’assunzione di prove non disciplinate dalla legge, appare dimostrativa del contrario. Sembra evidente, detto ciò, come questa prassi giudiziaria abbia inquadrato nell’ambito delle prove atipiche anche quegli elementi conoscitivi che presentano in concreto i segni distintivi di un mezzo di prova tipico (la ricognizione di persone), facendoli entrare nel dibattimento in violazione del procedimento acquisitivo previsto dagli artt. 231 e ss. c.p.p. Non mancano, però,

(17)

pronunce in senso contrario, relative agli atti atipici utilizzati per acquisire risultati identici o analoghi a quelli conseguibili con strumenti disciplinati dal codice di rito, raggirando le garanzie previste dalla legge per questi ultimi, le quali vanno, pertanto, a prevedere l’inutilizzabilità delle risultanze probatorie qualora ci si allontani dal paradigma legale.17

4. L’estensione dell’art. 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della prova

Il legislatore del 1988 ha collocato nel Libro III, Titolo I, la disciplina generale in tema di prove, distinguendo – per la prima volta – tra mezzi di prova (previsti nel Titolo II) e mezzi di ricerca della prova (previsti nel Titolo III). Il codice definisce “mezzi di ricerca della prova” le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni di comunicazioni. La differenza con i mezzi di prova è giustificata nella relazione al progetto preliminare nei seguenti termini: i mezzi di prova si caratterizzano per l’attitudine ad offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione. Al contrario, i mezzi di ricerca della prova non sono di per sé fonte di convincimento, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria. È possibile, sulla base di quanto esposto, evidenziare le differenze tra i due concetti. In primo luogo, l’elemento probatorio si forma con l’espletamento del mezzo di prova; ad esempio, il testimone racconta fatti che ha percepito. Viceversa, con il mezzo di ricerca della prova entra nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso; ad esempio, con la perquisizione si mira ad acquisire al procedimento una cosa pertinente al reato.

In secondo luogo, i mezzi di prova possono essere assunti solo davanti                                                                                                                          

(18)

al giudice nel dibattimento o nell’incidente probatorio; i mezzi di ricerca della prova possono essere disposti oltre che dal giudice, anche dal pubblico ministero e, in determinati casi, possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria.

In terzo luogo, i mezzi di ricerca della prova si basano, di regola, sul fattore “sorpresa” e, pertanto, non consentono il preventivo avviso al difensore dell’indagato quando sono compiuti nella fase delle indagini. Viceversa, i mezzi di prova sono assunti con la piena attuazione del contraddittorio per la formazione della prova, nel dibattimento o nell’incidente probatorio. 18

Alla luce di quanto detto, le distinzioni fatte pongono l’interrogativo circa l’applicazione della disciplina dell’art. 189 c.p.p. – silente sul punto - anche ai mezzi di ricerca della prova. La tematica raccoglie posizioni relativamente unitarie in dottrina che, pur con varie specificazioni, tendono ad avallare la soluzione positiva; quest’ultima risulta essere, inoltre, anche univocamente indiscussa dalla giurisprudenza, la quale, spingendosi ancora oltre, ha strutturato una categoria ricomprendente gli “atti di indagine atipici”, anche se, occorre pure rilevare come le soluzioni cui la stessa prassi approda non possano ritenersi esenti da critiche perché la atipicità del mezzo di ricerca della prova e dell’atto d’indagine rischia di violare i presidi posti dall’art. 189 c.p.p., e di mascherare l’introduzione nella piattaforma processuale di uno strumento del tutto illegittimo, quindi inammissibile e, comunque, inutilizzabile ai sensi dell’art. 191 c.p.p.19

                                                                                                                         

18 P. TONINI, Manuale di procedura penale, p. 383, Milano, Giuffré, 2016. 19 A. GAITO, La prova penale, Vol. I: Il sistema della prova, p. 270, Torino,

(19)

5. L’atipicità riferita alla prova scientifica e la prova scientifica “nuova” o “controversa”

Il tema della prova atipica è connesso con altro ben più complesso argomento, quello della “scientificità” della prova, riconoscendo all’art. 189 c.p.p. il ruolo di “norma cardine” per la regolamentazione della prova scientifica. Essa è contraddistinta da un dato comunemente accettato: richiede per il suo utilizzo il ricorso a conoscenze che vanno oltre la normale cultura dell’uomo medio. Quando per il giudice e/o le parti è necessario utilizzare queste tipologie di conoscenze si dice che la prova emerge dal fatto che colui che va a decidere fa ricorso, nell’accertamento dei facta probanda, a nozioni portate da un esperto che trascendono il patrimonio di conoscenze dell’uomo medio; questi va ad applicare regole di natura tecnico-scientifica. Seguendo l’influenza della dottrina processualcivilistica, possiamo distinguere due diverse modalità di impiego del contributo scientifico nel processo. Infatti, occorre discernere le ipotesi in cui l’esperto serve al giudice ed alle parti quale deducente, per valutare fatti già accertati con le prove aliunde acquisite, dalle ipotesi in cui egli è percipiente, con l’incarico di accertare i fatti ancora incerti e non provati. Nel primo caso, nessun nuovo dato fattuale viene portato alla conoscenza del giudicante, ma soltanto regole di esperienza tecnico-scientifiche che servono a valutare i fatti già aliunde provati, sia che l’esperto si limiti ad indicare tali regole al giudice, sia che le applichi egli stesso, formulando così la conclusione. Nella seconda ipotesi, gli si attribuisce il compito di svolgere indagini per accertare la verità o meno di uno degli enunciati fattuali integranti il thema probandum, non altrimenti provati. Il giudice, in questi casi, non si limita a trarre dal contributo tecnico-scientifico fornito dall’esperto criteri e parametri per valutare gli elementi di prova già ottenuti aliunde, ma se ne avvale per introdurre la nuova conoscenza di un fatto non diversamente comprovabile o non altrimenti facilmente comprovabile. Tale distinzione opera anche nel processo penale. La ratio dell’art. 189 c.p.p., secondo un’opinione comune, è da individuare nell’esigenza di

(20)

adattare il sistema probatorio e tecnologico. L’esperienza del processo penale ha posto molti esempi di impiego di mezzi di accertamento del fatto basati su criteri scientifici, offerti dall’incessante evolversi delle ricerche: vi sono fatti costituenti oggetto di prova suscettibili, per la loro natura, di rilevazione obiettiva unicamente per tramite di indagini strumentali che richiedono l’utilizzo di competenze scientifiche del tutto particolari (a titolo di esempio possiamo citare l’impronta genetica dell’individuo nel DNA-test). In questi casi, l’utilizzo di metodiche scientifiche risulta essere l’unico strumento conoscitivo possibile di fatti rilevanti che in nessun altro modo la parte sarebbe in grado di provare. È evidente che l’attività, lo strumento o la procedura con cui si ottiene la conoscenza del fatto, non sono disciplinate da norme processuali penali, ma sono desunte da altre scienze ovvero praticabili grazie al progresso della tecnica. Il problema della tipicità o atipicità della prova, in questo settore, è stato impostato distinguendo il momento della atipicità relativo alla metodica scientifica di accertamento del fatto, dall’altro aspetto del fenomeno probatorio, che riguarda il modo d’ingresso nel processo delle risultanze ottenute, che potrebbe essere quello della perizia e quindi di un mezzo di prova tipico. È possibile che l’accertamento dei fatti avvenga con metodiche desunte da scienze diverse dal diritto, come le tecniche scientifiche, la psicologia, la scienza delle comunicazioni, ecc. Che poi l’intervento di tali metodologie abbia bisogno di uno specifico strumento giuridico per far acquisire nel processo i risultati ottenuti è tutt’altro problema; tale strumento è solo il mezzo esteriore che consente l’ingresso della prova in giudizio; ciò non toglie che il risultato della stessa si sia realizzato con procedimenti non fissati dalla legge, ma desunti da altre scienze. L’accertamento del fatto, quindi, può non avvenire con modi e forme previste dal diritto, ma per mezzo di altre discipline che permettono di ricostruire quello stesso fatto per vie diverse da quelle che il diritto offre. Così inteso, l’art. 189 c.p.p., diventa il referente normativo di quelle prove – non previste dalla legge

(21)

processuale penale – caratterizzate dall’impiego di metodiche scientifiche di accertamento del fatto.20

Connessa a tale questione è l’ulteriore distinzione tra strumenti scientifico-tecnici “comuni” – già oggetto di una condivisa e consolidata esperienza nell’uso giudiziario – e strumenti scientifico-tecnici “nuovi o controversi”.21Il tema della “nuova prova scientifica” è stato oggetto, principalmente, di elaborazioni nell’ordinamento statunitense.22 Quando si parla di detto peculiare genus della prova scientifica si allude ad una particolare componente che interviene nell’operazione probatoria e che risulta essere estranea al catalogo legale in quanto appartenente, per sua natura, al patrimonio della scienza e della tecnica e all’incessante evolversi delle ricerche. Essa può essere designata come “strumento di prova” consistente nei principi della scienza teorica, nei metodi della scienza applicata, nelle tecnologie, nelle apparecchiature con cui questi corpi di conoscenza vengono impiegati per la ricostruzione processuale del fatto. Di essi ne abbiamo traccia con varie allusioni nella legge; si pensi alle tecniche e ai metodi cui fanno riferimento gli artt. 64 comma 2 e 188 comma 1 c.p.p. In dette locuzioni la legge non rimanda al campo della prova atipica, ma alle risorse conoscitive che l’attività processuale probatoria può attingere al bagaglio culturale scientifico-tecnico. Gli strumenti scientifico-tecnici che danno materia al tema della “nuova prova scientifica” sono connotati da varie particolarità; sono nuovi o controversi e il loro contenuto è di elevata specializzazione. Si pensi alla ricostruzione del fatto mediante l’utilizzo di un personal computer                                                                                                                          

20 A. LARONGA, op. cit., p. 18.

21 O. DOMINIONI, La prova penale scientifica, Milano, Giuffré, 2005, p.75. 22 O. DOMINIONI, op. cit., p.75: nell’ordinamento statunitense, dal leading

case Frye al Daubert e in tutta l’elaborazione successiva, quello della prova scientifica è essenzialmente avvertito come il problema delle risorse scientifico-tecniche nuove o controverse, che, come tali, non possono vantare un sedimentato collaudo da parte della comunità degli esperti cui appartengono né, come conseguenza di ciò, uno sperimentato uso giudiziario. […] Il problema, insomma, che ci si deve porre ultimamente, ai fini dell’ammissibilità, è come si possa apprezzare il valore probatorio di specie nuove o contestate di prova scientifica.

(22)

ovvero al metodo spettrografico di individuazione della voce, oppure alla stilometria quale tecnica di misurazione quantitativa dello stile impiegato dalle persone al fine dell’attribuzione di una dichiarazione scritta o orale ad una determinata persona. La natura nuova o controversa e l’elevato contenuto scientifico-tecnico pongono il problema di come parti e giudice ne possano dominare l’impiego nella fase di assunzione della prova e nella acquisizione dell’elemento di prova, nell’inferenza, da questo, del risultato di prova, nella determinazione della sua efficacia, nella decisione.

Occorre, adesso, porre al vaglio della nostra attenzione l’art. 189 c.p.p.; la norma si occupa della prova atipica, aprendo il catalogo legale alla, così definita, “atipicità temperata”. Da un lato, secondo l’opinione comune, la principale ratio della norma è di regolare l’ingresso nel processo della “nuova prova scientifica”; dall’altro, la norma è stata concepita nella relazione con il catalogo legale (“prova non disciplinata dalla legge”), quando, invece, si è visto, la “nuova prova scientifica” nulla ha a che vedere con la gittata normativa del catalogo legale. L’art. 189 c.p.p. va ricompreso con un’interpretazione analogica: come componenti tipiche dei mezzi di prova disciplinati nel catalogo possono essere sostituite da componenti atipiche, cioè nuove rispetto alla legge, a condizione che soddisfino i requisiti dettati per la prova atipica e i principi del sistema. Le “nuove prove scientifiche”, quindi, possono entrare nel processo in quanto su di esse, in fase di ammissione, si eserciti il vaglio del giudice delineato dall’art. 189 c.p.p. Inoltre, come sono nuove le componenti atipiche rispetto alla legge, sono nuovi anche gli strumenti probatori scientifico-tecnici rispetto all’esperienza giudiziaria. L’idoneità probatoria del nuovo strumento scientifico-tecnico deve essere vagliato, anzitutto, nella fase di ammissione, in chiave di idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti; il giudice – con il provvedimento positivo di ammissione – deve stabilire, inoltre, nel contraddittorio delle parti, le modalità di assunzione (eventualmente

(23)

atipiche) necessarie per il suo corretto e affidabile uso processuale. Alla luce di quanto detto, possiamo dunque affermare, la disciplina del procedimento probatorio relativo a mezzi qualificabili come “nuova prova scientifica” potrebbe ricavarsi dall’interpretazione analogica dell’art. 189 c.p.p.23

6. I criteri di ammissione e le relative garanzie

L’art. 189 c.p.p. consente al giudice di ammettere prove non disciplinate dalla legge, prevedendo, nel contempo, garanzie per tale ammissione, fissando limiti che ne circoscrivono il campo di azione.24 Ai sensi

dell’art. 189 c.p.p., il giudice può assumere una prova non disciplinata dalla legge se risulta essere “idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti” e “non pregiudica la libertà morale della persona”, sentendo “le parti sulle modalità di assunzione” nel momento in cui va ad ammetterla. Mentre i primi due requisiti attengono all’ an, con la conseguenza che il loro mancato rispetto rende la prova inesistente, il terzo requisito attiene al quomodo e, quindi, la prova ammessa in sua assenza è nulla ex art. 178 c.p.p., lett. c), se non viene sentita la difesa delle parti private, lett.                                                                                                                          

23 A. LARONGA, op. cit., p. 25.

24 G.F. RICCI, op. cit., p. 74, evidenzia quanto segue: l’ammissibilità delle

prove atipiche potrebbe forse apparire oggi scontata, se si pensa che ormai da alcuni anni molti dei più noti studiosi del processo civile danno praticamente per ammesso che il giudice, nella ricostruzione dei fatti, possa utilizzare anche prove diverse da quelle previste dalla legge. Si aggiunga inoltre una circostanza, della quale finora la dottrina non ha generalmente potuto tenere conto. Il codice di procedura penale del 1988, all’art. 189, ha espressamente ammesso l’impiego delle prove innominate. Anche gli ultimi baluardi in difesa del principio di tassatività dei mezzi di prova nel processo penale, rappresentati dall’autorevolezza della tesi del Leone e del Conso, sono stati superati dal dettato legislativo. Tutto ciò potrebbe effettivamente costituire l’espressione di una tendenza generale del nostro ordinamento, volta ad una massima apertura del catalogo delle prove.

(24)

b), se non viene sentito il pubblico ministero.25 Il primo requisito che l’art. 189 c.p.p. richiede, per l’ammissibilità del mezzo di prova non previsto dalla legge, è costituito dalla idoneità dello stesso ad assicurare l’accertamento dei fatti. Il giudice deve accertare in astratto che il mezzo di prova non previsto nel catalogo legale possa veramente offrire un contributo conoscitivo utile, non raggiungibile con uno dei mezzi di prova tipici, o comunque sia più affidabile di quanto conseguibile con una prova tipica. Detto requisito opera su un piano diverso rispetto a quello della “rilevanza” previsto nell’art. 190, 1° comma, c.p.p. Non si tratta dell’idoneità concreta del mezzo istruttorio a verificare l’oggetto della prova, ma della capacità intrinseca del mezzo di prova ad accertare i fatti, secondo una valutazione che prescinde dal caso concreto. Questo profilo assume maggior significato nei confronti della c.d. “prova scientifica”26, in relazione alla quale sorge il problema

dell’individuazione, da parte del giudice, dei parametri di controllo tecnico-scientifici, prima ancora che giuridici, per la valutazione dell’idoneità del mezzo richiesto. Il giudice, nel decidere se e quando servirsi della scienza, deve rendersi conto che essa può diventare una “cattiva maestra”27 per tre diverse ragioni ed in tre diverse circostanze:                                                                                                                          

25 AA.VV, V. BOZIO, op. cit., p. 66.

26 G.F. RICCI, op. cit., p. 108, nell’analizzare il tema della scientificità della

prova ne va a spiegare il significato, nei seguenti termini: Quando si parla di ‘scientificità’ della prova, il significato del termine può infatti essere vario. Si può parlare di ‘scientificità’ con riferimento al mezzo di prova, in quanto esso sia costruito sulla base di presumibili scienze esatte. In questa fattispecie può rientrare il […] caso della prova matematica. Un altro esempio potrebbe essere fornito da mezzi di ricerca derivati da scienze chimiche, fisiche, mediche, ecc. Un’ipotesi è offerta dalla prova ematologica, relativa alla ricerca della paternità. In presenza di prove di questo tipo, il risultato dell’indagine giudiziaria dovrebbe scaturire in modo pressoché automatico, con un margine molto limitato di errore. Spesso si parla di prova scientifica sotto un altro profilo. Non con riferimento al mezzo di prova, ma con riguardo al procedimento conoscitivo impiegato dal giudice per accertare i fatti, che viene sottratto a scelte puramente soggettive e che viene invece fondato su criteri di ragionamento basati su metodi gnoseologici derivati da una qualche scienza (logica, filosofia, sociologia, ecc.).

(25)

quando è cattiva scienza, in sé e per sé non attendibile e affidabile, quando è una buona scienza applicata male dallo scienziato e quando, pur essendo buona scienza correttamente applicata, è utilizzata in modo improprio dal giudice in sede di decisione. La scienza, quando è “cattiva maestra”, non dovrà essere ammessa come prova nel processo. Appare evidente che il compito di garantire l’introduzione nel processo delle prove scientifiche idonee ad assicurare l’accertamento dei fatti spetterà al giudice che eserciterà il sindacato ammissivo sulla base di criteri di natura tecnico-scientifica, non giuridica. Ciò che gli è richiesto non è il controllo sull’attendibilità dei risultati specifici della prova scientifica, bensì la verifica preliminare della validità dei metodi che essa impiega. La scientificità della prova e i metodi per controllarla non sono più monopolio dell’esperto, ma, anzi, sono le nozioni e i metodi degli esperti ad essere oggetto di un controllo preliminare che può solo essere effettuato dal giudice, oltre che dai difensori. La necessità del preventivo vaglio scientifico da parte del giudice, fa emergere il limite più evidente all’uso della prova scientifica. L’esercizio del sindacato ammissivo ex art. 189 c.p.p., postula un bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche che il giudice solitamente non possiede. Ed allora, appare corretta l’opinione di chi ritiene che in tema di prova scientifica, l’unico efficiente di controllo può venire dal contraddittorio delle parti attraverso i rispettivi consulenti tecnici.

L’ammissibilità della prova non disciplinata dalla legge è subordinata al rispetto di un secondo limite espressamente previsto dall’art. 189 c.p.p., costituito dalla non lesività della libertà morale della persona. Viene riprodotta una regola di esclusione applicabile a qualsiasi mezzo probatorio. È evidente che si tratti dell’applicazione del principio generale contenuto dall’art. 188 c.p.p., ai sensi del quale, infatti, non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di                                                                                                                          

(26)

autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. L’art. 189 c.p.p. non richiede che la prova atipica arrechi un’offesa concreta alla libertà morale della persona, basta semplicemente che vi sia mero pericolo che ciò accada. Se uno strumento di prova atipico, comunque idoneo all’accertamento dei fatti, risulti potenzialmente pregiudizievole per la libertà morale e di autodeterminazione del soggetto, ne sarà esclusa l’ammissibilità persino qualora vi sia il consenso della parte interessata, che potrà solamente negare l’illiceità del comportamento tenuto ex art. 613 c.p., ma non sanerebbe la sanzione di inutilizzabilità degli esiti ex art. 191 c.p.p. Nonostante l’art. 189 c.p.p. non faccia esplicito riferimento alla tutela della libertà fisica della persona, possiamo affermare che in presenza di un’eventuale prova atipica che si presentasse lesiva di tale sfera soggettiva risulterebbe inammissibile già ex art. 13 e 32 Cost., senza occorrere un espresso divieto processuale.28

7. I limiti derivanti dai principi costituzionali

L’art. 189 c.p.p. - disposizione generica - non va ad esaurire l’ambito dei limiti, di ordine sostanziale, cui appare subordinata l’ammissibilità della prova non disciplinata dalla legge. Infatti, si aggiungono, ai limiti posti dal codice di rito, ulteriori regole di esclusione probatoria determinabili da norme sovraordinate poste a garanzia dei diritti inviolabili della persona29. Le norme costituzionalmente rilevanti, in                                                                                                                          

28 A. LARONGA, op. cit., p. 33.

29 G.F. RICCI, op. cit., p. 460, Questo secondo tipo di regole assume massima

rilevanza soprattutto nella materia delle prove atipiche, per le quali la mancata previsione legislativa e l’assenza di regole codificate possono essere causa di gravi deviazioni nell’elaborazione del giudizio di fatto. Per tale motivo l’analisi delle regole nell’ambito delle quali deve svolgersi l’assunzione e la valutazione delle prove atipiche, assume un’importanza che non può essere trascurata.

(27)

aperto scontro con l’evoluzione degli strumenti investigativi, sono quelle riguardanti la libertà della persona (ai sensi dell’art. 13 Cost.), l’inviolabilità del domicilio (ai sensi dell’art. 14 Cost.) e la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (ai sensi dell’art. 15 Cost.). Pertanto, si va ad attribuire al giudice il compito di impedire l’uso di prove con simili rischi, attingendo dai principi costituzionali i divieti di ammissibilità della prova atipica. Quindi, il suo compito sarà quello di valutare se lo strumento atipico sia lesivo di tali valori fondamentali tutelati dalla nostra costituzione, andando questo controllo ad aggiungersi a quelli profilati dall’art. 189 c.p.p. La questione si presta ad essere in contatto con la categoria delle “prove incostituzionali”30. A riguardo è stato affermato31 che rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, non solo le prove oggettivamente vietate, ma le prove formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla Costituzione; si tratta di un’ipotesi sussumibile nella previsione dell’art. 191 c.p.p., perché l’antigiuridicità di prove così formate od acquisite concerne alla lesione di diritti fondamentali, riconosciuti come intangibili dalla nostra carta fondamentale. Con la sentenza n. 34 del 197332 si è ravvisata l’esistenza di divieti probatori deducibili direttamente dal dettato costituzionale, enunciando il principio che le attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito. Ed è proprio grazie a questo principio che la dottrina ha elaborato la categoria delle prove c.d. incostituzionali, con la conseguenza che le acquisizioni così                                                                                                                          

30 Così come esposto in A. LARONGA, op. cit., p. 48, quando parliamo di

“prove incostituzionali” ci riferiamo a prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in spregio dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo.

31 Cass. pen. SS. UU., 16.5.1996, Sala, in Cass. pen., 1996, p. 3268. 32 Così, Corte cost., sent., 6 aprile 1973, n. 34, in Giur. Cost., 1973, p. 316.

(28)

avvenute sono destinate a subire una sorta di ablazione nel momento della valutazione da parte del giudice, rispetto al contesto della trama probatoria. In definitiva, l’inviolabilità dei diritti fondamentali tutelati dagli artt. 13, 14, 15 Cost., deve armonizzarsi con l’interesse pubblico di pari rango costituzionale, tutelato dall’art. 112 Cost., all’accertamento e repressione degli illeciti penali; sono ammissibili gli strumenti di accertamento del fatto che comprimono i diritti ora detti, a condizione che le acquisizioni probatorie siano rispettose delle garanzie costituzionali della riserva di giurisdizione e della riserva di legge. Conseguentemente, chi intende utilizzare una prova atipica nel processo penale, incidente sui diritti inviolabili della persona, non dovrebbe poterne ottenere l’ammissione quando lo strumento di accertamento sia impiegato in difetto di atto motivato dell’autorità giudiziaria e quando la limitazione del diritto costituzionalmente garantito non sia disciplinata dalla legge, alla quale è riservato il compito di determinare quelli che sono i “casi” e i “modi”.

8. Le modalità di assunzione del mezzo istruttorio non disciplinato dalla legge

Dopo la verifica dell’idoneità della prova atipica all’accertamento dei fatti e della sua non lesività della libertà morale dell’imputato, il giudice ha il compito procedurale di individuare le modalità di assunzione del mezzo istruttorio, dopo aver interpellato preventivamente le parti attraverso il contraddittorio. Se le modalità di assunzione delle prove tipiche sono già previste in moduli predefiniti, nel caso si debba assumere una prova non disciplinata dalla legge il contraddittorio viene garantito sia nel momento di formazione della prova che in quello, precedente, di individuazione del procedimento acquisitivo. È la richiesta della prova atipica a rendere la parte il soggetto più adatto a

(29)

fornire le opportune indicazioni circa il modo di introdurla nel processo. La sua partecipazione alle scelte del modus operandi la tutelerebbe dai rischi di una procedura non regolata dalla legge.33 Altra dottrina vede, però, una certa ambiguità dell’art. 189 c.p.p.: tradisce la poco chiara visione che il legislatore processualpenalistico ha avuto del problema delle prove atipiche. 34 Occorre considerare l’incertezza derivante dalla non specificazione dei ruoli riservati al giudice ed alle parti nella determinazione del procedimento d’assunzione della prova atipica. La dottrina non ha esitazioni nel dire che debba essere il giudice a determinare il modo di assunzione della prova, sia pure dopo aver sentito le parti. Appare tuttavia evidente i difetti di scrittura della disposizione; il significato letterale della legge sembrerebbe attribuire alle parti la possibilità di stabilire le modalità di acquisizione della prova: altrimenti la necessità di sentirle sarebbe solo una formalità. Ma se quest’ultimo fosse il senso, sarebbe inutile, per di più pericoloso, consentire alle parti di determinare modalità di acquisizione senza alcuna garanzia. In tal caso vi sarebbe da ritenere che il giudice non possa dare ingresso nel processo alla prova e quindi negarne l’ammissione. Anche a volere ammettere che sia il giudice a determinare il modo di ingresso della prova nel processo, resterebbe il problema di vedere che cosa succede se le parti non si mettono d’accordo sui criteri della sua assunzione. Se pensassimo, anche in questo caso, che il giudice non debba dare ingresso alla prova nel processo, ritenendo che l’obbligo della previa audizione delle parti abbia solo valore formale, la prescrizione della norma sarebbe improduttiva. 35 La giurisprudenza ha deciso che nessun divieto di utilizzazione della prova atipica deriva dalla mancata previa audizione delle parti prescritta dall’art. 189 c.p.p. L’inutilizzabilità di una prova – ex art. 191 comma 1 c.p.p. – ha luogo solo quando sia stata assunta in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non quando l’assunzione, pur                                                                                                                          

33 A. LARONGA, op. cit., p. 124. 34 G.F. RICCI, op. cit., p. 538. 35 G.F. RICCI, op. cit., p. 539.

(30)

consentita, sia stata effettuata senza l’osservanza delle prescritte formalità; può trovare, in quest’ultima ipotesi, soltanto applicazione l’istituto della nullità che, però, non risulta essere previsto dalla disposizione e né appare configurabile alcune delle nullità di ordine generale di cui all’art. 178 c.p.p.36 Cosicché l’omessa osservanza della formalità prescritta dalla seconda parte dell’art. 189 c.p.p., determinerebbe una mera irregolarità. Quindi, conseguentemente, il legislatore ha voluto ammettere un potere del giudice anche nella determinazione delle modalità di assunzione del mezzo istruttorio atipico.37

                                                                                                                         

36 Cass., Sez. I, 11.6.1992, Cannarozzo, CP, 1994, 125. 37 A. LARONGA, op. cit., p. 123.

(31)

CAPITOLO II

LA PROVA INFORMATICA NEL PROCESSO

PENALE

SOMMARIO: 1. Premessa; 2. Prova scientifica e prova digitale; 3. La fragilità della prova informatica; 4. Le norme processuali; 5. I mezzi di ricerca della prova di natura digitale; 6. La prova informatica nel dibattimento; 7. Potenzialità probatorie e conclusioni

1. Premessa

Da qualche decennio gli strumenti probatori del processo penale si sono andati ad arricchire, aggiungendosi al catalogo tradizionale elementi di prova scientifici e tecnologici con problemi giuridici rilevanti. La società – negli ultimi anni – è stata rivoluzionata da un fenomeno scientifico e tecnologico senza precedenti: lo sviluppo dell’informatica. Anche il diritto ha subito influenze non marginali dall’ondata rivoluzionaria tecnologica, tali da spingerlo a creare nuovi settori, come il diritto dell’informatica, e a modificarne – in modo rilevante – alcuni tradizionali, come, ad esempio, il diritto privato e il diritto processuale. In questo riassetto giuridico si insinua l’argomento delle prove informatiche, che andremo ad analizzare nelle pagine a seguire prima di trattare il tema del c.d. captatore informatico; si parlerà, appunto, di una questione molto particolare, in quanto, senza dubbio, le intercettazioni disposte con la tecnologia di oggi consentono possibilità sconosciute ieri. Pur aumentando l’efficienza, l’invasività di questo strumento investigativo risulta essere pregnante, fino a livelli il cui picco potrebbe essere lesivo di valori fondamentali per l’uomo. L’occasione per riflettere su tutto questo è offerta dal recentissimo arresto delle Sezioni

Riferimenti

Documenti correlati

Tabella 2 – Posti letto per anziani nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per livello di assistenza sanitaria – Anni 2009- 2015 (valori percentuali)..

“l’imputato che, per non subire gli effetti della presunzione relativa, dovrà fornire al giudice gli elementi di fatto che tolgono vigore alla presunzione stessa”. V ENEZIANI ,

The cross range resolution in SAR radar during the imaging of scenario, such as the ground, can be measured due to resolution in Doppler, Even though a SAR is a technique to generate

impiego della tecnologia informatica, oltre ad avvalersi di strumenti che superano le capacità umane (sense-replacing technologies), necessitano per la loro efficacia di operare in

valutazione, si vedano P. Per una diversa opinione, G. 832, la quale, nel suo lavoro, fa notare come molti ordinamenti, soprattutto in America Latina ed Europa dell’Est, nella

14 assoluto di trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini di indagine (art. Per ciò che concerne, invece, le garanzie difensive,

Il captatore informatico come strumento tecnico dell’intercettazione. L’intercettazione di comunicazioni domiciliari tramite captatore informatico. Superamento della

Se è vero che nel procedimento penale ordinario la vittima riveste solo ruolo di controllo o, comunque, di sollecitazione, nei procedimenti speciali che eliminano il