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La prova informatica nel dibattimento

LA PROVA INFORMATICA NEL PROCESSO PENALE

6. La prova informatica nel dibattimento

Appare opportuno fare un cenno a come la prova informatica possa concorrere, nel dibattimento, a dar capo alla decisione. La tecnicità delle fonti di prova informatiche influisce sui momenti dibattimentali di ammissione e assunzione della prova. Se il legislatore non ha previsto una disciplina particolare per questa fase processuale, neppure la giurisprudenza vi ha prestato particolare attenzione; solo una piccola parte della dottrina ha affrontato direttamente il problema delle prove informatiche nel processo penale, per quanto riguarda la fase dibattimentale e decisoria.46 La prova informatica viene considerata come un documento; il codice di rito penale fornisce, all’art. 234, una nozione ampia di prova documentale – scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose attraverso qualsiasi mezzo di riproduzione – tale da non essere più caratterizzata dalla connotazione della scrittura ma da ricomprendere qualunque segno rappresentativo di un fatto idoneo ad essere valutato come prova. I dati contenuti nel computer sono unici perché la prova che essi forniscono non è qualcosa di tangibile, con caratteristiche diverse dal documento tradizionale (corporale); dette diversità si hanno sia per la sua struttura sia per la sua intrinseca immaterialità. La digital evidence è un documento informatico, cioè una rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che entra nel processo come uno degli altri documenti rappresentanti fatti, persone o cose mediante la fotografia, la                                                                                                                          

45 AA. VV., F. NOVARIO, op. cit., pag. 122. 46 AA. VV., F. NOVARIO, op. cit., pag. 137.

cinematografia e via dicendo; secondo quanto afferma il primo comma dell’art. 234 c.p.p. vanno classificate come “documento” tutte le rappresentazioni di conoscenza, fatti, persone o cose comunque incorporate in qualsiasi base materiale, poiché la reale differenza fra un documento tradizionale e uno informatico è minima, considerato che essa risiede solo nelle modalità di incorporazione ma non in quelle di rappresentazione. I dati contenuti nel computer costituiscono prova documentale ai sensi dell’art. 234 comma 2 c.p.p., trattandosi della rappresentazione di cose, termine cui deve attribuirsi la più ampia estensione, effettuata mediante mezzi diversi da quelli tradizionali, così come previsto dalla norma.47

Le parti devono formulare le loro richieste di prova nella fase preliminare del dibattimento ex art. 493 c.p.p. indicando i fatti da provare e i mezzi di prova che a tal fine intendono assumere. Qualora i fatti siano digitali, le richieste di prova devono adattarsi alla loro tecnicità e scientificità. Le richieste probatorie in questo campo – informatico giuridico – devono prestare attenzione alle attività informatiche compiute, dall’accusa o dalla difesa, nella fase delle indagini preliminari per l’acquisizione e salvaguardia delle fonti di prova; queste risultano dai verbali presenti nel fascicolo del dibattimento. La loro veicolazione nel processo è effettuata con la testimonianza di coloro che hanno compiuto materialmente l’operazione di acquisizione: agenti di polizia o consulenti tecnici. Le testimonianze hanno ad oggetto le tecnologie di Computer Forencis e le Best Practices utilizzate in sede di acquisizione della prova e tutto quello che riguarda le modalità di indagine. La prova dei fatti digitali desumibili da fonti di prova informatiche vengono veicolate nel processo con l’assunzione dei mezzi di prova, diversi a seconda del contenuto probatorio e dei tipi di accertamento tecnico: perizia, consulenza tecnica, esperimento giudiziale, prova documentale e prove atipiche. Sono prediletti i mezzi                                                                                                                          

di prova per esperto, data l’imprescindibile componente tecnologica delle fonti di prova informatiche. I mezzi di prova richiesti dalle parti sono soggetti a valutazione di ammissibilità da parte del giudice, che ne dispone in merito con ordinanza ex art. 495 c.p.p. secondo una duplice disciplina: ex art. 190 c.p.p. se il mezzo di prova è tipico; ex art. 189 c.p.p. se il mezzo di prova è atipico. Nella pratica giudiziaria si fa largo un ampio movimento che considera le prove informatiche come prove atipiche. L’atipicità probatoria non è però legata solo alla tecnicità del mezzo di prova; con prova atipica si vuole intendere un mezzo di prova che esula dal catalogo legale o necessita di attività tecniche non annoverate per lo specifico mezzo di prova richiesto, oppure una prova scientifica nuova o non sufficientemente conosciuta dalla giurisprudenza o un mezzo di prova che necessita di strumenti tecnologici nuovi o controversi per il diritto. In genere le prove informatiche non rientrano in queste categorie in quanto i mezzi di prova richiesti per l’assunzione di prove informatiche sono tipici: perizia, consulenza tecnica, esperimento giudiziale e prova documentale. Questi non presentano un’applicazione difforme rispetto al catalogo legale. La legge dispone che un documento possa essere cartaceo o informatico; che una perizia o una consulenza tecnica possa avere ad oggetto una materia che richiede competenza tecnica o scientifica (come lo può essere l’informatica, universalmente considerata una scienza tecnica); che l’esperimento giudiziale abbia ad oggetto la ricostruzione di un fatto-evento con l’ausilio di competenze tecniche (dunque anche informatiche). Alla luce di quanto detto e considerando la consolidata giurisprudenza che considera illegittimo l’utilizzo di un mezzo di prova atipico ogni qualvolta la parte abbia la possibilità di ottenere il medesimo risultato richiedendo l’ammissione di una prova tipica, possiamo concludere che i mezzi di prova atti ad assumere prove informatiche devono essere tipici, quindi soggetti alla presunzione di ammissibilità ex art 190 c.p.p. Questo, però, nonostante non escluda la

possibilità di assumere prove informatiche tramite mezzi di prova atipici, ci fa ravvisare, comunque, la difficoltà di immaginare un mezzo di prova atipico per la loro assunzione. Per quanto riguarda l’ammissione del documento informatico occorre fare riferimento all’art. 190 c.p.p., il quale stabilisce che il giudice deve ammettere le prove richieste dalle parti solamente se esse non siano manifestamente superflue o irrilevanti. Se, nel momento dell’esame preliminare all’ammissione delle prove in dibattimento, non risultano evidenti le gravi manchevolezze della prova documentale informatica indicate dalla parte che le eccepisce, il giudice deve accogliere la richiesta di ammissione. Sarà riservata infatti ad una successiva fase – momento della valutazione del compendio probatorio acquisto nell’istruzione dibattimentale – la decisione sulla fondatezza dell’eccezione di inadeguatezza della documentazione informatica. Un primo elemento dell’istruttoria dibattimentale può essere rappresentato dall’audizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria che ha eseguito il sequestro del computer, al quale verrà chiesta la descrizione delle attività compiute. Le parti potrebbero chiedergli osservazioni tecnico-scientifiche per accertare la correttezza delle procedure, contestata dall’imputato. In definitiva l’ufficiale di polizia giudiziaria, oltre che descrivere in fatto le operazioni che ha eseguito per acquisire il documento informatico fonte di prova, se abbia le dovute capacità può integrare quelle indicazioni con considerazioni di carattere tecnico-scientifico circa la loro adeguatezza. L’eventuale mancanza di un consulente di parte, contrario al contenuto della disposizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria, può portare il giudice ad accogliere la tesi della correttezza delle operazioni di computer forencis senza dar corso alla nomina di un perito sull’argomento. Ma può accadere che il consulente della parte contrasti il contenuto tecnico della disposizione del teste. Il giudice, anche in questo caso, può decidere senza perito, se ritenga convincente il testimone o il consulente di parte. Oppure può disporre perizia, che

potrà avallare le dichiarazioni del teste, o le argomentazioni del consulente, o fornire una diversa ricostruzione dello svolgimento delle operazioni anche dal punto di vista tecnico. Si può disporre una seconda perizia se il caso è complesso, che può divergere da tutte le osservazioni tecniche e scientifiche formulate in precedenza. In queste ipotesi si pone il problema della valutazione della prova scientifica che, nel caso di quella informatica, riguarda il controllo delle operazioni messe in essere dalla polizia giudiziaria allo scopo di accertare che siano state utilizzate procedure tecnico scientifiche atte a garantire che i dati acquisiti siano conformi a quelli originali e che per entrambi sia stata assicurata l’immodificabilità. In linea generale, il frequente ricorso a conoscenze specialistiche comporta il rischio di affidare all’esperto, al tecnico, competenze valutative e decisionali appartenenti al giudice. Questo perché chi giudica raramente ha un bagaglio culturale per valutarla. Il giudicante, per conservare il ruolo di garante che l’ordinamento gli assegna, non può accettare passivamente le risultanze dell’opera dell’esperto ma deve valutare criticamente la validità e attendibilità delle procedure e delle conoscenze di natura scientifica adottate per condividerle o disattenderle. E così deve sindacare le tesi tecniche esposte dall’ufficiale di polizia giudiziaria, dal consulente di parte, dal perito e anche i ragionamenti e le conclusioni dell’eventuale collegio peritale. Tutto il ragionamento probatorio deve essere, poi, inserito nella motivazione della sentenza. Per quanto riguarda la prova informatica, in particolare, il giudice deve riferire le informazioni scientifiche che ha esaminato e deve fornire una convincente, completa e comprensibile spiegazione dell’apprezzamento compiuto.