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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Si è peccato di ingenuità nel pensare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sarebbero intervenute solo dopo che l’enigma sull’utilizzabilità del c.d. captatore informatico si sarebbe fatto più intricato, a suon di multipli interventi delle sezioni ordinarie117.

Con la sentenza depositata il primo luglio 2016, le Sezioni Unite118 si

sono pronunciate, come abbiamo avuto modo di riscontrare, sulla possibilità di istallare un software in grado di captare le conversazioni tra presenti. È un tema molto importante, soprattutto nell’epoca moderna, dove strumenti di comunicazioni come tablet, smartphone e personal computer portatili hanno un peso predominante nella vita di tutti i giorni. Oggi la tecnologia consente cose sorprendenti: gli inquirenti sono in grado di ascoltare conversazioni tra privati a distanza ed in modo occulto grazie all’istallazione di trojan di Stato119 sui citati strumenti tecnologici. Questo consente la captazione del traffico dei dati in entrata o in uscita, l’attivazione del microfono e della webcam, la perquisizione di hard disk e la copia del loro contenuto, la decifrazione di quello che viene digitato sulla tastiera, nonché la possibilità di effettuare i c.d. screenshot dello schermo per prendere possesso di fotografie o documenti. Alla Corte di Cassazione si va a chiedere se anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa, sia consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’istallazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili. Il punto fondamentale                                                                                                                          

117 W. NOCERINO, op. cit., p. 1.

118 Corte Cass., SS. UU., 1.07.2016, n. 26889.

119 L. FILIPPI, Intercettazioni telefoniche e ambientali, in Archivio Penale

2016, n. 2, p. 2, Si tratta […] di una nuova e diversa tecnica di captazione che presenta una inedita invasività, caratterizzata dal fatto che consente di captare conversazioni tra presenti senza limitazioni di luogo.

della questione è se il decreto di autorizzazione debba indicare con precisione i luoghi in cui le intercettazioni devono essere eseguite. Le Sezioni Unite, approfondendo, ma anche correggendo, alcuni spunti tratti dall’ordinanza di rimessione, adottano un’interpretazione equilibrata, che salvaguardia la possibilità – in determinati casi e a specifiche condizioni – di utilizzare uno strumento di investigazione particolarmente efficace, come quello da noi preso in parola. La soluzione adottata, va a limitare il sacrificio delle esigenze di riservatezza ai soli casi in cui si procede per un reato di criminalità organizzata. Ciò appare coerente con le indicazioni codicistiche, che, in tema di intercettazioni tra presenti, fondano una significativa differenza tra la disciplina generale, contenuta nell’art. 266, comma 2, c.p.p., e quella speciale, dettata, appunto per la criminalità organizzata, dall’art. 13 del Decreto legislativo 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla Legge 12 luglio 1991, n. 203. Il ragionamento delle Sezioni Unite si basa sul rilievo che la disciplina applicabile va diversificata a seconda che si proceda nell’ambito di un procedimento penale per reati di criminalità organizzata ovvero per i reati comuni. Con riferimento a questi ultimi, la Corte parte dalla considerazione che la necessità di indicare nel decreto autorizzativo, in modo specifico, i luoghi o l’ambiente dove questa va eseguita, costituisce un requisito autorizzativo indispensabile nei soli casi in cui occorre applicare la disciplina codicistica sulle limitazioni delle captazioni effettuate nei luoghi di privata dimora: ovvero nei casi in cui trova applicazione il disposto dell’art. 266, comma 2, c.p.p., che condiziona la legittimità delle intercettazioni alla sussistenza del fondato motivo di ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo un’attività criminosa. Ciò esclude concettualmente la legittimità dell’intercettazione tramite captatore informatico istallato su un apparecchio portatile, perché all’atto di autorizzare un’intercettazione da effettuarsi con tale metodica il giudice non può prevedere e predeterminare i luoghi di privata dimora nei quali

il dispositivo elettronico verrà introdotto, con la conseguente impossibilità di effettuare un controllo circa l’effettivo rispetto della normativa. Se, quindi, è da escludere che, quando si procede per i reati comuni, possa disporsi di un’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l’istallazione di un captatore informatico in dispositivi portatili nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., a diverse conclusioni le Sezioni Unite arrivano per le intercettazioni disposte nell’ambito di procedimenti per reati di criminalità organizzata. Nel caso di intercettazioni tra presenti da svolgersi nei luoghi di privata dimora, per reati di criminalità organizzata, non occorre la preventiva individuazione e indicazione dei luoghi in cui la captazione deve essere espletata, giacché secondo la disciplina derogatoria applicabile120 non è necessaria la condizione del fondato sospetto che nei luoghi di captazione si stia svolgendo l’attività criminosa. Da ciò la Corte fa derivare il principio secondo il quale è legittimo procedere, anche nei luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 c.p., a intercettazioni tra presenti a mezzo di captatore informatico istallato in un dispositivo portatile, nell’ambito di attività investigativa svolta in relazione a procedimenti di criminalità organizzata, a prescindere dalla preventiva individuazione e indicazione dei luoghi in cui la captazione deve avvenire. La soluzione delle Sezioni Unite, in definitiva, fa cadere il muro alzato dalla citata sentenza del 2015121, che aveva escluso la possibilità di usare come prova queste “intercettazioni ambientali” anche nei procedimenti di criminalità organizzata, perché giudicati troppo invasivi della riservatezza, è ormai caduto.

A riguardo si pone un dubbio operativo: la Corte è netta nell’escludere la possibilità di un’intercettazione su un apparecchio portatile mediante “agente intrusore” nel caso in cui si proceda per reati comuni per l’impossibilità di una preventiva individuazione dei luoghi privati dove                                                                                                                          

120 Art. 13 del Decreto legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203

del 1991.

l’apparecchio potrebbe essere utilizzato, in termini tali, cioè, da consentire la previa verifica che in tali luoghi si stia svolgendo l’attività criminosa. In realtà, si possono presentare situazioni, in cui tale possibilità di individuazione è riscontrabile: ad esempio nell’ipotesi in cui si sappia che l’apparecchio portatile da sottoporre a controllo in realtà rimane di fatto sempre allocato in un determinato luogo. In tali ipotesi, ovviamente motivatamente riscontrata, ci sembra che nulla escluda la possibilità di procedere all’intercettazione, laddove nel luogo di specifico utilizzo sussista il motivato sospetto di svolgimento dell’attività criminosa.122 Tutto questo ci fa capire quanto sia fondamentale e importante la presenza di un quadro giuridico chiaro e preciso in grado di bilanciare esigenze di riservatezza con quelle investigative. Il dibattito politico e parlamentare in atto è senza dubbio un passo fondamentale per il raggiungimento di questi obiettivi; gli estensori della nuova legge auspicano di regolamentare in modo stringente e tecnicamente appropriato questi programmi spia, solo in questo modo sarà possibile usare il trojan di Stato, rendendo il suo utilizzo completamente trasparente.